Archivio del Tag ‘talkshow’
-
Putin, l’alieno e il terrorismo “democratico” dell’Occidente
Tutti a parlare di Russia e Ucraina, naturalmente: senza mai ricordare, però, che l’Occidente “democratico” ha sempre disatteso gli accordi con Mosca, cioè essenzialmente la promessa di non estendere la Nato verso Est. Basterebbe questo, a chiudere la questione: e invece si procede con la solita nebbia di guerra, criminalizzando Putin, proprio mentre il succitato Occidente “democratico” – dopo due anni di follia Covid – ora provvede a massacrare i suoi civili, in questa guerra asimmetrica, anche con lo schianto dell’economia planetaria, già visibile a partire dall’impazzimento dei prezzi. Tutti esperti di Ucraina, oggi – come se a qualcuno importasse qualcosa, dei popoli ucraini – senza vedere che l’orrendo copione dei bombardamenti non è che il sequel dei tanti che l’hanno preceduto: come il terrorismo “islamico” (dall’11 Settembre all’Isis), il terrorismo finanziario (dalla morte civile della Grecia al golpe bianco in Italia), il terrorismo climatico “gretino” e ovviamente il recentissimo terrorismo sanitario. Identici gli obiettivi: generare panico, creare insicurezza sociale, revocare diritti e libertà, impoverire e quindi indebolire la popolazione, ottenere obbedienza e sottomissione.I media nostrani oggi si esercitano nel tiro al bersaglio contro l’autocrate che da oltre vent’anni è a capo della “democratura” russa, leader del grande paese che – unico – in questi decenni si è regolarmente opposto, come ha potuto, alla marea dilagante del terrorismo occidentale, sorretto in modo orwelliano da giornali e televisioni che hanno semplicemente smesso di fare informazione. La Russia è rimasta estranea al terrorismo militare in Medio Oriente, scatenato dall’Occidente “democratico” in modo diretto o attraverso manovalanza jihadista; è infine intervenuta in modo risoluto in Siria, contro l’Isis, per salvare il regime alleato di Damasco e impedire che i tagliagole raggiungessero rapidamente il Caucaso. Aggredito dal neoliberismo occidentale dopo il collasso dell’Urss, il sistema russo – conformatosi allo standard economico globale – non ha però esposto i suoi cittadini agli spaventosi stress inflitti alla popolazione europea e statunitense; al contrario: lo storico consenso tributato a Putin si spiega anche con il fatto di aver risollevato l’economia nazionale, decuplicando il reddito medio e sottraendo alla povertà milioni di russi, dopo il disastro delle turbo-privatizzazioni occidentali risalenti all’epoca di Eltsin.Il personaggio oggi dipinto come tirannico dittatore, scontatamente sanguinario già in quanto slavo e probabilmente anche impazzito, è lo statista che – al mondo – si è maggiormente impegnato nel fare argine contro il terrorismo “islamico” teleguidato dalle capitali occidentali. E’ l’uomo che – con il veto opposto dalla Russia – ha appena impedito all’Onu di varare una risoluzione folle, che avrebbe elevato il cambiamento climatico al rango di “minaccia per la sicurezza nazionale” degli Stati. Uno snodo burocratico, l’avallo delle Nazioni Unite, che avrebbe probabilmente accelerato l’autoritarismo tecnocratico che, in nome della tutela dell’ambiente (ma usando il clima, come se fosse davvero l’umanità a determinarne le variazioni), punta a imporre nuove regole, non negoziabili, a tutti gli abitanti – non del pianeta intero, ovviamente: i fortunati siamo sempre noi, cittadini dell’Occidente “democratico”. La Russia è riuscita a distinguersi e brillare, agendo cioè senza diventare nostra complice, anche riguardo all’ultima stagione terroristica, quella sanitaria: ha rifiutato la “dittatura” dei lockdown, non ha imposto nessun ricatto e nessun Tso alla popolazione. E ha offerto al mondo, a tempo di record e gratuitamente, il primo preparato vaccinale anti-Covid.Queste sono le ultime, storiche mosse del regime che oggi viene presentato come una oscura dittatura. Un establishment ibrido, che avrebbe voluto essere più europeo che eurasiatico, contro il quale l’Occidente sta scatenando tutte le sue armi: lo spettro missilistico della Nato in Est Europa, i neonazisti