LIBRE

associazione di idee
  • idee
  • LIBRE friends
  • LIBRE news
  • Recensioni
  • segnalazioni

Archivio del Tag ‘precari’

  • La verità sparisce dai radar, se la cronaca diventa teologia

    Scritto il 26/3/22 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    Nell’autunno 2020, quando scrivevo “La Bibbia Nuda” insieme a Mauro Biglino, l’Italia aveva già alle spalle il lockdown della primavera e stava per sperimentare l’ultimo ritrovato del governo: il coprifuoco. Due termini – “carcere duro” e coprifuoco – che rendono perfettamente l’idea del tipo di trattamento riservato ai cittadini, in nome di una dichiarata emergenza sanitaria. Un’emergenza per la quale sono state a lungo negate e oscurate le cure, ottenendo così l’effetto di intasare gli ospedali di pazienti ormai aggravatisi, proprio perché lasciati soli per giorni nelle loro case, senza la minima assistenza medica. Logica conseguenza, poi, l’imposizione di una controversa profilassi sperimentale (il trattamento sanitario obbligatorio mediante i sieri genici C-19) e l’adozione del lasciapassare digitale. Un passaporto “sanitario” senza il quale non si sarebbe più potuto continuare a lavorare, viaggiare e vivere, o addirittura entrare in un negozio di scarpe, accedere agli uffici pubblici, fare un salto in banca o spedire una semplice raccomandata postale.
    Nel suo imponente lavoro di ricerca, presentato al pubblico da ormai oltre un decennio, Mauro Biglino – sulla base di minuziosi riscontri filologici – di fatto demolisce la narrazione teologica dell’Antico Testamento, riportando la Bibbia alla sua “nudità” originaria, cioè spogliandola dei successivi orpelli religiosi, molto spesso fondati su traduzioni erronee, quando non completamente inventate. Di Mauro Biglino ho sempre apprezzato il rispetto che mostra nei confronti di chi vive una personale fede religiosa: come a dire che il pensiero che si rivolge all’esistenza di una divinità onnisciente e onnipotente non può essere sabotato dalla lucida analisi di testi antichi, sui quali un preciso potere, insediato a Roma da quasi due millenni, pretende di far discendere la presenza quasi genealogica di un’entità soprannaturale, lieta di farsi rappresentare da una gerarchia di potenti ministri e ambasciatori terreni.
    Ciò non toglie, però, che questa riflessione sulla Bibbia (“nuda”) risulti straordinariamente consonante con la drammatica attualità di oggi, quella di un mondo in cui è proprio una narrazione infedele a provocare conflitti e divisioni, lungo linee di faglia continuamente aperte, a ogni latitudine, fino a terremotare senza tregua la vita dei terrestri, rendendoli precari e insicuri, spaventati, talora ricattati, comunque sottomessi. Svariati analisti italiani, da Giulietto Chiesa a Massimo Mazzucco, dopo il 2001 hanno evidenziato con precisione il problema della disinformazione sistematica, partendo proprio dal catastrofico attentato che colpì le Torri Gemelle di New York. Scoprire che quel disastro spaventoso non fu opera di kamikaze isolati fa un po’ lo stesso effetto provocato da certe scoperte di Mauro Biglino: davanti a Mosè – scrive la Bibbia, in ebraico – non si aprirono mai le acque di nessun Mar Rosso; il popolo dell’Esodo si limitò infatti a guadare uno Yam Suf, un semplice canneto, probabilmente uno dei tanti lungo il delta del Nilo.
    Quanto è stato breve, il passo che separa la tragedia delle Twin Towers dalla narrativa “climatica” di Greta Thunberg, patrocinata dai signori di Davos? Negli ultimi vent’anni, questa sorta di discesa agli inferi ha proposto un’escalation continua, aperta dalle guerre di aggressione (Iraq, Afghanistan, Libia, Siria), attraverso una via crucis pressoché infinita, passando per la crisi degli spread e l’austerity europea, i terrorismi esotici e quelli domestici, fino ad arrivare, oggi, all’infarto più sconcertante e forse definitivo: la feroce guerra in Ucraina e il divorzio dell’Occidente dalla Russia, che si vorrebbe escludere dal consesso umano in modo quasi metafisico, come se il mondo russo fosse l’unica fonte di ogni male.
    Più ancora che i missili, a spaventare – francamente – è il non-pensiero che sovrasta ogni possibile disamina, ogni sguardo proteso ad esplorare aspetti necessariamente sfaccettati della realtà, in cui – come sappiamo – le responsabilità degli eventi storici sono sempre largamente distribuite. Qualsiasi essere umano non può che ripudiare il ricorso alla guerra: che può essere eventualmente comprensibile, ma mai giustificabile. Eppure: piuttosto che sforzarsi di comprendere, per poi disinnescare i conflitti, si preferisce criminalizzare la controparte, fino a demonizzarla. Ed è proprio qui che sembra riaffiorare una tentazione antica: travisare la “testualità” fattuale della storia e sostituirla con una sorta di distorsione quasi teologica, un’interpretazione sommaria e basata su una narrazione invariabilmente unilaterale, spesso minacciosa, sempre restia a confrontarsi con l’altrui verità.
    (Giorgio Cattaneo, “Teologia della guerra, ieri come oggi”, dal blog “Libreidee.it”, 24 marzo 2022).

    Nell’autunno 2020, quando scrivevo “La Bibbia Nuda” insieme a Mauro Biglino, l’Italia aveva già alle spalle il lockdown della primavera e stava per sperimentare l’ultimo ritrovato del governo: il coprifuoco. Due termini – “carcere duro” e coprifuoco – che rendono perfettamente l’idea del tipo di trattamento riservato ai cittadini, in nome di una dichiarata emergenza sanitaria. Un’emergenza per la quale sono state a lungo negate e oscurate le cure, ottenendo così l’effetto di intasare gli ospedali di pazienti ormai aggravatisi, proprio perché lasciati soli per giorni nelle loro case, senza la minima assistenza medica. Logica conseguenza, poi, l’imposizione di una controversa profilassi sperimentale (il trattamento sanitario obbligatorio mediante i sieri genici C-19) e l’adozione del lasciapassare digitale. Un passaporto “sanitario” senza il quale non si sarebbe più potuto continuare a lavorare, viaggiare e vivere, o addirittura entrare in un negozio di scarpe, accedere agli uffici pubblici, fare un salto in banca o spedire una semplice raccomandata postale.

