Archivio del Tag ‘Gran Bretagna’
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Francia in tumulto: si prepara a minacciare l’uscita dall’Ue
Sei francesi su dieci voterebbero per uscire dall’Unione Europea. Lo dicono i sondaggi, all’indomani del Brexit, in una Francia devastata dall’opaco terrorismo targato Isis. Protefa in patria, il professor François Heisbourg, presidente dell’istituto di studi strategici di Parigi, in un saggio di tre anni fa anticipò “La Fine del Sogno Europeo”. Sosteneva che il «cancro dell’euro» dovesse essere estirpato per salvare quel che resta del progetto europeo: «Il sogno è diventato un incubo. Non ci basterà negare la realtà per evitarlo, e Dio sa quanto la negazione sia stato il modo di operare delle istituzioni europee per lungo tempo». Heisbourg è stato ignorato, rileva Ambrose Evans-Pritchard, ma gli eventi si stanno svolgendo esattamente come lui temeva. Nel centrodestra, Sarkozy annuncia una grande svolta anti-Ue con la quale spera di contendere voti a Marine Le Pen. E dal centrosinistra, l’ex ministro Montebourg sfida apertamente Hollande, dichiarando che ormai i trattati europei sono da considerarsi carta straccia: la Francia non può più continuare a prendere ordini da Bruxelles.La lunga crisi economica in cui è sprofondata la Francia sta per riscuotere il suo tributo, politicamente parlando: «Ha mandato in pezzi prima il centrodestra e poi il centrosinistra francese, e ora minaccia la stessa Quinta Repubblica», scrive Evans-Pritchard sul “Telegraph”, in un articolo tradotto da “Voci dall’Estero”. L’ex presidente gollista Nicolas Sarkozy è tornato alla ribalta mediatica «lanciando la scommessa del proprio ritorno sulla scena con la proposta di un pacchetto di politiche di ultra-destra mai viste in tempi recenti nelle democrazie europee occidentali». Ma il tumulto nella sinistra è altrettanto rivelatore: Arnaud Montebourg, l’enfant terrible del partito socialista, ha lanciato la propria sfida contro il governo Hollande, definito «regime politico da destra tedesca». Nel mirino, Bruxelles: «Penso che l’Unione Europea sia arrivata a fine corsa, e la Francia non ha più alcun interesse a farvi parte. L’Unione Europea ci ha lasciati impantanati in una crisi anche molto tempo dopo che il resto del mondo ne era uscito». Montebourg chiede una sospensione unilaterale delle leggi europee sul lavoro: «Per quanto mi riguarda, gli attuali trattati sono scaduti». E annuncia uno “sciopero” contro l’Ue: «Non possiamo più accettare questa Europa».In altre parole, spiega Evans-Pritchard, Montebourg «se ne vuole andare da dentro – come stanno già facendo la Polonia e l’Ungheria – cioè senza sollevare nessuna clausola tecnica o legale». E la sua accusa contro Hollande è devastante: le politiche di rigore hanno inevitabilmente portato a milioni di persone disoccupate. «Non si sono mai smossi dal loro catechismo e dalle loro false certezze», dice Montebourg. I socialisti hanno pagato un prezzo salato per la loro cieca arroganza: hanno ottenuto solo il 15% dei voti dalla classe lavoratrice nelle recenti elezioni, mentre il Front National di Marine Le Pen ha mietuto il 55%. La doppia contrazione – fiscale e monetaria – ha gettato la già prostrata economia dell’Eurozona in una seconda recessione, osserva Evans-Pritchard. «Tutto ciò è stato aggravato da una stretta fiscale che è andata ben oltre qualsiasi possibile dose terapeutica, ed è stata imposta da un ministro delle finanze tedesco accecato da un’ideologia pre-moderna», il terribile Wolfgang Shaeuble, «e seguita servilmente da tutti gli altri». Ed ecco il punto: «La Francia avrebbe forse potuto mobilitare una maggioranza di paesi europei per bloccare questa follia, ma né Sarkozy né Hollande sono stati disposti ad affrontare Berlino».Entrambi i presidenti francesi «sono rimasti legati religiosamente all’accordo franco-tedesco, o almeno alla sua illusione totemica». Il risultato? «Un decennio perduto, e una retrocessione del lavoro che ridurrà le prospettive di crescita dell’Eurozona per molti anni ancora». Osserva ancora il giornalista economico inglese: «Non sapremo mai se la disoccupazione giovanile di massa nei quartieri nordafricani delle città francesi ha avuto un ruolo nella diffusione della metastasi jihadista lo scorso anno, ma certamente è stato uno degli ingredienti». Per contro, la tendenza anti-Ue che ormai investe trasversalmente la Francia dimostra che, se la “regia occulta” del terrorismo mirava a ottenere la rassegnazione dei francesi anche rispetto alle misure più impopolari dettate dall’élite finanziaria, come la Loi Travail, il Jobs Act transalpino, i francesi non ci stanno. Anche perché l’analisi della situazione è deprimente: «L’austerità fiscale è terminata, ma l’economia francese non è ancora abbastanza forte da risolvere le patologie sociali che tormentano il paese. Nel secondo trimestre la crescita è ritornata a zero».Per Evans-Pritchard, «il grande danno politico, comunque, si è già consumato: non serve aggiungere che la Francia ha anche una serie di problemi economici che non c’entrano con l’Ue. Il modello sociale è basato su tasse punitive sull’occupazione e crea uno dei peggiori cunei fiscali al mondo. Appena un quarto dei francesi tra i 60 e i 64 anni lavorano, rispetto al 40% della media Ocse. Questo è dovuto a incentivi per il pensionamento precoce. Lo Stato spende il 56% del Pil, cioè l’equivalente dei paesi nordici, senza però avere la flessibilità del lavoro che c’è nei paesi nordici». E ancora: «Ci sono 360 diverse tasse, alcune delle quali in vigore da prima della Rivoluzione Francese. I sindacati hanno per legge un presidio in tutte le aziende oltre i 50 dipendenti, eppure hanno un tasso di partecipazione di appena il 7%». Per Brigitte Granville, economista alla Queen Mary University di Londra, «è un inferno che purtroppo non ha nemmeno la poesia di Dante». Di fatto, «si è tergiversato per tutti gli anni del boom dell’euro e ora è troppo tardi. Ora la Francia è intrappolata nella camicia di forza dell’unione monetaria». Secondo il Fmi, il tasso di cambio reale è sopravvalutato del 9% (e rispetto alla Germania del 16%). «L’unico modo pratico con cui la Francia può riguadagnare competitività è tramite una profonda deflazione rispetto al resto dell’Eurozona, ma questo prolungherebbe la crisi e sarebbe devastante per il Pil e la dinamica del debito. Sarebbe autolesionista».Per Evans-Pritchard, Montebourg ha ragione a concludere che la Francia sarà paralizzata fino a che non riprenderà gli strumenti della propria sovranità. Quanto a Sarkozy, sta «aggirando questo elemento essenziale». Il suo manifesto-shock «chiede la fine del primato legale Ue rispetto alla legge francese e chiede l’abrogazione del Trattato di Lisbona, quello stesso trattato che lui, Sarkozy, aveva introdotto con prepotenza al Parlamento francese dopo che era stato respinto dagli elettori francesi in un referendum sotto la guisa di “Costituzione Europea”». Ma il suo maggior ardore, continua Evans-Pritchard, è riservato alla guerra culturale e alla “riduzione drastica” del numero degli stranieri. «Sarkozy promette di porre sotto controllo l’Islam in Francia, con gli imam che dovrebbero riferire le proprie attività al ministero degli interni». L’appello di Sarkozy alla “identità francese” punta direttamente al Front National, «e questo dice molto sulla devastazione dello scenario politico dopo anni di depressione».Marine Le Pen è davanti a Sarkozy nei sondaggi, con un sostegno dell’elettorato vicino al 30% grazie a un impetuoso mix di ricette economiche di sinistra e nazionalismo di destra, con un richiamo diretto agli anni ’30. Ha promesso di «far finire l’incubo dell’Unione Europea». Un sondaggio Pew risalente a giugno svela il 61% degli elettori francesi ha un’opinione “sfavorevole” dell’Ue, un dato addirittura più alto che in Gran Bretagna. Il professor Thomas Guénolé della “Sciences Po” di Parigi avverte: «Per quanto possa sembrare incredibile, un referendum sul ‘Frexit’ verrebbe probabilmente perso dalla fazione europea. Come nel Regno Unito, il ‘leave’ vincerebbe». Per “Le Figaro”, il Brexit ha cambiato profondamente la situazione: «I sostenitori della costruzione europea avevano preso l’abitudine di difendere l’Europa con argomenti catastrofisti, con l’idea che l’uscita avrebbe provocato nuove guerre o collassi economici. Ma ora la Gran Bretagna sta uscendo ed è evidente che non avverrà nessun cataclisma economico e nessuna grossa crisi geopolitica».Sei francesi su dieci voterebbero per uscire dall’Unione Europea. Lo dicono i sondaggi, all’indomani del Brexit, in una Francia devastata dall’opaco terrorismo targato Isis. Protefa in patria, il professor François Heisbourg, presidente dell’istituto di studi strategici di Parigi, in un saggio di tre anni fa anticipò “La Fine del Sogno Europeo”. Sosteneva che il «cancro dell’euro» dovesse essere estirpato per salvare quel che resta del progetto europeo: «Il sogno è diventato un incubo. Non ci basterà negare la realtà per evitarlo, e Dio sa quanto la negazione sia stato il modo di operare delle istituzioni europee per lungo tempo». Heisbourg è stato ignorato, rileva Ambrose Evans-Pritchard, ma gli eventi si stanno svolgendo esattamente come lui temeva. Nel centrodestra, Sarkozy annuncia una grande svolta anti-Ue con la quale spera di contendere voti a Marine Le Pen. E dal centrosinistra, l’ex ministro Montebourg sfida apertamente Hollande, dichiarando che ormai i trattati europei sono da considerarsi carta straccia: la Francia non può più continuare a prendere ordini da Bruxelles.
