Archivio del Tag ‘Fininvest’
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Giannuli: elezioni-spazzatura. Dai partiti, una gara di rutti
La peggior campagna elettorale di sempre: la più indecente. Lo sostiene Aldo Giannuli, politologo dell’ateneo milanese. «Avevo 16 anni quando seguii consapevolmente la campagna elettorale delle politiche, era il 1968. Dunque, quest’anno ”festeggio” (si fa per dire) il cinquantesimo della mia partecipazione politica. Da allora ho visto 13 campagne elettorali politiche, 8 europee e 10 regionali. Ebbene, debbo dire che una campagna elettorale così ripugnante, sciatta, volgare, sguaiata, offensiva come questa non l’avevo ancora vista. E non abbiamo visto tutto, siamo all’inizio». Una camapgna elettorale «offensiva, soprattutto dell’intelligenza degli elettori», costretti a votare con una legge-truffa, ad ascoltare promesse grottesche, a scegliere tra candidati più che mediocri e, in ogni caso, di strettissima obbedienza: tutti devoti al capo del partito che li schiera, si chiami Berlusconi, Renzi o Di Maio. Il Rosatellum? «Incostituzionale, pieno di trucchi demenziali: riesce nel mirabile intento di sacrificare la rappresentatività del Parlamento senza assicurare una maggioranza, salvo che una qualche trappola del sistema (una valanga monocolore nei collegi uninominali, una quota importante di voti dispersi sotto la quota di esclusione) non crei una maggioranza del tutto fittizia. L’unica cosa divertente è che punirà i suoi ideatori».Per non parlare dei programmi: tutti i partiti esibiscono solo il “libro dei sogni”. «Abbassare le tasse, ridurre il debito, aumentare la spesa – cioè no, ridurla ma concedendo il reddito di cittadinanza». E poi: «Investimenti per l’occupazione, le dentiere ai vecchi, il bonus alle famiglie e i lecca-lecca agli infanti. E nessuno che si sia degnato di dire dove troverebbe le risorse per tutto questo». I conti? «Numeri in libertà, a casaccio». La gara, nel settore, «l’ha vinta il M5S, che promette tutto ed il contrario di tutto». Ma anche Pd e Forza Italia hanno il loro bel piazzamento. “Liberi e Uguali”, tra mille inconsistenti vaghezze, ha «una sola proposta precisa», cioè abolire le tasse universitarie per tutti: «La traduzione in chiave universitaria della “flat tax” trumpiana». S’indigna, Giannuli: «Ma chi credete di prendere in giro? Pensate che gli elettori abbiano tutti l’anello al naso?». E le liste? «Semplicemente un orrore. La Lega candida solo gli amici di Salvini, il Pd solo quelli di Renzi, il M5S esclude almeno 1/10 dei candidati alla selezione e non comunica le motivazioni, perché deve prevenire infiltrazioni, cambia-casacca, pregiudicati, scalatori e riciclati. Poi si scopre che fra i candidati c’è una valanga di riciclati dell’ultima ora, compreso qualcuno che non si ricordava di essere ancora consigliere comunale di un altro partito, c’è anche un amico di mafiosi, qualche altro ha precedenti penali… meno male che hanno fatto una attenta selezione, perché altrimenti chissà cosa ci presentavano!».E anche dal punto di vista politico, tra i 5 Stelle, spiccano gli economisti di scuola neoliberista come Fioramonti, nonché «i giornalisti Fininvest amici di Gianni Letta». A Firenze, «contro Renzi c’è un renziano che solo 14 mesi fa ha fatto campagna elettorale per il sì al referendum (e questa non ve la perdoneremo mai)». Mancano solo «un po’ di spie, un lenone e qualche alcolizzato cronico (o ci sono e non ce lo avete detto?)». Poi “Liberi e Uguali”: «Ha delle liste che sembrano il festival della ribollita, i poveri militanti di base sono stati semplicemente ignorati». Forza Italia? «Non è cambiata: come sempre mette in lista nani, ballerine e camerieri vari». E bravi, tutti. «Ma insomma, non vi vergognate? Non esiste più la Lega ma il Pds (Partito di Salvini), non il Partito Democratico ma il Pdr (partito di Renzi), non Forza italia ma – come sempre – il Pdb (partito di Berlusconi). E, mi costa dirlo, al posto del M5S c’è il Pdd (partito di Di Maio) che ancora è quel che si oppone all’inciucio renzusconiano, ma di questo passo…».Infine il metodo d’azione, lo stile: «La Lega arriva all’orrore di cavalcare i tentati omicidi fascisti per raccogliere voti anche in quella sentina». Il Pd ha un unico chiodo fisso: il Movimento 5 Stelle, «che attacca con argomenti elegantissimi come l’attacco personale a Di Maio perché incespica sui congiuntivi (come se i suoi fossero tutti accademici della Crusca: mai sentito parlare la ministra della pubblica istruzione Fedeli?)». Dal canto suo, il M5S invita i suoi seguaci a raccogliere prove e foto sulle nefandezze dei rivali, trasformando le elezioni nello “sputtanamento show”. «Anche a me non piacciono i pregiudicati in lista, anche se una condanna in primo grado non significa che uno lo sia, ma insomma, nelle campagne elettorali si parla di politica: magari fai notare le troppe presenze di candidati con guai giudiziari, ma poi vai avanti e confrontati sulle proposte politiche». Qui invece «l’unico confronto è quello degli insulti», dice Giannuli, «e vale per tutti». Un consiglio? «Fate una cosa sfidatevi, a gara di rutti e vediamo chi vince». D’altra parte, chiosa il politologo, «dopo 26 anni di deserto della politica, massimo frutto di Mani Pulite e del populismo occhettiano di Occhetto, Segni e Pannella, cosa possiamo pretendere? Ci si era parlato di partiti-farfalla, constatiamo che il risultato sono i partiti-monnezza».La peggior campagna elettorale di sempre: la più indecente. Lo sostiene Aldo Giannuli, politologo dell’ateneo milanese. «Avevo 16 anni quando seguii consapevolmente la campagna elettorale delle politiche, era il 1968. Dunque, quest’anno ”festeggio” (si fa per dire) il cinquantesimo della mia partecipazione politica. Da allora ho visto 13 campagne elettorali politiche, 8 europee e 10 regionali. Ebbene, debbo dire che una campagna elettorale così ripugnante, sciatta, volgare, sguaiata, offensiva come questa non l’avevo ancora vista. E non abbiamo visto tutto, siamo all’inizio». Una camapgna elettorale «offensiva, soprattutto dell’intelligenza degli elettori», costretti a votare con una legge-truffa, ad ascoltare promesse grottesche, a scegliere tra candidati più che mediocri e, in ogni caso, di strettissima obbedienza: tutti devoti al capo del partito che li schiera, si chiami Berlusconi, Renzi o Di Maio. Il Rosatellum? «Incostituzionale, pieno di trucchi demenziali: riesce nel mirabile intento di sacrificare la rappresentatività del Parlamento senza assicurare una maggioranza, salvo che una qualche trappola del sistema (una valanga monocolore nei collegi uninominali, una quota importante di voti dispersi sotto la quota di esclusione) non crei una maggioranza del tutto fittizia. L’unica cosa divertente è che punirà i suoi ideatori».
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Padroni di tutto, anche dei giornali: chi crede alle loro news?
