Archivio del Tag ‘shock economy’
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Lockdown in Costituzione: il prezzo per uscire dal Covid
Pronti per il lockdown climatico, dopo quello sanitario? Tira brutta aria, dalle parti della Costituzione: la strana modifica dell’articolo 9 (attuata quasi sotto silenzio) mette il governo nelle condizioni di imporre le peggiori restrizioni, senza che il cittadino abbia più nemmeno la protezione del paracadute costituzionale. Che significa? L’establishment teme di dover pagare un prezzo per i recenti abusi di potere, e quindi prova a renderli conformi alla Carta? No, la situazione è peggiore: secondo Matt Martini, si stanno ponendo le premesse per rendere “eterna” la dominazione sperimentata negli ultimi due anni. Dal canto suo, Nicola Bizzi offre una precisa spiegazione politica: la manomissione della Costituzione può esser stata pretesa dai poteri dominanti (Davos, Bruxelles) in cambio della concessione – finalmente – degli allentamenti sul Covid, visto anche che la narrazione pandemica si è fatta ormai insostenibile. E quindi: liberi tutti – riguardo al virus – ma a patto che, prima ancora, l’Italia si predisponga a subire altre, eventuali costrizioni: magari quelle raccomandate dall’élite che utilizza, come spaventapasseri, la piccola Greta Thunberg.«Trovo pericolosa la riforma dell’articolo 9 della Costituzione, con l’introduzione del riferimento alla tutela dell’ambiente, insieme a quello che viene definito “l’interesse delle future generazioni”», premette Martini, nella trasmissione “Nexus Reloaded” con Tom Bosco e lo stesso Bizzi. «A prima vista può sembrare un fatto positivo, ma in realtà la tutela dell’ambiente è uno dei cardini pseudo-ecologisti e malthusiani del pensiero del Club di Roma, che poi ha originato il Forum di Davos, causa di tutti i nostri mali». In sostanza si introducono nuovi obiettivi, all’interno del sistema giuridico italiano: e questo permetterà di giustificare i lockdown e tutte le restrizioni che venissero introdotte. «Se prima avevamo lo strumento giuridico per far decadere tutto, in questo modo avranno il dispositivo potenziale per far decadere (anche retroattivamente) l’annullamento e la condanna di tutte le malaugurate norme introdotte da Conte e poi confermate da Draghi».Aggiunge Martini: in un altro passaggio dell’articolo che è stato appena riformato, senza che il Parlamento battesse ciglio, si prevede che l’iniziativa economica individuale debba essere compatibile con l’utilità ambientale e la difesa della salute. «In questo modo, quindi, c’è la giustificazione del fatto che, domani, io possa chiudere la tua attività produttiva per ragioni di ordine ambientale o sanitario». Dunque: «Si sono messi in cassaforte i presupposti giuridici per agire in maniera autoritaria contro la libertà economica individuale, quindi anche contro la libertà d’impresa». Per Matteo Martini, co-autore del saggio “Operazione Corona”, è un assegno in bianco: che il governo potrà compilare con quello che vuole. «Chi lo stabilisce, infatti, qual è il citato “interesse delle generazioni future”? Il diritto alla salute, lo abbiamo già visto, è stato considerato prioritario rispetto a tutti gli altri (alla libertà personale, al diritto al lavoro)». Di fatto, «si agisce d’arbitrio, nel modificare la giurisprudenza: e se domani stabiliscono che “l’interesse delle future generazioni” è prioritario, rispetto a tutti gli altri diritti, compreso il diritto alla vita?».Insiste l’analista: «In nuce, vedo l’introduzione di un principio insidioso: sono tutte spallate verso una deriva molto pericolosa. Questo è un ulteriore chiodo nella bara dell’Italia». Martini è molto pessimista, sul futuro della situazione italiana: «Anche quando dovesse finire tutta questa pagliacciata del Covid (che prima o poi finirà), e anche se la situazione economica dovesse temporaneamente riprendersi, noi a questo punto abbiamo sulla testa una spada di Damocle». E cioè: «Ulteriori lockdown e ulteriori restrizioni, per qualsiasi eventuale futura emergenza, visto che qui ormai lavorano contro di noi in termini di “shock economy”». L’orizzonte resta buio, a quanto pare: «Questa è una situazione molto pericolosa, adesso inserita addirittura in Costituzione. A mio avviso, per l’Italia la situazione è veramente preoccupante: parlo del futuro, dei prossimi 5-10 anni». Lo stesso Martini ammette di esser stato colto in contropiede: «Purtroppo non mi aspettavo una situazione di questo tipo: ci ha sorpreso tutti».Ancora più drastico Nicola Bizzi, che di “Operazione Corona” è l’editore. «Questo è un attentato alla democrazia e alla Costituzione», scandisce. E spiega: probabilmente è il frutto di un tacito patto. Uno scambio: vi concediamo di uscire dall’incubo narrativo Covid, ma voi vi lasciate legare le mani anche per il futuro. Il blitz sulla Costituzione, secondo Bizzi, sarebbe stato anticipato: in realtà, era in programma più avanti. «Lo hanno anticipato ora, appena dopo la riconferma di Mattarella, sfumata la possibilità che al Quirinale salisse Draghi: in quel caso, la riforma dell’articolo 9 sarebbe probabilmente slittata dopo l’estate, o forse addirittura a fine legislatura». E perché a Draghi è stato negato il Colle? «A parte il fatto che era “bruciato” a livello internazionale, agli occhi di vari potentati economici e finanziari, in realtà è stato “impallinato” peché la politica italiana ha iniziato il fuggi-fuggi, il “si salvi chi può”», sostiene Bizzi, che spiega: «Se finora il sistema ha favorito l’affondamento dell’Italia dal punto di vista umano, demografico, economico e sociale, provocando una vera e propria devastazione, i politici ora pensano: “Se il sistema affonda troppo, poi affondiamo anche noi. Se cade il sistema, l’ordine costituito, magari ci aspettano sotto casa con i forconi”».Hanno davvero paura che cada il sistema, insiste Bizzi: per questo la politica italiana si è blindata. «Nel suo discorso di insediamento, Mattarella ha pronunciato 18 volte la parola “dignità”: si riferiva alla dignità della politica, della partitocrazia. Come a dire: il sistema-Italia ha pur sempre una sua dignità; quindi non è giusto che affondi, deve salvare se stesso. E allora hanno deciso di intraprendere una linea di de-escalation». Per ora, Mario Draghi resta al governo, ma secondo Bizzi si dimetterà entro marzo: «Approderà a qualche organismo internazione (Banca Mondiale, Fmi) perché non vede l’ora di allontarsi da qui». A sostituirlo, probabilmente, «sarà sempre un governo farlocco (un governo tecnico, non elettorale) che porterà avanti la de-escalation, visto che ormai siamo arrivati ai “tempi supplementari”, riguardo alla narriva Covid». Ed ecco il punto: «Questa riforma costituzionale l’hanno voluta e attuata proprio ora, perché è stata una sorta di “conditio sine qua non”, da parte dei poteri di Davos e della Commissione Europea, come a dire: intanto attuate questa riforma, poi potrete fare tutta la de-escalation che vorrete».E’ uno scambio, dice Bizzi: chiudere la storia-Covid, ma in compenso tenere aperta la porta per nuove emergenze. «Diamo un’occhiata in casa altrui: a parte la Gran Bretagna, che è fuori dall’Ue e quindi fa quello che crede, nei limiti del possibile, osserviamo quei paesi che hanno preceduto l’Italia negli allentamenti delle restrizioni, mettendo fine alla farsa pandemica». Danimarca e Norvegia, Olanda, Spagna, nazioni dell’Est Europa: cosa hanno patteggiato, con Bruxelles, in cambio di queste riaperture? «Molto probabilmente hanno accettato la prossima adozione di misure “green”: e se vedremo che avranno intenzione, anche loro, di effettuare riforme costituzionali vincolanti, dal punto di vista pseudo-ambientalista, nel segno della “decarbonizzazione” – quindi, misure malthusiane a lunga scadenza – sarà la conferma che questo è stato uno scambio, un patto. Perché questi non mollano, vogliono andare avanti a oltranza: chiusa la narrazione Covid, voglio aprire la narrazione climatico-ambientale».Attenzione: «La nuova narrazione – continua Bizzi – adesso la vogliono aprire ufficialmente, visto che finora è stata aperta solo a parole: cioè con dichiarazioni e proclami, inclusa la recente farsa del gas (che in realtà non è mai mancato) e quella dei blackout (che finora non sono avvenuti, e ormai l’inverno è quasi alle spalle)». L’élite vorrebbe comunque portare avanti l’Agenda 2030, secondo altre direttive, visto che l’Operazione Corona ormai è finita. Certo – aggiunge Bizzi – l’Italia sarà uno degli ultimi paesi, a chiuderla, «perché ci mangiano sopra in troppi: è il classico mangia-mangia all’italiana, e non è facile smantellarlo rapidamente». Afferma l’editore di “Aurora Boreale”: «Ci sono resistenze, da parte della politica: ci mangiano i sindaci, i governatori delle Regioni e i personaggi attorno alla politica, che vivono di appalti e subappalti, razzie, favori e clientelismi». Domenico Arcuri? «Era solo la vetta dell’iceberg: c’è un sistema che sta mangiando, ancora, sulla farsa pandemica. E vorrebbe continuare a mangiare».Pronti per il lockdown climatico, dopo quello sanitario? Tira brutta aria, dalle parti della Costituzione: la strana modifica dell’articolo 9 (attuata quasi sotto silenzio) mette il governo nelle condizioni di imporre le peggiori restrizioni, senza che il cittadino abbia più nemmeno la protezione del paracadute costituzionale. Che significa? L’establishment teme di dover pagare un prezzo per i recenti abusi di potere, e quindi prova a renderli conformi alla Carta? No, la situazione è peggiore: secondo Matt Martini, si stanno ponendo le premesse per rendere “eterna” la dominazione sperimentata negli ultimi due anni. Dal canto suo, Nicola Bizzi offre una precisa spiegazione politica: la manomissione della Costituzione può esser stata pretesa dai poteri dominanti (Davos, Bruxelles) in cambio della concessione – finalmente – degli allentamenti sul Covid, visto anche che la narrazione pandemica si è fatta ormai insostenibile. E quindi: liberi tutti – riguardo al virus – ma a patto che, prima ancora, l’Italia si predisponga a subire altre, eventuali costrizioni: magari quelle raccomandate dall’élite che utilizza, come spaventapasseri, la piccola Greta Thunberg.
