Archivio del Tag ‘seconda guerra mondiale’
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Iran, la crisi ha un vincitore: la Germania, lontana dagli Usa
La crisi iraniana ha una conseguenza inattesa, almeno da quanti l’hanno creata. Ed è la nuova distanza che si sta palesando tra Germania e Stati Uniti. Non un accadimento improvviso, ma un processo iniziato da tempo, che fa più larghe le sponde dell’Atlantico. Ma prima occorre tornare all’omicidio di Qassem Soleimani, avvenuto in terra irachena, e precisamente all’aeroporto di Baghdad, che ha reso furibondi gli sciiti del paese. Non solo per l’uccisione del generale iraniano da loro venerato, ma anche per quella del vice comandante delle Forze di mobilitazione popolare, Abu Mahdi al-Muhandis. Un atto di guerra contro l’Iraq che si associa a quello perpetrato contro l’Iran per l’assassinio di Soleimani, perché le milizie sciite sono coordinate con l’esercito regolare iracheno, riconosciute quindi a livello statale, dato il loro contributo alla lotta contro l’Isis. Non solo, la strage è stata compiuta sul loro territorio, contro tutte le norme del diritto internazionale. Una duplice azione di guerra, dunque, che ha spinto il Parlamento iracheno a votare per l’espulsione delle forze americane dal paese, delibera diventata esecutiva con la nota del premier Adil Abd al-Mahdi, che ha invitato il Pentagono a definire un percorso per il loro ritiro.Sorprendente, e contro tutte le norme del diritto internazionale, la risposta degli Stati Uniti, che per bocca di Mike Pompeo hanno incredibilmente riaffermato la “partnership” strategica con l’Iraq. Altra dichiarazione di guerra, che rischia di provocarne una vera, peraltro nel paese che gli Usa hanno invaso nel 2003 con false motivazioni (vedi armi di distruzione di massa). Ecco che a questo punto si segnala la decisione della Germania, che per prima ha ritirato le sue truppe dall’Iraq, dando il “la” al ritiro-dispiegamento dei militari inviati dagli altri paesi europei. Decisione secca e irreversibile, a sorpresa. Alla quale segue l’annuncio che la Germania costruirà nuove navi da guerra per 6 miliardi di euro (”Reuters”), cosa che prospetta un paese più assertivo sulla scena internazionale. Nello stesso giorno, la notizia della creazione di un “networking d’élite” per “rafforzare i legami tra Germania e Cina” (”Reuters”), che suona come una ribellione aperta all’approccio aggressivo di Washington nei confronti di Pechino. Tutto questo segnala un distacco dagli Usa, che sta allontanando la Germania dalla tutela americana, che grava su di essa dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.Non è cosa di adesso, ma adesso è palese. Un distacco che nasce con Trump e il suo approccio aggressivo al mondo e alla globalizzazione. Il presidente Usa ha più volte ipotizzato e imposto sanzioni contro le industrie tedesche, in particolare quelle automobilistiche (identificate come una “minaccia alla sicurezza nazionale”), e la sua amministrazione ha minacciato sfracelli contro il Nord Stream 2, che porterà il gas russo direttamente in Germania. Una pressione insistente che però non ha spaventato i tedeschi, che nel recente incontro Merkel-Putin hanno ribadito la loro determinazione a portare a termine il contestato gasdotto. Peraltro, in questo incontro, si è delineato il summit di Berlino, che il 19 ospiterà un incontro sulla Libia, alla quale sembrano disposti a partecipare sia Serraj che Haftar, che si contendono il governo del paese, cosa che sottende un interesse anche mediterraneo della Germania. Il fatto che l’annuncio ufficiale di tale vertice sia stato dato subito dopo quello analogo di Mosca (fallito a metà: comunque Putin è riuscito a convocare i due irriducibili duellanti), indica che la collaborazione con la Russia va ben oltre il Nord Stream 2.Berlino va avanti, dunque, nonostante il contrasto americano. E forse la criticità iraniana, che ha rischiato la Terza Guerra Mondiale, spaventando tanti, ha contribuito ad accelerare tale processo. Nel mondo non più globalizzato – la globalizzazione sopravviverà, ma in altra forma – la Germania si sta attrezzando alla corsa in solitaria. Allentati, anche se non rotti, i vincoli che la costringevano nella ristretta sfera occidentale, si sta predisponendo a competere con gli altri Stati-nazione, America compresa, dispiegando una libertà d’azione nuova. Resta da capire come ciò inciderà sull’Unione Europea, ma è prematuro fare analisi prima dell’ormai prossima Brexit, che peraltro potrebbe rilanciare il vecchio e innato antagonismo tra l’insulare Britannia e il continente a trazione teutonica. In attesa degli sviluppi europei, va registrata come novità questa nuova proiezione tedesca, che da gigante economico e nano politico vuole acquisire un peso geopolitico mai rincorso finora. Nuovo e importante tassello verso la de-globalizzazione del mondo.(Davide Malacaria, “La crisi iraniana accelera la corsa in solitaria della Germania”, dall’inserto “Piccole Note” sul “Giornale” del 13 gennaio 2020).La crisi iraniana ha una conseguenza inattesa, almeno da quanti l’hanno creata. Ed è la nuova distanza che si sta palesando tra Germania e Stati Uniti. Non un accadimento improvviso, ma un processo iniziato da tempo, che fa più larghe le sponde dell’Atlantico. Ma prima occorre tornare all’omicidio di Qassem Soleimani, avvenuto in terra irachena, e precisamente all’aeroporto di Baghdad, che ha reso furibondi gli sciiti del paese. Non solo per l’uccisione del generale iraniano da loro venerato, ma anche per quella del vice comandante delle Forze di mobilitazione popolare, Abu Mahdi al-Muhandis. Un atto di guerra contro l’Iraq che si associa a quello perpetrato contro l’Iran per l’assassinio di Soleimani, perché le milizie sciite sono coordinate con l’esercito regolare iracheno, riconosciute quindi a livello statale, dato il loro contributo alla lotta contro l’Isis. Non solo, la strage è stata compiuta sul loro territorio, contro tutte le norme del diritto internazionale. Una duplice azione di guerra, dunque, che ha spinto il Parlamento iracheno a votare per l’espulsione delle forze americane dal paese, delibera diventata esecutiva con la nota del premier Adil Abd al-Mahdi, che ha invitato il Pentagono a definire un percorso per il loro ritiro.
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La Lega non ha idee, chiede le elezioni ma spera resti Conte
Conte regnerà tranquillo e indisturbato, perché l’opposizione non c’è. Lega e Fratelli d’Italia? Sembrano scalpitare, ma sperano che non si voti: una volta al governo, non saprebbero cosa fare. Lo afferma Calogero Mannino, ex ministro Dc. La tesi: questo sperare nell’eterno rinnvio dimostra che non c’è un progetto politico per l’Italia. Da nessuna parte: né da Salvini, né dalla sedicente sinistra. «Lo spettro che si agita – avverte Mannino, intervistato da Federico Ferraù per il “Sussidiario” – non è quello della conquista dell’Italia da parte della Lega, quanto piuttosto da parte di questo rassemblement di sinistra che da Leu, passando per il Pd, arriverà ai 5 Stelle e alle Sardine». Attenti: sarà lo stesso schieramento che eleggerà il nuovo capo dello Stato, per di più con la benedizione di Trump, nuovo involontario garante dello status quo. Il Conte-bis nel frattempo non cade, sostiene Mannino, per via della crisi politica generale: in Parlamento «non c’è un’opposizione che metta la pseudo-maggioranza di governo di fronte alle proprie responsabilità». E la Lega, dunque? «Soffre della disabilitazione operata dal sistema mediatico e dalla convergenza para-politica “al lupo al lupo”. Ma è piuttosto una tigre di carta: ha timore di risultare eccessivamente aggressiva, e al tempo stesso ha una debolezza organica, un deficit di consistenza politica. Non è un partito, sta ancora sull’onda lunga della protesta leghista del ‘92».Se non è un partito, l’ex Carroccio che cos’è? «Uno spazio aperto – secondo Mannino – dove si è imposta la leadership di Salvini in ragione della sua esuberanza». Ma ecco il suo limite: «Salvini non ha né una strategia, né un progetto politico preciso». Quanto a Giorgia Meloni, la leader di Fratelli d’Italia – annota Ferraù – oggi viene accreditata di simpatie atlantiche, indispensabili per andare al governo. «La coerenza con la quale pratica il verbo sovran-nazionalista la rende gradita al giro di Trump», conferma Mannino. Il vero problema è questo: molti osservatori – scrive Ferraù – cominciano a supporre che Salvini e Meloni non facciano vera opposizione perché, se domani andassero al governo, non saprebbero cosa fare. L’ex ministro democristiano conferma: devono “minacciare” di voler andare al governo, ma si augurano che la scadenza elettorale sia la più lontana possibile. La verità è che «temono di vincere», e così «offrono a questa maggioranza l’alibi-pretesto per rimanere in sella, peraltro ben utilizzato dal trasformismo di Conte». L’unico serio problema per la tenuta della maggioranza sembra dunque venire dalla possibile dissoluzione dei 5 Stelle? «Sembra, ma è un’eventualità lontana dai fatti», dice Mannino: «Ogni giorno si accentua la polemica, ma al momento decisivo Di Maio si guarda bene dal rompere, perché non ha alternativa al restare al governo».Oggi, sempre secondo Mannino, nella sostanza i 5 Stelle seguono la linea Grillo-Fico. Obiettivo? Controllare i grillini, una volta che saranno diventati «una corrente nel Pd». Niente male, come orizzonte: «Lo spettro che si agita – aggiunge Mannino – non è quello della conquista dell’Italia da parte della Lega, quanto piuttosto da parte di questo rassemblement di sinistra che da Leu, passando per il Pd, arriverà ai 5 Stelle e alle Sardine. Un rassemblement radicale di massa, con dentro la componente chic». A legittimare questo scenario, secondo Mannino è il ruolo del Pd: «Ha rinunciato anch’esso a essere un partito politico di garanzia democratica per porsi sul terreno movimentistico della resistenza alla Lega». In questa veste, il partito di Zingaretti «ha aperto in tutte le direzioni», in questo non si è accorto di una costante fondamentale: inseguendo i movimenti, i partiti spariscono. «Ogni superamento della forma-partito postula una cangiante versione del populismo», sostiene Mannino: «Anche Berlusconi fu un movimento populista: così si oppose all’armata partitica di brancaleoniana memoria assoldata nel 1994 da Achille Occhetto». Ci risiamo? «Assistiamo a qualcosa di simile nei maggiori paesi», dice Mannino. «I partiti pretendono di intercettare i movimenti, ma in questa operazione diventano instabili, mobili qual piuma al vento. Vale per Trump, per Spd e Cdu in Germania, per il Ps francese messo in crisi da Macron».Domanda Ferraù: sarà dunque questa legislatura a votare nel 2022 il nuovo capo dello Stato? «Al momento attuale – risponde l’ex ministro – questa legislatura è intatta e intangibile, quindi pronta per quella scadenza». E cosa pensare dello strano intreccio tra nuova ipotesi di proporzionale, referendum Calderoli per il maggioritario e referendum contro il taglio dei parlamentari? «Alla fine – afferma Mannino – nessuno vuole il proporzionale, tranne i più piccoli. Ma questi vorrebbero anche essere garantiti, e non potendo esserlo con il proporzionale, un sistema in parte maggioritario e in parte proporzionale come l’attuale rende loro possibile un’alleanza (a sinistra con il Pd, e a destra con la Lega)». La Consulta dirà se il referendum Calderoli è ammissibile. Intanto, Salvini e Meloni hanno detto sì al Mattarellum. Perché? «Siamo alle mosse tattiche: o facciamo la legge nuova insieme o insieme lasciamo l’attuale». Secondo Mannino, questo «significa che la filosofia dominante, nell’attuale confusione temporale e spaziale, è “hic manebimus optime”. Tutti ragionano così: mi tengo quello che ho e sto bene dove sono».Mannino non crede che in Italia possa irrompere un fattore imprevisto che possa mettere in discussione questo status quo, che «dipende dal superamento della linea strategica rooseveltiana che l’America ha costruito dopo la Seconda Guerra Mondiale». E’ un fatto: «Oggi l’impero è in crisi e le province sono nel caos». Ovvero: «Gli Stati Uniti hanno organizzato l’impero per comparti. Uno è l’Europa: Italia, Francia e Germania facciano pure la Ceca, l’Euratom e tutto il resto, cioè l’Europa unita. Io – gli Usa – però ne dispongo, perché la Nato tiene l’Europa». Ed ecco l’effetto-Donald: «Il sovranismo confusionario di Trump, inserito come elemento di contraddizione nell’attuale sgretolamento dell’assetto politico mondiale, ha un risultato sorprendente: non è avversario dello status quo, ne diviene causa e condizione». Allora sarà Washington, ancora una volta, a dirci chi eleggere al Quirinale? «Assisteremo a un aggiustamento all’interno della maggioranza Pd-M5S», scommette Mattino. Tradotto: Conte al Colle e Zingaretti al governo? «Non riesco a seguire questo giochino di figurine», chiosa Mannino. «Vince chi soffia più forte».Conte regnerà tranquillo e indisturbato, perché l’opposizione non c’è. Lega e Fratelli d’Italia? Sembrano scalpitare, ma sperano che non si voti: una volta al governo, non saprebbero cosa fare. Lo afferma Calogero Mannino, ex ministro Dc. La tesi: questo sperare nell’eterno rinnvio dimostra che non c’è un progetto politico per l’Italia. Da nessuna parte: né da Salvini, né dalla sedicente sinistra. «Lo spettro che si agita – avverte Mannino, intervistato da Federico Ferraù per il “Sussidiario” – non è quello della conquista dell’Italia da parte della Lega, quanto piuttosto da parte di questo rassemblement di sinistra che da Leu, passando per il Pd, arriverà ai 5 Stelle e alle Sardine». Attenti: sarà lo stesso schieramento che eleggerà il nuovo capo dello Stato, per di più con la benedizione di Trump, nuovo involontario garante dello status quo. Il Conte-bis nel frattempo non cade, sostiene Mannino, per via della crisi politica generale: in Parlamento «non c’è un’opposizione che metta la pseudo-maggioranza di governo di fronte alle proprie responsabilità». E la Lega, dunque? «Soffre della disabilitazione operata dal sistema mediatico e dalla convergenza para-politica “al lupo al lupo”. Ma è piuttosto una tigre di carta: ha timore di risultare eccessivamente aggressiva, e al tempo stesso ha una debolezza organica, un deficit di consistenza politica. Non è un partito, sta ancora sull’onda lunga della protesta leghista del ‘92».