ucraini schierati sul terreno e, soprattutto, la spaventosa guerra economica decretata per volere dei poteri che nel 2020 hanno insediato alla Casa Bianca nientemeno che l’oligarca Joe Biden, in mezzo alla fanghiglia della scandalosa frode elettorale ai danni di Donal Trump. Se una certa élite ha sempre mirato a schiacciare i sudditi, mal sopportando i rari lampi di democrazia reale (fioriti soprattutto nel Novecento, quando al capitalismo occidentale occorreva ancora una classe media prospera e ottimista), viene da domandarsi quale sia la ragione della devastante, vorticosa accelerazione degli ultimi due decenni. Una progressione letteralmente esplosa nella primavera 2020 con l’operazione “psico-pandemica”, che ora è stata sostituita dalla guerra classica, regionale, amplificata però dalla ferocia economica del globalismo senza frontiere.Chi non disdegna di inoltrarsi nella cosiddetta “esopolitica”, cioè l’ipotetica interferenza aliena nelle faccende terrestri (niente di diverso, peraltro, dallo scenario raffigurato dalle letterature antiche, con le “divinità” impegnate a disputarsi territori e popoli), oggi si domanda se tutta questa fretta – all’improvviso – non sia dovuta anche al timore di eventuali “sbarchi”, sul nostro pianeta, che secondo alcune fonti sarebbero attesi a partire dal 2024. A raggiungere la Terra – questa la teoria – sarebbero forze ostili a quelle, non terrestri, che attualmente deterrebbero il controllo occulto delle superpotenze. Il tema è vasto e, ovviamente, più che controverso. Semplici suggestioni? Forse non più, o comunque non del tutto, da quando – a partire dal 2019 – lo stesso apparato militare occidentale ha avviato una sorta di “disclosure”, ammettendo ufficialmente l’esistenza degli Ufo. C’è chi si è spinto oltre: per il generale israeliano Haim Eshed, l’Occidente farebbe parte – da almeno trent’anni – di una Federazione Galattica, dotata di basi condivise (sulla Terra, sulla Luna, su Marte e su altri corpi del Sistema Solare). In parallelo, sono pervenute dichiarazioni precise da parte di fonti massoniche, che hanno riferito di accordi con alieni dalla seconda metà del secolo scorso.Tutto questo può sembrare surreale, in un 2022 letteralmente sventrato dall’esplosione della guerra in Ucraina, con il suo infame corollario di sofferenze. Ma non si può fare a meno di metterle in fila, le notizie: la catena di comando che ha provocato la Russia al punto da spingerla all’invasione è la stessa che aveva orchestrato il terrorismo sanitario, e prima ancora il terrorismo “islamico”, il terrorismo finanziario e il terrorismo climatico, sdoganando nel frattempo – prima attraverso la fantascienza, poi con le ammissioni ufficiali del Pentagono – l’esistenza del “problema” extraterrestre, che forse è davvero il grande segreto sul quale, a breve, non si potrà più tacere. E’ per questo, dunque, che qualcuno – lassù – ha deciso di gettare l’umanità, in modo sempre più rapido, in una spirale di panico che sembra destinata a non avere fine? Sono semplici domande, queste, che però è la stessa cronaca recente, ormai, ad autorizzare. L’inaudita “schiavizzazione” delle popolazioni, specie quelle residenti in aree ancora formalmente democratiche, serve forse a ridurne il potenziale reattivo, in vista di eventi che nessun politico attuale sarebbe in grado, domattina, di presentare ad alta voce?Certo, oggi nessuno potrebbe sbilanciarsi in argomentazioni di questo tenore: sarebbe preso per matto da chiunque, tranne che dagli ufologi o dagli studiosi di religioni antiche. Ma, se proprio l’Occidente “democratico” sta dando ancora una volta il peggio di sé, mentendo innanzitutto alla sua popolazione, non si può che prendere nota delle miserevoli condizioni in cui versa il sistema-Italia, con il suo governo fantoccio (fellone, ma ultra-autoritario) e la sua politica ormai clinicamente morta. I missili e le cannonate nelle pianure ucraine irrompono nelle case di famiglie piegate dal ricatto, tra persone rassegnate a lavorare, viaggiare e vivere solo a patto di avere in tasca il lasciapassare digitale. Uno strumento di dominio, che di sanitario non ha proprio