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Scuola di golpe: è nato in Serbia l’oscuro progetto Guaidò
Prima della data fatidica del 22 gennaio, meno di un venezuelano su 5 aveva mai sentito parlare di Juan Guaidó. Solo pochi mesi fa, il trentacinquenne era un personaggio oscuro in un gruppo di estrema destra di scarsa influenza politica, strettamente associato a macabri atti di violenza di strada. Anche nel suo stesso partito, Guaidó era una figura di medio livello nell’Assemblea Nazionale dominata dall’opposizione, che sta ora agendo in maniera incostituzionale. Ma dopo una sola telefonata dal vicepresidente degli Stati Uniti, Mike Pence, Guaidó si è proclamato presidente del Venezuela. Unto come capo del suo paese da Washington, uno sguazzatore di bassifondi politici precedentemente sconosciuto è stato fatto salire sul palcoscenico internazionale, selezionato dagli Stati Uniti come il leader della nazione con le maggiori riserve petrolifere del mondo. Facendo eco al consenso di Washington, il comitato editoriale del “New York Times” ha definito Guaidó un «rivale credibile» per il presidente Nicolás Maduro, con uno «stile rinfrescante e una visione per portare avanti il paese». Il comitato editoriale di “Bloomberg” lo ha applaudito per aver cercato «il ripristino della democrazia», e il “Wall Street Journal” lo ha dichiarato «un nuovo leader democratico».Al contempo il Canada, numerose nazioni europee, Israele e il blocco dei governi latinoamericani di destra, conosciuti come il Gruppo di Lima, hanno riconosciuto Guaidó come il leader legittimo del Venezuela. Mentre Guaidó sembra essersi materializzato dal nulla, è in realtà il prodotto di oltre un decennio di coltivazione attenta da parte delle “fabbriche di cambio di regime” del governo degli Stati Uniti. Accanto a un gruppo di attivisti studenteschi di destra, Guaidó è stato coltivato per minare il governo socialista, destabilizzare il paese e un giorno prendere il potere. Sebbene sia stato una figura minore nella politica venezuelana, ha passato anni a dimostrare la sua “dignità” nelle sale del potere di Washington. «Juan Guaidó è un personaggio creato per questa circostanza», ha detto a “Grayzone” Marco Teruggi, sociologo argentino e tra i principali cronisti della politica venezuelana. «È la logica di laboratorio: Guaidó è come una miscela di diversi elementi che creano un personaggio che, in tutta onestà, oscilla tra il risibile e il preoccupante».Diego Sequera, giornalista e scrittore venezuelano per l’agenzia investigativa “Mision Verdad”, concorda: «Guaidó è più popolare fuori dal Venezuela che dentro, specialmente nelle élite Ivy League e nei circoli di Washington. È un personaggio conosciuto lì, è prevedibilmente di destra ed è considerato fedele al programma». Mentre Guaidó è oggi venduto come il volto della restaurazione democratica, ha trascorso la sua carriera nella fazione più violenta del partito di opposizione più radicale del Venezuela, posizionandosi in prima linea in una campagna di destabilizzazione dopo l’altra. Il suo partito è stato ampiamente screditato in Venezuela, ed è ritenuto in parte responsabile della frammentazione di un’opposizione fortemente indebolita. «Questi leader radicali non hanno più del 20% nei sondaggi d’opinione», scrive Luis Vicente León, il principale sondaggista del Venezuela. Secondo Leon, il partito di Guaidó rimane isolato perché la maggioranza della popolazione non vuole la guerra: «Quello che vogliono è una soluzione».Ma questo è precisamente il motivo per cui Guaidó è stato scelto da Washington: non è previsto che guidi il Venezuela verso la democrazia, ma che faccia collassare un paese che negli ultimi due decenni è stato un baluardo di resistenza all’egemonia degli Stati Uniti. La sua improbabile ascesa segna il culmine di un progetto durato due decenni per distruggere un solido esperimento socialista. Dall’elezione del 1998 di Hugo Chavez, gli Stati Uniti hanno combattuto per ripristinare il controllo sul Venezuela e le sue vaste riserve petrolifere. I programmi socialisti di Chavez hanno in parte ridistribuito la ricchezza del paese e aiutato a sollevare milioni dalla povertà, ma gli hanno anche dipinto un bersaglio sulle spalle. Nel 2002, l’opposizione di destra venezuelana lo depose con un colpo di Stato che aveva il sostegno e il riconoscimento degli Stati Uniti, ma l’esercito ripristinò la sua presidenza dopo una mobilitazione popolare di massa. Durante le amministrazioni dei presidenti degli Stati Uniti George W. Bush e Barack Obama, Chavez è sopravvissuto a numerosi tentativi di omicidio, prima di soccombere al cancro nel 2013. Il suo successore, Nicolás Maduro, è sopravvissuto a tre attentati.L’amministrazione Trump ha immediatamente elevato il Venezuela al vertice della lista dei cambi di regime di Washington, dandogli il marchio di leader di una “troika della tirannia”. L’anno scorso, la squadra di sicurezza nazionale di Trump ha cercato di reclutare membri dell’esercito venezuelano per istaurare una giunta militare, ma questo sforzo è fallito. Secondo il governo venezuelano, gli Stati Uniti erano anche coinvolti in una trama chiamata “Operazione Costituzione” per catturare Maduro nel palazzo presidenziale di Miraflores, e un’altra chiamata “Operazione Armageddon” per assassinarlo a una parata militare nel luglio 2017. Poco più di un anno dopo, i leader dell’opposizione esiliata hanno cercato di uccidere Maduro, usando droni-bomba durante una parata militare a Caracas. Più di un decennio prima di questi intrighi, un gruppo di studenti dell’opposizione di destra fu selezionato e curato da un’accademia di formazione d’élite per il cambio di regimi, finanziata dagli Stati Uniti per rovesciare il governo venezuelano e ripristinare l’ordine neoliberista.Il 5 ottobre 2005, con la popolarità di Chavez al suo apice e il suo governo che pianifica vasti programmi socialisti, cinque “leader studenteschi” venezuelani arrivarono a Belgrado, in Serbia, per iniziare l’addestramento per un’insurrezione. Gli studenti erano arrivati dal Venezuela per gentile concessione del Centro per le azioni e strategie nonviolente applicate, o Canvas. Questo gruppo è finanziato in gran parte attraverso il National Endowment for Democracy, un cut-out della Cia che funziona come il braccio principale del governo degli Stati Uniti per promuovere i cambi di regime, e propaggini come l’International Republican Institute e il National Democratic Institute for International Affairs. Secondo le e-mail interne trapelate da Stratfor, una società di intelligence nota come “la Cia-ombra”, «Canvas potrebbe aver ricevuto finanziamenti e addestramento dalla Cia durante la lotta anti-Milosevic del 1999-2000».Canvas è uno spin-off di Otpor, un gruppo di protesta serbo fondato da Srdja Popovic nel 1998 all’Università di Belgrado. Otpor, che significa “resistenza” in serbo, è stato il gruppo studentesco che ha guadagnato fama internazionale – e la pubblicità di Hollywood – mobilitando le proteste che alla fine hanno fatto cadere Slobodan Milosevic. Questa piccola cellula di specialisti del cambio di regime operava secondo le teorie del defunto Gene Sharp, “il Von Clausewitz della lotta non violenta”. Sharp aveva lavorato con un ex analista della Defense Intelligence Agency, il colonnello Robert Helvey, per ideare le linee guida per l’utilizzo della protesta come una forma di guerra ibrida, mirata agli Stati che resistevano alla dominazione unipolare di Washington. Otpor è stato sostenuto dal National Endowment for Democracy, dall’Usaid e dall’Istituto Albert Einstein di Sharp. Sinisa Sikman, uno dei creatori di Otpor, una volta ha detto che il gruppo ha persino ricevuto finanziamenti diretti della Cia.Secondo un’e-mail trapelata dallo staff di Stratfor, dopo aver eliminato Milosevic dal potere, «i ragazzi che gestivano Otpor sono cresciuti, si sono vestiti bene e hanno progettato Canvas, o in altre parole un gruppo “export-a-revolution” che ha gettato i semi delle varie altre “rivoluzioni colorate”. Sono ancora legati ai finanziamenti degli Stati Uniti e fondamentalmente vanno in giro per il mondo cercando di rovesciare dittatori e governi autocratici (quelli che agli Usa non piacciono)». Stratfor ha rivelato che Canvas «ha rivolto la sua attenzione al Venezuela» nel 2005, dopo aver addestrato i movimenti di opposizione che hanno portato le operazioni di cambio di regime pro-Nato in tutta l’Europa orientale. Mentre monitorava il programma di formazione Canvas, Stratfor ha delineato il suo programma insurrezionalista in