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Londra: Cavour assassinato, l’Italia doveva restare docile
Cavour assassinato da un complotto e avvelenato dal medico personale del sovrano, Vittorio Emanuele II, con il quale lo stratega dell’unità nazionale era ormai in rotta. Lo dicono le carte rinvenute a Londra da Giovanni Fasanella, già autore di libri come “Colonia Italia” e “Il golpe inglese” (Chiarelettere, scritti con Mario Josè Cereghino). Già nel 2011, l’autore metteva in luce il ruolo occulto della Gran Bretagna nell’Unità d’Italia, a partire dalla protezione assicurata dalla flotta di sua maestà alla spedizione di Mille, con navi da guerra al largo della Sicilia, pronte a intervenire per dare manforte a Garibaldi. Robustissimo il movente geopolitico: se le élite risorgimentali del centro-nord avevano ormai deciso di spingere per l’unificazione del Belpaese, utilizzando il Piemonte e la massoneria, la nuova Italia doveva restare assolutamente sotto tutela inglese, dato il cantiere aperto nel 1859 per il Canale di Suez. La penisola sarebbe diventata la piattaforma-chiave del Mediterraneo per i traffici dell’Impero britannico. Per unire il centro-nord, Cavour aveva usato soprattutto l’arte dell’imbroglio. Il sud invece era stato colonizzato brutalmente, con il genocidio. “Fatta l’Italia, ora bisogna fare gli italiani”? Cavour non fece in tempo. A liquidarlo però non fu la malaria, come si disse, ma il cianuro.Lo scrive Fasanella nel suo nuovo libro, “Intrighi d’Italia”, scritto con Antonella Grippo. Premessa: inutile stupirsi se così spesso, nella nostra storia recente, emergono strane “trattative” tra il potere istituzionale, attraverso settori dei servizi segreti, e la criminalità mafiosa. Quello era il metodo inaugurato proprio da Cavour, che reclutò la mafia in Sicilia e la camorra a Napoli per governare i nuovi terrori, largamente ostili all’unificazione e conquistati manu militari, dall’esercito piemontese. La resistenza dell’esercito meridionale (pur superiore) fu molto debole? Certo: l’intelligence di Cavour aveva “comprato” gli alti ufficiali delle Due Sicilie. A pagare il prezzo della conquista, con anni di legge marziale e stragi inaudite, fu la popolazione del Sud: mezzo milione di morti, si calcola, più 15 milioni di profughi, emigrati poco dopo, per lo più in America. «A Cavour non era piaciuta la modalità di conquista del Meridione», spiega Fasanella a Claudio Messora, in una video-intervista per il blog “ByoBlu”. «Si racconta infatti che arrivò a sollevare la scrivania, nell’ufficio del sovrano torinese, quasi volesse gettargliela addosso. Cavour non tollerava che i Savoia avessero concepito l’Unità d’Italia sul piano solo militare. Avrebbe voluto un progetto più graduale, federalista, basato sulla politica».Il sovrano non era l’unico nemico del primo ministro, racconta l’autore, brillante giornalista di “Panorama”. Cavour era in contrasto anche con Mazzini: non voleva lo scontro con il Vaticano per la conquista immediata di Roma, avrebbe preferito un accordo. Dal canto suo, con Cavour ce l’aveva anche Garibaldi, furioso per la cessione di Nizza alla Francia. E il primo ministro non piaceva neppure ai Rotschild, che miravano a lucrare sul finanziamento delle nuove infrastrutture italiane, mentre Cavour anche in quel caso avrebbe preferito giocare su più tavoli, per non dipendere da un solo potere. Abilissimo, astuto, geniale. E temuto: al punto da subire un complotto mortale? E’ quello che si evince dall’esame degli archivi inglesi, racconta Fasanella. Fonti autorevoli, finora sempre trascurate dagli storici. Una su tutte: le dettagliate relazioni dell’ambasciatore inglese a Torino, James Hudson. Un diplomatico decisivo: era stato lui ad assicurare a Cavour la protezione militare inglese per incoraggiare la spedizione di Garibaldi. Rivelazioni clamorose, da Hudson, sulle circostanze della morte dello statista italiano.Al ministro degli esteri britannico, John Russell, l’ambasciatore Hudson scrive che Cavour si è sentito male il 29 maggio 1961, poco più di due mesi dopo la proclamazione dell’Unità d’Italia. Era a casa della sua amante, Bianca Ronzani, «che era anche una spia». Dalla Ronzani bevve qualcosa che lo mandò in crisi: spasmi addominali, accessi di vomito. Cavour riparò nella sua casa e si mise a letto. I medici accorsi, racconta sempre la fonte inglese, «lo salassarono come un vitello», estraendogli enormi quantità di sangue e indebolendolo in modo grave. A dargli il colpo di grazia, dopo una settimana di agonia, fu il dottore di corte, medico personale del re, insigne luminare della medicina torinese dell’epoca: «Gli fece bere un infuso di “lauroceraso”, cioè cianuro: il potentissimo veleno si ottiene proprio per infusione da quella pianta». Sulla morte di Cavour – che faceva comodo a troppi poteri – si è anche favoleggiato in modo complottistico, ammette Fasanella. Ma nessuno, prima d’ora, aveva individuato tracce concrete che avvalorino – via Londra, tanto per cambiare – l’ipotesi della cospirazione a scopo di omicidio politico.Noto per l’estrema disinvoltura, il cinismo e la spregiudicatezza con cui aveva guidato la politica del minuscolo Stato sabaudo per negoziare con i potentati europei la nascita della futura Italia, Camillo Benso – racconta Fasanella – non si era mai fatto scrupoli nel ricorrere alla malavita, attraverso i servizi segreti. Se ne accorse per prima la magistratura torinese, che incastrò un piccolo criminale: stranamente, il governo lo protesse a lungo. Non a caso: era il capo di una banda di malviventi utilizzata per il “lavoro sporco” commissionato da Filippo Curletti, famigerato capo dell’intelligence di Cavour. Un uomo che, s’è scoperto, aveva organizzato brogli in mezza Italia per truccare l’esito dei plebisciti a favore dell’annessione al Piemonte: «Emerge che, spesso, il numero di voti favorevoli era superiore addirittura a quello della totalità degli aventi diritto al voto», racconta Fasanella. E se nel centro-nord gli uomini di Curletti si occuparono soprattutto di aritmetica, nel Sud terrorizzato dalle truppe di Cialdini e La Marmora si bussò direttamente alla mafia: «In Sicilia, i picciotti prepararono il terreno allo sbarco di Garibaldi e alla sua marcia trionfale. E a Napoli, quando fu smantellata la polizia borbonica, chiamarono la camorra a dirigere i commissariati».Come dire: nessuno si stupisca se l’Italia è nata così male, unificata in modo truffaldino e spietato. E concepita – fin da subito – come “dependence” dei poteri forti d’Europa, decisi a non lasciarsi scappare il controllo sulla nostra penisola così strategica, vera chiave di volta nel Mediterraneo con l’apertura del Canale. Lungi dal sottovalutare l’importanza storica dell’unificazione, perfettamente coerente con il contesto storico e geopolitico dell’epoca, chiarisce Fasanella, è bene non dimenticare però che molte tappe del Risorgimento (su cui gli storici spesso sorvolano) maturarono in modo decisamente oscuro. Un giallo riguarda la misteriosa fine dello scrittore Ippolito Nievo, il “tesoriere” dei Mille: sapeva molte cose, avrebbe potuto raccontarle ai giudici che volevano interrogarlo. «Dopo lo sbarco – racconta ancora Fasanella – a Torino giunsero voci insistenti sui traffici dei garibaldini con la mafia: contrabbando d’armi, sperperi di denaro, arricchimenti improvvisi di garibaldini. Nievo fu richiamato nel capoluogo piemontese per riferire alla magistratura. Ma il piroscafo si inabissò al largo dell’isola di Capri. Ancora oggi non si conosce la causa dell’affondamento. Si parlò anche di una bomba a orologeria collocata a bordo. Forse quella è stata la prima strage di Stato della storia italiana».All’epoca, l’astuto Cavour era ancora al comando. Sapeva perfettamente che l’Italia neonata avrebbe dovuto vedersela con vicini potentissimi, decisi a dettar legge. Sperava, probabilmente, di tenerli a bada ancora una volta con la sua machiavellica diplomazia, in bilico tra Gran Bretagna e Francia? Se davvero è stato ucciso, come dicono gli inglesi, è probabile che gli autori del complotto temessero che potesse riuscire anche nell’impresa di fare dell’Italia un paese autonomo. Uno Stato pienamente sovrano, non infiltrato e dominato da potenze straniere. I documenti, conclude Fasanella, parlano chiaro: a Londra, la morte di Cavour fu archiviata come omicidio politico. «Era entrato in conflitto con troppi soggetti, italiani e stranieri». Il suo progetto, un’Italia davvero indipendente, sembra dunque sfumato quel giorno, il 6 giugno del 1861, con la pozione letale di cianuro somministrata dal medico personale del primo Re d’Italia. In compenso, i suoi “metodi” sono rimasti. E hanno fatto scuola: nel 1943 gli americani conquistarono la Sicilia con l’aiuto di Lucky Luciano e Calogero Vizzini, mentre a Napoli fu utilizzato Vito Genovese, emanazione della “famiglia” di Carlo Gambino, il boss di Brooklyn. Una storia “sbagliata”, che arriva fino ai mandanti delle stragi impunite e all’esplosivo che disintegrò Falcone e Borsellino.Cavour assassinato da un complotto e avvelenato dal medico personale del sovrano, Vittorio Emanuele II, con il quale lo stratega dell’unità nazionale era ormai in rotta. Lo dicono le carte rinvenute a Londra da Giovanni Fasanella, già autore di libri come “Colonia Italia” e “Il golpe inglese” (Chiarelettere, scritti con Mario Josè Cereghino). Già nel 2011, l’autore metteva in luce il ruolo occulto della Gran Bretagna nell’Unità d’Italia, a partire dalla protezione assicurata dalla flotta di sua maestà alla spedizione di Mille, con navi da guerra al largo della Sicilia, pronte a intervenire per dare manforte a Garibaldi. Robustissimo il movente geopolitico: se le élite risorgimentali del centro-nord avevano ormai deciso di spingere per l’unificazione del Belpaese, utilizzando il Piemonte e la massoneria, la nuova Italia doveva restare assolutamente sotto tutela inglese, dato il cantiere aperto nel 1859 per il Canale di Suez. La penisola sarebbe diventata la piattaforma-chiave del Mediterraneo per i traffici dell’Impero britannico. Per unire il centro-nord, Cavour aveva usato soprattutto l’arte dell’imbroglio. Il sud invece era stato colonizzato brutalmente, con il genocidio. “Fatta l’Italia, ora bisogna fare gli italiani”? Cavour non fece in tempo. A liquidarlo però non fu la malaria, come si disse, ma il cianuro.
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Perso l’Isis, gli Usa puntano sui curdi per restare in Siria
Persa la possibilità di rovesciare Assad e conquistare la Siria, a causa del sostegno che Russia e Iran hanno fornito a Damasco, ora gli Usa puntano sui curdi, fino a ieri massacrati dai jihadisti dell’Isis protetti da Erdogan. Per lo Zio Sam, che ha perso il primo round ed è entrato in rotta anche con la Turchia, i combattenti del Kurdistan siriano – che hanno aiutato Assad a respingere l’Isis, assistiti dai russi – ora per Washington diventano la possibile “mossa del cavallo”, grazie alla promessa di una repubblica indipendente che Damasco non può garantire, e che getterebbe nel panico la Turchia. «Buttata la maschera, l’America minaccia militarmente Siria e Russia», avverte Maurizio Blondet: «Ammette di avere sul territorio siriano commandos e truppe americane che combattono contro il governo di Damasco a favore dei separatisti curdi; crea un “no-fly zone” di fatto sulla particella di territorio siriano che ha promesso ai curdi di rendere indipendente». Il generale Stephen Townsend, comandante delle forze Usa in Iraq e Siria, è esplicito: «Abbiamo informato i russi di cosa siamo pronti a fare: ci difenderemo se minacciati».E’ l’ennesima prova del vero volto della guerra siriana, dove l’Occidente ha sfruttato le prime proteste contro Assad, sul modello della “primavera araba”, per incunearsi in Siria – cioè a ridosso dell’Iran – con feroci milizie islamiste, finanziate e protette da Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia, nonché Arabia Saudita e Qatar, con il supporto occulto di Israele e lo sfrontato appoggio logistico della Turchia. Il modello operativo: lo stesso della Libia, da cui sono stati fatti affluire molti reparti impiegati contro Gheddafi. Variante: in Siria, dopo la prima versione della guerriglia, targata “Esercito Siriano Libero”, si è passati direttamente al regime terroristico dell’Isis, fino all’impiego di armi di distruzione di massa come il gas Sarin impiegato nella strage di civili alla periferia di Damasco nel settembre 2013. Sviluppi che hanno consentito a Putin di intervenire direttamente, coi bombardieri installati sul suolo siriano. Da qui l’abbattimento del Sukhoi-24 ad opera di un F-16 turco e, pochi mesi dopo, il fallito golpe ad Ankara che ha ribaltato i giochi: oggi, infatti, lo stesso Erdogan stringe la mano a Putin e annuncia che la Turchia si farà garante dell’integrità territoriale della Siria, cioè il paese che proprio i turchi – più di ogni altro – hanno contribuito a devastare, attraverso le armate dell’Isis.Il punto-chiave della svolta, riassume Blondet, sono i combattimenti ora in corso nel nord, ad Hasakah, tra le truppe siriane e la milizia curda dell’Ypg, spalleggiata da centinaia di commandos americani. Una situazione come quella di Aleppo, ma rovesciata: l’esercito siriano occupa la città, ma è circondato dalle milizie curde. Lo Ypg ha intimato ai “regolari” di abbandonare Hasakah, dove l’esercito di Assad è il solo protettore della grossa minoranza cristiana (assira), che teme di dover subire una pulizia etnica se i curdi avessero la meglio. Secondo Blondet, Hasakah potrebbe diventare una delle città del futuro Stato curdo, secondo un programma ben collaudato: “sfratto” delle minoranze e «plebiscito per l’appartenenza allo Stato curdo prossimo venturo, garantito da Usa e Sion». La milizia curda «è assistita dagli americani con la scusa che “combatte lo Stato Islamico” – che nella zona non c’è: combatte invece l’armata legittima di Damasco». I giochi si sono fatti pericolosi quando l’aviazione siriana – intervenuta per aprire vie di rifornimento al suo esercito assediato – ha quasi colpito i militari americani che sostengono l’assedio curdo.Gli aerei di Assad, scrive Blondet, hanno bombardato le posizioni Ypg: nel corso della missione aerea – accusa il Pentagono – poco è mancato che le truppe americane venissero colpite. Reazione immediata: caccia F-22 sono stati lanciati all’inseguimento dei bombardieri siriani. «Il Pentagono ha accusato Mosca, che ha risposto di non entrarci nel bombardamento di Hasakah». Ma, invece di appianare la situazione, «gli americani si sono impegnati in una gravissima escalation, di fatto minacciando di abbattere gli aerei che sorvolano Hasakah, russi o siriani che siano». In base al diritto internazionale, continua Blondet, non c’è alcuna base legale alla presenza di forze armate Usa in Siria. «Per questo, quando l’Air Force (dice) di aver cercato di contattare le forze siriane che stavano colpendo i militari americani sul terreno, Damasco ha ignorato il richiamo – altrimenti sarebbe stato ammettere che gli Usa sono un nemico occupante. Per tutta risposta, il Pentagono – invece di sloggiare le sue truppe da Hasakah, ne ha rafforzato il contingente».L’enormità della situazione, aggiunge Blondet, è stata rilevata dal giornalista tedesco Thomas Wiegold, che ha twittato: “Come? Ora gli Usa praticano il divieto di operare alle forze di un paese sul suo territorio?”. «Il punto è che il voltafaccia di Erdoğan ha messo in grave pericolo la promessa fatta da Usa e Israele ai curdi, di ritagliare per loro uno Stato indipendente (e loro satellite) nella zona tra Turchia, Siria, Iraq e Iran», osserva ancora Blondet. «Erdoğan si è recentemente pronunciato, in inaudita coordinazione con Teheran per “il mantenimento dell’integrità territoriale della Siria”, di cui quindi Turchia e Iran si fanno garanti (insieme ai russi e a Pechino): quindi nessuno smembramento della Siria per linee etniche e religiose; capendo finalmente che la Turchia, dal progetto, ha solo da perdere – un terzo del suo territorio, abitato dai curdi». Lo ha ripetuto qualche giorno fa il nuovo primo ministro turco Yildirim: «Nei prossimi sei mesi giocheremo un ruolo più attivo in Siria, voglio dire non permetteremo che la Siria sia divisa secondo linee etniche: ci assicureremo che il suo governo non sia basato su etnie».Il fatto è che l’anno scorso, i rappresentanti della regione curda (già autonoma sotto la Costituzione siriana) hanno elevato un annuncio di federalizzazione: annuncio unilaterale, non concordato e incostituzionale – su aperta istigazione statunitense. Gli Usa hanno fornito ai secessionisti «addestramento, armi, munizioni e 350 milioni di dollari “per combattere l’Isis”». La traduzione di Blondet: «Ormai è chiaro che, per i neocon che hanno occupato la politica estera Usa, i trattati internazionali sono stracci di carta: la forza è la sola “ragione”», inlcusa la pulizia etnica. «Oltretutto, i folli sentono l’urgenza frenetica di contrastare i successi di Mosca nell’area, di “far pagare un prezzo a Putin e ad Assad”; recuperare il danno inferto ai loro progetti da Erdoğan e vendicarsi di lui». A questo servirebbe la promessa fatta ai curdi, che lottano da decenni – soprattutto in Iraq e in Turchia – per il loro diritto a esistere, come popolo. Washington oggi ne impugna la causa, in modo evidentemente strumentale. E pericoloso: dietro alla Siria ci sono Mosca, Teheran e Pechino. «L’orribile attentato di Gaziantep, che ha sterminato più di cinquanta curdi partecipanti al matrimonio di un capoccia locale, capo del partito curdo rappresentato ad Ankara, si deve situare in questo quadro», conclude Blondet. «Naturalmente Erdoğan ha accusato l’Isis (ha imparato dagli americani); i curdi presenti hanno accusato Erdoğan. Non senza ragione, credo. Nella gara all’escalation irresponsabile, i neocon non sono i soli».Persa la possibilità di rovesciare Assad e conquistare la Siria, a causa del sostegno che Russia e Iran hanno fornito a Damasco, ora gli Usa puntano sui curdi, fino a ieri massacrati dai jihadisti dell’Isis protetti da Erdogan. Per lo Zio Sam, che ha perso il primo round ed è entrato in rotta anche con la Turchia, i combattenti del Kurdistan siriano – che hanno aiutato Assad a respingere l’Isis, assistiti dai russi – ora per Washington diventano la possibile “mossa del cavallo”, grazie alla promessa di una repubblica indipendente che Damasco non può garantire, e che getterebbe nel panico la Turchia. «Buttata la maschera, l’America minaccia militarmente Siria e Russia», avverte Maurizio Blondet: «Ammette di avere sul territorio siriano commandos e truppe americane che combattono contro il governo di Damasco a favore dei separatisti curdi; crea un “no-fly zone” di fatto sulla particella di territorio siriano che ha promesso ai curdi di rendere indipendente». Il generale Stephen Townsend, comandante delle forze Usa in Iraq e Siria, è esplicito: «Abbiamo informato i russi di cosa siamo pronti a fare: ci difenderemo se minacciati».