Industria, energia, finanza, cemento, sanità. E poi, anche, informazione. Editori puri? Non pervenuti. Chi stampa giornali, in Italia, ha soprattutto altri interessi. Qualcuno può stupirsi se poi “la verità” fatica a imporsi, sui media mainstream? «Ecco chi controlla i giornali in Italia: praticamente sono 9 entità, ma in realtà sono molte di meno se si considerano i legami, le infiltrazioni, le affiliazioni, le “amicizie”», scrive “Coscienze in Rete”, citando l’ultimo report del Cnms, Centro Nuovo Modello di Sviluppo, una Onlus che monitora lo stato dell’informazione partendo dalla lettura dell’assetto proprietario dei media. «I nomi? Li conosciamo tutti, ma non tutti hanno avuto modo di apprezzare come questo dominio sia pervasivo», sostiene il blog di Fausto Carotenuto, sottolineando come venga spesso dato «enorme risalto» a fonti «autorevoli», internazionali: il gioco si svela scoprendo, ad esempio, il legame tra “La Stampa” e l’“Economist”. In altre parole, gli uomini del quarto potere: «Sono loro che, tramite sottoposti, ci dicono quotidianamente qual’è la realtà».E sono «indispettiti», oggi, per il fatto che «un numero sempre crescente di persone ha cominciato a capire che la realtà che gli raccontano questi signori non coincide con quello che si vede», e quindi «cercano informazioni in rete, da fonti alternative». Eccoli qui, i proprietari del pensiero mainstream, in ordine alfabetico: Agnelli, Angelucci, Berlusconi, Cairo, Caltagirone, Conferenza Episcopale Italiana, Confindustria, De Benedetti, Maria Luisa Monti. «Ovviamente a loro va aggiunto Rupert Murdoch, proprietario di Sky, e chiunque gestisca la Rai in qualunque momento (tanto è sempre qualcuno che prende ordini dal governo, che a sua volta è stato messo lì anche tramite l’informazione mainstream)». Niente di strano, quindi, se oggi sono nati «tormentoni come “fake news” o “post-verità”, forieri di leggi sulla censura del web». Tormentoni «proposti ed amplificati da questi signori», che ormai «passano da una tv all’altra, da un giornale all’altro». Il problema? «Le testate sono tante. I padroni, però, sono molto pochi. E fanno i finanzieri, i costruttori, gli industriali e i religiosi».Imprenditori impeccabili? Non esattamente: «I loro nomi saltano spesso fuori, una volta uno, una volta l’altro, in storie di magagne, truffe, magna-magna, inquinamento, guerre, malasanità: proprio quelle storie che cercano di comprendere le persone che si svegliano, andando a cercare informazioni on-line». Dal punto di vista dei “padroni della notizia”, aggiunge “Coscienze in Rete”, «è sacrosanto che le uniche informazioni che debbano avere il “bollino blu” siano le loro. Come ci permettiamo, noi, di volerci fare gli affari loro?». Molto utile, quindi, dare un’occhiata allo studio del Cnms, dove si scopre che l’unico giornale italiano auto-prodotto dai giornalisti, in cooperativa, è “Il Manifesto”, che però distribuisce appena 11.000 copie al giorno. Largamente indipendente è il “Fatto Quotidiano”, nono in graduatoria con 45.000 copie in edicola: accanto ad Antonio Padellaro e Cinzia Monteverdi, titolari del 16% delle azioni, figurano – con analoga partecipazione azionaria – la società Edima Srl, «società di vari industriali marchigiani, fra cui il calzaturiero Enrico Paniccià», e l’editrice Chiarelettere, partecipata al 49% dal grande Gruppo Editoriale Mauri Spagnol. Tra i soci minori, alla fondazione, comparivano: Francesco Aliberti (12%), Bruno Tinti (8%), Marco Travaglio (5%), Peter Gomez (3,2%) e Marco Lillo (2,5%).Ma i grandi numeri, ovviamente, li fanno i super-quotidiani: il podio è composto, nell’ordine, dal “Corriere della Sera” (322.000 copie diffuse al giorno), da “Repubblica” (249.000 copie) e dal “Sole 24 Ore” (197.000). Il “Corriere” appartiene a Rcs Group, al 60% nelle mani di Urbano Cairo, patron de “La7” e già collaboratore di Berlusconi in Fininvest, coinvolto nell’inchiesta Mani Pulite. Rcs Media Group è una corazzata: gestisce “Gazzetta dello Sport” e “Corriere del Mezzogiorno”, nonché “Corriere di Bologna”, “Corriere del Veneto”, “Corriere Fiorentino”, “Corriere del Trentino”, “Corriere dell’Alto Adige”, e poi riviste a larghissima diffusione come “Oggi”, “Amica”, testate come “Abitare”, “Sw”, “Living”, “Dove”, “Io”, “Style”, “Sette”. E all’estero, partecipa alla gestione di giornali come “El Mundo”, “Expansiòn” e “Marca”. Cairo non è solo al comando: gli sono accanto, tra gli altri, Mediobanca (con il 10% delle azioni) e l’industriale Diego Della Valle (con il 7,3%). A ruota, il quotidiano milanese è seguito dalla storica rivale romana, fondata da Eugenio Scalfari: oltre a “Repubblica”, il gruppo guidato da Carlo De Benedetti controlla importanti periodici (“L’Espresso”, “National Geographic”), storici quotidiani a diffusione regionale come “Il Mattino” di Napoli, “Il Piccolo” di Trieste, “Il Tirreno”, insieme a quotidiani di Mantova, Modena, Reggio Emilia, Ferrara e Pavia. Senza contare le radio (“Radio Capital”, “Radio Deejay”) e l’informazione solo su web (“Huffington Post”, di Lucia Annunziata).«Oltre che nell’editoria – scrive il Cnms – la famiglia De Benedetti opera nei settori industriale e sanitario. L’insieme delle tre attività formano un unico impero economico, al cui vertice si trova Cir Spa, detenuta al 46% da F.lii De Bendetti Spa e al 15% da Cir stessa», secondo dati Consob aggiornati al 2017. «Il gruppo operativo nel settore industriale è Sogefi, che produce componenti per auto. Nel settore sanitario è Kos, che gestisce varie cliniche private. Fino al marzo 2015, Cir comprendeva anche la società energetica Sorgenia, poi ceduta alle banche con le quali era indebitata, fra cui Monte dei Paschi. Nel 2015 l’insieme delle attività controllate da Cir ha prodotto un giro d’affari di 2,5 miliardi di euro. La famiglia De Benedetti opera anche nel settore finanziario tramite vari fondi d’investimento che fanno capo a Cofide». La “Repubblica” è gestita dal Gruppo editoriale L’Espresso, che raccoglie pubblicità tramite la controllata A.Manzoni & C. Altro azionista di rilievo, aggiunge il Cnms, è Giacaranda Maria Caracciolo, col 6%. «Va segnalato che il 30 luglio 2016 il Gruppo L’Espresso ha concluso un accordo con Fca (Fiat Chrysler Automobiles, guidata da Sergio Marchionne), per condividere la proprietà del quotidiano “La Stampa”. Secondo l’accordo, “La Stampa” verrà trasferita al Gruppo L’Espresso, ma nel contempo verrà ampliato il capitale del gruppo per permettere ai vecchi proprietari della testata torinese di entrare nella compagine azionaria del Gruppo L’Espresso».Al terzo posto in Italia tra i quotidiani più venduti, con 197.000 copie distribuite, figura il “Sole 24 Ore” , di proprietà di Confindustria al 67,5% (il resto è azionariato diffuso). Il “Sole” è tallonato dalla “Stampa” di Torino, della famiglia Agnelli guidata da John Elkann (auto, immobiliare e finanza), che detiene anche il 43% del settimanale inglese “The Economist”. Il quotidiano – 176.000 copie diffuse al giorno – è gestito da Itedi, una società di comunicazione e raccolta pubblicitaria e (in attesa dell’esecuzione dell’accordo col Gruppo L’Espresso) appartiene ancora per il 77% a Fca (Fiat-Chrysler), a sua volta posseduta per il 30% da Exor, cassaforte della famiglia Agnelli. Il restante 23% è in quota a Ital Press Holding, società del genovese Carlo Perrone. Al gruppo Agnelli fa anche capo “Il Secolo XIX”, storico quotidiano di Genova. Se le prime quattro testate fanno capo al mondo degli affari, con 124.000 copie diffuse ogni giorno si fa largo, al quinto posto, “Avvenire”, quotidano dei vescovi italiani, gestito da Avvenire Nuova Editoriale Italiana. L’80% del capitale sociale è di proprietà della Fondazione di Religione “Santi Francesco d’Assisi e Caterina da Siena”, espressione della Cei, Conferenza Episcopale Italiana. «Oltre a varie altre realtà ecclesiastiche risultano proprietari Italcementi di Carlo Pesenti per il 3,8% e Gold Line Spa, azienda di lavorazione di gioielli, per un altro 3,8%». Ad “Avvenire” fanno capo agenzie di stampa come Fides e Sir, la radio “inBlu” e il canale televisivo “Tv2000”.Sempre a Roma è stampato il “Messaggero”, sesto quotidano più venduto in Italia, con 113.000 copie diffuse. Il patron, Francesco Gaetano Caltagirone, opera anche nei settori finanziario, cementiero, immobiliare, dell’acqua, delle costruzioni. «L’insieme delle attività forma un unico impero economico, al cui vertice si trova Caltagirone Spa detenuta al 54% da Francesco e al 33% dal fratello Edoardo», scrive il Cnms. «Il gruppo operativo nel settore cementiero è Cementir, mentre in quello delle costruzioni è Vianini Lavori». Tramite le sue società, continua la Ong, Caltagirone è presente anche nella