un linguaggio straordinariamente chiaro: «Il successo non è affatto garantito, e i movimenti studenteschi sono solo l’inizio di quello che potrebbe essere uno sforzo di anni per innescare una rivoluzione in Venezuela, ma i formatori sono le persone che si sono fatte le ossa col “Macellaio dei Balcani”. Hanno delle abilità pazzesche. Quando vedrete studenti in cinque università venezuelane tenere dimostrazioni simultanee, saprete che la formazione è finita e il vero lavoro è iniziato».Il “vero lavoro” è iniziato due anni dopo, nel 2007, quando Guaidó si è laureato presso l’Università Cattolica Andrés Bello di Caracas. Si è trasferito a Washington per iscriversi al corso di governance e gestione politica presso la George Washington University sotto la guida dell’economista venezuelano Luis Enrique Berrizbeitia, uno dei principali economisti neoliberali latinoamericani. Berrizbeitia è un ex direttore esecutivo del Fondo Monetario Internazionale, che ha trascorso oltre un decennio lavorando nel settore energetico venezuelano sotto il vecchio regime oligarchico poi estromesso da Chavez. Quell’anno, Guaidó contribuì a guidare i raduni anti-governativi dopo che il governo venezuelano rifiutò di rinnovare la licenza di “Radio Caracas Televisión” (Rctv). Questa stazione privata svolse un ruolo di primo piano nel colpo di Stato del 2002 contro Hugo Chavez. “Rctv” aiutò a mobilitare i manifestanti anti-governativi, diffondendo informazioni false che incolpavano i sostenitori del governo di atti di violenza, compiuti in realtà dai membri dell’opposizione, e censurò tutte le dichiarazioni pro-governative in occasione del colpo di Stato.Il ruolo di “Rctv” e di altre stazioni di proprietà degli oligarchi nel guidare il fallito tentativo di colpo di Stato è stato ben descritto nell’acclamato documentario “La rivoluzione non sarà trasmessa”. Nello stesso anno, gli studenti rivendicarono il merito di aver soffocato il referendum costituzionale di Chavez per “un socialismo del XXI secolo” che prometteva di «impostare il quadro legale per la riorganizzazione politica e sociale del paese, dando un potere diretto alle comunità organizzate come prerequisito per lo sviluppo di un nuovo sistema economico». Dalle proteste su “Rctv” e referendum, nacque un gruppo specializzato di attivisti del cambio di regime sostenuto dagli Stati Uniti. Si sono definiti “Generation 2007”. I formatori di Stratfor e Canvas di questa cellula hanno identificato un organizzatore chiamato Yon Goicoechea, alleato di Guaidó – quale “fattore chiave” nel soffocamento del referendum costituzionale. L’anno seguente, Goicochea fu ricompensato per i suoi sforzi con il Milton Friedman Prize for Advancing Liberty del Cato Institute, insieme a un premio di 500.000 dollari, che investì prontamente nella costruzione della sua rete politica “Prima la Libertà” (Primero Justicia).Friedman, naturalmente, era il padrino del famigerato think-tank neoliberista dei Chicago Boys che fu importato in Cile dal leader della giunta dittatoriale Augusto Pinochet per attuare politiche di radicale austerità fiscale in stile “shock-doctrine”. E il Cato Institute è il think-tank neoliberista di Washington, fondato dai fratelli Koch, due grandi donatori del partito repubblicano che sono diventati aggressivi sostenitori della destra in tutta l’America Latina. WikiLeaks ha pubblicato un’e-mail del 2007 che l’ambasciatore americano in Venezuela William Brownfield ha inviato al Dipartimento di Stato, al Consiglio di sicurezza nazionale e al Comando meridionale del Dipartimento della difesa elogiando «la Generazione del ‘07» per aver «costretto il presidente venezuelano, abituato a fissare l’agenda politica, a reagire spropositatamente». Tra i «leader emergenti» identificati da Brownfield c’erano Freddy Guevara e Yon Goicoechea. Ha applaudito quest’ultima figura come «uno dei difensori più articolati delle libertà civili». Riempiti di denaro dagli oligarchi neoliberali, i quadri radicali venezuelani hanno portato le loro tattiche Otpor nelle strade, insieme a una loro particolare versione del logo del gruppo.Nel 2009, gli attivisti giovanili di “Generation 2007” hanno messo in scena la loro dimostrazione più provocatoria, calandosi i pantaloni nelle strade e scimmiottando le “scandalose” tattiche di “guerrilla” delineate da Gene Sharp nei suoi manuali sul cambio di regime. I manifestanti si erano mobilitati contro l’arresto di un alleato di un altro gruppo giovanile, chiamato Javu. Questo gruppo di estrema destra «raccolse fondi da una varietà di fonti governative degli Stati Uniti, che gli permisero di acquisire rapida notorietà come l’ala più dura dei movimenti di opposizione», secondo il libro dell’accademico George Ciccariello-Maher, “Building the Commune”. Mentre i video della protesta non sono disponibili, molti venezuelani hanno identificato Guaidó come uno dei suoi partecipanti chiave. Sebbene l’accusa non sia confermata, è certamente plausibile; i manifestanti con le natiche nude erano membri del nucleo interno di “Generazione 2007” a cui apparteneva Guaidó e indossavano le T-shirt col loro marchio di fabbrica “Resistencia!”.Quell’anno, Guaidó si espose al pubblico in un altro modo, fondando un partito politico per catturare l’energia anti-Chavez che la sua “Generazione 2007” aveva coltivato. Il partito, chiamato “Volontà popolare”, fu guidato da Leopoldo López, un purosangue di destra educato a Princeton, pesantemente coinvolto nei programmi del National Endowment for Democracy ed eletto sindaco di un distretto di Caracas tra i più ricchi del paese. Lopez era un ritratto dell’aristocrazia venezuelana, direttamente discendente dal primo presidente del suo paese. È anche cugino di Thor Halvorssen, fondatore della Human Rights Foundation, con sede negli Stati Uniti, che funge da facciata pubblicitaria per gli attivisti anti-governativi sostenuti dagli Stati Uniti in paesi presi di mira da Washington. Sebbene gli interessi di Lopez fossero allineati perfettamente con quelli di Washington, i documenti diplomatici statunitensi pubblicati da WikiLeaks mettevano in luce le tendenze fanatiche che avrebbero portato alla marginalizzazione dal consenso popolare.Un comunicato identificava Lopez come «una figura di divisione all’interno dell’opposizione, spesso descritta come arrogante, vendicativa e assetata di potere». Altri hanno evidenziato la sua ossessione per gli scontri e il suo «approccio intransigente» come fonte di tensione con altri leader dell’opposizione, che davano priorità all’unità e alla partecipazione alle istituzioni democratiche del paese. Nel 2010 “Volontà Popolare” e i suoi sostenitori stranieri si sono mossi per sfruttare la peggiore siccità che avesse colpito il Venezuela, da decenni. La grande carenza di energia elettrica aveva colpito il paese a causa della scarsità d’acqua, necessaria per alimentare le centrali idroelettriche. La recessione economica globale e un calo dei prezzi del petrolio aggravarono la crisi, provocando il malcontento pubblico. Stratfor e Canvas – i principali consiglieri di Guaidó e dei suoi quadri anti-governativi – escogitarono un piano scandalosamente cinico per pugnalare al cuore la rivoluzione bolivariana. Il piano prevedeva un crollo del 70% del sistema elettrico del paese già nell’aprile 2010.