  • Giovagnoli ai cristiani: sveglia, è il Vaticano a schiacciarci

    Scritto il 11/2/22 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    Eternamente grazie, professor Luc Montagnier: eternamente grazie. Non è una brutta notizia, quella che è arrivata. Sapete, funziona così: dobbiamo educarci al trascorrere delle cose, alla fine della bellezza fisica, al tramonto del sole, alla vecchiaia, così come ci meravigliamo della nascita, del sorgere, della giovinezza, e poi della barba che si imbianca. Si chiama vita: è così. La vita si può soltanto accettare. Si può soltanto consegnarsi, alla vita: perché, se ci si consegna alla vita, allora ci si consegna anche all’immortalità. Montagnier ha lasciato un solco indelebile, dentro ognuno di noi. E si è andato ad annidare dentro ognuno di noi. Da bravissimo virologo, è diventato un virus d’amore. E questo rende decisamente immortale la sua essenza, il suo passaggio qui su questa Terra. Tutti siamo destinati a morire, ma in pochi riescono a morire – e a farsi luce – come si è fatto luce il professor Luc Montagnier: dedicando la sua vita alla verità, che è il precursore di ogni giustizia.
    Continuiamo la sua opera; “siamo” la sua opera. Siamo tutti parte di questa grande opera, noi che abbiamo deciso di sacrificare la nostra vita a un ideale più alto, a un valore più alto. Non siamo venuti qui per sopravvivere: “Fatti non foste a viver come bruti”. Virtù e conoscenza, dunque. Tempo fa, parlando con una carissima amica, parlavo dello sguardo di quest’uomo. E avevamo notato che, dentro questo sguardo, risiedeva già la fermezza di chi ci parla ormai da un altro luogo: di chi non è già più qui. Arriva qui, ma non è più qui: perché ha già superato l’esistenza terrena. E’ lo stesso sguardo che avevamo colto in Giulietto Chiesa; lo stesso sguardo che vedevi nella bellezza, nell’umiltà del dottor De Donno. Questo sguardo lo descrive bene Gabriele La Porta in un libro bellissimo, dedicato a Giordano Bruno, raccontando i momenti che precedono il patibolo, prima che venisse consegnato alle atrocità viste da tutti. Gabriele La Porta si sofferma invece sulle atrocità che soltanto lui aveva visto. E dice: nei suoi occhi si vedeva già quell’assenza, tipica della santità. Gli occhi di Giordano Bruno brillavano già di una luce che arrivava da un altro mondo.
    Anche durante l’ordinarietà di questa vita, è possibile prendere in prestito delle schegge di quella luce. Succede ogni volta che ci mettiamo al servizio di questa verità suprema, e quindi decidiamo che la nostra vita sia qualcosa di molto più alto. Così ci stacchiamo da tutte quelle perplessità, quelle paure che la vita ordinaria propone: la precarietà, la paura di non avere successo, la paura di morire di fame, la paura di essere visti come “sbagliati”. Ecco, tutto questo è bassamente umano. E quindi viene totalmente sciolto, spazzato via – da questi atteggiamenti – con una speciale freschezza, un profumo, una giovinezza d’animo. L’invito che rivolgo innanzitutto a me stesso, tutti i giorni, è sempre questo: diventa la cosa più bella che tu possa diventare, lo strumento d’amore più potente; immolati dentro questo grande flusso: solo così potrai avere (e toccare con mano) un senso superiore, di questa vita. Altrimenti avrai semplicemente abitato una macchina, e da quella macchina avrai preso ordini.
    Io non prendo ordini da nessuno, neanche dalla mia macchina. Io sono al servizio di una forza che è più grande di me. E quando la sento, sento di essere in tutte le cose: è questo stato, questo “sentirsi in Dio”. Quando mi domandano, “tu credi in Dio?”, rispondo: io non credo in niente; io sento che posso entrare in uno stato. La divinità è uno stato, dove tu senti di essere dentro qualunque cosa. E senti di non essere più te stesso; perché, quando sei te stesso, parlano le tue eredità; parla la tua macchina, parlano la tua vecchiaia, la tua paura; parla il tuo ego. “Sentirsi Dio” significa trasmutare, letteralmente, quella che è la tua espressione esistenziale, e diventare qualcos’altro. Quando ti senti “in Dio”, allora ricevi le facoltà per poter compiere grandi opere: per poterti staccare, e per poter raggiungere gli altri, per dare un contributo, per “far atterrare” su questa Terra questa parola, che altrimenti non vale niente, se rimane soltanto dentro le preghiere e dentro le confessioni. Non vale niente, se rimane dentro le istituzioni: la parola Dio, se non diventa opera, non vale niente. Questi “Dio” che sono rimasti nelle parole hanno generato mostri, e lo vediamo anche oggi.
    Ormai sono di fronte a un ulteriore scarto, in quello che è il mio cammino. Lo sapete, io sono un alchimista. E noi alchimisti siamo stati sempre bruciati, sempre: ma non da chi animava e faceva “atterrare” il messaggio cristico, non da chi diventava espressione diretta di un Dio che, altrimenti, è solo il vuoto contenitore di una parola sterile. Siamo stati bruciati vivi da chi aveva creato un’istituzione, da chi sfruttava quella cosa. Noi li abbiamo avuti sempre contro: sono stati sempre avversi alla verità che portiamo. E’ normale: l’unico modo per spegnere gli effetti di una lampadina che offre luce è coprirla, altrimenti la luce annienta qualunque ombra, qualunque buio. E abbiamo giocato, nei secoli, questo gioco che si chiama vita. Siamo cresciuti. E oggi viviamo un momento straordinario: abbiamo un mese e mezzo di tempo, per meritarci questa libertà. Insieme, in questi mesi, ci siamo fortificati e preservati; abbiamo tenuta viva la fiamma, la speranza di trasformare qualcosa.
    “Speranza”: questa parola è anch’essa priva di significato, se non diventa opera. La speranza non ha senso, se non diventa volontà: è per questo che scriviamo sempre “né fede né speranza”, nei nostri studi di alchimisti. La speranza diventa una conseguenza naturale, se ci metti la volontà: se tu diventi la volontà, se tu entri nel flusso della volontà. E siamo arrivati a questo punto, a questi giorni cruciali e definitivi, nei quali io darò tutto quello che ho. Perché adesso non è più pensabile fare spettacolo, dedicarsi allo show, pensare ai follower. Guardate Andrea Colombini: più gli bloccano i profili sui social e più lui va avanti, stoico, imperterrito. Perché l’unica cosa che possiamo perdere è quella che molti hanno già perso: il senso di quest’esistenza. O siamo al servizio della luce, o la nostra esistenza non vale niente. O siamo al servizio della verità, o la nostra esistenza – ripeto – non vale assolutamente niente. Rimaniamo incastrati dentro una macchina che ci dice cosa fare e poi, a un certo punto, si spegne. E si rimane lì, si muore così. Si dice: quindi? Tutto qui? Ma dov’era, la bellezza della vita?
    Dobbiamo dare un senso, alla vita, altrimenti il senso è questa stupidità. In questi mesi, quindi, mi giocherò tutto. Mi sono domandato cosa fare, adesso: come ottimizzare tutta questa forza che abbiamo preservato. Stiamo fermi: siamo arrivati fin qui, ormai non ci smuove più nessuno. Però le cose non stanno cambiando. O meglio: stanno maturando, ma devono essere accompagnate. Cosa manca? Quali sono gli ingredienti che mancano? Me lo domando, non ci dormo la notte: perché devo dare un senso a questa potenza, a questa vita. Devo darle un senso, altrimenti non mi sento compiuto. E allora ho pensato a come è stato possibile costruire questo grande inganno, come ci si è arrivati, quali sono stati i personaggi che hanno giocato la loro dote. Si è mossa la finanza, si è mossa la politica, si sono mossi tutti i tentacoli del male. E si sono mosse anche queste istituzioni religiose. Si sono mosse: e hanno fagocitato quello che era un messaggio. Loro si sono fatti portavoce di quello che, in Italia, è il messaggio cristico: un messaggio fatto di fratellanza, di uguaglianza, di solidarietà, di aiuto, di comprensione, di crescita.
    Un messaggio che è arrivato con una volontà, ma viene trasformato: viene reso l’esatta antitesi. L’istituzione che se ne fa portavoce è la più ricca, la più occulta possibile. E’ l’istituzione intoccabile alla quale è permesso fare tutto: benedice le bombe atomiche e benediceva i fascisti, quando c’era il fascismo. E si mette a fianco del più grande dittatore. E continua, ancora oggi, a muoversi in questo regime di falsità. Quando un personaggio così benedice – come atto d’amore – tutto quello che si sta facendo, allora il gioco s’incarta. Perché c’è qualcosa che si va a infilare nella matrice sociale, bloccandola. Perché in Italia la gente non riesce a fare quel salto in più? Perché lo fanno in Canada, con dieci gradi sotto zero, e lo fanno in tutto il mondo, mentre in Italia non si riesce a raggiungere quella determinazione? Perché c’è un’infezione. C’è una falsità, che si è infiltrata nel contesto sociale. In questo anno lo abbiamo capito: il messaggio di Cristo è una cosa, la Chiesa cattolica è ben altra cosa.
    E allora, fino a quando il contesto sociale rimane prigioniero dei dettami imposti da questa realtà, che tradisce appieno il messaggio di fratellanza, di umiltà e di verità, noi non andremo da nessuna parte. Perché l’Italia ha una matrice cristiana potentissima. E se i cristiani italiani continuano a rimanere inerti, e a non trasformare il Verbo in azione, se non diventano essi stessi le mani del loro Dio, non abbiamo la forza per muovere un passo in più, mancherà sempre qualcosa. E loro lo sapevano che, facendo prendere questa posizione all’uomo vestito di bianco, la situazione si sarebbe totalmente “impallata”. Manca una spinta, una collaborazione, un’unità di intenti. E’ stato annichilito il più grande dei messaggi: che non ha più bandiere, se si parla di solidarietà, perché altrimenti non ha senso più niente. Se non troviamo un intento comune, nel nome di questa verità – un intento che porti a termine questa persecuzione – allora è finita l’umanità.
    Siamo tutti chiamati a dare un senso, una forza, alle parole di cui ci riempiamo la bocca. Premetto: io ho sempre tenuto le distanze, da quella realtà. Ma nelle piazze incontro sempre più gente che mi dice: «Guarda, io sono un cristiano; e questa Chiesa non mi piace, e nemmeno questo Papa: non mi risuona». Bene. Quanti sono, questi cristiani? Quanti siete? Siete tantissimi, sapete. Venite nelle piazze e vi confidate di nascosto, quando finisco un intervento. A volte mi consegnate un pensierino, un santino. E io li ricevo, da apostata, perché mi sono anche “sbattezzato”: non si può far convivere un’espressione di verità e di amore con chi invece usa il verbo della verità e dell’amore per poi mettere in campo una volontà che è tutt’altro che verità e amore. E allora il mio gesto, adesso, è quello di chiamare a una grande alleanza trasversale, che non deve più guardare in faccia a niente. Faccio un passo avanti io, per primo, che sono l’eretico per eccellenza e ho scritto anche un libro (“La messa è finita”, ndr) che mi ha procurato un dossier sulle spalle e l’impossibilità di lavorare con certe realtà.
    Faccio un passo io perché non me ne faccio niente, di Michele: devo essere oltre Michele, più avanti di Michele; perché Michele è un essere finito; e invece, l’espressione che Michele può abitare è eterna: e io sono dentro quell’espressione, come lo è ognuno di voi. Siamo chiamati a creare un’alleanza trasversale, in questi ultimi giorni che abbiamo a disposizione: perché poi non ne avremo più. E allora avrà senso che ognuno faccia i conti con se stesso. In questi giorni, insisto, siamo chiamati a creare questa grande alleanza. Ci sono dei movimenti; ci sono degli albori, lo vedo. Non ci “state dentro” nemmeno voi, dall’altra parte; avete bisogno, non vi sentite più rappresentati; volete vivere una realtà spirituale sana, come la vuole vivere chiunque. Non si può più stare dietro al dettame impartito dal “grande capo”. Se sentite che quelle parole hanno sempre animato la vostra fede, che vi hanno fatto riconoscere in un certo modo, se cioè siete dei cristiani, se sentite che quel messaggio è universale, allora è arrivato il momento di trasformare quel messaggio in una volontà: senza più guardare a quello che si può perdere, a come si verrà giudicati, e soprattutto a chi camminerà al tuo fianco.
    Lo dico pubblicamente: io camminerò a fianco di qualunque cristiano che voglia trasformare la propria energia in una volontà, in un’azione concreta. Il periodo è troppo serio, abbiamo un incendio in casa: non possiamo più metterci a discutere sul colore del tavolo. Poi magari torneremo a dividerci, ma oggi viviamo un momento di una serietà totale: non c’è mai stato un periodo più serio di questo. Ci serve un’unità di intenti, una volontà comune. Penso a don Emanuele Personeni: lo ringrazio, dal profondo del cuore. Un sacerdote coraggioso, di quelli che trasformano le parole in fatti. Don Emanuele ha iniziato un cammino, un pellegrinaggio in nome della verità; ha dichiarato apertamente che il suo intento è quello di far togliere qualunque obbligo di “pozione magica”, qualunque schedatura, e vuole andare di parrocchia in parrocchia. Se non ho capito male, dall’alto hanno intimato alle parrocchie di non riceverlo. Mi auguro che non sia vero: sarebbe la conferma del fatto che sta facendo qualcosa di davvero importante. Confido in tutte le persone che lo affiancheranno, in questo cammino: qualcosa che porti le idee nelle piazze e le renda visibili. Bisogna dichiararsi, e questa persona sta compiendo un gesto veramente degno.
    E’ un’anticipazione di un’era nuova, dove si esce da questa sterilità delle parole e si diventa realmente fatto, opera. A voi cristiani dico: date forza alle parole del vostro Dio, altrimenti rimangono aria fritta e il vostro Dio rimane impotente. Perché il vostro Dio si manifesta tramite voi, tramite la vostra espressione, tramite quello che fate. E’ inutile predicare e recitare in un angolo della vostra stanza, avendo paura di dire come la pensate. Quel Dio lì scappa; non viene più, a trovarvi. E allora, diventate l’espressione di quel Dio. Io ho il mio concetto di divinità, e sono stato sempre al suo servizio. Quando la natura mi insegna a essere sincero, onesto e palese, io cerco di esserlo il più possibile. E quando mi insegna che un’era è finita e che bisogna anticipare una stagione nuova, non tengo chiuse le mie gemme. Ecco, date senso – trasformandole in opera – alla vostre parole. Io mi unirò a don Emanuele Personeni nel suo percorso, intreccerò il suo cammino e farò un po’ di strada con lui. E sono disposto a fare spazio e dare energia: siamo una comunità di 150.000 persone; in parallelo c’è la realtà di “Essere Solare”, quasi 25.000 persone; e c’è un gruppo Telegram di altre 50.000 persone (il canale YouTube me invece l’hanno censurato, quindi non lo posso più usare).
    La mia forza, in ogni caso, è al servizio di tutte che le persone che, adesso, vogliono trasformare le belle parole in fatti. Ho quest’immagine di questa espressione cristiana, dove ci siano dei preti che si ricordano di cosa son venuti a fare, nel mettersi dentro quell’abito. Possono avere mille limiti, perché ognuno fa la sua scelta. Però, se mi parli d’amore, fallo “atterrare”, questo amore. E’ un invito rivolto a tanti sacerdoti: e ne ho incontrati. Alcuni mi hanno chiesto anche scusa. Una volta, a Riva del Garda, uno mi ha detto: «Guarda, tu hai chiesto scusa alle donne, a nome di tutti gli uomini, per quello che è successo nella storia; hai chiesto scusa in nome del dolore che hanno provato. E io, in qualità di sacerdote e a nome dell’istituzione che rappresento, ti chiedo scusa per il dolore che abbiamo fatto provare alle anime come te, nei secoli». Mi sono commosso. Abbiamo spremuto qualche lacrima, insieme, stretti in un abbraccio. E se mi ascolta, quel sacerdote lo ringrazio anche adesso. E che sia l’inizio, questo.
    Ho avuto questa visione, dicevo, dei sacerdoti che cominciano a scendere in piazza, a girare per le strade, e raccolgono tutte le persone di buona volontà. Mi auguro che si crei, finalmente, un’alleanza trasversale che dia espressione anche a chi è ai livelli più alti. Mi sono immaginato pure altri personaggi, che hanno manifestato la loro fede in questi valori e quindi cercano di dare un senso a quelle parole (altrimenti, non ha senso niente). Ho seguito alcune persone, sto seguendo Meluzzi, sto seguendo monsignor Viganò. Siamo chiamati a fare questo passo avanti: dobbiamo giocare tutte le carte, anche se questo richiede di fare un passo indietro e di sospendere certi attriti. Siamo chiamati a farle, queste mosse: non possiamo permetterci di arrivare alla fine di questo periodo, tra un mese e mezzo, senza aver tentato di stringere tutte le alleanze possibili. Invito tutti: date un senso alle parole d’amore che finora avete ospitato. O gli date un senso, o smettere di parlare a nome di chi ha portato certi messaggi: perché se quello che ha portato certi messaggi si affacciasse adesso, sicuramente non sarebbe contentissimo di quello che stanno facendo le istituzioni; ma chiederebbe a voi cristiani, uno ad uno: perché continuate a nascondervi?
    Mi auguro che il mio gesto sia compreso e sia supportato. Lo ripeto: io sono un eretico apostata, mi sono “sbattezzato” e ho scritto anche un testo, ben nutrito, contro le istituzioni cattoliche. E sono qui, in prima persona, a mettere la mia energia al servizio di tutti i cristiani di buona volontà. Confido nella luce che vi illumina (da dentro, non da fuori). Nel frattempo, lo so, gli altri non si fermano. Hanno cambiato la Costituzione? Certo: continueranno a fare tutto quello che è possibile, per portare a termine il loro disegno. Voglio ricordare che, come è stata cambiata, la Costituzione si può ri-cambiare. La nostra Costituzione parlava di diritti, di discriminazioni, di come non arrivare a certe situazioni; e invece è stata ampiamente superata. La Costituzione è come una bella preghiera, un bellissimo enunciato, un epitaffio straordinario, un testamento insuperabile. Ma se non viene trasformato in volontà, non vale niente: è carta straccia. Quindi, sì: possono cambiare anche la Costituzione. Ma non allarmatevi troppo: lasciate che facciano quello che vogliono; cominciate voi a decidere che cosa volete fare: perché abbiamo un mese e mezzo di tempo. Siamo arrivati liberi, su questa Terra: liberi torneremo a casa.
    (Michele Giovagnoli, dal video trasmesso su Facebook il 10 febbraio 2022).

    Eternamente grazie, professor Luc Montagnier: eternamente grazie. Non è una brutta notizia, quella che è arrivata. Sapete, funziona così: dobbiamo educarci al trascorrere delle cose, alla fine della bellezza fisica, al tramonto del sole, alla vecchiaia, così come ci meravigliamo della nascita, del sorgere, della giovinezza, e poi della barba che si imbianca. Si chiama vita: è così. La vita si può soltanto accettare. Si può soltanto consegnarsi, alla vita: perché, se ci si consegna alla vita, allora ci si consegna anche all’immortalità. Montagnier ha lasciato un solco indelebile, dentro ognuno di noi. E si è andato ad annidare dentro ognuno di noi. Da bravissimo virologo, è diventato un virus d’amore. E questo rende decisamente immortale la sua essenza, il suo passaggio qui su questa Terra. Tutti siamo destinati a morire, ma in pochi riescono a morire – e a farsi luce – come si è fatto luce il professor Luc Montagnier: dedicando la sua vita alla verità, che è il precursore di ogni giustizia.

