Archivio del Tag ‘Massimiliano Fedriga’
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La sfida: resettare i partiti-farsa e rifondare la politica
«Disinnescato Conte, una volta insediato il governo di Dragon Ball, Renzi passerà alla fase 2 affinché non fallisca la congiura fiorentina», architettata «per tirare fuori il paese dalle secche, a un passo dall’insolvenza», e soprattutto rilanciare – dopo anni di panchina – «l’ex Bullo di Rignano, perfetto genio guastatore, che ha rinunciato a un Conte-Ter oggi per una gallina domani», ovvero «quella dalle uova d’oro del suo vero pigmalione: il cavaliere Silvio Berlusconi». Con il consueto stile scanzonato, “Dagospia” ricostruisce così un importante retroscena della crisi di palazzo che ha portato alla defenestrazione di Conte a opera del sabotatore Renzi, di cui a qualcuno poteva sfuggire la logica: solo in Italia potrebbero accadere cose simili, fingeva di meravigliarsi l’influencer Andrea Scanzi, insieme ai colleghi del “Fatto”, giornale trasformato in house organ dell’ex “avvocato del popolo”. Ma come, si cola a picco un governo-meraviglia proprio in piena crisi pandemica, e davanti all’urgenza del Recovery Plan? E a sfasciare tutto, inorridiva Scanzi, è un partitino che mette insieme appena il 2% dei voti?Velo pietoso, sul “Fatto”: viaggiando ormai a fari spenti, Marco Travaglio (sfidando il ridicolo, come fan numero uno di “Giuseppi”) si era spinto a consigliare al primo ministro di procedere con la pesca miracolosa dei senatori voltagabbana, pur di salvare la poltrona. E’ lo stesso Travaglio che giurava di credere alla religione moralistica di Grillo & Casaleggio, quella del “Vaffa” e del celebre “uno vale uno”. E pazienza se poi la realtà ha raccontato esattamente il contrario della fiction elettorale: un movimento-farsa zeppo di incapaci disastrosi, pronti a tradire gli elettori e a sostenere per oltre un anno il governo più catastrofico della storica repubblicana, nato solo per stoppare Salvini ma poi capace di una specie di miracolo, regalando all’Italia il record della peggior prestazione europea sul Covid: elevatissimo numero di vittime e spaventoso collasso economico. Ma niente paura: mentre “Giuseppi” finalmente crollava, i mezzibusti televisivi del “Fatto” stavano ancora a domandarsi come fosse possibile che un simile esecutivo da Premio Nobel venisse affossato da un minuscolo insetto molesto e insignificante, tale Matteo Renzi.Perfettamente inutile sperare che i giornali – non solo il “Fatto” – spieghino il retroterra profondo della crisi italiana, che ha infine spinto il Quirinale a commissariare la politica nazionale imponendo Draghi, di fronte alla bancarotta del sistema. La recita andata in scena per decenni (centrosinistra contro centrodestra, con varianti colorite ma sempre irrilevanti) è servita solo a far marciare l’agenda neoliberista: azzerare lo Stato, trasformandolo in arcigno esattore, e lasciando piena licenza di razzia ai grandi gruppi privati. Ultimo grande diversivo, le spettacolari ciance di Grillo: prima di rimangiarsi la parola su ogni proposito enunuciato, il baby-movimento neo-monarchico agli ordini dell’Elevato era riuscito a dire no a tutto, tranne all’unico nemico (quello vero), dominante da decenni, cioè il potere apolide del “pilota automatico”, imposto dai burattini di Bruxelles. Meglio l’innocuo populismo: alzare i toni contro il nulla, la “casta”, il “partito di Bibbiano” (con cui poi sedere al governo). Ragli sonori, come quelli contro i costi (trascurabili) della politica, senza preoccuparsi di una politica che sia innanzitutto efficiente, capace e coraggiosa.Un filone fortunatissimo, in Italia: a inaugurare il populismo elettoralistico fu Berlusconi, poi imitato da Renzi (in salsa politically correct) e infine da Grillo, in versione gridata, fino all’ultimo grande urlatore, Salvini. Fa eccezione il Pd, limitatosi al ruolo notarile di freddo esecutore dei peggiori diktat europei, sepolta per sempre l’antica ispirazione socialista dei fondatori. A tutto questo, ora – complice la sciagura-Covid – qualcuno ha staccato la spina, inducendo Mattarella a lanciare in pista Mario Draghi: non solo per tamponare le voragini (sanitarie, economiche e sociali) create da “Giuseppi”, ma anche e soprattutto per resettare un sistema politico da tempo in coma farmacologico. Primo passo: costringere i finti avversari a cooperare tra loro, sostenendo il medesimo esecutivo, e lasciando agli ultimissimi urlatori (Meloni, Di Battista, Paragone) il premio di consolazione degli applausi gratuiti, destinati a chi non intende candidarsi davvero a governare niente.A valle della strategia, resta la tattica: di questa si occupa, in modo