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Archivio del Tag ‘Paolo Barnard’

  • Barnard contro tutti: sapete qual è il vero complotto?

    Scritto il 16/10/21 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    Se da una parte ci rendiamo conto che non ci è stato raccontato tutto, come facciamo oggi a fidarci di chi ci ha preso in giro? Questa è una bellissima domanda: su questo punto, la schiera di chi si sta agitando per il Green Pass e i vaccini ha assolutamente ragione. La classe politica e (in grande parte) la classe scientifica non sono per niente affidabili: non c’è da fidarsi. La legge del Green Pass in Italia è fatta coi piedi, è fatta da cani: come dice Gianluigi Paragone, è politicamente infame. Le terapie domiciliari? Sono allo studio: la scienza le sta prendendo seriamente in considerazione. Nel frattempo di chi dovremmo fidarci? Di Sgarbi, che urla in televisione che il 20% dei vaccinati sconta effetti collaterali terribili? Macché 20%: è lo 0,0027%. Io dico: manteniamo la calma. Certo, ora mi insulteranno: diranno che ho tradito la causa degli alternativi, dell’opposizione ai poteri. Non è vero, anche se ho detto che il Grande Reset non c’è, non esiste. Se uno legge quel libro, scopre che non c’è assolutamente niente di quello che la gente dice che sia il Grande Reset.
    Certo che esistono, i progetti che puntano a un sempre maggiore controllo sociale: ma queste cose sono completamente disgiunte dal Covid. Io, che per primo ho denunciato in Italia quello che è stato veramente un complotto economico osceno, europeo, contro di noi e gli altri paesi del Mediterraneo (l’Ue, l’euro: un disegno partito negli anni Trenta), dico che le cose malefiche e nocive, nel mondo, compaiono “a random”. Beninteso: i complotti esistono, ma quando mai hanno davvero cambiato il corso della storia? Funziona così: prima si scatena una sciagura, poi ci sono quelli che se ne approfittano. Nel mio libro “L’origine del virus” documento come il Sars-Cov-2 sia “scappato” dal laboratorio di Wuhan, finanziato dagli Usa, nel silenzio della comunità scientifica. Quindi: “a random” è uscito il Covid, e adesso c’è chi se ne approfitta. Ma questo è normale, succede sempre. La pandemia è stata funzionale all’aumento esponenziale del controllo sociale? Certo: è stata funzionale, appunto, ma non creata apposta. E comunque: tutto quello che succede è sempre funzionale al controllo.
    Pongo l’accento su una cosa: tutti questi che oggi si agitano col Covid, tutti questi nuovi paladini delle libertà individuali che ora parlano di Reset, com’è che tutti i giorni della loro vita comprano, finanziano e applaudono il più grande, micidiale Reset della storia umana, che è l’arrivo del social network? Sta demolendo la coesione umana, la nostra intelligenza, il progresso: sta demolendo tutto. Gridano contro il Grande Reset del Covid, e poi passano il tempo su Twitter, su Instagram, su Facebook, tra chat e commentini. E ancora peggio: oggi stiamo parlando della privazione delle libertà individuali in relazione al Green Pass, mentre tutta questa gente manda i bambini, generazione dopo generazione, in quel tritacarne osceno che è il sistema scolastico, che fa di tutto per distruggergli l’autostima per sempre e li rende servi obbedienti, apatici idioti incapaci di distinguere ciò che è davvero importante; quando si agitano per qualcosa, è la cosa sbagliata (vedi il Covid).
    E i nostri bambini li mandiamo a milioni in questo sistema, che ci priva della libertà fondamentale di creare cittadini liberi, combattenti, con un’autostima forte, indipendenti mentalmente. E poi la privazione della libertà sarebbe il vaccino? Altro capitolo: oggi mi domandate chi è Mario Draghi? Be’, innanzitutto è uno psicopatico, in termini medico-clinici. Cioè: un uomo a cui manca totalmente la percezione degli esseri umani. E’ una macchina, è un uomo vitreo: è orrendo. Ed è un pericolo pubblico, dovunque si trovi. Naturalmente, le falci che questo psicopatico vorrebbe utilizzare sono tenute ferme dalle restrizioni di una società civile che, bene o male, ancora esiste, inclusi i cadaveri dei sindacati (ma se fosse per lui…). E Draghi è uomo che, in totale mancanza di consapevolezza, porta avanti il disegno neoliberista dell’economia neoclassica – dai folli disegni “random” degli ideologi della distruzione, dei governi filo-nazisti degli anni Trenta – l’ha protratto fino alla costruzione europea di Altiero Spinelli (che, poveretto, non sapeva quel che faceva) e poi tutta l’Europa dei tedeschi, quella di Padoa Schioppa.
    Draghi è una pedina marcia, funzionale a questo disegno. E’ un uomo orribile, pericolosissimo, ma non è colpevole: perché non sa quello che fa. E’ indottrinato, è un ayatollah del neoclassicismo economico e del neoliberismo: è un esecutore. Ma non di ordini: la sua è una fede. Non è che un arcivescovo prenda ordini dal Papa: ci crede, in quello che fa. E il disegno in cui crede Draghi è assolutamente micidiale. Ripeto, è un uomo pericolosissimo. Quando l’ho visto arrivare al governo, non ci potevo credere. Passino i cretini, gli incompetenti, i pazzi, i corrotti, la feccia dei Berlusconi e dei Renzi; ma questo è uno psicopatico-killer: come cavolo è arrivato qui? Ringraziamo i 5 Stelle: bravo Grillo, bravo Di Maio. Dite che il giornalismo italiano è diventato propaganda? No: è stato propaganda sempre. Il mio Vangelo del Giornalismo è questo: il giornalista dev’essere odiato da tutti. Deve molestare tutti e criticare anche i colleghi. Nessun giornalista fa questo, tutti fanno le “parrocchiette”. Non c’è mai stato, il giornalismo: non è mai esistito.
    (Paolo Barnard, dichiarazioni rilasciate nell’intervista realizzata da Matteo Gracis su YouTube e anche in quella registrata con Fabio Frabetti per “Money.it”. Dopo anni di silenzio, Barnard è tornato in scena con il suo saggio sulla crisi pandemica. La sua versione: il virus è pericoloso, è frutto di manipolazione genetica, è fuoriuscito dal laboratorio di Wuhan finanziato dagli Usa e si è propagato grazie all’omertà del regime di Pechino, dittatoriale quanto quello della Corea del Nord. Barnard contesta il Green Pass ma promuove i vaccini, ritenendoli capaci di minimizzare l’impatto della patologia. Il libro: Paolo Barnard, “L’origine del virus. Le verità tenute nascoste che hanno ucciso milioni di persone”. Edito da Chiarelettere, il libro si avvale di due co-autori, Angus Dalgleish e Steven Quay, tra i più autorevoli virologi al mondo).

    Se da una parte ci rendiamo conto che non ci è stato raccontato tutto, come facciamo oggi a fidarci di chi ci ha preso in giro? Questa è una bellissima domanda: su questo punto, la schiera di chi si sta agitando per il Green Pass e i vaccini ha assolutamente ragione. La classe politica e (in grande parte) la classe scientifica non sono per niente affidabili: non c’è da fidarsi. La legge del Green Pass in Italia è fatta coi piedi, è fatta da cani: come dice Gianluigi Paragone, è politicamente infame. Le terapie domiciliari? Sono allo studio: la scienza le sta prendendo seriamente in considerazione. Nel frattempo di chi dovremmo fidarci? Di Sgarbi, che urla in televisione che il 20% dei vaccinati sconta effetti collaterali terribili? Macché 20%: è lo 0,0027%. Io dico: manteniamo la calma. Certo, ora mi insulteranno: diranno che ho tradito la causa degli alternativi, dell’opposizione ai poteri. Non è vero, anche se ho detto che il Grande Reset non c’è, non esiste. Se uno legge quel libro, scopre che non c’è assolutamente niente di quello che la gente dice che sia il Grande Reset.

  • Eccoci, finalmente: ora comincia la grande diserzione

    Scritto il 14/10/21 • nella Categoria: idee • (1)

    Le grandi rivoluzioni, si dice, sono sempre state progettate, innescate e dirette da formidabili élite avanguardistiche. Vero, ma poi che fine han fatto, quei rivolgimenti? Quanto alle élite, oggi sembra disastrosamente crollato il loro prestigio: persino l’oceanico astensionismo che ha rimpicciolito le ultime elezioni italiane (amministrative, per giunta: tradizionalmente partecipate) suona come una campana a morto, per chi è solito utilizzare pedine locali. Sembra un avviso rivolto non solo al super-governo del Tecnocrate, ma in fondo anche alle possibilità dell’intera politica liberale, democratica, completamente svuotata. L’arena è ormai percepita come corrotta, infiltrata, devitalizzata: nemica, addirittura. Manipolata proprio dai mediocri, impresentabili terminali di quelle stesse élite che oggi esternano il loro delirio globalista a vocazione totalitaria. Lo fanno senza più nemmeno nascondersi, dichiarando in modo esplicito i loro obiettivi apertamente zootecnici. Imperativi categorici e funesti, monotoni e minacciosi: magari inventano emergenze e pandemie, mettendo in croce i sistemi sanitari con artifici criminosi.

  • Fine del mondo: perché proprio adesso, e proprio a noi?