  • Ora sei un’App, senza una vita e con la data di scadenza

    Scritto il 08/12/21 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    Quand’ero adolescente, come figlio e nipote di operai Fiat, sapevo che il mio destino era segnato: sarei stato un operaio Fiat, un privilegio. Poi, anni dopo, se meritevole, avrei potuto diventare “impiegato Fiat” (“travet”, in piemontese). A parità di salario, non avrei più respirato gli odori degli olii esausti, dei trucioli di ferro del mio tornio, del sudore acido dei colleghi. Sarei stato parcheggiato in un non luogo, come lo erano i cosiddetti “uffici della palazzina”. Qua, al posto della tuta blu, avrei indossato un abito Gft, stante il prezzo, già liso all’acquisto; avrei fatto un lavoro idiota e guardato gli operai dall’alto in basso, pur essendo uno di loro. Alcuni travet, per sottolineare la loro differenza di status, si facevano crescere l’unghia del mignolo sinistro in modo abnorme. Era un Green Pass ante litteram che ti certificava, al contempo, “travet doc” e idiota in purezza.
    Però il lavoro, allora, aveva una sua autentica dignità sociale, ed era ben retribuito. Un operaio Fiat guadagnava molto più di un impiegato comunale, e in società (al Circolo delle Bocce, of course) aveva uno status appena sotto quello dei negozianti e dei piccoli professionisti. Il miracolo economico, le scelte strategiche e sociali di Vittorio Valletta permisero agli operai Fiat di avere un welfare privato di prim’ordine, di far studiare i figli, di comprarsi, oltre alla 600, il classico “camera, tinello, cucinino” nella periferia estrema e, ai più risparmiosi, uno identico a Borghetto Santo Spirito. Neppure pensabile per un operaio o un travet di oggi, costui è un miserabile che non va oltre l’acquisto a rate di un frullatore a immersione o di un iPhone nel Black Friday.
    Settant’anni dopo, nell’era del Ceo Capitalism imperante, il lavoro ha perso dignità, il salario è diventato un contributo di sussistenza, per non parlare dell’ascensore sociale, in disuso da anni. Nessuno, dotato di un minimo di intelligenza e di consapevolezza, crede alla frase mito del Presidente-Nobel: «Se ti impegni puoi farcela». “Puoi farcela”, sì, ma per fare cosa? Il rider? Il “pacchista Amazon”? Il driver Uber? Le famiglie medio-povere hanno accettato, dando fondo ai loro risparmi e sbagliando clamorosamente, di allevare i figli permettendo loro di “consumare senza lavorare”. Se cominci a consumare prima di produrre sei destinato alla povertà definitiva, così come se non hai il sogno di migliorarti, di combattere per avere un futuro diverso dal presente. Nulla di tutto questo può avvenire nel mitico mondo del Ceo Capitalism, che ha trasformato il futuro in presente, proiettando la vita lavorativa direttamente verso il divano di cittadinanza.
    Tutto è già pianificato, la tua vita è già scritta, a te spetta solo di fingere di viverla; mai potrai entrare nel merito della modalità ammesse o vietate, devi semplicemente attenerti al protocollo che ti è stato dato. Sarà una vita senza sorprese, non ti succederà mai niente, perché tu sei una App; hai sì un Pass, ma non hai una vita. Mamma e papà mi dicevano: «La felicità non ti viene incontro, devi essere tu a inseguirla». Oggi questa grande verità è del tutto superata. Molti non sanno cosa sia la felicità e, intellettualmente abbruttiti come sono, neppure interessati a saperlo. Se sei un “loser” della globalizzazione la felicità non è prevista nel tuo protocollo di vita, se sei un “winner” (lo sai che sono quattro gatti?) la felicità fa già parte del tuo patrimonio genetico. Così la morte.
    Per tutta la vita ti hanno venduto che eri a-mortale, che dovevi pensare positivo, che dovevi essere resiliente (non facevi in tempo a cadere che già dovevi rimbalzare in piedi, come le ginnaste dell’Est), così ti eri convinto di allontanare la morte dai tuoi pensieri. Come? Ogni sera, un tempo rivolgevi la tua preghiera a Gesù, ora non più; i tuoi dèi erano la Tecnologia, la Scienza. Incremato di prodotti anti-age fisici e mentali, prima di dormire ascolti rapito in tv lo “Scienziato”, il “Politico”, il “Giornalista” che ti “somministrano”, come da protocollo, fake truth. Poi, un giorno, improvvisamente, ti scopri vecchio, sul display è comparsa la tua “data di scadenza”. Tu ti senti ancora vivo, ma l’algoritmo ha deciso che sei vecchio, devi andartene, e pure in punta di piedi, per non disturbare i manovratori. Buon Natale!
    (Riccardo Ruggeri, “Sei una App, hai un pass ma non una vita. Finchè arriverà la tua data di scadenza e dovrai andartene. Ma in punta di piedi”; editoriale pubblicato da “Zafferano.news” e ripreso su Facebook da “Linea Italia Piemonte” il 7 dicembre 2021. Operaio Fiat per 40 anni e poi Ceo di New Hollande, Ruggeri è stato manager e imprenditore, ora attivo come giornalista, editore e scrittore).

    Quand’ero adolescente, come figlio e nipote di operai Fiat, sapevo che il mio destino era segnato: sarei stato un operaio Fiat, un privilegio. Poi, anni dopo, se meritevole, avrei potuto diventare “impiegato Fiat” (“travet”, in piemontese). A parità di salario, non avrei più respirato gli odori degli olii esausti, dei trucioli di ferro del mio tornio, del sudore acido dei colleghi. Sarei stato parcheggiato in un non luogo, come lo erano i cosiddetti “uffici della palazzina”. Qua, al posto della tuta blu, avrei indossato un abito Gft, stante il prezzo, già liso all’acquisto; avrei fatto un lavoro idiota e guardato gli operai dall’alto in basso, pur essendo uno di loro. Alcuni travet, per sottolineare la loro differenza di status, si facevano crescere l’unghia del mignolo sinistro in modo abnorme. Era un Green Pass ante litteram che ti certificava, al contempo, “travet doc” e idiota in purezza.

  • Tanto a pochi, agli altri le briciole: riecco l’antico Draghi

    Scritto il 02/11/21 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    «Il governo Draghi, voluto per la salvezza del paese, con questa prima manovra di bilancio fa il suo compitino tecnocratico». Ovvero: «Comincerà ad attuare i progetti del Recovery, ma la visione di un mondo post-pandemico non c’è». Così Mario Barbati, su “Micromega”, boccia l’aspetto socio-economico dell’attesissimo avvento dell’ex Super-Mario a Palazzo Chigi. La sintesi: «Aumentano il Pil come paradossalmente povertà e lavoro precario. Degli oltre 830.000 nuovi posti di lavoro creati nell’ultimo anno, il 90% sono a termine: solo l’1% dura più di un anno. Tolto il salario minimo legale dal Pnrr, smantellato il ‘decreto dignità’ che limitava i contratti a termine, vengono messi in discussione i redditi di sostegno e le pensioni». Inoltre, si omette di contrastare 203 miliardi di economia sommersa, «che sarebbero decisivi se davvero si volesse attuare una redistribuzione della ricchezza». Rinviata ancora la “plastic tax”, alla faccia della “transizione ecologica”. La legge di bilancio? Una manovra da 30 miliardi, che Draghi definisce «espansiva». Si alleggerisce la pressione fiscale con 12 miliardi, di cui 8 per il taglio delle tasse su società e persone, ma senza ripartizioni (che saranno «definite insieme al Parlamento» nelle prossime settimane).
    Rinviata la riforma delle pensioni: “Quota 102” è solo un compromesso – scrive Barbati – che «non risolve una questione che dura da anni» e in più «alimenta una narrazione, peraltro falsa, che il lavoro per i giovani si crei innalzando l’età di pensionamento, mettendo lavoratori di diverse generazioni contro». Unica nota positiva: l’aumento delle protezioni sociali per i senza lavoro. Il nodo vero? «Il Pil sale, i salari scendono». Si domanda l’analista: «Ha senso, un sistema in cui aumentano il Pil (oltre il 6% quest’anno, come dichiarato dal premier) e al tempo stesso la povertà, ormai anche tra molti lavoratori? E per quanto tempo può reggere, dopo quasi due anni di pandemia? Superare l’austerità se non si leniscono le profonde disuguaglianze degli ultimi decenni, che anzi sono accresciute con la pandemia, se non si affrontano la questione salariale e la precarietà, non ha senso». In Italia, annota Barbati, più di 5 milioni di lavoratori dipendenti hanno un reddito inferiore ai 10.000 euro annui, determinando il fenomeno della povertà che si diffonde tra chi lavora. «Rappresentazione plastica di un modello sociale da ribaltare».
    Una delle poche ma significative modifiche del Pnrr targato Draghi (nella versione Conte-Gualtieri c’era) è stata l’eliminazione dell’introduzione del salario orario minimo, cioè di una legge che fissi una soglia di base sotto la quale il datore di lavoro non può scendere. La misura è in vigore in 21 Stati dell’Unione Europea su 27 (comprese Germania, Francia, Spagna) e sarebbe indispensabile – scrive sempre Barbati – in un paese in cui non solo esistono una miriade di contratti collettivi nazionali diversi (900) ma anche milioni di lavoratori fuori dalla contrattazione collettiva, sfruttati con stipendi da fame e zero diritti. In Italia (e non solo) il neoliberismo «si è tradotto con offerte di lavoro, richiesta di manodopera, delle risorse intellettuali al massimo ribasso: trasformando il lavoro in una merce, anche abbastanza scadente». Ma il Belpaese «non poteva che distinguersi tra gli altri». L’Italia è infatti «l’unico Stato in Europa – dati Ocse alla mano – in cui dal 1990 ad oggi gli stipendi sono diminuiti invece che aumentare. E se negli ultimi trent’anni la ricchezza è invece aumentata, se ne deduce facilmente che sia finita in pochissime mani».
    Con l’aumento del costo delle materie prime dopo i blocchi pandemici (e quindi i rincari di carburante, energia, gas) quella dei salari «dovrebbe essere la priorità di un paese che si vuole rilanciare». In Germania, «l’Spd di Scholz ha vinto le elezioni con la proposta di alzare il salario minino a 12 euro all’ora». La nostra Costituzione prevede che “il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa” (articolo 36). «È la Costituzione che andrebbe applicata, ribaltando il concetto della crescita slegata dal benessere e dal lavoro delle persone, cominciando dal salario minimo orario, lasciando la contrattazione collettiva ma fissando una soglia di dignità per tutti». Riassume Barbati: «Oggi 3,5 milioni di dipendenti privati, 600.000 lavoratori domestici, 370.000 operai agricoli non raggiungono i 9 euro lordi all’ora».
    Vero, dall’inizio del 2021 sono stati creati oltre 830.000 posti di lavoro (in aumento, rispetto agli anni precedenti). Ma quasi il 90% di questi nuovi lavori creati «è stato attivato con un contratto a termine». Modeste – e inferiori al 2020 – le posizioni a tempo indeterminato. «Da luglio, l’eliminazione del vincolo ha prodotto 10.000 licenziamenti». In che modo, si domanda l’analista di “Micromega”, questi dati sono coerenti con le dichiarazioni che Draghi ha dedicato ai giovani? «Il mio impegno – ha detto – è seguire le vostre ambizioni, dopo anni in cui l’Italia si è dimenticata di voi». La promessa: «Fare in modo che questa ripresa sia duratura e sostenibile». La retorica del “niente sarà più come prima”, del “ne usciremo tutti migliori” che ci ha allegramente accompagnato durante la pandemia – scrive Barbati – deve ora fare i conti con una realtà dura a morire, perché frutto di politiche durate decenni. «La pandemia, che ha squadernato un paese in cui pochi hanno tanto e molti hanno poco, rischia di finire esattamente come era iniziata. Senza un cambio di direzione verso una giustizia distributiva e sociale».
    L’applicazione della Costituzione, continua Barbati, dovrebbe essere la stella polare per le riforme e gli investimenti del Recovery Plan. Invece il Pnrr (230 miliardi di euro di risorse insperate) «rischia di andare a favore dell’alta economia e di cambiare poco o niente nella vita comune di cittadini, studenti, lavoratori e imprese». In effetti, «già prima della pandemia globale, l’Italia era contrassegnata da forti disuguaglianze, gap e divari generazionali, di genere, territoriali e sociali». E ora «il Recovery, che è il più grande piano d’investimenti pubblici della storia repubblicana, rischia di vedere il mercato e non la politica come principale regolatore dell’economia». Non solo. «Concretamente, il Piano rischia di essere una sommatoria di progetti, al momento senza un coordinamento visibile, con misure eterogenee che mancano di un progetto-paese in grado di creare un modello di sviluppo sostenibile non a favore di alta finanza e poche grandi imprese – come avvenuto negli ultimi 30 anni – ma a vantaggio della vita delle persone in armonia con l’ambiente».
    Per Barbati, «manca un riscontro sulla ricaduta nella creazione di lavoro, nella rigenerazione urbana, nella riconversione ambientale». Il portale che il governo ha dedicato al Recovery Plan (“Italia Domani”) prevede la condivisione sugli esiti dei singoli progetti, ma senza informazioni su ogni fase del processo attuativo, come tra l’altro chiesto dall’Europa. «Sul piatto della transizione ecologica ci sono 70 miliardi, ma nei documenti inviati a Bruxelles mancano impegni chiari sulla sostituzione graduale del carbone e del gas naturale». La mobilità sostenibile? Vale 31 miliardi in nuove infrastrutture: ma «privilegia i treni Av anziché il trasporto locale, regionale e cittadino». C’è anche il rischio di aumentare, anziché diminuire, «il divario tra nord e sud, tra aree ricche e povere». E questo «perché ci saranno enti locali in grado di sfruttare i bandi e altri incapaci di farlo». La quarta missione (istruzione e ricerca) stanzia complessivamente 33 miliardi, di cui quasi 12 per la ricerca. «Sparisce il piano Amaldi, che proponeva un aumento dei fondi per la ricerca pubblica nella misura di 15 miliardi in 5 anni, per far sì che l’Italia passasse dallo 0,5% del Pil in ricerca pubblica allo 0,7% francese».
    Se Barbati approva (almeno sulla carta) il piano per l’edilizia scolastica e gli asili nido, punta il dito sul tema della concorrenza: la soluzione è davvero aprire ai mercati, in tutti i settori, «in nome dell’ideologia neoliberista superata dai fatti e dalla storia»? Nel Piano si impone agli enti pubblici «una motivazione anticipata e rafforzata che dia conto del mancato ricorso al mercato». Soluzione che in alcuni casi potrebbe essere utile – dice Barbati – per spezzare le rendite, i monopoli troppo garantiti, i legami clientelari con la politica; in altri casi, però, «potrebbe essere deleteria, perché in passato le “liberalizzazioni” hanno riguardato servizi di interesse generale, come i monopoli naturali attraverso concessioni esclusive ai privati». Esempi? «Il caso Autostrade: 11 miliardi di utili per Benetton & soci, continui aumenti delle tariffe, risparmi e negligenza assassina sugli investimenti in sicurezza. La storia recente dimostra che le “public utilities” (il trasporto pubblico, i servizi idrici, le reti ad alta velocità) non dovrebbero più dipendere dal dominio di logiche di profitto, perché sono servizi di interesse generale». Conclude Barbati: non si capisce come il Pnrr possa contrastare la precarietà. «Istruzione, sanità, welfare universale rischiano ancora una volta di essere sacrificate sull’altare delle grandi opere e degli affari per pochi».