brillante, “Dagospia”, che legge – nell’ultima giravolta renziana – la «fusione a freddo» in arrivo, tra Forza Italia e Italia Viva, «con un pizzico di Bonino e una spruzzata di Calenda». Renzusconi, certo: servirebbe anche «per racimolare un dignitoso 12-15%, sempre comodo per salvaguardare gli interessi mediatici del Banana, Media For Europe, con sede legale in Olanda, preda dell’ex amico d’oltralpe Bollorè e momentaneamente “al riparo” nei box dell’Agcom». A Draghi, infatti – scrive “Dago” – non risulterà difficile «convincere il portacipria di Brigitte, cioè Macron, che alla Francia è già andata in dote la Fiat e va bene così: non è il caso di tirare troppo la corda delle Telco, perché anche la fibra a volte si spezza e si finisce nella Rete (unica, magari)». Ma il passaggio di testimone da Berlusconi – privo com’è di eredi dotati di leadership – a Renzi, «ben felice di occupare l’area del centro», è stato improvvisamente «messo a soqquadro dall’improvvisa conversione a Ue dell’ex sovranista Salvini», il quale punta allo stesso obiettivo di Renzi: prendersi Forza Italia, anche grazie a Denis Verdini, Mara Carfagna e Giovanni Toti.Archiviato il Papeete, il capo leghista «ha capito al volo che l’appello di Mattarella “a tutte le forze politiche presenti in Parlamento, perché conferiscano la fiducia a un governo di alto profilo”, poteva essere il momento giusto per abiurare l’antieuropeismo legaiolo senza perdere la faccia». Secondo il newsmagazine di Roberto D’Agostino, la visione dell’ex Truce, supportato dal “partito del Pil” (il quartetto Giorgetti-Fedriga-Zaia-Fontana, da sempre a favore della svolta) è di portare la Lega nel Partito Popolare Europeo. «E una volta che la Cdu di Angela Merkel potrà accettarlo, lascerà al loro destino i due rospi del sovranismo, Marine Le Pen e la tedesca Afd». Sarà «un percorso di riverginazione, che prenderà almeno un anno», scrive “Dago”, immaginando – in modo molto avventuroso – che la Merkel (in realtà in uscita) sarà ancora l’imperatrice europea, e che la stessa Ue sia destinata a restare uguale a se stessa, a prescindere dagli scossoni in arrivo proprio dall’Italia, dove l’ex profeta del “pilota automatico”, Draghi, ha già chiarito – da almeno due anni – che il futuro passa per il ritorno a Keynes, smentendo decenni di eurocrazia post-democratica.Cambiare l’Europa: è questo il tema di fondo, che “Dagospia” sembra non cogliere, limitandosi a monitorare il piccolo cabotaggio dei mini-leader italiani, Renzi e Salvini, intenti a prenotare per sé le spoglie politiche del Cavaliere. Movimenti che evidenziano l’imminenza di rivolgimenti significativi: l’estinzione di Conte e dei grotteschi 5 Stelle (con la loro piattaforma tecno-demiurgica) potrebbe essere sintomatica di una rigenerazione profonda dello stesso impianto eurocentrico, con le correzioni che si attendono da Mario Draghi (non ripristinare il rigore, neppure dopo la fine della stagione Covid). Questo porrebbe in una luce completamente diversa ogni singolo attore politico: il Pd che del rigore è stato il massimo cantore italiano, il Renzi che (come Grillo e Berlusconi) ha solo finto una rottamazione di facciata, e il Salvini – capo dell’attuale primo partito italiano – che potrebbe approfittare dell’evento-Draghi (una stagione virtualmente lunga, se si prolungasse al Quirinale) per contribuire a riscrivere lessico e grammatica delle istanze che oggi impongono l’abbandono delle finte guerre per passare finalmente alla sfida – vera – contro il neoliberismo che in questi decenni ha ridotto la politica a una farsa.«Disinnescato Conte, una volta insediato il governo di Dragon Ball, Renzi passerà alla fase 2 affinché non fallisca la congiura fiorentina», architettata «per tirare fuori il paese dalle secche, a un passo dall’insolvenza», e soprattutto rilanciare – dopo anni di panchina – «l’ex Bullo di Rignano, perfetto genio guastatore, che ha rinunciato a un Conte-Ter oggi per una gallina domani», ovvero «quella dalle uova d’oro del suo vero pigmalione: il cavaliere Silvio Berlusconi». Con il consueto stile scanzonato, “Dagospia” ricostruisce così un importante retroscena della crisi di palazzo che ha portato alla defenestrazione di Conte a opera del sabotatore Renzi, la cui logica poteva sfuggire ai più distratti: solo in Italia potrebbero accadere cose simili, fingeva di meravigliarsi l’influencer Andrea Scanzi, insieme ai colleghi del “Fatto”, giornale trasformato in house organ grillino dell’ex “avvocato del popolo”. Ma come, si cola a picco un governo-meraviglia proprio in piena crisi pandemica, e davanti all’urgenza del Recovery Plan? E a sfasciare tutto, inorridiva Scanzi, è un partitino che mette insieme appena il 2% dei voti?