    Scritto il 11/8/21 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    Il grande dolore non viene nemmeno dal potere, ma dal vicino di casa: pensa davvero che tu sia una specie di squilibrato, un mitomane, un esibizionista presuntuoso, un originalone. Non solo non approva il tuo ostinato diniego, di fronte alle imposizioni sempre più surreali e illogiche, soffocanti e dispotiche, ma prova nei tuoi confronti anche una sorta di sordo risentimento, che potrebbe persino sfociare in ostracismo aperto non appena il direttore d’orchestra dovesse alzare nuovamente il volume della sirena d’allarme, facendo correre i topolini a rintanarsi, pieni di paura per la loro sorte (e di veleno, per chi rifiuta di sottomettersi). C’è chi la chiama “speciazione”: è il bivio evolutivo terminale tra due umanità differenti, diverse nel sentire e nell’agire, che il Dominio riesce a separare irrimediabilmente, rompendo tutti i ponti del dialogo e della reciproca, amichevole comprensione. Altra tristezza: insieme alla Francia, l’Italia è l’altro paese europeo che ha imboccato la strada della coercizione violenta.
    C’è da piangere, appena ci si mette ad ascoltare medici indipendenti, scienziati e liberi ricercatori: non una, di tutte le misure imposte a partire dalla primavera 2020, ha mai avuto il minimo significato, in termini di contenimento di un problema sanitario. Tutto ha avuto sempre un altro sapore: quello della vessazione, dell’arbitrio autoritario, e con un’estetica sinistramente affine a quella dei totalitarismi del Novecento. Tutto vi si è piegato: la burocrazia sanitaria, la medicina ufficiale, la politica, l’industria, il sistema mediatico, il mondo culturale e quello dello spettacolo. Pochissime le voci dissonanti, immediatamente bollate come eretiche e colpite senza pietà: con l’irrisione, la censura, la denuncia e la radiazione, l’esilio, l’esecrazione pubblica. Chi avrebbe mai potuto pensare, seriamente, anche solo un paio d’anni fa, che i presunti non-dormienti avrebbero dovuto far ricorso a parafrasi e sinonimi, sui celebrati social, evitando le parole “Covid” e “vaccino” per non incorrere nell’immediata ghigliottina del censore?
    Di fronte a questo, è come se l’intera categoria della politica – la politica democratica occidentale, larvatamente affacciatasi alla fine del 1700, poi cresciuta nell’800 e infine fiorita nel “secolo breve”, sia pure con i drammatici contraccolpi delle dittature e delle guerre mondiali – fosse giunta a uno stadio terminale, alla fine di un ciclo storico, riguardo alla sua reale possibilità di riflettere l’umano, nella sua libera vita sociale. La devastazione è antropologica: quando si corre a subire un inoculo di materiale imprecisato, per obbedire a un ordine che si racconta impartito allo scopo di prevenire un malanno curabilissimo in modo ordinario, forse siamo arrivati oltre il civile e il consueto, oltre l’orizzonte conosciuto del ragionevole, del plausibile. Se poi si accetta di subire un simile ricatto per andare in pizzeria o in palestra, o allo stadio, la verità diventa esplosiva: un conto è sottoporsi a un’angheria inquietante per salvare in modo drammatico il proprio stipendio (all’ospedale, a scuola); un altro è apprestarsi anche a strisciare a terra, se richiesti, solo per poter continuare a frequentare un bar, una trattoria, con gli amici di sempre.
    Il trionfo del Dominio sull’umanità dormiente è totale, apocalittico: lo testimonia splendidamente la vile improntitudine degli imbecilli, i mentalmente devastati, che arrivano ad accusare i renitenti di avere “paura del vaccino”, mostrando così di detestare la loro residua libertà. Gonfi di livore, indifferenti alle notizie verificabili (e alle morti eccellenti, come quella di Giuseppe De Donno), i più miseri utilizzano con disinvoltura quella parola nobile, nella storia della medicina, come se la pozione-Covid fosse davvero un vaccino. Ma soprattutto: dopo un anno e mezzo di eccellenti terapie domiciliari, i poveretti preferiscono fingere di credere (o magari credere davvero, sinceramente) all’obbligatoria necessità di una profilassi di massa, assolutamente fondamentale, per arginare il terribile contagio di un ipotetico virus (mai isolato in laboratorio) la cui letalità è stata definita quasi irrisoria dai più eminenti epidemiologi del pianeta, rigorosamente messi fuori dalla porta (come i luminari della Great Barrington Declaration, pionieri della lotta contro una minaccia ben più temibile, l’Ebola).
    E’ durata meno di 24 ore, sul web, l’esposizione del filmato in cui il professor Stefano Scoglio (candidato nel 2018 al Nobel per la Medicina) spiegava come lo stesso virus Hiv fosse poco più che immaginario, frutto di un semplice “sequenziamento”, anziché di un “isolamento” biologico vero e proprio. Scoglio era intervenuto alla trasmissione “L’Orizzonte degli Eventi”, dopo aver firmato un prezioso contributo nell’esemplare libro-denuncia “Operazione Corona”, edito da Aurora Boreale e curato da Nicola Bizzi e Matt Martini. In particolare, Martini – chimico farmaceutico, esperto in modellazione cellulare – insiste sul punto: persino gli Usa, attraverso il Cdc, hanno ammesso che l’ipotetico virus responsabile della sindrome Covid (quella sì, reale) non è mai stato isolato, in nessuna sede scientifica. Nonostante ciò, una parte dell’informazione – di ogni specie: mainstream, “gatekeeper” e reporter in buona fede – già sta raccontando del “virus manipolato”, sfuggito al laboratorio di Wuhan o addirittura diffuso intenzionalmente dai perfidi cinesi, con i loro complici occidentali.
    Se poi l’inventore del test Pcr raccomanda di non superare i 20-22 “cicli di amplificazione” del campione biologico, e invece i sanitari sottopongono il tampone anche a 45 “amplificazioni” (andando così a pescare tracce molecolari di virus antichi, residui di influenze stagionali del passato, contrabbandati per Covid), ecco che la “pandemia di asintomatici” supera di gran lunga la follia, entrando in quella che alcuni configurano come una dittatura in piena regola. Una tirannide che manipola la verità per suscitare allarme e imporre comportamenti normalmente inaccettabili, puntando a revocare – per sempre – i diritti umani e le libertà a cui la popolazione (occidentale) era abituata. Vero: davamo per scontati i nostri lussuosi privilegi, frutto in realtà di una precisa “finestra” storica, quella in cui si affermò – faticosamente e sanguinosamente – il tipo di regime politico chiamato democrazia. Un sistema che ovviamente non è il paradiso, ma è decisamente meno peggiore di qualsiasi altro possibile regime.
    A cosa doveva servire, l’infarto della democrazia? A pervenire infine al Green New Deal, cioè il Grande Reset imposto in modo fraudolento con l’alibi bugiardo dell’emergenza climatica, venduta anch’essa come dogma religioso da un clan di scienziati reclutati dall’Onu e pagati a peso d’oro per fare dichiarazioni a comando? Dove ci vorrebbero portare, i tagliatori seriali di alberi che dal 2019 hanno raso al suolo i parchi pubblici italiani per impedire alle fronde – come documentato dal governo britannico – di ostacolare la trasmissione delle onde 5G, la cui innocuità non è ancora stata dimostrata? Come tutti sanno, un semplice indizio non costituisce una prova; una somma di inidizi, invece, forse sì. Tutto punta verso l’essere umano, o meglio: il corpo umano. Secondo alcuni teorici, siamo di fronte alla cosiddetta biopolitica: archiviato il Giuramento di Ippocrate, dopo aver chiesto agli stessi medici di abdicare alla loro missione, è il nostro organismo – corpo e mente – il vero target della grande operazione in corso, che manifesta la sua intenzione di violare l’integrità dell’habeas corpus, il più sacro dei diritti della persona.
    Niente di nuovissimo, peraltro: la nostra civiltà proviene da millenni di dispotismo brutale, nudo e crudo. E i lampi migliori della gloriosa democrazia occidentale novecentesca, di marca anglosassone, secondo il memoriale di Giacomo Rumor (pubblicato dal figlio, Paolo Rumor, nel libro “L’altra Europa), provenivano dal cosiddetto “contingente americano”, che l’esoterista e gollista francese Maurice Schumann faceva discendere anch’esso dalla fantomatica Struttura che reggerebbe il mondo ininterrottamente, indossando le maschere più svariate (imperi, religioni) da qualcosa come 12.000 anni. Fantascienza? Fino a ieri, lo erano anche gli Ufo: oggi invece li sdogana il Pentagono, ribattezzandoli Uap, mentre il generale israeliano Haim Eshed parla di basi extraterresti e di alleanze spaziali, tra umani e non, nell’ambito di una Federazione Galattica. E alcuni illustri massoni, improvvisamente loquaci, parlano di storici accordi nel dopoguerra tra la dirigenza degli Usa e imprecisate entità aliene, per la governance condivisa del pianeta.
    Come sperare di raccontarlo, tutto questo, ai poveri ipnotizzati che – in pieno agosto – vanno ancora in giro, all’aperto, con quella ridicola pezzuola sul volto? Sono la prova vivente del pieno successo del Dominio: aveva ragione, l’ipotetico grande regista, nel ritenere che la gran parte dei sudditi avrebbe creduto proprio a tutto. Come dargli torto, del resto? Siamo riusciti a credere che un solitario fanatico saudita abbia potuto mettere in ginocchio gli Stati Uniti agendo da una grotta afghana, fino a beffare le difese della superpotenza, grazie a un manipolo di pecorai e talebani. Siamo riusciti a credere che due piccoli aerei di linea potessero abbattere due mostri d’acciaio come le Torri Gemelle, per la cui eventuale demolizione controllata era stato reputato (dal Comune di New York) che l’unica soluzione potesse essere il ricorso a mini-atomiche, da collocare in appositi vani predisposti nelle fondamenta. Abbiamo anche creduto che potesse essere autentico, tra le macerie di Ground Zero, il ritrovamento “fortunoso” dei passaporti dei misteriosi, feroci attentatori.
    Aveva visto giusto Giulietto Chiesa: da quel Rubicone non sarebbe stato facile, tornare indietro. Convalidando una falsità così mostruosa, avremmo finito per credere a qualsiasi frottola. E infatti: abbiamo steso il tappeto rosso al signor Mario Monti, venuto a disastrare l’economia nazionale per produrre crisi e afflizione sociale, dopo aver creduto che il debito pubblico fosse davvero un dramma, e che la Bce fosse una specie di forziere con capacità limitate, da cui la necessità di risparmiare – in modo oculato e parsimonioso, “come un buon padre di famiglia” – il tesoretto dell’euro-moneta, appannaggio di cosche finanziarie privatissime. In parallelo, era sorta la prima contro-narrazione, in Italia splendidamente interpretata da un lottatore come Paolo Barnard, vero pioniere in una trincea che poi si è affollata di illustri compagni di strada, dal sociologo Luciano Gallino all’eurocrate pentito Paolo Savona. E noi dov’eravamo? Al solito posto, davanti al televisore: ipnotizzati dalla finta guerriglia tra pseudo-destra e pseudo-sinistra; un film (comico) aperto dalla Berlusconimachia e proseguito, in un crescendo irresistibile, fino all’epica disfida tra Savini e le Sardine.
    E ora eccoci qui, dopo un anno e mezzo, ancora a contare “casi” e “contagi”, dentro la narrazione del Grande Male che falcia lo zero-virgola della popolazione mondiale e da noi minaccia gli ottantenni, ma solo a patto che vengano abbandonati per giorni a marcire a casa, da soli, senza cure, in modo che poi possano davvero arrivare all’ospedale fuori tempo massimo, alle prese con problemi respiratori e la compromissione funzionale di vari organi. Eccoci qui, a sputare in faccia a chi non la pensa come noi: a chiamare “no-vax” i renitenti alla follia, a definire “negazionisti” i poveretti che si ostinano inutilmente a pretendere spiegazioni. Siamo maestri, nell’arte della manipolazione spicciola: arriviamo tranquillamente a insultare i dissidenti e a deridere chi dà voce agli incubi, chiamando “complottista” chi vede una cospirazione in atto.
    Naturalmente ci sono, i visionari: ma difficilmente continuerebbero a esistere, se dall’alto giungessero informazioni precise, corrette e trasparenti. Dall’alto invece piovono solo bugie, insieme alle minacce (ogni giorno più inquietanti); ma noi facciamo finta che i “cospirazionisti” siano dei malati di mente, dei mentecatti in vena di protagonismo, anche se – cent’anni fa – un personaggio come Rudolf Steiner, per primo, aveva profetizzato l’avvento di “vaccini” specialissimi, in grado di “separare il corpo dall’anima”, depotenziando l’emotività. Il chimico Corrado Malanga la chiama “zombizzazione”, osservando il dilagare di persone ormai inebetite dalla paura, rassegnate a non pensare più. Nella sua visione spiritualistica di matrice steineriana, Fausto Carotenuto (già analista d’intelligence) sostiene che l’attacco in corso sia frutto di apprensione: come se il Dominio temesse un grande risveglio, e sapesse di avere le ore contate. Un altro esponente della cultura alternativa italiana, l’alchimista Michele Giovagnoli, preferisce sforzarsi di guardare al bicchiere mezzo pieno: un cittadino su tre si sta letteralmente sottraendo alle grottesche imposizioni quotidiane.
    Questo stesso blog, che ha ormai esaurito la sua missione (fornire informazioni e analisi non facilmente rintracciabili, dieci anni fa) ormai ha acquisito la piena consapevolezza della fine di un ciclo, e la completa inutilità dell’insistere su determinati temi. E’ vano indugiare nella narrazione politologica, visto che da un lato la maggioranza resta sorda a ogni richiamo alla ragione, e dall’altro la minoranza dispone finalmente di strumenti più adeguati per misurare la realtà. Tra le convinzioni raggiunte, c’è anche la seguente: è perfettamente inutile scommettere ancora sulle possibilità di redenzione della politica, nel momento in cui è irrimediabilmente mutata la stessa antropologia della platea. Per contro, è proprio la brutalità della crescente coercizione ad accelerare l’evoluzione dell’umanità trainante, che giustamente diffida di ogni forma associativa convenzionale, partiti e movimenti, avendo compreso l’essenziale valore della vicinanza tra esseri umani, non più mediata da alcuna struttura, e la necessità di procedere nell’espressione virtualmente contagiosa di onde benefiche, di narrazioni parallele orientate non al presente, ma al futuro prossimo.
    Il Novecento, severissimo maestro, ha mostrato come può essere facile manipolare milioni di individui, fino a scatenare le peggiori carneficine (mondiali) dell’era industriale. Ha anche allevato schiere di avanguardisti coraggiosi, pronti a rischiare la propria vita pur di resistere alla tirannia. Primo Levi, uno dei massimi scrittori contemporanei, ha spiegato quanto sia sempre invisibile, all’inizio, il recinto che viene silenziosamente steso, giorno per giorno, allo scopo di intrappolare le vittime senza allarmarle. Finestra di Overton, o Teoria della Rana Bollita: la differenza, rispetto a ieri, è che oggi il pentolone è planetario. E vorrà pur dire qualcosa, nei giorni in cui i militari statunitensi pubblicano le prove dei loro incontri ravvicinati con i simpatici Uap. E noi, qui, nel frattempo che si fa? Ce ne stiamo quieti, in attesa dell’Alieno Buono che ci verrà a salvare, come l’Extraterrestre della canzone di Finardi? Ci allineiamo “in fila per tre”, come chiede il governo e come cantava Edoardo Bennato? Continuiamo a credere a Babbo Natale, cioè al Telegiornale, o seguitiamo a torturarci con le atrocità quotidiane che i medici-coraggio denunciano, da ormai un anno?
    Cari amici, viene da dire, io tolgo il disturbo: qui non resto un attimo di più; perché mi sento soffocare, in questo grappolo di narrazioni e contro-narrazioni. Quello è davvero il nocciolo della questione: in base a decisioni prese chissà quando, qualcuno ha stabilito che – dai primi mesi del 2020 – non si dovesse più parlare d’altro. Il mondo andava semplicemente fermato, rintronato, ipnotizzato, piegato. Non tutto il mondo, in realtà: l’Occidente. Paesi-continente come la Russia e India, per esempio, non si sono lasciati sottomettere. Esiste sempre, una quota considerevole di renitenti: anche se oggi può sembrare difficile accettarlo, la cosiddetta “fine della storia” resta un mito, una suggestione ideologica. Un caposaldo della strategia militare, in ogni tempo, è questo: mai accettare di combattere una battaglia nelle modalità indicate dallo sfidante, che ha scelto il giorno e il luogo. E’ un vantaggio che, per l’aggressore, rappresenta un regalo clamoroso. La domanda di fondo, però, resta inevasa: perché è capitato proprio a noi, oggi, di vivere l’incubo di una tempesta come questa?