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Sovragestione: i padrini dell’Isis erano a Yalta nel 1945
Si credono Dio, anziché ricercare la propria spiritualità. Non sono più degli iniziati, ma dei contro-iniziati. Per il massone Gianfranco Carpeoro, è questa la profonda motivazione psicologica che spinge gli uomini del vertice-ombra dell’Occidente a organizzare il terrorismo più spietato, ieri affidato ad Al-Qaeda e oggi all’Isis. L’obiettivo strategico non cambia: mantenere il potere in pochissime mani, a qualsiasi costo, utilizzando l’intelligence per “fabbricare” leader islamisti adatti a reclutare kamikaze, figli di un mondo devastato dai dominus occidentali. Carpeoro la chiama “sovragestione”, ed è la chiave per capire di che morte stiamo morendo. I boss occulti della “sovragestione”? Si tratta di «un ristretto numero di persone, che fanno parte della finanza e della politica internazionale». A loro volta, «manovrano pezzi di governi, di amministrazioni, di servizi segreti, logge massoniche o paramassoniche, strutture religiose di varia estrazione, istituzioni bancarie, esponenti dell’economia o dell’imprenditoria». La struttura ricorda quella della ‘ndrangheta: «Una rete ad anelli, dove la regola aurea viene ampiamente rispettata: ogni anello conosce solo e soltanto l’anello che gli è immediatamente superiore e quello che gli è immediatamente inferiore e nulla più».Perché siamo finiti tra le spire della “sovragestione”, che ultimamente ha preso di mira l’Europa con gli attentati di Parigi, Bruxelles e Nizza, regolarmente targati Isis? Per Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni” (Chiarelettere), non si può capire molto se non si legge tra le righe: l’origine del potere occidentale moderno è interamente massonico (democrazia, laicisimo). Ma nel dopoguerra la massoneria internazionale ha partorito 36 super-strutture segrete, chiamate Ur-Lodges (logge madri), che hanno intrapreso una gestione monopolistica della politica, dell’economia, della finanza. Alcune di queste hanno espresso una tendenza neo-conservatrice, aristocratica, neo-feudale. Fino all’eccesso: la strategia della tensione, i golpe in mezzo mondo. Avverte Magaldi: anche questo va interpretato; se sei consapevole di averla “inventata” tu, la modernità, mettendo fine all’assolutismo monarchico con la Rivoluzione Francese e all’oscurantismo vaticano con il Risorgimento italiano, può accadere che ti consideri il padrone del mondo, il nuovo mondo che hai contribuito in modo determinante a creare, abbattendo l’Ancien Régime.Il che è aberrante, ma aiuta a “vedere” come ragionano i capi supremi dell’élite mondiale reazionaria che dagli anni ‘80 ha preso il sopravvento, dichiarando guerra alla democrazia e imponendo la sua globalizzazione a mano armata, gestita dalle multinazionali finanziarie. E a questo disegno appartiene anche l’ultimissima stagione: quella del terrore, che ci sta investendo. Non a caso, nel mirino è finita anche l’Europa, terremotata dall’austerity. Se da qualche anno il terrore “islamista” si rivolge contro l’Europa, scrive Gianfranco Carpeoro sulla sua pagina Facebook, «non è certamente perchè il “sovragestore” vuole distruggerla». Al contrario: l’élite occidentale che organizza il terrorismo-kamikaze «ha interesse che rimanga così», questa Unione Europea interamente in mano a loro, gli oligarchi della finanza. Ergo: «Il neoterrorismo deve impedire che l’Europa si liberi dal giogo monetario delle banche e dalla soggezione al potere finanziario». Sono sempre “loro”, gli uomini al comando dietro le quinte: ieri col Trattato di Maastricht che ha rovinato l’Italia, poi con i diktat della Troika che hanno ridotto la Grecia alla fame. Gli europei cominciano a ribellarsi? Ed ecco gli attentati “islamici”. Il regno della paura serve a questo: impedire che si evada dal “lager”. La violenza terroristica è in aumento? Altro segnale, aggiunge Carpeoro: qualcuno, davanti a tanto sangue, si sta sfilando dall’élite criminale. E allora, forse, il super-vertice comincia ad avere paura, a sua volta. Per questo preme sull’acceleratore delle stragi.Secondo Carpeoro, il male viene da lontano: è figlio del sistema economico attuale. Il capitalismo finanziario mondializzato è feroce, disumano: perché qualcuno stia meglio, bisogna che qualcun altro stia peggio. Mors tua, via mea. Da lì in poi, “vale” tutto. Anche la guerra. Fino al neoterrorismo della “sovragestione”. Guai, infatti, se dovessero trionfare gli ideali proclamati all’Onu, all’indomani della Seconda Guerra Mondiale. Erano il cardine della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, fortemene voluta dalla “libera muratrice” Eleanor Roosevelt, secondo la quale «nessun sistema, nessun regime politico, nessuna dottrina sociale può essere giusta se ogni individuo, fino all’ultimo pigmeo africano, fino al più sfruttato lavoratore cinese o coreano, non può vivere con dignità o senza poter aspirare alla sua porzione di spazio spirituale e vitale, cioè di felicità». E allora ecco il “terrorismo interno” di oggi, la nuova strategia della tensione, che «salda il rapporto tra il popolo e il potere con il collante della paura, com’era già accaduto ai tempi di Al-Qaeda e delle Torri Gemelle». Perché poi la manovalanza è islamica? Opera nostra, anche quella: a partire da Yalta, dalla scelta di non dare uno Stato ai palestinesi.Una decisione fatale, dice Carpeoro, che determinò il ritiro dalla scena della componente più ispirata del mondo esoterico occidentale, la “fratellanza” dei Rosacroce, delusa dal patto di spartizione mondiale firmato da Roosvelt, Churchill e Stalin. Attorno alla “leggenda storicamente accaduta” dei Rosacroce, di cui è un grande studioso, Carpeoro ha scritto anche un romanzo, “Il volo del Pellicano”, edito da Melchisedek. Avvocato e giornalista (all’anagrafe, Gianfranco Pecoraro), Carpeoro è stato gran maestro della massoneria più “indipendente” (33esimo grado del Rito Scozzese), a capo di una comunione massonica auto-scioltasi per scongiurare pericolose infiltrazioni di potere. Ai Rosacroce si sarebbero ispirate correnti “deviate” fino al satanismo e vicinissime alla super-élite del massimo potere, quella della “sovragestione” degli “uomini che si credono Dio”. Di ben altra caratura, invece, i veri Rosacroce, il cui ultimo “Ormùs” fu il pittore Salvador Dalì, con accanto personaggi come Picasso, Erik Satie, Jean Cocteau, il regista moldavo Emil Loteanu. Era stata proprio la “paramassoneria” di potere, scrive Carpeoro, a sabotare – a Yalta – il grande progetto rosacrociano per il dopoguerra: pace in Medio Oriente. Vinsero gli altri, i protagonisti delle future Ur-Lodges: niente pace, meglio la guerra. Opportuno, quindi, coltivare i focolai dell’odio, partendo proprio dalla Palestina, in mezzo agli emirati del petrolio.«Il tutto – scrive Carpeoro – si concluse con la istituzione del solo Stato di Israele». Sicché, «non risulta niente affatto avventato definire tale esito come la premessa del sorgere di un progenitore del neoterrorismo islamico, e cioè quello palestinese, nella prima versione dell’Olp». Dal Medio Oriente all’Italia: «Altrettanto accadde in occasione dell’omicidio del povero Enrico Mattei, reo di voler sottrarre il mondo del petrolio arabo alla gestione economica, ma anche culturale, della lobby delle Sette Sorelle, in nome della sua formazione socialista, scarsamente sensibile al perpetuarsi del potere di certi sceicchi e califfi». Tessere di un mosaico, nemico della democrazia, da sud a nord: «Il progetto europeo di caratura liberalsocialista veniva definitivamente sabotato tramite l’omicidio del suo leader politico e spirituale Olof Palme, mettendo le basi di questa disgraziata Europa attuale, burocratica e disumana, unione solo di banche e burocratica distruttrice di economie produttive a favore di una finanza ormai astratta, estranea da ogni legittima aspirazione di popoli e individui». E dopo la Svezia, la “sovragestione” colpì di nuovo in terra d’Israele con l’omicidio del leader ebreo Rabin, «protagonista di una pax massonica, stavolta nel senso autentico, in Medio Oriente, che tanto aveva preoccupato i Signori della Guerra e del Terrore».Come dire: solo gli sprovveduti possono pensare che il tragico carnevale dell’Isis nasca dal nulla. Passo su passo, di attentato in attentato, l’Occidente ha fabbricato «una polveriera che si chiama Islam», ma attenzione: «Darle questo nome è un abuso nei confronti della dottrina religiosa in questione», che infatti è stata «modificata, redatta, interpretata nell’ignoranza e nell’arretratezza, sponsorizzata dai satrapi del petrolio e dai potenti protetti dall’Occidente per incrementare odio e integralismo da utilizzare per la autoconservazione di un potere assoluto e cieco». Luoghi comuni: «Quando si dice Islam, automaticamente si pensa al mondo arabo, ma la logica delle divisioni etniche in questo caso non aiuta: il popolo turco non è arabo, quello afghano tanto meno, e neanche la quasi metà del popolo indiano islamico e di quello africano». In realtà, aggiunge Carpeoro, la grande religione islamica è stata «riadattata a strumento permanente di supporto a regimi politici integralisti e assoluti, neganti ogni diritto e ogni libertà democratica, fautori di sistemi sociali dove c’è chi ha tutto funzionalmente allo sfruttamento di chi non ha nulla». Solo così, quella religione «è diventata il collante di popolazioni quasi abbrutite dall’ignoranza e dal bisogno, tramite una rete di imam e presunti padri spirituali la cui presenza e la cui legittimazione era stata la prima cosa assolutamente proibita dal Profeta».I veri leader islamici sono stati emarginati, e la parte sana delle popolazioni travolte dal terremoto è «dormiente e passiva di fronte a questo scempio». E siamo ai giorni nostri: «Ecco che dalla disperazione del popolo palestinese, dai flagelli vari, siccità, malattie, povertà del popolo africano, dalle drammatiche divisioni tra popoli asiatici nasce e si diffonde una vera e propria figura antropologica: il terrorista». Al terrorista, per decine di anni, «viene offerta la prospettiva simbolica che gli ha consentito di accettare il rischio di sacrificare la sua vita: il riscatto sociale». E i terroristi di oggi, annidati nelle nostre città che si vantano si realizzare una vera integrazione? «Quella che noi chiamiamo “integrazione” è stata solo la trasmissione di schemi consumistici e disumanizzanti», sostiene Carpeoro. Questo processo, è vero, «ha soppiantato il potenziale esplosivo del vecchio terrorismo», ma ne ha anche fatto impallidire le motivazioni sociali e politiche, che almeno ne consentivano la comprensione, mantenendo «un minimo di possibilità di recupero umano e sociale».Ora è tardi: «Aiutata dalla sapiente diffusione di nuove droghe raffinate e di ulteriori adattamenti snaturanti della religione islamica, la mutazione antropologica del terrorista si è ulteriormente evoluta: da esseri comunque umani a macchine del terrore». L’Isis, appunto: uomini «addestrati e resi dipendenti da varie droghe in campi adeguatamente finanziati e organizzati». Questo esercito di neoterroristi «è oggi pronto a spargersi nelle nostre città come metastasi di un carcinoma, e noi siamo impotenti». Ma attenzione: «E’ un esercito “sovragestito”, anche se dubito molto che chi ne fa parte ne sia consapevole». Sono temi che lo stesso Carpeoro approfondirà in un saggio che si annuncia esplosivo, “Dalla massoneria al terrorismo”, che uscirà in autunno per i tipi di Uno Editori. Si scrive Isis, ma si legge “sovragestione”. Il problema siamo noi, il nostro sistema: che va radicalmente bonificato nella sua struttura occulta di potere. «La vera scommessa dell’Occidente è la nascita di un Neoumanesimo».Si credono Dio, anziché ricercare la propria spiritualità. Non sono più degli iniziati, ma dei contro-iniziati. Per il massone Gianfranco Carpeoro, è questa la profonda motivazione psicologica che spinge gli uomini del vertice-ombra dell’Occidente a organizzare il terrorismo più spietato, ieri affidato ad Al-Qaeda e oggi all’Isis. L’obiettivo strategico non cambia: mantenere il potere in pochissime mani, a qualsiasi costo, utilizzando l’intelligence per “fabbricare” leader islamisti adatti a reclutare kamikaze, figli di un mondo devastato dai dominus occidentali. Carpeoro la chiama “sovragestione”, ed è la chiave per capire di che morte stiamo morendo. I boss occulti della “sovragestione”? Si tratta di «un ristretto numero di persone, che fanno parte della finanza e della politica internazionale». A loro volta, «manovrano pezzi di governi, di amministrazioni, di servizi segreti, logge massoniche o paramassoniche, strutture religiose di varia estrazione, istituzioni bancarie, esponenti dell’economia o dell’imprenditoria». La struttura ricorda quella della ‘ndrangheta: «Una rete ad anelli, dove la regola aurea viene ampiamente rispettata: ogni anello conosce solo e soltanto l’anello che gli è immediatamente superiore e quello che gli è immediatamente inferiore e nulla più».