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Draghi premier per un anno, poi sarà eletto al Quirinale
Un super-governo strettamente tecnico, destinato a salvare l’Italia dal collasso, restituendo credibilità al paese dopo i disastri a catena firmati da Giuseppe Conte. Squillanti i primi segnali: la Borsa vola e lo spread crolla. Ma attenzione: Mario Draghi è destinato a restare a Palazzo Chigi solo per un anno. Lo afferma “Dagospia”, in mezzo al caos dei partiti in subbuglio, spiazzati dalla mossa di Mattarella. «Prima di tutto, va chiarito che non sarà il governo di Mario Draghi, bensì il governo di Sergio Mattarella con il contributo di Draghi», scrive il newsmagazine di Roberto D’Agostino. Un vero e proprio “governo del Presidente”: «Al punto che, al termine del mandato esplorativo di Fico, il capo dello Stato ha fatto a meno di un ultimo giro di consultazioni con i leader dell’alleanza di governo, consapevole che il momento è talmente grave e che il paese sta in un mare di guai, dal prossimo sblocco dei licenziamenti al Recovery, e quindi non possiamo permetterci un altro giro di chiacchiere». “Dagospia” descrive un Mattarella «irritatissimo con Conte per la presa in giro dei “volenterosi”» nonché «sfiduciato dall’andamento rissaiolo del mandato esplorativo di Fico».Dopo aver sostenuto in un messaggio agli italiani che «andare alle urne sarebbe stato un suicidio», il capo dello Stato ha calato l’asso: «Il governo Draghi andrà avanti, anche senza maggioranza», scrive sempre “Dagospia”, nonostante si tratti di «uno scenario-B che al Colle non vogliono nemmeno prendere in considerazione». E comunque: «Nel malaugurato caso che Draghi non riuscisse ad avere la fiducia, Mattarella potrebbe richiamare all’ordine tutti i partiti». A proposito: «Al momento il sì a Super-Mario è arrivato dal Pd di Zingaretti, da metà Leu, da Forza Italia di Berlusconi». Alla fine, «Salvini non potrà dire di no, pena la scissione della Lega da parte di Zaia, Giorgetti, Fedriga». A nome dei famigerati “volenterosi” messi insieme per disperazione da Conte, persino Bruno Tabacci «ha baciato la pantofola a Draghi». E Di Maio, all’assemblea dei grillini, «ha semi-smontato il “niet” di Crimi», chiedendo di non attaccare l’ex presidente della Bce, il cui passato da “uomo del Britannia” è stato evocato da Di Battista, che forse ignora che sul fatidico panfilo inglese, il 2 giugno del ‘92, c’era anche Beppe Grillo.«In barba a tutte le cazzate giornalistiche – scrive sempre “Dagospia” – il governo Draghi sarà composto solo di tecnici di alto profilo e ridotto al minimo indispensabile». Anche perché, se dovesse imbarcare qualche politico «dovrebbe utilizzare un algoritmo, altro che il bilancino di Sor Cencelli!». Consultazioni (telefoniche) in corso, per sondare un eventuale comune denominatore sulle emergenze del paese, dal Recovery alla pandemia. «Sul Mes, Draghi è orientato a non usufruirne: se diminuisce lo spread non vale la pena economica di chiederlo». Altro aspetto, non di poco conto: la durata del governo del presidente. Secondo “Dagospia”, il super-esecutivo dovrebbe “sistemare le cose” nel giro di appena un anno, «per permettere di eleggere il nuovo capo dello Stato». Il “semestre bianco” inizia ad agosto, e da quel momento «il Quirinale non potrà più sciogliere il Parlamento, qualsiasi cosa accada». Governo-ponte, quindi, per poi preparare l’ascesa di Mario Draghi al Quirinale, dopo aver messo in sicurezza l’Italia disastrata da Conte?E’ l’obiettivo cui Draghi mira apertamente: non a caso, nei mesi scorsi, si era mostrato assai riluttante di fronte alla pressante richiesta di “sacrificarsi” a Palazzo Chigi, per rimediare alla catastrofe nazionale costruita a colpi di Dpcm della premiata ditta Conte & Casalino. Troppi rischi: uno su tutti, la possibilità di veder appannata la propria immagine, compromettendo così l’ambita conquista del Colle. Una lettura confermata dall’ambiente massonico del Grande Oriente Democratico, guidato da Gioele Magaldi, che presenta Draghi come «fratello massone ex neoaristocratico e neoliberista», che negli ultimi anni «ha riscoperto l’antica vocazione postkeynesiana, radicalmente democratica e social-liberale del suo maestro Federico Caffè». Ecco: il “fratello” Draghi «non deve cadere nella trappola di un incarico come presidente del Consiglio che lo esponga ad “agguati” e operazioni subdole (il primo a tesserle sarebbe Romano Prodi con i suoi amici) per minarne l’immagine di civil servant super partes».Per questo, poche ore prima dell’incarico conferito a Draghi da Mattarella, Magaldi aveva suggerito «un governo presieduto da Marta Cartabia, con Mario Draghi in posizione importante ma meno “esposta” (super-ministro del Mef, economia e finanze)», e con il “rooseveltiano” Nino Galloni, altro allievo di Federico Caffè, alla guida di un super-dicastero strategico capace di accorpare lavoro, politiche sociali e sviluppo economico. Riassume “God”: «L’obiettivo principale del “fratello” Draghi (e di chi intenda sostenerlo perché lo ritiene una risorsa importante per il sistema-Italia e anche per il futuro democratico dell’Europa) deve essere quello di accompagnarlo senza troppi rischi all’elezione come presidente della Repubblica quando sarà scaduto il mandato di Sergio Mattarella, vale a dire a febbraio 2022, tra un anno esatto». Impelagarsi direttamente come premier è un rischio troppo grosso? «Dipende», rispondono i massoni progressisti: il governo-ponte può anche avere un senso, a patto che sia sostenuto lealmente dall’intero Parlamento.