    La grande amarezza non viene nemmeno dal potere, ma è provocata dal vicino di casa: pensa davvero che tu sia una specie di squilibrato, un mitomane, un esibizionista presuntuoso? Non solo non approva il tuo ostinato diniego, di fronte alle imposizioni sempre più surreali e illogiche, soffocanti e dispotiche, ma prova nei tuoi confronti anche una sorta di sordo risentimento, che potrebbe persino sfociare in ostracismo aperto non appena il direttore d’orchestra dovesse alzare nuovamente il volume della sirena d’allarme, facendo correre i topolini a rintanarsi, pieni di paura per la loro sorte (e di veleno, per chi rifiuta di sottomettersi). C’è chi la chiama “speciazione”: è il bivio evolutivo tra due umanità differenti, diverse nel sentire e nell’agire, che il Dominio riesce a separare irrimediabilmente, rompendo tutti i ponti del dialogo e della reciproca, amichevole comprensione. Ulteriore tristezza: insieme alla Francia, l’Italia è l’altro paese europeo che ha imboccato la strada della coercizione violenta.

  • Il fu Marco Travaglio e la fine di trent’anni di non-politica

    Scritto il 13/7/21 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    A quale vero potere risponde, Mario Draghi? E verso dove sta cercando di portare l’Europa, attraverso la storica riconversione dell’Italia, da colonia politica di secondo piano a possibile primattore sullo scacchiere europeo e internazionale? Domande sospese, all’interno del tempo breve (anzi, brevissimo) imposto dalla super-crisi che si racconta sia stata innescata da una pandemia di origine virale. Un’emergenza esplosa proprio nel momento in cui stava per spezzarsi lo schema di dominio del capitalismo globalizzato dal neoliberismo, deciso a fare della Cina la manifattura del mondo, e a ridurre l’Europa – separata dal Grande Est – a una succursale atlantica azzoppata dalle recessioni finanziarie artificiali (austerity) e dal dumping sociale e occupazionale rappresentato dall’immigrazione di massa, proveniente da un’Africa predata sanguinosamente dagli stessi strateghi dell’esodo, mascherati da profeti buonisti della religione dell’accoglienza umanitaria.
    Nel deprimente panorama politico italiano, che il “nuovo” Draghi ha messo letteralmente in freezer commissariando il presente e il futuro del paese, spicca la parabola piuttosto imbarazzante di Marco Travaglio, ottimo polemista, acclamato in televisione (e anche nei teatri) quando vestiva i panni di gladiatore dell’antiberlusconismo. Giorgio Bocca, mai tenero col Cavaliere, si rammaricava della visione ristretta di Travaglio, limitata al solo profilo giudiziario degli eventi; lo riteneva incapace di una vera lettura storico-sociologica, prerogativa del giornalismo autentico (che ai tempi di Bocca ancora esisteva). Altri, come l’ispido Paolo Barnard, hanno accusato Travaglio di essere un sostanziale “gatekeeper”, un finto oppositore funzionale all’establishment – come del resto lo stesso Beppe Grillo. Altri ancora, infine, hanno notato l’ortodossia neoliberista del “Fatto Quotidiano” (a lungo incarnata da Stefano Feltri, ospite del Bilderberg), imputando al giornale anche una visione ultra-atlantista in politica estera e l’assenza di coraggio nel valutare le imprese degli Usa, spesso poco edificanti, specie nel loro opaco rapporto con i terrorismi recenti.
    Non deve stupire, in fondo, il fatto che oggi Travaglio rischi di sfiorare il patetico, nella sua difesa postuma dell’infimo Giuseppe Conte, arrivando persino a insultare l’ex sodale Grillo, ormai in rotta di collisione con il detronizzato, imbarazzante “avvocato del popolo”. Un’intera fetta di elettorato italiano, infatti, ha finto di scambiare per un vero pericolo il modesto Salvini: e agendo unicamente contro Salvini ha preteso di fare di Conte una figura politica reale, tridimensionale, come se Conte esprimesse davvero un pensiero, una linea, un’idea di paese. Esauritosi lo slancio dell’effimero Salvini, ecco che anche Conte è finito nel nulla da cui era sbucato, lasciando il suo paladino Travaglio con in mano un pugno di mosche. Pare sia bastata una telefonata con Grillo, il mandante originario dell’ectoplasma-Conte, per consentire a Draghi di mettere in cassaforte la riforma Cartabia della giustizia, osteggiata da Travaglio e da Conte ma non da Grillo, che ha impiegato cinque minuti a indurre i pentastellati ad ammainare anche la loro ultima bandiera, quella giustizialista.
    Proprio l’Italia forcaiola aveva fatto la fortuna di Travaglio, poi di Grillo, e prima ancora della Lega Nord. La caccia al nemico: era il riflesso psicologico all’origine della rottamazione della Prima Repubblica, imposta in realtà dal sommo potere atlantico. Era piena di difetti, l’Italia di Craxi e Andreotti, e probabilmente non avrebbe superato l’esame della storia: una volta caduta l’Unione Sovietica, avrebbe perso comunque la sua ragion d’essere. Ma il disastro neoliberale – imposto dalle altissime sfere – in Italia è stato declinato in modo straccione, con un tifo calcistico tra falsa destra e falsa sinistra, allineate entrambe al medesimo copione finto-europeista imposto dai poteri superiori. Nulla che il giornalismo (non solo di Travaglio) abbia saputo registrare, preferendo appiattirsi – come la stessa politica, del resto – sulla semplicissima fabbricazione del nemico apparente, l’Uomo Nero che è causa di ogni sciagura, il Male da abbattere in un orizzonte narrativo più metafisico che politico, in una sostanziale parodia della verità.
    E’ questo il palcoscenico sul quale si sono alternati, in modo spesso caricaturale, personaggi come Berlusconi e Renzi, le stesse controfigure del Pd, il finto rivoluzionario Grillo, il finto statista Conte. L’Italia ha assaggiato il morso del grande potere con l’autoritarismo privatizzatore e spietatamente antipopolare dell’oligarca Romano Prodi, braccio armato del potere cinese, e oggi si ritrova completamente alla mercé di un Mario Draghi che, un tempo partner di Prodi nella strategia di demolizione del paese, ormai opera in tutt’altra direzione, cioè verso un potenziale recupero di sovranità almeno economica. Ridotti a fantasmi, i partiti stanno a guardare (rendendo insopportabile, nauseante, lo spettacolo della sub-politica italiana). Sta a guardare la stessa stampa, che Draghi lo osannava già ieri, quando – con il suo “pilota automatico” – condannava il paese a subire la concorrenza sleale della Germania. In tutto questo, Marco Travaglio sembra diventato minuscolo: si limita a fare le pulci a un governo che detesta, solo perché è sostenuto da Salvini ed è costato la poltrona al diletto “Giuseppi”.
    E se Travaglio sembra auto-candidarsi a un declino malinconico, non è che i colleghi stiano molto meglio: tanto per cambiare si spellano le mani per applaudire Draghi, brillando nell’arte minore del servilismo, e senza neppure osare mettere in discussione, almeno giornalisticamente, la brutalità della campagna “vaccinale” anti-Covid, basata su profilassi geniche ancora solo sperimentali, sostanzialmente imposte aderendo alla falsa narrazione della pandemia come catastrofe irreparabile, e continuando incredibilmente a fingere che le terapie domiciliari non esistano. Nemmeno Travaglio, del resto, “vede” il problema: preferisce restare nel piccolo cortile delle liti tra comari, gli scandalosi diktat di Grillo e i mormorii dell’impresentabile Conte. L’elettorato non sembra essere da meno: non pretende soluzioni, si accontenta dell’abbattimento periodico e rituale del “puzzone” di turno. E’ come se la politica – intesa come scienza del costruire, secondo progetti – fosse stata “spenta” trent’anni fa. L’agonia terminale ha richiamato in servizio il “nuovo” Draghi, che però agisce in solitaria, bypassando il Parlamento: il suo Recovery è stato esaminato a Bruxelles, non certo in aula. Lo stato d’emergenza non è solo di oggi e non è soltanto sanitario: e Draghi lo rende semplicemente evidente, anche se Travaglio e colleghi non paiono essersene accorti.

    A quale vero potere risponde, Mario Draghi? E verso dove sta cercando di portare l’Europa, attraverso la storica riconversione dell’Italia, da colonia politica di secondo piano a possibile primattore sullo scacchiere europeo e internazionale? Domande sospese, all’interno del tempo breve (anzi, brevissimo) imposto dalla super-crisi che si racconta sia stata innescata da una pandemia di origine virale. Un’emergenza esplosa proprio nel momento in cui stava per spezzarsi lo schema di dominio del capitalismo globalizzato dal neoliberismo, deciso a fare della Cina la manifattura del mondo. Corollario: ridurre l’Europa – separata dal Grande Est – a una succursale atlantica azzoppata dalle recessioni finanziarie artificiali (austerity) e dal dumping sociale e occupazionale rappresentato dall’immigrazione di massa, proveniente da un’Africa predata sanguinosamente dagli stessi strateghi dell’esodo, mascherati da profeti buonisti della religione dell’accoglienza umanitaria.