«Questo potrebbe essere l’evento spartiacque, poiché c’è poco che Chavez possa fare per proteggere i poveri dal fallimento di quel sistema», dichiara il memorandum interno di Stratfor. «Questo avrà probabilmente l’effetto di galvanizzare i disordini pubblici in un modo che nessun gruppo di opposizione potrebbe mai sperare di generare. A quel punto, un gruppo di opposizione potrebbe servirsene per approfittare della situazione e scagliare l’opinione pubblica contro Chavez». In quel momento l’opposizione venezuelana riceveva 40-50 milioni di dollari l’anno da organizzazioni governative statunitensi come Usaid e National Endowment for Democracy, secondo un rapporto di un think-tank spagnolo, l’Istituto Frude. Aveva anche una grande ricchezza da attingere dai suoi conti, che erano per lo più al di fuori del paese. Ma lo scenario immaginato da Statfor non si realizzò, gli attivisti del partito “Volontà Popolare” e i loro alleati misero quindi da parte ogni pretesa di non violenza e si unirono in un piano radicale di destabilizzazione del paese.Nel novembre 2010, secondo le e-mail ottenute dai servizi di sicurezza venezuelani e presentate dall’ex ministro della giustizia Miguel Rodríguez Torres, Guaidó, Goicoechea e diversi altri attivisti studenteschi hanno partecipato ad un corso di formazione segreto di cinque giorni presso l’hotel Fiesta Mexicana di Città del Messico. Le sessioni sono state condotte da Otpor, i formatori del cambio regime a Belgrado appoggiati dal governo degli Stati Uniti. Secondo quanto riferito, l’incontro aveva ricevuto la benedizione di Otto Reich, un esiliato cubano fanaticamente anticastrista che lavorava nel Dipartimento di Stato di George W. Bush, e dall’ex presidente colombiano di destra Alvaro Uribe. All’hotel Fiesta Mexicana, Guaidó e i suoi compagni attivisti hanno ordito un piano per rovesciare Hugo Chavez generando il caos attraverso spasmi prolungati di violenza di strada.Tre personaggi dell’industria petrolifera – Gustavo Tovar, Eligio Cedeño e Pedro Burelli – hanno a quanto pare pagato il conto di 52.000 dollari dell’albergo. Torrar è un autoproclamato “attivista per i diritti umani” e “intellettuale”, il cui fratello minore Reynaldo Tovar Arroyo è il rappresentante in Venezuela della società petrolifera messicana privata Petroquimica del Golfo, che ha un contratto con lo Stato venezuelano. Cedeño, da parte sua, è un fuggitivo uomo d’affari venezuelano che ha chiesto asilo negli Stati Uniti, e Pedro Burelli un ex dirigente della Jp Morgan ed ex direttore della compagnia petrolifera nazionale venezuelana Petroleum of Venezuela (Pdvsa). Lasciò la Pdvsa nel 1998 mentre Hugo Chavez prendeva il potere, e faceva parte del comitato consultivo del programma di leadership in America Latina della Georgetown University. Burelli ha insistito sul fatto che le e-mail che dettagliavano la sua partecipazione erano state inventate, e ha persino assunto un investigatore privato per dimostrarlo. L’investigatore dichiarò che i registri di Google mostravano che le e-mail che si presumeva fossero sue non vennero mai trasmesse.Eppure oggi Burelli non fa mistero del suo desiderio di vedere deposto l’attuale presidente venezuelano, Nicolás Maduro, e anche di volerlo «trascinato per le strade e sodomizzato con una baionetta», come accaduto al capo libico Muhammar Gheddafi, così trattato dai miliziani sostenuti dalla Nato. La presunta trama di Fiesta Mexicana è confluita in un altro piano di destabilizzazione, rivelato in una serie di documenti mostrati dal governo venezuelano. Nel maggio 2014, Caracas ha rilasciato documenti che descrivono un complotto di omicidio contro il presidente Nicolás Maduro. Le fughe di notizie hanno identificato Maria Corina Machado, con sede a Miami, come leader del piano. Estremista con un debole per la retorica estrema, Machado ha funto da collegamento internazionale per l’opposizione, incontrando addirittura il presidente George W. Bush nel 2005. «Penso che sia tempo di raccogliere gli sforzi; fai le chiamate necessarie e ottieni finanziamenti per annientare Maduro e il resto andrà in pezzi», ha scritto Maria Corina Machado in una e-mail all’ex diplomatico venezuelano Diego Arria nel 2014.In un’altra email, la Machado sosteneva che la trama violenta aveva la benedizione dell’ambasciatore statunitense in Colombia, Kevin Whitaker. «Ho già deciso, e questa lotta continuerà fino a quando questo regime non sarà rovesciato e consegneremo il risultato ai nostri amici nel mondo. Se sono andata a San Cristobal e mi sono esposta all’Oas, non ho paura di nulla. Kevin Whitaker ha già riconfermato il suo sostegno e ha sottolineato i nuovi passaggi. Abbiamo un libretto degli assegni più forte di quello del regime per rompere l’anello di sicurezza internazionale». Nel febbraio 2014, i manifestanti studenteschi che agivano come truppe d’assalto per l’oligarchia in esilio eressero barricate in tutto il paese, trasformando quartieri controllati dall’opposizione in fortezze violente, note come “guarimbas”. Mentre i media internazionali ritraevano lo sconvolgimento come una protesta spontanea contro la regola del pugno di ferro di Maduro, ci sono molte prove che fosse “Volontà Popolare” ad orchestrare lo spettacolo.«I manifestanti delle università non indossavano le loro magliette, tutti indossavano magliette di “Volontà Popolare” o “Justice First”», ha detto un partecipante alla “guarimba”, all’epoca. «Potrebbero essere stati gruppi di studenti, ma i consigli studenteschi sono affiliati ai partiti politici di opposizione e sono responsabili nei loro confronti». Alla domanda su chi fossero i capobanda, il partecipante alla “guarimba” ha dichiarato: «Beh, ad essere onesti, quei ragazzi ora sono in Parlamento». Circa 43 sono stati i morti durante le “guarimbas” del 2014. Le stesse violenze eruttarono di nuovo tre anni dopo, causando grandi distruzioni di infrastrutture pubbliche, l’assassinio di sostenitori del governo e la morte di 126 persone, molte delle quali erano chaviste. In diversi casi, i sostenitori del governo sono stati bruciati vivi da bande armate. Guaidó è stato direttamente coinvolto nelle “guarimbas” del 2014. Infatti, ha twittato un video in cui si mostrava vestito con un elmetto e una maschera antigas, circondato da elementi mascherati e armati che avevano bloccato un’autostrada e che si stavano impegnando in uno scontro violento con la polizia. Alludendo alla sua partecipazione alla “Generazione 2007”, proclamava: «Ricordo che nel 2007, abbiamo proclamato, “Studenti!”. Ora gridiamo: “Resistenza! Resistenza”». Guaidó ha poi cancellato il tweet, dimostrando un’apparente preoccupazione per la sua immagine di paladino della democrazia.Il 12 febbraio 2014, durante il culmine delle “guarimbas” di quell’anno, Guaidó si è unito a Lopez sul palco di una manifestazione di “Volontà Popolare” e “Prima la Giustizia”. Con un lungo discorso contro il governo, Lopez esortò la folla a marciare verso l’ufficio del procuratore generale Luisa Ortega Diaz. Poco dopo, l’ufficio di Diaz venne attaccato da bande armate che tentarono di bruciarlo. La Diaz ha definito l’episodio come «violenza programmata e premeditata». In un’apparizione televisiva del 2016, Guaidó ha liquidato come “mito” le morti risultanti da “guayas” – una tattica di “guarimba” che consiste nel piazzare filo spinato su una strada ad altezza della testa per ferire o uccidere motociclisti. I suoi commenti hanno minimizzato una tattica micidiale che aveva ucciso civili disarmati come Santiago Pedroza e decapitato un uomo di nome Elvis Durán, tra molti altri. Questo insensibile disprezzo per la vita umana definisce “Volontà Popolare” agli occhi di gran parte del pubblico, compresi molti avversari di Maduro.Con l’intensificarsi della violenza e della polarizzazione politica in tutto il paese, il governo ha iniziato ad agire contro i leader di “Volontà Popolare”. Freddy Guevara, vicepresidente dell’Assemblea Nazionale e secondo in comando di “Volontà Popolare”, è stato il principale leader delle rivolte di strada del 2017. Di fronte a un processo per il suo ruolo nelle violenze, Guevara si è rifugiato nell’ambasciata cilena, dove rimane. Lester Toledo, un legislatore di “Volontà Popolare” dello Stato di Zulia, è stato ricercato dal governo venezuelano nel settembre 2016 con l’accusa di finanziamento del terrorismo e di complotto a fini di omicidio. Si dice che i piani siano stati preparati insieme all’ex presidente colombiano Álavaro Uribe. Toledo è fuggito dal Venezuela e ha fatto diverse tournée con Human Rights Watch, la Freedom House, il Congresso spagnolo e il Parlamento Europeo, sostenuto dal governo degli Stati Uniti.Carlos Graffe è un altro membro della “Generazione 2007” addestrata da Otpor, che ha guidato Volontà Popolare. E’ stato arrestato nel luglio 2017. Secondo la polizia, era in possesso di una borsa piena di chiodi, esplosivo C4 e un detonatore. È stato rilasciato il 27 dicembre 2017. Leopoldo Lopez, il leader di lunga data di “Volontà Popolare”, è oggi agli arresti domiciliari, accusato di aver avuto un ruolo chiave nella morte di 13 persone durante le “guarimbas” nel 2014. Amnesty International ha elogiato Lopez come «prigioniero di coscienza». Nel frattempo, i familiari delle vittime di “guarimba” hanno presentato una petizione per ulteriori accuse contro Lopez. Goicoechea, il poster-boy dei fratelli Koch e fondatore di “Prima la Giustizia”, sostenuto dagli Stati Uniti, è stato arrestato nel 2016 dalle forze di sicurezza, che hanno affermato di aver trovato un chilo di esplosivo nel suo veicolo. In un editoriale del “New York Times”, Goicoechea ha protestato contro le accuse (che definisce false) e ha affermato di essere stato imprigionato semplicemente per il suo «sogno di una società democratica, libera dal comunismo». È stato liberato nel