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Edwards, Onu: il wireless 5G è una guerra contro l’umanità
I primi otto mesi della Seconda Guerra Mondiale senza combattimenti si chiamavano “The Phoney War”. L’uso delle onde millimetriche come tecnologia di comunicazione wireless di quinta generazione o 5G è un altro tipo di guerra dissimulata. Anche questa guerra-fantasma è silenziosa, ma questa volta vengono sparati colpi – sotto forma di raggi laser simili a radiazioni elettromagnetiche (Emr) da migliaia di minuscole antenne – e quasi nessuno nella linea di tiro sa che vengono feriti silenziosamente, gravemente e irreparabilmente. Nel primo caso, il 5G rischia di rendere le persone elettro-ipersensibili (Ehs). Forse, a rendermi Ehs è stato il fatto di stare seduto davanti a due grandi schermi di computer per molti dei 18 anni in cui ho lavorato all’Onu. Quando l’ufficio delle Nazioni Unite a Vienna ha installato potenti punti di accesso wi-fi e cellulare – progettati per servire grandi aree pubbliche – in corridoi stretti con pareti metalliche in tutto il Centro internazionale di Vienna, a dicembre 2015, mi sono ammalato continuamente per sette mesi. Ho fatto del mio meglio, per due anni e mezzo, per avvisare il personale delle Nazioni Unite, l’amministrazione e il servizio medico del pericolo per la salute del personale delle Nazioni Unite dell’Emr da questi punti di accesso, ma sono stato ignorato.Ecco perché, a maggio 2018, ho portato la questione al segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres. È un fisico e un ingegnere elettrico, e all’inizio della sua carriera aveva tenuto conferenze sui segnali delle telecomunicazioni, ma ora ha affermato di non sapere nulla al riguardo. Si è impegnato a chiedere all’Organizzazione Mondiale della Sanità di esaminare il caso, ma sette mesi dopo quei punti di accesso pubblico rimangono al loro posto. Non ho ricevuto risposte alle mie numerose e-mail. Di conseguenza, ho accolto con favore l’opportunità di unire gli sforzi per pubblicare un appello internazionale per fermare il 5G sulla Terra e nello spazio perché mi era chiaro che, nonostante ci fossero stati 43 precedenti appelli scientifici, pochissime persone hanno capito i pericoli dell’Emr. La mia esperienza di redattore potrebbe aiutarmi a garantire che un nuovo appello sul 5G, incluso il problema di trasmettere il 5G dallo spazio, fosse chiaro, completo, esplicativo e accessibile al non-scienziato. L’appello internazionale per fermare il 5G sulla Terra e nello spazio è pienamente referenziato, citando oltre un centinaio di articoli scientifici tra le decine di migliaia sugli effetti biologici dell’Emr pubblicati negli ultimi 80 anni.Dopo aver trascorso anni a elaborare documenti delle Nazioni Unite che trattano di spazio, so che lo spazio è contestato in maniera geopolitica e che qualsiasi evento spiacevole che coinvolga un satellite militare rischia di innescare una risposta catastrofica. La legge spaziale è così inadeguata – solo un esempio è la complessità della legge sulla responsabilità spaziale – che potremmo davvero chiamare l’orbita terrestre un nuovo selvaggio West. La Cina ha causato costernazione internazionale nel 2007 quando ha testato un’arma anti-satellite, distruggendo il proprio satellite. I detriti nello spazio sono la principale preoccupazione tra le nazioni “spaziali”, con una cosiddetta Sindrome di Kessler che presenta una cascata di detriti spaziali che potrebbe rendere inutilizzabili le orbite terrestri per mille anni. Il lancio di oltre 20.000 satelliti commerciali 5G in tali circostanze ti sembrano razionali? Vivo a Vienna, in Austria, dove l’implementazione del 5G è improvvisamente alle porte. Nelle ultime cinque settimane, il pre-5G è stato annunciato ufficialmente all’aeroporto di Vienna e il 5G nella Rathausplatz, la piazza principale di Vienna, che attira decine di migliaia di visitatori al suo mercatino di Natale ogni dicembre e una pista di pattinaggio ogni gennaio, due mete speciali per i bambini.Insieme agli uccelli e agli insetti, i bambini sono i più vulnerabili alla deprivazione che il 5G causa sui loro piccoli corpi. Amici e conoscenti e i loro bambini a Vienna stanno già segnalando i classici sintomi di avvelenamento da Emr: sangue dal naso, mal di testa, dolori agli occhi, dolori al petto, nausea, affaticamento, vomito, acufene, vertigini, sintomi simil-influenzali e dolore cardiaco. Riferiscono anche di una “fascia” stretta intorno alla testa; pressione sulla parte superiore della testa; brevi dolori lancinanti intorno al corpo e ronzio degli organi interni. Altri effetti biologici, come tumori e demenza, di solito richiedono più tempo per manifestarsi, ma nel caso del 5G, che non è mai stato testato per la salute o la sicurezza, chi lo sa? In una notte, in Austria è spuntata una foresta di infrastrutture 5G. Nel giro di tre settimane un’amica è passata dalla salute robusta alla fuga da questo paese, dove vive da 30 anni. Ogni persona sperimenta l’Emr in modo diverso. Per lei è stata un’estrema tortura, quindi lei e io abbiamo trascorso le sue ultime due notti in Austria dormendo nei boschi.È interessante notare che, mentre guidava attraverso la Germania meridionale, ha sofferto torture anche peggiori che in Austria, mentre nella Germania settentrionale non aveva affatto sintomi e si sentiva completamente normale: il che suggerisce che non vi è stato ancora nessun lancio del 5G. Non ci sono limiti legali all’esposizione all’Emr. Convenientemente per l’industria delle telecomunicazioni, ci sono solo linee guida non legalmente applicabili come quelle prodotte dalla grandiosa Commissione internazionale per la protezione dalle radiazioni non ionizzanti, che risulta essere come il Mago di Oz: solo una piccola Ong in Germania che nomina i propri membri, nessuno dei quali è medico o esperto ambientale. Come il Mago di Oz, l’Icnirp sembra avere poteri magici. La sua prestidigitazione fa scomparire nel nulla gli effetti non termici (non riscaldanti) dell’esposizione all’Emr, poiché tenere conto delle decine di migliaia di studi di ricerca che dimostrano gli effetti biologici dell’Emr invaliderebbe le sue cosiddette linee guida sulla sicurezza. Ha incantato l’Unione internazionale delle telecomunicazioni, parte della famiglia delle Nazioni Unite, nel riconoscere queste linee guida.E una piccola e-mail inviata all’Icnirp nell’ottobre 2018 per presentare il professor Martin Palli commenti sui nuovi progetti di linee guida dell’Icnirp hanno evocato un’immediata esplosione di interesse per la presenza online del mittente – che fino a quel momento non ne aveva attratto – da parte di aziende e individui in tutto il mondo, autorità di immigrazione di un paese, l’ufficio del cancelliere austriaco (capo del governo), uno studio legale a Vienna e persino l’Interpol! Spero che le persone leggano e condividano il nostro Appello sullo Spazio 5G per svegliarsi rapidamente e gli altri e usarlo per agire da soli per fermare il 5G. Persino otto brevi mesi di questa Phoney War del 5G potrebbero provocare una catastrofe per tutta la vita sulla Terra. Elon Musk ha lanciato i primi 4.425 satelliti 5G a giugno 2019 e “coprirà” la Terra con il 5G, in violazione di innumerevoli trattati internazionali. Ciò potrebbe dare inizio all’ultima grande estinzione, per gentile concessione del multi-trilionario 5G Usa, il più grande esperimento biologico e la più atroce manifestazione di arroganza e avidità nella storia umana. La prima reazione delle persone all’idea che il 5G possa essere una minaccia esistenziale per tutta la vita sulla Terra è di solito incredulità o dissonanza cognitiva. Una volta esaminati i fatti, tuttavia, la loro seconda reazione è spesso il terrore.Dobbiamo trascendere questo per vedere il 5G come un’opportunità per potenziarci, assumerci la responsabilità e agire. Potremmo aver già perso l’80% dei nostri insetti a causa dell’Emr negli ultimi 20 anni. I nostri alberi rischiano di essere ridotti a milioni per garantire la segnalazione continua del 5G per auto, autobus e treni a guida autonoma. Staremo a guardare noi stessi e i nostri bambini irradiati, i nostri sistemi alimentari decimati, i nostri ambienti naturali distrutti? I nostri giornali stanno ora diffondendo casualmente il meme che l’estinzione umana sarebbe una buona cosa; quando però la domanda non diventa retorica ma reale, quando è la tua vita, tuo figlio, la tua comunità, il tuo ambiente che è sotto minaccia immediata, puoi davvero iscriverti a un simile suggerimento? In caso contrario, firmare l’appello Stop 5G e mettersi in contatto con chiunque si possa pensare a chi ha il potere di fermare il 5G, in particolare Elon Musk e i Ceo di tutte le altre società che intendono lanciare satelliti 5G, a partire da adesso. La vita sulla Terra ha bisogno del tuo aiuto, ora.(Claire Edwards, “La tecnologia wireless 5G è una guerra contro l’umanità”, da “Global Reserach” del 9 giugno 2019. Funzionario dell’Onu, Edwards è tra i promotori dell’appello internazionale contro la diffusione del 5G sulla Terra e nello spazio orbitale).I primi otto mesi della Seconda Guerra Mondiale senza combattimenti si chiamavano “The Phoney War”. L’uso delle onde millimetriche come tecnologia di comunicazione wireless di quinta generazione o 5G è un altro tipo di guerra dissimulata. Anche questa guerra-fantasma è silenziosa, ma questa volta vengono sparati colpi – sotto forma di raggi laser simili a radiazioni elettromagnetiche (Emr) da migliaia di minuscole antenne – e quasi nessuno nella linea di tiro sa che vengono feriti silenziosamente, gravemente e irreparabilmente. Nel primo caso, il 5G rischia di rendere le persone elettro-ipersensibili (Ehs). Forse, a rendermi Ehs è stato il fatto di stare seduta davanti a due grandi schermi di computer per molti dei 18 anni in cui ho lavorato all’Onu. Quando l’ufficio delle Nazioni Unite a Vienna ha installato potenti punti di accesso wi-fi e cellulare – progettati per servire grandi aree pubbliche – in corridoi stretti con pareti metalliche in tutto il Centro internazionale di Vienna, a dicembre 2015, mi sono ammalata continuamente per sette mesi. Ho fatto del mio meglio, per due anni e mezzo, per avvisare il personale delle Nazioni Unite, l’amministrazione e il servizio medico del pericolo per la salute del personale delle Nazioni Unite dell’Emr da questi punti di accesso, ma sono stata ignorata.