    «Il governo Draghi, voluto per la salvezza del paese, con questa prima manovra di bilancio fa il suo compitino tecnocratico». Ovvero: «Comincerà ad attuare i progetti del Recovery, ma la visione di un mondo post-pandemico non c’è». Così Mario Barbati, su “Micromega”, boccia l’aspetto socio-economico dell’attesissimo avvento dell’ex Super-Mario a Palazzo Chigi. La sintesi: «Aumentano il Pil come paradossalmente povertà e lavoro precario. Degli oltre 830.000 nuovi posti di lavoro creati nell’ultimo anno, il 90% sono a termine: solo l’1% dura più di un anno. Tolto il salario minimo legale dal Pnrr, smantellato il ‘decreto dignità’ che limitava i contratti a termine, vengono messi in discussione i redditi di sostegno e le pensioni». Inoltre, si omette di contrastare 203 miliardi di economia sommersa, «che sarebbero decisivi se davvero si volesse attuare una redistribuzione della ricchezza». Rinviata ancora la “plastic tax”, alla faccia della “transizione ecologica”. La legge di bilancio? Una manovra da 30 miliardi, che Draghi definisce «espansiva». Si alleggerisce la pressione fiscale con 12 miliardi, di cui 8 per il taglio delle tasse su società e persone, ma senza ripartizioni (che saranno «definite insieme al Parlamento» nelle prossime settimane).

  • Torino-Lione: la Corazzata Potëmkin sopravvive a tutto

    Scritto il 13/5/21 • nella Categoria: segnalazioni • (Commenti disabilitati)

    In questa Italia ormai incommentabile, sembra inverosimile che nel 2013 l’ottimo Luca Rastello (compianto giornalista di “Repubblica”) abbia potuto scrivere, con Andrea De Benedetti, l’esemplare saggio “Binario morto”, sul castello di bufale degli inesistenti treni veloci europei. Massima supercazzola, irraggiungibile: l’alta velocità per le merci, che non esiste al mondo. Logico, quindi, che sul Binario Morto in cui è parcheggiato il Belpaese si spillino ancora, nel 2021, gli ultimi fantastiliardi per la madre di tutte le idiozie, la linea Tav Torino-Lione: una creatura favolosa, capace di rivaleggiare con il Liocorno e l’Araba Fenice. Mitologia ferroviaria per veri cialtroni e fuoriclasse dell’imbroglio, in un habitat socio-mentale in cui non c’è più niente che non sia solo mitologico, dal Male Irrimediabile alla Salvezza Universale. Davvero, non ci si crede: eppure, la Corazzata Potëmkin del terzo millennio non è ancora affondata. Anzi: è pronta a fare danni, ancora, bombardando quel che resta dell’intelligenza nazionale.
    E’ davvero incredibile, la storia infame della grande opera più inutile del secolo, presentata come avveniristico segmento del magico corridoio Kiev-Lisbona quando ancora il Portogallo non aveva bocciato l’alta velocità, la capitale ucraina non era ancora diventata l’epicentro della nuova guerra fredda e la stessa Cina – con la sua suadente, prodiana e dalemiana Via della Seta – sembrava ancora la possibile, nuova patria esotica di un futuro velocissimo, di benessere low-cost a portata di mano. Poi è successo di tutto: il crollo della Borsa e gli strilli di Occupy Wall Street, il giro di vite nazistoide dell’austerity europea con il martirio della Grecia, l’esplosione degli spread e del precariato, la disoccupazione a livelli storici, lo schianto dell’Unione Europea come rottame inservibile. L’italico museo degli orrori ha esibito Monti e Napolitano, poi Letta, quindi il populismo di Renzi, Grillo e Salvini, infine l’avvocato del Vaticano e ora la sfinge della Bce. Di tutto è passato, sotto i ponti: dal malaugurio di Greta a quello di Bill Gates, dal Grande Reset di Davos a quello delle zone rosse. Ma niente, la Corazzata Potëmkin è ancora ormeggiata in valle di Susa.
    Le ultime cronache nauseabonde riportano i soliti sciagurati scontri tra la polizia e i manifestanti, irritati dai preparativi per l’ennesimo cantiere: si tratterebbe si spostare a valle l’attuale autoporto di Susa, per fare spazio – finalmente – al cantiere vero, quello del tunnel ferroviario lungo 54 chilometri. Forse, prima dell’Anno Tremila vedrà la luce, giusto per entrare nel Guiness dei Primati e battere il record del mondo, quello dell’infrastruttura più costosamente inutile della storia terrestre. Lo spiegava Luca Rastello nel suo libro, sulla scorta di centinaia di pagine di studi tecnici: quella ferrovia (doppione di quella già esistente, che collega Torino a Lione tramite il traforo valsusino del Fréjus) non servirà mai a null’altro che ad ingrassare i suoi fortunati costruttori, una gran bella filiera di aziende (cantieristiche e finanziarie) strettamemte collegate alla politica. Nel 2005, quando la valle di Susa insorse per opporvisi, raccontavano che la super-ferrovia sarebbe servita a trasportare passeggeri. Smentiti, i proponenti hanno dovuto cambiare le carte in tavola: ora dicono che servirebbe a veicolare le merci, a velocità elevata.
    Tutti gli specialisti del mondo (tutti quelli non pagati dalla cordata Tav) ribadiscono, fino alla nausea, che il problema della logistica è la puntualità, non la rapidità. Dal professor Marco Ponti in giù, inclusi i massimi esperti europei, ripetono che della Torino-Lione non c’è nessun bisogno, e che la linea attuale (la Torino-Modane) è letteralmente deserta, per l’assenza di merci (che non ci sono, e secondo ogni previsione non ci saranno mai). E dunque, che fare? Ovvio: insistere con la Torino-Lione, anche se svariate autorità francesi – inclusa la Corte dei Conti di Parigi – l’hanno reputata troppo costosa, rispetto agli scarsissimi, eventuali benefici che comporterebbe, nel caso ci fosse un improbabilissimo boom del trasporto merci lungo l’attuale Binario Morto così ben documentato da Luca Rastello. C’è anche il Covid, oggi: il paese è disastrato dalle restrizioni, in un anno ha perso oltre mezzo milione di aziende. C’è fame di lavoro e cantieri intelligenti, di infrastrutture utili. I folli gestori dell’emergenza – che hanno imposto distanziamento, lockdown e coprifuoco – non hanno pensato di raddoppiare bus e treni: si ancora viaggia stipati, come prima. Ma la Corazzata Potëmkin, quella no: guai a toccarla, è sacra.

    In questa Italia ormai incommentabile, sembra inverosimile che nel 2013 l’ottimo Luca Rastello (compianto giornalista di “Repubblica”) abbia potuto scrivere, con Andrea De Benedetti, l’esemplare saggio “Binario morto”, sul castello di bufale dei leggendari treni veloci europei. Massima supercazzola, irraggiungibile: l’alta velocità per le merci, che non esiste al mondo. Logico, quindi, che sul Binario Morto in cui è parcheggiato il Belpaese si spillino ancora, nel 2021, gli ultimi fantastiliardi per la madre di tutte le idiozie, la linea Tav Torino-Lione: una creatura favolosa, capace di rivaleggiare con il Liocorno e l’Araba Fenice. Mitologia ferroviaria per veri cialtroni e fuoriclasse dell’imbroglio, in un habitat socio-mentale in cui non c’è più niente che non sia solo mitologico, dal Male Irrimediabile alla Salvezza Universale. Davvero, non ci si crede: eppure, la Corazzata Potëmkin del terzo millennio non è ancora affondata. Anzi: è pronta a fare danni, ancora, bombardando quel che resta dell’intelligenza nazionale.

  • Cabras: Fedez, il super-padrone globalista umilia la Rai

    Scritto il 06/5/21 • nella Categoria: idee • (1)

    Contestualizziamo tutto, incluso il caso Fedez. In cointeressenza con la moglie Ferragni, Fedez regge una fiorente attività imprenditoriale nel campo editoriale-pubblicitario legato alle multinazionali statunitensi che hanno perimetrato il web all’interno dei grandi recinti dei social network. È un capitano d’industria diversissimo da chi poteva fregiarsi di questa definizione trent’anni fa in Italia, nel mondo ancora legato all’industria novecentesca. Se non vi distraete pensando che i suoi tatuaggi e le sue costose smandrappature siano l’antitesi dello stile dei vecchi protagonisti del capitalismo, vi accorgerete che Federico Leonardo Lucia incarna il grande borghese di oggi, l’uomo di potere di questo neocapitalismo con le sue regole, le sue battaglie per definire con urgenza un nuovo senso comune, le nuove egemonie, lo stato spirituale di un’intera nazione.

  • La Bibbia Nuda: dietro la nostra storia, una regia occulta

    Scritto il 27/3/21 • nella Categoria: Recensioni • (Commenti disabilitati)