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Hillary o Trump, l’agenda del dopo-Obama la detta l’élite
Sta’ a vedere che alla fine vince Trump. Ma non “da solo contro tutti”, bensì appoggiato da una poderosa quota di establishment, in base a un piano preciso: la rinascita industriale degli Usa, rimpatriando le imprese delocalizzate, e il patto con la Russia di Putin per il rialzo del prezzo del petrolio, che converrebbe a entrambi e ai loro alleati, a cominciare dai sauditi. Lo scrive Pepe Escobar, cogliendo informazioni riservate provenienti dallo staff elettorale di Trump. Punto di partenza, la crescente insofferenza (anche di parte dell’élite) nei confronti della Clinton, vista come “protesi” di Wall Street. «Potenti interessi economici che supportano con discrezione Trump – lontano dal circo mediatico – sono convinti che questi sia in possesso della mappa per giungere alla vittoria», scrive Escobar. Il messaggio vincente? La denuncia della distruzione del comparto industriale statunitense e il crollo dei salari dovuto all’importazione illegale di lavoro «da nazioni dove gli stipendi valgono una manciata di dollari». Di mezzo c’è anche l’industria bellica, esportata oltre il Pacifico, cioè in zone controllate da russi e cinesi. Industrie che «vanno rimpatriate immediatamente».Quindi, scrive Escobar in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”, Trump dovrebbe sfruttare il messaggio che il credito bancario vada legato alla ricostruzione della moribonda industria statunitense, «alzando i dazi o sfruttando i cambi di valuta». I sostenitori di Trump puntano il dito contro il credito bancario: «Non dovrebbe essere utilizzato per facilitare la manipolazione dei valori delle Borse. Non dovrebbe esserci credito per la speculazione e assolutamente per gli hedge fund. Bisogna sbarazzarsi di questi mezzi speculativi alzando le tasse sugli introiti a breve termine dati dal trading, interrompendo i vantaggi fiscali sui prestiti e bloccando il credito a favore della speculazione». Questo spiega bene l’avversione viscerale di Wall Street nei confronti di Trump, da Bloomberg a Lloyd Blankfein, il boss di Goldman Sachs. «Chiunque conosca Wall Street – scrive Escobar – sa bene che ogni mercato, ogni bene e ogni indice viene manipolato da grossi movimenti di fondi». I sostenitori di Trump insediati a New York indicano i veri avversari da abbattere: «Dovremmo fare in modo che i Carl Icahan e i George Soros si trovino un vero lavoro, ultratassando i loro profitti derivanti da speculazione».E insistono: «In questa nazione ci servono gli Henry Ford che creino industrie, non i saccheggiatori di Wall Street che si arricchiscono come hanno fatto nel 2008, per poi ritrovarsi a utilizzare il loro peso per far coprire i buchi alla politica, mentre milioni di cittadini venivano buttati fuori dalle loro case». Secondo questa tabella di marcia, la lotta all’immigrazione illegale e alle speculazioni finanziarie creerebbe un “rinascimento industriale” negli Usa, per ricostruire tutte le Detroit che stanno andando allo sfascio. La strategia: «Sostituire milioni di lavoratori immigrati con milioni di disoccupati statunitensi», che sarebbero almeno il 23% della popolazione adulta. Alcune di queste idee sono già entrate nel programma economico annunciato da Trump, aggiunge Escobar. Ce la farà? I sondaggi puntano ancora alla Clinton, ma i sostenitori di Trump non si fidano, dicono che sono manipolati. E poi c’è l’isteria anti-russa che ormai galoppa. Hillary ha paragonato Putin a Hitler, mentre Trump ripete di essere pronto a fare affari con Mosca, cominciando con un’azione congiunta per sbarazzarsi dell’Isis. Falso problema, la Russia: chiunque sarà alla Casa Bianca dopo Obama, farà davvero un accordo strategico coi russi.Lo afferma «una fonte vicina ai piani dei Veri Padroni dell’Universo», riferisce Escobar. Fonte che va dritta al punto: «Per quanto riguarda la Russia, la decisione viene dall’alto, dove è in corso la battaglia. La decisione viene presa sopra le teste di Hillary e Donald: se Hillary verrà eletta le verrà imposto di riprendere i contatti, in caso così venga deciso. Se vincerà Trump è semplice. In caso non venisse eletto, allora la mancata elezione verrà comunque utilizzata come catalizzatore per un cambio di politica nei confronti della Russia. La vera guerra è dietro le quinte». Così come per le manipolazioni sulle valute, che «verranno impedite», e per la fine della “guerra del petrolio”, venduto finora a prezzi stracciati per colpire la Russia. Come dicono i sostenitori di Trump, «è un obiettivo nazionale degli Usa, perché un valore di mercato più alto renderebbe gli Stati Uniti stessi indipendenti dal punto di vista energetico. Ciò è parte significativa della rivoluzione di Trump». Secondo fonti vicine alla leadership dell’Arabia Saudita, aggiunge Escobar, sauditi e russi hanno già avviato un pre-negoziato sulla crescita del prezzo del greggio fino ai 100 dollari al barile. Il Pentagono non potrebbe opporsi, perché, dice un sostenitore di Trump, «è negli interessi del complesso militare-industriale raggiungere l’obiettivo di una totale indipendenza energetica e rimpatriare tutte le industrie belliche sul territorio nazionale».Escobar non si sbilancia: «Non ci sono prove che questo programma tanto ambizioso e controverso possa essere venduto agli strateghi di Jp Morgan o ai fratelli Koch. Trump che crea un partito trasversale o addirittura un movimento che trascenda i partiti potrà funzionare solo se membri di peso delle élite di potere lo sosterranno, altrimenti è impossibile che ciò accada». Quello che invece continua senza sosta è «una campagna di disinformazione di massa, un bel remix delle valanghe antisovietiche della prima guerra fredda: la Macchina dei Media della Clinton sta addirittura attaccando Michael Flynn, ex capo della Dia, che supporta Trump», dopo aver sostenuto che Obama e la Clinton erano fondatore e co-fondatrice dell’Isis. La situazione, oggi: «Trump non sta raccogliendo abbastanza denaro per controbilanciare l’incredibile macchina dei soldi della Clinton». Se invece vincerà “The Donald”, vorrà dire che “qualcuno” l’avrà aiutato in modo determinante. Il vero potere, quello a cui il premier britannico Benjamin Disraeli alluse parlando con il nipote: «Vedi, mio caro Coningsby, il mondo è governato da personaggi molto differenti da quelli che si immagina chi non sta dietro le quinte».Sta’ a vedere che alla fine vince Trump. Ma non “da solo contro tutti”, bensì appoggiato da una poderosa quota di establishment, in base a un piano preciso: la rinascita industriale degli Usa, rimpatriando le imprese delocalizzate, e il patto con la Russia di Putin per il rialzo del prezzo del petrolio, che converrebbe a entrambi e ai loro alleati, a cominciare dai sauditi. Lo scrive Pepe Escobar, cogliendo informazioni riservate provenienti dallo staff elettorale di Trump. Punto di partenza, la crescente insofferenza (anche di parte dell’élite) nei confronti della Clinton, vista come “protesi” di Wall Street. «Potenti interessi economici che supportano con discrezione Trump – lontano dal circo mediatico – sono convinti che questi sia in possesso della mappa per giungere alla vittoria», scrive Escobar. Il messaggio vincente? La denuncia della distruzione del comparto industriale statunitense e il crollo dei salari dovuto all’importazione illegale di lavoro «da nazioni dove gli stipendi valgono una manciata di dollari». Di mezzo c’è anche l’industria bellica, esportata oltre il Pacifico, cioè in zone controllate da russi e cinesi. Industrie che «vanno rimpatriate immediatamente».