gestione dell’acqua con una partecipazione del 5% in Acea e del 48% in Acqua Campania Spa. «Nel 2015 l’insieme delle attività controllate da Caltagirone Spa ha prodotto un giro d’affari pari a 1,4 miliardi di euro». Il quotidiano è gestito da Caltagirone Editore, un gruppo attivo nei settori della comunicazione: stampa di quotidiani, Tv, internet e raccolta pubblicitaria. «Il gruppo editoriale appartiene per il 60% a Francesco Gaetano Caltagirone». Altri quotidani del gruppo sono “Il Mattino” di Napoli, “Il Gazzettino” di Venezia, e il “Corriere Adriatico”.A Maria Luisa Monti appartiene invece il gruppo che stampa “Il Resto del Carlino”, quotidiano di Bologna (101.000 copie), e controlla anche “Il Giorno” e “Quotidiano Nazionale”, che ha accorpato “La Nazione” di Firenze. «Il quotidiano è gestito da Poligrafici Editoriale Spa, gruppo attivo nell’editoria e nella raccolta pubblicitaria». La società editoriale «appartiene per il 62% a Monrif Spa, controllata a sua volta da Maria Luisa Monti». Altri azionisti di rilievo di Poligrafici Editoriale sono Andrea Della Valle col 10% e Fondazione Cassa di Risparmio di Trieste col 5%. Solo all’ottavo posto, nella graduatoria dei quotidiani più letti, si posiziona il berlusconiano “Il Giornale”, con 66.000 copie diffuse. Il quotidiano è gestito da Società Europea di Edizioni Spa (editoria e pubblicità), che appartiene per il 63% a Paolo Berlusconi tramite le società Pbf Srl (46%) e Arcus Multimedia (17%). Il restante 37% è in quota ad Arnoldo Mondadori Editore. A sua volta, l’azionista di maggioranza di Mondadori (53%) è Silvio Berlusconi (Mediaset) tramite Fininvest. Del gruppo Mondadori fanno parte 40 brand italiani a larghissima diffusione (tra cui “Chi”, “Donna Moderna”, “Focus”, “Grazia”, “Sorrisi e Canzoni Tv” nonché il settimanale “Panorama”), più svariate testate francesi.Dopo il “Fatto”, al nono posto, la classifica della stampa presenta “Italia Oggi”, con 40.000 copie quotidiane, di proprietà di Paolo Panerai. «Il quotidiano è gestito da Class Editori Spa, gruppo attivo nei quotidiani, riviste, radio e Tv», spiega il Cnms. «Class Editori appartiene per il 10% a Paolo Panerai, il 60% a Euroclass Multimedia Holding Ss, il resto è azionariato diffuso». Curiosità: Euroclass Multimedia è domiciliata in Lussemburgo, «per cui i proprietari non sono ufficialmente identificabili». Ma, secondo indiscrezioni, «oltre ad alcune società riconducibili a Panerai, figurano anche varie banche, fra cui Unicredit col 13%». Al gruppo “Italia Oggi” fa capo anche il quotidiano “Milano Finanza”, insieme al periodico “Class”, a “Radio Classica” e al canale televisivo “ClassTv”. A seguire – con 27.000 copie – è il quotidiano “Libero”, della famiglia Angelucci, gestito da Editoriale Libero Srl. Il socio di maggioranza è la Fondazione San Raffaele, che detiene il 60% del capitale, mentre il rimanente 40% è detenuto dalla finanziaria Tosinvest. «Ma è noto che dietro entrambe queste realtà si cela la famiglia Angelucci», scrive il rapporto del Cnms. Benché impegnati in attività immobiliari, finanziarie ed editoriali tramite la finanziaria Tosinvest, il vero affare di Antonio Angelucci e del figlio Gianpaolo sarebbe la sanità, gestita tramite la San Raffaele Spa, che dispone di 26 strutture private, 3.000 posti-letto, oltre 1.000 medici specialistici e 2.800 dipendenti.«Nel corso degli anni – continua il Cnms – la stampa si è occupata a più riprese delle attività degli imprenditori Angelucci a causa di indagini e processi per reati fiscali e finanziari. Nell’agosto 2016 la casa di cura San Raffaele di Cassino è stata condannata dalla Corte dei Conti a restituire al servizio sanitario nazionale 31 milioni di euro per avere erogato servizi di qualità non appropriata. Un’indagine per frode fiscale avviata nel 2014 ha messo in luce l’esistenza di almeno tre società (Th Ss, Three e Sps di Lantigos) utilizzate dagli Angelucci in Lussemburgo per le proprie attività finanziarie». Il gruppo è titolare dello storico quotidiano romano “Il Tempo”, nonché di giornali proviciali come “Corriere di Siena”, “Corriere di Viterbo”, “Corriere di Arezzo” e “Corriere dell’Umbria”. Chiudono la lista il “Manifesto”, in dodicesima posizione (con poco più di diecimila copie) e “Il Foglio”, i cui dati di diffusione non sono però disponibili. La proprietà fa riferimento a Valter Mainetti, e il quotidiano (fondato da Giuliano Ferrara) è gestito da Foglio Edizioni, posseduta al 97,5% da Sorgente Group attraverso la società Musa Comunicazione. A sua volta, Sorgente Group è partecipata per il 35% da Valter Mainetti, mentre il restante 65% è detenuto dalla Roma Fid Società Fiduciaria Spa, che agisce per conto di altri membri della famiglia Mainetti. «Sorgente Group Spa – spiega il Cnms – è parte di un complesso multinazionale con società localizzate negli Stati Uniti, Lussemburgo, Gran Bretagna, Emirati Arabi, Brasile. Svolge attività nei settori della finanza, del risparmio gestito, dell’immobiliare, delle costruzioni». In Italia opera anche nell’editoria tramite Musa Comunicazione. Ma, appunto, quella è solo una piccola parte del business.Industria, energia, finanza, cemento, sanità. E poi, anche, informazione. Editori puri? Non pervenuti. Chi stampa giornali, in Italia, ha soprattutto altri interessi. Qualcuno può stupirsi se poi “la verità” fatica a imporsi, sui media mainstream? «Ecco chi controlla i giornali in Italia: praticamente sono 9 entità, ma in realtà sono molte di meno se si considerano i legami, le infiltrazioni, le affiliazioni, le “amicizie”», scrive “Coscienze in Rete”, citando l’ultimo report del Cnms, Centro Nuovo Modello di Sviluppo, una Onlus che monitora lo stato dell’informazione partendo dalla lettura dell’assetto proprietario dei media. «I nomi? Li conosciamo tutti, ma non tutti hanno avuto modo di apprezzare come questo dominio sia pervasivo», sostiene il blog di Fausto Carotenuto, sottolineando come venga spesso dato «enorme risalto» a fonti «autorevoli», internazionali: il gioco si svela scoprendo, ad esempio, il legame tra “La Stampa” e l’“Economist”. In altre parole, gli uomini del quarto potere: «Sono loro che, tramite sottoposti, ci dicono quotidianamente qual’è la realtà».
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La vera storia della fine di Craxi e l’euro-rovina dell’Italia
L’Italia si radicalizza, nel dopoguerra, intorno a due poli: un polo cristiano e un polo di sinistra, che si scinde in più realtà. E poi ha delle forze storiche – liberali, repubblicani – che provengono dalla storia risorgimentale. In questo quadro l’Italia resiste finché non crolla il Muro di Berlino. Fino ad allora, gli americani finanziano la Dc, i russi finanziano il Pci, gli altri si procurano da vivere un po’ come possono. E il sistema politico va avanti, in una specie di benessere garantito dai finanziamenti esteri su cui si modellano i due grossi partiti, mentre gli altri partiti hanno campo libero nel finanziamento illecito, cioè nel finanziamento che ipocritamente veniva considerato illecito, cioè sottobanco. Cosa succede nel 1989? Crolla il Muro. E nel momento in cui vengono meno i due blocchi e gli americani non hanno più paura dei russi, pernsate che diano ancora soldi alla Dc? I russi a loro volta non esistono più, ma le strutture dei partiti rimangono uguali: dipendenti da mantenere, sedi, palazzi, giornali, volantini da distribuire. Dove prenderli, i soldi? In più, finché c’era solo una emittente televisiva il costo della politica era di un certo importo; una volta nata la Tv commerciale, che gli spot se li fa pagare, e non c’è più solo la “Tribunale elettorale” di Jader Jacobelli, il costo aumenta ancora.Tutto questo costo dove viene trasferito? Nel finanziamento illecito. Che invece di essere un fenomeno sopportabile perché residuale al grosso del finanziamento della politica, diventa un dramma, perché tutto costa il triplo. E come reagisce il sistema italiano a tutto questo? Non reagendo. Cioè, invece di capire che deve correre ai ripari, si fa cogliere di sorpresa. Da che cosa? Da una casta, che era stata toccata nei suoi interessi, e reagiva: era la casta dei magistrati. Dopo il caso Tortora, e dopo aver cercato più volte di prendere il sopravvento sulla politica – ma non ci riusciva, perché allora c’erano delle garanzie come l’immuità parlamentare, dei limiti al suo potere – i magistrati sferrano l’attacco di Tangentopoli avendo diversi obiettivi. Il primo, la reazione di casta al referendum che Craxi gli aveva fatto, sulla responsabilità dei magistrati – referendum vinto ma non eseguito, perché in quel rederendum si aboliva il fatto che i magistrati non rispondessero nei loro errori. E i magistrati allora hanno preteso, tramite