Archivio del Tag ‘fratturazione’
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Terremoto Emilia, colpa delle trivelle? Dossier da riaprire
Terremoto in Emilia: 27 morti, nel maggio 2012, per colpa di operazioni imprudenti, a caccia di “shale oil” nel sottosuolo? Poco prima che la terra cominciasse a tremare – in una zona notoriamente assai poco sismica – furono “sparati” gas ad altissima pressione, nelle vene sotterranee del terreno, secondo la tecnologia del “fracking”. Proprio la “fratturazione” avrebbe provocato il sisma? Sono destinate a suscitare polemiche le parole di Peter Styles, professore emerito di geofisica all’Universita di Keele, in Gran Bretagna, e tra il 2012 e il 2014 presidente della commissione Ichese (International Commission on Hydrocarbon Exploration and Seismicity in the Emilia Region). A quasi cinque anni dalla pubblicazione del report, Styles ha rilasciato un’intervista alla rivista scientifica “Sapere”, ripresa dall’emittente radiofonica bolognese “Radio Città del Capo”. Lo scienziato lamenta fughe di notizie, pressioni da parte delle aziende titolari delle concessioni minerarie e scarsa trasparenza nelle istituzioni. Ma soprattutto, il professor Styles afferma: «Con il senno di poi, non sono sicuro che tutte le informazioni che avrebbero potuto essere rilevanti per le nostre decisioni siano state messe a nostra disposizione». E quindi, aggiunge, «potrebbe essere prudente – alla luce degli eventi devastanti del 2012 e con un occhio al futuro – dare un’ulteriore occhiata a queste attività, considerando l’enorme e accurato lavoro svolto in merito negli ultimi anni, specialmente negli Stati Uniti».È su questo punto che “Radio Città del Capo” avanza dei dubbi e rilancia: «È un fatto che nel rapporto conclusivo della commissione Ichese non si faccia alcuna menzione della sperimentazione della sovrappressione che fu fatta nella seconda parte del 2011 nel sito di stoccaggio gas naturale di Minerbio». Quella della Stogit fu una delle concessioni esaminate da Ichese perché considerata abbastanza prossima agli epicentri dei terremoti del 20 e 29 maggio. «In tutte le 213 pagine della relazione conclusiva – aggiunge la radio – non si cita mai la sovrappressione». Come qualcuno ricorderà – scrive Gerardo Soncini sul blog del Movimento Roosevelt – la commissione Ichese escluse qualsiasi relazione tra l’attività di esplorazione riguardante gli idrocarburi e l’aumento dell’attività sismica nell’area colpita dal terremoto dell’Emilia-Romagna del maggio 2012. «Singolare che un evento di quel tipo non sia finito sotto gli occhi della commissione e nemmeno menzionato nel report conclusivo», annota “Radio Città del Capo”, anche perché si tratta di «una sperimentazione di iniezione di gas nel sottosuolo al 106% di pressione rispetto a quella originaria di giacimento, per un volume di 356 milioni di metri cubi di gas».Se a questa singolarità di unisce il dubbio di Styles (forse qualche dato non fu fornito tempestivamente alla commissione), secondo l’emittente radiofonica viene da chiedersi: «Non sarebbe opportuno riconvocare la commissione Ichese, ricontrollare il materiale fornito, acquisirne di nuovo e verificare se davvero le attività minerarie non c’entrano proprio nulla con i terremoti che uccisero 27 persone e fecero decine di miliardi di danni nella bassa tra Modena, Ferrara e Bologna?». Il primo a formulare sospetti, sulla rivista americana “Science”, fu il giornalista Edwin Cartlidge: proprio la commissione Ichese prese in considerazione il possibile nesso tra il sisma e le trivellazioni, pur non giungendo a nessuna conferma. Ad allarmare Cartlidge, come rivelato dal giornalista al “Fatto Quotidiano”, fu la censura preventiva al quale, dice, fu sottoposto. Cartlidge parla di “pressioni” per non far pubblicare un suo articolo e tentativi di screditare l’operato degli scienziati. Aggiunse: la commissione Ichese «non è stata in grado di escludere l’ipotesi di una correlazione tra trivelle e fenomeni sismici», anche se ha