Archivio del Tag ‘Pier Luigi Bersani’
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D’Attorre: folle rigore Ue, ma a dirlo sono solo i gialloverdi
In questi giorni ho ricevuto osservazioni anche da persone e compagni che stimo, i quali mi dicono che è sbagliato esprimere sostegno alla scelta del governo di non rispettare il Fiscal Compact e di impegnare più risorse, perché questo impedirebbe poi di esprimere una critica di merito ai contenuti del Def della legge di bilancio. Ecco, a quanti mi hanno rivolto questa osservazione dico che, a mio giudizio, hanno colto l’aspetto decisivo, ma lo hanno esattamente capovolto rispetto al compito politico che abbiamo. Se il 4 marzo segna uno spartiacque, se davvero vogliamo fare i conti con le istanze che gli elettori hanno espresso (anzitutto tantissimi ex elettori di sinistra), se non vogliamo definitivamente chiuderci nel recinto identitario di una sinistra “benpensante” che considera interamente irrecuperabili i quasi due terzi degli elettori che oggi manifestano sostegno al governo, una cosa non possiamo fare: dire che qualcosa è sbagliato solo perché lo fa un governo di cui siamo oppositori.Allora, se conveniamo che una delle ragioni fondamentali della catastrofica sconfitta della sinistra in tutte le sue articolazioni (Pd, LeU, Pap) è stata l’incapacità di trasmettere un messaggio chiaro e coerente sull’insostenibilità economica e democratica degli attuali vincoli europei, il primo passo da compiere è assumere un atteggiamento che su questo tema renda evidente la discontinuità la comprensione della lezione del 4 marzo. Se è così, la precondizione necessaria affinché la critica agli aspetti sbagliati della politica economica del governo torni ad apparire minimamente credibile ai ceti medi e popolari che ci hanno voltato le spalle, è quello di collocarsi dalla parte giusta rispetto allo scontro in atto. E la parte giusta non è quella di Dombrovskis, di Moscovici, di Juncker e di una Commissione Europea ormai priva di qualsiasi credibilità e autorevolezza, dopo quello che ha combinato sulla Grecia e dopo che da anni consente alla Francia di ignorare le regole sul deficit e alla Germania quelle (ancora più importanti) sul surplus commerciale.Solo se renderemo inequivocabilmente chiaro che noi non saremo mai più dalla parte del Fiscal Compact, del pareggio di bilancio, della favola dell’austerità espansiva, di un’applicazione del regole europee insieme ottusa e discriminatoria, le critiche che dobbiamo fare alla manovra del governo sul fisco, sui rischi di ulteriori tagli a sanità e istruzione pubblica, sul troppo debole rilancio degli investimenti, sulla previsione di nuove privatizzazioni avranno il tono della sincerità e dell’onestà intellettuale. Per essere chiari, la partita politica si può riaprire e si può tornare a contendere il voto popolare alla destra solo se ci mettiamo dal lato del cambiamento, non della restaurazione. L’illusione che basti gridare (peraltro non si capisce da quale pulpito…) alla cialtroneria e all’incompetenza dei nuovi governanti per riconquistare la fiducia degli italiani, per favore, lasciamola a Renzi.(Alfredo D’Attorre, riflessioni su Europa, Pd e “gialloverdi”, riprese sul gruppo Facebook del Movimento Roosevelt. Giovane storico della filosofia e già parlamentare “bersaniano” del Pd, D’Attorre alle ultime elezioni era candidato con “Liberi e Uguali” in Calabria).In questi giorni ho ricevuto osservazioni anche da persone e compagni che stimo, i quali mi dicono che è sbagliato esprimere sostegno alla scelta del governo di non rispettare il Fiscal Compact e di impegnare più risorse, perché questo impedirebbe poi di esprimere una critica di merito ai contenuti del Def della legge di bilancio. Ecco, a quanti mi hanno rivolto questa osservazione dico che, a mio giudizio, hanno colto l’aspetto decisivo, ma lo hanno esattamente capovolto rispetto al compito politico che abbiamo. Se il 4 marzo segna uno spartiacque, se davvero vogliamo fare i conti con le istanze che gli elettori hanno espresso (anzitutto tantissimi ex elettori di sinistra), se non vogliamo definitivamente chiuderci nel recinto identitario di una sinistra “benpensante” che considera interamente irrecuperabili i quasi due terzi degli elettori che oggi manifestano sostegno al governo, una cosa non possiamo fare: dire che qualcosa è sbagliato solo perché lo fa un governo di cui siamo oppositori.