nulla, imposto in perfetto stile cinese e con il pretesto di una patologia curabilissima. Malattia per la quale, però, le terapie sono state prima negate e poi ostacolate, umiliando la scienza e tradendo nel modo più vile il patto di lealtà che, in un paese democratico, avrebbe dovuto vincolare i governanti ai governati.Il primo dovere, infatti, non dovrebbe essere quello di proteggere la popolazione? In alcuni Stati degli Usa, in Australia e Nuova Zelanda, in Europa – ma in Italia in particolare – è avvenuto esattamente il contrario: la popolazione è stata esposta a grandi pericoli, è stata fuoriviata dalla disinformazione, è stata ipnotizzata e terrorizzata per due anni. E ora, svanita anche l’ultima parvenza di pseudo-emergenza, viene mantenuta sotto la pressione coercitiva, forse permanente, del lasciapassare, che poi sarebbe solo il preambolo – secondo i piani – per l’eliminazione del contante e l’adozione esclusiva della moneta digitale, cioè del controllo definitivo sull’economia delle famiglie. Che cosa sarà, dell’Italia, ora che l’intera Europa sarà travolta dal massacro socio-economico delle sanzioni comminate alla Russia? Il nostro è l’unico paese che, a quanto pare, non riesce a eleggere un presidente della Repubblica diverso dal precedente. Poi ci sono i politici: Salvini spernacchiato in Polonia, Di Maio che dà dell’“animale” a Putin. E c’è l’inqualificabile Draghi, che riesce a farsi giustamente canzonare persino dall’orrido Zelensky.«Per riuscire a parlare con Draghi vedrò di spostare l’agenda della guerra», ha twittato l’ucraino, dopo che il primo ministro italiano aveva snobbato un appuntamento telefonico, perdendo così anche l’ultimo treno per assurgere al ruolo di possibile mediatore (ruolo che, fino a ieri, non sarebbe stato affatto sgradito a Putin). E invece si sono bruciati i ponti, in ossequio al padrone americano. Ormai siamo oltre: l’Italia – il paese delle mascherine e del Green Pass Rafforzato – ha appena inviato armamenti all’Ucraina, paese belligerante. Così, dall’8 marzo 2022 – per la prima volta nella storia, probabilmente – la Russia ha inserito anche noi nella lista nera dei “paesi ostili”. Mario Draghi pare stia quindi per firmare il più disastroso suicidio nazionale (si spera solo economico) degli ultimi decenni. Ma niente paura: ci resta sempre il campionato di calcio, insieme al cabaret dei talkshow in cui sono sempre i famosi virologi di ieri a spiegare al popolo bue come vanno le cose, in Ucraina. Effetti collaterali: e se la guerra di Putin finisse – anche – per cambiare il mondo, mettendo fine all’ipocrisia dei tanti terrorismi domestici? Nessuno può prevedere gli eventi: c’è solo da augurarsi che le armi tacciano al più presto. Certo però che, dal radar del futuro, questa Italia sembra davvero sparita: un paese fantasma, finito, affollato di sudditi imbrogliati, derubati e inebetiti.(Giorgio Cattaneo, 9 marzo 2022).Tutti a parlare di Russia e Ucraina, naturalmente: senza mai ricordare, però, che l’Occidente “democratico” ha sempre disatteso gli accordi con Mosca, cioè essenzialmente la promessa di non estendere la Nato verso Est. Basterebbe questo, a chiudere la questione: e invece si procede con la solita nebbia di guerra, criminalizzando Putin, proprio mentre il succitato Occidente “democratico” – dopo due anni di follia Covid – ora provvede a massacrare i suoi civili, in questa guerra asimmetrica, anche con lo schianto dell’economia planetaria, già visibile a partire dall’impazzimento dei prezzi. Tutti esperti di Ucraina, oggi – come se a qualcuno importasse qualcosa, dei popoli ucraini – senza vedere che l’orrendo copione dei bombardamenti non è che il sequel dei tanti che l’hanno preceduto: come il terrorismo “islamico” (dall’11 Settembre all’Isis), il terrorismo finanziario (dalla morte civile della Grecia al golpe bianco in Italia), il terrorismo climatico “gretino” e ovviamente il recentissimo terrorismo sanitario. Identici gli obiettivi: generare panico, creare insicurezza sociale, revocare diritti e libertà, impoverire e quindi indebolire la popolazione, da cui esigere timorosa obbedienza e piena sottomissione.