i due maggiori partiti e mettendo in minoranza Craxi, che invece, pur riconosciuti responsabili dei loro errori, non li pagassero – né sul piano della carriera, né sul piano economico.L’attacco sferrato con Tangentopoli aveva un primo obiettivo: far cadere l’immunità parlamentare, che aveva sempre frenato l’attacco della magistratura. Bisognava poterli arrestare, i politici. Bisognava poter adoperare la carcerazione preventiva, in quella maniera, per poi stabilire il predominio, l’abuso. La carcerazione preventiva (obbligatoria per reati come omicidio e rapina) è prevista se c’è pericolo di fuga, di inquinamento delle prove e di reiterazione del reato. Viceversa, la carcerazione preventiva non si può applicare, perché “nulla pena sine condanna”, niente pena senza prima una condanna, non del pubblico ministero ma del giudice. Pensate che nel 1994 la Cassazione, per salvare tre mandati di cattura assolutamente illegittimi di Di Pietro, fece una sentenza di questo tipo, a sezioni unite: la custodia cautelare è sempre giustificata se l’imputato non confessa. E’ come il famoso comma 22 del codice militare tedesco nazista, che diceva: chi è pazzo può chiedere di essere esentato dal servizio militare, ma chi chiede di essere esentato non è pazzo. E’ la legge perfetta, perché il cerchio si deve chiudere.La custodia cautelare sempre giustificata se l’imputato non confessa? Di fronte a una sentenza di questo tipo, uno si deve chiedere qual è l’utilità del processo. In Italia, la custodia cautelare viene adoperata per scopi istruttori o per anticipare la pena. Ormai, il reato del politico che ruba è diventato odioso, agli italiani. Tant’è vero che gli italiani, da decenni, accettano dei politici incapaci, purché non rubino. Pensate a quanto stareste meglio se aveste dei politici capaci, che rubano. Il problema di uno che fa un lavoro è che sia bravo, non che sia onesto. Onesto è una conseguenza dell’essere bravo. Scipione l’Africano fu condannato per corruzione. In ogni posto del mondo vedo politici che vanno sotto processo: è giusto che vengano condannati, è giusto che vadano in galera. Quello che non è giusto è che vengano utilizzati dalla comunicazione per far passare sotto silenzio delle altre cose. Il problema di uno Stato che non funziona non è la corruzione. Non è il politico disonesto: è l’incapacità. Perché una persona anche onesta, ma incapace, lo Stato lo fa andare a rotoli lo stesso. Oggi pretendono che non ci siano pregiudicati. Io la metterei in altri termini: non devono esserci persone condannate che non hanno scontato la pena.In uno Stato laico, una volta che hai scontato la pena, tu il debito con la società l’hai pagato. Devi scindere il piano etico, pure importante, dal piano pratico: la giustizia deve funzionare. E la giustizia non va avanti sulla verità, va avanti su un fatto convenzionale che si chiama verità processuale, che non è necessariamente la verità. Ma l’azione di Mani Pulite aveva un bersaglio principale, che era Craxi, perché Craxi aveva detto di voler fare parecchie cose. Per esempio, nazionalizzare la Banca d’Italia. E di chi è la Banca d’Italia? E’ delle banche. E le banche di chi sono? Finanza massonica e finanza cattolica. Ma c’è un altro problema: la Banca d’Italia, all’epoca, era il controllore delle porcate che facevano questi, che erano controllati e controllori: erano i proprietari della Banca d’Italia, che avrebbe dovuto controllarli. Quindi, Craxi si mette contro un bel po’ di nemici. Si mette contro il potere bancario, forse il potere tout-court. Si mette contro i preti, perché vuole riformare pure i Patti Lateranensi – sapete come sono i preti: finché uno gli bestemmia davanti, gli danno 25.000 pater noster, ma gli vuoi far pagare le tasse s’incazzano.Dopodiché si scopre, tramite il caso Gelli, che Craxi finanziava Arafat. Perché i famosi 2 miliardi che Craxi dice a Martelli di prendere da Gelli e di versare sul “Conto Protezione”, cosa che non vi dicono, un minuto dopo sono stati presi da Craxi per darli ad Arafat, cioè ai palestinesi. E’ sottile il confine tra terrorismo e insurrezione: Pietro Micca che fa saltare mezza Torino mettendo le bombe nei sotterranei per noi è un patriota, mentre un terrorista palestinese è un terrorista. Pietro Micca lottava per la sua terra, perché l’Italia fosse unita; i palestinesi perché esista una Palestina: uno ha messo le bombe ed è un eroe, quegli altri mettono le bombe e per noi sono dei mascalzoni. Ricordiamoci dell’Achille Lauro, e qui c’è un’altra cosa che non vi dicono: l’operazione Achille Lauro era mirata a colpire il Mossad decapitando il “B’nai Brit”, la massoneria ebraica, che ha le caratteristiche di tutte le massonerie: come la massoneria americana funziona in stretta alleanza con la Cia, il “B’nai Brit” è la parte segreta dei servizi israeliani, cioè del Mossad. Il capo dei “B’nai Brit” – e questo è quello che non vi dicono – era quel signore sulla sedia a rotelle che i palestinesi buttarono giù dalla nave. Si chiamava Leon Klinghoffer. I giornali scrissero che la vittima era un povero paralitico, ma non dissero chi era veramente.Tornando a Craxi: fin qui si è inimicato le banche, i cattolici, gli ebrei; poi dà parere negativo al riconoscimento dei comunisti nell’Internazionale Socialista; poi Reagan gliela giura, perché a Sigonella ha mandato i carabinieri a puntare le armi sui marines (per proteggere il commando palestinese dell’Achille Lauro), quindi ha contro anche gli americani, e parte della massoneria: perché Spadolini, che era uno dei capi della massoneria italiana, era dell’opinione che bisognasse aiutare Reagan, e quando chiese alla massoneria ufficiale di prendere posizione, e la massoneria non lo fece, Spadolini si mise “in sonno”, e trasformò Craxi in un problema anche per la massoneria. A quel punto, Craxi era uno che non poteva attraversare la strada neanche sulle strisce pedonali. Per cui, nel momento in cui la magistratura fa sapere che sta per fottere Craxi – e qui trovate traccia di quei famosi incontri dei servizi segreti con Di Pietro e gli americani – ognuno ci mette del suo per darle una mano. Così, Craxi finisce ad Hammamet.Ad Hammamet, Craxi ci finisce anche per un uleriore motivo: era antipatico. La sua principale sconfitta? Non essere riuscito a superare il 15%. Alla gente stava sulle palle. Qui non c’erano complotti: Craxi non sfondava sul piano del consenso popolare – poi bisognerebbe interrogarsi sulla qualità di un popolo che vota Berlusconi e non Craxi. In ogni caso, visto che più del 12-13% non otteneva, Craxi ha perso anche per colpa sua: se fosse stato più forte, questa facilità nel farlo fuori non ci sarebbe stata. Resta però un fatto: c’era stata una riunione su una bellissima barca inglese parcheggiata vicino a Roma, ad Anzio, in cui si erano incontrate dieci, quindici, venti persone, e avevano deciso che l’Italia stava diventando troppo forte, con Craxi. L’Italia era arrivata tra i primi 5 soggetti economici del mondo. Aveva fatto la richiesta ufficiale per fare il G5; esisteva il G7 e adesso c’è il G4, fatto apposta per escludere l’Italia che voleva il G5. Soprattutto, siccome era stata decisa dalla finanza internazionale l’operazione euro, in Italia serviva una persona che avesse un’ampia disponibilità a “mettersi a 90 gradi”, e questa persona non era Craxi.Un minuto dopo che hanno fatto l’euro, Craxi ha dichiarato alle telecamere che l’euro sarebbe stato una sciagura. Lo sapeva anche prima. Ma lo sapevano anche loro, che se andava Craxi – e non Prodi – a rappresentare l’Italia, non sarebbe mai passato quel tasso di cambio euro-lira. Non ce l’avrebbero mai fatta, a imporcelo. Mai. Dunque il problema era questo, e l’operazione è andata a buon fine. E, facendo l’operazione Craxi, sono stati regolati anche altri conti: i vecchi conti Sindona, Gelli, Calvi. Soprattutto, tutti quei paraculi della Dc che pensavano che facessero fuori solo Craxi e non anche loro, hanno dovuto pagare dazio. Chi non ha pagato? I comunisti, che hanno fatto passare la teoria che Greganti fosse un ladro, e loro non c’entrassero niente. Sapete chi l’ha fatta, quell’operazione? Un magistrato che è morto, Gerardo D’Ambrosio, che poi è diventato senatore dell’ex Pci. Siccome un altro giudice, Tiziana Parenti, voleva mettere in galera mezzo Partito Comunista, come vice-procuratore generale D’Ambrosio ha avocato a sé l’indagine e l’ha chiusa così, con Greganti unico colpevole. Poi è diventato senatore del Pd.Perché Craxi si è lasciato distruggere senza difendersi, cioè senza svelare all’opinione pubblica italiana tutti questi retroscena? All’inizio a dire il vero ha provato a difendersi, in Parlamento. Disse: «Chi di voi può dire di non aver fatto tutto quello