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Vietato stupirsi se gli Usa, popolo eletto, calpestano i diritti
Gli Usa, giovani come sono, quasi mai sono stati in pace e hanno una lunga storia di soprusi, di omicidi e di violazioni dei diritti dell’uomo nonché del diritto internazionale, il quale ultimo si dimostra, ancor più del diritto nazionale, pieghevole nella sua interpretazione ed effettività a seconda dei rapporti di forze in lizza. Nei libri di storia per le scuole non lo si racconta, ma durante la IIª Guerra Mondiale, gli Usa hanno violato le convenzioni internazionali in modo non sporadico, ma metodico. Bombardavano frequentemente quartieri residenziali e persino scuole (Gorla) e giostre (Grosseto). Eseguivano anche mitragliamenti di civili a volo radente. Me lo hanno confermato testimoni oculari e vittime. Ricordiamo i 300.000 civili circa bruciati vivi con un bombardamento al fosforo su Dresda, bersaglio strategicamente inutile; i circa due milioni di prigionieri tedeschi, dopo la fine della guerra, nei campi di concentramento, prigionieri che gli Usa ridefinirono giuridicamente Disarmed Enemy Forces onde esimersi dalla Convenzione di Ginevra del 1929 a tutela dei prigionieri di guerra e darsi così il diritto di ridurre le loro razioni sotto le soglie di sopravvivenza, negando loro anche i ripari contro le intemperie.
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Come fermare l’estinzione degli italiani: impariamo da Putin
La situazione della natalità in Italia sta peggiorando anno dopo anno. E’ un paese che sta sparendo, in pratica. Gufismo, pessimismo? No, dati Istat, forniti da gente che fa statistica per mestiere. «La popolazione residente in Italia al 31 dicembre 2018 è inferiore di oltre 124 mila unità rispetto all’anno precedente pari al -0,2%. Si tratta del quarto anno consecutivo di diminuzione: dal 2015 sono oltre 400 mila i residenti in meno, un ammontare superiore agli abitanti del settimo Comune più popoloso d’Italia. Al primo gennaio 2019 risiedono in Italia 60.359.546 persone, di cui l’8,7% sono straniere. Il numero di cittadini stranieri che lasciano il nostro paese è in lieve flessione (-0,8%) mentre è in aumento l’emigrazione di cittadini italiani (+1,9%)». Ora, preso atto che questi sono numeri e che quindi neanche Mattarella nella sua forma più smagliante può negarli, viene da chiedersi: perché? E soprattutto, questo trend è davvero inarrestabile? Come ribadisco sempre su queste pagine, l’Italia è stata, per la maggior parte della storia delle civiltà, il paese più ricco del mondo. Su questo si trovano opinioni diverse e dati in parte contrastanti, ma basta fare un piccolo test: dove si trovano gli edifici, i monumenti, le infrastrutture artisticamente più belle, costose e grandi del mondo? E in quale paese tali opere sono numerose e diverse sia per stili, materiali impiegati ed epoche storiche?Ecco, appunto: se andate in Germania, Stati Uniti, Svizzera, Giappone, non c’è niente di simile, ma neanche di lontanamente paragonabile, proprio. Questo cosa significa? Significa che gli italiani non sono geneticamente né culturalmente inferiori a nessun altro popolo… anzi! E però gli italiani hanno perso la Seconda Guerra Mondiale e hanno abbracciato progetti sovranazionali guidati da “altre” nazioni: pertanto, in Italia, si è accettata una lingua straniera per i commerci, una moneta straniera (l’euro) e un governo straniero, quello della Commissione Europea. Detto diversamente, ma più chiaramente, l’Italia è oggi una colonia, un luogo dove al limite si può venire in vacanza, così come capitò ai primi del Novecento all’India, per i britannici, durante l’età vittoriana. In questa situazione, sposarsi e fare dei figli è un rischio elevato. Conviene di più farne a meno e vivere da single con l’aiuto della famiglia d’origine. Ma il quesito più interssante è il secondo: si può invertire il calo della natalità? Sì, perchè questo è già successo diverse volte nella storia dell’umanità. Nel Trecento, ad esempio, la popolazione europea crollò letteralmente di quasi un terzo a seguito di malattie come la peste, che non cessarono subito dopo, ma gli europei seppero riadattarsi alla mutata situazione e tornare a crescere di numero.Quindi, nella storia e nel lunghissimo periodo, la popolazione è sempre cresciuta, ma non nel breve e medio periodo, durante il quale anzi vi sono stati decenni di decrescita della natalità. In Inghilterra, nel ‘700 si ebbe un’impennata dei nati perché l’industrializzazione consentiva alle coppie di trovare lavoro subito, di sposarsi prima e dunque di avere più figli, e precocemente. In Italia, dopo la guerra, grazie alla scarsa disoccupazione dovuta alla necessità della ricostruzione, vi fu il fenomeno dei BabyBoomers, che riguardò tutto l’Occidente e che aumentò a dismisura il numero degli abitanti. Sono solo esempi, ma che dimostrano come sia possibilissimo invertire un trend. L’ultimo caso – nessuno lo sa – è quello della Russia. Come si vede da tutti i grafici forniti in questi anni dalla Banca Mondiale, la Russia – schiacciata dalle pressioni internazionali all’indomani dell’esperienza sovietica – non aveva né fiducia in se stessa, né una gestione nazionale dell’economia. Poi è arrivato un leader che ha invertito la rotta cambiando le cose grazie alla cura dell’interesse nazionale. I russi, che erano precipitati come demografia negli anni ’90, si sono “miracolosamente” ripresi mentre tutti gli altri paesi ex comunisti promuovevano la migrazione della loro forza lavoro.Su Wikipedia si legge: «Poche nascite e molti morti ridussero la popolazione russa dello 0,5% ogni anno, durante gli anni ’90. Questo tasso si presentava in continua accelerazione. Per ogni 1.000 russi vi furono 16 morti e solo 10,5 nascite, provocando il declino della popolazione da 800.000 a 750.000 l’anno. L’Onu stimò che la popolazione della Russia del 2006, circa 140 milioni, sarebbe potuta diminuire di un terzo entro il 2050». Nel 2005, con il secondo mandato del presidente Putin, la stabilità della situazione politica ed economica ha comportato una maggiore attenzione del governo sulla questione demografica, attraverso strumenti che favorissero da una parte l’aumento della natalità, come incentivi economici alla nascita del secondo e terzo figlio o crediti immobiliari alle coppie di neo-sposi, dall’altra parte la diminuzione della mortalità attraverso una riforma generale del sistema sanitario nazionale. Nel 2016, la popolazione russa ha registrato un +0,2% rispetto al 2015, segnando così una inversione che si protrae nel tempo, pur molto lentamente. Quelli appena trascorsi sono stati anni difficili, per i russi, a causa di sanzioni, tensioni in Ucraina e nel Medio Oriente. Ma il declino è stato fermato, contrariamente a quanto avviene da noi, in Italia. Ricette semplici ed efficaci da copiare quanto prima: come noto agli economisti di ogni latitudine ed epoca storica, non è possibile crescere economicamente con un crollo costante della natalità nazionale.(Massimo Bordin, “Come fermare l’estinzione degli italiani”, dal blog “Micidial” del 2 gennaio 2020).La situazione della natalità in Italia sta peggiorando anno dopo anno. E’ un paese che sta sparendo, in pratica. Gufismo, pessimismo? No, dati Istat, forniti da gente che fa statistica per mestiere. «La popolazione residente in Italia al 31 dicembre 2018 è inferiore di oltre 124 mila unità rispetto all’anno precedente pari al -0,2%. Si tratta del quarto anno consecutivo di diminuzione: dal 2015 sono oltre 400 mila i residenti in meno, un ammontare superiore agli abitanti del settimo Comune più popoloso d’Italia. Al primo gennaio 2019 risiedono in Italia 60.359.546 persone, di cui l’8,7% sono straniere. Il numero di cittadini stranieri che lasciano il nostro paese è in lieve flessione (-0,8%) mentre è in aumento l’emigrazione di cittadini italiani (+1,9%)». Ora, preso atto che questi sono numeri e che quindi neanche Mattarella nella sua forma più smagliante può negarli, viene da chiedersi: perché? E soprattutto, questo trend è davvero inarrestabile? Come ribadisco sempre su queste pagine, l’Italia è stata, per la maggior parte della storia delle civiltà, il paese più ricco del mondo. Su questo si trovano opinioni diverse e dati in parte contrastanti, ma basta fare un piccolo test: dove si trovano gli edifici, i monumenti, le infrastrutture artisticamente più belle, costose e grandi del mondo? E in quale paese tali opere sono numerose e diverse sia per stili, materiali impiegati ed epoche storiche?
