Archivio del Tag ‘fierezza’
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Salvini, ventriloquo degli italiani, meglio dei ventriloqui Ue
Mezzo paese è convinto che l’Italia abbia un solo problema: Salvini. L’altra metà è convinta che l’Italia abbia una sola soluzione: Salvini. Posso dirvi che personalmente non credo che Salvini sia il problema né la soluzione? Non sono neutrale, equidistante o cerchiobottista. Preferisco Salvini ai suoi numerosi avversari, condivido molte delle sue opinioni, mi disgustano molti degli attacchi che riceve. Bene o male, lui è, con la Meloni, l’unica voce che si oppone al politically correct, a cui aderiscono sotto sotto anche i grillini e il loro avvocato-premier. Contro di lui c’è tutta l’Italia e l’Europa che non ci piace, chi ci detesta e chi campa ancora come iene sul fascismo sepolto. Come accadde con Trump, il blocco indigesto che gli si oppone, ci impone di preferirlo ai suoi nemici, anche obtorto collo. Tralascio la provenienza di Salvini, mi soffermo su dov’è ora, dove mira o dice di mirare. Proviamo a guardare oltre questo incredibile agosto, coi suoi voltafaccia, chissà dove porteranno. Non mi faccio illusioni, non ritengo che Salvini sia il pericolo nazionale ma nemmeno il rimedio salvifico. Non penso che sia in grado di fronteggiare quasi in solitudine quell’armata di poteri, partiti, papati e apparati che sono contro di lui.Uno contro tutti può funzionare in campagna elettorale, ma non si può governare soli contro tutti. E l’uno contro tutti non funziona nemmeno in questa fase preliminare e pre-elettorale, come si sta vedendo, perché se le elezioni non le vuole nessuno e se tutti temono un successo di Salvini, ha poco senso aprire una crisi contro tutti e aspettare che ti facciano votare. Col precedente del Lodo Ursula all’Europarlamento era prevedibile la piega che avrebbe preso la faccenda. Sull’evolversi del quadro politico si conferma un teorema che avevo già espresso un anno fa. Il nostro è un quadrilatero politico: ai quattro angoli ci sono nell’ordine i 5 Stelle, alla sua destra la Lega, alla sua sinistra il Pd, di fronte a loro Berlusconi. Ciascuno può allearsi con chi ha a fianco ma non con chi ha di fronte: i grillini con la Lega o col Pd, a sua volta il Pd coi grillini o con Berlusconi; la Lega, idem, coi grillini o Berlusconi, e Berlusconi con la Lega o il Pd. Le sole alleanze allo stato attuale incompatibili sono tra grillini e Berlusconi e tra Lega e Pd.In particolari frangenti può accadere una provvisoria convergenza, come è accaduto nel primo caso all’Europarlamento o nel secondo caso sulla Tav. Ma Lega e Pd sono incompatibili, come Berlusconi e Grillo. E non solo: a mezza strada tra la Lega e Fi c’è la Meloni, tra il Pd e i grillini c’è Leu, tra Forza Italia e Pd c’è +Europa (forse un domani ci sarà Renzi), tra Lega e 5 Stelle non c’è nessuno, salvo scissioni. Ecco il quadro politico e il teorema su cui regge. Torniamo alla politica reale. Non mi pare che Salvini minacci la democrazia, che annunci la guerra o che porti addirittura al nazismo e al razzismo, come sostiene la più becera propaganda avversaria. In tema di sicurezza ha incassato qualche buon risultato, soprattutto psicologico e simbolico, nonostante i magistrati e la campagna intimidatoria. Sui migranti è riuscito a frenare gli sbarchi e a scoraggiare le Ong, mandando un messaggio dissuasivo a entrambi; ma non è riuscito (ancora) a gestire i tanti clandestini sul nostro territorio, tantomeno a rimpatriarli.Tutto sommato un segnale forte l’ha lanciato, la sua fermezza ha pagato, ha riacceso un po’ di fierezza nazionale. È tanto per il nulla a cui siamo abituati, è poco per quel che ancora c’è da fare. Le grandi aspettative in tema di fisco, autonomie e rilancio che ha generato, sono rimaste sospese o inevase, perché non solo aveva il mondo contro, ma non aveva dalla sua nemmeno l’alleato di governo. Peraltro la sua azione ha risaltato nel raffronto coi grillini, che sono stati il suo alibi e il suo facile termine di paragone. Allo stato attuale Salvini è il ventriloquo degli italiani, parla in loro nome, dice le cose che dicono loro o che vogliono sentirsi dire. La definizione di ventriloquo non sarà esaltante ma è meglio essere il ventriloquo degli italiani che dei potentati, soprattutto esterni. Non so se oltre a esprimere le