novembre 2017.David Smolansky, anche lui membro dell’originale “Generation 2007” di Otpor, è diventato il più giovane sindaco venezuelano quando è stato eletto nel 2013 nel ricco sobborgo di El Hatillo. Ma è stato spogliato della sua posizione e condannato a 15 mesi di prigione dalla Corte Suprema dopo essere stato trovato colpevole di aver fomentato le violenze delle “guarimbas”. Prima dell’arresto, Smolansky si rasò la barba, indossò occhiali da sole e scivolò in Brasile travestito da prete con una Bibbia in mano e il rosario al collo. Ora vive a Washington, dove è stato scelto dal segretario dell’Organizzazione degli Stati Americani Luis Almagro per guidare il gruppo di lavoro sulla crisi dei migranti e dei rifugiati venezuelani. Lo scorso 26 luglio, Smolansky ha tenuto quella che ha definito una «riunione cordiale» con Elliot Abrams, il criminale condannato nel processo Iran-Contra, ora mandato da Trump come inviato speciale degli Stati Uniti in Venezuela. Abrams è noto per aver supervisionato la politica segreta degli Stati Uniti di armare gli squadroni della morte di destra durante gli anni ‘80 in Nicaragua, El Salvador e Guatemala. Il suo ruolo principale nel colpo di Stato venezuelano ha alimentato i timori che un’altra guerra per procura potrebbe essere in arrivo. Quattro giorni prima, Machado aveva urlato un’altra violenta minaccia contro Maduro, dichiarando che «se vuole salvarsi la vita, dovrebbe capire che il suo tempo è scaduto».Il collasso di “Volontà Popolare”, sotto il peso della violenta campagna di destabilizzazione che aveva avviato, ha alienato il consenso di ampi settori dell’opinione pubblica e ha costretto gran parte della sua leadership in esilio o in carcere. Guaidó è sempre rimasto una figura relativamente minore, ha infatti trascorso gran parte della sua carriera di nove anni all’Assemblea Nazionale come sostituto. Originario di uno degli Stati meno popolati del Venezuela, Guaidó arrivò secondo alle elezioni parlamentari del 2015, assicurandosi il posto in Assemblea con appena il 26% dei voti. In effetti, si può dire che il suo sedere fosse più conosciuto della sua faccia. Guaidó è noto come il presidente dell’Assemblea Nazionale, dominata dall’opposizione, ma non è mai stato eletto. I quattro partiti di opposizione che comprendevano il Tavolo di Unità Democratica dell’Assemblea avevano deciso di istituire una presidenza a rotazione. La svolta di “Volontà Popolare” era in arrivo, ma il suo fondatore, Lopez, era agli arresti domiciliari. Nel frattempo, il suo secondo incaricato, Guevara, si era rifugiato nell’ambasciata cilena. Juan Andrés Mejía avrebbe dovuto occupare la presidenza dell’Assemblea, ma per ragioni che ora sono maggiormente chiare, gli fu preferito Juan Guaidò.«C’è un ragionamento di classe che spiega l’ascesa di Guaidó», osserva Sequera, l’analista venezuelano. «Mejía è di classe alta, ha studiato in una delle università private più costose del Venezuela e non poteva essere facilmente venduto al pubblico come Guaidó. Guaidó ha caratteristiche meticce comuni alla maggior parte dei venezuelani, e sembra più un uomo della gente. Inoltre, non era stato sovraesposto nei media, quindi poteva essere presentato in praticamente qualsiasi salsa». Nel dicembre 2018, Guaidó si è recato a Washington, in Colombia e in Brasile per coordinare la preparazione di manifestazioni di massa durante l’inaugurazione della presidenza Maduro. La notte prima della cerimonia di giuramento di Maduro, sia il vicepresidente Mike Pence che il ministro degli esteri canadese Chrystia Freeland hanno chiamato Guaidó per confermare il loro sostegno. Una settimana dopo, il senatore Marco Rubio, il senatore Rick Scott e il rappresentante Mario Diaz-Balart – tutti i legislatori della base della destra della lobby di esilio cubano di destra – si sono uniti al presidente Trump e al vicepresidente Pence alla Casa Bianca. Su loro richiesta, Trump dichiarò che se Guaidó si fosse dichiarato presidente, lo avrebbe sostenuto.Il segretario di Stato Mike Pompeo ha incontrato personalmente Guaidó il 10 gennaio, secondo il “Wall Street Journal”. Tuttavia, Pompeo non riusci a pronunciare correttamente il nome di Guaidó quando lo menzionò in una conferenza stampa il 25 gennaio, riferendosi a lui come a “Juan Guido”. L’11 gennaio, la pagina di Wikipedia di Guaidó è stata modificata per 37 volte, mettendo in evidenza la lotta per modellare l’immagine di una figura precedentemente anonima che ora era un tableau per le ambizioni del cambio di regime di Washington. Alla fine, la supervisione editoriale della sua pagina è stata consegnata al consiglio d’élite dei “bibliotecari” di Wikipedia, che lo ha definito presidente «conteso» del Venezuela. Guaidó sarà anche una mezza figura, ma la sua combinazione di radicalismo e opportunismo soddisfa i bisogni di Washington. «Quel pezzo interno era mancante», ha detto di Guaidó un funzionario dell’amministrazione Trump. «Era il pezzo di cui avevamo bisogno perché la nostra strategia fosse coerente e completa». Brownfield, l’ex ambasciatore americano in Venezuela, ha dichiarato al “New York Times”: «Per la prima volta abbiamo un leader dell’opposizione che sta chiaramente segnalando alle forze armate e alle forze dell’ordine che vuole tenerle dalla parte degli angeli e dei bravi ragazzi».Ma è stata “Volontà Popolare” di Guaidó a formare le truppe d’assalto delle “guarimbas” che hanno causato la morte di agenti di polizia e comuni cittadini. Si era persino vantato della propria partecipazione alle rivolte di strada. E ora, per conquistare i cuori e le menti dei militari e della polizia, Guaidò ha dovuto cancellare questa storia intrisa di sangue. Il 21 gennaio, un giorno prima che il colpo di Stato iniziasse sul serio, la moglie di Guaidó ha presentato un video che invitava i militari a insorgere contro Maduro. La sua esibizione è stata legnosa e poco accattivante, e sottolinea le limitate prospettive politiche del marito. In una conferenza stampa di fronte ai suoi sostenitori, quattro giorni dopo, Guaidó ha annunciato la sua soluzione alla crisi: «Autorizzare un intervento umanitario!». Mentre attende l’assistenza diretta, Guaidó rimane quello che è sempre stato – una marionetta, frutto del progetto di ciniche forze esterne. «Non importa se si brucerà dopo tutte queste disavventure», dice Sequera del fantoccio del colpo di Stato. «Per gli americani, è sacrificabile».(Dan Cohen e Max Blumenthal, “The making of Juan Guaidó – Il fantoccio creato in laboratorio per il colpo di Stato in Venezuela”, da “Consortium News” del 29 gennaio 2019: reportage tradotto da Enrico Carotenuto per “Coscienze in Rete”. Max Blumenthal è un giornalista pluripremiato e autore di numerosi libri, tra cui “Gomorra Repubblicana”, “Golia”, “La guerra dei cinquanta giorni” e “La gestione della ferocia”. Ha prodotto articoli per numerose pubblicazioni, molti video report e diversi documentari, tra cui “Killing Gaza”. Blumenthal ha fondato “The Grayzone” nel 2015 per puntare un faro giornalistico sullo stato di guerra perpetua dell’America e le sue pericolose ripercussioni domestiche. Dan Cohen è un giornalista e regista. Ha prodotto reportage video ampiamente distribuiti e materiale cartaceo da tutta Israele-Palestina. E’ un corrispondente di “Rt America”).Prima della data fatidica del 22 gennaio, meno di un venezuelano su 5 aveva mai sentito parlare di Juan Guaidó. Solo pochi mesi fa, il trentacinquenne era un personaggio oscuro in un gruppo di estrema destra di scarsa influenza politica, strettamente associato a macabri atti di violenza di strada. Anche nel suo stesso partito, Guaidó era una figura di medio livello nell’Assemblea Nazionale dominata dall’opposizione, che sta ora agendo in maniera incostituzionale. Ma dopo una sola telefonata dal vicepresidente degli Stati Uniti, Mike Pence, Guaidó si è proclamato presidente del Venezuela. Unto come capo del suo paese da Washington, uno sguazzatore di bassifondi politici precedentemente sconosciuto è stato fatto salire sul palcoscenico internazionale, selezionato dagli Stati Uniti come il leader della nazione con le maggiori riserve petrolifere del mondo. Facendo eco al consenso di Washington, il comitato editoriale del “New York Times” ha definito Guaidó un «rivale credibile» per il presidente Nicolás Maduro, con uno «stile rinfrescante e una visione per portare avanti il paese». Il comitato editoriale di “Bloomberg” lo ha applaudito per aver cercato «il ripristino della democrazia», e il “Wall Street Journal” lo ha dichiarato «un nuovo leader democratico».