    E’ perfettamente lecito domandarsi a chi mai possa importare, oggi, della eventuale veridicità del libro più famoso e più diffuso al mondo, la Bibbia. Un testo sacro, per i religiosi. Un insieme di codici simbolici, per gli esoteristi. Una collezione di fiabe, per gli atei. E se invece – al di là di come la si possa pensare, e nel pieno rispetto delle convinzioni di chiunque – quell’insieme di rotoli antichi contenesse indizi sull’origine della nostra possibile, vera storia? Per cercare una risposta, risulta utilissimo il metodo (pratico, lineare) adottato da Mauro Biglino, singolare figura del panorama culturale italiano. Prima, traduttore dell’Antico Testamento per le Edizioni San Paolo, e poi autore di 14 saggi che indagano tra le pieghe del testo biblico, riletto testualmente e senza filtri, teologici o sapienziali. Dopo oltre dieci anni di studi, la domanda resta invariata: e se la Bibbia riflettesse l’eco dell’origine della nostra specie, letteralmente “fabbricata” da individui non umani? E’ proprio questa, l’angolazione che – volendo – consente di passare, in modo verticale, dalla Genesi alla difficilissima attualità del momento presente, in cui l’umanità sembra in balia di forze ostili e smisuratamente potenti.
    Forse è utile fare un bel passo indietro, di almeno vent’anni. Per esempio: fino al 10 settembre 2001, era diffusa la sensazione di vivere nel migliore dei mondi possibili. Non esattamente un pianeta-capolavoro, politicamente parlando, ma distante anni luce da quello che sarebbe venuto dopo, a cominciare dall’alba del giorno seguente: due Boeing contro le Torri Gemelle di New York, senza che un solo jet militare – dopo il primo impatto – si fosse levato a presidiare quelli che erano considerati i cieli più sorvegliati del globo, così da scongiurare almeno la seconda, devastante collisione. Un’avvisaglia poco rassicurante la si era avuta due mesi prima, a Genova, in mezzo a strade e piazze improvvisamente preda della follia di una violenza insensata. Wayne Madsen, già dirigente della Nsa, disse che oltre duemila agenti avevano lavorato, per mesi, a “organizzare” la carneficina del G8 genovese, puntando sul caos scatenato dai misteriosi black bloc, in apparenza venuti dal nulla. Risultato: un temporale anomalo e capace di tramortire l’opinione pubblica, spingendo i giornali a parlare di “sospensione della democrazia”, prima ancora che la vicenda vivesse i suoi pesanti strascichi giudiziari.
    Solo dieci anni prima, si era aperta una stagione che aveva l’aria di essere straordinariamente promettente, per il pianeta. Mikhail Gorbaciov aveva “scongelato” l’Est Europa facendo cadere il Muro di Berlino: a colpi di spettacolari super-vertici con gli Usa, sembravano spalancarsi orizzonti impensabili. Certo, di lì a poco non erano mancati “incidenti”, anche gravissimi, dopo il golpe contro Gorbaciov e l’ascesa di Eltsin, che aprì le porte alla razzia dell’ex Urss. Esplose l’odioso bagno di sangue dell’ex Jugoslavia: la tragedia infinita della guerra civile balcanica, alle porte della civilissima Europa occidentale, finì per mettere in sordina l’opaco conflitto ceceno, mentre in Israele un estremista ebraico sparava alla schiena di Yitzhak Rabin, uccidendo l’uomo che aveva osato firmare una vera pace con i palestinesi. Pur nell’immane complessità dei focolai di morte, però, la situazione sembrava ancora affrontabile su scala regionale, con gli strumenti geopolitici della diplomazia, della politica estera, della pressione militare proporzionata. Poi, appunto, il mondo esplose: tutto insieme, e di colpo.
    Da allora, il pianeta non ha più smesso di esplodere: Afghanistan e Iraq, le rivoluzioni colorate e le primavere arabe, la brutale esecuzione di Gheddafi, la comparsa dell’Isis e il martirio della Siria, gli attentati stragistici in Europa. Che l’orizzonte si fosse subito richiuso, dopo la finestra di speranze alimentate dalla stagione di Gorbaciov, lo si era capito anche dal peso smisurato della globalizzazione neoliberista: il via libera a Wall Street grazie a Clinton, l’ingresso della Cina nel Wto, le delocalizzazioni spericolate, la sparizione della sicurezza sociale. Tutto vertiginosamente accelerato, in pochissimi anni: la fine dei diritti del lavoro e l’avvento del precariato come condizione permanente, i tagli devastanti al welfare e la demolizione della “mid class” occidentale, in Europa crollata sotto il peso dell’iper-fiscalità imposta dall’Eurozona. Fino ad arrivare alla tempesta perfetta degli spread, agli orrori della Grecia, al commissariamento di interi paesi. Paura e incertezza: la netta percezione di avere sempre meno benessere, meno diritti, meno democrazia, meno futuro.
    Ora siamo nell’era universale del virus, della pandemia tendenzialmente permanente, del distanziamento sociale obbligatorio, delle campagne vaccinali come unica soluzione (in assenza di terapie domiciliari precoci, che molti medici invece ritengono efficaci). Si sprecano le narrazioni distopiche amplificate dagli strateghi visionari di Davos, che disegnano una riconversione addirittura antropologica di un’umanità che parrebbe condannata a una sorta di sottomissione tecnocratica, psico-sanitaria, quasi zootecnica secondo i più pessimisti. A questo si è arrivati per gradi, mediante l’orchestrazione planetaria di una narrazione mediatica soverchiante, inarrestabile, che è riuscita a proporre come un’esperienza inevitabile la tragedia dell’emigrazione dai paesi poveri, nonché a ridurre a problema climatico lo scempio della Terra avvelenata, e persino a presentare le evoluzioni del clima come frutto esclusivo della cattiva condotta di un’umanità colpevole e incorreggibile.
    Inutile sperare che i grandi media illuminino davvero la grande notte: tra giornali e televisioni, è come se parlasse una sola voce, capace di spegnere (per la prima volta, nella storia) quella dello stesso presidente degli Stati Uniti, letteralmente espulso dal sistema e silenziato, trattato come un reietto, bruscamente cancellato dall’anagrafe mondiale. Un anno davvero fatale, il 2020: che ad aprile, tra le altre cose, si è portato via anche Giulietto Chiesa. Da grande giornalista, era stato tra i primi – con Seymour Hersh, Noam Chomsky, Gore Vidal – a puntare il dito contro il nuovo mostro orwelliano oggi dilagante, l’impero della disinformazione a reti unificate. In Italia, Giulietto Chiesa (con il saggio “La guerra infinita”, uscito nel 2002) era stato il primo in assoluto a dimostrare che la versione ufficiale sui fatti dell’11 Settembre era totalmente inattendibile. In parallelo, poco dopo, un regista come Massimo Mazzucco (trasformatosi in reporter) si vide trasmettere da Canale 5 in prima serata i suoi documentari critici sul crollo delle Twin Towers: lavori che mettevano in luce il carattere inverosimile delle spiegazioni governative.
    Da allora, la parola “complottismo” ha preso il volo, toccando vette impensabili fino a qualche anno prima. Brutta parola, in effetti: alla voce “complottismo” viene facilmente derubricata (e quindi liquidata, ridicolizzata) qualsiasi argomentazione che ipotizzi l’esistenza stessa di possibili complotti. Colpa anche dei cosiddetti complottisti: sicuri che ogni cospirazione abbia puntualmente successo, e che qualsiasi evento planetario sia sempre e solo frutto di macchinazioni oscure. E dunque: chi ha progettato davvero l’abbattimento delle Torri Gemelle? «Non sta a noi l’onere della prova», rispondevano prontamente Giulietto Chiesa e Massimo Mazzucco, certi che la loro funzione fosse quella (preziosissima) di verificare l’inconsistenza della versione ufficiale. E’ un problema di metodo, in fondo: limitarsi ad affermare solo quanto si è sicuri di poter davvero dimostrare, dati alla mano. Una questione di serietà, di trasparenza. Dire solo quello che si sa, parlare esclusivamente di ciò che si conosce: ed esibirne le prove, incontrovertibili.
    Grazie alla diffusione worldwide del web e dei social come fenomeno di massa, negli ultimi anni si è fatta strada un’editoria parallela, che tra mille incertezze è comunque riuscita a proporre una narrazione alternativa degli eventi, convalidata qua e là da voci sempre più autorevoli. All’orizzonte, alcuni importanti studiosi – in ogni campo, da quello storico a quello scientifico – prospettamo una sorta di riscrittura generale della storiografia, in gran parte basata su scoperte anche recenti, come quelle della geofisica (i maremoti che avrebbero ridisegnato la geografia del pianeta, 12.000 anni fa), senza contare l’ormai inarrestabile valanga di acquisizioni archeologiche: dalle città sommerse alle tracce di civiltà di gran lunga antecedenti, rispetto a quelle registrate nei libri scolastici. Il solo sito turco di Göbekli Tepe, per esempio, costringe a retrodatare di millenni la stessa introduzione dell’agricoltura.
    Chi siamo, davvero? Da dove veniamo? Risale ad appena qualche anno fa la scoperta, in Siberia, dell’Uomo di Denisova, altra “sorpresa” con cui la paleontogia ora si trova a fare i conti, senza avere risposte: se il darwinismo trasformato in dogma quasi religioso sta ormai franando, emergono tracce che sembrano alludere a svariati “esordi” della nostra specie, nei più disparati angoli del pianeta, senza che sia stato ancora trovato il famoso anello mancante, genetico, tra noi e le scimmie antropomorfe. Di questo, precisamente, parla la Genesi: se la si legge alla lettera, dice Mauro Biglino, si scopre che quel testo sembra esser stato scritto, non si sa neppure da chi, per raccontare l’origine di un ceppo particolarissimo dei nostri antenati. Per Biglino, il racconto biblico è chiarissimo: sono stati gli Elohim a innestare il loro Dna sugli ominidi che popolavano la Terra. Che poi l’espressione al plurale (”gli Elohim”) venga impropriamente tradotta al singolare con la parola “Dio”, in modo del tutto arbitrario, non è che la conferma di una manipolazione ricorrente, vecchia di millenni.
    Dall’Eden all’11 Settembre, certo, il salto è vertiginoso: ma in fondo, perché stupirsi delle manipolazioni di oggi, se la deformazione sistematica della narrazione ufficiale risale a oltre duemila anni fa? Biglino cita un padre della Chiesa, il vescovo Eusebio di Cesarea, il quale accredita gli studi del greco Filone di Byblos, che a sua volta riporta le scoperte del fenicio Sanchuniaton, vissuto nel 1200 avanti Cristo: in Egitto, il fenicio avrebbe scoperto le prove (scritte) della primissima manipolazione operata dalla casta sacerdotale egizia, che avrebbe trasformato in divinità metafisiche i personaggi che invece camminavano tra noi, proprio come gli dèi omerici, ai tempi della mitica Età dell’Oro. Si commenta da solo, il coraggio di Mauro Biglino, per dieci anni impegnato in una generosissima maratona infinita, tra centinaia di conferenze in tutta Italia. Unica bussola, la Bibbia: la fedeltà letterale a quel testo, rinuciando a fargli dire cose che non ha mai detto. Niente spiritualità, onniscienza, onnipotenza, eternità: vocaboli assenti, nozioni che nell’Antico Testamento non conosce. Sconvolgente? Sì, certo. Ma utile, oggi più che mai, per irrobustire domande importanti.
    Biglino – beninteso – non si nega certo la possibilità dell’esistenza del divino: si limita a registrare che nella Bibbia, semplicemente, non ve ne sia traccia. Quelle pagine, semmai, sono affollate di velivoli meccanici, oltre che di stragi efferate e di svariate “divinità” presenti in carne e ossa. Affascinante, se l’Antico Testamento lo si considera alla stregua di una sorta di libro di storia, pieno di echi provenienti da civiltà precedenti e, in molti passi, mutuato – quasi in fotocopia – dai testi dell’epopea sumerica. E’ questo, in fondo, lo sguardo che l’ultimo lavoro in uscita (”La Bibbia nuda”) offre, a chi è pronto ad affrontare un viaggio fatto di suggestioni, scoperte e interrogativi, sapendo mettere da parte per un attimo le proprie convinzioni consolidate. E non è solo un fatto culturale: in un recente saggio che Biglino ha scritto con la professoressa Lorena Forni dell’università Milano Bicocca, si scopre che sull’errata traduzione della Bibbia sono fondati alcuni presupposti-cardine del nostro patrimonio giuridico; il legislatore, cioè, si è basato su verità in apparenza presenti nell’Antico Testamento, ma in realtà smentite dalla corretta traduzione del testo.
    Nel panorama mondiale del 2021, con un’umanità letteralmente travolta dall’emergenza pandemica (e in parallelo, dalle soluzioni preconfezionate per un futuro non esattamente libero e felice), le pagine de “La Bibbia nuda” – in cui l’opera pluriennale di Biglino viene messa sistematicamente a confronto con gli scenari di oggi – concorrono ad arricchirre l’interessante bibliografia che si va componendo, anno dopo anno, in un periodo che sta vistosamente sfornando trasformazioni epocali, con risvolti anche molto spiazzanti. Risale all’autunno 2019 la storica ammissione della Us Navy: i nostri aerei si imbattono frequentemente in astronavi e dischi volanti. Un’affermazione confermata nella primavera 2020 dal Pentagono, e poi ulteriormente sviluppata dal generale Chaim Eshed, per decenni a capo della sicurezza areospaziale di Israele: da trent’anni, ha detto, noi terrestri collaborariamo stabilmente con entità non terrestri, raggruppate in una sorta di alleanza che chiamiamo Federazione Galattica.
    Fantascienza? Non più, a quanto pare. Ma in fondo è roba vecchia, dice Mauro Biglino, se sfogliamo pagine come quelle del Libro di Enoch: tra quei versetti non si parla che di decolli e atterraggi. Domanda persino ovvia: e se le pagine di Enoch, Ezechiele (e tante altre) non contenessero che resoconti, ante litteram, di incontri ravvicinatissimi con quelle che poi i sacerdoti avrebbero chiamato divinità? Tutto è possibile, parrebbe, a patto di tenere la mente aperta. Mauro Biglino peraltro non è un ufologo, né un teorico della paleoastronautica. Si mantiene rigorosamente nel perimetro del suo ruolo precipuo, quello di traduttore biblico. Dice: impariamo a rispettarla, la Bibbia, per quello che racconta davvero. E’ sincero, l’Antico Testamento? Non possiamo saperlo. Ma oggi sappiamo – grazie a Biglino, soprattutto – che quell’insieme di libri, ininterrottamente “corretti” fino all’età di Carlomagno, non dice affatto le cose che gli vengono attribuite. Ne afferma altre, e sono interessantissime: vogliamo deciderci a prenderle finalmente in considerazione? Anche perché, per inciso, sulla traduzione teologica della Bibbia (in troppi punti inesatta, quando non falsa) si è basato per secoli, o meglio per millenni, il governo di una parte considerevole del pianeta. Come dire: vietato stupirsi, se un giorno crollano torri e i media si affrettano a veicolare invenzioni e verità di comodo, che poi non reggono alla prova dei fatti.
    (Il libro: Giorgio Cattaneo, “Mauro Biglino. La Bibbia Nuda”, Tuthi, 342 pagine, 18 euro).

    E’ perfettamente lecito domandarsi a chi mai possa importare, oggi, della eventuale veridicità del libro più famoso e più diffuso al mondo, la Bibbia. Un testo sacro, per i religiosi. Un insieme di codici simbolici, per gli esoteristi. Una collezione di fiabe, per gli atei. E se invece – al di là di come la si possa pensare, e nel pieno rispetto delle convinzioni di chiunque – quell’insieme di rotoli antichi contenesse indizi sull’origine della nostra possibile, vera storia? Per cercare una risposta, risulta utilissimo il metodo (pratico, lineare) adottato da Mauro Biglino, singolare figura del panorama culturale italiano. Prima, traduttore dell’Antico Testamento per le Edizioni San Paolo, e poi autore di 14 saggi che indagano tra le pieghe del testo biblico, riletto testualmente e senza filtri, teologici o sapienziali. Dopo oltre dieci anni di studi, la domanda resta invariata: e se la Bibbia riflettesse l’eco dell’origine della nostra specie, letteralmente “fabbricata” da individui non umani? E’ proprio questa, l’angolazione che – volendo – consente di passare, in modo verticale, dalla Genesi alla difficilissima attualità del momento presente, in cui l’umanità sembra in balia di forze ostili e smisuratamente potenti.