  • Nausea terminale, di fronte all’Impero della Menzogna

    Scritto il 04/7/21 • nella Categoria: segnalazioni • (Commenti disabilitati)

    Menzogne, menzogne, menzogne. E poi ancora menzogne. Come sempre, più di sempre. Con una differenza: se esiste, un Piano-B, non è politicamente rappresentato, alla luce del sole, da nessuna forza politica. Il mondo sembra dormire, traumatizzato dalla farsa pandemica e narcotizzato dalla farsa terapeutica, la recita della profilassi definita “vaccinale”. Uno spettacolo con risvolti mediatici anche inquietanti e minacciosi, messo in piedi – si dice – per difendersi dai rischi di un contagio provocato da un virus che ora è di moda raccontare che sia “scappato” dal laboratorio cinese di Wuhan, ma – come ha clamorosamente ammesso lo stesso Cdc, l’istituto superiore di sanità americano – non è mai stato neppure isolato, cioè misurato biologicamente, identificato con certezza. E’ stato solo sequenziato, “spiato” nel suo apparente comportamento, ma non certificato nella sua reale, incontrovertibile esistenza. Dunque: esiste davvero, il Sars-Cov-2, o invece è solo un equivoco? E’ una sorta di frode scientifica? E’ un colossale abbaglio? E’ il replay del famosissimo virus Hiv che negli anni ‘80 fece da battistrada, a livello mondiale, nell’imporre un drastico congelamento della socialità, all’insegna della paura?
    Sul canale YouTube di “Border Nights”, ne ha parlato recentemente a “L’orizzonte degli eventi” il dottor Stefano Scoglio, candidato al Premio Nobel per la Medicina nel 2018 e co-autore del notevolissimo instant book “Operazione Corona” (Aurora Boreale), curato da Nicola Bizzi e Matt Martini. Risultato: YouTube ha rimosso il video della trasmissione, e ha imposto a “Border Nights” una settimana di oscuramento. Il vero problema – dice Gianfranco Carpeoro, altra voce della galassia “Border Nights” – non è neppure YouTube, ma sono gli Stati: che consentono a un soggetto privato (che quasi non paga tasse) di fare quello che vuole, dello spazio – pubblico – alla base del suo business planetario. Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt (nel quale milita lo stesso Carpeoro) segnala che, all’ultimo G7, sia Mario Draghi che Joe Biden hanno spinto per mettere fine allo strapotere delle multinazionali come quelle di Big Tech, che accumulano fantastiliardi grazie al dumping fiscale e utilizzano slealmente il loro enorme peso finanziario per imporre le politiche che vogliono, o meglio che vuole l’élite “malthusiana” che sogna la decrescita forzata dell’umanità, da imporre con ogni mezzo.
    Il terrorismo stragista e le guerre dei Bush, il terrore finanziario e quello climatico, ora anche il terrore sanitario. Il paradigma è granitico, a vocazione totalitaria. E’ evidente che una parte dell’élite vi sta opponendo, cercando di declinare il “qui e ora” anche attraverso una complessa, ambivalente geopolitica a doppio fondo, dove nessuno dice la verità perché probabilmente non può dirla. Certo non la dice Romano Prodi, che – come annotava il sempre efficace Paolo Barnard – ha criticato le “cicale sovraniste” europee mentre lodava le “cicale” cinesi, che fanno esattamente quello che, da noi, lo stesso Prodi non voleva si facesse: deficit spending, creazione di denaro a costo zero per supportare la domanda, cioè l’economia reale. E’ quel deficit spending (dare, anziché prendere) sul quale ha impegnato la sua ultima scommessa il “nuovo” Mario Draghi, in un’Italia massacrata dai lockdown, dove tiene ancora banco il cabaret grottesco di due figure come Conte e Grillo, tallonate dal grottesco Letta, senza che il mitologico Berlusconi e gli impalpabili Salvini & Meloni riescano a dire che, prima di inventarsi qualsiasi incresciosa Green Card, bisognerebbe innanzitutto preoccuparsi di assicurare alla popolazione la certezza di cure domiciliari, attraverso un normale protocollo terapeutico nazionale, evidentemente proibitivo perché proibitissimo, visto che distruggerebbe la statura semi-divina del “vaccino genico” come unica soluzione possibile.
    Menzogne, allora: ipocrisia e menzogne, ancora e sempre, più che mai, a reti unificate, in mezzo alla follia del secolo. Un luminare genovese il lunedì spiega che la terribile Variante Delta è solo un raffreddore, ma il martedì ipotizza possibili lockdown autunnali selettivi, riservati cioè a quella parte di popolazione che rifiutasse ancora di sottoporsi alla profilassi sperimentale genica che il mainstream si ostina a chiamare “vaccino”, ben sapendo che di vaccino non si tratta (intendendo per vaccino l’inoculo di un agente patogeno depotenziato). Di fronte allo tsunami che stava per manifestarsi, nella primavera 2020, una figura originale come l’alchimista Michele Giovagnoli osò offrire un suggerimento: state fermi, o sarete travolti. Intendeva dire: non puoi arrestare un’alluvione, con mezzi convenzionali (politici, ragionevoli), perché la forza della piena travolgerà comunque tutto. Se alla fine i danni sono stati in qualche modo limitati, non lo si deve alla politica visibile: lo si deve a segmenti di élite che hanno remato contro il disegno totalitario, e tuttora si stanno giocando percentuali tattiche di relativo successo, nella misura in cui riescono a sfruttare l’emergenza – da altri provocata – per contrastare i dogmi del dominio di ieri, quello finanziario.
    Anni fa, lo stesso Barnard raccontò un episodio curioso: a tarda notte, in una birreria di Bologna, ricevette una stretta di mano da un personaggio famosissimo, che però Barnard non riconobbe. Era Roberto Mancini, non ancora allenatore della nazionale di calcio: gli disse che lo stimava, ammirava il suo coraggio e apprezzava la sua opera di divulgatore giornalistico politico-economico. Oggi Mancini è un po’ l’eroe degli Europei azzurri, mentre Barnard è letteralmente scomparso dai radar. Lo si può capire: non ha retto. Il suo ultimo Capodanno pubblico lo spese sotto le finestre dell’ambasciata londinese dell’Ecuador, dove Julian Assange – da rifugiato scomodo, perseguitato dai democraticissimi Stati Uniti – era diventato prigioniero, pronto per essere tradotto nel carcere dove si trova tuttora. Tra l’altro: non era ancora esploso lo tsunami definitivo, lo spettacolo del Covid, e il Pentagono non si era ancora messo a parlare di Ufo. C’era grande amarezza, per l’assenza di politica, ma la politica non era ancora clinicamente morta, di fronte all’enormità (sociale, psicologica, antropologica) di quanto va accadendo, al punto da rendere problematico e frustrante anche l’aggiornamento di un semplice blog. Non basta aver ragionato di tutto e ascoltato chiunque: il risultato è davvero scoraggiante. Dopo tanti anni, scegliere il silenzio può rivelarsi una necessità fisiologica.

    Menzogne, menzogne, menzogne. E poi ancora menzogne. Come sempre, più di sempre. Con una differenza: se esiste, un Piano-B, non è politicamente rappresentato, alla luce del sole, da nessuna forza politica di qualche peso, in Parlamento. Il mondo sembra dormire, traumatizzato dalla farsa pandemica e narcotizzato dalla farsa terapeutica, la recita della profilassi definita “vaccinale”. Uno spettacolo con risvolti mediatici anche inquietanti e minacciosi, messo in piedi – si dice – per difendersi dai rischi di un contagio provocato da un virus che ora è di moda raccontare che sia “scappato” dal laboratorio cinese di Wuhan, ma – come ha clamorosamente ammesso lo stesso Cdc, l’istituto superiore di sanità americano – non è mai stato neppure isolato, cioè misurato biologicamente, identificato con certezza. E’ stato solo sequenziato, “spiato” nel suo apparente comportamento, ma non certificato nella sua reale, incontrovertibile esistenza. Dunque: esiste davvero, il Sars-Cov-2, o invece è solo un equivoco? E’ una sorta di frode scientifica? E’ un colossale abbaglio? E’ il replay del famosissimo virus Hiv che negli anni ‘80 fece da battistrada, a livello mondiale, nell’imporre un drastico congelamento della socialità, all’insegna della paura?

  • Perché ho scritto “La Bibbia Nuda”, con Mauro Biglino

    Scritto il 22/5/21 • nella Categoria: Recensioni • (Commenti disabilitati)

    La grande sala congressi ammutolì quando Benazir Bhutto osò denunciare il generale Pervez Musharraf, allora presidente-dittatore del Pakistan. L’accusa: gli uomini dell’Isi, il servizio segreto di Islamabad (agli ordini della Cia), avevano “allevato” i Talebani e protetto Bin Laden, come richiesto dal “terrorista” Bush. Lei, Benazir, di lì a poco si sarebbe candidata per liberare il Pakistan dalla menzogna. Saltò in aria qualche anno dopo, nelle ultime tappe di una campagna elettorale che l’avrebbe incoronata trionfalmente alla guida del suo paese. Ricordo bene quel fugace incontro, a Torino, a margine dell’assise promossa da Gorbaciov insieme ad altri ex leader mondiali, che avevano messo fine alla guerra fredda. In un palazzo del centro, l’indomani, Benazir Bhutto ripeté a beneficio delle telecamere le sue accuse pericolosamente terribili, ma sempre con quel suo sorriso disarmante: quello di chi sa di avere ragione, e ha deciso che bisogna pur metterla in gioco, la vita, se il nemico è così insidioso da saper pervertire integralmente la verità. Pensieri che oggi, tra coprifuochi e pass vaccinali, suonano stranamente familiari.