-
Saper lottare per la libertà: Giulietto Chiesa in valle di Susa
«Ciao, ascolta: da fonte riservata, so che la polizia arriverà lunedì mattina alle prime luci dell’alba. Voglio esserci: ho già prenotato il volo, arrivo domani sera». Sabato 25 giugno 2011, l’Italia dorme. Su “Repubblica”, non ancora incorporata dall’ex Fiat, Ezio Mauro reitera le “dieci domande” con cui perseguitare il mascalzone Berlusconi, vera sciagura vivente e unica causa della rovina nazionale. Ci sono le Olgettine, su cui si scatenano i Travaglio di tutta la penisola (è il loro momento d’oro). E ci sono le mani lunghe, assai meno vistose, dei signori che speculano sui bond, senza che la Bce faccia una piega. Una tempesta perfetta, a orologeria, in arrivo per l’autunno: “Fate presto”, titoleranno tutti, stendendo il tappeto rosso al becchino spedito in carrozza da Bruxelles, col placet del Quirinale, per dare agli italiani una mazzata epocale. Altro che Olgettine: rigore brutale, super-tasse e tagli spietati al welfare, cominciando dalla sanità. La scure di Madame Fornero sulle pensioni, il pareggio di bilancio inserito nella Costituzione con l’avallo del “compagno” Bersani. Già, Bersani: pronto a piegarsi ai peggiori diktat. Eppure irremovibile, il bonario Smacchiatore, su un punto: la stramaledetta storia del Tav Torino-Lione, l’alta velocità ostacolata da quei puzzoni dei valsusini. Appalto colossale assegnato alla Cmc, maxi-cooperativa di Ravenna di cui l’allora segretario del Pd era stato presidente. Dettagli irrilevanti, peraltro, in un paese in cui l’unico possibile conflitto d’interessi, notoriamente, è domiciliato ad Arcore.E’ un mese stranissimo, quel giugno 2011, nella valle piemontese dove gli amici di Bersani intendono tornare, dopo il primo clamoroso sfratto subito nel 2005 a furor di popolo: migliaia di manifestanti in strada, con davanti i sindaci in fascia tricolore. Scene mai viste, in Italia, dai tempi dei Moti di Reggio Calabria. Sembrava fatta, allora: progetto ritirato, bocciato come inutile e dannoso, oltre che inviso alla popolazione. «Se qualcuno mi riparla ancora di Tav Torino-Lione – aveva scritto Giorgio Bocca – tiro fuori il mio vecchio Thompson dal pozzo in cui l’avevo seppellito dopo il 25 aprile del ‘45». Una favola, quella del Villaggio di Asterix che si oppone alla potenza di Roma. A dire il vero, l’Impero aveva già tuonato minaccioso: il G8 di Genova, l’11 Settembre, l’invasione dell’Afghanistan e dell’Iraq. Giulietto Chiesa, altro glorioso giornalista italiano, non era certo rimasto in silenzio: alla sua età non più verde, come inviato della “Stampa” era stato tra i primi a entrare a Kabul con i carri armati dell’Alleanza del Nord, quelli dell’unica fazione presentabile: i Tagiki dell’appena assassinato Ahmad Shad Massud, eroe nazionale. E poi aveva scritto la sua versione dei fatti in un libro memorabile, edito da Feltrinelli ma silenziato dai giornali: “La guerra infinita”. Rivelazione: una tragica barzelletta, la versione ufficiale del maxi-attentato alle Torri Gemelle. Così, il prestigioso inviato (una vita a Mosca, per le testate più importanti) si era guadagnato la nomea di visionario complottista.Di tutti i big del giornalismo italiano – gli ha reso omaggio Paolo Barnard, cofondatore di “Report” – Giulietto Chiesa è il solo che abbia saputo mettere