«Se, ad esempio, tutte le principali forze parlamentari dell’ex maggioranza e dell’ex opposizione, in modo trasversale, dichiarassero solennemente di voler sostenere un esecutivo presieduto da Draghi, sottoscrivendo un preciso contratto di governo per assumere alcune decisioni urgenti per il paese – scrive il Grande Oriente Democratico, in una nota – allora il fraterno ex presidente Bce ed ex governatore della Banca d’Italia potrebbe anche accettare di salire a Palazzo Chigi quale provvisorio presidente del Consiglio». Attenti agli aggettivi: premier “provvisorio”, perché la meta – come tutti sanno – resta il Quirinale. Il primo a saperlo è proprio Mattarella, «che è consapevole di dovere soprattutto a Draghi la sua elezione al Colle, tramite Renzi che allora era premier». Tutto torna: è stato Renzi a far cadere Conte, permettendo a Mattarella di lanciare Draghi, benché nella rischiosa posizione di capo del governo. Stavolta, l’ex banchiere centrale non ha potuto tirarsi indietro: troppo devastante la crisi in cui è sprofondata l’Italia grazie a Conte, che ha protratto all’infinito l’emergenza pandemica per giustificare la sua permanenza a Palazzo Chigi.«Stia dunque bene in guardia, il “fratello” Draghi, perché in molti tenteranno di tendergli tranelli», ribadiscono i massoni di “God”. «Noi, comunque, vigileremo sul suo percorso e confidiamo ovviamente nel suo acume e nella sua prudenza rispetto alle mosse sulla scacchiera che, nelle prossime ore, sarà opportuno compiere». Per Gioele Magaldi, le emergenze da affrontare sono evidenti. La prima: aiuti immediati ai settori penalizzati dai lockdown, e fine delle restrizioni incostituzionali (zone rosse, coprifuoco). Poi: allestimento di una rete sanitaria territoriale, con protocollo terapeutico univoco, per curare i pazienti a casa evitando di intasare gli ospedali. Riaprire l’Italia in sicurezza nel più breve tempo possibile, quindi. E soprattutto: gettare le basi – riscrivendo il Recovery Plan – per un efficace rilancio del sistema-paese. A questo dovrebbe servire l’autorevole governo Draghi, primo passo verso una vera e propria “rivoluzione” della governance (italiana ed europea) in senso democratico, archiviando per sempre il falso dogma dell’austerity. Questa la reale missione di Draghi, oggi a Palazzo Chigi e domani al Quirinale: fare in modo che l’Italia si trasformi in apripista di un futuro radicalmente diverso, di stampo keynesiano.Un super-governo strettamente tecnico, destinato a salvare l’Italia dal collasso, restituendo credibilità al paese dopo i disastri a catena firmati da Giuseppe Conte. Squillanti i primi segnali: la Borsa vola e lo spread crolla. Ma attenzione: Mario Draghi è destinato a restare a Palazzo Chigi solo per un anno. Lo afferma “Dagospia“, in mezzo al caos dei partiti in subbuglio, spiazzati dalla mossa di Mattarella. «Prima di tutto, va chiarito che non sarà il governo di Mario Draghi, bensì il governo di Sergio Mattarella con il contributo di Draghi», scrive il newsmagazine di Roberto D’Agostino. Un vero e proprio “governo del Presidente”: «Al punto che, al termine del mandato esplorativo di Fico, il capo dello Stato ha fatto a meno di un ultimo giro di consultazioni con i leader dell’alleanza di governo, consapevole che il momento è talmente grave e che il paese sta in un mare di guai, dal prossimo sblocco dei licenziamenti al Recovery, e quindi non possiamo permetterci un altro giro di chiacchiere». “Dagospia” descrive un Mattarella «irritatissimo con Conte per la presa in giro dei “volenterosi”» nonché «sfiduciato dall’andamento rissaiolo del mandato esplorativo di Fico».
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Covid: il silenzio dello spettacolo e la lezione di Montesano
«Adesso basta. Io non sono un negazionista, perché un negazionista è quello che nega l’Olocausto, e io all’Olocausto ci credo. E ogni volta che usano questo termine a sproposito, offendono tutti i morti che ci sono stati: ebrei, omosessuali, Rom, Sinti. Avessero più rispetto per questa parola, che ricorda una immane tragedia umana!». Così Enrico Montesano si ribella alla barbarie del maninstream, che ormai usa impunemente la parola “negazionista” per criminalizzare chiunque osi contestare le (disastrose) politiche adottate, in Italia e non solo, per contenere il Covid, su indicazione dell’Oms: lockdown, distanziamento indiscriminato e colpevolizzazione dei cittadini, fino all’assurdità estrema dell’imposizione delle mascherine anche all’aperto. Mattatore dello spettacolo italiano, showman televisivo e attore teatrale e cinematografico (63 film all’attivo), negli ultimi mesi Montesano si è distinto dai colleghi: è stato uno dei pochissimi a dire la sua, nel silenzio imbarazzante a cui si sono consegnati attori, registi e cantanti. «Lungi da me negare l’esistenza del Covid. Io sono critico, semmai: che è cosa molto diversa. E il diritto di esserlo non me lo toglieranno di certo».