opinioni della gente e ad essere un efficace tribuno della plebe, Salvini sappia anche governare e rilanciare il paese; è un’incognita, non ha precedenti e la sua attitudine primaria è la leadership politica, anzi la comunicazione politica. Ma se l’alternativa è il grillismo più la sinistra, meglio lui, da solo o in compagnia del redivivo centro-destra. Nutro fiducia? No, semmai speranza, tenendo sempre presente chi c’è dall’altra parte.Tra le cose che propone alcune ci piacciono e vanno fatte subito, altre ci piacciono ma sono difficilmente realizzabili, un paio non ci piacciono per niente o quasi. Non reputo il suo partito fatto di aquile e giganti, non li considero i migliori in assoluto né i più onesti e più competenti, ma hanno buon senso pratico, sono stati in generale buoni amministratori e sono guidati da un’idea dell’Italia che mi pare più in sintonia con la vita reale, gli interessi e le aspirazioni degli italiani. Una sola cosa vorrei consigliare ai suoi sostenitori: non aspettatevi troppo da lui salvo poi restare delusi e abbandonarlo in fretta; riservategli un consenso meno entusiasta ma più avveduto e semmai più duraturo. Sostenetelo, se siete convinti, ma non aspettatelo come il Salvatore della Patria. Magari è il primo capitolo di una nuova stagione, un punto di avvio. In questo frangente e a queste condizioni, potete sostenere Salvini. Di più non dimandate…(Marcello Veneziani, “Con Salvini, senza illusioni”, da “La Verità” del 18 agosto 2019; articolo ripreso dal blog di Veneziani).Mezzo paese è convinto che l’Italia abbia un solo problema: Salvini. L’altra metà è convinta che l’Italia abbia una sola soluzione: Salvini. Posso dirvi che personalmente non credo che Salvini sia il problema né la soluzione? Non sono neutrale, equidistante o cerchiobottista. Preferisco Salvini ai suoi numerosi avversari, condivido molte delle sue opinioni, mi disgustano molti degli attacchi che riceve. Bene o male, lui è, con la Meloni, l’unica voce che si oppone al politically correct, a cui aderiscono sotto sotto anche i grillini e il loro avvocato-premier. Contro di lui c’è tutta l’Italia e l’Europa che non ci piace, chi ci detesta e chi campa ancora come iene sul fascismo sepolto. Come accadde con Trump, il blocco indigesto che gli si oppone, ci impone di preferirlo ai suoi nemici, anche obtorto collo. Tralascio la provenienza di Salvini, mi soffermo su dov’è ora, dove mira o dice di mirare. Proviamo a guardare oltre questo incredibile agosto, coi suoi voltafaccia, chissà dove porteranno. Non mi faccio illusioni, non ritengo che Salvini sia il pericolo nazionale ma nemmeno il rimedio salvifico. Non penso che sia in grado di fronteggiare quasi in solitudine quell’armata di poteri, partiti, papati e apparati che sono contro di lui.
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Magaldi: i gialloverdi scelgano, Tria (e Draghi) o gli italiani
«Il massone Giovanni Tria scelga chi servire: il popolo italiano o l’élite neoliberista incarnata dal pessimo Mario Draghi, il demolitore dell’Italia, che ora si complimenta con lui». Non usa mezzi termini, Gioele Magaldi, nel sollecitare il governo gialloverde a diffidare dall’atteggiamento “frenante” del ministro dell’economia: «I gialloverdi avevano promesso agli elettori reddito di cittadinanza, meno tasse e pensioni dignitose. Se non manterranno la parola data saranno loro a pagare, non certo Tria e le altre figure tecniche dell’esecutivo». Dove trovare le coperture? Semplice: occorre sfondare il famoso tetto di spesa del 3%, stabilito da Maastricht in modo ideologico, senza alcun fondamento economico-scientifico: più deficit significa far volare il Pil e creare lavoro. «Si tratta di smascherare Bruxelles e ingaggiare una dura battaglia, in Europa: solo l’Italia può farlo. E se Tria “frena”, preferendo ascoltare Draghi, Visco e Mattarella, allora è meglio che Salvini e Di Maio lo licenzino, perché a pagare il conto alla fine saranno loro, per la gioia del redivivo Renzi, che infatti già accusa il governo gialloverde di parlare molto e combinare poco». La ricetta di Magaldi? «Non temere il ricatto dello spread e sfoderare con l’Unione Europea, per il bilancio 2019, la stessa fierezza mostrata da Salvini nel denunciare l’ipocrisia dell’Ue che lascia ricadere solo sull’Italia il problema degli sbarchi di migranti».