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La ricchezza non gocciola: sempre più ricchi, a nostre spese
La dottrina del trickle-down esprime l’idea per cui la ricchezza di pochi finirà con ricadere vantaggiosamente sull’intera collettività, compresi i ceti meno abbienti. Risale agli anni di Reagan, e si sviluppa coerentemente all’interno di quell’ideologia che vede nel libero mercato la migliore e unica forma di interazione economico-sociale, attribuendogli taumaturgiche virtù auto-regolanti in un contesto di perfetta concorrenza, privo di asimmetrie informative, e dove la funzione dello Stato – detentore del potere coercitivo – dev’essere strettamente limitata a garantirne le condizioni ottimali di sviluppo. Il neoliberismo, all’epoca di Reagan, aveva già iniziato quel percorso che lo avrebbe portato, nel giro di qualche anno, a essere l’ideologia di riferimento della globalizzazione: fin dagli anni Settanta i Chicago-boys di Friedman avevano potuto farsi le ossa e testare la bontà della shock-economy presso le dittature sudamericane; Fmi e Banca Mondiale si stavano orientando decisamente verso quelle direttive di politica economica che in seguito sarebbero state formalizzate sotto il nome di “Washington consensus”.Il termine trickle-down può essere tradotto con la parola “gocciolamento”. Un’espressione che evoca processi naturali, e che serve a dare alla dottrina un carattere di spontaneità irrefutabile.I neoliberisti sono bravi, in queste narrazioni: l’arbitrio che viene tradotto come libertà di decisione; la subordinazione del bene individuale a quello comune descritta come una prevaricazione indebita dello Stato; la tutela dei più deboli vista come incoraggiamento alle tendenze parassitarie; i meccanismi di previdenza accusati di essere de-responsabilizzanti.(Esempi recenti li troviamo nella retorica della compagine governativa, in particolare quella del nostro caro leader, il facondo Renzi. L’ultimo che mi ha colpito è stata quando a proposito dell’idea di mettere il Tfr in busta paga ha affermato, più o meno, che doveva finire l’epoca dello “Stato-mamma”). In rete mi sono imbattuto in una vignetta che illustra molto bene il concetto di Trickle-down, come ce lo raccontano e come funziona veramente. Molto carina, vero?, ma restava una metafora senza supporto scientifico.Manco a farlo apposta, leggo sul “Washington Post” un articolo di Christopher Ingram a commento del grafico costruito da Pavlina Tcherneva sulla base di dati ricavati dal recente lavoro di Piketty. Il titolo dell’articolo è significativo: “Il deprimente grafico che segue dimostra che i ricchi non si stanno impossessando della fetta di torta più grande: si stanno prendendo tutta la torta”. Il grafico lo trovate qui sotto: rappresenta la distribuzione dell’incremento dei redditi dal secondo dopoguerra a oggi, fra il 10% più ricco della popolazione (in rosso) e il restante 90% (in blu), e dimostra che una quota sempre maggiore di ricchezza prodotta finisce nelle tasche dei più facoltosi. Notare l’inesorabile declino della quota blu a beneficio di quella rossa, culminato con il crollo degli anni ’80 grazie agli effetti della reaganomics e della pretestuosa trickle-down theory. Notare anche come la quota blu non solo è andata diminuendo, ma negli ultimi anni è diventata in termini reali addirittura negativa. Il grafico non dice nulla che non sapessimo o sospettassimo già, ma lo dice in maniera molto eloquente. Va ricordato però che sono dati riferiti alla realtà statunitense. Dati europei, ne sono convinto, mostrerebbero una distribuzione molto più equilibrata. O no?(Mauro Poggi, “Tricke-up, la ricchezza non gocciola”, da “Appello al Popolo” del 1° novembre 2014).La dottrina del trickle-down esprime l’idea per cui la ricchezza di pochi finirà con ricadere vantaggiosamente sull’intera collettività, compresi i ceti meno abbienti. Risale agli anni di Reagan, e si sviluppa coerentemente all’interno di quell’ideologia che vede nel libero mercato la migliore e unica forma di interazione economico-sociale, attribuendogli taumaturgiche virtù auto-regolanti in un contesto di perfetta concorrenza, privo di asimmetrie informative, e dove la funzione dello Stato – detentore del potere coercitivo – dev’essere strettamente limitata a garantirne le condizioni ottimali di sviluppo. Il neoliberismo, all’epoca di Reagan, aveva già iniziato quel percorso che lo avrebbe portato, nel giro di qualche anno, a essere l’ideologia di riferimento della globalizzazione: fin dagli anni Settanta i Chicago-boys di Friedman avevano potuto farsi le ossa e testare la bontà della shock-economy presso le dittature sudamericane; Fmi e Banca Mondiale si stavano orientando decisamente verso quelle direttive di politica economica che in seguito sarebbero state formalizzate sotto il nome di “Washington consensus”.