specificato che «da sole, le trivellazioni non possono aver provocato un sisma di tali dimensioni». Ragiona Soncini: è solo un dubbio, anche perché «pochi hanno le competenze per pronunciarsi su una vicenda così tecnica». Eppure, dopo 27 morti e svariati miliardi di danni, «forse la notizia andrebbe approfondita», visto che tocca argomenti formidabili: «Decisioni cruciali da prendere su basi scientifiche non definitive, analisi costi-benefici probabilistiche». Morti e feriti, pur di ricavare energia ad ogni costo?Terremoto in Emilia: 27 morti, nel maggio 2012, per colpa di operazioni imprudenti, a caccia di “shale oil” nel sottosuolo? Poco prima che la terra cominciasse a tremare – in una zona notoriamente assai poco sismica – furono “sparati” gas ad altissima pressione, nelle vene sotterranee del terreno, secondo la tecnologia del “fracking”. Proprio la “fratturazione” avrebbe provocato il sisma? Sono destinate a suscitare polemiche le parole di Peter Styles, professore emerito di geofisica all’Universitàdi Keele, in Gran Bretagna, e tra il 2012 e il 2014 presidente della commissione Ichese (International Commission on Hydrocarbon Exploration and Seismicity in the Emilia Region). A quasi cinque anni dalla pubblicazione del report, Styles ha rilasciato un’intervista alla rivista scientifica “Sapere”, ripresa dall’emittente radiofonica bolognese “Radio Città del Capo”. Lo scienziato lamenta fughe di notizie, pressioni da parte delle aziende titolari delle concessioni minerarie e scarsa trasparenza nelle istituzioni. Ma soprattutto, il professor Styles afferma: «Con il senno di poi, non sono sicuro che tutte le informazioni che avrebbero potuto essere rilevanti per le nostre decisioni siano state messe a nostra disposizione». E quindi, aggiunge, «potrebbe essere prudente – alla luce degli eventi devastanti del 2012 e con un occhio al futuro – dare un’ulteriore occhiata a queste attività, considerando l’enorme e accurato lavoro svolto in merito negli ultimi anni, specialmente negli Stati Uniti».
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E’ la fine: si stanno comprando tutta l’acqua del mondo
Temete la morte per acqua, recitano i versi della “Terra desolata”. Ma certo Eliot non poteva immaginare di quale morte fosse ambasciatrice l’acqua del terzo millennio: morte dei diritti e della democrazia, fine dell’accesso universale alla risorsa più preziosa. E’ il capolavoro finale dell’élite mondiale: i nuovi oligarchi “rubano” l’acqua a intere popolazioni, confiscano terreni acquiferi, finanziarizzano l’oro blu per farne merce speculativa. E naturalmente ordinano ai politici di privatizzare l’acqua nazionale, facendo scomparire lo Stato come gestore dell’acqua pubblica. E’ una razzia colossale, mondiale, quella dell’acqua su cui allungano le grinfie le mega-banche di Wall Street e i baroni neo-feudali dell’economia. «L’acqua è il prossimo petrolio», ammette la Goldman Sachs, in buona compagnia: con lei Jp Morgan Chase, Citigroup, Ubs e Deutsche Bank, Barclays e Credit Suisse, Hsbc e Allianz. Tutti a caccia di acqua. Anche l’ex presidente Bush, il padre di George Walker, in Paraguay sta acquistando terreni che galleggiano sulle falde acquifere più grandi del mondo.Pochi ne parlano, ma lo scenario è sconvolgente, scrive Jo-Shing Yang in un lungo reportage su “Global Research”, il magazine geopolitico canadese. «Stanno comprando acqua in tutto il mondo, ad un ritmo senza precedenti». I boss della finanza planetaria, i maggiori gruppi d’investimento: ricchi magnati, da qualche anno “nuovi baroni dell’acqua”. Grazie alla “crisi” hanno accumulato immense fortune finanziarie, e ora le usano per dare la caccia a «falde acquifere, laghi, diritti di sfruttamento dell’acqua, servizi idrici, società d’ingegneria idraulica ed aziende tecnologiche in tutto il mondo». E mentre i “baroni” sono impegnati in questa inquietante “campagna acquisti”, «i governi stanno rapidamente muovendosi per limitare la capacità dei cittadini di diventare autosufficienti nell’approvvigionamento idrico», rileva Jo-Shing Yang. “Privatizzare” è il verbo neoliberista dell’Ue, così come degli Usa: lo Stato dell’Oregon è giunto a condannare un cittadino, Gary Harrington, per aver osato rendersi autonomo costruendo raccolte per l’acqua piovana.