che ho fatto io, si alzi in piedi». E non si è alzato nessuno, neanche i leghisti. Poi, però, a Craxi sono stati minacciati i figli. Craxi aveva già deciso di andare in televisione e di tirar fuori tutta una serie di carte. Tra queste c’era un famoso “Dossier Di Pietro”, che riteneva la carta vincente finale, perché dimostrava che Di Pietro era il prodotto di quel tipo di organizzazione. Per fare questa operazione chiamò Mentana, al Tg5, ma lo chiamò direttamente, senza passare per Berlusconi, perché Mentana tempo prima era stato collocato a Rai2 da Craxi. Poi chiamò Paolo Mieli per fare un’intervista di due pagine sul “Corriere della Sera”. Dopodiché chiamò la Rai per un’intervista che avrebbe dovuto fare prima con Giancarlo Santalmassi, poi con Minoli, e che poi invece non fece. Perché quella notte successero tre cose.A casa della figlia Stefania si introdussero delle persone che bruciarono tutti i suoi vestiti. A casa di suo figlio Bobo si recarono delle persone che razziarono tutto quello che c’era. E nella sua casella della posta trovò un messaggio con scritto che, se avesse fatto quelle interviste, avrebbero pagato i suoi figli. Una delle cose che nessuno vi dice, che non sono mai state pubblicate e che vi dico io, è che era lo stesso messaggio che avevano ricevuto altri personaggi di Tangentopoli, che avevano deciso di parlare e si sono suicidati. A quel punto, Craxi decise di telefonare a Cossiga, il quale aveva un grosso complesso di colpa nei suoi confronti, perché sapeva cosa stava accadendo, tant’è vero che si era precipitato a fare senatori a vita Giulio Andreotti e Gianni Agnelli, per evitare che in Tangentopoli ci finissero dentro anche loro, ma non si era premurato di avvisare Craxi. Cossiga a sua volta contattò il capo della polizia dell’epoca, che si chiamava Vincenzo Parisi, il quale fece un’abile opera di mediazione tra Di Pietro, il pool di Mani Pulite e Craxi, per concordare la latitanza: Craxi se ne sarebbe andato ad Hammamet normalmente, non avrebbe parlato, e solo tre mesi dopo ci sarebbe stato l’ordine di carcerazione.I magistrati sapevano benissimo che Craxi sarebbe andato ad Hammamet col suo passaporto, e il ministero degli esteri concordò con Ben Alì – che era il dittatore della Tunisia – che l’Italia non avrebbe mai avviato una richiestra di estradizione. Craxi si tenne la libertà di parlare una volta ad Hammamet, ma in Italia no: la minaccia verso i figli l’aveva ritenuta concreta. Molta gente si era ammazzata, attorno a Mani Pulite. O forse era stata ammazzata. Io ero coinvolto nel processo a Raul Gardini e, come avvocato, avevo accesso a documenti non pubblicati. Era la prima volta che vedevo qualcuno che si suicida sparandosi due proiettili mortali alla tempia. Due, capite? Non possono essere entrambi mortali. Se uno si spara un colpo in testa, come può spararsi anche un secondo colpo? Forse Gardini stava per rivelare il nome di chi portò il famoso miliardo a Botteghe Oscure? Chi lo sa.Il potere è astratto, è automatico. Ci sono meccanismi nei quali entri e magari ti ammazza il nemico che meno ti aspetti: tu non sai che calli stai pestando, di chi sono, perché, da dove vengono quei soldi, chi è in affari con chi. Magari pensi di fare uno sgarbo a Tizio, e s’incazza Caio, che non sapevi fosse in affari con quello. I meccanismi del potere sono di una complessità inaudita. Non è una vita facile, quella di chi sceglie di stare nel potere. Certo, sai sempre come pagare le bollette, però non sai mai da dove ti arrivano le coltellate. Quando Craxi ha accettato di deporre al processo Cusani, quando già l’accordo l’avevano fatto, Di Pietro è stato criticato perché l’interrogatorio era mite, era troppo rispettoso. In realtà era il segnale che aveva chiesto Craxi a Parisi per non fare le interviste. Disse: «Io le interviste non le faccio. Ma, a parte il fatto che lasciate in pace i miei figli, non voglio finire in galera. Perché se finisco in galera, e so come sono fatto, poi m’incazzo, parlo, e m’ammazzano i figli. O ammazzano me». Una tazzina di caffè: com’è morto Sindona? Com’è morto Papa Giovanni Paolo I? Ti portano una camomilla le monache: è perfetto.Con Craxi, è stato eliminato chi era capace. La disonestà? Bettino Craxi non era ricco. Il famoso tesoro di Craxi non l’hanno trovato perché non è mai esistito. I 13 miliardi che gli hanno trovato sul famoso conto svizzero erano i soldi del partito. Mentre i grandi partiti i conti del finanziamento illecito li intestavano ai segretari amministrativi, i piccoli partiti li intestavano ai segretari politici – il conto del Pri era intestato a Giorgio La Malfa, che ha avuto i suoi guai, come Renato Altissimo del Pli. Craxi, quando passò le consegne a Del Turco, cercò di passargli anche i conti; ma Del Turco, che era un po’ fifone, disse “no, non li voglio”, non scordandosi che un conto simile l’aveva quand’era segretario generale della Uil, perché anche i sindacati facevano i finanziamenti illeciti.Siamo un paese strano: ci colpevolizzano col debito pubblico, senza tenere conto del fatto che abbiamo il massimo risparmio privato europeo e il più alto numero di proprietari di case. Questo dovrebbe contare, per la solidità del sistema, e invece quando vanno a trattare in sede Ue si calano le brache, compreso l’ultimo, Renzi, che sembra un pretino, un seminarista di trent’anni fa. Un leader forte, l’Italia non se lo può permettere, perché una delle caste italiane se lo sbrana. Questi pretini spretati hanno paura di fare la fine dei Craxi. Meglio calarsi le brache e tirare a campare, poi si vedrà. C’è questo cortocircuito, in cui il nostro sistema non difende più l’istituzione. Quando hanno scoperto un sacco di magagne su Kohl, i tedeschi l’hanno mandato a casa, non in galera: perché era Kohl. E quando sono state scoperte un sacco di magagne su Mitterrand, i francesi – compresa l’opposizione – non l’hanno mandato in galera, l’hanno mandato a casa.Da noi, Craxi è stato mandato ad Hammamet, senza tener conto che aveva rappresentato un’istituzione. E lo stesso sta succedendo a Berlusconi – che a me non è simpatico, non l’ho mai votato, però non posso immaginare che uno, quando fa il presidente del Consiglio, abbia i carabinieri appostati alla porta per vedere con chi scopa, perché non c’è rispetto – non verso ciò che uno è, che sono fatti suoi – ma ciò che uno rappresenta, che sono anche fatti miei. E se uno mi rappresenta indegnamente io lo mando a casa, non in galera, perché mandandolo in galera sputtano anche me, indebolisco la mia economia, il mio sistema. Invece qui, pur di prenderne il posto e farsi la guerra (non vale solo per Berlusconi, l’ha fatto anche lui agli altri) vige questa mentalità, per cui oggi magari l’idea è quella di fottere Renzi per mettersi al posto suo, e per fottere Renzi o Berlusconi o D’Alema ci si allea con i nemici dell’Italia, con la stampa estera per sputtanarli, con i parlamentari europei per attaccarli. Ma che logica è? Che popolo siamo?(Gianfranco Carperoro, estratti delle dichiarazioni rese il 13 maggio 2014 alla conferenza pubblica dell’associazione “Salusbellatrix” a Vittorio Veneto, ripresa integralmente su YouTube. Studioso di simbologia, esoterista, già avvocato e magistrato tributario, giornalista e pubblicitario, Carpeoro è autore di svariati romanzi ed è stato “sovrano gran maestro” della comunione massonica di Piazza del Gesù).L’Italia si radicalizza, nel dopoguerra, intorno a due poli: un polo cristiano e un polo di sinistra, che si scinde in più realtà. E poi ha delle forze storiche – liberali, repubblicani – che provengono dalla storia risorgimentale. In questo quadro l’Italia resiste finché non crolla il Muro di Berlino. Fino ad allora, gli americani finanziano la Dc, i russi finanziano il Pci, gli altri si procurano da vivere un po’ come possono. E il sistema politico va avanti, in una specie di benessere garantito dai finanziamenti esteri su cui si modellano i due grossi partiti, mentre gli altri partiti hanno campo libero nel finanziamento illecito, cioè nel finanziamento che ipocritamente veniva considerato illecito, cioè sottobanco. Cosa succede nel 1989? Crolla il Muro. E nel momento in cui vengono meno i due blocchi e gli americani non hanno più paura dei russi, pernsate che diano ancora soldi alla Dc? I russi a loro volta non esistono più, ma le strutture dei partiti rimangono uguali: dipendenti da mantenere, sedi, palazzi, giornali, volantini da distribuire. Dove prenderli, i soldi? In più, finché c’era solo una emittente televisiva il costo della politica era di un certo importo; una volta nata la Tv commerciale, che gli spot se li fa pagare, e non c’è più solo la “Tribunale elettorale” di Jader Jacobelli, il costo aumenta ancora.