  • Sapelli: Draghi contro Merkel, verso un’Ue democratica

    Scritto il 24/3/21 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    Mario Draghi contro Angela Merkel: la contesa di oggi è sui vaccini, ma lo sfondo investe la governance europea a guida tedesca, che ha quasi schiantato l’Italia e fatto scappare la Gran Bretagna. Lo sostiene Giulio Sapelli, storico dell’economia, intervistato da Fabio Carioti per “Libero”. «Peggio di come siamo adesso non si può stare», dice Sapelli. «Dobbiamo batterci non per uscire dalla Ue o dall’euro, ma per introdurre una Costituzione Europea al posto dei trattati attuali. Serve uno Stato di diritto nel quale non comandi più un’unica nazione e dove, anche se una nazione è più forte delle altre, la sua forza sia temperata dalla legge». In fondo, lascia intendere Sapelli, la missione di Draghi – oggi fortemente avversato da Berlino – è proprio questa: impedire il collasso dell’Italia, impostando una “ripartenza” che neutralizzi l’ordoliberismo tedesco, che ha trasformato l’Ue in un grande feudo depresso, senza democrazia, dove si vive malissimo. Lo si è visto anche con il disastro-vaccini: «La guerra fatta al vaccino inglese AstraZeneca la spiego con la grave cecità della Merkel: mi ricorda la guerra della Prussia contro l’Inghilterra, con la differenza che la Merkel non è Bismarck».
    L’Europa, dice Sapelli, dovrebbe avere tutto l’interesse a mantenere ottime relazioni con l’Inghilterra, «madre di ogni democrazia e Stato più civile e giuridicamente più evoluto di tutti». Per il professore, alla Ue gli inglesi «hanno dato solo cose positive, come certe ottime regole per la governance delle imprese che noi abbiamo applicato male». Angela Merkel? «Non ha saputo sfruttare i vaccini e va verso una sconfitta storica, che in parte già abbiamo visto». Scandisce Sapelli: «La cancelliera si disvela per ciò che è: una politica che ha fatto solo tattica e non ha mai avuto una strategia». E spiega: «Quando vedi il modo in cui si comporta la Merkel con l’Inghilterra, capisci la differenza che c’è tra una potenza marittima come quella inglese, che come tale ha un futuro, e una potenza di terra come la Germania, che senza la guerra non ha futuro. Alla cecità della Merkel, poi, si è unito il tradizionale astio dei francesi verso gli inglesi». E noi? «L’Italia è una potenza di nulla, il problema è proprio questo. Per collocazione dovremmo essere una potenza talassocratica, però non ci siamo mai riconosciuti come tale. Abbiamo preteso di essere una potenza di terra stando in mezzo al mare: una storia tragica».
    Però la storia la fanno anche gli individui, sottolinea Sapelli. Ed ecco Mario Draghi: «E’ un politico, non un tecnico. Un fine politico non eletto, figura di cui è ricca la storia mondiale. È un uomo che quando si è laureato è andato negli Stati Uniti, e lì è diventato il pontiere tra Washington e Roma: ottima cosa, per noi». Sapelli definisce Draghi un uomo di mediazione: «Sa che i partiti non ci sono più, ma il Parlamento c’è ancora, e quindi lui deve trovare il modo di far passare le proprie leggi: anche attraverso un’attenta applicazione del manuale Cencelli, se serve». È normale che un “fine politico non eletto” arrivi alla guida del governo? «L’Italia non ha più uno Stato di diritto», sostiene Sapelli. «Dopo la legge Bassanini del 1997 e la riforma del titolo V della Costituzione nel 2001, tra Stato e Regioni non si sa più a chi appartengano le competenze. Si aggiunga che un ordinamento come la magistratura è diventato un vero e proprio potere, e si capisce perché la Costituzione italiana non funziona più. Questa situazione permette che emergano persone competenti, che conoscono lo Stato, o meglio ciò che ne rimane».
    Se anche Fratelli d’Italia fosse entrata nella maggioranza, secondo il professore, sarebbe stato il segno decisivo che ciò che rimane dell’Italia è unito. «Perché qui corriamo il pericolo di tornare ai livelli di prodotto interno lordo che avevamo prima del 2000. Stiamo sprofondando nell’ultimo decennio del Novecento: nel Mezzogiorno già è così». Sprofonda anche l’Unione Europea di Ursula von der Leyen, bocciata alla prima prova decisiva. «Ho conosciuto suo padre, Ernst Albrecht: grande intellettuale protestante», racconta Sapelli. «Fu direttore generale della Commissione Europea, e questo dice molto anche sulla famosa tecnocrazia, fatta di famiglie dove il potere si trasmette per via ereditaria. Però lei non è assolutamente all’altezza del compito, come non lo è questo Armin Laschet, diventato nuovo presidente della Cdu. È l’ennesima prova che la Merkel è di una povertà intellettuale e politica sconcertante: è il filisteismo tedesco fatto persona». Sapelli critica i contratti firmati dalla Commissione Europea con AstraZeneca: «Nemmeno uno studente che deve dare l’esame di diritto privato avrebbe fatto una cosa del genere: il confronto con i contratti preparati dagli inglesi è imbarazzante».
    Nel Regno Unito, sintetizza il professore, c’è la “common law”, che si basa su un’antropologia positiva: fai, intraprendi, e i controlli dello Stato verranno dopo. «Dietro al diritto romano e germanico (e al codice napoleonico) c’è invece un’antropologia negativa: prima lo Stato, poi il cittadino. Così, i contratti della Ue non si preoccupano di fare arrivare prima i vaccini, ma di spendere meno ed evitare la corruzione: una follia. Siamo in mano a persone irresponsabili». Il grande colpevole? Berlino. «Peggio della leadership tedesca non può esserci nulla. Non facciamoci paralizzare da questa questione: è come se gli antifascisti si fossero rifiutati di combattere il fascismo perché la caduta del fascismo avrebbe aperto le porte al disordine». Per Sapelli, «è tempo di un nuovo Quarantotto europeo». Una rivoluzione come quella del Risorgimento, per dare all’Ue uno statuto finalmente democratico. «O si fa così, o ci sarà una lunghissima crisi di cui pagheranno il prezzo i poveri, i piccoli imprenditori, gli artigiani, i precari, le classi medie. Un’agonia senza fine, ecco qual è l’alternativa».

    Mario Draghi contro Angela Merkel: la contesa di oggi è sui vaccini, ma lo sfondo investe la governance europea a guida tedesca, che ha quasi schiantato l’Italia e fatto scappare la Gran Bretagna. Lo sostiene Giulio Sapelli, storico dell’economia, intervistato da Fabio Carioti per “Libero“. «Peggio di come siamo adesso non si può stare», dice Sapelli. «Dobbiamo batterci non per uscire dalla Ue o dall’euro, ma per introdurre una Costituzione Europea al posto dei trattati attuali. Serve uno Stato di diritto nel quale non comandi più un’unica nazione e dove, anche se una nazione è più forte delle altre, la sua forza sia temperata dalla legge». In fondo, lascia intendere Sapelli, la missione di Draghi – oggi fortemente avversato da Berlino – è proprio questa: impedire il collasso dell’Italia, impostando una “ripartenza” che neutralizzi l’ordoliberismo tedesco, che ha trasformato l’Ue in un grande feudo depresso, senza democrazia, dove si vive malissimo. Lo si è visto anche con il disastro-vaccini: «La guerra fatta al vaccino inglese AstraZeneca la spiego con la grave cecità della Merkel: mi ricorda la guerra della Prussia contro l’Inghilterra, con la differenza che la Merkel non è Bismarck».

  • Rivoluzione Draghi: cure a domicilio per guarire dal Covid

    Scritto il 19/2/21 • nella Categoria: Recensioni • (Commenti disabilitati)

    Nel paese dove ora si indaga sugli oltri 50 milioni di euro che sarebbero stati intascati come “compenso” per le primissime forniture di mascherine, lo scandalo forse maggiore riguarda l’approccio sanitario alla pendemia: tuttora, come denunciano molti medici coraggiosi, l’Italia non ha ancora un protocollo terapeutico che preveda, in modo sistematico, efficaci cure (domiciliari) per disinnescare il Covid già ai primi sintomi della malattia. «Per questo – affermano i sanitari di associazioni come “Ippocrate” – gli ospedali sono stati presi d’assalto da pazienti in condizioni ormai gravi: erano stati abbandonati a casa e lasciati senza cure, grazie a disposizioni che tuttora prescrivono la somministrazione della sola Tachipirina, farmaco completamente inutile in caso di Covid». Parole che non sono rimaste inascoltate, se è vero che il neo-premier, Mario Draghi, ha chiarito che (accanto alle misure d’emergenza, come una adeguata fornitura di vaccini efficacemente distribuiti) sarà strategico l’allestimento di una risposta sanitaria territoriale, capace di curare in modo tempestivo i malati, evitando il ricovero in ospedale.
    Proprio la demenziale inefficienza del sistema sanitario, imputabile in primis a Giuseppe Conte e Roberto Speranza, ha gonfiato i numeri del bilancio pandemico italiano (oltre 90.000 vittime, stando ai dati ufficiali – pur contestati da medici come Matteo Bassetti, secondo cui sarebbero stati conteggiati come Covid moltissimi pazienti deceduti per via di altre, gravi malattie). In ogni caso, si tratta di «cifre che hanno messo a dura prova il sistema sanitario nazionale, sottraendo personale e risorse alla prevenzione e alla cura di altre patologie, con conseguenze pesanti sulla salute di tanti italiani», sottolinea Mario Draghi. «L’aspettativa di vita, a causa della pandemia, è diminuita: fino a 4 – 5 anni nelle zone di maggior contagio; un anno e mezzo – due in meno per tutta la popolazione italiana. Un calo simile non si registrava in Italia dai tempi delle due guerre mondiali». Attenzione: «La diffusione del virus ha comportato gravissime conseguenze anche sul tessuto economico e sociale del nostro paese, con rilevanti impatti sull’occupazione, specialmente quella dei giovani e delle donne: un fenomeno destinato ad aggravarsi quando verrà meno il divieto di licenziamento».
    Si è anche aggravata la povertà, aggiunge Draghi: la Caritas rivela che, in appena un anno, l’incidenza dei “nuovi poveri” è passata dal 31% al 45%: quasi una persona su due che oggi si rivolge alla Caritas lo fa per la prima volta. «Tra i nuovi poveri aumenta in particolare il peso delle famiglie con minori, delle donne, dei giovani, degli italiani che sono oggi la maggioranza (52% rispetto al 47,9 % dello scorso anno) e delle persone in età lavorativa, di fasce di cittadini finora mai sfiorati dall’indigenza». E’ catastrofico, il bilancio del governo Conte: «Il numero totale di ore di cassa integrazione per emergenza sanitaria dal 1° aprile al 31 dicembre dello scorso anno supera i 4 milioni. Nel 2020 gli occupati sono scesi di 444.000 unità», lasciando a casa in particolare i titolari di contratti a termine e i lavoratori autonomi. «La pandemia ha finora ha colpito soprattutto giovani e donne: una disoccupazione selettiva, ma che presto potrebbe iniziare a colpire anche i lavoratori con contratti a tempo indeterminato».
    Gravi e con pochi precedenti storici – aggiunge Draghi – gli effetti sulle diseguaglianze: «Il nostro sistema di sicurezza sociale è squilibrato, non proteggendo a sufficienza i cittadini con impieghi a tempo determinato e i lavoratori autonomi». Altra brutta notizia: l’Italia è il fanalino di coda, in Europa. E’ vero, le previsioni della Commissione Europea indicano che la recessione continentale sia stata meno grave di quanto ci si aspettasse, e che quindi nel giro di un anno si dovrebbero recuperare i livelli di attività economica pre-pandemia. Ma questo in Italia «non accadrà prima della fine del 2022», e per giunta «in un contesto in cui, prima della pandemia, non avevamo ancora recuperato pienamente gli effetti delle crisi del 2008-09 e del 2011-13». Tutto questo, senza contare le «ferite profonde» non solo sul piano sanitario ed economico, «ma anche su quello culturale ed educativo». I ragazzi devono tornare subito a scuola, insiste Draghi, che cita un dato deprimente: solo il 61% degli studenti ha avuto accesso alla didattica a distanza, spesso impraticabile al Sud.
    Ovviamente, le priorità immediate per ripartire investono la sanità. «Questa situazione di emergenza senza precedenti impone di imboccare, con decisione e rapidità, una strada di unità e di impegno comune», chiarisce Draghi, partendo dalla campagna vaccinale. «La nostra prima sfida è, ottenutene le quantità sufficienti, distribuire il vaccino rapidamente ed efficientemente» (sottinteso: sonora bocciatura per l’operato di Conte, Speranza e Arcuri). «Abbiamo bisogno di mobilitare tutte le energie su cui possiamo contare, ricorrendo alla protezione civile, alle forze armate, ai tanti volontari», scandisce Draghi. «Non dobbiamo limitare le vaccinazioni all’interno di luoghi specifici, spesso ancora non pronti» (altro siluro contro le costosissime tensostrutture acquistate da Arcuri). «Abbiamo il dovere di renderle possibili in tutte le strutture disponibili, pubbliche e private, facendo tesoro dell’esperienza fatta con i tamponi che, dopo un ritardo iniziale, sono stati permessi anche al di fuori della ristretta cerchia di ospedali autorizzati».
    E soprattutto, rincara la dose Draghi, occorre procedere «imparando da paesi che si sono mossi più rapidamente di noi, disponendo subito di quantità di vaccini adeguate». Quanto ha dormito, l’inaudito governo Conte? «La velocità è essenziale – insiste Draghi – non solo per proteggere gli individui e le comunità sociali, ma ora anche per ridurre le possibilità che sorgano altre varianti del virus». Sulla base del disastro italiano, il nuovo premier avverte: «Dobbiamo aprire un confronto a tutto campo sulla riforma della nostra sanità», come chiedono i migliori tra i nostri medici in prima linea. Ecco la questione-chiave: «Il punto centrale è rafforzare e ridisegnare la sanità territoriale, realizzando una forte rete di servizi di base (case della comunità, ospedali di comunità, consultori, centri di salute mentale, centri di prossimità contro la povertà sanitaria)». È questa, ribadisce Draghi, «la strada per rendere realmente esigibili i “livelli essenziali di assistenza”», in modo da affidare agli ospedali solo «le esigenze sanitarie acute, post-acute e riabilitative». Parole chiarissime: «La “casa come principale luogo di cura” è oggi possibile con la telemedicina, con l’assistenza domiciliare integrata».