«Io non ho mai negato che esista il Sars-Cov-2, perché purtroppo c’è», dichiara Montesano all’agenzia “Adn Kronos” il 9 ottobre, alla vigilia della “Marcia della Liberazione” (a cui ha aderito) promossa per il 10 ottobre a Roma da Sara Cunial e associazioni come Alleanza Italiana Stop 5G e Movimento 3V. Montesano esprime la sua posizione in modo netto: «Mi metto la mascherina nei posti al chiuso e mantengo la distanza di sicurezza, ma so anche che ora i medici hanno molti strumenti in più, e che nonostante ciò lo Stato ci sta togliendo assurdamente alcune libertà fondamentali. La mia è disobbedienza civile, pacifica, la stessa che metteva in pratica Martin Luther King». Ecco il punto: a differenza della scorsa primavera, oggi i sanitari sanno come affrontare il virus, ma il governo Conte si comporta come se non lo sapessero. «Non ho mai messo in pericolo la sicurezza dello Stato, né la sicurezza dei cittadini italiani», assicura Montesano, che protesta: «Sono indignato: io non posso abbracciare una persona che conosco, non posso darle la mano, e la gente accetta questo passivamente». Altra verità desolante, infatti, la rassegnazione di milioni di italiani.«Dissentire da tutto questo non è né “di destra” né “di sinistra”, tantomeno “fascista”», insiste Montesano: «Basta, dividere gli italiani: ancora non hanno capito che la divisione non è “destra-sinistra”». La faccenda è serissima, infatti: «La divisione e longitudinale, orizzontale, tra chi sta sopra e chi sotto». Riflessione squisitamente intellettuale, politica, sul vero volto della realtà di oggi: ma perché i colleghi di Montesano continuano a tacere? Possibile che a sciorinare tante verità sia un grande attore di 75 anni, mentre moltissimi altri – giovani e meno giovani – non osano fiatare di fronte allo scempio quotidiano della disinformazione? «Ci sono tanti medici, esperti, da Montagnier alla dottoressa Gatti, a Tarro, a Citro, a Tirelli, che dicono che la mascherina all’aperto è inutile e dannosa», ribadisce Montesano. «E io ho più fiducia in questi professionisti, che non appaiono mai in televisione, piuttosto che nel virologo da Tv». Chiosa Montesano, sarcastico: «Questo posso dirlo, o se lo dico sono “fascio-negazionista”, e ora anche no-mask? Non c’è scampo».Quanto alla “marcia” indetta da Sara Cunial e dalle associazioni civiche (ribattezzate “negazioniste” dai disinformatori), Montesano spiega: «Ho detto che aderivo alla manifestazione perché concordo con molto dei punti per i quali si svolge». Puntualizza: «Aderire non vuol dire partecipare, e infatti non sarò presente». La spiegazione non tarda: «Non parteciperò perché queste manifestazioni di piazza, che nascono bene e con tutte le migliori intenzioni, poi non si sa come vanno a finire e da chi vengono prese in mano, e io non voglio condividere la mia presenza con gruppi che non mi piacciono». Peraltro, aggiunge, «aderisco anche a molti dei punti che ha enunciato Marco Rizzo del Partito Comunista alla manifestazione ai Santi Apostoli», sempre prevista per il 10 ottobre nella capitale. In sintesi, conclude l’attore, «credo di avere tutto il diritto di esprimere la mia opinione di dissenso su alcune cose». La generosità civile di Montesano è palesemente offerta agli italiani, specie ai “dormienti” che non hanno ancora ben capito cosa stia davvero succedendo, alla loro democrazia.«C’è modo e modo di imporre divieti», ha detto qualche sera fa in televisione il presidente della Regione Friuli, Massimiliano Fedriga, rispondendo al professor Massimo Galli dell’ospedale Sacco di Milano, protagonista di uno scontro polemico con Nicola Porro nella trasmissione “Stasera Italia” condotta da Barbara Palombelli su “Rete 4″. «Anch’io all’inizio dell’emergenza ho firmato ordinanze discutibili», ha ammesso Fedriga, leghista, «ma poi mi sono impegnato affinché lo sforzo di protezione dei cittadini fosse condiviso al massimo, da tutti». Morale: «Se guardate i dati del Friuli, scoprite che siamo tra le Regioni con meno problemi: ma il merito non è mio, è dei fiuliani». Politica, infatti: coinvolgere e spiegare, rinunciando a imporre in modo autoritario. Non si tratta di “negare” nulla, sostiene Fedriga, ma di trattare i cittadini per quello che sono: adulti responsabili, non bambini da spaventare. Verità semplicissima da afferrare (e da applicare), se vivessimo in un paese diverso. Avrebbe un forte impatto, sull’opinione pubblica, se a rilanciarla fossero gli artisti. Tacciono? A maggior ragione si staglia, nella desolazione del silenzio generale, tutto il valore del coraggio civile di Enrico Montesano.«Adesso basta. Io non sono un negazionista, perché un negazionista è quello che nega l’Olocausto, e io all’Olocausto ci credo. E ogni volta che usano questo termine a sproposito, offendono tutti i morti che ci sono stati: ebrei, omosessuali, Rom, Sinti. Avessero più rispetto per questa parola, che ricorda una immane tragedia umana!». Così Enrico Montesano si ribella alla barbarie del maninstream, che ormai usa impunemente la parola “negazionista” per criminalizzare chiunque osi contestare le (disastrose) politiche adottate, in Italia e non solo, per contenere il Covid, su indicazione dell’Oms: lockdown, distanziamento indiscriminato e colpevolizzazione dei cittadini, fino all’assurdità estrema dell’imposizione delle mascherine anche all’aperto. Mattatore dello spettacolo italiano, showman televisivo e attore teatrale e cinematografico (63 film all’attivo), negli ultimi mesi Montesano si è distinto dai colleghi: è stato uno dei pochissimi a dire la sua, nel silenzio imbarazzante a cui si sono consegnati attori, registi e cantanti. «Lungi da me negare l’esistenza del Covid. Io sono critico, semmai: che è cosa molto diversa. E il diritto di esserlo non me lo toglieranno di certo».