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Fine dei giornali? Solo se lo vorranno i Padroni dell’Occidente
Nel blog di Beppe Grillo è comparso lunedì un post, a firma Gianroberto Casaleggio, che fa parte di una serie di post sulla “morte dei giornali” e che verrà inserito nello studio “Press Obituary” di prossima pubblicazione. Nel post compaiono alcune affermazioni che, a mio avviso, necessitano di commento e talvolta di precisazioni. «La fine dei giornali – scrive Casaleggio – è una delle cose più prevedibili del nostro futuro», se non si troveranno risorse diverse dalla pubblicità. È vero? È falso? È vero solo in parte, e comunque a condizione che si verifichino azioni e reazioni, da parte dei soggetti coinvolti, che al momento non sono ancora completamente scontate. Alcuni giornali, online e classici (quotidiani, settimanali ma anche mensili) potrebbero infatti sopravvivere alla contrazione delle risorse pubblicitarie alle seguenti condizioni: a) se fossero sostenuti prevalentemente dalle vendite e dagli abbonamenti; b) se fossero sostenuti da donazioni (anche occulte); c) soprattutto se fossero considerati, da potentati politici e economici, quali veicoli indispensabili per organizzare il consenso su argomenti altamente strategici.L’ipotesi c), per esempio, è attualmente in vigore nel caso di giornali che, barattando la loro visione “politica” ottengono, da parte di inserzionisti pubblicitari particolari, un occhio di riguardo. A tutt’oggi infatti il consenso politico su grandi temi strategici quali la guerra e la pace, il valore flottante delle monete di riserva planetaria, le questioni energetiche e farmaceutiche, gli investimenti nelle borse, viene ancora organizzato da “Big Press” e “Big Tv”, che stanno sopravvivendo alla crisi della pubblicità e anzi l’hanno usata come alibi per “asciugare” costi ritenuti superflui e dismettere giornalisti. Ciò non toglie che, all’interno del vasto mosaico dei media, il declino di gran parte della stampa classica e dei giornali online sia in corso. È sul suo decesso “inevitabile” però che si possono e devono esprimere dubbi, come quando all’avvento della Rivoluzione Industriale si espressero leciti dubbi sulla morte dell’artigianato. Esiste infatti un’ipotesi di sopravvivenza alla crisi della pubblicità, che tenterò di formulare in seguito.Casaleggio descrive poi una pratica pubblicitaria molto perversa che si svolge in rete: quella dell’uso dei “cookies”. E descrive i suoi effetti nefasti: monitoraggio degli accessi, dei comportamenti e del profilo dell’utente. Non possiamo che essere d’accordo. La questione è molto presente, nel dibattito internazionale, sulle linee guida che dovrebbero condurre a una futura governance di Internet, meno anarco-liberista di quanto non sia ora. Però c’è da dire che proprio in quelle sedi internazionali, dove la società civile riesce a manifestare un minimo la propria visione, la definizione “utente” è in via di superamento, per diverse ragioni: a) perché “utente” si impasta e si intreccia con “prosumer”, con “consumatore”, con “cliente finale” e con “utente inserzionista”, e ciò crea confusione; b) perché “utente” presuppone che la Rete sia “un servizio agli utenti”, e ciò contrasta con le più recenti visioni della “net neutrality”, per le quali la Rete è un’infrastruttura indispensabile alla Cittadinanza Digitale che, al dunque, è costituita da “persone”.Casaleggio afferma ancora: «In sostanza il rapporto tra consumatore e pubblicità non risiederà più nei siti editoriali, che ne perdono il controllo, ma negli inserzionisti digitali come Google o Facebook. Di fatto questo rovescia il rapporto economico attuale, in quanto la tracciabilità dell’utenza e l’uso dei dati personali sarà alla base di ogni futuro processo pubblicitario. La pubblicità sarà prevalentemente digitale e la proprietà del cliente verrà trasferita ai big del web. Questo comporterà una riattribuzione, già in atto, dei ricavi dai vecchi operatori (gli editori) a nuovi operatori, con un restringimento della filiera pubblicitaria». Anche qui ci sono da fare alcune considerazioni. Probabilmente Casaleggio allude alla “readership” che costituisce il parco lettori di una testata giornalistica e che viene “venduta” alle agenzie, o direttamente agli inserzionisti, dalla concessionaria della testata. La concessionaria dell’editore (e qui crediamo che parli di editori online) ne perde il controllo, che finisce nelle mani di soggetti quali Google e Facebook (i quali comunque, precisiamo: tutto sono meno che “inserzionisti digitali”). Allora: sì. È vero che le concessionarie e le sezioni marketing degli editori contano sempre meno, ma non è vero che la facoltà di vendita del parco lettori viene loro sottratta. Ciò che viene sottratto agli editori è la capacità di negoziare il prezzo del loro parco lettori. E quindi, in progress, pagandoli sempre meno, gli inserzionisti costringono gli editori a chiudere. Ma perché?Perché gli editori di giornali (e qui intendiamo tutti) non hanno capito il profondo valore della contrattazione del Costo Contatto e in dettaglio del Cost per Thousand, cioè il valore – negoziabile e non derivato – che l’inserzionista paga per raggiungere con il suo messaggio 1000 persone, e che regola la compravendita di spazi in tutti i media (incluso il web). Se gli editori sono l’offerta (di lettori/readership) e gli inserzionisti (non Google e Facebook) rappresentati dalle agenzie di pubblicità che comprano spazi, sono la domanda (di lettori/readership)… in un mercato vero ci dovrebbe essere contrattazione per fare il prezzo. Così invece non è! Il soggetto che genera l’offerta (gli editori) è frantumato, rissoso e ignorante, e invece di fare il cartello degli editori off-line e online, tende la mano e si accontenta di un Cost per Thousand che viene deciso dalla domanda, cioè dai compratori di spazi. In questo teatrino da accattoni, in cui si muovono gli editori privi di dignità, identità e capacità di marketing, si sono inseriti alla grande altri soggetti, quali Google e Facebook, che hanno assunto il ruolo di intermediatori e super-concessionarie del web perché “fanno il prezzo”, offrendo quantità illimitate di spazi a basso costo agli inserzionisti.Solo in alcuni tribunali nordeuropei la vicenda è stata affrontata (in parte) per ciò che è, ma poi, alla fine, impastata maldestramente insieme alla difesa dei diritti d’autore. È così che il dumping ai danni degli editori e anche dei “prosumers” e dei bloggers, si è sanato con un’elemosina (vedi caso francese). Allora: in questa vasta e complessa scena, Casaleggio, che è magna pars nella difesa dei diritti dei cittadini digitali e dei (mi auguro) piccoli e medi editori digitali, perché non riflette meglio su come avviene la contrattazione sul Cost per Thousand? Ci sembra infatti che dia per scontato che questo sia un valore da misurare “a monte” della compravendita e delle pratiche di inserimento pubblicitario tra soggetti Over the Top. Invece il Cost per Thousand è un valore da fissare “a valle”, cioè prima della compravendita, in quanto rappresenta la capacità potenziale di acquisto di 1000 componenti del parco lettori. Al dunque la pubblicità è soprattutto compravendita di “persone”, non solo di spazi promozionali. Ricordiamolo.Casaleggio menziona poi la torta pubblicitaria. Bene! La sua consistenza – che attualmente dipende dagli interessi del Consiglio di Amministrazione della Iaa – International Advertising Agency di Madison Avenue – NON DEVE ESSERE non deve essere quella offerta agli editori; ma DEVE ESSERE deve essere quella negoziata e richiesta dal cartello degli editori per la loro dignitosa sopravvivenza. Così fa il cartello dei grandi tv-broadcasters statunitensi. Se ne frega dei budget offerti e CHIEDE e OTTIENE chiede e ottiene annualmente ciò che serve a loro per vivere. Cioè sono i media che devono fare e difendere il prezzo della loro audience, non gli intermediari. Per capirci: gli inserzionisti consegnano alle agenzie di pubblicità circa 3 trilioni di dollari l’anno. Il 60% di queste risorse viene dato ai media dei Brics e dei paesi emergenti perché sono considerati mercati in crescita. Il rimanente 40% viene dato ai media dei paesi del vecchio Occidente allargato. Ma nel 2009 era il contrario e l’inversione venne decisa in un Cda dell’Iaa. Ciò dà un’idea dello strapotere degli inserzionisti pubblicitari sui media tutti e dimostra come la crisi dei media sia solo imputabile a decisioni non contrastabili per assenza di facoltà di negoziazione.In difetto di contrattazione, però, un soggetto come Casaleggio – e per estensione, mi auguro, il “Movimento 5 Stelle” – dovrebbe lanciare parole d’ordine al morente mondo degli editori per incitarli a negoziare al meglio ciò che hanno (i loro lettori) e per convincerli a non accontentarsi della semplice raccolta di ciò che viene loro offerto, e in continuazione rattrappito, dalle aziende inserzioniste. Casaleggio poi se la prende con Google. Benissimo Recentemente abbiamo tentato di spiegare che Google, Facebook e gli altri soggetti simili, non sono alla sommità della piramide, ma lavorano, a loro volta, per qualcun altro. Per CHI chi? Ma è ovvio: per gli inserzionisti, per le corporations che poi pagano le campagne politiche dei futuri leader (e anche per i servizi segreti, nel caso di cessione di Big Data). Allora? Se i giornali muoiono è perché gli inserzionisti non pagano un equo prezzo per fare la pubblicità delle loro merci e servizi. Ma chi deve contrattare il prezzo? È ovvio: i produttori di contenuti (“contents”) in grado di ospitare inserzioni, cioè gli editori di giornali on line tutti, i bloggers e i “prosumers”.Il “Movimento 5 Stelle” dovrebbe lanciare un appello a tutti questi soggetti per costruire una syndication – auspicabilmente su scala europea – che assuma il ruolo di soggetto collettivo in grado di negoziare autorevolmente il prezzo della pubblicità sui territori sia fisici che digitali. Se non piace la definizione “syndication” si può parlare di ConfEditori on line, di Content Providers Association, o altro. Attenti!