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Macché patrimoniale, il lavoro rinasce con moneta sovrana
Finanziare la spesa pubblica con le tasse, magari una patrimoniale? Sbagliato due volte. Primo, perché i grandi patrimoni sono finanziari, dunque volatili e sfuggenti. E soprattutto perché chiedere altre tasse significa rassegnarsi al sistema-truffa dell’emissione privatizzata del denaro: per uscire dalla crisi, infatti, basterebbero iniezioni di valuta sovrana a sostegno dell’economia reale, cioè posti di lavoro. Possibile che la sinistra sindacale non lo capisca? Purtroppo sì. Perché «il sindacato e gran parte della sinistra non hanno le basi culturali o la libertà di azione necessarie per poter imporre al dibattito pubblico, politico, sindacale, parlamentare, di trattare i veri temi nodali». Ovvero: «Come viene creato il denaro, da chi, a vantaggio di chi, con che diritto, con quali profitti, con quale tassazione su questi profitti». L’uscita dal tunnel è una sola: «Creazione di denaro direttamente da parte dello Stato, senza che lo Stato lo debba comperare dando in cambio titoli pubblici, cioè indebitandosi». Questo dovrebbero chiedere, Landini e Camusso, e con loro i quasi 5 milioni di italiani iscritti alla Cgil.Secondo Marco Della Luna, il pericolo è lo strapotere del capitale finanziario, cresciuto fino a 15 volte l’economia reale. Come? In due modi: autorizzando le banche a compiere azioni di pirateria speculativa e, prima ancora, concedendo ai mercati finanziari di ricattare gli Stati mediante l’acquisto del debito pubblico, nel momento in cui – in Italia dagli anni ‘80 – si è vietato alla banca centrale di continuare a finanziare il governo, cioè i cittadini, emettendo moneta a costo zero. Ora, con l’euro, siamo all’incubo elevato a sistema. A tutto questo siamo giunti con l’inganno: «Celare all’opinione pubblica questi semplici termini del problema, fare in modo che non capisca o fraintenda ciò che si sta facendo, così da prevenire resistenze organizzate e poter continuare in questo processo di accaparramento della ricchezza, è un bisogno primario delle classi dominanti che lo hanno costruito e ne stanno beneficiando». Il nuovo compito della politica? Assicurarsi che le pecore siano tosate all’infinito, senza protestare.Menzogne, disinformazione, minaccia, psicologia sociale della paura: «I mezzi a disposizione di una classe dominante per far accettare alle classi inferiori le crescenti diseguaglianze di ricchezza e di diritti sono molteplici». Primo: «Nascondere le diseguaglianze o le loro cause», e poi «farle sentire giustificate (dal merito, dalle leggi del mercato, dalla competitività, dalle capacità». Se non basta, si può «reprimere la protesta sociale attraverso strumenti giuridici e polizieschi». E poi «indurre paura, allarme, conflitti (shock economy, divide et impera». Si arriva così a «impiantare un paradigma divide-et-impera, in cui ognuno è imprenditore di se stesso e in competizione con gli altri», un ambiente nel quale «non può nascere consapevolezza di classe e di conflitto». Si tratta di «abituare la gente, gradualmente, a nuove condizioni peggiorative». Il nuovo standard, la diseguaglianza “fisiologica”, «ha già prodotto riforme che la sanciscono e recepiscono anche sul piano formale e giuridico in termini di sottoposizione, mediante trattati internazionali e riforme interne, dalla sfera politica, pubblica, partecipativa a quella finanziaria, privata, capitalistica».Estinto l’interesse pubblico, resta solo quello affaristico privato. Un risultato politico epocale, al quale si è arrivati grazie a una poderosa pedagogia della menzogna, attraverso cui depistare l’opinione pubblica dalle vere cause della crisi. L’economia reale soffre per mancanza di credito e liquidità? Anziché emettere l’ossigeno della valuta, le autorità monetarie hanno inculcato la fobia delle bolle finanziarie come alibi per chiudere i rubinetti. I soldi – tanti, a tassi bassissimi – li hanno dati solo alle banche, per le speculazioni finanziarie e l’acquisto di derivati. E’ lo schema del “quantitative easing” angloamericano e della Ltro, “long term refinancing operation”, della Bce. «Il risultato voluto era prevedibile, previsto, ed è puntualmente arrivato: praticamente pochi o nulli benefici per l’economia reale». Tutti colpevoli, dai ministri delle finanze al Fmi, dai banchieri centrali all’Ue: perché si rifiutano di creare moneta destinata all’economia produttiva? «Ovvio: perché quest’operazione da un lato avrebbe successo, farebbe ripartire l’economia, e si capirebbe che tutto gira intorno a chi ha il potere esclusivo di creare moneta». Il sostegno monetario all’economia reale toglierebbe ai banchieri «il loro potere monopolistico sulle società, smascherando al contempo il loro comportamento essenzialmente distorsivo, antisociale e parassitario».Questo è il disastro da cui discende la cosiddetta crisi. E invece «si è raccontato alla gente che è la spesa pubblica, la spesa per il settore pubblico, ciò che costituisce il problema, il male dell’economia, e che quindi bisogna tagliare servizi pubblici, privatizzare, vendere i beni collettivi, licenziare i pubblici dipendenti, aumentare le tasse cioè fare la cosiddetta austerità, nascondendo così la vera causa del dissesto dei conti pubblici». In realtà sono stati i banchieri che «hanno usato i conti pubblici, cioè i governi, per chiudere i buchi da loro stessi scavati a fini di profitto privato». In Italia è successo col Monte dei Paschi di Siena. Ma la tragedia a monte è la progressiva scarsità di moneta a partire dal 1981, storico divorzio fra Tesoro e Bankitalia. Da allora, «i detentori del debito pubblico italiano sono principalmente soggetti finanziari». Nuove tasse? Ci provò Monti, tagliando le gambe al settore immobiliare provocandone il crollo, determinante per la cronicizzazione della recessione. E oggi sono i sindacati che chiedono altre tasse per uscire dal tunnel?L’atteggiamento della sinistra sindacale, benché giustamente motivato dalla rabbia sociale contro le palesi diseguaglianze alimentate dal governo Renzi, non aiuta a risolvere il problema. «Tutto questo insieme di menzogne e di false rappresentazioni della realtà, somministrato in modo martellante al popolo, serve a fargli accettare una politica tributaria e finanziaria che consente di trasferire sempre più denaro dal contribuente e dalla spesa per la società alle tasche di banchieri e finanzieri attraverso sia gli interessi sul debito pubblico, che gli aiuti di Stato alle banche, che gli stanziamenti multimiliardari in favore di organismi di sostegno alle banche come il Mes», conclude Della Luna. «In sostanza, quindi, lo schema politico è il seguente: compiere operazioni che generano profitto e instabilità; alimentare l’instabilità e usarla per creare allarme sociale; dare di questa situazione una falsa spiegazione alla gente, che la disponga ad accettare non solo i peggioramenti avvenuti, ma anche ulteriori sacrifici in termini sia economici che di diritti anche politici, come necessari per evitare il disastro; usare questi sacrifici per arricchirsi ulteriormente». Ecco perché l’oligarchia si oppone all’unica possibile soluzione democratica: libera emissione di moneta pubblica per sostenere il sistema economico, aziende e posti di lavoro.Finanziare la spesa pubblica con le tasse, magari una patrimoniale? Sbagliato due volte, protesta Marco Della Luna. Primo, perché i grandi patrimoni sono finanziari, dunque volatili e sfuggenti. E soprattutto perché chiedere altre tasse significa rassegnarsi al sistema-truffa dell’emissione privatizzata del denaro: per uscire dalla crisi, infatti, basterebbero iniezioni di valuta sovrana a sostegno dell’economia reale, cioè posti di lavoro. Possibile che la sinistra sindacale non lo capisca? Purtroppo sì. Perché «il sindacato e gran parte della sinistra non hanno le basi culturali o la libertà di azione necessarie per poter imporre al dibattito pubblico, politico, sindacale, parlamentare, di trattare i veri temi nodali». Ovvero: «Come viene creato il denaro, da chi, a vantaggio di chi, con che diritto, con quali profitti, con quale tassazione su questi profitti». L’uscita dal tunnel è una sola: «Creazione di denaro direttamente da parte dello Stato, senza che lo Stato lo debba comperare dando in cambio titoli pubblici, cioè indebitandosi». Questo dovrebbero chiedere, Landini e Camusso, e con loro i quasi 5 milioni di italiani iscritti alla Cgil.