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Giannuli: 5 Stelle già fuori gioco, grazie all’incapace Di Maio
Il risultato delle elezioni regionali in Friuli di domenica scorsa (esattamente come quello del Molise di 7 giorni prima) è di quelli che non ammettono interpretazioni o discussioni; in claris non fit interpretatio: il centrodestra avanza seccamente, il Pd ha risultati alterni ma sostanzialmente regge, il MSS straperde. D’accordo: il MSS alle elezioni amministrative va sempre male rispetto alle politiche; pesano fattori locali, Fedriga era un candidato molto forte e difficile da battere o almeno frenare, viceversa il candidato del MSS era il più infelice che si potesse trovare; tutto quello che volete, ma quando un partito perde a precipizio in due regioni distanti fra loro e diversissime, 2 elettori su tre, il tutto a meno di due mesi da elezioni che hanno segnato un successo clamoroso, c’è poco da fare: è il segno che l’elettorato non è contento di come è stato amministrato il suo consenso e sta iniziando a ritirare il suo mandato. E’ una bocciatura impietosa del come è stata gestita la crisi di governo. Forse non nella misura del 15-17% come accaduto in queste regioni, forse in caso di elezioni politiche la flessione sarebbe più misericordiosa, diciamo il 4-5%, comunque quanto basta a riportare il MSS sotto l’asticella del 30% e ad archiviare definitivamente il sogno di un governo 5 Stelle.Di Maio (la persona più negata per la politica fra quelle che in questi 50 anni ho avuto modo di osservare fra quelle del palcoscenico politico) come sempre non ha capito niente e reagisce di conseguenza, chiedendo elezioni a giugno senza accorgersi che, tecnicamente, la finestra di giugno si è già chiusa. In teoria la linea di confine sarebbe stata il 9 maggio, ma, per il combinato disposto sul voto degli italiani all’estero, è scattata 15 giorni prima, il 24 aprile scorso (mentre lui si baloccava con l’inutile Martina). Il che ha una serie di conseguenze di non poco conto. In primo luogo il 10 giugno si voterà in circa 700 comuni, fra cui diversi capoluoghi di provincia e, se la tendenza al calo proseguirà, come tutto fa pensare, il MSS non parteciperà ai ballottaggi di molti di questi centri, cedendo la seconda posizione al Pd che avrà una sua parziale resurrezione. Peraltro, una nuova batosta avrebbe effetti psicologici non trascurabili su elettori ed attivisti. Poi, l’inevitabile rinvio delle elezioni all’autunno, apre scenari uno peggiore dell’altro per il MSS. Essenzialmente si tratta di due strade. La prima. Più classica, è quella di un governo del Presidente, incaricato di restare in carica sino a fine anno per fare la legge finanziaria ed affrontare le scadenze internazionali.A questo punto il cerino è in mano a Lega e MSS che, avendo la maggioranza assoluta dei seggi, possono bocciare il governo e questo porterebbe alle elezioni d’autunno, ma, intanto il governo resterebbe in carica per gli affari correnti, ma per modo di dire, perché intanto parteciperebbe al vertice europeo di giugno, ed alle altre scadenze internazionali e, peraltro, potrebbe anche fare la finanziaria, lasciando ai partiti la scelta se bocciarla e passare all’esercizio provvisorio con tutto quel che ne consegue. Una cosa che potrebbe far arrabbiare molti elettori. Una possibilità potrebbe essere quella di una astensione della Lega, anche per non rompere con Forza Italia. Insomma, visto che di votare non se ne parla sino a ottobre, si potrebbe anche far vivere una sorta di governo provvisorio. La seconda strada è forse simile per certi versi: il centrodestra chiede (e dati i risultati delle regionali ne avrebbe anche qualche ragione) l’incarico per un governo che va a cercare i voti in Parlamento. Qui la variabile è quella dei bonifici che potrebbero partire o forse di qualche soccorso coperto di sponda renziana (magari basterebbe il prestito di una ventina di deputati ed una dozzina di senatori: mica si possono controllare tutti!). E’ difficile, nonostante tutto, che si trovino i 50 deputati ed i 30 senatori necessari; però, anche se questo non fosse possibile, alla fine il governo di centrodestra resterebbe in carica sino all’autunno preparando la campagna elettorale.Già questi due scenari credo che bastino a rovinare il sonno di Di Maio e dei suoi amici, ma c’è di peggio. Con un facile colpo di mano, Pd e centrodestra potrebbero modificare la legge elettorale introducendo il premio di maggioranza ma per la coalizione. E il MSS sarebbe tecnicamente fritto. Anzi, se la tendenza al calo dovesse continuare ed il Pd riuscisse a mettere insieme una coalizione un po’ più seria di quella con cui si è presentato il 4 marzo, il rischio per il MSS potrebbe essere quello di cedere la seconda posizione e retrocedere al terzo posto. Belle prospettive direi! Per di più, il MSS si troverebbe nella condizione di andare alle elezioni con un leader gravemente logorato e senza nessuna credibilità sul piano programmatico: riparlare di abolizione della legge Fornero, di reddito di cittadinanza e di lotta alla corruzione dopo che, nei vari giri di valzer con Pd e Lega si sono lasciati cadere uno dopo l’altro? E chi ti crede più? Peccato: il MSS non merita questa fine, ma, soprattutto non merita una leadership come questa.(Aldo Giannuli, “M5S, Lega e la lezione del Friuli”, dal blog di Giannuli del 1° maggio 2018).Il risultato delle elezioni regionali in Friuli di domenica scorsa (esattamente come quello del Molise di 7 giorni prima) è di quelli che non ammettono interpretazioni o discussioni; in claris non fit interpretatio: il centrodestra avanza seccamente, il Pd ha risultati alterni ma sostanzialmente regge, il MSS straperde. D’accordo: il MSS alle elezioni amministrative va sempre male rispetto alle politiche; pesano fattori locali, Fedriga era un candidato molto forte e difficile da battere o almeno frenare, viceversa il candidato del MSS era il più infelice che si potesse trovare; tutto quello che volete, ma quando un partito perde a precipizio in due regioni distanti fra loro e diversissime, 2 elettori su tre, il tutto a meno di due mesi da elezioni che hanno segnato un successo clamoroso, c’è poco da fare: è il segno che l’elettorato non è contento di come è stato amministrato il suo consenso e sta iniziando a ritirare il suo mandato. E’ una bocciatura impietosa del come è stata gestita la crisi di governo. Forse non nella misura del 15-17% come accaduto in queste regioni, forse in caso di elezioni politiche la flessione sarebbe più misericordiosa, diciamo il 4-5%, comunque quanto basta a riportare il MSS sotto l’asticella del 30% e ad archiviare definitivamente il sogno di un governo 5 Stelle.