    Nel paese dove ora si indaga sugli oltre 50 milioni di euro che sarebbero stati intascati come “compenso” per le primissime forniture di mascherine, lo scandalo forse maggiore riguarda l’approccio sanitario alla pendemia: tuttora, come denunciano molti medici coraggiosi, l’Italia continua a non avere un protocollo terapeutico che preveda, in modo sistematico, efficaci cure (domiciliari) per disinnescare il Covid già ai primi sintomi della malattia. «Per questo – affermano i sanitari di associazioni come “Ippocrate” – gli ospedali sono stati presi d’assalto da pazienti in condizioni ormai gravi: erano stati abbandonati a casa e lasciati senza cure, grazie a disposizioni che tuttora prescrivono la somministrazione della sola Tachipirina, farmaco completamente inutile in caso di Covid». Parole che non sono rimaste inascoltate, se è vero che il neo-premier, Mario Draghi, ha chiarito che (accanto alle misure d’emergenza, come una adeguata fornitura di vaccini efficacemente distribuiti) sarà strategico l’allestimento di una risposta sanitaria territoriale, capace di curare in modo tempestivo i malati, evitando il ricovero in ospedale.

  • La fanfara di Auschwitz e il nostro ultimo anno di orrori

    Scritto il 31/1/21 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    Ma davvero siamo ancora qui, dopo un anno di litania funebre pandemica, a parlare di politicanti del calibro di Conte e Renzi, Di Maio e Zingaretti? Lassù giganteggia Angela Merkel, di cui Ambrose Evans-Pritchard sul “Telegraph” ha appena tracciato il mirabile bilancio: ha provocato la Brexit e distrutto l’idea stessa di unità europea come luogo desiderabile. Lo spettacolo, intorno? Monsieur Rothschild impone il coprifuoco alla Francia, l’anonimo Psoe spagnolo si finge socialista, la Grecia alla fame si arma fino ai denti contro la Turchia. E la residuale realpolitik italiana incassa con la mano sinistra una decina di miliardi di euro vendendo elicotteri e fregate all’Egitto, mentre con la destra auspica che l’Egitto faccia giustizia sul caso Regeni, massacrato a due passi dalla Libia, già italiana e poi francese, ora russo-turca in attesa di segnali di fumo dagli ologrammi insediati alla Casa Bianca, dopo la splendida e trasparente sconfitta elettorale inflitta al bieco Donald Trump. Poi, laggiù, resta l’Italia. Il paese di Pasolini e Primo Levi, Giorgio Bocca, Indro Montanelli. Tutti morti: rimane Saviano, prendere o lasciare. Saviano e l’altro Papa, Bergoglio, quello che raccomanda il vaccino etico universale, per la gioia di Big Pharma, Bill Gates e gli apolidi demiurghi di Davos.
    E appunto, là in basso resta l’Italia: il mitico Recovery Plan solo scarabocchiato da Giuseppi, assistito dal leader del New Pandemic Consenus chiamato Marco Travaglio. Ecco Emma Bonino che invoca l’Alleanza Ursula, i 5 Stelle smarriti nel loro nulla, l’ectoplasma politico che si usa ancora chiamare Pd. Fantasmi: quello di Berlusconi e quello di Draghi vanno a spasso insieme all’ombra di Salvini, il babau di ieri, tra le strida di Giorgia Meloni. Della bomba all’uranio che ha sventrato la politica, tanti anni fa, non c’è più traccia. Girano mezze figure, sempre le stesse, sopravvissute a tutto: D’Alema e Bettini, Gianni Letta e suo nipote Enrico (che raccomanda la resa definitiva al Grande Reset antropologico, al Nulla Sarà Più Come Prima). Incidentalmente, il paese crolla: un milione di senza-lavoro, mezzo milione di mini-aziende chiuse. E gli italiani ancora tutti in casa, quieti, ad aspettare con fiducia la fine del mondo, davanti al televisore che forse quest’anno non trasmetterà l’imprescindibile Festival di Sanremo, giusto per adeguarsi ai teatri chiusi, ai cinema chiusi, ai concerti annullati insieme alle mostre, alle migliaia di negozi e locali sprangati, alle zone rosse, al distanziamento morale e religioso, al coprifuoco eterno, al Ricordati che Devi Morire.
    Chi l’avrebbe detto, che sarebbe finita così? Finita l’era Bush, sulle macerie dell’11 Settembre si erano aperti interrogativi finalmente luminosi. Persino il fuoco fatuo di Occupy Wall Street aveva aperto occhi dormienti: la Grande Ipocrisia aveva cominciato a dipingersi anche sulla maschera rassicurante di Barack Obama, rendendo evidenti le sozzure del backstage, tra le denunce di Julian Assange e quelle di Ed Snowden. Big Data, Big Tech, Big Tutto: ora siamo alla censura spudorata, alla carcerazione di massa, all’ora d’aria concessa (”consentita”) per portar fuori il cane, mentre a Berlino si allestiscono graziosi lager per eventuali renitenti al Trattamento Sanitario Obbligatorio prescritto dall’Autorità. Letteralmente assordante, il silenzio della cosiddetta società civile: industria, terziario, artisti, pensatori universitari, scrittori e cantanti. Ancora più epico il mutismo dei sindacalisti: zitti su tutto, mentre il casato Elkann si sbarazza della Fiat cedendola ai francesi, e trattando con la Cina per liberarsi anche di Iveco e New Holland, dopo aver intascato miliardi nel 2020 causa crisi pandemica (e milioni, per fabbricare mascherine), tenendo in pugno il suo impero editoriale, “Stampa” e “Repubblica”. Per un anno, su tutto questo ha vigilato l’oscuro Giuseppi, coi suoi Dpcm da Stato Libero di Bananas.
    Ora si rifà sul serio, che diamine: c’è in ballo l’Alleanza Ursula, caldeggiata da statisti del calibro di Gentiloni e Sassoli, con l’aggiunta del Franceschini Dario. Ursula über alles, la Madonna Pellegrina di Sassonia, nuovo faro della civiltà europea, quella che intanto continua, come niente fosse, a essere retta da una Commissione non elettiva e da una banca centrale privatizzata, cinghie di trasmissione dei poteri fortissimi che parlano attraverso organismi come la Ert, European Roundtable of Industrialists, centomila miglia al di sopra del popolo bue che poi si scanna, nelle ormai inutili elezioni nazionali, appassionandosi alle piccole risse di cortile tra orazi e curiazi. L’ultima, quella italiana, finì ingloriosamente nel 2019, dopo le timide speranze accese l’anno prima dall’ambiguo governo gialloverde, azzoppato sul nascere dall’amputazione di Paolo Savona imposta per tramite di Mattarella. Il paese era già malatissimo, ma ancora non era scoppiata l’ultima guerra: quella affidata a personalità di livello mondiale come Domenico Arcuri, Roberto Speranza, Massimo Galli e gli altri Premi Nobel al servizio della patria.
    Andrà tutto bene, ragliavano gli italioti dai balconi, festeggiando in tricolore l’unica Liberazione disponibile, quella (alla memoria) di 75 anni fa. Poi vennero l’estate, le sacre elezioni regionali e l’altrettanto sacro Taglio dei Parlamentari. A seguire: la corsa ai tamponi, per gonfiare i numeri della Seconda Ondata, trattata esattamente come la Prima (cioè senza un protocollo per curare, a casa, i malati di Covid). Sempre la pochette di Giuseppi ha fatto in tempo a inaugurare anche la farsa della campagna vaccinale italiana, in un paese che – ormai da 365 giorni, ininterrottamente – non parla altro che di contagi, come se il mondo si fosse fermato per sempre a Wuhan. Banchi a rotelle e monopattini, Dad e smart working, distanziamento e mascherine. Non una soluzione – non una, mai – per uscire dalla catastrofe. Paura, minacce, moniti e intimidazioni, scodellate giorno per giorno dall’oscurantismo della nuova religione scientista, spacciata per scientifica. Un’ipnosi potentissima, micidiale, da cui pare che nessuno riesca a riscuotersi.
    La recitazione pandemica ha spazzato via tutto: libertà, diritti, democrazia, ragione, senso critico e voglia di vivere, quest’ultima rimpiazzata con l’ingloriosa rassegnazione a una sopravvivenza coatta e precaria nei sottoscala dell’umanità. Un posto umido e buio, dove non è lecito pensare. Decenni di orrori – le guerre neoliberiste, il terrorismo fatto in casa – cancellati con un colpo di spugna sanitario, quasi metafisico, perfetto per sospendere il diritto e dividere le plebi in modo feroce, da una parte la maggioranza cieca e autoritaria degli impauriti, dall’altra la minoranza demonizzata dei cosiddetti negazionisti. Viviamo in un paese dove il governo ha istituito un Ministero della Verità, per far sparire le notizie scomode alla velocità della luce, così come fanno anche Facebook, Twitter e YouTube. Così, la celebrazione della sacrosanta Giornata della Memoria, nel 2021, rischia di avere lo stesso suono sinistro della fanfara che, ad Auschwitz, intonava le note di “Rosamunda” sulla Piazza dell’Appello, nel silenzio ghiacciato dei prigionieri.
    (Giorgio Cattaneo, “La fanfara di Auschwitz e il nostro ultimo anno di orrori”, dal blog del Movimento Roosevelt del 29 gennaio 2021).

    Ma davvero siamo ancora qui, dopo un anno di litania funebre pandemica, a parlare di politicanti del calibro di Conte e Renzi, Di Maio e Zingaretti? Lassù giganteggia Angela Merkel, di cui Ambrose Evans-Pritchard sul “Telegraph” ha appena tracciato il mirabile bilancio: ha provocato la Brexit e distrutto l’idea stessa di unità europea come luogo desiderabile. Lo spettacolo, intorno? Monsieur Rothschild impone il coprifuoco alla Francia, l’anonimo Psoe spagnolo si finge socialista, la Grecia alla fame si arma fino ai denti contro la Turchia. E la residuale realpolitik italiana incassa con la mano sinistra una decina di miliardi di euro vendendo elicotteri e fregate all’Egitto, mentre con la destra auspica che l’Egitto faccia giustizia sul caso Regeni, massacrato a due passi dalla Libia, già italiana e poi francese, ora russo-turca in attesa di segnali di fumo dagli ologrammi insediati alla Casa Bianca, dopo la splendida e trasparente sconfitta elettorale inflitta al bieco Donald Trump. Poi, laggiù, resta l’Italia. Il paese di Pasolini e Primo Levi, Giorgio Bocca, Indro Montanelli. Tutti morti: rimane Saviano, prendere o lasciare. Saviano e l’altro Papa, Bergoglio, quello che raccomanda il vaccino etico universale, per la gioia di Big Pharma, Bill Gates e gli apolidi demiurghi di Davos.

  • L’avvocato dei morti viventi: l’Italia in mani straniere

    Scritto il 21/1/21 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    Come Vlad l’Inestinto, Giuseppe Conte sopravvive a se stesso a modo suo, fingendo di essere vivo tra le anime morte del Parlamento italiano, cioè i disperati peones del patetico “uno vale uno” e la puntuale ciurma dei voltagabbana di cui è provvida la gloriosa tradizione italica. Sbiadisce il finto outsider Matteo Renzi, campione dello spreco: l’unico autentico talento affabulatorio comparso sulla scena, da anni, subito messosi al servizio della guerra santa dei Marchionne e dei Burioni, dei Tony Blair d’ogni tempo, dei signori di BlackRock a cui regalare il succulento boccone di Poste Italiane, azienda in ottima salute e dunque semi-privatizzata ad personam. Sul trono sembra restare il sempre più precario Re Travicello di Volturara Appula, con la sua rete di servizi segreti e cardinali che lo utilizzò già nel 2018 come testa di legno, infiltrato dormiente del vero potere, allarmato dalle inquietudini elettorali che sembravano agitare il partito-chiesa dei No-Tap, No-Muos, No-Ilva, No-Tutto.