a repentaglio la sua carriera per amore della verità, rinunciando a onori e privilegi. Oggi, i tremila architetti e ingegneri americani che si sono dannati l’anima per ricostruire gli eventi di quel maledetto 11 settembre 2001 sono pervenuti a una certezza: le Twin Towers (insieme all’Edificio 7) crollarono per demolizione controllata, non certo per l’impatto di aerei di linea dirottati. Era così indistruttibile, il World Trade Center, che il Comune di New York pretese che il progetto edilizio venisse corredato con un piano obbligatorio per l’eventuale demolizione: in quel caso, i tecnici stabilirono che solo delle bombe atomiche – installate nelle fondamenta – avrebbero potuto garantirne il crollo. Non è un mistero: costruirono dei bunker per alloggiare all’occorrenza le famose mini-nukes. E’ tutto scritto, nelle carte dell’ufficio edilizia newyorkese. Ma guai a ricordarlo: si passa per malati di mente. Ormai va così, il mondo: il giornalismo mainstream diventa “embedded”, abdicando alla sua antica funzione di “cane da guardia della democrazia”. Restano in circolazione solo i battitori liberi. Ragazzi coraggiosi, qualche raro “senatore”. Ma uno solo – ricorda Barnard – capace di rischiare tutto. Uno che da perdere aveva tantissimo: gli appoggi nell’editoria, l’ospitalità dei talkshow e molto altro.Giugno 2011, si diceva: valle di Susa. Che succede, in quei giorni? Semplice: ripartita la Banda del Buco, la grande cordata politico-finanziaria che vuole il tunnel ferroviario italo-francese, perfetto e inutile doppione del Traforo del Fréjus lungo la linea internazionale Torino-Modane che già attraversa la valle, i NoTav si sono accampati tra i vigneti alpini della Maddalena di Chiomonte, prescelti per il cantiere-bis. Una tendopoli festosa, formato famiglia, come quelle dei boy-scout. La Libera Repubblica della Maddalena. Canti e balli, concerti, assemblee. E un profumo stranissimo di libertà: l’orgoglio di chi pensa di essere dalla parte del giusto, e si illude di rappresentare un’avanguardia per l’Italia intera, a cui manda un avvertimento. In spiccioli: attenzione, oggi tocca a noi montanari, ma domani ci rimetterete tutti. Ormai siamo alle prese con un potere brutale, senza volto, sempre meno democratico, che ne se infischia di tutti. I partiti? Scomparsi. Il cittadino è solo, di fronte alla minaccia. Non ci sono più corpi intermedi, nessuno che tuteli i diritti sociali elementari. Sembra quasi l’antipasto di una possibile dittatura orchestrata da tecnocrati. Prendere o lasciare, non c’è alternativa: quel che è stato deciso si deve fare, punto e basta. E voi toglietevi di mezzo, altrimenti vi spazziamo via con le cattive. Oggi, le orecchie si sono abituate: dal “ce lo chiede l’Europa” all’attuale “è il coronavirus, bellezza, e tu non puoi farci niente”. Suona familiare?Domenica 26 giugno, Torino, aeroporto di Caselle. Mezzanotte. Tanto per cambiare, il volo Alitalia atterra con un’ora di ritardo. Il Vecchio è di ottimo umore: non vede l’ora di vederla, la Libera Repubblica, prima che alla Maddalena – di lì a poche ore – irrompano le truppe antisommossa spedite fin lassù dal ministro dell’interno Roberto Maroni e dal capo della polizia, Antonio Manganelli. La valle è avvolta nel buio, la vecchia Volvo arranca lungo la salita. Una volta a Chiomonte, lo spettacolo