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La Troika mollerà Renzi, ormai gli italiani credono a Salvini
La sera di martedì 28 aprile, tornato a casa dall’ufficio e costatato che il nipotino se ne stava tranquillo, già addormentato fra le braccia di suo padre (mio figlio, che teneva il bambino perché mia nuora era al lavoro), ho fatto una cosa che raramente oso fare, un po’ per “snobbismo” e molto di più per disgusto: ho guardato quasi per intero un talk-show alla tv. Cosa c’è di martedì? “Di Martedì” su La7, appunto, del pessimo ma astuto Giovanni Floris, un ex della Rai a suo tempo soprannominato “il vespino della sinistra”. Ciò che è accaduto nel mondo virtuale di Floris – parte integrante dello spettacolo sistemico – mi ha fatto riflettere, portandomi a trarre conclusioni piuttosto inquietanti. Voglio condividere, di seguito, le mie riflessioni con i lettori di “Pauperclass”, che so essere pochi ma buoni. Mi sono visto il confronto fra Salvini, in collegamento esterno da Strasburgo, e una giornalista radical chic di “Repubblica” (principale rotolo di carta igienica della sinistra euroserva, buonista e pro-troika), tale insignificante Annalisa Cuzzocrea, presente in studio. La querelle era sugli immigrati clandestini che stanno arrivando a frotte nel nostro paese.L’attacco a Matteo Salvini da parte di Cuzzocrea, per la verità scontato e piuttosto prevedibile, verteva proprio su questo tema. Il segretario leghista ha distinto, come fa ultimamente con un po’ di retorica, fra gli immigrati regolari, che lavorano, pagano le tasse, mandano i figli a scuola, eccetera, e quelli clandestini che rappresentano un problema, per i populisti ma soprattutto per il popolo. Cuzzocrea, non trovando di meglio, ha obbiettato che anche i regolari possono essere entrati come clandestini, prima di regolarizzarsi con difficoltà. Matteo Salvini si è smarcato abilmente, in perfetta linea con quello che è il “sentiment” popolare di questi tempi, vincendo il confronto (almeno a mio dire) davanti agli occhi della cosiddetta opinione pubblica. Forse un po’ banale, vagamente propagandistico, ma sicuramente efficace: «Possiamo ospitare qualche altro milione di clandestini, in attesa che si regolarizzino e trovino un lavoro che non hanno neanche gli italiani? Vada a spiegarlo, signora, agli immigrati che sono qua regolarmente con i documenti a posto che stanno perdendo il lavoro, che non sanno come tirare a fine mese… Vada a spiegare a loro che l’Italia può ospitare altre migliaia … non so quante, decine, centinaia di migliaia – non so quante, mi dica lei un numero – di immigrati senza nessun tipo di titolo».E’ intervenuto Floris, a quel punto, forse in soccorso alla debole Cuzzocrea dagli argomenti scontati, cianciando qualcosa a riguardo di quelli che fanno lavorare in nero i clandestini, subito rintuzzato da un Salvini in forma, che non si è lasciato confondere o attirare in tranelli. Del resto, un altro giornalista che ha fatto domande al segretario leghista era Sergio Rizzo del “Corsera”, che però non sembrava intenzionato a mettere troppo in difficoltà Matteo Salvini, il quale ha fatto nel complesso una buona figura. All’inizio dell’intervista, Giovanni Floris dialogando con Salvini non ha “calcato troppo la mano”, lasciando il Matteo anti-Matteo piuttosto libero di dire la sua e anzi concludendo che Salvini «ha fatto una sorta di indice dei temi che tratteremo» (nel lungo talk-show). Bene Salvini, dunque, ma poi? Per farla breve, perché non voglio commentare tutto il lungo talk-show, le veline piddiote di Renzi, Alessandra Moretti, candidata alle regionali in Veneto, e Alessia Rotta della segreteria piddì (mi scappa una battuta, dato il cognome, ma mi trattengo per ragioni di stile), sono state letteralmente contraddette, sbugiardate e persino massacrate dai giornalisti presenti, come Mario Giordano direttore del Tg4 che ha “curato” particolarmente la Moretti, e da altri ospiti, come ad esempio l’agguerrito sindaco forzaitaliota di Ascoli Piceno, Guido Castelli, che stigmatizzava i drammatici tagli (renziano-piddini) alla spesa degli enti locali, o Massimiliano Fedriga capogruppo leghista alla Camera, che non mancava di assestare i suoi colpetti.In particolare Alessia Rotta è stata ben maciullata da uno scatenato Andrea Scanzi, del “Fatto Quotidiano”, che l’ha persino definita una dei “droidi televisivi” di Renzi, senza che il furbo e controllato Floris s’inquietasse più di tanto. Tutti, o quasi, contro la Moretti e la Rotta, questa ultima anello più che debole della catena renziana, soprattutto davanti a un “professionista della polemica” come Andrea Scanzi. Tanto più che Scanzi, di certo non favorevole alla Lega, ha detto che quelli di sinistra potrebbero riconoscersi nelle parole di Salvini, che ha accennato a problemi reali come quello degli esodati e della “legge Fornero”, della pressione fiscale insostenibile, degli studi di settore, eccetera. Massimiliano Fedriga, leghista, dichiarava di apprezzare le uscite di Scanzi, e Mario Giordano, in collegamento esterno, si inseriva per tirare qualche mazzata anche lui. Ebbene, mi sono chiesto perché mai uno come Floris, apparatchik massmediatico al servizio del potere, ha graziato il “cattivo” Salvini, che nel complesso ne è uscito bene, e ha permesso che dei professionisti del talk-show, molto agguerriti come Scanzi e Giordano, assieme ad altri soggetti più o meno ostili alle veline renziane, facessero a fettine i “droidi televisivi” di Renzi (secondo l’indovinata espressione del giornalista del “Fatto Quotidiano”).Intuendo che uno come Floris difficilmente rischierebbe la sua brillante e remunerativa carriera se non avesse ricevuto qualche input dall’alto, posso concludere che l’aria, forse, sta cambiando e il futuro ci riserverà qualche sorpresa. Anzitutto, ci sono sondaggi segreti – non diffusi mediaticamente, ma a uso e consumo delle sub-élite italiane – che avvertono di un vero e proprio collasso nei consensi per Renzi e per il piddì? E’ possibile che sia così e ciò non potrebbe essere ignorato dai manovratori sopranazionali e dai loro collaborazionisti locali, che dovrebbero correre ai ripari. Non è che in questi sondaggi segreti, molto più aderenti alla realtà di quelli a uso e consumo della neoplebe, Salvini stia crescendo più di quello che mediaticamente i sondaggisti ammettono? Anche questo è possibile, nonostante oggi si sbandieri – sempre a “beneficio” del popolo bue – una certa ripresa di consensi per l’esausto Grillo. Cosa ancor più importante, c’è un’incertezza che riguarda la sorte della martoriata Grecia. Nonostante Tsipras abbia abbassato la testa davanti alla troika (come avevo previsto), da bravo mentitore sinistroide addirittura sostituendo il fido Varoufakis, la Grecia potrebbe riservare nuove sorprese e innescare una violenta crisi in Europa.La crisi colpirebbe inevitabilmente, con brutali impennate dello spread e degli interessi sul debito, anche la sottomessa Italia. E le menzogne renziano-piddine non avrebbero più l’effetto imbonitore, sul volgo, che oggi osserviamo. Si diffonderebbe la paura, mista a un senso di totale impotenza politica che caratterizza i nostri anni, e il famigerato governo-troika commissariale, con la presenza di “tecnici”, stranieri e commissari europei potrebbe diventare, in poche settimane, una realtà. Con o senza il passaggio delle elezioni politiche. Si sta avvicinando per Renzi – parliamo più ragionevolmente di mesi che di settimane – il momento di lasciare il governo, anticipatamente rispetto al 2018? Forse. Potrebbe essere “in cantiere”, per decisione degli occupatori dell’Italia, il passaggio dai governi-Quisling (gli ultimi tre) al governo-troika terminale. I segnali più potenti saranno quasi sicuramente, da un punto di vista economico-finanziario, l’innalzamento repentino dello spread con il bund (non necessariamente e non soltanto “per colpa” della Grecia), che potrà arrivare a quattro volte il livello attuale, e pesanti attacchi speculativi internazionali, accompagnati da una campagna terroristica dei media per impaurire la popolazione e farle accettare, senza reagire, il governo-troika deciso nelle capitali che contano.Un mio interlocutore, tale Maurizio, ha ipotizzato che i signori della finanza che manovrano Renzi e il piddì potrebbero seguire una strada ancor più tortuosa e subdola, per chiudere definitivamente nella morsa l’Italia. L’Italicum dovrebbe essere approvato in breve, a colpi di fiducia, senza nuovi passaggi al Senato per modifiche indesiderate nel testo; ma anche questo non è certo, nonostante la viltà e la malafede delle “opposizioni” interne al piddì e visto il voto segreto. Comunque sia, niente è irreversibile e l’Italicum emana un forte tanfo d’incostituzionalità, cosa che potrebbe fargli fare la fine del Porcellum (ma più rapidamente), nonostante lo straordinario “allineamento astrale” di tutte le istituzioni sotto l’egida della troika. Il “percorso” potrebbe essere quello di permettere una vittoria elettorale – più che di Grillo, il quale ha già vinto senza ottenere risultati – dell’“astro nascente” dell’opposizione parlamentare a Renzi, cioè Matteo Salvini. Si tratterebbe, poi, di affondare il suo governo “populista” e “euroscettico” (e ovviamente il suo consenso) a colpi di spread e di speculazione finanziaria, imponendo a stretto giro di posta un governo-troika, con il paese scivolato nel panico e attraversato dalla paura, da commissariare definitivamente.Le ipotesi che ho presentato fin qui sembrano inverosimili? Non credo, perché le élite finanziarie che tirano i fili del piddì si sono mostrate prive di scrupoli in molte occasioni, e lo saranno anche nei confronti dell’Italia. Se Renzi dovrà lasciare la presidenza del Consiglio (e probabilmente la segreteria piddina) lo farà obbedendo agli ordini. Se Salvini dovrà essere utilizzato come “vittima sacrificale” per arrivare al governo-troika commissariale, non avrà modo di evitarlo, e così Grillo con il cinque stelle, nel caso in cui i maggiori consensi dovessero riversarsi su di lui e non sul segretario leghista. Oppure, in modo meno indiretto, se ci dovesse essere un brutto Grexit, Renzi potrebbe essere costretto a mollare la poltrona a causa dello spread alle stelle (ironia della sorte, lo stesso pretesto usato contro Berlusconi) e l’occasione sarebbe ghiotta per imporre all’Italia un governo di commissari della troika.(Eugenio Orso, “Dal governo Renzi al governo troika’”, da “Pauperclass” del 30 aprile 2015).La sera di martedì 28 aprile, tornato a casa dall’ufficio e costatato che il nipotino se ne stava tranquillo, già addormentato fra le braccia di suo padre (mio figlio, che teneva il bambino perché mia nuora era al lavoro), ho fatto una cosa che raramente oso fare, un po’ per “snobbismo” e molto di più per disgusto: ho guardato quasi per intero un talk-show alla tv. Cosa c’è di martedì? “Di Martedì” su La7, appunto, del pessimo ma astuto Giovanni Floris, un ex della Rai a suo tempo soprannominato “il vespino della sinistra”. Ciò che è accaduto nel mondo virtuale di Floris – parte integrante dello spettacolo sistemico – mi ha fatto riflettere, portandomi a trarre conclusioni piuttosto inquietanti. Voglio condividere, di seguito, le mie riflessioni con i lettori di “Pauperclass”, che so essere pochi ma buoni. Mi sono visto il confronto fra Salvini, in collegamento esterno da Strasburgo, e una giornalista radical chic di “Repubblica” (principale rotolo di carta igienica della sinistra euroserva, buonista e pro-troika), tale insignificante Annalisa Cuzzocrea, presente in studio. La querelle era sugli immigrati clandestini che stanno arrivando a frotte nel nostro paese.