«Il miliardario T. Boone Pickens, ad esempio, può possedere più diritti di sfruttamento dell’acqua rispetto a qualsiasi altra persona in America (compreso il diritto a drenare 65 miliardi di galloni dalla falda acquifera di Ogallala), ma il cittadino Gary Harrington non può raccogliere le acque piovane sui 170 acri del suo terreno privato», protesta Yang, in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”. «E’ un Nuovo Ordine Mondiale veramente strano quello in cui i multimiliardari e le banche elitarie possono tranquillamente possedere falde acquifere e laghi, ma i cittadini comuni non possono nemmeno raccogliere l’acqua piovana nei propri cortili e nei propri terreni». Del resto, «l’acqua è il petrolio del 21° secolo», dichiara Andrew Liveris, ceo della Dow Chemical. «Wall Street – dichiara la Jp Morgan – appare ben consapevole delle opportunità d’investimento nelle infrastrutture per l’approvvigionamento idrico, nel trattamento delle acque reflue e nelle tecnologie per la gestione della domanda».«La vera storia del settore idrico globale è veramente contorta, e coinvolge il “capitale globalizzato interconnesso”», spiega l’analista di “Global Research”. «Wall Street e le società d’investimento globali, le banche e le altre imprese private – valicando i confini nazionali e collaborando fra loro, ma anche con le banche e gli hedge-funds, con le aziende tecnologiche e con i colossi assicurativi, con i fondi-pensione (pubblici e regionali) e con i fondi-sovrani – si stanno muovendo con molta rapidità non solo per acquistare i diritti di sfruttamento e le tecnologie di trattamento delle acque, ma anche per privatizzare i servizi idrici e le infrastrutture pubbliche». Ci siamo: nel corso del prossimo decennio, Wall Street si sta preparando a impossessarsi delle riserve idriche globali. A partire dal 2006, precisa Jo-Shing Yang, la sola Goldman Sachs ha accumulato più di 10 miliardi di dollari da investire nelle infrastrutture, comprese quelle idriche. Secondo il “New York Times”, i maggiori gruppi finanziari – dalla Morgan Stanley al Carlyle Group – hanno raccolto qualcosa come 250 miliardi di dollari da destinare a investimenti sulle infrastrutture-chiave.«Con il termine “acqua” – continua il ricercatore – intendo i diritti di sfruttamento (acque sotterranee, falde acquifere e fiumi), i terreni dotati di riserve d’acqua (ovvero laghi, stagni, sorgenti naturali o sotterranee), i progetti di desalinizzazione, le tecnologie per la depurazione e il trattamento delle acque, l’irrigazione e le tecnologie per la perforazione dei pozzi, i servizi idrici ed igienico-sanitari di pubblica utilità, la costruzione e la manutenzione delle infrastrutture idriche (condotti per il trasporto su grandi distanze e per la piccola distribuzione, impianti di depurazione per usi residenziali, commerciali, industriali e comunali), i servizi di ingegneria (progettazione e costruzione di impianti idrici), il settore della vendita al dettaglio (produzione e vendita di acqua in bottiglia, distributori automatici, trasporto di acqua in bottiglia e servizi di consegna, autobotti)». In pratica, tutta l’acqua del mondo (occidentale) sarà loro. Proprietà privata.Impressionante il primo dossier presentato già nel 2008 da “Global Research”. Per la Goldman Sachs, la merce-acqua vale 425 miliardi di dollari. Una penuria idrica sarebbe una minaccia molto più grave di una crisi energetica o alimentare. Quindi è venuto il momento di “investire” su un bene così prezioso, in vista di guadagni enormi: «La Goldman Sachs sta preparandosi a divorare aziende del servizio idrico, società d’ingegneria e risorse idriche in tutto il mondo». Veolia, Suez, Uk’s Southern Water: tutte le multi-utility dell’acqua sono nel mirino degli “investitori”, gli stessi che hanno fatto miliardi – inguaiando interi popoli – con i titoli-spazzatura della finanza-truffa. Fanno gola società come la China Water and Drinks, «da quando la Cina è diventata il paese asiatico coi più grossi problemi per le forniture d’acqua». A Reno, nel Nevada, la Goldman ha proposto di “privatizzare” per 50 anni l’acqua dello Stato, in difficoltà a causa del calo delle entrate fiscali. E’ il segno – apocalittico – della nuova éra: per Willem Buitler, capo-economista di Citigroup, «l’acqua (intesa come “asset”) diventerà la più importante commodity fisica, e farà impallidire petrolio, rame, materie prime agricole e metalli preziosi».La piovra dell’acqua non conosce limiti, include la fratturazione idraulica (il fracking), e si espande in tutto il mondo. Per Credit Suisse, l’acqua sta diventando «il principale mega-trend del nostro tempo». La Jp Morgan, controllata dalla famiglia Rockefeller e specializzata nell’allevare insider famosi (Tony Blair) per condizionare governanti (fino a Matteo Renzi) punta dritto all’acquisizione di infrastrutture pubbliche, mediante privatizzazioni. Risale al 2008 il report di 60 pagine intitolato “Watch Water: una guida per valutare i rischi aziendali in un mondo assetato”. Da Wall Street a Berlino: presente in 70 paesi, l’Allianz Group ritiene che l’acqua sia «sottovalutata e sottoprezzata». Per il Water Fund di Francoforte, l’acqua dovrà essere pagata molto di più, così da motivare “investimenti” anche in paesi come la Cina e l’India. Dalla Deusche Bank alla Merryll Lynch (poi Bank of America) sarà un affare d’oro anche l’acqua europea, una volta privatizzata in via definitiva.Fondi d’investimento, fondi pensione, fondi “sovrani”: tutti soci, per il business per secolo. Non mancano i grandi nomi di sempre, come Warren Buffett che s’è comprato la Nalco, società per il trattamento delle acque, e nuovi miliardari come Manuel Pangilinan, che dalle Filippine sta “prenotando” l’acqua del Vietnam. Dal canto suo, la famiglia Bush possiede terreni per quasi mezzo milione di acri in Paraguay, al confine con Brasile e Bolivia: terreni che sovrastano l’Acuifero Guaranì, cioè la più grande falda idrica del mondo, più grande del Texas e della California messi insieme, capace di rifornire tutto il mondo di acqua potabile per 200 anni. «La febbre per la privatizzazione dell’acqua e delle infrastrutture è inarrestabile», conclude Jo-Shing Yang: molti governi a corto di denaro stanno per cedere alle maxi-offerte milionarie della finanza. «Le élites multinazionali e le banche di Wall Street si sono preparate per anni in attesa di questo momento d’oro. Nel corso degli ultimi anni hanno accumulato imponenti war-chests per la privatizzazione dell’acqua, dei servizi comunali e delle “utilities” di tutto il mondo. Sarà estremamente difficile invertire questa tendenza».http://comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=13486Temete la morte per acqua, recitano i versi della “Terra desolata”. Ma certo Eliot non poteva immaginare di quale morte fosse ambasciatrice l’acqua del terzo millennio: morte dei diritti e della democrazia, fine dell’accesso universale alla risorsa più preziosa. E’ il capolavoro finale dell’élite mondiale: i nuovi oligarchi “rubano” l’acqua a intere popolazioni, confiscano terreni acquiferi, finanziarizzano l’oro blu per farne merce speculativa. E naturalmente ordinano ai politici di privatizzare l’acqua nazionale, facendo scomparire lo Stato come gestore dell’acqua pubblica. E’ una razzia colossale, mondiale, quella dell’acqua su cui allungano le grinfie le mega-banche di Wall Street e i baroni neo-feudali dell’economia. «L’acqua è il prossimo petrolio», ammette la Goldman Sachs, in buona compagnia: con lei Jp Morgan Chase, Citigroup, Ubs e Deutsche Bank, Barclays e Credit Suisse, Hsbc e Allianz. Tutti a caccia di acqua. Anche l’ex presidente Bush, il padre di George Walker, in Paraguay sta acquistando terreni che galleggiano sulle falde acquifere più grandi del mondo.