di una luminaria infinita: cinquemila fiaccole che sciamano dalla Maddalena, sfollando verso il paese. «Ma che fanno, se ne vanno via?». «Sì, hanno paura: temono che domattina la polizia arrivi davvero». A fermare la Volvo, una barricata in mezzo alla strada. «Ah, siete voi? Un attimo di pazienza, e vi apriamo». Il varco si spalanca, così l’auto si può arrampicare tra i vigneti scuri e la processione delle ultime fiaccole in ritirata. In cima alla salita, c’è una specie di stato maggiore ad accogliere l’Anziano. Strette di mano, silenzi. L’aria è tesa. Presidiano l’area quasi mille manifestanti, rimasti sul posto per attendere l’alba. Ci sono le tende, ma nessuno chiude occhio. Tutti in allerta: chi sul prato, chi a sorvegliare barricate e sbarramenti. Una specie di assedio medievale, ma senza armi. «Speravamo di cenare: si può avere almeno un panino?». Macché: chiusa la cucina da campo, sprangato anche il chiosco delle bibite. Tutta la notte, senza nemmeno il conforto di una birra.Uno alla volta, al Vecchio venuto da Roma si avvicinano in tanti. Qualche sindaco, che vuole ringraziarlo di essersi preso la briga di infilarsi, alla sua veneranda età, in un pasticcio come quello. Tra i più entusiasti c’è un coetaneo, Enzo Debernardi: ha scoperto che, in gioventù, con l’Anziano aveva condiviso la stessa scuola di partito, le mitiche Frattocchie. A proposito di comunisti: ecco Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione; inganna l’attesa sotto un tendone, giocando a carte. Sono tanti, i visi amici che popolano l’ultima notte della Libera Repubblica. Per esempio il sociologo Marco Revelli e i giovani giornalisti del “Fatto Quotidiano”, Cosimo Caridi e Lorenzo Gaelazzi. Il clima cambia quando compaiono Maurizio Tropeano della “Stampa” e Marco Imarisio del “Corriere della Sera”, poi autore di un esemplare reportage. Colpisce il loro abbigliamento: scarponi e caschetti, fazzoletto per proteggersi il volto, scorte di limone per resistere ai lacrimogeni. Alle quattro di mattina, nel buio ancora fondo, c’è chi si ostina a sperare che si sia trattato solo di un falso allarme, illudendosi che lo sgombero non ci sarà. Mezz’ora dopo, i primi sms: «Attenti, i poliziotti hanno lasciato gli alberghi: si stanno preparando». Duemila in tutto: tra agenti, carabinieri e finanzieri.Prima del sorgere del sole, compaiono le colonne blindate. I NoTav prendono posto sulle barricate. La consegna è precisa: opporre una resistenza passiva, senz’ombra di violenza. I sindaci fanno da tramite con la Digos: «Se non voleranno pietre, non ci sarà nessuna carica». La missione della polizia: conquistare il pratone della Maddalena lentamente, senza fretta, prima di sera. Una giornata che si annuncia lunghissima, snervante, infinita. Rischio: qualche spintone, al massimo. Questo, almeno, in teoria. Perché poi, in pratica, non si può mai sapere come andrà a finire. Il Vecchio scruta lo spettacolo dall’alto, dal belvedere della Maddalena. Tutto come da copione: la polizia che avanza con calma, mentre gli elicotteri presidiano il cielo. Se appena qualche sconosciuto afferra una pietra, le sentinelle NoTav gli volano addosso per disarmarlo. Le ore scorrono lentissime, e gli agenti ormai sono di fronte agli sbarramenti. Urla, concitazione, nuvole di lacrimogeni. E il Vecchio? Eccolo