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Brexit, Sapelli: asse coi tedeschi, o la Francia ci stritolerà
Il terremoto Boris Johnson è arrivato e la sterlina è schizzata alle stelle. Questo conferma che gli oligopoli finanziari, quelli che fanno girare la giostra dei mercati, premiano soprattutto la stabilità politica. Se c’è, i mercati sono neutrali e molto più democratici della politica economica europea, che in qualche modo dipende dal peso politico degli Stati nazionali. E la sterlina alle stelle vuole anche dire che non si prevedono le massicce fughe di capitali che tutti hanno finora minacciato. L’Europa che deve ritrovare un equilibrio di potenza, come successe dopo il Congresso di Vienna quando gli inglesi, che avevano dovuto occuparsi dell’Europa perché Napoleone era stato sconfitto, decisero poi di disinteressarsene. E non mi pare siano successi grandi sconquassi, se non che il peso della Prussia divenne predominante. Il conflitto tra due nazioni che non possono non andare d’accordo, ossia Francia e Germania, si dispiegherà pienamente. E a farne per prima le spese, a meno che non si faccia una mossa audace (cioè un’alleanza economica e politica con la Germania) sarà l’Italia, perché l’Italia è tradizionalmente esposta sul Mediterraneo.Se nell’Ottocento era un mare franco-inglese e dopo la Seconda Guerra Mondiale è diventato un lago atlantico dominato dagli americani, oggi abbiamo una Russia prepotentemente in campo con l’appoggio della Turchia, che ha siglato un accordo con la Libia ispirato dai francesi, proprio con l’obiettivo di indebolire la presenza italiana. Quindi o l’Italia si allea in qualche modo con la Germania, che pure non abbandonerà certo i nemici francesi (con cui i tedeschi restano alleati, a partire dall’industria militare), o i francesi ci estrometteranno dal Mediterraneo. Anche perché i francesi sono molto spregiudicati: studiano ancora la “guerre economique”, hanno una diplomazia di rango e una classe dirigente di altissimo profilo. L’Europa è un impero senza Costituzione, dipende dalle Corti di giustizia, dai colpi di mano; però ha una formidabile tecnocrazia, un potere non eletto che può fare tutto quello che vuole. Conterà molto chi influenza questa tecnocrazia, dove i francesi sono molto presenti, così come gli spagnoli e altri paesi piccoli.Il Parlamento Europeo non fa le leggi: a cosa serve? Lo si vede anche nella questione, molto brutta, del Mes. E’ un trattato internazionale e non un accordo Ue: è stato concepito così, su influenza tedesco-francese, proprio perché non si fidano del Parlamento Europeo. Mentre l’Italia non ha peso nella burocrazia europea, e infatti negli ultimi 30 anni i nostri rappresentanti a Bruxelles sono stati veicolo degli interessi dominanti: Prodi dei francesi e Monti soprattutto dei tedeschi e contro gli Stati Uniti. L’Eurosummit ha accolto la richiesta dell’Italia di modificare, e non finalizzare, le conclusioni del negoziato. Se anche Conte, Gualtieri, Amendola e Sassoli, i quadrumviri della subordinazione, dicono che bisogna modificare il Mes, vuol dire che quelli che criticavano il Mes, come il governatore Visco e il presidente dell’Abi Patuelli, non erano poi così sprovveduti. Dalla Lagarde alla Bce non dobbiamo aspettarci niente: non sa neanche di cosa parla. È una donna raffinata, elegante, ma non credo che sia molto più preparata su questi temi di Di Maio: legge quello che le dicono i suoi suggeritori. L’importante è che siano suggerimenti buoni.E Francia e Germania sembra che stiano cambiando su un punto: bisogna abbandonare le politiche di austerità. Ecco perché spero che la Lagarde sia condizionata bene, anche dagli americani. Se non vogliamo, come nessuno di noi vuole, che l’Europa cada a pezzi e che l’euro fallisca (perché sarebbe una catastrofe immane), bisogna fare della Bce una vera banca centrale e mettere il Parlamento Europeo sopra tutto e non sotto a tutti. Superare le politiche di austerità sarebbe una virata molto auspicabile, per l’Italia, ma mi sorprende la trasformazione di Gualtieri: prima di diventare ministro ha condotto battaglie quasi solitarie, come contro il bail-in, senza fanatismi e con professionalità, mentre ora è diventato pro-austerity. A cosa può servire una politica italiana ancora molto litigiosa e rissosa? Questo non è il momento di dilaniarsi, è il momento in cui c’è bisogno di un’unione nazionale, perché l’Italia è sull’orlo del baratro, vedi i casi Ilva e Popolare di Bari.Le Pmi non ce la fanno a tenere in piedi tutto il corpaccione dell’Italia. Allora la classe politica deve capire che su alcuni punti – problemi europei, euro, politica industriale, occupazione, patto dei produttori – bisogna lavorare tutti assieme. Come in un conclave: finché non arriva la fumata bianca, si sta lì. Altrimenti, è la fine. La partita della Brexit? Ho sempre sostenuto che l’Inghilterra torna nel suo alveo naturale, che è quello di un potere transatlantico. È innaturale che sia entrata nell’Unione Europea. Infatti è successo solo nel 1976, spinta dal fatto che gli americani non potevano avere solo la Nato e la bomba atomica francese per contrastare l’Unione Sovietica, che allora aveva una superiorità nei missili a medio-raggio. Londra, che era nell’Efta, entra nella Comunità Europea per apportare il suo apparato atomico, come deterrente all’avanzata dell’Urss in Europa. La Brexit segna una sconfitta per gli inglesi? L’Inghilterra non perde niente. È più l’Europa che perde la Gran Bretagna.Va anche detto che l’Europa non ha mai capito gli inglesi. Basta vedere che cosa hanno fatto della “common law” o come hanno imbastardito le regole, creando dei mostri giuridici, della superiore civiltà giuridica anglosassone, fondata sulla libertà e non sull’autoritarismo di Stato come nell’Europa continentale. L’Europa è il pantano, Inghilterra e Stati Uniti sono il luogo del vento e degli uragani. Non a caso Trump ha già chiesto un “grande accordo commerciale”. La cosiddetta Anglosfera sarà l’avamposto dell’Occidente nella sfida con la Cina? È importante che Londra non si metta nelle mani di cinesi e sauditi. E la diplomazia americana, molto più evoluta e raffinata di Trump, si è subito messa in moto per un solido accordo commerciale. Primo, perché ha imparato a sue spese la follia degli inglesi quando nel 1997, rispettando un trattato che era stato firmato in condizioni del tutto diverse, hanno abbandonato Hong Kong. Secondo, perché con questo accordo si tirano dietro il Canada, l’Australia e alcuni paesi africani, Nigeria e Kenya in testa.(Giulio Sapelli, dichiarazioni rilasciate a Marco Biscella per l’intervista “Subito un patto con Berlino, o siamo spacciati”, pubblicata sul “Sussidiario” il 14 dicembre 2019).Il terremoto Boris Johnson è arrivato e la sterlina è schizzata alle stelle. Questo conferma che gli oligopoli finanziari, quelli che fanno girare la giostra dei mercati, premiano soprattutto la stabilità politica. Se c’è, i mercati sono neutrali e molto più democratici della politica economica europea, che in qualche modo dipende dal peso politico degli Stati nazionali. E la sterlina alle stelle vuole anche dire che non si prevedono le massicce fughe di capitali che tutti hanno finora minacciato. L’Europa che deve ritrovare un equilibrio di potenza, come successe dopo il Congresso di Vienna quando gli inglesi, che avevano dovuto occuparsi dell’Europa perché Napoleone era stato sconfitto, decisero poi di disinteressarsene. E non mi pare siano successi grandi sconquassi, se non che il peso della Prussia divenne predominante. Il conflitto tra due nazioni che non possono non andare d’accordo, ossia Francia e Germania, si dispiegherà pienamente. E a farne per prima le spese, a meno che non si faccia una mossa audace (cioè un’alleanza economica e politica con la Germania) sarà l’Italia, perché l’Italia è tradizionalmente esposta sul Mediterraneo.
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Magaldi: un’email stralunata su me, i Savoia e Diego Fusaro
Egregio Giovanni Seia, il curatore del sito Libreidee Giorgio Cattaneo mi ha girato una mail da lui ricevuta e che appare come un commento all’articolo pubblicato sullo stesso sito (vedi “Fusaro chiede poltrone alla Lega e poi pranza col Savoia” ). Orbene, lei scrive: «Egregio Signor Magaldi, prima di scrivere notizie errate e prive di fondamento sarebbe opportuno ricorrere alla fonte, onde evitare una becera informazione che evidenzia unicamente la spasmodica voglia di un fanciullesco protagonismo. Sono il delegato dell’Istituto Nazionale per la Guardia d’Onore alle Reali Tombe del Pantheon e l’organizzatore della conferenza storico-scientifica, del 16 novembre scorso, sulla figura del Re Vittorio Emanuele III nella ricorrenza dei 150 anni dalla sua nascita, data peraltro dimenticata completamente, pur essendo stato il Re Capo di Stato per ben 46 anni. La conferenza che ha visto la partecipazione di circa 400 persone, è stata tenuta da due illustri professori, Fréderic Le Moal de l’Ecole Militaire de Saint Syr e Francesco Perfetti della Luiss di Roma».«Quale moderatore della conferenza ho scelto il prof. Diego Fusaro che ha evidenziato l’odierna caduta dei Valori fondanti della Nazione. La conferenza prevedeva anche un pranzo a cui hanno partecipato 270 persone e il prof. Fusaro è stato accreditato al tavolo dei relatori e degli ospiti, a cui sedeva anche Emanuele Filiberto e Gabriele Albertini. Emanuele Filiberto era presente in quanto il Re Vittorio Emanuele III era suo bisnonno e Gabriele Albertini sedeva a quel tavolo in quanto iscritto al nostro Istituto. Quindi nessuna trama politica, nessun coinvolgimento del prof. Fusaro in esperienze partitiche, ma solo invenzioni e sfarfallamenti intellettuali di uno come lei in cerca di autore e di una visibilità mediatica che purtroppo non riesce a trovare in un’associazione massonica spuria che si dichiara democratica ma che nulla ha a che fare con il potere del demos. La cautela e il confronto sono le basi di una democratica intelligenza. (Cordialmente, Giovanni Seia)».Mi pregio, con riferimento a tale sua stralunata e molto imprecisa (oltre che insipiente) missiva, di farle osservare quanto segue: 1) Quando si rivolge a me, abbia l’accortezza o di chiamarmi Dott. Magaldi o Presidente Magaldi, se preferisce un lessico profano, oppure Illustrissimo, Venerabilissimo e Potentissimo Gran Maestro e Sovrano Gran Commendatore/Patriarca, qualora si stia cimentando in qualche disamina di natura massonica, come in verità dalla sua lettera si evince. Per un personaggio, lei, che si qualifica come il delegato di una cosa pomposa, ridondante e ampollosa come l’Istituto Nazionale per la Guardia d’Onore alle Reali Tombe del Pantheon, sarà il caso di avere riguardo anche per i formalismi e le ampollosità altrui, comprese quelle massoniche di Grande Oriente Democratico (www.grandeoriente-democratico.com) e del Rito Europeo Universale da me presieduti. Tanto più che senza la Libera Muratoria risorgimentale, di cui mi pregio di essere uno dei più devoti epigoni in questo XXI secolo, gli ospiti delle Reali Tombe non avrebbero potuto essere tali.Senza i massoni del XIX secolo (Giuseppe Garibaldi in testa, che consegnò a Vittorio Emanuele II di Savoia l’intero Regno delle Due Sicilie da lui liberato/conquistato, ma anche l’opera del Fratello Cavour e di tanti altri intorno a lui non fu da meno), insomma, il Regno d’Italia non sarebbe mai stato appannaggio dei Savoia. 