  • Barnard e l’Antico Ordine Mondiale, oggi ormai evidente

    Scritto il 01/5/21 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    Chiedetevi come mai la politica fallisce sempre, i partiti fanno cilecca e i leader finiscono per deludere. Oggi la risposta è sulla bocca di tutti quelli che hanno smesso di dormire; ma una decina di anni fa era un giornalista come Paolo Barnard, in solitudine, a proporre la domanda: chi comanda davvero, lassù, al di là dei piccoli esecutori locali, fabbricati in serie con i sondaggi e destinati invariabilmente a sgonfiarsi, dopo aver assolto al piccolo compito che era stato loro assegnato? Da qualche decennio, il copione è invariato: da una parte i paracarri, i pretoriani ufficiali del sommo contabile, e dall’altra gli outsider professionali, con traiettoria pilotata. L’outsider spunta come un fungo e un giorno esplode, viene osteggiato ma poi conquista i suoi spazi, varca la soglia sacra della televisione e infine accede al governo, da cui poi abbandonerà – uno ad uno – tutti i suoi cavalli di battaglia, lasciando senza parole gli elettori che gli avevano dato fiducia nel solito modo, e cioè religiosamente. Sempre così: show must go on, avanti un altro.
    Tra il saggio “Il più grande crimine” e i Dpcm inaugurati con la cosiddetta pandemia da coronavirus è possibile tracciare una linea retta, addirittura imbarazzante, che porta dritti al distanziamento e alle mascherine, ai lockdown, al delirio orwelliano del coprifuoco basato sull’evocazione del senso di colpa, del contagio come imprudenza e come maledizione, in un orizzonte cupo in cui riecheggia una specie di peccato originale: l’essere nati, l’aver aspirato a essere liberi e dotati di diritti umani. Siamo diventati il paese della Dad, dello smart working e delle Regioni colorate, dove la semilibertà (concessa col contagocce) bisogna meritarsela, stando lontani dal prossimo come se fosse appestato. L’incubo si prolunga, per via sanitaria (o meglio, fanta-farmaceutica) con l’incombente obbligo vaccinale sostanziale, propiziato da un assedio anche fisico, geografico, come quello del lasciapassare neo-medievale per poter varcare il Rubicone, il Piave, il Tevere, l’Isonzo.
    L’avvocato Erich Grimaldi, uno dei tanti eroi di questa Italia in rottamazione, quasi supplica il suo pubblico affinché accorra in piazza a Roma, l’8 maggio, indossando magliette con sopra scritto “voglio essere curato con le terapie domiciliari”, oppure “sono guarito grazie alle cure precoci a domicilio”. Quei trattamenti terapeutici tempestivi rappresentano la soluzione, l’uscita dall’allucinazione collettiva: ma il Ministero della Paura ha osato opporvisi, ancora, nonostante l’auspicio unanime espresso dal Senato e i colloqui in corso tra lo stesso Grimaldi e il sottosegretario Sileri, per arrivare finalmente a un protocollo che metta i medici nelle condizioni di curare gli italiani, senza più costringerli a ricorrere all’ospedale quando ormai faticano a respirare. E’ come se qualcuno si ostinasse a sparare cannonate, sull’allevamento umano, forte di una certezza granitica: le mansuete bestiole non si ribelleranno nemmeno stavolta, resteranno al loro posto in attesa di essere decimate, dalle cure negate e dal martirio economico che il 1° Maggio 2021 costringe anche la grande stampa ad ammettere che, intanto, si sono perduti 900.000 posti di lavoro.
    Non deve stupire il silenzio agghiacciante dei sindacati, che anzi – per bocca dei loro burocrati coalizzati (Cgil, Cisl e Uil, in primis il Landini che contestò Marchionne) – hanno addirittura firmato una petizione a sostegno di Roberto Speranza, il burattino incaricato di infliggere il massimo danno possibile al sistema-paese, senza riguardo per i morti né per le vittime della catastrofe economica. Non deve stupire nemmeno il mormorio sommesso dei partiti meno allineati alla filosofia della strage, celebrata in omaggio alla religione epidemica: se non hanno mai invaso le piazze per protestare contro la quasi-dittatura in atto, né preteso fin dall’estate 2020 le misure sanitarie adeguate, invocate da centinaia di medici, significa che rispondono a poteri superiori, a sollecitazioni e consigli, magari ad oscuri avvertimenti come quelli che persuasero Boris Johnson, l’uomo che voleva evitare il lockdown puntando all’immunità naturale, senza neppure il poco rassicurante doping dei “vaccini genici” sperimentali.
    Nell’ultimo decennio, il superlclan denunciato da Paolo Barnard è assurto agli onori delle cronache con moltissimi nomi: una specie di foto di famiglia, a volte sfocata e a volte meno, che include cenacoli del grande business, poteri finanziari e massonerie, cluster industriali, cupole omertose, caste sacerdotali, dinastie e fantomatiche organizzazioni-ombra. Spesso il cosiddetto complottismo si rassegna a rincorrere spettri, perdendo di vista il complotto (meglio, il progetto) che ormai è sotto gli occhi di tutti, dentro una globalizzazione policentrica e smisuratamente ingovernabile se non in modo sommario e anche feroce. Un caos epocale, dal quale emerge l’Antico Ordine Mondiale delle dominazioni pure, a cui sembra opporsi – in modo non sempre leggibile – un rilevante segmento della leadership di ieri, in precario equilibrio tra compromesso e battaglia aperta, in ordine al tono da conferire al Grande Reset che nel frattempo avanza in modo inesorabile, sia pure a geometria variabile nelle sue infinite declinazioni tecnocratiche e geopolitiche.
    Mentre lo stupidario nazionale italiota procede imperterrito il suo show affollato di tamponi e indici Rt, terribili “varianti” alle porte e simpatici banchi a rotelle, i cadaveri politici dei partiti dall’encelalogramma piatto fingono che scorra ancora un po’ di sangue nelle loro vene, ai margini di una trattativa – tra la vita e la morte civile del paese – che viene condotta da sapientissimi mandarini, nell’alto dei cieli in cui (non da oggi) ci si giocano a dadi le percentuali di felicità o di angoscia da elargire o comminare a milioni di persone. L’Antico Ordine Mondiale è quello di cui parla a chiarissime lettere Paolo Rumor nell’esemplare libro “L’altra Europa”, che evoca – da carte riservate – la possibile esistenza di una linea pressoché dinastica, risalente addirittura a 12.000 anni fa, incaricata di governare la zootecnia umana con ogni sorta di espediente strumentale: imperi e regni, teocrazie ierocratiche, dittature e democrazie, ideologie e teologie, fino al recente aggregato euro-atlantico e vaticano.
    Gli scritti di Rumor – perfettamente consonanti con le recenti acquisizioni della cosiddetta “archeologia non autorizzata”, che parlano di tecnologie avanzatissime in tempi antichi – sembrano invitare a guardare con nuovi occhi alle continue, stranamente inarrestabili rivelazioni ufficiali sull’annosa “questione aliena”, sulla quale le stesse voci dell’establishment hanno smesso di scherzare, di negare l’evidenza. E’ la scala di grandezza, in questo caso, ad appaiare certe presunte leggende alla dimensione planetaria del catastrofico presente, in cui teoricamente si pretende ancora che un piccolo partito, in un minuscolo paese, possa davvero dire la sua in una dimensione letteralmente incommensurabile, in cui tre soli fondi d’investimento, soci l’uno dell’altro (Vanguard, State Street e BlackRock) sono azionisti di qualunque cosa rappresenti il minimo interesse economico, in ogni campo: banche e petrolio, informazione e web, armamenti e trasporti, aerospaziale, alta tecnologia e intelligenza artificiale, edilizia e farmaceutica, grande industria, agroalimentare e grande distribuzione, spettacolo e cultura, telecomunicazioni e ricerca scientifica.
    L’aspetto tragicomico del made in Italy pandemico è garantito dalla ritualità scadente di un paese sottomesso alla religione del virus, che riesce a irridere la Festa del Lavoro massacrando centinaia di migliaia di piccole aziende, e a dissacrare persino la Festa della Liberazione celebrando il 25 Aprile dei partigiani nei giorni del coprifuoco, in una sorta di squallida farsa, vagamente spettrale, che ricorda le note di Rosamunda inflitte ogni mattina ai prigionieri di Auschwitz. E’ la stessa Italia dei coatti che nella primavera 2020 cantavano Bella Ciao dai balconi, pavesati a festa con lo slogan religioso “andrà tutto bene”. L’altra Italia – quella “bannata” ogni giorno da Facebook e da YouTube – resiste davvero, a modo suo, veicolando informazioni. Ai più scoraggiati, c’è chi propone un pensiero semplice: tanto accanimento contro i dissidenti non può che confermare indirettamente il timore che incutono, nonostante tutto, ai gestori dell’Antico Ordine Mondiale.
    Non profonderebbero tante energie, fino a trasformare giornali e televisioni in barzellette, se non avessero paura di un possibile, ipotetico risveglio collettivo. Considerate se questo è un uomo: davvero vogliamo continuare a vivere così? E soprattutto: c’è qualcosa che possiamo fare, per cambiare il corso degli eventi, sia pure in un pianeta palesemente dominato dall’alto, come oggi appare vistosamente evidente? C’è qualcosa che dovremmo sapere, e che i dominatori conoscono benissimo? Cosa nasconde, in realtà, l’ossessione nazistoide per il distanziamento interpersonale, imposto per alimentare la diffidenza reciproca e spezzare ogni forma di solidarietà, isolando l’individuo e lasciandolo in compagnia delle sue paure? L’apocalisse in corso (il famoso bicchiere mezzo pieno) porta in regalo la rivelazione di un’enormità patente, indigeribile, e fino a ieri impensabile. A meno che non si fosse letto Paolo Barnard, ovvero la descrizione minuziosa del sadismo di cui è capace, all’occorrenza, l’Antico Ordine Mondiale.
    (Giorgio Cattaneo, 1° maggio 2021).

    Chiedetevi come mai la politica fallisce sempre, i partiti fanno cilecca e i leader finiscono per deludere. Oggi la risposta è sulla bocca di tutti quelli che hanno smesso di dormire; ma una decina di anni fa era un giornalista come Paolo Barnard, in solitudine, a proporre la domanda: chi comanda davvero, lassù, al di là dei piccoli esecutori locali, fabbricati in serie con i sondaggi e destinati invariabilmente a sgonfiarsi, dopo aver assolto al piccolo compito che era stato loro assegnato? Da qualche decennio, il copione è invariato: da una parte i paracarri, i pretoriani ufficiali del sommo contabile, e dall’altra gli outsider professionali, con traiettoria pilotata. L’outsider spunta come un fungo e un giorno esplode, viene osteggiato ma poi conquista i suoi spazi, varca la soglia sacra della televisione e infine accede al governo, da cui poi abbandonerà – uno ad uno – tutti i suoi cavalli di battaglia, lasciando senza parole gli elettori che gli avevano dato fiducia nel solito modo, e cioè religiosamente. Sempre così: show must go on, avanti un altro.

  • Lockdown, medioevo nel 2021: i terrapiattisti del Covid

    Scritto il 25/3/21 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    Uscire dal medioevo: lo chiedeva (in modo “gridato”) un giornalista come Paolo Barnard, co-fondatore di “Report”, almeno dieci anni fa. Nel saggio “Il più grande crimine”, denunciava il carattere neo-feudale dell’élite eurocratica ordoliberista, capace di coniugare neoliberismo economico e autoritarismo politico-sociale nell’adesione fanatica al dogma mercantilista dell’economia “neoclassica”, tra i fantasmi settecenteschi di David Ricardo (prima produco, poi risparmio: senza possibilità di investire a monte, scommettendo sull’economia), come se il denaro fosse ancora un bene materiale e limitato, paragonabile alle materie prime e ai prodotti agricoli come il grano. Al centro della polemica innescata da Barnard campeggiava la grande menzogna sulla “scarsità di moneta”, utilizzata (ormai in tempi di valuta “fiat”, virtualmente illimitata e a costo zero) da un oligopolio privatistico, pronto a imporre l’austerity per ottenere la più grande retrocessione sociale di massa della storia moderna: il debito pubblico come colpa e come handicap, non più interpretato in modo keynesiano come leva strategica destinata a produrre benessere diffuso attraverso investimenti lungimiranti.