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Lacrime e sangue? Certo, un’altra Europa è impossibile
La maggioranza della “sinistra” si crogiola nell’illusione che l’Europa possa mutare pelle sotto la spinta della solidarietà fra i popoli europei. Da dove scaturisca tale speranza non è dato capire. Il problema europeo è legato alla crisi della democrazia, all’anti-politica, alla diffusa disaffezione, se non aperta ostilità di gran parte della popolazione ai meccanismi della rappresentanza e della mediazione politica. In termini più accademici questa è definita la crisi della democrazia. Questa disaffezione si traduce nell’idea che la politica sia tutta uguale, destra e sinistra, e che i politici siano tutti disonesti. Alla base di questa disaffezione, e in fondo anche alla base della pochezza progettuale ed etica dei politici, v’è la sostanziale impotenza della politica nazionale ad affrontare piccoli e grandi problemi, una volta privata delle leve della politica economica, e in particolare della sovranità monetaria, improvvidamente cedute a istanze sovranazionali dominate dalle potenze europee più forti. Questo spiega dunque molte cose.Spiega la disaffezione come dovuta all’incapacità dei politici di risolvere i problemi, la disoccupazione in primis, mentre tutti si riempiono la bocca del medesimo mantra delle riforme (operando delle feroci contro-riforme). Spiega la sostanziale somiglianza fra destra e sinistra che agli occhi del comune cittadino è giustamente scomparsa. Qual’è la differenza fra Berlusconi e Prodi? Fra Monti e Bersani? Fra Renzi e Tsipras? La politica è (nei tratti di fondo) la medesima ed è quella dettata da Bruxelles, Francoforte o Berlino. E spiega anche il drammatico scadimento della politica, screditata agli occhi delle persone capaci, per cui chi vale fa altro, e monopolio di personaggi che non hanno altro da occuparsi se non di conservare le poltrone per sé e per le proprie consorterie. Detto in termini un poco più nobili, una volta esautorato e reso impotente lo Stato nazionale, che è il terreno primario in cui si svolge il conflitto sulla distribuzione del reddito, viene a mancare il sale della democrazia.Ma in verità il “sogno europeo”, è precisamente questo: un disegno liberista volto a esautorare i popoli nazionali dal potere di incidere sulle scelte dei propri governi nazionali, resi impotenti se non come strumenti d’ordine (vedi le riforme costituzionali in questa direzione). Stati nazionali filiali regionali dell’ordine ordo-liberista che “trasforma le leggi del mercato in leggi dello Stato” (Alessandro Somma), e ben individuato dai tedeschi nel Ministro unico dell’economia. Questa espropriazione dello Stato nazionale perfeziona lo svuotamento del terreno del conflitto sociale, dunque della democrazia, già mortificato dalla globalizzazione del capitale, lasciato libero di collocarsi dove più gli aggrada. E non ci si dica, per favore, che piccoli stati sovrani avrebbero vita dura nell’”economia globalizzata”, come si sente spesso. Polonia e Corea del Sud se la passano meglio dell’Italia, per fare qualche esempio.Ma perché, mi si obietta, non lottare per un’Europa diversa? L’analisi economica – a cui invito a prestar fede non in nome della fiducia in una scienza discutibile, ma in nome del realismo politico a cui ci invitava un grande intellettuale, Danilo Zolo – ha da tempo indicato che un’unione monetaria fra paesi a diverso grado di sviluppo può reggere solo con un cospicuo bilancio federale a scopo perequativo, precisamente la “tax-transfer union” tanto temuta dai tedeschi. Di che parliamo allora? Di utopie da cui Danilo Zolo ci suggeriva di sfuggire come la peste? Hayek lo disse chiaramente in un saggio del 1939: uno Stato federale fra paesi culturalmente ed economicamente diversi e dotato di un cospicuo bilancio perequativo non sarebbe destinato a durare, e si lacererebbe presto sulla destinazione delle risorse (Jugoslavia docet). L’unico Stato federale possibile è quello con uno Stato minimo, uno Stato ordo-liberista che detti le sole regole di mercato.Ma questo è lo Stato europeo che già abbiamo, e che la potenza dominante di cui parliamo oggi intende rafforzare. Quella che abbiamo è la sola Europa possibile, anzi potrebbe andar peggio. La “sinistra” è responsabile di cotanto disastro continentale. In Inghilterra e negli Stati Uniti, la Thatcher e Reagan si sono resi responsabili di sconfiggere Keynesismo e Stato Sociale. In Europa l’ha in gran parte fatto la sinistra, in nome dell’Europa. Le responsabilità dell’Ulivo devono essere ancora conteggiate – ma c’è chi ha cominciato a farlo, come Giulio Sapelli. Ma forse non c’è n’è bisogno. La sinistra italiana sta finendo da sola nella spazzatura del 3%. Abbiamo invece bisogno di una sinistra italiana che della battaglia per il ripristino dell’autonomia della politica economica nazionale faccia il proprio vessillo. Siccome la sinistra è più sensibile all’orecchio della difesa della Costituzione, bene faremmo ad affiancare questa battaglia a quella della difesa dei