  • Lagarde: Italia, ti salvo io. La Bce sfida il club del rigore Ue

    Scritto il 12/12/20 • nella Categoria: segnalazioni • (Commenti disabilitati)

    Altri 500 miliardi di euro, di cui 80 destinati all’Italia: aumenta così in modo esponenziale la “potenza di fuoco” del programma di acquisto di titoli per l’emergenza pandemica: il “Pepp”, voluto da Christine Lagarde per rilevare titoli di Stato, sale così a 1.850 miliardi. «Non siamo qui per calmare gli spread», esordì la Lagarde la scorsa primavera, alle prime avvisaglie della crisi Covid. «Una mossa volutamente impopolare e sapientemente calcolata, proprio per suscitare unanimi reazioni contrarie e mettere fine all’incubo del rigore», ricorda Gioele Magaldi, che spiega: «Insieme a Mario Draghi, la neo-presidente della Bce ha abbandonato i suoi tradizionali sodali, cioè i circuiti della massoneria neoaristocratica (quella che ha progettato e gestito l’austerity europea) per abbracciare la causa della massoneria progressista». Lo stesso Magaldi, autore del bestseller “Massoni” (Chiarelettere, 2014), è il frontman italiano del circuito massonico sovranazionale di ispirazione democratica, impegnato in una dura battaglia – sotterranea e non – per ripristinare la sovranità popolare, sostanzialmente soppressa negli ultimi anni con il ricorso al dogma neoliberista e all’artificio della “scarsità di moneta”. «In realtà la moneta la si può emettere in modo virtualmente illimitato, e a costo zero: ed è quello che la “sorella” Christine Lagarde sta dimostrando».
    Gli acquisti della Bce dureranno almeno fino a marzo 2022: sei mesi in più, rispetto a quanto programmato finora. «La decisione era attesa dai mercati, che nei giorni scorsi si sono “posizionati” provocando una discesa dei rendimenti dei titolo di Stato in tutta l’area euro», scrive il “Fatto Quotidiano”. «Se aumentano gli acquisti il valore sale, e quindi l’interesse pagato scende». I rendimenti dei Btp italiani «sono ormai in negativo per scadenze fino a 5 anni, prossime allo zero sui 7 anni e positivi dello 0,4% sui decennali, la durata più rappresentativa». Anche stavolta, la banca centrale europea ha lasciato i tassi d’interesse invariati, e quello principale rimane a zero. «Ha inoltre annunciato che verranno condotte altre tre operazioni Tltro». In sostanza: «Soldi erogati alle banche, con un pagamento di interessi a favore di chi li prende in prestito» (con l’impegno, almeno in teoria, di usarli per erogare crediti all’economia reale). Con il programma di acquisti di debito per l’emergenza pandemica, Christine Lagarde ha annunciato che la Bce acquisterà «con flessibilità, indirizzando le operazioni in maniera finalizzata su classi di titoli, sulla tempistica e sui paesi emittenti». Invariata la motivazione: puntellare l’economia, in un’Europa messa in ginocchio dalle restrizioni varate con il Covid.
    In sostanza, la Bce sta dimostrando la possibilità concreta di emettere denaro dal nulla, a interesse zero: quello stesso denaro (negato, allora) al quale fu “impiccata” la Grecia, ma anche l’Italia all’epoca in cui – proprio col pretesto pilotato dello spread – fu abbattuto Berlusconi per insediare l’uomo dei poteri oligarchici europei, il massone reazionario Mario Monti. Quegli stessi poteri, premendo su Mattarella, tuonarono nel 2018 per bocca del tedesco Günther Oettinger, secondo cui sarebbero stati “i mercati” a insegnare agli italiani come votare. Proprio l’evocazione dei “mercati” spinse il Quirinale a bocciare Paolo Savona come ministro dell’economia: sarebbe stato il “cervello” del neonato governo gialloverde, in una possibile partita con Bruxelles per ridisegnare quote di sovranità partendo esattamente dal ricorso al deficit per rianimare l’economia. Quello che sta accadendo oggi grazie alla Bce sarebbe stato impossibile ieri. Il grande alibi è ovviamente il collasso del Pil, causato dalla gestione pandemica improntata al massimo rigore (con poche eccezioni virtuose, come la Svezia). Il primo a segnalare la necessità di uno storico cambio di passo era stato lo stesso Mario Draghi: sul “Financial Times”, a marzo, aveva enunciato la necessità di tornare a una politica economica keynesiana, fondata sul massiccio sostegno pubblico.
    Dobbiamo agire «come in tempo di guerra», ha ribadito Draghi, smentendo la sua stessa storia di arcigno guardiano dell’austerity. Lo stesso dicasi per Christine Lagarde: inflessibile dama del rigore quand’era a capo del Fmi, e ora pronta a trasformare la Bce in una specie di bancomat, mentre l’inguardabile Unione Europea – al termine dell’orribile anno che va chiudendosi, in modo disastroso – ancora non ha deciso come e quando distribuire le sue elemosine apparenti, nascoste tra le pieghe del Recovery Fund e insidiosamente presenti tra le pieghe del Mes. Un ente anomalo, quest’ultimo, i cui gestori – cominciando dal presidente, il tedesco Klaus Regling – sono protetti anche dall’immunità giudiziaria. E hanno il potere di agire come monarchi indiscutibili, fino a imporre la “ristrutturazione” del debito pubblico a paesi come l’Italia, il cui deficit nel 2020 sta battendo ogni record: un “piano di rientro” che sarebbe sanguinoso, un vero e proprio massacro sociale. Esattamente quello che Draghi raccomandava di evitare, proponendo l’erogazione di centinaia di miliardi a fondo perduto, non destinati a trasformarsi in debito. Libertà o schiavitù: questo è il bivio che l’umanità sembra avere di fronte, oggi più che mai, in un pianeta letteralmente devastato, prima ancora che dal virus “cinese”, dalle drastiche politiche adottate con l’intenzione dichiarata di arginarlo.
    Suona tutto stonato, se non falso: «E prima o poi dovranno essere tribunali speciali – dice Magaldi – a processare chi ha imposto “leggi di guerra” in tempo di pace». Uno schema inquietante: prima la diffusione del coronavirus e l’assenza di risposte tempestive grazie all’ambiguità dell’Oms, poi la catastrofe sanitaria aggravata dal “terrorismo” mediatico che ha diffuso il panico, come se il Covid fosse l’Ebola. Nessuna trasparenza: né sui dati reali (letalità bassa, attorno allo 0,3%), né sulle terapie nel frattempo collaudate. Unico orizzonte proposto: quello del vaccino, ancora inaffidabile secondo molti scienziati. Vaccino da imporre, con le buone o con le cattive, pena l’esclusione dalla vita sociale. E tutto questo, mentre il maggior oppositore mondiale alla politica del Covid – Donald Trump – veniva travolto dai brogli che hanno gravemente inquinato le presidenziali americane: il vantaggio apparente di Joe Biden sembra far felice la Cina, la cui egemonia proprio Trump aveva provato a fermare (prima di essere fermato lui stesso, dall’epidemia: senza il Covid e il crollo economico indotto anche negli Usa dall’emergenza sanitaria, la rielezione di Trump era data universalmente per scontata).
    La situazione è incerta, caotica e scivolosa. In Italia, si fa sempre più precaria l’autocrazia emergenziale di Conte, cara ai poteri forti europei. E se il paese evita di collassare, intanto, lo deve essenzialmente alla “sorella” Lagarde, per dirla con Magaldi: cioè alla rete massonica progressista a cui fa capo, oggi, la presidente della Bce. Il problema semmai è un altro: la remissività degli italiani. «Credono ancora che il vero problema sia il coronavirus, e che per vederlo dissolversi basti aspettare ancora un po’, continuando a sottomettersi ai diktat del governo: non hanno capito che quello è solo il pretesto per attuare un piano di dominio, su scala mondiale». Magaldi è severo, con i connazionali: «Chi è fobico, al punto che vorrebbe chiudersi in casa per sempre, non si rende conto del danno che fa agli altri: il suo conformismo impaurito incoraggia i gestori della crisi a essere ancora più duri, con chi invece vorrebbe riprendere a vivere». E’ come se avessimo oltrepassato, giorno per giorno, la soglia di una sottile follia collettiva: «E’ pazzesco che milioni di persone accettino l’idea di questa nuova aberrante normalità: senza capire che non era mai successo, nella storia umana, che il mondo si fermasse per un virus influenzale. E’ questa, la prassi? D’ora in poi ci chiuderemo in casa al primo virus che passa di qui? Dico, siamo impazziti?».
    Forse sì, siamo impazziti: è il capolavoro della paura. «Barattare la perdita certa della libertà per la sicurezza sanitaria, che oltretutto è solo ipotetica, è davvero l’inizio della fine: per questa strada si smette di essere cittadini e si ridiventa sudditi, come quando la democrazia non esisteva ancora. Ed è esattamente lì che vogliono portarci, gli “apprendisti stregoni” del Covid, che usano il sistema-Cina per eliminare i diritti dall’Occidente. E ci stanno riuscendo, putroppo, grazie alla pavidità di chi trema di fronte a tutto, davanti al contagio di un’influenza (trattata come se fosse la peste bubbonica) e davanti al rischio di una semplice multa, tra l’altro impugnabile, dato il carattere non pienamente legittimo dei Dpcm». Magaldi fotografa con spietata lucidità la situazione italiana, simile a quella di altri paesi ma aggravata dall’inconsistenza della classe politica nazionale, telecomandata dai super-poteri che hanno gradualmente privatizzato il mondo e che ora vorrebbero far retrocedere l’umanità, in blocco, trattandola alla stregua di un gregge da spaventare, disinformare, impoverire e vaccinare. Il Grande Reset, lo chiamano: fine della libertà economica. Obiettivo: la sottomissione di plebi intimorite, da tenere in vita con un mini-reddito “universale” che metta i percettori in ginocchio, di fronte alla “divinità” zootecnica che eroga la dose quotidiana di mangime.
    Il pericolo è drammaticamente reale: è in corso una sfida planetaria, per il destino dell’umanità. I poteri oligarchici giocano sempre la carta della paura: prima il terrorismo, poi la crisi finanziaria indotta, ora un virus trasformato in un incubo. Faglie di resistenza si delineano in controluce: chi denuncia l’Oms come organismo “orwelliano”, chi segnala gli abusi dello strapotere cinese e la sua infiltrazione onnipervasiva, chi accusa Big Pharma di manipolare il business dei vaccini in modo anche spericolato, sdoganando molecole “clandestine” destinate potenzialmente a incidere sullo stesso Dna, per la prima volta nella storia. Sarà proprio la durezza delle imposizioni – immagina Magaldi – a provocare una rivolta civile: a patto però che riaffiori, nelle persone, il coraggio elementare della dignità. Si prevedono anni tempestosi, attraverso i quali sarà fatalmente riscritta anche la grammatica della politica. Di fronte alla scelta fondamentale – libertà o asservimento, democrazia o dittatura – crolleranno miti ed etichette museali, come “destra” e “sinistra”. Crollerà anche il dogma secolare più falso e rovinoso, quello della scarsità di moneta: sta cominciando a sbriciolarlo, in modo spettacolare, la stessa Christine Lagarde.

    Altri 500 miliardi di euro, di cui 80 destinati all’Italia: aumenta così in modo esponenziale la “potenza di fuoco” del programma di acquisto di titoli per l’emergenza pandemica: il “Pepp”, voluto da Christine Lagarde per rilevare titoli di Stato, sale così a 1.850 miliardi. «Non siamo qui per calmare gli spread», esordì la Lagarde la scorsa primavera, alle prime avvisaglie della crisi Covid. «Una mossa volutamente impopolare e sapientemente calcolata, proprio per suscitare unanimi reazioni contrarie e mettere fine all’incubo del rigore», ricorda Gioele Magaldi, che spiega: «Insieme a Mario Draghi, la neo-presidente della Bce ha abbandonato i suoi tradizionali sodali, cioè i circuiti della massoneria neoaristocratica (quella che ha progettato e gestito l’austerity europea) per abbracciare la causa della massoneria progressista». Lo stesso Magaldi, autore del bestseller “Massoni” (Chiarelettere, 2014), è il frontman italiano del circuito massonico sovranazionale di ispirazione democratica, impegnato in una dura battaglia – sotterranea e non – per ripristinare la sovranità popolare, sostanzialmente soppressa negli ultimi anni con il ricorso al dogma neoliberista e all’artificio della “scarsità di moneta”. «In realtà la moneta la si può emettere in modo virtualmente illimitato, e a costo zero: ed è quello che la “sorella” Christine Lagarde sta dimostrando».

  • Page 1 of 50
  • 1
  • 2
  • 3
  • 4
  • 5
  • 6
  • 7
  • 8
  • 9
  • 10
  • ...
  • 50
  • >

Libri

UNA VALLE IN FONDO AL VENTO

Pagine

  • Libreidee, redazione
  • Pubblicità su Libreidee.org

Archivi

Link

  • Border Nights
  • ByoBlu
  • Casa del Sole Tv
  • ControTv
  • Edizioni Aurora Boreale
  • Forme d'Onda
  • Luogocomune
  • Mazzoni News
  • Visione Tv

Tag Cloud

politica Europa finanza crisi potere storia democrazia Unione Europea media disinformazione Ue Germania Francia élite diritti elezioni mainstream banche rigore sovranità libertà lavoro tagli euro welfare Italia sistema Pd Gran Bretagna oligarchia debito pubblico Bce terrorismo tasse giustizia paura Russia neoliberismo industria Occidente pericolo Cina umanità globalizzazione disoccupazione sinistra movimento 5 stelle futuro verità diktat sicurezza cultura Stato popolo Costituzione televisione Bruxelles sanità austerity mondo