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La Germania: il Ttip è morto. Cremaschi: merito del Brexit
La notizia è volata anche sui media mainstream, telegiornali compresi: dopo Donald Trump, anche il numero due del governo tedesco, Sigmar Gabriel, leader dell’Spd che sorregge la super-coalizione (larghe intese) guidata da Angela Merkel, “boccia” senza appello il famigerato Ttip, cioè il Trattato Transatlantico sul commercio Usa-Ue sviluppato in anni di trattative segrete, condotte a porte chiuse dai responsabili delle principali 1500 lobby statunitensi ed europee, dietro il paravento della Casa Bianca e della Commissione Europea. Trattato che, come trapelato, avrebbe messo fine alle storiche garanzie europee sulla salute, la qualità dell’agricoltura, la sicurezza del cibo e le tutele sul lavoro, autorizzando le multinazionali a “piegare” al loro volere – con pensanti sanzioni – qualsiasi governo si opponesse al loro business. Sarebbe stata la fine dello Stato di diritto, sotto molti aspetti. Ma ora l’incubo sembra dissolversi: «Il governo tedesco dichiara morto il Ttip, grazie alla Brexit», scrive Giorgio Cremaschi, ricordando tra l’altro che il governo Renzi «era il più servile verso il terribile trattato», da approvare a scatola chiusa. Motivo in più per «votare No alla sua controriforma costituzionale».Il vicepremier della Germania Gabriel, socialdemocratico, ha dichiarato che il Ttip non si farà più, scaricando le responsabilità del fallimento del trattato sulle eccessive pretese degli Stati Uniti, per le loro multinazionali, scrive Cremaschi sulla sua pagina Facebook. «La verità è che dopo la Brexit i negoziati per il Ttip non sono neppure cominciati. Doveva esserci una sessione decisiva proprio alla fine di giugno e il nostro ministro Calenda si era sperticato sulla necessità di giungere ad un accordo. Il governo Renzi si era mostrato il più servile, il più colonizzato d’Europa». Francia e Germania invece «avevano già frenato sull’intesa». Ma il precedente accordo tra Canada e Ue, con molti dei contenuti del Ttip, «spingeva comunque verso il disastro». Poi, «per fortuna il popolo britannico ha votato No alla Ue ed è saltato tutto: grazie alla Brexit si sono fermati, a dimostrazione che il voto britannico è stato un grande segnale positivo per la libertà e i diritti dei popoli».Certo non è finita, ammette Cremaschi. Ma «il liberismo sfrenato del Ttip era troppo favorevole agli interessi delle multinazionali Usa: per questo quelle tedesche e francesi alla fine hanno festeggiato il suo fallimento». Ma questo, aggiunge l’ex leader sindacale Fiom, non vuol dire che «le aggressioni al lavoro, allo stato sociale e all’ambiente in Europa finiranno». I poteri economici e finanziari della Ue (e i loro politici di complemento) «continueranno a fare danni finché i popoli europei non li fermeranno». Intanto, però – grazie alla Brexit – «una catastrofe è stata evitata», sintetizza Cremaschi. «Ora dobbiamo evitarne un’altra: la distruzione della nostra Costituzione». Il fronte del Sì al referendum «è fatto dalle stesse forze e interessi che erano favorevoli al Ttip e che avevano demonizzato la Brexit». Sconfiggerli «sarà un passo avanti per l’Italia e l’Europa», visto che «i No dei popoli fanno bene alla democrazia».La notizia è volata anche sui media mainstream, telegiornali compresi: dopo Donald Trump, anche il numero due del governo tedesco, Sigmar Gabriel, leader dell’Spd che sorregge la super-coalizione (larghe intese) guidata da Angela Merkel, “boccia” senza appello il famigerato Ttip, cioè il Trattato Transatlantico sul commercio Usa-Ue sviluppato in anni di trattative segrete, condotte a porte chiuse dai responsabili delle principali 1500 lobby statunitensi ed europee, dietro il paravento della Casa Bianca e della Commissione Europea. Trattato che, come trapelato, avrebbe messo fine alle storiche garanzie europee sulla salute, la qualità dell’agricoltura, la sicurezza del cibo e le tutele sul lavoro, autorizzando le multinazionali a “piegare” al loro volere – con pensanti sanzioni – qualsiasi governo si opponesse al loro business. Sarebbe stata la fine dello Stato di diritto, sotto molti aspetti. Ma ora l’incubo sembra dissolversi: «Il governo tedesco dichiara morto il Ttip, grazie alla Brexit», scrive Giorgio Cremaschi, ricordando tra l’altro che il governo Renzi «era il più servile verso il terribile trattato», da approvare a scatola chiusa. Motivo in più per «votare No alla sua controriforma costituzionale».
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Financial Times: è l’euro a minacciare la pace in Europa
Non illudetevi: l’Unione Europea non è affatto garanzia di pace. Quella, semmai, l’abbiamo vissuta – sappiamo a che prezzo – grazie alla pax nucleare della Guerra Fredda. Ma oggi, con l’Ue e in particolare l’Eurozona, l’Europa non è affatto un posto rassicurante. Lo afferma nientemeno che il “Financial Times”, in un editoriale firmato da John Plender. «Ora che la Gran Bretagna si distacca dall’Ue e il nazionalismo torna in voga in tutto il continente, il realismo ci chiede di affrontare un beneamato quanto esagerato mito su questa costruzione sovranazionale – vale a dire il mito secondo il quale il grandioso piano europeo avrebbe tenuto lontano i conflitti per decenni». Vero, i “padri fondatori” hanno imbrigliato gli Stati nazionali in una rete sempre più fitta di relazioni economiche «con l’obiettivo nascosto di garantire la pace», fino a spingere l’allora ministro degli esteri francese Robert Schuman, uno dei massimi architetti della neo-oligarchia europea, a dire che l’obiettivo era quello di rendere la guerra «non solo impensabile, ma anche materialmente impossibile». Ma fare le cose “di nascosto” ha un costo: «Questo modo di procedere ha ispirato nell’élite politica europea un atteggiamento di profonda irriverenza verso l’opinione pubblica e verso il processo democratico, non da ultimo verso i referendum che portano a risultati “sbagliati”».Questa, scrive Plender (la traduzione è di “Voci dall’Estero”) è una componente importante del risentimento che sta dietro l’ascesa dei partiti populisti di destra nell’Ue. E anche l’affermazione che la progressiva interdipendenza economica abbia fatto scomparire le antiche rivalità in Europa «non è solo fantasiosa ma si basa su un fraintendimento della relazione tra economia e sicurezza nazionale». L’idea che il commercio porti la pace risale almeno al 1700, quando Montesquieu, nel saggio “De L’Esprit Des Lois”, sosteneva che il desiderio di guadagno economico può frenare le passioni distruttive. «Questo pensiero attraversò la Manica e prese forma nell’internazionalismo liberale sostenuto da Richard Cobden, anti-imperialista e liberomercatista inglese del diciannovesimo secolo». Il culmine arrivò nel 1910 con la pubblicazione di “The Great Illusion” di Norman Angell, un politico britannico che sosteneva che i costi economici di una vittoria in guerra sono decisamente superiori ai guadagni. «Molti ne trassero la conseguenza che la guerra era futile e, in futuro, sarebbe diventata improbabile. Ma la disillusione arrivò nel 1914».L’idea che l’interdipendenza economica freni l’aggressione militare, continua l’analista del “Financial Times” si è dimostrata, nonostante questo, tenace. E’ presente anche nelle dichiarazioni ufficiali del Wto e convince ancora molti accademici, tra cui l’economista Robert Shiller di Yale, vincitore del Premio Nobel. «L’interdipendenza economica fa sicuramente aumentare i costi economici di un conflitto», ammette Plender. «Eppure ci sono altri fattori che spiegano meglio la pace post-bellica». Esempio: «Nel pericoloso contesto nucleare dell’immediato dopoguerra, l’esistenza di un nemico comune durante la Guerra Fredda ha aiutato a unire Francia e Germania. L’assopimento delle rivalità tra paesi è stata facilitata anche dall’egida militare statunitense. Soprattutto la Germania, che aveva sofferto due sconfitte impressionanti in due guerre mondiali di seguito, non aveva molta intenzione di tirarsi dentro una ulteriore catastrofe».Oggi in Europa la guerra non è ancora alle porte: «Per i partiti populisti, gli attuali nemici sono la globalizzazione, l’immigrazione, Bruxelles e altre minacce all’identità nazionale». Ma attenzione: «Nel duro mondo fuori dall’Ue, c’è ben poco che suggerisca che l’interdipendenza economica sia un potente freno all’aggressione militare». Inoltre, la più pesante interazione tra politica ed economia all’interno dell’Ue è quella che riguarda l’Eurozona, e con risultati catastrofici: «Qui l’interdipendenza economica si sta dimostrando la strada verso un attrito sempre maggiore. In effetti l’antico equilibrio del potere politico in Europa è stato incorporato all’interno di una unione monetaria instabile, con la differenza che la Germania è emersa come paese egemone, e ha insistito sull’austerità per tutta la durata della crisi dell’Eurozona, mentre continuava ad accumulare surplus da record delle partite correnti. In assenza di una vera infrastruttura – una politica fiscale comune, una vera unione bancaria, la mutualizzazione dei titoli del debito – una moneta unica è diventata solo un meccanismo per produrre squilibri». Oggi, l’unione monetaria è il problema numero uno. E l’élite che l’ha imposta «dovrebbe ricordarsi quanto spesso, nella storia europea, l’identità è venuta prima degli interessi».Non illudetevi: l’Unione Europea non è affatto garanzia di pace. Quella, semmai, l’abbiamo vissuta – sappiamo a che prezzo – grazie alla pax nucleare della Guerra Fredda. Ma oggi, con l’Ue e in particolare l’Eurozona, l’Europa non è affatto un posto rassicurante. Lo afferma nientemeno che il “Financial Times”, in un editoriale firmato da John Plender. «Ora che la Gran Bretagna si distacca dall’Ue e il nazionalismo torna in voga in tutto il continente, il realismo ci chiede di affrontare un beneamato quanto esagerato mito su questa costruzione sovranazionale – vale a dire il mito secondo il quale il grandioso piano europeo avrebbe tenuto lontano i conflitti per decenni». Vero, i “padri fondatori” hanno imbrigliato gli Stati nazionali in una rete sempre più fitta di relazioni economiche «con l’obiettivo nascosto di garantire la pace», fino a spingere l’allora ministro degli esteri francese Robert Schuman, uno dei massimi architetti della neo-oligarchia europea, a dire che l’obiettivo era quello di rendere la guerra «non solo impensabile, ma anche materialmente impossibile». Ma fare le cose “di nascosto” ha un costo: «Questo modo di procedere ha ispirato nell’élite politica europea un atteggiamento di profonda irriverenza verso l’opinione pubblica e verso il processo democratico, non da ultimo verso i referendum che portano a risultati “sbagliati”».
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Hitlery Clinton, dalla guerra fredda all’ecatombe atomica
La Guerra Fredda iniziò durante l’amministrazione Truman e durò durante le amministrazioni Eisenhower, Kennedy, Johnson, Nixon, Ford e Carter. Terminò col secondo mandato di Reagan, quando lui e Gorbachev trovarono un accordo sul fatto che il conflitto era pericoloso, costoso e inutile. La Guerra Fredda però non cessò per molto tempo – la tregua durò solo dal secondo mandato di Reagan al mandato di George H. W. Bush [padre]. Negli anni ’90 il presidente Clinton riavviò la Guerra Fredda infrangendo la promessa che l’America aveva fatto di non espandere la Nato nell’Europa dell’est. George W. Bush [figlio] riattizzò la nuova Guerra Fredda ritirando gli Stati Uniti dal Trattato Abm (anti missili balistici), e Obama proseguì su quella via con una retorica irresponsabile, posizionando i missili statunitensi a ridosso del confine russo e appoggiando il rovesciamento del governo ucraino. La Guerra Fredda fu una creazione di Washington. È stato il lavoro dei fratelli Dulles. Allen era a capo della Cia, John Foster era Segretario di Stato, posizioni che essi detennero per lungo tempo.I fratelli Dulles avevano degli interessi personali nella Guerra Fredda. Usarono la Guerra Fredda per difendere gli interessi dei clienti del loro studio legale e per aumentare il potere e il bilancio legato alle loro posizioni all’interno del governo. È decisamente interessante essere gli incaricati della politica estera e delle attività segrete durante periodi pericolosi. Ogni volta che un governo democratico riformista appariva in America Latina, i fratelli Dulles lo vedevano come una minaccia alle partecipazioni azionarie che i clienti del loro studio legale avevano in quel dato paese. Queste partecipazioni, talvolta acquisite tramite tangenti versate a governi non democratici, dirottavano le ricchezze e le risorse dei diversi paesi verso mani americane, e l’obiettivo dei fratelli Dulles era proprio di continuare a fare in modo che fosse così. Il governo riformista veniva a quel punto definito marxista o comunista, e la Cia e il Dipartimento di Stato collaboravano per rovesciarlo e riportare al potere qualche dittatore compiacente a Washington. La Guerra Fredda era insensata, eccetto che per gli interessi dei Dulles e del complesso militare.Il governo sovietico, al contrario del governo americano di oggi, non aveva aspirazioni all’egemonia globale. Stalin aveva dichiarato la dottrina del “socialismo in un solo paese” e si era liberato dei trotskysti, che volevano una rivoluzione a livello mondiale. Il comunismo in Cina e nell’Europa dell’est non erano prodotti dal comunismo internazionale sovietico. Mao era il padrone di se stesso, e l’Unione Sovietica mantenne l’Europa dell’est, che l’Armata Rossa aveva liberato dai nazisti, come zona cuscinetto contro un Occidente ostile. A quei tempi il termine “red scare” [“paura rossa”] era usata un po’ come la “paura del terrorismo musulmano” oggi – per spingere l’opinione pubblica ad allinearsi a un certo programma che non capisce, e senza che ci sia un dibattito. Considerate la costosa guerra in Vietnam, per esempio. Ho Chi Minh era un anticolonialista che guidava un movimento nazionalista. Non era un agente del comunismo internazionale, ma John Foster Dulles lo rese tale e disse che Ho Chi Minh doveva essere fermato o ci sarebbe stato un “effetto domino” che avrebbe portato alla caduta di tutto il sud-est asiatico verso il comunismo. Il Vietnam vinse la guerra e non lanciò affatto l’aggressione al sud-est asiatico che Dulles aveva previsto.Ho Chi Minh aveva implorato sostegno dal governo Usa contro il potere coloniale francese che dominava l’Indocina. Di fronte ad un rifiuto, Ho Chi Minh si rivolse alla Russia. Se Washington avesse semplicemente fatto presente al governo francese che il tempo del colonialismo era finito e la Francia doveva andarsene dall’Indocina, si sarebbe evitato il disastro della guerra in Vietnam. Ma gli spauracchi delle minacce inventate servivano ai gruppi d’interesse ieri come oggi, e Washington, come molti altri, fu succube dei propri mostri immaginari. La Nato non serviva perché non c’era nessun pericolo di un’invasione dell’Armata Rossa verso l’Europa occidentale. Il governo sovietico aveva già abbastanza problemi ad occuparsi dell’Europa dell’est e delle sue popolazioni ribelli. L’Unione Sovietica si trovò alle prese con una sollevazione nella Germania dell’Est nel 1953, poi in Polonia e Ungheria nel 1956, e poi da parte dello stesso partito comunista in Cecoslovacchia nel 1968. L’Unione