… Berlusconi, De Benedetti e Rizzoli-“Corsera” recentemente hanno annunciato la nascita di una superconcessionaria del web italiano. Ciò vuol dire che il prezzo della pubblicità sul territorio (web) italiano lo faranno loro, solo loro e nient’altro che loro. Signor Casaleggio, la vicenda è passata nel silenzio dell’opposizione. Come mai? Se il gettito di risorse pubblicitarie nel web, che dovrebbe remunerare il lavoro svolto in Rete dalla cittadinanza digitale, viene deciso senza alcun dibattito, l’opposizione ancorata al mondo digitale che ci sta a fare?Per concludere: Google, è vero, è un bel puzzone, ma approfitta dell’ignoranza e dell’ignavia dei politici e dei “content providers” e della loro frantumazione. Non è (solo) Google il carnefice dei “giornali”. Il mandante è sempre e solo il Cartello delle Corporations/Inserzionisti, gli utenti pubblicitari associati globalizzati, lo stesso del resto con il quale Beppe Grillo mirabilmente se la prendeva tanti anni fa quando accendeva i riflettori su Giulio Malgara, a quel tempo presidente dell’Upa, e in quanto tale grande finanziatore di Berlusconi e Dell’Utri. Quell’intuizione era quella giusta, talmente giusta che gli costò il rapporto con la Tv. Rilanciamo quel dibattito, signor Casaleggio, magari anche a costo di perdere qualche inserzionista. Tanto, la stragrande maggioranza di loro persegue un modello di sviluppo che non è quello del suo Movimento.(Glauco Benigni, “Casaleggio, non hai capito chi fa il prezzo”, da “Megachip” del 27 novembre 2014).Nel blog di Beppe Grillo è comparso lunedì un post, a firma Gianroberto Casaleggio, che fa parte di una serie di post sulla “morte dei giornali” e che verrà inserito nello studio “Press Obituary” di prossima pubblicazione. Nel post compaiono alcune affermazioni che, a mio avviso, necessitano di commento e talvolta di precisazioni. «La fine dei giornali – scrive Casaleggio – è una delle cose più prevedibili del nostro futuro», se non si troveranno risorse diverse dalla pubblicità. È vero? È falso? È vero solo in parte, e comunque a condizione che si verifichino azioni e reazioni, da parte dei soggetti coinvolti, che al momento non sono ancora completamente scontate. Alcuni giornali, online e classici (quotidiani, settimanali ma anche mensili) potrebbero infatti sopravvivere alla contrazione delle risorse pubblicitarie alle seguenti condizioni: a) se fossero sostenuti prevalentemente dalle vendite e dagli abbonamenti; b) se fossero sostenuti da donazioni (anche occulte); c) soprattutto se fossero considerati, da potentati politici e economici, quali veicoli indispensabili per organizzare il consenso su argomenti altamente strategici.
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L’intoccabile: scalare l’Italia in pochi anni, con l’aiuto di chi?
«Solo gli ingenui possono pensare che un boy scout di provincia, noto fra gli amici come “il Bomba” per la spiccata attitudine a spararle grosse, possa scalare il potere in un paese come l’Italia con una tale rapidità e facilità, e soprattutto da solo». A spiegarne la strepitosa arrampicata, scrive Marco Travaglio, non bastano le sue innegabili doti di coraggio, prontezza, velocità, abilità comunicativa e sintonia con la pancia del paese, dopo il faticoso ventennio berlusconiano. «Il self-made man è roba americana, non italiana. Il nostro italianissimo selfie mad man ha, dietro le spalle, robusti appoggi. La qual cosa non sarebbe affatto uno scandalo, se fosse tutto dichiarato e alla luce del sole. Purtroppo non lo è». Al “mistero” dell’ascesa di Renzi è dedicato “L’intoccabile”, l’ultimo libro-indagine di Davide Vecchi, reporter del “Fatto Quotidiano”. Punto di partenza: Matteo Renzi non è soltanto il più giovane presidente del Consiglio della storia d’Italia, davanti a Benito Mussolini. È anche il più osannato e soprattutto il più misterioso. «Nessuno sa davvero come il giovanotto di Rignano sull’Arno abbia costruito il suo sistema di relazioni e protezioni nell’attesa di metter fuori il periscopio e uscire allo scoperto».Dalla sua prima vera campagna elettorale, quella del 2003-2004 che lo portò alla presidenza della Provincia di Firenze, fino sulle poltrone di sindaco della sua città, poi segetario del Pd e infine di capo del governo. «Quando Matteo era sindaco di Firenze – scrive Travaglio su “Micromega” – l’amico Marco Carrai gli metteva gentilmente a disposizione, a titolo gratuito, un pied-à-terre in via degli Alfani, senza neppure fargli pagare l’affitto e in palese conflitto d’interessi, visti i numerosi incarichi pubblici che Carrai ricopre». Altra «affettuosa amicizia», quella col berlusconiano Denis Verdini, «che nessuno sa di preciso quando sia cominciata né perché». Il libro di Vecchi rievoca il fallimento di una società del padre, Tiziano Renzi, e l’inchiesta della Procura di Genova per bancarotta fraudolenta: «Salta fuori un groviglio di aziende che passano di mano in mano, fra soci effettivi e prestanome, e che soprattutto usano con disinvoltura contratti atipici di precariato e addirittura impiegano extracomunitari clandestini in nero, con strascichi di cause di lavoro che almeno in tre occasioni certificano violazioni dello Statuto dei lavoratori. Altro che articolo 18».Centrale, ovviamente, l’atipico rapporto con Berlusconi, ovvero «l’unico politico della “vecchia guardia” che il polemicissimo Renzi non attacca, non sfancula, non critica, non sfida, non contraria, non scontenta mai». Secondo Vecchi, il forte legame tra i due non è mediato da Verdini: «E’ diretto, profondo, antico e naturalmente misterioso», annota Travaglio. Nel libro, Vecchi risale allo zio di Renzi, Nicola Bovoli, fratello della madre di Matteo, che fu dirigente del gruppo Rizzoli e poi entrò in affari con Fininvest, «al punto da raccomandare il nipote prediletto per la famosa e fruttuosa (un bottino di 48 milioni di lire in cinque puntate) comparsata alla “Ruota della fortuna” nel 1994», condotto da Mike Bongiorno. «Poi, certo, arrivarono gli incontri ufficiali e ufficiosi: quello del 2005 fra il Caimano e il presidente della Provincia alla Prefettura di Firenze, con Verdini a fare da sensale. E quello del 2010, già con la fascia tricolore di sindaco, nella villa di Arcore: Matteo – scrive Travaglio – si credeva così furbo da riuscire a tenerlo segreto, ma a divulgarlo provvide l’entourage del Cavaliere, costringendolo a imbarazzate e imbarazzanti spiegazioni».Ora, Berlusconi e Renzi «si vedono di continuo e dappertutto: dal Nazareno a Palazzo Chigi, senza neppure nascondersi». Il Cavaliere «considera Matteo il suo unico erede: populista, bugiardo e gattopardesco», infatti «ne fiancheggia con entusiasmo e spudoratezza il governo (che peraltro completa la sua opera lasciata a metà)», compreso il sogno del “partito unico della nazione”. «Basta il fatto che lo Spregiudicato di Rignano abbia sdoganato il Pregiudicato di Arcore a spiegare tanta corrispondenza di amorosi sensi? O c’è qualcosa nel loro passato che dobbiamo ancora scoprire?». Una pista americana, per esempio: «Che ci faceva un uomo delle operazioni riservate Cia come Michael Ledeen al matrimonio di Carrai, in mezzo a banchieri, prelati, alti magistrati, imprenditori, nobiluomini, giornalisti, editori, top manager, finanzieri, faccendieri, oltre naturalmente a Matteo, premier e testimone dello sposo, impegnato proprio in quei giorni a dipingersi come vittima inerme e piagnucolante dei “poteri forti”?». Domanda fondamentale: «Oltre alla squadra di governo che tutti purtroppo vediamo, formata da ragazzotti e fanciulle tanto mediocri e ignoranti quanto pretenziosi e arroganti, ce n’è un’altra che dirige il traffico da dietro le quinte?».(Il libro: Davide Vecchi, “L’intoccabile. Matteo Renzi, la vera storia”, Chiarelettere, 188 pagine, euro 13,90).«Solo gli ingenui possono pensare che un boy scout di provincia, noto fra gli amici come “il Bomba” per la spiccata attitudine a spararle grosse, possa scalare il potere in un paese come l’Italia con una tale rapidità e facilità, e soprattutto da solo». A spiegarne la strepitosa arrampicata, scrive Marco Travaglio, non bastano le sue innegabili doti di coraggio, prontezza, velocità, abilità comunicativa e sintonia con la pancia del paese, dopo il faticoso ventennio berlusconiano. «Il self-made man è roba americana, non italiana. Il nostro italianissimo selfie mad man ha, dietro le spalle, robusti appoggi. La qual cosa non sarebbe affatto uno scandalo, se fosse tutto dichiarato e alla luce del sole. Purtroppo non lo è». Al “mistero” dell’ascesa di Renzi è dedicato “L’intoccabile”, l’ultimo libro-indagine di Davide Vecchi, reporter del “Fatto Quotidiano”. Punto di partenza: Matteo Renzi non è soltanto il più giovane presidente del Consiglio della storia d’Italia, davanti a Benito Mussolini. È anche il più osannato e soprattutto il più misterioso. «Nessuno sa davvero come il giovanotto di Rignano sull’Arno abbia costruito il suo sistema di relazioni e protezioni nell’attesa di metter fuori il periscopio e uscire allo scoperto».