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Io borghese di merda e tutti noi scarafaggi da schiacciare
«Ma tu non eri di sinistra?», mi chiedeva con preoccupazione un mio follower twittarolo stamattina. Il fatto è, caro, che prima di tutto io sono una borghese di merda, e proprio per questo a vent’anni ero comunista. Non c’è da stupirsene perché sono i borghesi che scelgono la bandiera rossa senza averne la necessità. Marx, Lenin, Trockij, Che Guevara, Fidel Castro, erano tutti borghesi, perché è la borghesia che, quando l’élite esagera, che si tratti di incipriati aristocratici e pretacci o di latifondisti, capitalisti e padroni delle ferriere, fa le rivoluzioni. Sono stata di sinistra per un lungo tempo, prima che saltassero tutte le regole su chi dovesse stare dalla parte del popolo e chi invece doveva vendersi al Capitale. Perché qualcosa è successo, darling. Più o meno attorno al Sessantotto. E’ stato un processo lungo e difficile da allora, ma sta giungendo a compimento. La più grande operazione di pulizia sociale della storia. La fine della lotta di classe con la proclamazione del Capitale come vincitore. With a little help from his friends.Ti spiego il mio percorso. Sono una borghese, dicevo, e la mia è la classe media che, ad un certo punto, nel secolo scorso, è riuscita storicamente ad inglobare emancipandola anche tanta parte della classe operaia. Merito delle lotte dei borghesi dalla coscienza infelice di cui sopra, condotte assieme agli operai, certo, ma anche di un capitalismo che pensava che estendere la ricchezza a fasce più ampie della popolazione, facendo diventare i proletari classe media, significava più merci vendute, più profitti e più benessere per tutti. Il famigerato moltiplicatore. Ma già, Henry Ford era un nazifascista anche se pensava che aumentando il salario ai suoi operai questi avrebbero potuto comperare il modello T che fabbricavano. Quello della mia gioventù sembra un mondo perduto ed estinto; una meraviglia, sai, in confronto a quello di oggi. E sono sicura che te ne ricordi, perché non sei di primo pelo neppure tu.Uno stipendio in famiglia bastava a condurre una vita più che dignitosa dove non ti mancava nulla di veramente necessario. Esisteva ancora il concetto di superfluo e per quello c’era il «no, non ce lo possiamo permettere». Quel no ti aiutava a crescere e a capire che, una volta grande, te lo saresti guadagnato con il tuo lavoro, perché il lavoro ci sarebbe stato, secondo quello che avevi studiato e imparato a fare. Perfino con uno stipendio solo, con i risparmi (allora si riusciva a mettere da parte qualcosa ogni mese), la famiglia riusciva a comperarsi la casa dove viveva e, se lavoravano tutti e due i genitori, ci si comperava magari un’altra casa, al mare o in campagna o in montagna. Perché allora esistevano ancora le ferie e le vacanze non duravano meno di venti giorni. Per le malattie c’era il welfare, ad una certa età arrivavano la pensione e la liquidazione con la quale ti potevi togliere qualche sfizio in più o farti la casetta di cui sopra, perché i nonni non erano costretti a mantenere nipoti disoccupati.Erano i tempi in cui l’Italia stava diventando, pur tra corruzione, mafia e caste, e sottoposta a sovranità limitata come paese sconfitto, la quinta potenza industriale del mondo. Non erano tutte rose e fiori? Certo, c’erano come sempre i poveri e lo sfruttamento, il mondo era diviso in classi. C’erano la crisi petrolifera, il terrorismo di Stato, le bombe, le guerre imperialiste. Poi arrivò la shock economy, prima dal Sudamerica (però così lontano da noi) e poi nel mondo anglosassone, con i primi vagiti del dominio finanziario sulle nostre vite; ma la speranza di un futuro migliore non mancava, nessuno pensava che, pur lavorando da rompersi la schiena, da vecchio sarebbe stato povero e abbandonato perché gli avrebbero portato via tutto. Non avevamo nulla da perdere, casomai ci sarebbe stato ancora qualcosa da ottenere. Il muro nero della depressione, dell’assenza di un futuro o dell’angoscia data dal pensiero di che cosa sarà il nostro futuro in balia della povertà non esisteva e nessuno sarebbe stato in grado di immaginarlo, a meno che non fosse vissuto al di là di qualche Cortina di Ferro.Soprattutto, nessuno si sarebbe mai immaginato che il benessere ottenuto in base alle lotte sindacali, nato dal sangue degli operai e di quei borghesi empatici e simboleggiato in maniera sacra dalla democrazia, dato ormai per acquisito perché certificato nella Costituzione, sarebbe stato possibile toglierlo al popolo per consegnarlo ad un’élite intenzionata a redistribuire la ricchezza esistente verso l’alto, accaparrandosela tutta e creando un mondo dove l’1% ha tutto e il 99% quasi nulla, senza più democrazia. Un mondo nuovo ma tremendamente simile al Medioevo che, per essere realizzato, ormai lo sappiamo, nei trent’anni previsti per il suo compimento non potrà che finire con l’eliminazione fisica della classe media, magari sostituita da carne da macello proveniente dal terzo mondo, da impiegare per la pulitura dei cessi dove andranno a sedersi i culi imperiali.Credo che, se qualcuno allora, negli anni sessanta-settanta, avesse visto un’anteprima del futuro, ovvero dei giorni nostri, lo avrebbe considerato il peggiore incubo mai vissuto e nessuno avrebbe potuto immaginare che coloro che si sarebbero offerti spontaneamente per farlo avverare sarebbero stati i partiti di sinistra, quelli più tradizionalmente (allora) vicini al popolo. Eccoci, caro, al perché io non sono più comunista, non sono più di sinistra, anzi non sono niente, sono solo una borghese di merda ma molto, molto incazzata. Sono incazzata e mi difenderò fino all’ultimo perché vogliono farmi fuori. Vogliono portarmi via ciò che la mia famiglia mi ha lasciato, affinché, assieme a ciò che mi guadagno con il mio lavoro, potessi avere una vecchiaia serena senza dover dipendere da nessuno. Penso a me stessa, certo. Gli altri hanno smesso di pensare a me.Ti pare impossibile che l’orrendo scenario che ti ho descritto possa realizzarsi? Cosa ti stanno ripetendo giorno e notte, tutti i giorni e a tutte le ore, caro amico? Che quel mondo che ti ho descritto e che abbiamo vissuto, che ci ha permesso di crescere ed arrivare fin qui dobbiamo scordarcelo perché NON POSSIAMO PIU’ PERMETTERCELO. E, di grazia, ti stai chiedendo il PERCHE’? Perché le risorse mondiali sono limitate? Per quello basterebbe uno sviluppo più responsabile. Basterebbe quella cosa che si chiama progresso e che nasce dall’ingegno di persone molto creative in ogni epoca e che in poco più di cento anni ci hanno dato l’elettricità, la mobilità di persone e merci e la comunicazione. Progresso che serve da sempre a migliorare la vita delle persone e a renderla più facile. Basterebbe tendere a realizzare uno di quei mondi futuribili ideali che nessun romanzo di fantascienza ha più il coraggio di immaginare.Il nostro benessere non possiamo più permettercelo perché ciò che abbiamo lo vuole qualcun altro, e non sono certo coloro che non hanno nulla ma quelli che hanno già tutto. Vedi, in fondo, da borghese di merda, con queste parole sto pensando anche a te, sto cercando di avvertirti del pericolo, anche se non meriteresti affatto di essere salvato. Non sono direttamente le élite che ti annunciano la fine del tuo diritto al benessere perché un domani conterà solo il loro, perché la scusa delle risorse limitate è un’occasione ghiotta per fare un po’ di pulizia sociale e vincere la Lotta di Classe. Te lo fanno dire dai loro servi. Quelli che si sentono superiori perché non sono razzisti ma democratici, a favore delle minoranze, antifascisti, ammiratori dell’Europa e della serietà teutonica, progressisti, internazionalisti, contro tutte le diversità perché devoti all’OMOLOGAZIONE. Che si sentono importanti perché con il 99% possono masturbarsi sulle grandi cifre e non si accorgono che la loro maggioranza è destinata a diventare il Soylent Green. Sono quelli che ogni mattina ringraziano non si sa chi per non essersi svegliati trasformati in scarafaggi piccoloborghesi.Quando tutto iniziò, con i primi attacchi ai diritti sociali acquisiti e l’avvento della dittatura del mercato, avrebbero dovuto riconoscere subito il progetto reazionario e revanchista dell’élite. Certo avrebbero dovuto difendere il benessere generale, le conquiste ottenute fino a quel momento e la democrazia, distinguendo tra capitalismo accettabile e capitalismo disumano, alleandosi con quella borghesia di merda che però sa fare le rivoluzioni e che un minimo di riconoscenza se la meriterebbe. Invece, pur di non rinnegare la lotta antiborghese di principio, hanno ascoltato le sirene della globalizzazione travestita da internazionalismo ed hanno scelto l’omologazione nel concime, il “semo tutti uguali” come materia organica anfibia, per potere essere ancora più merda della borghesia e in fondo distinguersi. Perché in fondo sono dei neoaristocratici pure loro. Si sono alleati con il Capitale contro il resto del mondo e di fatto contro loro stessi. Perché credono di appartenere ad un corpo speciale e privilegiato per essersi guadagnati con il tradimento l’onore di poter dare il colpo di grazia all’odiata borghesia (rinnegando Marx, Lenin e gli altri che ho nominato) ma sono anche loro feccia destinata a soccombere. Li tengono per ultimi per compostarli meglio. Concimeranno con onore i giardini degli ingiusti di Elysium.(Barbara Tampieri, “Io sono una borghese di merda”, da “Il blog di Lameduck” del 29 maggio 2014, ripreso da “Come Don Chisciotte).«Ma tu non eri di sinistra?», mi chiedeva con preoccupazione un mio follower twittarolo stamattina. Il fatto è, caro, che prima di tutto io sono una borghese di merda, e proprio per questo a vent’anni ero comunista. Non c’è da stupirsene perché sono i borghesi che scelgono la bandiera rossa senza averne la necessità. Marx, Lenin, Trockij, Che Guevara, Fidel Castro, erano tutti borghesi, perché è la borghesia che, quando l’élite esagera, che si tratti di incipriati aristocratici e pretacci o di latifondisti, capitalisti e padroni delle ferriere, fa le rivoluzioni. Sono stata di sinistra per un lungo tempo, prima che saltassero tutte le regole su chi dovesse stare dalla parte del popolo e chi invece doveva vendersi al Capitale. Perché qualcosa è successo, darling. Più o meno attorno al Sessantotto. E’ stato un processo lungo e difficile da allora, ma sta giungendo a compimento. La più grande operazione di pulizia sociale della storia. La fine della lotta di classe con la proclamazione del Capitale come vincitore. With a little help from his friends.