Sovietica aveva sofferto un’enorme perdita demografica nella Seconda Guerra Mondiale e aveva bisogno di tutta la forza lavoro che le restava per la ricostruzione post-bellica. Era ben oltre le capacità sovietiche occupare l’Europa occidentale dopo avere occupato quella orientale.I partiti comunisti in Francia e in Italia erano forti nel periodo post-bellico, e Stalin poteva sperare che un governo comunista in Francia o in Italia spezzasse l’impero europeo stabilito da Washington. Questa speranza fu cancellata dalla Operazione Gladio. La Guerra Fredda ci fu perché serviva agli interessi dei fratelli Dulles e al potere e ai profitti del complesso militare. Non c’erano altre ragioni per la Guerra Fredda. La nuova Guerra Fredda è ancora più insensata della precedente. La Russia stava cooperando con l’Occidente, l’economia russa è integrata con quella occidentale come fornitore di materie prime. La politica economica neoliberale che Washington è riuscita a far implementare al governo russo era orientata a mantenere l’economia russa nel ruolo di fornitore di materie prime verso l’Occidente. La Russia non aveva espresso alcuna ambizione di ampliamento territoriale e aveva investito molto poco in spese militari. La nuova Guerra Fredda è il prodotto di una manciata di fanatici neoconservatori che credono che la storia abbia scelto gli Stati Uniti come potere egemone sul mondo intero. Alcuni di questi neocon sono figli di ex-trotskysti che hanno la stessa idea romantica di rivoluzione mondiale, solo che questa volta sarebbe una rivoluzione “democratico-capitalista” e non comunista.La nuova Guerra Fredda è ben più pericolosa della precedente, perché le rispettive dottrine di guerra delle potenze nucleari sono cambiate. La funzione delle armi nucleari non è più quella di rappresaglia. La certezza di una distruzione reciproca era la garanzia che quelle armi non sarebbero state usate. Nella nuova dottriva di guerra, le armi nucleari sono state elevate a strumento di attacco preventivo. Washington ha fatto questo passo per prima, costringendo la Russia e la Cina a seguirla. La nuova Guerra Fredda è ancora più pericolosa per un altro motivo. Durante la prima Guerra Fredda, i presidenti americani si concentravano sulla riduzione delle tensioni tra le potenze nucleari. Ma oggi Clinton, George W. Bush e Obama hanno fatto aumentare drammaticamente le tensioni. William Perry, segretario alla Difesa nell’amministrazione Clinton, ha parlato recentemente di pericoli di guerre nucleari lanciate per errore a causa di difetti nei circuiti dei computer.Per fortuna, quando situazioni di questo genere si sono verificate in passato, l’assenza di tensioni nelle relazioni tra potenze nucleari ha fatto in modo che le autorità delle due parti riconoscessero i falsi allarmi. Oggi però, con le continue accuse di imminenti invasioni russe, la demonizzazione di Putin come “nuovo Hitler”, e l’incremento delle forze militari Usa e Nato attorno ai confini russi, i falsi allarmi rischiano di essere creduti. La Nato ha cessato il suo scopo quando è crollata l’Unione Sovietica. Però ormai troppe carriere, troppi soldi a bilancio e troppi profitti sugli armamenti dipendenvano dalla Nato. I neoconservatori allora presero la Nato come un pretesto politico e un ausilio militare per le proprie ambizioni egemoniche. Lo scopo della Nato oggi è di coinvolgere tutta l’Europa nei crimini di guerra statunitensi. Dato che sono tutti colpevoli, i governi europei non possono più rivoltarsi contro Washington e accusare gli americani di crimini di guerra.Le altre voci in campo sono troppo deboli per avere delle conseguenze. Nonostante i suoi tanti crimini contro l’umanità, l’Occidente è ancora nella posizione di “luce del mondo”, difensore della verità, della giustizia, dei diritti umani, della democrazia e delle libertà individuali. Questa reputazione resiste nonostante la distruzione della Dichiarazione dei Diritti Usa e la repressione dello stato di polizia. L’Occidente non rappresenta affatto i valori che il mondo è stato forzato (col lavaggio del cervello) a credere che siano associati all’Occidente. Per dirne una, non c’era alcun motivo di attaccare con le armi atomiche i civili nelle città giapponesi, nel 1945. Il Giappone stava cercando di arrendersi e stava solo resistendo alla richiesta Usa di una resa incondizionata al fine di salvare il proprio imperatore dall’esecuzione per crimini di guerra, sui quali egli non aveva controllo. Come i sovrani britannici oggi, l’imperatore del Giappone non aveva potere politico ed era solo simbolo di unità nazionale. I condottieri giapponesi avevano paura che l’unità giapponese si sarebbe dissolta se l’imperatore, simbolo di quell’unità, fosse stato deposto.Certo, gli americani erano troppo ignoranti per capire la situazione, e così il piccolo Truman, che per tutta la vita era stato canzonato come una nullità, si glorificò del proprio potere e fece sganciare le bombe. Le bombe atomiche gettate sul Giappone erano potenti. Ma le bombe all’idrogeno che sono venute dopo sono ancora più potenti. L’uso di tali armi potrebbe distruggere la vita sulla Terra. Donald Trump ha detto ha detto l’unica cosa su cui sperare in tutta la campagna presidenziale. Ha messo in discussione la Nato e il conflitto orchestrato con la Russia. Non sappiamo se possiamo credergli e se un suo eventuale governo seguirebbe questa direzione. Ma sappiamo che “Hitlery” [neologismo che unisce il nome di Hillary Clinton a Hitler, NdT] è una guerrafondaia, un agente dei neoconservatori, del complesso militare, della lobby israeliana, delle banche “troppo grandi per fallire”, di Wall Street, e di qualsiasi interesse estero che dà mega-milioni di dollari di donazioni alla fondazione Clinton o un quarto di milione di dollari per un suo discorso.“Hitlery” ha dichiarato che il presidente russo è la più grande minaccia – il “nuovo Hitler”. Si potrebbe essere più chiari di così? Un voto a “Hitlery” è un voto per la guerra. Nonostante questo sia più che ovvio, i media statunitensi, a reti unificate, stanno facendo tutto ciò che è in loro potere per abbattere Trump e far eleggere “Hitlery”. Tutto ciò cosa ci dice sull’intelligenza del “Unipower”, “l’unica superpotenza del mondo”, il “popolo indispensabile”, la “nazione eccezionale”? Ci dice che sono scemi come la m**da. Gli americani, creature della “Matrix” creata dai loro propagandisti, vedono minacce immaginarie e non vedono quelle reali. Ciò che i russi e i cinesi vedono è un popolo troppo indottrinato e ignorante per essere di alcun aiuto nella pace. Vedono la guerra che arriva e si stanno preparando.(Paul Craig Roberts, “Ripensare la guerra fredda”, dal blog di Craig Roberts dell’11 agosto 2016, tradotto e ripreso da “Voci dall’Estero”. Economista e autorevole editorialista statunitense, Roberts è stato sottosegretario al Tesoro di Ronald Reagan).La Guerra Fredda iniziò durante l’amministrazione Truman e durò durante le amministrazioni Eisenhower, Kennedy, Johnson, Nixon, Ford e Carter. Terminò col secondo mandato di Reagan, quando lui e Gorbachev trovarono un accordo sul fatto che il conflitto era pericoloso, costoso e inutile. La Guerra Fredda però non cessò per molto tempo – la tregua durò solo dal secondo mandato di Reagan al mandato di George H. W. Bush [padre]. Negli anni ’90 il presidente Clinton riavviò la Guerra Fredda infrangendo la promessa che l’America aveva fatto di non espandere la Nato nell’Europa dell’est. George W. Bush [figlio] riattizzò la nuova Guerra Fredda ritirando gli Stati Uniti dal Trattato Abm (anti missili balistici), e Obama proseguì su quella via con una retorica irresponsabile, posizionando i missili statunitensi a ridosso del confine russo e appoggiando il rovesciamento del governo ucraino. La Guerra Fredda fu una creazione di Washington. È stato il lavoro dei fratelli Dulles. Allen era a capo della Cia, John Foster era Segretario di Stato, posizioni che essi detennero per lungo tempo.
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Ma quest’Europa è da cestinare: partiti, prendetene atto
Non basta l’evocazione di Ventotene per resuscitare il sogno europeo, messo nero su bianco dall’antifascista Altiero Spinelli, insieme a Ernesto Rossi e Ursula Hirschmann, con prefazione di Eugenio Colorni. Doveva essere l’antidoto naturale contro gli opposti appetiti truccati da nazionalismi. Né basta una location tutt’altro che casuale – il ponte della portaerei Garibaldi, nave intitolata all’eroe cosmopolita dell’unificazione italiana – per dare credibilità alle promesse di Angela Merkel, François Hollande e Matteo Renzi. «Il meeting ha voluto provare al mondo che il “sogno europeo” non è morto e che andrà avanti, nonostante il Brexit». Eppure, scrive Marco Moiso, quelli che oggi si dicono protettori del progetto europeo «rischiano di diventare i carnefici del sogno europeo a causa della loro palesata incapacità di capire il significato, profondo, che quel sogno ha e potrebbe avere per il popolo europeo». Ovvero, il sogno di Spinelli: «Un’unione federale delle nazioni europee, gli Stati Uniti d’Europa, volta a creare una società libera dalla paura, dal bisogno e dalle costrizioni, in cui ci sia uguaglianza nelle opportunità di realizzazione personale e collettiva, e in cui sia diffuso un senso di fratellanza che vada oltre la diversità di razze, nazionalità e religioni».Vale a dire: l’esatto opposto del “mostro tecnocratico” rappresentato oggi dall’Ue, che per Moiso – esponente del Movimento Roosevelt fondato da Gioele Magaldi – va assolutamente archiviato e superato, varando una vera federazione paritaria da realizzare a qualsiasi costo, «tramite un’evoluzione dell’attuale Unione Europea o tramite la sua dissoluzione». Nulla di simile è in vista, però, stando alle velleitarie conversazioni che hanno avuto luogo a Ventotene, dove sono emerse soltanto proposte «contingenti al contesto politico attuale e completamente incapaci di ridisegnare il progetto europeo, per ridargli senso e finalità». Se infatti «è auspicabile identificare un gruppo di nazioni disposte a proseguire verso una federazione degli Stati europei», partendo quindi dai partner di maggior peso come appunto Francia, Italia e Germania, «non è certo con i temi dell’esercito, della difesa e del rigore finanziario che si possono riaccendere gli animi per far ripartire il processo di unificazione europea».L’unione federale delle nazione europee è un progetto ambizioso, insiste Moiso, «ed è con ambizione che bisogna affrontarlo, senza cedere a particolarismi nazionali e comprendendo la necessità e l’opportunità, nel 21° secolo, di un’unione politica, economica e sociale del vecchio continente». I futuribili Stati Uniti d’Europa? «Dovranno essere capaci di restituire dignità (economica e sociale) e sovranità (politica) al popolo europeo, rimettendo l’uomo al centro del confronto politico e ridando al Parlamento continentale – eletto tramite suffragio universale – il ruolo di legislatore, di fulcro del processo integrativo e della governance complessiva dell’Europa: ruolo oggi usurpato malamente dalla Commissione Europea e sciaguratamente da una Banca Centrale Europea asservita ad interessi privati». Soltanto attraverso una completa ridefinizione del ruolo e delle finalità degli “Stati Uniti d’Europa”, conclude Moiso, «il 21° secolo potrà vedere un’ulteriore evoluzione della società in senso democratico ed egualitario, su scala globale».Organismo meta-partitico sorto per sollecitare il “risveglio” dei partiti sui temi più strategici, il Movimento Roosevelt proprone «l’apertura di un cantiere, trasversale alle identità partitiche e movimentiste, che avrà la finalità di riscrivere la Costituzione Europea per rilanciare un progetto sinceramente democratico e social-liberale». Imposta come un approdo istituzionale necessario e non negoziabile, l’attuale Ue – rivelatasi un formidabile strumento di controllo geopolitico per ingabbiare l’Europa, bloccando lo sviluppo delle relazioni con Mosca dopo la caduta del Muro – è stata in realtà progettata come una struttura autoritaria e antidemocratica: un comitato d’affari dove migliaia di lobbisti condizionano la Commissione, le cui direttive – scritte sotto dettatura – esaudiscono i voleri delle maggiori multinazionali. Il capolavoro dell’Ue consiste nell’aver demolito la sovranità democratica neutralizzando l’autonomia finanziaria degli Stati, obbligati – con l’euro – a ricorrere al mercato anche per rifornirsi di moneta, strumento indispendabile per la pianificazione strategica dell’economia. E’ la morte dell’interesse pubblico, come spiega Paolo Barnard: lo Stato è costretto a ricorrere e prestiti, esattamente come fosse una famiglia o un’azienda.E senza più la minima capacità di investire, utilizzando lo strumento-chiave del deficit positivo (il debito pubblico che ha permesso lo sviluppo del dopoguerra, del quale stiamo ancora beneficiando – infrastrutture, servizi) lo Stato è costretto a tagliare e privatizzare i settori vitali del welfare e a super-tassare il settore privato, aggravando la crisi, come più volte sottolineato da economisti indipendenti del calibro di Nino Galloni: se persino la moneta è “privatizzata”, cioè non più a disposizione del bilancio in modo teoricamente illimitato, si innesca una spirale depressiva che si traduce nel disastro economico che stiamo vivendo, di cui – in ultima analisi – è vittima anche lo Stato, che vede costantemente diminuire il gettito fiscale, nonostante l’aumento esasperante delle imposte. L’Europa sta rischiando grosso: l’allarme viene dalla catastrofe della disoccupazione, dal Brexit, dall’emergere della protesta attraverso il crescente consenso popolare di cui godono i nuovi movimenti nazionalisti, ostili alla gestione monopolitica del potere da parte di Bruxelles. Riscrivere le regole, da zero: mission impossibile? L’ostacolo enorme è rappresentato dalla super-piramide del potere finanziario, il vero padrone dell’Ue. Primo passo, per il Movimento Roosevelt: cominciare almeno a “costringere” i partiti a prendere atto che, così, non si può più andare avanti.Non basta l’evocazione di Ventotene per resuscitare il sogno europeo, messo nero su bianco dall’antifascista Altiero Spinelli, insieme a Ernesto Rossi e Ursula Hirschmann, con prefazione di Eugenio Colorni. Doveva essere l’antidoto naturale contro gli opposti appetiti truccati da nazionalismi. Né basta una location tutt’altro che casuale – il ponte della portaerei Garibaldi, nave intitolata all’eroe cosmopolita dell’unificazione italiana – per dare credibilità alle promesse di Angela Merkel, François Hollande e Matteo Renzi. «Il meeting ha voluto provare al mondo che il “sogno europeo” non è morto e che andrà avanti, nonostante il Brexit». Eppure, scrive Marco Moiso, quelli che oggi si dicono protettori del progetto europeo «rischiano di diventare i carnefici del sogno europeo a causa della loro palesata incapacità di capire il significato, profondo, che quel sogno ha e potrebbe avere per il popolo europeo». Ovvero, il sogno di Spinelli: «Un’unione federale delle nazioni europee, gli Stati Uniti d’Europa, volta a creare una società libera dalla paura, dal bisogno e dalle costrizioni, in cui ci sia uguaglianza nelle opportunità di realizzazione personale e collettiva, e in cui sia diffuso un senso di fratellanza che vada oltre la diversità di razze, nazionalità e religioni».