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Cremaschi: Renzi come Reagan, e nessuno osa fermarlo
Se le parole sono pietre, si devono lanciare con la giusta forza verso il bersaglio scelto. Invece le iniziative concrete di coloro che denunciano il disegno autoritario di Renzi non corrispondono alla gravità dell’allarme lanciato e così la denuncia stessa rischia di risultare inefficace. Sul terreno economico e sociale il governo ha adottato tutti i peggiori dogmi del liberismo. La vicenda Alitalia, come al solito presentata dal regime come l’ultima spiaggia dello sviluppo, non è solo una svendita all’incanto dopo il fallimento bipartisan di imprese, banche, governo. È anche e prima di tutto un terribile esperimento sociale, perché per la prima volta dagli anni ‘50 del secolo scorso un governo autorizza il licenziamento in tronco di migliaia di lavoratrici e lavoratori, rifiutando l’utilizzo della cassa integrazione. È un altro pezzo del Jobs Act, che intende sostanzialmente cancellare la Cig. Solo il presidente più di destra del ‘900 americano, Ronald Reagan, aveva attuato con i controllori di volo una misura del genere.Ci si rende conto, dalle parti del mondo che si definisce democratico, che cosa vuol dire con la crisi economica che si aggrava dare il via ai licenziamenti di massa nelle grandi aziende? Significa che sul piano sociale non tiene più niente, che siamo come la Grecia. E infatti, dopo quel paese, il nostro è la seconda cavia dell’Europa dell’austerità e del Fiscal Compact. Con la prima si è proceduto in modo troppo brutale, al punto da suscitare una reazione politica che rischia di compromettere il disegno. Con l’Italia, che Monti e Letta stavano portando alla stessa crisi di consenso della Grecia, si è deciso di correggere la rotta. Meno bastone e, almeno all’inizio, più carota. La carota è Renzi. Il progetto di controriforma costituzionale di Renzi serve a costruire in anticipo quel sistema di potere autoritario che dovrà gestire la distruzione sociale dell’Italia.Per questo Renzi lo vende all’estero al posto dei tagli di bilancio dei suoi predecessori. E per questo banche e finanza per ora si accontentano di riforme politiche al posto di quelle economiche. Perché i poteri finanziari che hanno fatto diventare presidente del consiglio uno sconosciuto sindaco di Firenze vogliono che, una volta avviato, il percorso liberista non si fermi più. Ci vuole allora una manomissione complessiva e organica della Costituzione, che garantisca a un potere insindacabile di poter privatizzare servizi, chiudere ospedali, vendere alle multinazionali, cancellare contratti e diritti, licenziare, precarizzare, selezionare. Quello che le élites speravano facesse Berlusconi nel 1994. Dopo venti anni quel disegno viene realizzato da Renzi, con ben altro sostegno in Italia ed in Europa.Non facciamo i provinciali, la controriforma renziana non è tanto figlia della P2 quanto di Bilderberg. Il principio che la ispira è molto semplice e in fondo e quello di tutte le dittature: si vota una volta e poi chi vince comanda per sempre, impedendo l’organizzazione e la rappresentanza ad ogni forma di vera critica, contestazione, dissenso. Di fronte a tutto questo il campo avverso o critico è complessivamente incerto, contraddittorio, confuso. Nel mondo sindacale, Cisl, Uil e Ugl sono oramai paracarri del sistema renziano, al quale son stati concessi in dono da Marchionne. La Cgil si muove come un pugile suonato, e i colpi che riceve non la fanno reagire. Intanto l’accordo del 10 gennaio diventa la trasposizione del’Italicum sul terreno della rappresentanza sindacale. Anzi è persino peggio, perché quell’intesa programma l’esclusione del dissenso addirittura prima del (e non con il) voto.Dalla Fiom, alla sinistra Cgil, ai sindacati di base non sono poche le forze che si oppongono a questo sistema, ma non lo stanno facendo assieme e con la dovuta determinazione comune. Soprattutto la Fiom non trasforma il suo dissenso in vera disobbedienza e così avanza la normalizzazione sindacale. Sul piano politico il “Movimento 5 Stelle”, con tutto il rispetto, pare entrato dopo le europee in una fase confusionale, nella quale sta forse emergendo la debolezza delle sue basi politiche di fondo. Così oscilla tra la denuncia della svolta autoritaria e le letterine di buoni propositi indirizzati a chi di quella svolta è l’artefice. Le sinistre che si sono raccolte attorno alla Lista Tsipras non hanno ancora chiarito cosa vogliono fare da grandi. E quando ci provano, si spaccano. La sinistra radicale italiana non è in crisi per l’assenza di buoni propositi, belle idee e bei programmi, ma per una storia di incoerenze tra il dire ed il fare. Queste forze sono oggi disponibili a combattere il Pd renziano ovunque, per esempio e per cominciare in Emilia Romagna nelle elezioni del prossimo autunno? O si pensa ancora a tenere assieme chi vuol contrastare davvero il sistema renziano e chi si illude di condizionarlo dal suo interno?I movimenti sociali, le lotte ambientali e territoriali sono oggi una forza diffusa, che subisce una repressione autoritaria vergognosa. Ma i loro gruppi dirigenti non pensano ad una politica di alleanze con gli altri che si oppongono, lanciano le loro scadenze e si aspettano che tutti aderiscano. Così anche qui ci si logora. Il non molto vasto mondo degli intellettuali rimasto fuori dal regime delle larghe intese si muove con efficacia ridotta anche rispetto alle proprie forze reali. Pesa evidentemente la fine della guerra fredda tra mondo Fininvest e mondo Repubblica-Espresso. Entrambi oggi sono nel pacchetto di mischia renziano, con qualche dissidenza che, se non esagera, fa molto pluralismo. È comprensibile quanto sia difficile rompere con storie e schieramenti ventennali, ma la critica del pensiero unico renziano proprio questo dovrebbe fare per essere efficace.Ciò che unifica tutte queste deboli opposizioni al regime renziano è la convinzione di chi le guida di poter andare avanti come ha sempre fatto. Così si fanno la petizione, la manifestazione, l’appello, l’assemblea, come sempre. E così si contraddice il senso profondo dello stesso allarme che si lancia. Se si fanno le stesse cose di sempre, allora forse non è vero che la situazione sia così grave come la si denuncia. Se si andrà avanti così, questo periodo verrà ricordato come quello in cui, grazie anche alla fiacchezza e all’opportunismo di chi denunciava il regime, il regime nacque. Per concludere, tutte le forze democratiche che intendono davvero opporsi a Renzi e a ciò che rappresenta, ci provano a interloquire tra loro e magari a sedersi attorno ad un tavolo per discutere, anche in streaming, su cosa fare assieme per fermare il regime? O andiamo avanti così fino al disastro e alle recriminazioni finali?(Giorgio Cremaschi, “Per fermare la svolta autoritaria non bastano gli appelli”, da “Micromega” del 17 luglio 2014).Se le parole sono pietre, si devono lanciare con la giusta forza verso il bersaglio scelto. Invece le iniziative concrete di coloro che denunciano il disegno autoritario di Renzi non corrispondono alla gravità dell’allarme lanciato e così la denuncia stessa rischia di risultare inefficace. Sul terreno economico e sociale il governo ha adottato tutti i peggiori dogmi del liberismo. La vicenda Alitalia, come al solito presentata dal regime come l’ultima spiaggia dello sviluppo, non è solo una svendita all’incanto dopo il fallimento bipartisan di imprese, banche, governo. È anche e prima di tutto un terribile esperimento sociale, perché per la prima volta dagli anni ‘50 del secolo scorso un governo autorizza il licenziamento in tronco di migliaia di lavoratrici e lavoratori, rifiutando l’utilizzo della cassa integrazione. È un altro pezzo del Jobs Act, che intende sostanzialmente cancellare la Cig. Solo il presidente più di destra del ‘900 americano, Ronald Reagan, aveva attuato con i controllori di volo una misura del genere.