  • Il piano: noi, Mario Draghi e il grande cimitero dei sogni

    Scritto il 06/2/21 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    E’ notte fonda, e qualcuno passeggia: muove i suoi passi solitari nel cimitero dei sogni, tra i nomi di illustri caduti. Aldo Moro e la lira italiana, il Craxi di Sigonella, l’ultimo Andreotti che tentò di difendere l’Italia dal sacrificio rituale imposto dalla Germania come contropartita, in cambio della rinuncia al marco, onde ottenere dalla Francia il via libera all’agognata riunificazione di Berlino e Bonn. La Francia è ancora quella che lucra sottobanco la rendita imbarazzante del franco Cfa, sulla pelle di 14 paesi africani. Idem la Germania, col suo debito pubblico truccato e l’imbroglio della Kfw, banca pubblica travestita da banca privata, abilitata quindi a finanziare il governo all’infinito, alla faccia dell’Ue e della Bce, specie se anche al Reich mercantile di Angela Merkel toccano le spese extra dell’emergenza Covid. Là in fondo c’è l’Italia, con i suoi eroi come il presidente di Confindustria, che il martedì elegge l’oscuro Gualtieri a stratega del secolo e il mercoledì si genuflette all’altro genio, quello vero, chiedendogli da subito di tagliare le pensioni. L’establishment, lo chiamano. Il back office, il Deep State. L’élite, l’oligarchia. La crema di Davos, gli infidi scienziati del Grande Reset bio-politico, bipartisan e green, politically correct, psico-sanitario e orwellianamente zootecnico.
    Non sono facili da ricordare, i nomi degli abitanti del piccolo acquario zoo-politico nazionale: si tratta di esemplari comuni di ittiofauna minore e destinata a estinguersi senza lasciare traccia, pur avendo ingombrato le televisioni con la loro non-politica regolarmente emergenziale, vuota e cieca, orientata solo dagli umori volatili dai sondaggetti settimanali. Un copione sempre più increscioso ma in voga da decenni, cioè sin da quando i sogni sparirono dalla politica e finirono, uno dopo l’altro, nel loro speciale cimitero. Il primo grande ospite del mausoleo, secondo Bob Dylan, si chiamava John Kennedy: se viene ucciso come un cane l’Imperatore del Mondo, significa che il piano è partito da molto in alto, e con l’intento di fare moltissima strada. Del resto, un killer lo si trova sempre. E il piano dispone di un intero armadio di passaporti: da quello del Cile, dove assassinare Salvador Allende, a quello della Svezia, il paese in cui freddare il primo ministro Olof Palme sorpreso sottobraccio alla moglie, all’uscita di un cinema, come un cavaliere senza scorta. Un leader a cui non piaceva, la piega che stavano prendendo gli eventi: troppe ingiustizie, troppe bugie.
    Il piano eliminò il grande sindacalista panafricano Thomas Sankara, profeta della sovranità economica grazie a cui il continente nero avrebbe smesso di essere preda di razziatori e terra di emigranti. Nel cimitero lo seguì l’eroe di guerra Yitzhak Rabin, trasformatosi in campione della pace per spegnere un incendio durato mezzo secolo, usato come alibi da tutti gli incendiari, sotto qualsiasi bandiera. Il piano si era messo a correre, quando Bill Clinton aveva liberato da ogni vincolo la finanza speculativa, cancellando il Glass-Steagall Act con il quale Roosevelt aveva separato le banche d’affari dal credito ordinario. L’appetito degli arconti si fece smisurato: sfrattarono Gorbaciov e fecero un sol boccone della Russia, ma ancora non bastava. C’erano due torri, gemelle, da buttare giù: soffiò così forte, il Re dei Venti, da abbatterne anche una terza, neppure sfiorata da alcun aereo. Bastò a lordare di guerra mezzo mondo, inventando terrorismi tragicamente sanguinosi e pronti a fare strage persino nel cuore dell’Europa, il continente nel frattempo sottomesso con il più antico degli stratagemmi, il monopolio privato del denaro un tempo pubblico.
    In realtà, il germe primitivo del piano potrebbe essere antichissimo, stando alle memorie del plenipotenziario vaticano Giacomo Rumor, raccolte dal figlio Paolo nel saggio “L’altra Europa”: un’unica filiera scelta per esercitare un potere pressoché dinastico, ereditato addirittura 12.000 anni fa nella terra dei Sumeri, dai misteriosi rifondatori del pianeta. E architettato per dominare – attraverso regni, imperi e religioni, fino alla politica moderna – l’intera umanità post-diluviana, quella che ieri ascoltava il verbo di Greta Thunberg e oggi ha appena finito di assistere allo spettacolo madornale dell’elezione notturna di Joe Biden, dopo aver sentito raccontare che la peste del millennio sarebbe stata trasmessa all’uomo da un maledetto pipistrello. Non si scherza, coi signori del piano: una delle tombe più famose, nel cimitero dei sogni, è quella di Ernesto Che Guevara. E’ a due passi da quella di un altro comunista, Patrice Lumumba, fatto assassinare dal mercenario Moise Ciombé. Si può morire da idealisti, ma la mano del killer non risparmia nemmeno chi ha creduto di proteggersi ricorrendo anche al più spietato cinismo: ne sa qualcosa Muhammar Gheddafi.
    Poco importa che gli ordini vengano da Ur o da Washington, da Tel Aviv o da Betlemme, da Teheran o da Pechino: dovrebbe essere chiaro a tutti, ormai, che il piano non ha patria. Vuole il mondo, e non da oggi. Lo vuole a qualsiasi costo: ieri facendo morire anche i bambini, in Grecia, rimasti senza medicine, e ora costringendo miliardi di individui a vivere nel terrore, faccia a terra, rinunciando per sempre alla loro relativa libertà. Quando accade qualcosa di mostruoso, il monitor va regolarmente fuori fuoco: lo racconta in modo impareggiabile Dino Buzzati, evocando un nemico incombente – i tartari – che in realtà non si vedono mai. Dove siamo finiti, se siamo arrivati al punto in cui è vietato pensare? Dove siamo, se – per decreto – è vietato anche respirare? Non avrai altro orizzonte che il mio vaccino, dice l’intruso che si è impadronito del pianeta con l’aiuto dei consueti avventurieri, a loro agio tra Wuhan e Parigi, New York e Riad. Dove siamo, se i cosiddetti social media tolgono la parola al presidente degli Stati Uniti, nell’agghiacciante indifferenza di giornali, televisioni e magistrati?
    Qui, siamo: nel cimitero dei sogni.  Che però non è deserto, come potrebbe sembrare. C’è chi passeggia, in piena notte, tra quelle sepolture. Cammina e medita: sa che il piano non è una fantasia, purtroppo, ma non è neppure l’unico. Non c’è mai un solo piano, ce ne sono svariati. E non è detto neppure che i grandi decisori siano così unanimi, nell’attuare quello che appare il disegno dominante, coi suoi risvolti francamente tenebrosi. La storia – scrisse Montale – non è poi la devastante ruspa che si dice: lascia sottopassaggi, cripte, nascondigli. E’ bene non dimenticarlo mai, specie quando il cielo è così minaccioso da far temere il peggio, in mezzo alla desolazione di una dismisura che sembra irreparabile, letteralmente inaffrontabile come una misteriosa malattia, una peste terminale da fine della storia. Qualcuno può farlo deragliare, il piano, senza però che lo si sappia in giro: provvederanno i soliti storyteller, a piccole dosi, a somministrare caramelle ai bambini, il bacio della buonanotte. Si tratta anche di non turbarla troppo, la pace mortale dell’acquario: tutti quei pesci devono continuare a poter fingere di esistere.
    Smisero, i loro nonni – come ricorda Paolo Barnard – quando i grandi azionisti del piano scomodarono l’avvocato d’affari Lewis Powell, perché approntasse un vademecum. Istruzioni precise, su come intrappolare i sognatori in entrambi i modi, cioè stroncando brutalmente gli irriducibili e comprando tutti gli altri, uno alla volta. Nel mappamondo, la piccola Italia restava un osso duro: c’era da demolire l’Iri, il maggiore aggregato industriale dell’intera Europa, motore (pubblico) del ruggente boom privato. C’era da lavorare molto, per fabbricare una prigione scintillante, senza democrazia, i cui ospiti – italiani e francesi, tedeschi e inglesi – ricominciassero a guardarsi in cagnesco, facendosi le scarpe. C’erano narrazioni favolose, da inventare: sommi tecnocrati, filibustieri e capitani coraggiosi, tutta una classe politica da mandare al macero, o in esilio in Tunisia. C’erano eroi di latta, da lanciare in pista, a dire a tutti: rassegnatevi, d’ora in avanti avrete sempre di meno. E giù applausi scroscianti, anche se poi – incidentalmente – il tritolo disintegrava i giudici antimafia.
    Quando il fiato si è fatto pesante, sono arrivati infine i saltimbanchi a recitare le loro parodie, le piccole rivoluzioni da operetta. Gli hanno lasciato la scena, per qualche tempo, gli uomini del piano. Ma, al segnale convenuto, hanno ripreso il controllo e accelerato, spingendosi ben oltre l’immaginabile: segregazione obbligatoria e coprifuoco, come in guerra, grazie allo zelo di opportune marionette. Nessuna terapia: il copione prescrive la paura, come medicina unica. E il risultato – l’obbedienza – deve aver sbalordito gli stessi strateghi dell’azzardo: al punto da incoraggiarli a non avere più freni, osando l’inosabile, nel progettare il nuovo inferno per le pecore. Deve saperlo, chi cammina fra le tombe: non sarà facile trovare le parole per cambiare il piano. Serviranno trucchi, l’artificio creativo dell’affabulazione. Non c’è altro linguaggio, alla portata dell’acquario: bisognerà giocare con le stesse antiche frottole, riconvertendole in qualcosa di spendibile, titoli e slogan per l’eventuale nuova era, dando tempo ai frastornati e ai creduloni. Armarsi di pazienza è l’unico sistema, per chi davvero vuol provare a fare uscire i sogni dal loro cimitero.
    (Giorgio Cattaneo, 5 febbraio 2021)

    E’ notte fonda, e qualcuno passeggia: muove i suoi passi solitari nel cimitero dei sogni, tra i nomi di illustri caduti. Aldo Moro e la lira italiana, il Craxi di Sigonella, l’ultimo Andreotti che tentò di difendere l’Italia dal sacrificio rituale imposto dalla Germania come contropartita, in cambio della rinuncia al marco, onde ottenere dalla Francia il via libera all’agognata riunificazione di Berlino e Bonn. La Francia è ancora quella che lucra sottobanco la rendita imbarazzante del franco Cfa, sulla pelle di 14 paesi africani. Idem la Germania, col suo debito pubblico truccato e l’imbroglio della Kfw, banca pubblica travestita da banca privata, abilitata quindi a finanziare il governo all’infinito, alla faccia dell’Ue e della Bce, specie se anche al Reich mercantile di Angela Merkel toccano le spese extra dell’emergenza Covid. Là in fondo c’è l’Italia, con i suoi eroi come il presidente di Confindustria, che il martedì elegge l’oscuro Gualtieri a stratega del secolo e il mercoledì si genuflette all’altro genio, quello vero, chiedendogli da subito di tagliare le pensioni. L’establishment, lo chiamano. Il back office, il Deep State. L’élite, l’oligarchia. La crema di Davos, gli infidi scienziati del Grande Reset bio-politico, bipartisan e green, politically correct, psico-sanitario e orwellianamente zootecnico.

  • Suicidio Italia: ebbene Sì, ha vinto il Partito della Catastrofe

    Scritto il 22/9/20 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    Ce l’hanno fatta ancora una volta: loro, i demolitori. Il Movimento 5 Stelle, clamoroso depistaggio politico di massa, è riuscito a convincere gli italiani: “meno è meglio”. Meno democrazia, meno rappresentanza, meno spazi di libertà e dissenso. D’ora in poi, i parlamentari – ridotti di un terzo – saranno ancora più lontani dagli elettori e ancora più legati ai boss di partito. Ovvio, da parte di un movimento-caserma che ha espulso in modo sistematico chiunque osasse esprimere un pensiero diverso: tolleranza zero, per le idee elaborate in autonomia. L’esito del referendum confermativo della peggiore riforma costituzionale della storia repubblicana rappresenta un capolavoro, per un grande statista del calibro di Luigi Di Maio, uomo-simbolo dell’Italia allo sbando che è riuscita a insediare a Palazzo Chigi nientemeno che Giuseppe Conte, l’ometto che ha rinchiuso in casa i cittadini per quasi tre mesi, col pretesto del Covid, affondando l’economia. La grande opera dei rivoluzionari all’amatriciana: mettere la guida del governo nelle mani di un prestanome del potere italico più antico e storicamente meno democratico, quello del Vaticano.
    Osservatori indipendenti come Paolo Barnard, Alessandro Meluzzi e Federico Dezzani – diversissimi tra loro – l’avevano detto fin dall’inizio: lo psico-movimento creato da Gianroberto Casaleggio insieme ad Enrico Sassoon, esponente di un’importante famiglia legata ai Rothschild già dal Settecento, non era altro che una sorta di “psy-op”, un’operazione illusionistica del grande potere. Obiettivo: intercettare l’esasperazione popolare crescente, deviando il dissenso verso lidi innocui. In altre parole: un colossale equivoco, costruito per ingannare gli elettori. Secondo Dezzani, il Movimento 5 Stelle è stato il continuatore naturale di Antonio Di Pietro (di cui ereditò l’elettorato) e dell’operazione-Tangentopoli, con la quale si rottamò la Prima Repubblica, per via giudiziaria. Fondamentale, Mani Pulite, per permettere ai predatori dell’Italia di allungare le mani sul Belpaese. Evento simbolico di quella stagione: il party a bordo del panfilo Britannia, con il gotha della finanza anglosassone. A bordo del Britannia c’era anche Beppe Grillo: l’ha detto Emma Bonino, che era presente, e lo disse (allora) anche Enrico Mentana.
    Sempre presentato come ex comico, reduce da rumorosi spettacoli giocati in modo abilissimo contro gli abusi del potere, Grillo in realtà era cresciuto all’ombra del potere democristiano. Lo ricorda Meluzzi, secondo cui il futuro leader dei grillini militava in quella sinistra Dc che fu scelta, come socio di minoranza dell’ex Pci, per dar vita – attraverso l’Ulivo – a quella casta italiana asservita ai poteri forti stranieri. Il patto: vi affidiamo il governo, a condizione che cediate ai privati il cuore dell’economia nazionale. A sparigliare le carte è poi sopraggiunto Berlusconi, e proprio l’antiberlusconismo ha gonfiato le fila grilline, grazie al carisma di Grillo e all’abilità “visionaria” di Casaleggio. Crollato il paese sotto i colpi di Monti, dopo l’effimera meteora Renzi è toccato proprio ai 5 Stelle l’onere del governo, e così sono cominciati i guai – per loro, e per gli italiani. Se il bilancio dei pentastellati è catastrofico, sia sul piano politico-elettorale che su quello governativo, non si può dire altrettanto per i loro eventuali mandanti occulti, sempre se si presta fede all’analisi dietrologica dei loro detrattori. E’ un fatto, comunque: coi grillini al governo (e il loro uomo in prestito, Conte), l’Italia si è ulteriormente indebolita in modo spaventoso, e oggi è praticamente in ginocchio. Missione compiuta, dunque?
    Il taglio dei parlamentari – richiesto per un istinto populistico, retoricamente antipolitico e quindi antidemocratico, senza un riassetto complessivo delle istituzioni – non è mai piacito ai veri partiti in campo, dal Pd alla Lega. Alla sciagurata proposta dei 5 Stelle si piegò Salvini nel 2018, per tenere insieme l’esecutivo di allora, e ora si è piegato Zingaretti, sempre per mantenere viva l’alleanza di governo. A limitare i danni, come si è visto, non sono bastate le dichiarazioni di voto contrario, a favore del No, espresse da leghisti come Borghi, Bagnai e Giorgetti, e da esponenti del centrosinistra come gli ulivisti Prodi e Parisi, senza contare lo stesso Veltroni, fondatore del Pd. Vent’anni di Vaffa e di linciaggio verso i politici hanno centrato il bersaglio: indebolire la politica, quindi la democrazia. Festaggiano giornalisti sfacciatamente “dimezzati” come Travaglio e Scanzi, grandi sponsor di Grillo e Conte: hanno stravinto, anche loro. L’Italia è ko, ma pazienza. Come recita il vecchio adagio ospedaliero: l’operazione è riuscita, anche se il paziente è morto. Ha vinto Di Maio, il ministro più imbarazzante della storia. Ha vinto il Partito della Catastrofe, nonostante abbia tradito tutte le promesse elettorali, dimezzando i propri voti. Ha vinto Conte, l’uomo del lockdown che ha messo in croce il paese. Sono convinti di avere vinto persino gli italiani, quelli che hanno votato Sì.
    (Giorgio Cattaneo, 22 settembre 2020).