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Mare d’erba: dalla Mongolia all’Europa, a cavallo. Da sola
Mare d’erba. Qualcosa su cui il vento distende le sue onde, rimescolando epoche e leggende, condottieri barbarici e luminose civiltà come quelle che eressero il palazzo blu di Tamerlano a Samarcanda. Se ce l’hai dentro da sempre, il mare d’erba, potrebbe venirti voglia di andarlo a cercare fuori, lontanissimo da te, nelle steppe asiatiche dei cavalli preistorici che sopravvivono ai millenni, agli inverni, alle temperature più crudeli dell’emisfero boreale. Non è uno sport per signorine, il mare d’erba, e Paola Giacomini è l’eccezione che conferma la regola: partirà da Harahorin, antica capitale mongola dello sterminato impero di Gengis Khan, per raggiungere la Polonia dopo qualcosa come 500 giorni, in sella. Meta intensamente simbolica, Cracovia: dove la melodia bruscamente interrotta di una tromba ricorda ancora, ogni giorno alla stessa ora, la drammatica irruzione dei cavalieri tartari, nel 1241. «Donerò alla città una freccia mongola come quella che fece tacere per sempre il trombettiere polacco, di guardia sul campanile della cattedrale: quella freccia avrà fatto con me tutta la strada dei cavalieri di allora». Più di diecimila chilometri – una trentina al giorno, per 350 giornate di marcia – attraverso Mongolia e Siberia, Kazakhstan e Russia, Bielorussia e Polonia. Dalla primavera 2018 all’estate-autunno 2019. Unico orizzonte: l’eternità del mare d’erba, superando le acque dell’Irtys, dell’Ural, dell’immenso Volga.Fa impressione, tanto amore per il mare d’erba, in un’Italia mediocre e stagnante, incagliata tra elezioni sbilenche e declino sociale inesorabile, palazzi europei abitati da banchieri alieni. Fa impressione, tanta ostinazione nel voler naufragare per un anno e mezzo, in solitudine, nell’infinita memoria ventosa dell’Eurasia: ogni fiato vale secoli, nella vertiginosa perdizione delle latitudini orizzontali. Un universo quasi inaccessibile al passo corto del nostro dimesso quotidiano digitale, fatto di “like” su Facebook, in un pianeta dove è in vendita ogni politico, è in offerta qualsiasi sogno, si compra a rate ogni centimetro di terra. Il mare d’erba, invece, vive di solo cielo: è primordiale, ci parla di qualcosa che non ricordiamo più. Risale all’infanzia dell’umanità, precede la civilizzazione agricola. Lo ricorda il grande intellettuale triestino Francesco Saba Sardi: il potere che ci sovrasta, in forma di dominio, nacque a partire dal neolitico, con la scoperta delle coltivazioni. L’improvvisa importanza del territorio, i primi villaggi. Sorse allora l’inedita necessità di esseri umani non più liberi, trasformati in lavoratori docili. L’invenzione della religione come strumento per ottenere l’obbedienza degli schiavi, contadini e soldati: guerra, frontiere. Il cavaliere tartaro, nella sua arcaica fierezza già intaccata dal morbo sanguinoso della conquista, resta forse il più diretto discendente dell’uomo paleolitico, innocuo per i suoi simili, pronto a usare l’arco solo per la caccia, in un mondo senza confini da difendere.Libertà nomade, grazie all’antica alleanza col cavallo. Quello di Paola – valsusina, laureata in agraria, esperta di equitazione alpina – si chiama Isotta Raminga. Una creatura straordinaria, rimasta senza un occhio. Con Paola ha percorso migliaia di chilometri, in solitaria: dalla Sacra di San Michele alle onde dell’Atlantico, nel vasto tramonto di Capo Finisterre, alla fine del Camino de Santiago, da cui lo struggente diario “Campo di Stelle”. E poi, nell’estate 2017, l’intera catena alpina, da Lubiana