2) Lei è impreciso, quando dice che io abbia scritto qualcosa sul tema Fusaro, Savoia, Albertini. L’articolo cui si riferisce è opera di Giorgio Cattaneo. Semmai, il sottoscritto ha parlato della questione nella trasmissione citata e linkata sopra (se la vada a vedere/ascoltare). 3) Rispetto la sua inclinazione (e quella di altri, con lei) a voler festeggiare Vittorio Emanuele III nella ricorrenza della sua nascita (che peraltro mi constava essere nato a Napoli l’11 novembre 1869 e non il 16 novembre, ma avrete avuto i vostri motivi per celebrarne il genetliaco 5 giorni dopo la ricorrenza effettiva), ma nel video (che lei, da come si esprime, mostra di non aver visto) della puntata 53 di “Gioele Magaldi racconta” ( https://www.youtube.com/watch?v=sisX3JZV3_0 ) esprimo anche le mie gravi riserve su un monarca che non solo acconsentì all’instaurarsi della dittatura fascista, ma nemmeno mosse un dito contro la promulgazione delle vergognose leggi razziali del 1938 e si comportò da fellone alla fine della Seconda guerra mondiale.4) Probabilmente lei ha fatto male ad invitare Diego Fusaro quale moderatore della conferenza storico-scientifica da lei organizzata, perché costui – non privo di qualche competenza filosofica e politologica – appare platealmente carente in fatto di scienze storiche, come evidenziato da diversi svarioni inseriti nelle sue pubblicazioni (almeno quelle le ha lette? – io si, ahimé – o lei ha il vizio di parlare di cose che non conosce direttamente e approfonditamente?). 5) La parte più stralunata, imprecisa e sgangherata della sua lettera, tuttavia, è quella in cui scrive: «La conferenza prevedeva anche un pranzo a cui hanno partecipato 270 persone e il prof. Fusaro è stato accreditato al tavolo dei relatori e degli ospiti, a cui sedeva anche Emanuele Filiberto e Gabriele Albertini. Emanuele Filiberto era presente in quanto il Re Vittorio Emanuele III era suo bisnonno e Gabriele Albertini sedeva a quel tavolo in quanto iscritto al nostro Istituto. Quindi nessuna trama politica, nessun coinvolgimento del prof. Fusaro in esperienze partitiche, ma solo invenzioni e sfarfallamenti intellettuali di uno come lei in cerca di autore e di una visibilità mediatica che purtroppo non riesce a trovare in un’associazione massonica spuria che si dichiara democratica ma che nulla ha a che fare con il potere del demos. La cautela e il confronto sono le basi di una democratica intelligenza».Chi avrebbe alluso a trame politiche? Tutta la questione è nata perché Diego Fusaro ha pubblicato una foto in cui veniva ritratto attovagliato con Emanuele Filiberto e Albertini, senza forse neanche spiegare il contesto dell’incontro (come invece ha tenuto a fare lei, ma sarebbe cambiato poco) e/o comunque senza che sul web fosse compreso tale contesto (ma sarebbe cambiato poco, ripeto: solo che forse si sarebbe ridimensionata l’immagine narcisistica e autocompiaciuta che Fusaro desiderava offrire…lasciando intendere di un pranzo per pochi intimi, mente c’erano 270 persone… ) Di qui, prima che ne parlassi io, una ridda di commenti su tale “attovagliamento”. Alla domanda del conduttore di “Gioele Magaldi racconta”, Fabio Frabetti, rivolta al sottoscritto, su cosa pensassi di tale foto, ho risposto sostanzialmente (ma legga meglio l’articolo di Libreidee e ancor meglio si guardi il video cui l’articolo si ispira) che se il sedicente “profeta” del riscatto del proletariato nel XXI secolo ci tiene tanto a pubblicare ed enfatizzare la foto che lo ritrae in una (vera o falsa) intimità conviviale con un erede di monarchi e un “vecchio” politico sedicente liberale (laddove il liberalismo è esecrato da Fusaro come il peggiore di tutti i mali, stante anche la sua confusione storica ed ermeneutica tra liberalismo, liberismo e neoliberismo) allora siamo davvero al paradosso più grottesco.Un paradosso, tuttavia, che si spiega benissimo con l’atteggiamento da “cortigiano e cicisbeo politico da salotto, televisivo e non”, che molti contestano al filosofo torinese, recente ispiratore del partitino rossobruno e fasciocomunista “Vox Italia”. E ho aggiunto delle riflessioni su questioni e trame politiche che riguardano il solo Fusaro e in cui non c’entra nulla né il suo “Istituto Nazionale bla bla bla” nè gli stesi Albertini ed Emanuele Filiberto di Savoia. 6) Poi lei ha l’impudenza, l’insolenza, l’ipocrisia e la mala creanza di scrivere: «Solo invenzioni e sfarfallamenti intellettuali di uno come lei in cerca di autore e di una visibilità mediatica che purtroppo non riesce a trovare in un’associazione massonica spuria che si dichiara democratica ma che nulla ha a che fare con il potere del demos. La cautela e il confronto sono le basi di una democratica intelligenza». Ebbene, a differenza del suo amato Fusaro, io non compio “sfarfallamenti intellettuali”. Io, quando parlo di filosofia, storia, politica e politologia lo faccio al lume di competenze serie e strutturate. So quel che dico e so come lo dico, anche a differenza sua, che scrive fischi per fiaschi, confondendo anche chi abbia detto o scritto cosa e quando e perché.La visibilità mediatica il sottoscritto l’ha avuta sin dai primi anni in cui “Grande Oriente Democratico” muoveva i suoi primi passi (si documenti, dal 2010 in poi), finendo sulle prime pagine di giornali e in servizi/interviste televisive di testate e trasmissioni di punta. Il sottoscritto ha pubblicato anche altri libri, ma il solo primo volume della serie di “Massoni” (”La scoperta delle Ur-Lodges”, Chiarelettere editore) ha venduto più copie di tutti i volumi pubblicati dal suo amato Diego Fusaro nel corso degli anni (libri, peraltro, in cui il successivo ripete le cose dette nel precedente e, all’interno dello stesso volume, anche i capitoli si copiano e reiterano nei contenuti, diffondendo una noia mortale in danno del lettore…). Le riconosco, tuttavia, che dopo che il sottoscritto ha pubblicato “Massoni. Società a responsabilità illimitata. La scoperta delle Ur-Lodges” e che è stato fondato il Movimento Roosevelt (www.movimentoroosevelt.com: soggetto politico metapartitico che ordinariamente non si presenta alle elezioni – essendo metapartitico, civico, pedagogico e trasversale – ma che quando si è presentato, ad esempio a Gioia Tauro, ha preso circa il 60% nel 2015, mentre alle comunali del 2019 Fusaro ha raccolto il 2,87%…), cioè a partire dal 2015/2016, una qualche ritrosia (non sempre rispettata, comunque) del sistema mediatico mainstream (lo stesso sistema contro cui tuona il rivoluzionario da salotto Fusaro) a parlare di me/noi c’è. Mentre non c’è alcuna ritrosia, da parte di tale sistema mediatico, nell’invitare spesso e volentieri l’esimio prof. Diego Fusaro, graditissimo sparring partner e avversario dialettico di comodo (irrisorio e irrilevante) per tutti i fiancheggiatori dell’egemonia neoliberista e postdemocratica in atto da decenni in Italia e in Europa.7) L’apice della sua insolenza e insipienza malevola, esimio Giovanni Seia, lei la raggiunge però quando parla, riferendosi a “Grande Oriente Democratico”, «di un’associazione massonica spuria che si dichiara democratica ma che nulla ha a che fare con il potere del demos. La cautela e il confronto sono le basi di una democratica intelligenza». Lei è massone? Oppure uno studioso/esperto di cose massoniche? O ha studiato la Massoneria presso i libri del suo compare “monarchicheggiante” Aldo Mola, le cui opere sulla Massoneria appaiono, a ben vedere, estremamente lacunose e fuorvianti (oltre che faziosamente ispirate rispetto ad alcuni gruppi massonici italiani ed esteri)? A che titolo e in nome di quale sapienza o esperienza diretta Lei ha l’autorevolezza per definire cosa sia o non sia una “associazione massonica pura o spuria”? I Fratelli e le Sorelle di Grande Oriente Democratico (www.grandeoriente-democratico.com ), comunque, se ne rideranno delle sue ridicole farneticazioni e continueranno a consolidare la propria funzione “liquida e sovranazionale” di network massonico in grado di collegare le migliori avanguardie liberomuratorie progressiste planetarie.Quanto a Lei, Giovanni Seia, non ci sembra distinguersi né per spirito democratico (altrimenti come potrebbe tenere tanto alla celebrazione di un monarca, Vittorio Emanuele III, che sancì l’avvento del Fascismo e la fine della Democrazia, in Italia, per circa un ventennio?), né per intelligenza. Però ci sembra un sincero e schietto ipocrita quando ci saluta scrivendo “cordialmente”, mentre invece la sua missiva era tutto tranne che cordiale. Ecco perché la saluto senza alcuna stima ma anche senza veruna cordialità, proprio per non comportarmi da ipocrita come lei. Ad maiora.Gioele Magaldi, storico, filosofo, Presidente del Movimento Roosevelt, Gran Maestro del Grande Oriente Democratico/Sovrano Gran Commendatore e Patriarca del Rito Europeo Universale.(Riceviamo e pubblichiamo questa lettera di Gioele Magaldi, “Riscontro alla sua stralunata e imprecisa mail”, che risponde a una lettera di Giovanni Seia a lui indirizzata, inviata a Libreidee). Egregio Giovanni Seia, il curatore del sito Libreidee Giorgio Cattaneo mi ha girato una mail da lui ricevuta e che appare come un commento all’articolo pubblicato sullo stesso sito (vedi “Fusaro chiede poltrone alla Lega e poi pranza col Savoia” ). Orbene, lei scrive: «Egregio Signor Magaldi, prima di scrivere notizie errate e prive di fondamento sarebbe opportuno ricorrere alla fonte, onde evitare una becera informazione che evidenzia unicamente la spasmodica voglia di un fanciullesco protagonismo. Sono il delegato dell’Istituto Nazionale per la Guardia d’Onore alle Reali Tombe del Pantheon e l’organizzatore della conferenza storico-scientifica, del 16 novembre scorso, sulla figura del Re Vittorio Emanuele III nella ricorrenza dei 150 anni dalla sua nascita, data peraltro dimenticata completamente, pur essendo stato il Re Capo di Stato per ben 46 anni. La conferenza che ha visto la partecipazione di circa 400 persone, è stata tenuta da due illustri professori, Fréderic Le Moal de l’Ecole Militaire de Saint Syr e Francesco Perfetti della Luiss di Roma».
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Oltre a Hitler, chi ha sulla coscienza quei milioni di ebrei?