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Nucleare-fantasma: bombe in 7 paesi europei, Italia inclusa
Ampiamente documentato: Belgio, Olanda, Germania, Italia e Turchia sono in possesso di armi nucleari che sono dispiegate contro la Russia, l’Iran e altri paesi del Medio Oriente. Lo scrive, su “Global Research”, il professor Michael Chossudovsky, economista dell’università canadese di Ottawa e prezioso osservatore internazionale. Durante i recenti sviluppi, a seguito del fallito colpo di Stato turco del luglio 2016, i media hanno riportato la notizia di armi atomiche, stoccate nella base di Incirlik. La difesa statunitense ha confermato il dispiegamento di 90 cosiddette armi tattiche B61, alcune delle quali sono state poi “decomissionate”. Lo stoccaggio e il dispiegamento delle bombe B61 in questi 5 paesi “non nucleari” ha come obiettivo il Medio Oriente, afferma Chossudovsky. Inoltre, in accordo con il “piano di attacco” predisposto dalla Nato, queste bombe termonucleari (capaci di penetrare e distruggere bunker sotterranei) possono essere lanciate «contro obiettivi come la Russia o nazioni del Medio Oriente, come Iran e Siria», scrive il National Resources Defense Council, nel rapporto “Nuclear Weapons in Europe”.Durante i recenti avvenimenti – scrive sempre Chossudovsky in una nota ripresa da “Come Don Chisciotte” – la stampa europea, inclusa “Deutsche Welle”, ha confermato il dispiegamento di 50 testate B61 nella base di Incirlik. Ma questo è risaputo moltissimo tempo. «Ci sono voluti 10 anni affinché i media riconoscessero che la Turchia (stato ufficialmente “non nucleare”) possedesse un numero non indifferente di testate nucleari». Le B61 stoccate a Incirlik sono “bombe a gravità” con testate nucleari di una capacità esplosiva di 170 chilotoni, cioè fino a 12 volte la potenza di quella di Hiroshima. «L’accuratezza sul numero esatto di bombe riportate dai media deve essere ancora verificata. Come sappiamo per certo, alcune bombe sono state decommissionate durante gli anni e altre sono state rimpiazzate da una loro versione più recente, tra cui i B61-11. Deve essere sottolineato il fatto che negli ultimi anni il Pentagono ha sviluppato una versione più avanzata del B61, chiamata B61-12, che è in linea per rimpiazzare le versioni vecchie attualmente stoccate in Europa e Turchia. Altre armi nucleari sono in progetto: una testata da un trilione di dollari viene in questo momento contemplata dal Pentagono».Addio al principio di deterrenza, dice Chossudovsky: «Queste cosiddette mini-bombe nucleari esistono per essere usate. Sotto il programma del Pentagono chiamato “Life Extension”, le B61 sono programmate per rimanere operative fino al 2025». Quindi la Turchia è a tutti gli effetti una potenza nucleare non dichiarata? «La risposta è sì, ma ciò si può dire anche di altre quattro nazioni europee: Belgio, Olanda, Germania e Italia, in quanto posseggono bombe B61 dispiegate sotto ordine governativo e aventi come obiettivo la Russia, il Medio Oriente e l’Iran», scrive sempre l’analista canadese. «Lontano dal rendere l’Europa più sicura e meno dipendente da armi nucleari, questo programma rischia di portare più armi nucleari sul suolo europeo e rendere più complicati i tentativi di disarmo multilaterale». Lo ha dichiarato persino l’ex segretario generale della Nato, George Robertson, in una dichiarazione ripresa da “Global Security” già nel 2010. Domande inevitabili: potrebbe l’Italia lanciare un attacco termonucleare? Possono i belgi e olandesi sganciare bombe all’idrogeno su obiettivi nemici? E ancora: può l’aviazione tedesca aver ricevuto un training per effettuare attacchi con bombe 13 volte più potenti di quella di Hiroshima?«Bombe nucleari sono conservate in basi aree in Italia, Belgio, Germania e Olanda», tutti paesi «dotati di forze aeree in grado di usarle», anche secondo “Time Magazine”. Potenze nucleari “fantasma”, accanto alle 5 ufficialmente riconosciute: gli Usa, in Europa la Gran Bretagna e la Francia, quindi la Russia e la Cina. Hanno tutte sottoscritto un trattato di non-proliferazione nucleare. Lo rispettano? Non sembra. Accanto a questi paesi, altre potenze – India e Pakistan, più la Corea del Nord (fuori dal trattato di non-proliferazione) sono state identificate come in possesso di armi nucleari. Tra i “fantasmi”, poi, Chossudovsky annovera anche Israele, «identificato come “Stato nucleare non-dichiarato”». In realtà, scrive il professore, Tel Aviv «produce e dispiega testate nucleari dirette contro obiettivi e militari nel Medio Oriente, inclusa Teheran». Ma, mentre il potenziale iraniano rimane non confermato, quello delle superpotenze atomiche è ben riconosciuto. E gli Usa, aggiunge Chossudovsky, «hanno fornito qualcosa come 480 B61, testate termonucleari», alle nazioni “amiche” e «ufficialmente “non nucleari”».Tra le cinque nazioni nucleari “fantasma”, poi, «la Germania rimane quella in assoluto più nuclearizzata, con tre basi (due delle quali pienamente operative) che potrebbero stoccare fino a 150 testate B61». In accordo con la Nato, queste armi tattiche sono puntate anche in Medio Oriente, scrive Chossudovsky. E la Germania – altra notizia – non è solo un vettore nucleare non dichiarato, ma «produce testate nucleari per la Marina francese». Oltre a ciò, la European Aeronautic Defense and Space Company (Eads) una joint venture franco-ispanico-tedesca controllata dalla Deutsche Aerospace e dal potente gruppo Daimler, «è il secondo più grande produttore di armi europeo, e vende i famosi missili nucleari francesi M51». Tutto questo, naturalmente, con il placet degli Stati Uniti.In altre parole, ignorando le regole dell’Aiea – l’agenzia nucleare delle Nazioni Unite – gli Usa «hanno attivamente contribuito alla proliferazione di armi nucleari». Tant’è vero che «parte integrante dell’arsenale europeo è la Turchia», con le sue 90 testate a Incirlik. Tutto questo – si domanda Chossudovsky – significa che Iran e Russia, potenziali obiettivi di attacco nucleare occidentale, dovrebbero contemplare un “contrattacco nucleare difensivo” contro Belgio, Germania, Olanda, Turchia e Italia? «La risposta è no, neanche ad immaginarlo». Il pericolo viene da una sola parte, la nostra, ribadisce il professore: le potenze nucleari non-dichiarate dell’Europa occidentale hanno continuato per anni a lanciare accuse di vario genere contro Teheran, senza alcuna prova documentata sul “nucleare iraniano”, quando inveve sono loro ad avere la capacità di lanciare un attacco nucleare contro l’Iran. Lo stesso dicasi per le continue minacce nei confronti della Russia di Putin. «Dire che questo è un chiaro esempio di “due pesi e due misure” da parte dell’Aiea e della solita “comunità internazionale” è dire poco».Ampiamente documentato: Belgio, Olanda, Germania, Italia e Turchia sono in possesso di armi nucleari che sono dispiegate contro la Russia, l’Iran e altri paesi del Medio Oriente. Lo scrive, su “Global Research”, il professor Michael Chossudovsky, economista dell’università canadese di Ottawa e prezioso osservatore internazionale. Durante i recenti sviluppi, a seguito del fallito colpo di Stato turco del luglio 2016, i media hanno riportato la notizia di armi atomiche, stoccate nella base di Incirlik. La difesa statunitense ha confermato il dispiegamento di 90 cosiddette armi tattiche B61, alcune delle quali sono state poi “decomissionate”. Lo stoccaggio e il dispiegamento delle bombe B61 in questi 5 paesi “non nucleari” ha come obiettivo il Medio Oriente, afferma Chossudovsky. Inoltre, in accordo con il “piano di attacco” predisposto dalla Nato, queste bombe termonucleari (capaci di penetrare e distruggere bunker sotterranei) possono essere lanciate «contro obiettivi come la Russia o nazioni del Medio Oriente, come Iran e Siria», scrive il National Resources Defense Council, nel rapporto “Nuclear Weapons in Europe”.