a Cuneo, lungo i “Sentieri da lupi” che sono diventati un libro (Blu edizioni). Questa volta, Isotta dovrà restare a casa: non reggerebbe al volo Roma-Pechino, né alle temperature del deserto bianco che ricopre il mare d’erba nell’inverno russo. La missione è affidata ad altri equini, cavalli mongoli temprati dal vento dell’oriente estremo. Saranno loro a attraversare il mare d’erba, insieme a Paola, che ogni sera monterà un bivacco e dormirà sotto le stelle. Popoli e lingue, foreste di betulle, laghi e paludi. I fiumi dei cosacchi, il canto sovrumano (diplofonico) degli ultimi pastori-sciamani nei loro accampamenti mobili, tra mandrie di renne ruminanti. Bambini e cani, falconieri alati con l’aquila a cavallo per cacciare i lupi. Sapore di latte appena munto, birre in lattina con l’effigie del Gran Khan.Il mare d’erba come sfida: per chi ha globalizzato tutto, tranne la sincerità. L’incedere a cavallo, il passo lento di chi fiuta e guarda, fotografa il frasario universale di una fraternità fatta di gesti: il codice del dono, un piatto di minestra, il benvenuto sacro che si deve allo straniero errante. Cielo e stelle in ascolto, per migliaia di chilometri. Parole forestiere, monosillabi, il fuoco di un saluto prima della notte. Prendere il largo in mezzo al mare d’erba: vuol dire perdere di vista ogni orizzonte conosciuto, nel dubbio che niente ci appartenga veramente, qui, dove la massima fortuna starebbe proprio nel contrario: nello scoprire un giorno che forse siamo noi, semmai, che apparteniamo al tutto. C’è chi lo sa da sempre, come i Sufi, che si tengono ai margini del tempo. C’è chi lo va cercando, l’infinito, là dove il mondo fa perdere le tracce, riuscendoci benissimo.(Paola Giacomini è sul web, sia su Facebook che sul sito “Sellarepartire”. E’ possibile contribuire concretamente alla sua onerosa missione partecipando al crowdfunding del progetto “Mare di Erba” sulla piattaforma Eppela. Tra le ricompense, anche l’opportunità di condividere con Paola, al suo ritorno, una giornata speciale attorno alla Gher, la tenda mongola – Yurta, per i russi – che ha già montato in valle di Susa, nel prato dove pascola l’inseparabile cavalla Isotta).Mare d’erba. Qualcosa su cui il vento distende le sue onde, rimescolando epoche e leggende, condottieri barbarici e luminose civiltà come quella che eresse il palazzo blu di Tamerlano a Samarcanda. Se ce l’hai dentro da sempre, il mare d’erba, potrebbe venirti voglia di andarlo a cercare fuori, lontanissimo da te, nelle steppe asiatiche dei cavalli preistorici che sopravvivono ai millenni, agli inverni, alle temperature più crudeli dell’emisfero boreale. Non è uno sport per signorine, il mare d’erba, e Paola Giacomini è l’eccezione che conferma la regola: partirà da Harahorin, antica capitale mongola dello sterminato impero di Gengis Khan, per raggiungere la Polonia dopo qualcosa come 500 giorni, in sella. Meta intensamente simbolica, Cracovia: dove la melodia bruscamente interrotta di una tromba ricorda ancora, ogni giorno alla stessa ora, la drammatica irruzione dei cavalieri tartari, nel 1241. «Donerò alla città una freccia mongola come quella che fece tacere per sempre il trombettiere polacco, di guardia sul campanile della cattedrale: quella freccia avrà fatto con me tutta la strada dei cavalieri di allora». Più di diecimila chilometri – una trentina al giorno, per 350 giornate di marcia – attraverso Mongolia e Siberia, Kazakhstan e Russia, Bielorussia e Polonia. Dalla primavera 2018 all’estate-autunno 2019. Unico orizzonte: l’eternità del mare d’erba, superando le acque dell’Irtys, dell’Ural, dell’immenso Volga.