Perché per far rientrare gli ebrei (esiliati) nella terra promessa sarebbero dovuti morire sei milioni di loro? Perché avrebbero dovuto pagare questa pesante “tassa”? Sono loro stessi a dirlo: lo dice il giudaismo, in particolare. Ovviamente non è una profezia contenuta nella Bibbia, come alcuni vorrebbero far credere, giocando sulle parole (soprattutto sull’assenza della lettera waw all’interno del termine che indica “ritornerete”, che si si trova in Levitico), ma è qualcosa che è stato deciso successivamente. Peraltro, ricordo anche espressioni di sionisti che dicevano: «In fondo, una nazione val bene qualche milione di morti». E quindi era la “tassa” da pagare (o da far pagare) per poter avanzare con forza la richiesta di poter tornare in quella che loro ritengono essere la loro nazione. Quando dico “loro” intendo i sionisti, perché non tutti gli ebrei sono d’accordo: penso ad esempio al movimento dei Naturei Karta, che sono diverse centinaia di migliaia di ebrei, che ritengono questo Stato di Israele assolutamente illegittimo perché non fondato dal messia (questo sì, sarebbe scritto nell’Antico Testamento e farebbe parte della tradizione ebraica; invece questo Stato di Israele non è stato fondato dal messia, dunque da questi è ritenuto illegittimo).Quella dei cosiddetti sei milioni era la tassa da pagare per poter avanzare questa richiesta al mondo. E non è un caso che di sei milioni si sia iniziato a parlare ben prima della nascita di Hitler: il che vuol dire che era qualcosa di già deciso in precedenza. Quello sulla Shoah è un discorso estremamente delicato, che va trattato veramente con le pinze. Partiamo dal presupposto che questo sia avvenuto, e non mettiamo neppure in discussione l’ammontare delle vittime: in fondo, che siano sei milioni o seicentomila, fra virgolette poco conta (anche perché poi è difficile contarle esattamente). Ma supponiamo pure che siano sei milioni. Ora, ciò che è difficile pensare è che questo sia stato pianificato in modo autonomo e improvviso dal nazionalsocialismo. E’ un qualcosa di cui si parlava molto prima: la pianificazione è partita molto prima della nascita di Hitler. Ci sono addirittura delle chiavi di lettura che la danno come “inevitabile” perché già prevista nella Bibbia, attraverso particolari riletture (del Levitico, appunto) da cui risulterebbe che condizione essenziale per il ritorno degli ebrei in terra d’Israele era la scomparsa di sei milioni di loro.Ora, secondo me, il problema (più importante ancora di quello che pone il revisionismo) è questo: diamo per scontato che la Shoah ci sta stata e che abbia avuto quelle dimensioni, con la quale ci viene raccontata. Il problema è: chi l’ha veramente voluta? Chi l’ha pianificata? Da quando l’ha pianificata? Di chi sono stati vittima, questi ebrei? Questi ebrei che sono stati uccisi erano davvero tutti ebrei o, come come li chiamavano i tedeschi, erano dei giudei? Il che non significa esere necessariamente ebrei, ma essere una parte che poteva essere “sacrificata”, in quanto ritenuta non pura dal punto di vista del sangue. Ecco, questa secondo me è la direzione nella quale bisogna procedere con la ricerca, per capire quali sono le vere responsabilità: che non possono essere interamente ed esclusivamente attribuite al nazionalsocialismo, perché la pianificazione sicuramente è partita prima. Tornando alla Bibbia: perché gli Elohim più potenti che circondavano gli israeliti hanno avuto la peggio e non sono divenuti così famosi come Yahweh? Le riposte possono essere tante: possono aver lasciato campo libero a Yahweh, se ne possono essere andati, oppure Yahweh può essere risultato il più bravo, cioè quello che ha saputo imporsi al di sopra degli altri.Oppure c’è anche un’altra spiegazione: a un certo punto tutti loro, gli Elohim, si sono di fatto disinteressati del rapporto diretto con l’umanità. E poi, da un certo momento in avanti (nei secoli più vicini a noi: 1600, 1700), qualcuno è stato talmente bravo da riprendere in mano tutta questa storia e ricostruire una situazione, gestendola e programmandola a suo uso e consumo, facendola risalire (e quindi legandola) a racconto biblico. Quindi, il tutto potrebbe essere nelle mani di – diciamo così – usurpatori: cioè persone che, in origine, non avevano nulla a che vedere con la Bibbia. Non sarebbero neanche discendenti delle 12 tribù di Israele, ma sarebbero un altro popolo, di guerrieri e di usurai, che si è convertito al giudaismo e ha preso in mano le redini del tutto, e ha saputo imporre e gestire quel regime finanziario che ci sta governando. Questa cosa spiegherebbe anche come mai, durante la Seconda Guerra Mondiale, la pianificazione dell’uccisione di alcuni milioni di essi fosse diretta soprattutto alla cosiddetta “razza giudaica”, più che alla “razza ebrea”. E quindi questo richiede uno studio accurato, che dovrà portare forse ad un riesame della storia così come ci è stata raccontata.(Mauro Biglino, video-dichiarazioni rilasciate sul proprio sito il 4 ottobre 2019 rispondendo a domande dei lettori. Biblista e già traduttore ufficiale dell’Antico Testamento per le Edizioni San Paolo, l’autore ha intrapreso una pubblicazione saggistica basata sulla scoperta della rilettura letterale del testo biblico, da cui sono testualmente assenti i concetti teologici e metafisici. Yahweh sarebbe solo uno dei tanti Elohim menzionati dalla Bibbia: dominatori alieni, cioè diversi e distinti dagli umani, potenti ma non onnipotenti né immortali. Riguardo alle possibili origini pre-hitleriane del progetto della Shoah, immane strage che Biglino si guarda bene dal negare, l’autore fa riferimento alla letteratura giornalistica anglosassone, di pubblico dominio, che a partire dalla fine del 1800, con crescente insistenza, allude all’imminente sterminio di sei milioni di ebrei in Europa, ben prima dell’avvento del nazismo. Mentre il negazionismo tende a ridimensionare le spaventose responsabilità della Germania, Biglino – al contrario – ipotizza che il regime di Hitler sia stato utilizzato come spietato strumento di morte, a insaputa dei tedeschi e degli stessi ebrei, da mostruosi manipolatori occulti della geopolitica mondiale).Perché per far rientrare gli ebrei (esiliati) nella terra promessa sarebbero dovuti morire sei milioni di loro? Perché avrebbero dovuto pagare questa pesante “tassa”? Sono loro stessi a dirlo: lo dice il giudaismo, in particolare. Ovviamente non è una profezia contenuta nella Bibbia, come alcuni vorrebbero far credere, giocando sulle parole (soprattutto sull’assenza della lettera waw all’interno del termine che indica “ritornerete”, che si si trova in Levitico), ma è qualcosa che è stato deciso successivamente. Peraltro, ricordo anche espressioni di sionisti che dicevano: «In fondo, una nazione val bene qualche milione di morti». E quindi era la “tassa” da pagare (o da far pagare) per poter avanzare con forza la richiesta di poter tornare in quella che loro ritengono essere la loro nazione. Quando dico “loro” intendo i sionisti, perché non tutti gli ebrei sono d’accordo: penso ad esempio al movimento dei Naturei Karta, che sono diverse centinaia di migliaia di ebrei, che ritengono questo Stato di Israele assolutamente illegittimo perché non fondato dal messia (questo sì, sarebbe scritto nell’Antico Testamento e farebbe parte della tradizione ebraica; invece questo Stato di Israele non è stato fondato dal messia, dunque da questi è ritenuto illegittimo).
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L’Italia perde la Fiat, venduta alla Francia. E nessuno fiata
L’Italia perde la sua maggiore azienda, per decenni sorretta dallo Stato: a mangiarsi la Fiat è la Francia di Macron, con il gruppo Psa (Peugeot-Citroen-Opel) di cui il governo francese possiede il 13%. Il Cda di quello che diventerà il quarto produttore automobilistico al mondo, con 50 miliardi di dollari di fatturato, sarà guidato dall’attuale numero uno di Peugeot, Carlos Tavares, lasciando a John Elkann la presidenza del nuovo soggetto industriale. Clamorosa l’assenza totale della politica italiana: gli uomini del Conte-bis si limitano al ruolo di semplici spettatori, e tace anche l’opposizione. Silenzio generale, di fronte alla perdita definitiva del gruppo Fiat, fatto a pezzi nel corso degli anni. Stabilimenti delocalizzati in Polonia, Serbia, Turchia, Brasile, Argentina, India e Cina. E domicilizioni “emigrate” in Gran Bretagna (sede legale), in Lussemburgo (fiscale) e negli Usa (borsistica). E ora, addio anche alla proprietà italiana del marchio, nonostante l’oceano di soldi – agevolazioni sugli stabilimenti, cassa integrazione – versati dai contribuenti italiani per tenere in piedi l’industria torinese. «Al silenzio della politica seguirà quello di giornali e televisioni», avverte Gigi Moncalvo: «Nessuno oserà contestare l’accordo, visto che il gruppo Fiat spende enormi quantità di denaro, in termini pubblicitari, sui media italiani».Autore di scomodi saggi sul potere della maggiore dinastia industriale italiana (“Agnelli segreti”, “I lupi e gli agnelli”), intervenendo nella trasmissione web-radio “Forme d’Onda”, Moncalvo sottolinea lo squallore della situazione italiana, di fronte allo “scippo” francese propiziato da «rabbini e grembiulini vicini a John Elkann». Moncalvo, che ha seguito da vicino anche l’ingloriosa saga dell’eredità di Gianni Agnelli, ha scoperto che il grosso del denaro di famiglia è tuttora custodito all’estero, in un caveau all’areoporto di Ginevra, fuori dalla portata del fisco italiano. Sempre Moncalvo racconta che la Fiat, “scomunicata” dagli Usa nel 1945 per gli enormi benefici ottenuti dalle commesse belliche del regime fascista, fu improvvisamente riabilitata (e inserita nel Piano Marshall) grazie ai buoni uffici di Pamela Harriman, nuora di Churchill e buona amica dell’allora giovane Avvocato. A partire proprio dal dopoguerra, però – sostiene Moncalvo – il vero timone della Fiat passò nelle mani di Wall Street. Morto il problematico Edoardo Agnelli, che aveva annunciato la sua intenzione di avere voce in capitolo nel destino della Fiat, il gruppo torinese è stato affidato al ramo familiare Elkann.Scomparso Gianni Agnelli, i suoi storici collaboratori – Gianluigi Gabetti e Franzo Grande Stevens – hanno fatto in modo, d’intesa con la vedova, che tutto il potere finisse nelle mani dell’allora giovanissimo John Elkann. Due anni dopo, la finanza Usa ha “spedito” a Torino il super-manager bancario Sergio Marchionne, che ha finto di rilanciare gli stabilimenti italiani per poi invece siglare l’accordo con Chrysler e trasferire il cuore del gruppo a Detroit, con il varo del marchio Fca. E oggi, appena un anno dopo la prematura morte di Marchionne, il gruppo formalmente rappresentato da John Elkann sembra voler “sbaraccare” quel che resta della Fiat in Italia, cedendo il controllo dell’ex impero al paese che più sta danneggiando l’Italia, sul piano industriale: la Francia. Secondo gli analisti, segnala il “Fatto Quotidiano”, la volontà francese di restare alla guida del nuovo gruppo sarebbe evidente anche dai numeri dell’operazione. Il gruppo Psa riconosce ai soci Fca un premio da 6,7 miliardi rispetto alle quotazioni di Borsa antecedenti l’inizio delle indiscrezioni sulle nozze. Senza contare che la cifra in questione sarebbe anche al netto del dividendo straordinario di Fca – 5,5 miliardi, di cui di cui 1,6 destinati ad Exor, la cassaforte degli Agnelli – e delle quote di Faurecia e Comau che verranno distribuite ai soci.«Psa sta sostanzialmente comprando Fca», ha spiegato senza mezzi termini la società di consulenza Equita, secondo cui i francesi hanno pagato «un buon premio» agli Elkann e si sono assicurati la “maggioranza” per il controllo del nuovo gruppo. Come ha spiegato a “Bloomberg” Philippe Houchois, analista di “Jefferies”, «Psa sta pagando un premio del 32% per assumere il controllo di Fca». Sottraendo dal gruppo italo-americano i 5,5 miliardi del dividendo straordinario e il valore della quota di Comau (circa 250 milioni di euro), e da quello francese il valore della quota in Faurecia (2,7 miliardi), si arriva a una “capitalizzazione di mercato teorica” di “20 miliardi” per Peugeot e di “13,25 miliardi” per Fca. Sulla base di questi valori e “senza un premio”, agli azionisti di Peugeot sarebbe spettato il 60,15% del nuovo gruppo e a quelli di Fca il 39,85%, anziché il 50% a testa negoziato. Insomma, i conti della “fusione alla pari” non tornano, scrive Fiorina Capozzi sul “Fatto”. Del resto, aggiunge, «a Torino era noto da tempo che gli Elkann avessero intenzione di ridimensionare il peso dell’auto nel patrimonio di famiglia».Non è un mistero neppure che Fca fosse alla ricerca di un partner strategico, come testimonia il tentato “blitz” su Renault, sventato nei mesi scorsi dall’intervento di Macron. Lo Stato francese, socio di Renault, è anche azionista di Psa: segno che «in questo caso, ha fatto bene i suoi conti», chiosa Capozzi. Da parte sua, Moncalvo si domanda che fine faranno, ora, gli operai degli stabilimenti di Cassino, Melfi e Pomigliano d’Arco. Negli ultimi anni la Fiat ha chiuso Termini Imerese e Rivalta, senza contare l’Alfa Romeo di Arese. Nella storica fabbrica torinese di Mirafiori ormi si produce solo il Suv della Maserati, mentre a Cassino le Alfa (Giulia, Giulietta e Stelvio), a Melfi la 500 X e la Jeep Renegade, a Pomigliano la Panda. La Cinquecento è prodotta in Polonia, le grandi Jeep in Brasile e in India, la Tipo in Turchia. Il gruppo oggi avrebbe 130.000 dipendenti, in 119 stabilimenti distribuiti nel mondo. Drammatico, negli ultimi anni, il crollo dei livelli occupazionali italiani. Negli anni Sessanta, Mirafiori dava lavoro a 65.000 operai. Oggi, le poche migliaia di addetti rimasti si limitano all’unica linea attiva, quella della Maserati Levante. Residuo futuro per l’ex Fiat? La famiglia Elkann sembra volersene lavare le mani. D’ora in poi a dettare legge saranno i francesi. E addio al made in Italy nel settore auto.L’Italia perde la sua maggiore azienda, per decenni sorretta dallo Stato: a mangiarsi la Fiat è la Francia di Macron, con il gruppo Psa (Peugeot-Citroen-Opel) di cui il governo francese possiede il 13%. Il Cda di quello che diventerà il quarto produttore automobilistico al mondo, con 50 miliardi di dollari di fatturato, sarà guidato dall’attuale numero uno di Peugeot, Carlos Tavares, lasciando a John Elkann la presidenza del nuovo soggetto industriale. Clamorosa l’assenza totale della politica italiana: gli uomini del Conte-bis si limitano al ruolo di semplici spettatori, e tace anche l’opposizione. Silenzio generale, di fronte alla perdita definitiva del gruppo Fiat, fatto a pezzi nel corso degli anni. Stabilimenti delocalizzati in Polonia, Serbia, Turchia, Brasile, Argentina, India e Cina. E domiciliazioni “emigrate” in Gran Bretagna (sede legale), in Lussemburgo (fiscale) e negli Usa (borsistica). E ora, addio anche alla proprietà italiana del marchio, nonostante l’oceano di soldi – agevolazioni sugli stabilimenti, cassa integrazione – versati dai contribuenti italiani per tenere in piedi l’industria torinese. «Al silenzio della politica seguirà quello di giornali e televisioni», avverte il saggista Gigi Moncalvo: «Nessuno oserà contestare l’accordo, visto che il gruppo Fiat spende enormi quantità di denaro, in termini pubblicitari, sui media italiani».