    Ce l’hanno fatta ancora una volta: loro, i demolitori. Il Movimento 5 Stelle, clamoroso depistaggio politico di massa, è riuscito a convincere gli italiani: “meno è meglio”. Meno democrazia, meno rappresentanza, meno spazi di libertà e dissenso. D’ora in poi, i parlamentari – ridotti di un terzo – saranno ancora più lontani dagli elettori e ancora più legati ai boss di partito. Ovvio, da parte di un movimento-caserma che ha espulso in modo sistematico chiunque osasse esprimere un pensiero diverso: tolleranza zero, per le idee elaborate in autonomia. L’esito del referendum confermativo della peggiore riforma costituzionale della storia repubblicana rappresenta un capolavoro, per un grande statista del calibro di Luigi Di Maio, uomo-simbolo dell’Italia allo sbando che è riuscita a insediare a Palazzo Chigi nientemeno che Giuseppe Conte, l’ometto che ha rinchiuso in casa i cittadini per quasi tre mesi, col pretesto del Covid, affondando l’economia. La grande opera dei rivoluzionari all’amatriciana: mettere la guida del governo nelle mani di un prestanome del potere italico più antico e storicamente meno democratico, quello del Vaticano.

  • Dylan, Draghi e l’inferno Covid. Magaldi: presto la verità

    Scritto il 28/7/20 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    «Forse gli italiani se lo meritano, un governo che li chiude in casa per un allarme gonfiato, poi li rovina economicamente lasciandoli senza soldi e li prende in giro fino alla fine, con promesse favolose, fino al miracolo (inesistente) dei mitici aiuti dell’Unione Europea: poche briciole che costeranno un prezzo salatissimo, e che arriveranno – forse – tra un anno, a piccole rate, quando ormai il peggio ci sarà crollato addosso, a partire dalle prossime settimane». Tanta amarezza, da parte di Gioele Magaldi, viene dall’impietosa fotografia degli ultimi mesi, che si prolunga nel cuore dell’estate: «Vedo ancora in giro gente con indosso la mascherina: c’è chi se la mette per passeggiare all’aperto, e chi la tiene sul viso mentre guida l’auto, da solo». Follia? E’ il risultato della micidiale manipolazione messa in atto, a tambur battente, dallo scorso febbraio. La paura di un virus ormai spento e debellato dai medici con terapie efficaci, ma tuttora presentato come minaccia invincibile. «C’è chi insiste nell’evocare “seconde ondate”, anche se persino il telegiornale di “Sky” ha ammesso che l’epidemia è praticamente finita». Gli italiani? «In maggioranza, hanno accettato di subire restrizioni spesso assurde, non motivate da alcuna ragione medica».

  • Saper lottare per la libertà: Giulietto Chiesa in valle di Susa

    Scritto il 27/6/20 • nella Categoria: segnalazioni • (Commenti disabilitati)