valori costituzionali.Ma attenzione, se la sinistra ufficiale e intellettuale è sensibile ai valori costituzionali, la gente normale vede questi temi come estranei, lontani. Guarda con favore, per esempio, alla semplificazione dei processi politici. Quindi anche la battaglia per la difesa della Costituzione se ne gioverebbe, se da astratta difesa di principi si mostrasse come strumento di avanzamento sociale su temi concreti come piena occupazione, difesa di salari e Stato Sociale. Un’ultima precisazione. Personalmente non credo che lo slogan “fuori dall’euro” sia oggi popolare. Tuttavia un sentimento anti-Europeo sta montando. L’euro crollerà se e quando diventerà politicamente insostenibile, e quest’esito va perseguito e preparato, progettando il dopo, una nuova Europa di Stati indipendenti e cooperativi. Purtroppo la sinistra italiana, nella sua maggioranza, va nella direzione opposta di coltivare il “sogno europeo”, predisponendosi all’oblio della storia.(Sergio Cesaratto, “Sveglia, un’altra Europa è impossibile”, da “Sollevazione” del 12 marzo 2016).La maggioranza della “sinistra” si crogiola nell’illusione che l’Europa possa mutare pelle sotto la spinta della solidarietà fra i popoli europei. Da dove scaturisca tale speranza non è dato capire. Il problema europeo è legato alla crisi della democrazia, all’anti-politica, alla diffusa disaffezione, se non aperta ostilità di gran parte della popolazione ai meccanismi della rappresentanza e della mediazione politica. In termini più accademici questa è definita la crisi della democrazia. Questa disaffezione si traduce nell’idea che la politica sia tutta uguale, destra e sinistra, e che i politici siano tutti disonesti. Alla base di questa disaffezione, e in fondo anche alla base della pochezza progettuale ed etica dei politici, v’è la sostanziale impotenza della politica nazionale ad affrontare piccoli e grandi problemi, una volta privata delle leve della politica economica, e in particolare della sovranità monetaria, improvvidamente cedute a istanze sovranazionali dominate dalle potenze europee più forti. Questo spiega dunque molte cose.
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Cremaschi: sciopero a oltranza fino alla resa di Berlusconi
Dieci milioni di firme, porta a porta, per chiedere le dimissioni di Silvio Berlusconi, rinviato a giudizio per concussione e prostituzione minorile dal tribunale di Milano. E’ l’obiettivo del Pd, che si prepara a una campagna a tappeto dopo il clamoroso successo di “Se non ora, quando?”, la manifestazione per la dignità femminile con un milione di donne nelle piazze italiane. E mentre Bersani intensifica i contatti sotterranei con la Lega, cui offre di varare il federalismo fiscale se Bossi molla il Cavaliere, a spingere per la mobilitazione di piazza è Giorgio Cremaschi: il dirigente della Fiom chiede uno sciopero generale a oltranza, fino alle dimissioni del premier.
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Orrore in cella, diritti sospesi: appello al Quirinale
Intervenga il presidente della Repubblica, «perché un Paese civile non può permettersi l’ennesimo caso di ’sospensione’ della democrazia». Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione comunista, insieme al Pdci sollecita il Quirinale perché sia stabilita rapidamente la verità sul caso di Stefano Cucchi, il giovane romano morto dopo l’arresto per pochi grammi di droga. La famiglia, alla quale è stato impedito di vedere il ragazzo, ne ha scoperto all’obitorio il corpo martoriato dalle percosse subite. «Fino all’ultima goccia di sangue, fino all’ultima goccia di vita io e mia moglie ci batteremo perché si faccia chiarezza su mio figlio»
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Polizia in piazza: macché ronde, dateci uomini e mezzi
Che cosa c’è dietro i pacchetti sicurezza e la strategia della paura? Il nulla. Oltre le parole, le ronde e l’annunciato uso dell’esercito nelle strade, c’è una realtà di spaventosa mancanza di mezzi. Nel vero senso della parola: auto ferme con il serbatoio vuoto, o comunque insufficienti a coprire il servizio. Uffici sommersi dalle pratiche, stipendi all’osso e il personale in taglio permanente. «La politica della sicurezza del governo è questa». Così, almeno, le accuse dei sindacati di polizia che il 28 ottobre sono scesi in piazza a Roma per segnalare il crescente disagio degli agenti.
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Già pronto il governo del dopo-Berlusconi?
Riforma del sistema politico, meno parlamentari, welfare più forte, nuovi contratti di lavoro, modifica della spesa investendo su scuola, ricerca e innovazione. Sono i cardini del “governo di salvezza nazionale” per il dopo-Berlusconi: grande alleanza nel 2013 o esecutivo d’emergenza, se il premier dovesse cadere? Ne starebbero ragionando, da settimane, quattro pesi massimi della politica italiana: Gianfranco Fini, Giulio Tremonti, Pierferdinando Casini e Massimo D’Alema. Berlusconi? «Le possibilità che il suo governo sopravviva sono al 50%», ha ipotizzato Emma Bonino.