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Niccolai, il fascista “eretico” che fece votare le idee del Pci
«Ricordo una sera a Pisa, in una scalcagnata 500 guidata da un militante di Cecina, Altero Matteoli, divenuto poi ministro. Nel sedile posteriore, in condizioni disumane, sedevano attorcigliati Niccolai e Tatarella; benché ragazzo, mi avevano lasciato il posto davanti, come si usa per cavalleria con le donne, i disabili e gli intellettuali». Così lo scrittore, filosofo e politologo Marcello Veneziani ricorda Giuseppe Niccolai, esponente “eretico” del Msi, di cui a Pisa – sua città natale – la sinistra e l’Anpi ha appena contestato la memoria, dopo che il Comune, a trent’anni dalla sua morte, gli ha intitolato un piazzale. Chi era Niccolai? «Un politico galantuomo, un missino eretico che sognava di ricucire la ferita storica tra fascisti e comunisti e combattere insieme contro la mafia e il potere, i potentati economici e la servitù americana». “Beppe”, lo ricorda Veneziani, «fu un limpido marziano che visse nell’era ideologica integrale, il Novecento, assorbendo le sue passioni ma non i suoi livori». Quella volta a Pisa, Veneziani lo incontrò perché era in possesso di appunti inediti di Berto Ricci, altro «fascista eretico dalla mente lucida e il cuore puro», che poi furono pubblicati con la prefazione di Indro Montanelli. Sceso da quella Cinquecento, «Niccolai maneggiava i quaderni di Ricci con religiosa devozione».In principio, riassume Veneziani su “La Verità”, Niccolai fu tra i fondatori del Msi nel segno di “legge e ordine”. Poi si andò spostando verso una sinistra nazionale e “spirituale”, auspicando di ricucire la frattura del ’14 coi socialisti, spingendosi persino a quella del ’21 coi comunisti. «Non condivise però la linea di Pino Rauti di sfondare a sinistra; sognava altre sintesi». Niccolai morì il 31 ottobre dell’89, «nove giorni prima che cambiasse il mondo, col Muro crollato e la caduta del comunismo, e da noi la fine della Prima Repubblica». L’anno prossimo sarà il centenario della sua nascita. «Quando morì, Niccolai lasciò un vuoto», scrive Veneziani, «ma era lo stesso vuoto che lo circondava quando era in vita». “Beppe” dissentiva da Almirante, e spesso era all’opposizione nell’opposizione, distante pure da Rauti. «L’avevano sistemato in una teca, con l’etichetta di coscienza critica, per venerarlo e accantonarlo». Conoscendolo, «era amabile e inquieto, tutt’altro che un fascistone prepotente con le certezze granitiche, in bianco e nero». Fascista, Niccolai lo era stato davvero, «ma sulla sua pelle: volontario in Africa, e poi – per fedeltà al suo fascismo, prigioniero degli americani nel “fascist criminal camp” ad Hereford, come l’artista Alberto Burri, lo scrittore Giuseppe Berto e Roberto Mieville, futuro capo dei giovani missini della prima ora».A Pisa, continua Veneziani, Niccolai fu l’antagonista storico di Adriano Sofri, che mobilitò Lotta Continua per impedire un suo comizio il 5 maggio del ’72. «Negli scontri con la polizia morì un anarchico, Serantini, e anche per vendicare lui pochi giorni dopo fu ucciso Calabresi. Ma Niccolai difese il “nemico” Sofri quando fu accusato d’omicidio», aggiunge Veneziani. Da parlamentare, l’amico “Beppe” «fece memorabili interventi in commissione antimafia contro le collusioni politiche, soprattutto democristiane, e fu elogiato anche da Leonardo Sciascia, allora parlamentare di sinistra». Non solo: «Denunciò le stragi e le responsabilità dei servizi segreti; e riuscì a scucire la verità ai magistrati veneziani sull’aereo Argo 16 della nostra aeronautica abbattuto dagli israeliani nel novembre del ’73 a Venezia uccidendo i militari italiani a bordo, accusati di aver salvato alcuni terroristi arabi che preparavano un attentato a un aereo di linea israeliano». Un’operazione filo-araba, condotta dall’allora ministro degli esteri Aldo Moro (cinque anni più tardi “sistemato” con l’opaca operazione terroristica affidata alle Brigate Rosse).A Niccolai, Veneziani era accomunato «dal gusto ardito dell’eresia e dalla rivoluzione conservatrice, da amici comuni come Giano Accame e il pisano Gino Benvenuti». Si scoprirono entrambi «figli di presidi di liceo, cresciuti con una buona biblioteca in casa». Quando Veneziani fu silurato dall’editoria di destra per le sue simpatie verso il socialismo tricolore di Craxi, Niccolai scrisse un pezzo solidale sul suo foglio, “L’Eco della Versilia”, e ribadì la sua protesta al congresso missino di Sorrento nel 1987, «dove fu la voce stonata nel congedo di Almirante dalla guida del Msi». Non era un vecchio arnese, Niccolai: «Nell’Msi fu con l’ala modernizzatrice di Mimmo Mennitti: voleva aprire il ghetto missino, dialogare col Craxi patriota e sognava di ricucire con la sinistra». Raccontava che l’ultimo Mussolini aveva raccomandato ai suoi fedelissimi: «Se crolla il fascismo, seguite Pietro Nenni». Veneziani lo ricorda come «uno spirito critico e appassionato, pensante e romantico, magari impolitico». Nel 1988 fu espulso dal Msi: aveva fatto votare alla direzione del partito un ordine del giorno contro i potentati economici. Solo più tardi si seppe che quel documento l’aveva ripreso, pari pari, da una relazione del comitato centrale del Pci. «Niccolai raccontò al “Corriere della Sera” la beffarda verità, e Fini lo cacciò perché all’epoca aveva orrore delle contaminazioni con la sinistra». Ma il suo scopo non era goliardico, assicura Veneziani: non voleva prendere in giro il suo partito, ma dimostrare che i pregiudizi ideologici impediscono convergenze su temi condivisi. «Era un marziano allora, figuratevi ora. Ad avercene…».«Ricordo una sera a Pisa, in una scalcagnata 500 guidata da un militante di Cecina, Altero Matteoli, divenuto poi ministro. Nel sedile posteriore, in condizioni disumane, sedevano attorcigliati Niccolai e Tatarella; benché ragazzo, mi avevano lasciato il posto davanti, come si usa per cavalleria con le donne, i disabili e gli intellettuali». Così lo scrittore, filosofo e politologo Marcello Veneziani ricorda Giuseppe Niccolai, esponente “eretico” del Msi, di cui a Pisa – sua città natale – la sinistra e l’Anpi ha appena contestato la memoria, dopo che il Comune, a trent’anni dalla sua morte, gli ha intitolato un piazzale. Chi era Niccolai? «Un politico galantuomo, un missino eretico che sognava di ricucire la ferita storica tra fascisti e comunisti e combattere insieme contro la mafia e il potere, i potentati economici e la servitù americana». “Beppe”, lo ricorda Veneziani, «fu un limpido marziano che visse nell’era ideologica integrale, il Novecento, assorbendo le sue passioni ma non i suoi livori». Quella volta a Pisa, Veneziani lo incontrò perché era in possesso di appunti inediti di Berto Ricci, altro «fascista eretico dalla mente lucida e il cuore puro», che poi furono pubblicati con la prefazione di Indro Montanelli. Sceso da quella Cinquecento, «Niccolai maneggiava i quaderni di Ricci con religiosa devozione».