    «Ciao, ascolta: da fonte riservata, so che la polizia arriverà lunedì mattina alle prime luci dell’alba. Voglio esserci: ho già prenotato il volo, arrivo domani sera». Sabato 25 giugno 2011, l’Italia dorme. Su “Repubblica”, non ancora incorporata dall’ex Fiat, Ezio Mauro reitera le “dieci domande” con cui perseguitare il mascalzone Berlusconi, vera sciagura vivente e unica causa della rovina nazionale. Ci sono le Olgettine, su cui si scatenano i Travaglio di tutta la penisola (è il loro momento d’oro). E ci sono le mani lunghe, assai meno vistose, dei signori che speculano sui bond, senza che la Bce faccia una piega. Una tempesta perfetta, a orologeria, in arrivo per l’autunno: “Fate presto”, titoleranno tutti, stendendo il tappeto rosso al becchino spedito in carrozza da Bruxelles, col placet del Quirinale, per dare agli italiani una mazzata epocale. Altro che Olgettine: rigore brutale, super-tasse e tagli spietati al welfare, cominciando dalla sanità. La scure di Madame Fornero sulle pensioni, il pareggio di bilancio inserito nella Costituzione con l’avallo del “compagno” Bersani. Già, Bersani: pronto a piegarsi ai peggiori diktat. Eppure irremovibile, il bonario Smacchiatore, su un punto: la stramaledetta storia del Tav Torino-Lione, l’alta velocità ostacolata da quei puzzoni dei valsusini. Appalto colossale assegnato alla Cmc, maxi-cooperativa di Ravenna di cui l’allora segretario del Pd era stato presidente. Dettagli irrilevanti, peraltro, in un paese in cui l’unico possibile conflitto d’interessi, notoriamente, è domiciliato ad Arcore.
    E’ un mese stranissimo, quel giugno 2011, nella valle piemontese dove gli amici di Bersani intendono tornare, dopo il primo clamoroso sfratto subito nel 2005 a furor di popolo: migliaia di manifestanti in strada, con davanti i sindaci in fascia tricolore. Scene mai viste, in Italia, dai tempi dei Moti di Reggio Calabria. Sembrava fatta, allora: progetto ritirato, bocciato come inutile e dannoso, oltre che inviso alla popolazione. «Se qualcuno mi riparla ancora di Tav Torino-Lione – aveva scritto Giorgio Bocca – tiro fuori il mio vecchio Thompson dal pozzo in cui l’avevo seppellito dopo il 25 aprile del ‘45». Una favola, quella del Villaggio di Asterix che si oppone alla potenza di Roma. A dire il vero, l’Impero aveva già tuonato minaccioso: il G8 di Genova, l’11 Settembre, l’invasione dell’Afghanistan e dell’Iraq. Giulietto Chiesa, altro glorioso giornalista italiano, non era certo rimasto in silenzio: alla sua età non più verde, come inviato della “Stampa” era stato tra i primi a entrare a Kabul con i carri armati dell’Alleanza del Nord, quelli dell’unica fazione presentabile: i Tagiki dell’appena assassinato Ahmad Shad Massud, eroe nazionale. E poi aveva scritto la sua versione dei fatti in un libro memorabile, edito da Feltrinelli ma silenziato dai giornali: “La guerra infinita”. Rivelazione: una tragica barzelletta, la versione ufficiale del maxi-attentato alle Torri Gemelle. Così, il prestigioso inviato (una vita a Mosca, per le testate più importanti) si era guadagnato la nomea di visionario complottista.
    Di tutti i big del giornalismo italiano – gli ha reso omaggio Paolo Barnard, cofondatore di “Report” – Giulietto Chiesa è il solo che abbia saputo mettere a repentaglio la sua carriera per amore della verità, rinunciando a onori e privilegi. Oggi, i tremila architetti e ingegneri americani che si sono dannati l’anima per ricostruire gli eventi di quel maledetto 11 settembre 2001 sono pervenuti a una certezza: le Twin Towers (insieme all’Edificio 7) crollarono per demolizione controllata, non certo per l’impatto di aerei di linea dirottati. Era così indistruttibile, il World Trade Center, che il Comune di New York pretese che il progetto edilizio venisse corredato con un piano obbligatorio per l’eventuale demolizione: in quel caso, i tecnici stabilirono che solo delle bombe atomiche – installate nelle fondamenta – avrebbero potuto garantirne il crollo. Non è un mistero: costruirono dei bunker per alloggiare all’occorrenza le famose mini-nukes. E’ tutto scritto, nelle carte dell’ufficio edilizia newyorkese. Ma guai a ricordarlo: si passa per malati di mente. Ormai va così, il mondo: il giornalismo mainstream diventa “embedded”, abdicando alla sua antica funzione di “cane da guardia della democrazia”. Restano in circolazione solo i battitori liberi. Ragazzi coraggiosi, qualche raro “senatore”. Ma uno solo – ricorda Barnard – capace di rischiare tutto. Uno che da perdere aveva tantissimo: gli appoggi nell’editoria, l’ospitalità dei talkshow e molto altro.
    Giugno 2011, si diceva: valle di Susa. Che succede, in quei giorni? Semplice: ripartita la Banda del Buco, la grande cordata politico-finanziaria che vuole il tunnel ferroviario italo-francese, perfetto e inutile doppione del Traforo del Fréjus lungo la linea internazionale Torino-Modane che già attraversa la valle, i NoTav si sono accampati tra i vigneti alpini della Maddalena di Chiomonte, prescelti per il cantiere-bis. Una tendopoli festosa, formato famiglia, come quelle dei boy-scout. La Libera Repubblica della Maddalena. Canti e balli, concerti, assemblee. E un profumo stranissimo di libertà: l’orgoglio di chi pensa di essere dalla parte del giusto, e si illude di rappresentare un’avanguardia per l’Italia intera, a cui manda un avvertimento. In spiccioli: attenzione, oggi tocca a noi montanari, ma domani ci rimetterete tutti. Ormai siamo alle prese con un potere brutale, senza volto, sempre meno democratico, che ne se infischia di tutti. I partiti? Scomparsi. Il cittadino è solo, di fronte alla minaccia. Non ci sono più corpi intermedi, nessuno che tuteli i diritti sociali elementari. Sembra quasi l’antipasto di una possibile dittatura orchestrata da tecnocrati. Prendere o lasciare, non c’è alternativa: quel che è stato deciso si deve fare, punto e basta. E voi toglietevi di mezzo, altrimenti vi spazziamo via con le cattive. Oggi, le orecchie si sono abituate: dal “ce lo chiede l’Europa” all’attuale “è il coronavirus, bellezza, e tu non puoi farci niente”. Suona familiare?
    Domenica 26 giugno, Torino, aeroporto di Caselle. Mezzanotte. Tanto per cambiare, il volo Alitalia atterra con un’ora di ritardo. Il Vecchio è di ottimo umore: non vede l’ora di vederla, la Libera Repubblica, prima che alla Maddalena – di lì a poche ore – irrompano le truppe antisommossa spedite fin lassù dal ministro dell’interno Roberto Maroni e dal capo della polizia, Antonio Manganelli. La valle è avvolta nel buio, la vecchia Volvo arranca lungo la salita. Una volta a Chiomonte, lo spettacolo di una luminaria infinita: cinquemila fiaccole che sciamano dalla Maddalena, sfollando verso il paese. «Ma che fanno, se ne vanno via?». «Sì, hanno paura: temono che domattina la polizia arrivi davvero». A fermare la Volvo, una barricata in mezzo alla strada. «Ah, siete voi? Un attimo di pazienza, e vi apriamo». Il varco si spalanca, così l’auto si può arrampicare tra i vigneti scuri e la processione delle ultime fiaccole in ritirata. In cima alla salita, c’è una specie di stato maggiore ad accogliere l’Anziano. Strette di mano, silenzi. L’aria è tesa. Presidiano l’area quasi mille manifestanti, rimasti sul posto per attendere l’alba. Ci sono le tende, ma nessuno chiude occhio. Tutti in allerta: chi sul prato, chi a sorvegliare barricate e sbarramenti. Una specie di assedio medievale, ma senza armi. «Speravamo di cenare: si può avere almeno un panino?». Macché: chiusa la cucina da campo, sprangato anche il chiosco delle bibite. Tutta la notte, senza nemmeno il conforto di una birra.
    Uno alla volta, al Vecchio venuto da Roma si avvicinano in tanti. Qualche sindaco, che vuole ringraziarlo di essersi preso la briga di infilarsi, alla sua veneranda età, in un pasticcio come quello. Tra i più entusiasti c’è un coetaneo, Enzo Debernardi: ha scoperto che, in gioventù, con l’Anziano aveva condiviso la stessa scuola di partito, le mitiche Frattocchie. A proposito di comunisti: ecco Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione; inganna l’attesa sotto un tendone, giocando a carte. Sono tanti, i visi amici che popolano l’ultima notte della Libera Repubblica. Per esempio il sociologo Marco Revelli e i giovani giornalisti del “Fatto Quotidiano”, Cosimo Caridi e Lorenzo Gaelazzi. Il clima cambia quando compaiono Maurizio Tropeano della “Stampa” e Marco Imarisio del “Corriere della Sera”, poi autore di un esemplare reportage. Colpisce il loro abbigliamento: scarponi e caschetti, fazzoletto per proteggersi il volto, scorte di limone per resistere ai lacrimogeni. Alle quattro di mattina, nel buio ancora fondo, c’è chi si ostina a sperare che si sia trattato solo di un falso allarme, illudendosi che lo sgombero non ci sarà. Mezz’ora dopo, i primi sms: «Attenti, i poliziotti hanno lasciato gli alberghi: si stanno preparando». Duemila in tutto: tra agenti, carabinieri e finanzieri.
    Prima del sorgere del sole, compaiono le colonne blindate. I NoTav prendono posto sulle barricate. La consegna è precisa: opporre una resistenza passiva, senz’ombra di violenza. I sindaci fanno da tramite con la Digos: «Se non voleranno pietre, non ci sarà nessuna carica». La missione della polizia: conquistare il pratone della Maddalena lentamente, senza fretta, prima di sera. Una giornata che si annuncia lunghissima, snervante, infinita. Rischio: qualche spintone, al massimo. Questo, almeno, in teoria. Perché poi, in pratica, non si può mai sapere come andrà a finire. Il Vecchio scruta lo spettacolo dall’alto, dal belvedere della Maddalena. Tutto come da copione: la polizia che avanza con calma, mentre gli elicotteri presidiano il cielo. Se appena qualche sconosciuto afferra una pietra, le sentinelle NoTav gli volano addosso per disarmarlo. Le ore scorrono lentissime, e gli agenti ormai sono di fronte agli sbarramenti. Urla, concitazione, nuvole di lacrimogeni. E il Vecchio? Eccolo là, stanchissimo, sprofondato su una poltroncina di plastica. E’ avvolto in un poncho rosso, che gli hanno gettato sulle spalle: sembra Garibaldi. E’ provato: il volo serale, la pancia vuota. Tutta la notte in piedi, e poi l’intera mattinata in stato di tensione. In quei momenti, anche solo un caffè farebbe miracoli. Ma non c’è tempo. Di colpo, il pratone viene invaso dai NoTav in fuga, inseguiti. Bisogna scappare. Dove? Su per il bosco, decide Garibaldi, d’istinto.
    Un attimo, ed è già tardi: l’aria diventa grigia, visibilità zero. E’ la nebbia chimica dei gas Cs. Così si brancola, accecati. Manca il respiro: quel gas regala un’autentica sensazione di soffocamento. Panico e caos, in mezzo alla marea dei NoTav in rotta: corrono a centinaia, nella nebbia, incalzati agli agenti. Sono una grandine, i lacrimogeni che piovono da ogni parte. Nel nebbione, una ragazza si accorge del Vecchio che tossisce, rantola, non riesce a riaprire gli occhi. Gli passa una bottiglia d’acqua. Torna la vista, e pian piano anche il fiato. Bisogna risparmiarlo: il sentiero nel bosco – unica via di fuga – è roba da alpinisti (e il Vecchio scivola tra i sassi, zampettando sui mocassini). Lentamente, si forma una colonna di profughi. Un serpentone in rotta, tra gli alberi, tallonato dagli elicotteri. Una fatica devastante, nel caldo che intanto si è fatto insopportabile. Finito il bosco, compare una borgata. Gli abitanti sembrano caschi blu dell’Onu: offrono caffè e un bicchiere di vino. I profughi, stremati, si tuffano nelle fontane. Sollievo generale: è davvero finita, a quanto pare? Non ancora: dalla borgata alpina lo si vede benissimo, quello che sta succedendo laggiù. Nel fondovalle, centinaia di manifestanti NoTav hanno bloccato la statale, per protesta. Chi ha raggiunto le case in cima al bosco è rimasto intrappolato: non potrà allontanarsi in auto.
    Poco più in là, gli sherpa che guidano l’Anziano bussano a una baita, a dieci minuti di strada, che funziona anche come ristorante. C’è davvero bisogno, finalmente, di mettere qualcosa sotto i denti. «Oggi siamo chiusi», è la risposta. Sguardi interrogativi. «Ma voi venite dalla Maddalena?». E certo, non si vede? «Entrate, allora. Vediamo cos’è rimasto, da mangiare». In un amen, prende forma una specie di banchetto. Dalla dispensa esce ogni ben di Dio, taglieri di salumi e formaggi, persino uno spettacolare arrosto con patate di montagna. A un certo punto, l’oste si accorge che il Vecchio è sparito. «E’ fuori, dev’essere uscito a telefonare». Va ad avvertirlo che il suo arrosto è pronto, ma rimane interdetto: «Dorme, non oso svegliarlo. Si è addormentato, seduto sui gradini». Naturale: tutti stanno crollando dal sonno. Solo che non hanno settant’anni suonati, e non sono partiti da Roma la sera prima. «Scusate, ma chi è? Mi sembra di averlo giù visto, in televisione».
    Esatto, è proprio lui: Giulietto Chiesa. L’unico grande veterano dell’informazione, capace di spingersi in quella valle della malora per viverla fino in fondo, in prima persona, l’ultima notte di quella avventurosa Libera Repubblica. Tutti bravi, i colleghi, a storcere poi il naso di fronte alle prime violenze esplose in seguito, generate dalla rabbia, dopo anni di proteste prima accorate e poi disperate, sempre inascoltate. Nel frattempo dov’erano, i giornalisti? Comodo, a cose fatte, liquidare la questione: mera faccenda di ordine pubblico. Inaccettabile, lasciar degradare una battaglia civile tollerando la comparsa di frange violente? Giusto, ma nessuno s’è domandato il perché di tutto questo? Lui sì, l’aveva fatto. L’unico, davvero, a rispondere «presente, eccomi qua». Capace addirittura di tornare a Torino, anni dopo, a deporre in tribunale. La differenza? Sta nel coraggio di non tirarsi indietro, di fronte a rogne che chiunque altro eviterebbe. Significa saper entrare nel cuore delle cose, scoprire i fatti, guardare negli occhi le persone. Specie se sono sole, senza amici che contino, senza difensori. E alle prese con un avversario onnipotente, che poi alla fine tanti altri italiani – col tempo – riconosceranno come problema comune: un nemico subdolo e bugiardo, pronto a a mentire a reti unificate pur di calpestare qualsiasi residua sovranità, trasmettendo il seguente messaggio: tu, semplice cittadino, ormai non conti più niente. Descansate, niño.
    Un anno più tardi, ci volle l’eroismo solitario e nonviolento di Luca Abbà, precipitato dal traliccio in cima al quale s’era arrampicato, per scomodare la mitica troupe di Michele Santoro: vuoi vedere che in valle di Susa c’è un problema grosso come una casa, per la democrazia italiana? Archiviato intanto il Cavaliere, il paese – con Letta, Renzi e Gentiloni – scivolava sul piano inclinato del meno peggio, fino all’attuale molto peggio: l’incubo della polizia sanitaria e gli arresti domiciliari di massa, il Distanziamento, il suicidio dell’economia stabilito per decreto. Qualcuno decide tutto, lassù, sopra la testa di sessanta milioni di persone. L’alibi può cambiare, la sostanza no: fine della libertà, attraverso l’imposizione (a mano armata, anche) dei voleri di un potere oscuro – finanziario, addirittura sanitario – che nessuno ha mai scelto, votato, approvato. Si può cominciare con un’inutile super-ferrovia, e si finisce con le museruole imposte ai bambini ai giardinetti, in attesa del vaccino universale obbligatorio, del tracciamento orwelliano, del microchip sottopelle. Dove portasse, quel vicolo maledetto – sbarrato dalle innocue barricate dimostrative della valle di Susa – erano stati davvero in pochi, a capirlo. Quel memorabile lunedì 27 giugno del 2011, a tarda sera, Giulietto Chiesa era ancora nella vallata in rivolta. Volle raggiungere Bussoleno, la cittadina del fondovalle dove i reduci NoTav erano radunati in assemblea. Una folla oceanica. Quando lo videro, esplose un’ovazione. Era per pronunciare l’unica frase possibile: grazie, Giulietto.
    Chi esce dai ranghi per affrontare l’ignoto va sempre incontro a grossi guai, e finisce per collezionare insulti: la destra ottusa ha accusato il Vecchio di essere una specie di incorreggibile nostalgico del comunismo sovietico, mente la sinistra l’ha detestato (altrettanto cordialmente) per la sua lucida, imperdonabile diserzione. «Non avete capito niente, della mutazione del mondo», ripeteva, agli ex compagni: «Quelli di voi che sono in buona fede perdono ancora tempo ad accanirsi contro i piccoli politici italiani, che non contano nulla, senza vedere che i leader “riformisti” si sono venduti all’élite mondialista, ai Padroni dell’Universo: quelli che se decidono di costruire una ferrovia miliardaria e inutile sono capaci di schiacciare la popolazione, senza nessuna pietà e senza dare spiegazioni». Ai NoTav, secoli prima dell’avvento della Salvini-Fobia, regalò queste parole: «E’ stata l’élite neoliberista, appoggiata anche dalla sinistra, a impoverire tutti, esasperando gli animi: al punto che, domani, avrà buon gioco il primo cialtrone che si metterà a incolpare i neri, gli zingari o qualsiasi altro disgraziato». Veniva dalla Luna, Giulietto Chiesa? «Canto l’uomo che è morto, non il Dio che è risorto», recita Lucio Dalla tra i versi di quella sua canzone, “Comunista”, riflettendo sull’eroismo di chi si dispone controvento, a proprio rischio, perché sente – prima e meglio degli altri – che soccorrere l’umanità in pericolo è l’unico modo dignitoso di essere uomini, prima ancora che giornalisti.
    (Giorgio Cattaneo, 27 giugno 2020).

    «Ciao, ascolta: da fonte riservata, so che la polizia arriverà lunedì mattina alle prime luci dell’alba. Voglio esserci: ho già prenotato il volo, arrivo domani sera». Sabato 25 giugno 2011, l’Italia dorme. Su “Repubblica”, non ancora incorporata dall’ex Fiat, Ezio Mauro reitera le “dieci domande” con cui perseguitare il mascalzone Berlusconi, vera sciagura vivente e unica causa della rovina nazionale. Ci sono le Olgettine, su cui si scatenano i Travaglio di tutta la penisola (è il loro momento d’oro). E ci sono le mani lunghe, assai meno vistose, dei signori che speculano sui bond, senza che la Bce faccia una piega. Una tempesta perfetta, a orologeria, in arrivo per l’autunno: “Fate presto”, titoleranno tutti, stendendo il tappeto rosso al becchino spedito in carrozza da Bruxelles, col placet del Quirinale, per dare agli italiani una mazzata epocale. Altro che Olgettine: rigore brutale, super-tasse e tagli spietati al welfare, cominciando dalla sanità. La scure di Madame Fornero sulle pensioni, il pareggio di bilancio inserito nella Costituzione con l’avallo del “compagno” Bersani. Già, Bersani: pronto a piegarsi ai peggiori diktat. Eppure irremovibile, il bonario Smacchiatore, su un punto: la stramaledetta storia del Tav Torino-Lione, l’alta velocità ostacolata da quei puzzoni dei valsusini. Appalto colossale assegnato alla Cmc, maxi-cooperativa di Ravenna di cui l’allora segretario del Pd era stato presidente. Dettagli irrilevanti, peraltro, in un paese in cui l’unico possibile conflitto d’interessi, notoriamente, è domiciliato ad Arcore.

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