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Chi ha scattato quella foto ha sgozzato bambini palestinesi
Come tutte le guerre, quella contro la Siria dà luogo a una valanga di propaganda. E l’argomento dei bambini è sempre in auge. Così, all’inizio della guerra, il Qatar voleva dimostrare che la repubblica siriana, lungi dal servire l’interesse generale, disprezzava il popolo. La petro-dittatura ha allora trasmesso sulla sua catena televisiva “Al-Jazeera” la leggenda dei bambini di Deraa, torturati dalla polizia. Per illustrare la crudeltà del suo avversario, il Qatar precisava che erano state loro strappate le unghie. Naturalmente, nonostante le proprie ricerche, nessun giornalista ha trovato traccia alcuna di questi bambini. La “Bbc” ha pur trasmesso l’intervista con due di loro, ma avevano ancora le unghie. Siccome il mito era inverificabile, il Qatar ha poi lanciato una nuova storia: quella di un bambino, Hamza Ali Al-Khateeb (13 anni), che sarebbe stato torturato e castrato dalla polizia del “regime”. Questa volta si disponeva un’immagine probante. Tutti potevano vedere un corpo senza sesso. Peccato: l’autopsia dimostrava che il corpo era stato conservato male, che si era fermentato e gonfiato. Il ventre nascondeva il sesso del bambino, che stava ancora lì.Alla fine del 2013, i britannici si son fatti carico della guerra di propaganda. Dispongono di una lunga esperienza in questo campo e sono considerati gli inventori della propaganda moderna, durante la Prima Guerra Mondiale, con l’Ufficio della propaganda di guerra. Una delle caratteristiche dei loro metodi consiste nel ricorrere sempre agli artisti, perché l’estetica neutralizza lo spirito critico. Nel 1914, reclutarono i grandi scrittori dell’epoca – come Arthur Conan Doyle, HG Wells o Rudyard Kipling – per pubblicare testi che attribuissero dei crimini immaginari al nemico tedesco. Poi, reclutarono i proprietari dei loro principali giornali affinché riprendessero le informazioni immaginarie dei loro scrittori. Quando gli statunitensi ripresero il metodo britannico nel 1917 con il Comitato dell’Informazione Pubblica, studiarono più precisamente i meccanismi di persuasione, con l’aiuto di una star del giornalismo come Walter Lippmann e dell’inventore della moderna pubblicità, Edward Bernays (il nipote di Sigmund Freud). Ma, persuasi dal potere della scienza, si scordarono l’estetica.All’inizio del 2014, l’Mi6 britannico ha creato la società Innovative Communications & Strategies (InCoStrat) [Comunicazione e strategie innovative] a cui dobbiamo per esempio i magnifici loghi dei gruppi armati, dal più “moderato” al più “estremista”. Questa società, che ha uffici a Washington e a Istanbul, ha organizzato la campagna per convincere gli europei a raccogliere 1 milione di profughi. Ha realizzato la fotografia del giovane Aylan Kurdi, annegato su una spiaggia turca, ed è riuscita in appena due giorni a farla riprendere unanimemente dai principali quotidiani atlantisti in tutti i paesi della Nato e del Consiglio di cooperazione del Golfo. Ogni anno, prima della guerra, un centinaio di persone morivano annegate sulle spiagge turche, me nessuno ne parlava. E soprattutto, solo i giornali scandalistici mostravano cadaveri. Ma quella fotografia era così ben fatta … Così come avevo fatto notare che un corpo non può essere rigettato dal mare perpendicolarmente alle onde, il fotografo ha in seguito spiegato di aver spostato il cadavere per le esigenze della fotografia.La foto del piccolo Omran Daqneesh (5 anni), in un’ambulanza di Aleppo-Est è dunque accompagnata da un video. I due supporti visivi consentono di raggiungere sia la stampa scritta sia le televisioni. La scena è così drammatica che una presentatrice della “Cnn” non ha potuto impedirsi di piangere, nel vederla. Naturalmente, una volta che si riflette, il bambino non è preso in carico da soccorritori che gli prestino primi soccorsi, bensì da dei figuranti (i cosuddetti “White Helmets”, caschi bianchi) che lo fanno adagiare di fronte all’obiettivo. Gli sceneggiatori britannici fanno del bambino solo quel che loro interessa per realizzare le proprie immagini. Secondo la “Associated Press”, la fotografia è stata scattata da Mahmud Raslan, che si vede anche nel video. Tuttavia, secondo il suo account di Facebook, Raslan risulta essere membro di Harakat Nur al-Din al-Zenki (gruppo sostenuto dalla Cia, che gli ha fornito missili anticarro Bgm-71 Tow). Sempre secondo il suo account di Facebook, confermato da un altro video, è stato lui personalmente – il 19 luglio 2016 – a sgozzare un bambino palestinese, Abdullah Tayseer Al Issa (12 anni). Tuttavia Mahmud Raslan non ha tenuto il coltello del carnefice, ma con Umar Salkho ha condannato a morte Abdullah Tayseer al-Issa e ha organizzato la sua esecuzione pubblica. Le leggi europee disciplinano rigorosamente il ruolo dei bambini nella pubblicità. Evidentemente, non si applicano alla propaganda di guerra.(Thierry Meyssan, “Per Londra, la propaganda è un’arte”, da “Megachip” del 22 agosto 2016).Come tutte le guerre, quella contro la Siria dà luogo a una valanga di propaganda. E l’argomento dei bambini è sempre in auge. Così, all’inizio della guerra, il Qatar voleva dimostrare che la repubblica siriana, lungi dal servire l’interesse generale, disprezzava il popolo. La petro-dittatura ha allora trasmesso sulla sua catena televisiva “Al-Jazeera” la leggenda dei bambini di Deraa, torturati dalla polizia. Per illustrare la crudeltà del suo avversario, il Qatar precisava che erano state loro strappate le unghie. Naturalmente, nonostante le proprie ricerche, nessun giornalista ha trovato traccia alcuna di questi bambini. La “Bbc” ha pur trasmesso l’intervista con due di loro, ma avevano ancora le unghie. Siccome il mito era inverificabile, il Qatar ha poi lanciato una nuova storia: quella di un bambino, Hamza Ali Al-Khateeb (13 anni), che sarebbe stato torturato e castrato dalla polizia del “regime”. Questa volta si disponeva un’immagine probante. Tutti potevano vedere un corpo senza sesso. Peccato: l’autopsia dimostrava che il corpo era stato conservato male, che si era fermentato e gonfiato. Il ventre nascondeva il sesso del bambino, che stava ancora lì.
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Isis, cioè turchi e sauditi: guerra in Siria per un gasdotto
Lo sapevate che Steve Jobs, il guru della Apple, era figlio di un siriano immigrato negli Usa negli anni ‘50? E che il presidente Assad ha un consenso democratico superiore a quello di Obama? E ancora: chi sapeva che la principale fonte dei media occidentali sul conflitto siriano è un negozio di magliette in Inghilterra? «Non è uno scherzo», assicura “TheAntiMedia.org”. «Se seguite le notizie è probabile che abbiate sentito i media parlare di un’entità grandiosamente definita “Osservatorio Siriano per i Diritti Umani” (“Syrian Observatory for Human Rights”, Sohr)». Ebbene, questo cosiddetto “osservatorio” è gestito da una sola persona nella propria casa, a Coventry, a migliaia di chilometri di distanza dal conflitto siriano. «Eppure è definito come la fonte più rispettata dai media occidentali: “Bbc”, “Reuters”, “Guardian”». Le credenziali di questa persona? «Consistono nell’essere proprietario di un negozio di magliette nella stessa via della propria casa, nonché di essere un noto dissidente dell’attuale presidente siriano». E questa è solo una delle tante cose che i media mainstream non raccontano, del conflitto in Siria. Dove, a innescare la guerra, è stato il rifiuto di Assad di concedere il proprio territorio per un gasdotto che avrebbe collegato Arabia Saudita e Turchia.Lo scrive Darius Shahtahmasebi, in un post ripreso da “Zero Hedge” e rilanciato da “Voci dall’Estero” per illuminare le clamorose falle della narrazione ufficiale sulla guerra in Siria. Una notizia decisamente irrintracciabile, su giornali e televisioni, è il tasso di popolarità di Bashar Assad: «Dall’inizio del conflitto nel 2011 – scrove Shahtahmasebi – Assad ha sempre mantenuto il sostegno della maggioranza del suo popolo. Le elezioni del 2014 – dove Assad ha ottenuto una vittoria schiacciante, e osservatori internazionali hanno dichiarato che non ci sono stati brogli – è la prova del fatto che, sebbene Assad sia stato accusato di gravi violazioni dei diritti umani, continua a mantenere un’ampia popolarità presso il popolo siriano». Obama, dal canto suo, ha vinto le elezioni del 2012 con una maggioranza di appena il 53,6%, e con solo 129 milioni di cittadini recatisi alle urne. «Questo significa che circa 189,8 miliori di americani non hanno votato Obama». Il suo attuale tasso di approvazione è quindi attorno al 50%, inferiore a quello del “dittatore” Assad.Un’autentica barzelletta, continua Shahtahmasebi su “TheAntiMedia.org”, riguarda la famosa “opposizione moderata”: se mai c’è stata, non esiste più. «Il cosiddetto Libero Esercito Siriano sostenuto dall’Occidente è dominato da anni dalle forze estremiste. Gli Usa lo sanno già, eppure hanno continuato a sostenere l’opposizione siriana. Il “New York Times” nel 2012 ha riportato che la maggior parte degli armamenti spediti in Siria finivano nelle mani degli jihadisti». Un report riservato della Dia prediceva l’ascesa dell’Isis nel 2012: «Se la situazione si dipana – recitava testualmente il documento – è possibile che si stabilisca un principato Salafita, sia esso dichiarato o meno, nella Siria orientale. Questo è esattamente ciò che vogliono attualmente le forze dell’opposizione, per isolare il regime siriano». Inoltre, una testimonianza di un comandante del Libero Esercito Siriano mostra non solo l’ammissione che i suoi combattenti partecipano regolarmente ad azioni congiunte con al-Nusra (il braccio siriano di Al-Qaeda), ma anche che lui stesso spera di vedere la Siria governata dalla legge della Sharia.Altra super-montatura, quella dell’uso di armi chimiche da parte del regime nell’agosto 2013, che rischiò di innescare bombardamenti Nato: tra gli altri, un giornalista Premio Pulitzer come Seymour Hersh dimostrò che l’intelligence Usa era perfettamente al corrente dell’uso del gas Sarin da parte dei “ribelli”. Darius Shahtahmasebi ricorda che lo stesso generale Wesley Clark rivelò che, all’indomani dell’11 Settembre, il Pentagono aveva sviluppato un piano per rovesciare, in cinque anni, i governi di sette paesi: oltre alla Siria l’Iraq (invaso nel 2003), il Libano (attaccato da Israele nel 2006), la Libia (distrutta nel 2011), la Somalia (oggi sorvolata dai droni Usa) e il Sudan, smembrato nel 2011 al termine di una sanguinosa guerra civile. Nell’elenco degli Stati da abbattere era compreso anche l’Iran, che con la Siria ha un accordo di reciproca difesa stipulato nel 2005. Gioco pericoloso: con l’Iran sono schierate Russia e Cina. E l’intervento militare russo in Siria «dimostra che queste non sono vane minacce: il loro impegno ha seguito le loro parole».I media raccontano che l’Isis è nato in Siria? Sbagliato: il Califfato è nato come conseguenza dell’invasione statunitense in Iraq, dice Shahtahmasebi. Prima, l’Isis era noto come “Al-Qaeda in Iraq”, ed è diventato importante in seguito all’invasione Nato del 2003. «È ben noto che non c’era alcuna traccia tangibile di Al-Qaeda in Iraq prima di quella invasione, e per un motivo ben preciso: quando Paul Bremer ricevette il ruolo di inviato presidenziale in Iraq nel maggio 2003, dissolse le forze di polizia e l’esercito. Bremer licenziò quasi 400.000 uomini in servizio, tra cui ufficiali militari di alto rango che avevano combattuto nella guerra Iran-Iraq negli anni ’80. Questi ufficiali oggi detengono importanti posizioni all’interno dell’Isis. Se non fosse stato per l’azione statunitense, l’Isis probabilmente non sarebbe mai esistito». I suoi tagliagole oggi «sono diventati fondamentali nel programma occidentale di rovesciamento dei regimi in Libia e in Siria. Quando i vari gruppi iracheni e siriani affiliati ad al-Qaeda si sono uniti lungo il confine siriano nel 2014, ci siamo trovati con il gruppo terroristico che conosciamo oggi».Oltre al ruolo della Turchia di Erdogan nel fornire assistenza di ogni genere all’Isis in Siria, c’è poi un altro fondamentale retroscena: «Turchia, Qatar e Arabia Saudita volevano costruire un gasdotto lungo la Siria, ma Assad ha rifiutato». Ed ecco i guai. La storia comincia nel 2009, quando il Qatar propose di costruire una conduttura lungo la Siria e la Turchia per esportare il gas saudita, scrive Shahtahmasebi. «Assad rifiutò la proposta e formò al contrario un accordo con l’Iran e l’Iraq per costruire una conduttura verso il mercato europeo, che avrebbe tagliato fuori Turchia, Arabia Saudita e Qatar». Da allora, prosegue “TheAntiMedia.org”, questi paesi sono diventati forti sostenitori dell’opposizione siriana che voleva rovesciare Assad. «Complessivamente, hanno investito miliardi di dollari, prestato armamenti, incoraggiato la diffusione del fanatismo ideologico e hanno permesso il passaggio dei combattenti lungo i propri confini». Grazie alla resistenza di Assad sostenuto da Putin, la conduttura Iran-Iraq «rafforzerà l’influenza iraniana nella regione e minerà il suo rivale, l’Arabia Saudita, l’altro grande produttore Opec. Se avrà la capacità di trasportare gas verso l’Europa senza dover passare per gli alleati di Washington, l’Iran guadagnerà potere contrattuale e potrà negoziare accordi di escludano completamente gli Usa e il dollaro». Un mare di soldi: e questo, più di qualunque altro argomento, aiuta a capire meglio lo strano accanimento contro il governo di Damasco.Lo sapevate che Steve Jobs, il guru della Apple, era figlio di un siriano immigrato negli Usa negli anni ‘50? E che il presidente Assad ha un consenso democratico superiore a quello di Obama? E ancora: chi sapeva che la principale fonte dei media occidentali sul conflitto siriano è un negozio di magliette in Inghilterra? «Non è uno scherzo», assicura “TheAntiMedia.org”. «Se seguite le notizie è probabile che abbiate sentito i media parlare di un’entità grandiosamente definita “Osservatorio Siriano per i Diritti Umani” (“Syrian Observatory for Human Rights”, Sohr)». Ebbene, questo cosiddetto “osservatorio” è gestito da una sola persona nella propria casa, a Coventry, a migliaia di chilometri di distanza dal conflitto siriano. «Eppure è definito come la fonte più rispettata dai media occidentali: “Bbc”, “Reuters”, “Guardian”». Le credenziali di questa persona? «Consistono nell’essere proprietario di un negozio di magliette nella stessa via della propria casa, nonché di essere un noto dissidente dell’attuale presidente siriano». E questa è solo una delle tante cose che i media mainstream non raccontano, del conflitto in Siria. Dove, a innescare la guerra, è stato il rifiuto di Assad di concedere il proprio territorio per un gasdotto che avrebbe collegato Arabia Saudita e Turchia.