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Tutti i politici italiani che hanno sempre preso soldi stranieri
In Europa c’è un paese, Metternich avrebbe detto “un’espressione geografica”, che nel XIX secolo ha preso soldi dalle banche inglesi. Lo sostiene lo storico Aldo Mola, quando scrive che «nella spedizione dei Mille, il ruolo della massoneria inglese fu determinante, con un finanziamento di tre milioni di franchi e il monitoraggio costante dell’impresa»; ma lo ha affermato anche il ben più noto Sergio Romano, basandosi su testi di Arrigo Petacco, quando scriveva che «le ragioni dell’atteggiamento britannico furono in parte culturali, in parte strettamente politiche. I liberali inglesi erano favorevoli ai moti nazionali europei. Il loro leader, William Gladstone, scrisse un feroce pamphlet contro il Regno delle due Sicilie. Londra accolse generosamente Mazzini e contribuì a fare di lui un grande personaggio europeo. Il viaggio di Garibaldi a Londra fu un successo e suggerì alle aziende di ceramica dello Staffordshire la costruzione di statuette variopinte del generale che hanno decorato da allora i caminetti delle case del Regno Unito». Certo, direte voi, ma questa è roba vecchia, vecchissima, e che risale all’Ottocento. E poi, che male c’è? Gli inglesi ci hanno aiutato contro i Borbone e contro l’Imperatore d’Austria, e hanno fatto bene. Sì, ma…In Europa c’è un paese che si è fatto finanziare dagli stranieri anche dopo, ad Italia unificata. Il Duce d’Italia, Benito Mussolini, fu finanziato dagli inglesi e dagli americani, e chi lo ha seguito al governo del paese dopo la guerra lo fece in modo anche più esplicito. E’ il caso di un certo Alcide de Gasperi, trentino, che prese un aereo per gli Stati Uniti al fine di ottenere il placet e agevolazioni finanziarie. Poi arrivò il celeberrimo Piano Marshall, un fondo basato sul finanziamento in dollari, la cui “generosità” è oggi ampiamente contestata, dato che la ripresa in Europa “occidentale” si era già avviata da sola e la politica dei prezzi americana fu pilotata per indurre gli europei a vincolarsi al sostegno americano. Non sono nessuno per avvalorare questa linea storiografica; ma, anche volendola rifiutare, al mondo solo gli zulù non ammetterebbero che ci furono finanziamenti all’Italia. E non furono sempre trasparenti come il Piano Marshall. Sereno Freato, stretto collaboratore di Aldo Moro, negli anni Novanta dichiarava ad un giudice: «Mi meraviglio, è la scoperta dell’acqua calda: i finanziamenti del governo Usa alla Democrazia Cristiana ci sono sempre stati! Ho incassato di persona un assegno da 60 milioni dal capo-stazione della Cia a Roma, un assegno destinato alle casse dello scudo crociato nei primi anni ‘60».Vabbè, direte voi, ma questa era la Dc, il partito di maggioranza relativa che doveva combattere una guerra, seppur fredda. Va bene, come osservazione ci sta, peccato che in Europa c’è un paese ove anche le opposizioni si sono fatte finanziare dagli stranieri. E mica tanti anni fa. C’era l’Urss, e quindi parliamo di soli 30 anni or sono. In un libro del 1993 apparso presso Baldini e Castoldi (“L’oro di Mosca”), Gianni Cervetti racconta di essere stato per un certo periodo il procuratore del partito, incaricato di bussare ogni anno alla porta dell’ufficio di un omino magro, taciturno, con la testa pelata e la vivacità espressiva di un busto di marmo (la descrizione è mia) che si chiamava Boris Ponomariov. Cervetti gli rappresentava le esigenze del Pci e, dopo qualche considerazione sull’entità della cifra, incassava un assegno in dollari. La pratica durò sino alla fine degli anni Settanta quando Enrico Berlinguer, allora segretario del partito, decise di mettervi fine. Vi sarebbero stati altri contributi del Pcus (Partito comunista dell’Unione Sovietica) negli anni successivi, ma destinati al «membro della direzione del Partito comunista italiano compagno Cossutta», e sarebbero serviti ad ammonire il Pci che la definitiva rottura con Mosca avrebbe comportato un rischio di scissione.L’informazione su questi ultimi finanziamenti è in un altro libro, “Oro da Mosca”, di Valerio Riva, pubblicato da Mondadori qualche anno dopo l’apparizione del libro di Cervetti. Dunque, anch’io con questo breve (e parziale) excursus storico ho scoperto l’acqua calda: governi e partiti di “quel paese in Europa” (che si chiama Italia) si sono fatti sempre SEMPRE finanziare dagli stranieri. Ora si scopre che (forse) un altro partito italiano, la Lega, si sarebbe fatto finanziare da stranieri, precisamente da industriali russi. Ricalcando la propagadanda Usa contro Trump, anche in Italia si accendono i riflettori sul Russiagate, nonostante tutti i politici italiani di centro, di destra e di sinistra sempre SEMPRE si siano fatti finanziare dagli stranieri. Chiedo allora agli illustrissimi giuristi che si buttano per terra e si contorcono in preda agli spasmi quando leggono di industriali russi che avrebbero promesso fondi ad un partito filorusso: dove accidenti sta scritto che questa cosa non si possa fare? Siamo forse in guerra con la Russia? Non lo sapevo!Sapevo di italiani in guerra contro la Russia negli anni Quaranta, quando le presero di santa ragione sul Don, ma non sapevo che anche oggi Berlusconi, Monti, Letta, Renzi, Gentiloni e Conte avessero messo in piedi un’Armir. perché solo in caso di guerra con la Russia sarebbe scandaloso un finanziamento di russi a politici italiani. Ad inizio 2018 si è completata la transizione dal finanziamento pubblico a quello (quasi) totalmente privato, come previsto dal decreto Letta del 2013. La legge non pone alcun veto al finanziamento da parte di soggetti esteri, se non con alcuni limitati distinguo a partire dall’aprile 2019, quando il governo gialloverde (no, dico… il governo gialloverde!!!), ha ridimensionato questa possibilità limitandola a fondazioni e associazioni. La verità è che, in mancanza di euro, dovrebbero consentirci di ripagare il debito pubblico in bufale: lo avremo ripianato da un pezzo.(Massimo Bordin, “Russiagate, dove diavolo è scritto che non si può?”, dal blog “Micidial” del 23 ottobre 2019).In Europa c’è un paese, Metternich avrebbe detto “un’espressione geografica”, che nel XIX secolo ha preso soldi dalle banche inglesi. Lo sostiene lo storico Aldo Mola, quando scrive che «nella spedizione dei Mille, il ruolo della massoneria inglese fu determinante, con un finanziamento di tre milioni di franchi e il monitoraggio costante dell’impresa»; ma lo ha affermato anche il ben più noto Sergio Romano, basandosi su testi di Arrigo Petacco, quando scriveva che «le ragioni dell’atteggiamento britannico furono in parte culturali, in parte strettamente politiche. I liberali inglesi erano favorevoli ai moti nazionali europei. Il loro leader, William Gladstone, scrisse un feroce pamphlet contro il Regno delle due Sicilie. Londra accolse generosamente Mazzini e contribuì a fare di lui un grande personaggio europeo. Il viaggio di Garibaldi a Londra fu un successo e suggerì alle aziende di ceramica dello Staffordshire la costruzione di statuette variopinte del generale che hanno decorato da allora i caminetti delle case del Regno Unito». Certo, direte voi, ma questa è roba vecchia, vecchissima, e che risale all’Ottocento. E poi, che male c’è? Gli inglesi ci hanno aiutato contro i Borbone e contro l’Imperatore d’Austria, e hanno fatto bene. Sì, ma…
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Barbero: pessima idea, equiparare il comunismo al nazismo
Pessima idea, equiparare il simbolo del comunismo – falce e martello – alla svastica hitleriana. A lanciare l’allarme è lo storico Alessandro Barbero, ospite dell’edizione 2019 del Festival Logos di Roma, il 24 ottobre. La tesi: il fascismo è riconducibile al faccione di Mussolini in Italia e l’orrore nazista della Germania è indentificabile in un periodo storico altrettanto circoscritto nel tempo e nello spazio. Al contrario, l’ideale comunista (poi tradito dal regime criminale dell’Urss stalinista) aveva infiammato i cuori di milioni di persone. E’ accaduto in ogni parte del pianeta, nell’arco di 150 anni, da Marx in poi, sulla base di un sogno: un mondo più giusto e migliore, per tutti. Barbero prende così le distanze dall’insidioso documento approvato il 19 settembre dal Parlamento Europeo: il testo condanna il comunismo in quanto sistema politico “totalitario”, equiparandolo al nazifascismo. Con 535 voti a favore, 66 contrari e 52 astenuti, la controversa risoluzione sulla “memoria europea” getta nella spazzatura della storia l’intera esperienza comunista internazionale. Pericolo in vista: «Nella dimensione pratica – riassume “Radio Onda d’Urto – la risoluzione impegna a eliminare qualunque simbologia presente in Europa relativa al movimento comunista internazionale, dai monumenti ai nomi delle strade».Il documento propone una ricostruzione storica più che discutibile, che vede nel patto Molotov-Ribbentrop del 1939 (la spartizione della Polonia con cui Stalin cercò di guadagnare tempo, prima di subire l’invasione hitleriana) l’espressione di un progetto egemonico sull’Europa da parte della Germania nazista e dell’Unione Sovietica. In sostanza, accusando la Russia di non avere fatto i conti con il proprio passato, il Parlamento Europeo dimentica di ricordare che fu proprio l’Urss – a Stalingrado – a fermare l’esercito nazista, permettendo all’Europa occidentale di liberarsi dal terrore totalitario con il successivo aiuto militare degli Usa. A favore del testo, che condanna anche genericamente «tutte le organizzazioni politiche accusate di promuovere l’odio e la violenza politica», hanno votato a favore gli europarlamentari di Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia e Pd. Nel sanzionare «gli atti di aggressione, i crimini contro l’umanità e le massicce violazioni dei diritti umani perpetrate dal regime nazista, da quello comunista e da altri regimi totalitari», si esprime «inquietudine per l’uso continuato di simboli di regimi totalitari nella sfera pubblica e a fini commerciali», ricordando che «alcuni paesi europei hanno vietato l’uso di simboli sia nazisti che comunisti».Attraverso il Parlamento Europeo sta dunque per calare sull’Europa una sorta di “post-verità orwelliana” destinata a mettere al bando, presto o tardi, il simbolo “falce e martello” clamorosamente equiparato alla svastica? A inquietare è il principio: la caccia alle streghe contro la simbologia comunista potrebbe essere l’antipasto di altre successive proibizioni. Vivaci, in Italia, le reazioni contrarie: lo storico dell’arte Tomaso Montanari parla di «squallore», perché è stato dimenticato il ruolo decisivo dell’Urss nella sconfitta del nazismo. Comunismo e nazismo posti sullo stesso piano? «Una falsificazione ignobile, quella della risoluzione votata dal Parlamento Europeo, come è ignobile che a votarla siano stati tanti sedicenti democratici nostrani», insorgono – come riporta “Repubblica” – Francesco Laforgia e Luca Pastorino, rispettivamente senatore e deputato di “Liberi e Uguali”. «Queste distorsioni – aggiungono – sono una pericolosa rilettura che finisce per sdoganare ideologie neo-fasciste». All’attacco anche il deputato Nicola Fratoianni, secondo cui siamo di fronte a «malafede, più che ignoranza».Protesta Massimiliano Smeriglio, eurodeputato Pd, a lungo braccio destro di Zingaretti: «Non si può costringere la storia dentro uno schema parlamentare al solo scopo di tirarla da tutte le parti, per poi finire in uno strano ecumenismo». Un altro eurodeputato Pd, Pierfrancesco Majorino, su Facebook parla di «banalizzazioni pericolose». L’equiparazione tra comunismo e nazismo «fa piangere, innanzitutto sul piano storico». Sulle barricate anche l’Anpi: «In un’unica riprovazione – afferma l’associazione partigiani – si accomunano oppressi e oppressori, vittime e carnefici, invasori e liberatori, per di più ignorando lo spaventoso tributo di sangue pagato dai popoli dell’Unione Sovietica (più di 22 milioni di morti) e persino il simbolico evento della liberazione di Auschwitz da parte dell’Armata Rossa». Secondo l’Anpi, «davanti al crescente pericolo di nazifascismi, razzismi e nazionalismi, si sceglie una strada di lacerante divisione invece che di responsabile e rigorosa unità».Chissà cosa ne direbbe Primo Levi, se fosse vivo: le pagine di un memoriale come “La tregua” propongono un vivido ritratto della prorompente, caotica vitalità delle truppe sovietiche, consapevoli – a ogni livello – si essersi sacrificate non solo per difendere il territorio russo, ma anche per liberare l’Europa dalla barbarie. Dovunque poi sia andato al governo – ammette lo stesso Barbero, storico popolarissimo in Italia grazie anche alla sua presenza televisiva – il comunismo ha agito in modo inaccettabile, deludendo i suoi stessi sostenitori. Chi tende a dichiararsi al tempo stesso antifascista e anticomunista (liberali e socialisti) sottolinea: esattamente come il nazifascismo, anche il comunismo ha finito sempre per sopprimere la democrazia e imporre un’oligarchia autoritaria e spesso violenta, se non addirittura totalitaria come nel caso dello stalinismo. Avverte però il professor Barbero: attenti, a maneggiare la storia in modo frettoloso. Falce e martello, per centinaia di milioni di esseri umani – in tutto il mondo, e per un secolo e mezzo – hanno rappresentato ideali di fraternità e dignità, pace e giustizia sociale. Per Hitler, al copntrario, l’obiettivo supremo era lo sterminio razzista degli ebrei. Sicuri che sia saggio, gettare tutto questo nello stessa fogna dove la storia ha provveduto a relegare l’aberrante nazismo tedesco?Pessima idea, equiparare il simbolo del comunismo – falce e martello – alla svastica hitleriana. A lanciare l’allarme è lo storico Alessandro Barbero, ospite dell’edizione 2019 del Festival Logos di Roma, il 24 ottobre. La tesi: il fascismo è riconducibile al faccione di Mussolini in Italia e l’orrore nazista della Germania è identificabile in un periodo storico altrettanto circoscritto nel tempo e nello spazio. Al contrario, l’ideale comunista (poi tradito dal regime criminale dell’Urss stalinista) aveva infiammato i cuori di milioni di persone. E’ accaduto in ogni parte del pianeta, nell’arco di 150 anni, da Marx in poi, sulla base di un sogno: un mondo più giusto e migliore, per tutti. Barbero prende così le distanze dall’insidioso documento approvato il 19 settembre dal Parlamento Europeo: il testo condanna il comunismo in quanto sistema politico “totalitario”, equiparandolo al nazifascismo. Con 535 voti a favore, 66 contrari e 52 astenuti, la controversa risoluzione sulla “memoria europea” getta nella spazzatura della storia l’intera esperienza comunista internazionale. Pericolo in vista: «Nella dimensione pratica – riassume “Radio Onda d’Urto” – la risoluzione impegna a eliminare qualunque simbologia presente in Europa relativa al movimento comunista internazionale, dai monumenti ai nomi delle strade».