là, stanchissimo, sprofondato su una poltroncina di plastica. E’ avvolto in un poncho rosso, che gli hanno gettato sulle spalle: sembra Garibaldi. E’ provato: il volo serale, la pancia vuota. Tutta la notte in piedi, e poi l’intera mattinata in stato di tensione. In quei momenti, anche solo un caffè farebbe miracoli. Ma non c’è tempo. Di colpo, il pratone viene invaso dai NoTav in fuga, inseguiti. Bisogna scappare. Dove? Su per il bosco, decide Garibaldi, d’istinto.Un attimo, ed è già tardi: l’aria diventa grigia, visibilità zero. E’ la nebbia chimica dei gas Cs. Così si brancola, accecati. Manca il respiro: quel gas regala un’autentica sensazione di soffocamento. Panico e caos, in mezzo alla marea dei NoTav in rotta: corrono a centinaia, nella nebbia, incalzati agli agenti. Sono una grandine, i lacrimogeni che piovono da ogni parte. Nel nebbione, una ragazza si accorge del Vecchio che tossisce, rantola, non riesce a riaprire gli occhi. Gli passa una bottiglia d’acqua. Torna la vista, e pian piano anche il fiato. Bisogna risparmiarlo: il sentiero nel bosco – unica via di fuga – è roba da alpinisti (e il Vecchio scivola tra i sassi, zampettando sui mocassini). Lentamente, si forma una colonna di profughi. Un serpentone in rotta, tra gli alberi, tallonato dagli elicotteri. Una fatica devastante, nel caldo che intanto si è fatto insopportabile. Finito il bosco, compare una borgata. Gli abitanti sembrano caschi blu dell’Onu: offrono caffè e un bicchiere di vino. I profughi, stremati, si tuffano nelle fontane. Sollievo generale: è davvero finita, a quanto pare? Non ancora: dalla borgata alpina lo si vede benissimo, quello che sta succedendo laggiù. Nel fondovalle, centinaia di manifestanti NoTav hanno bloccato la statale, per protesta. Chi ha raggiunto le case in cima al bosco è rimasto intrappolato: non potrà allontanarsi in auto.Poco più in là, gli sherpa che guidano l’Anziano bussano a una baita, a dieci minuti di strada, che funziona anche come ristorante. C’è davvero bisogno, finalmente, di mettere qualcosa sotto i denti. «Oggi siamo chiusi», è la risposta. Sguardi interrogativi. «Ma voi venite dalla Maddalena?». E certo, non si vede? «Entrate, allora. Vediamo cos’è rimasto, da mangiare». In un amen, prende forma una specie di banchetto. Dalla dispensa esce ogni ben di Dio, taglieri di salumi e formaggi, persino uno spettacolare arrosto con patate di montagna. A un certo punto, l’oste si accorge che il Vecchio è sparito. «E’ fuori, dev’essere uscito a telefonare». Va ad avvertirlo che il suo arrosto è pronto, ma rimane interdetto: «Dorme, non oso svegliarlo. Si è addormentato, seduto sui gradini». Naturale: tutti stanno crollando dal sonno. Solo che non hanno settant’anni suonati, e non sono partiti da Roma la sera prima. «Scusate, ma chi è? Mi sembra di averlo giù visto, in televisione».Esatto, è proprio lui: Giulietto Chiesa. L’unico grande veterano dell’informazione, capace di spingersi in quella valle della malora per viverla fino in fondo, in prima persona, l’ultima notte di quella avventurosa Libera Repubblica. Tutti bravi, i colleghi, a storcere poi il naso di fronte alle prime violenze esplose in seguito, generate dalla rabbia, dopo anni di proteste prima accorate e poi disperate, sempre inascoltate. Nel frattempo dov’erano, i giornalisti? Comodo, a cose fatte, liquidare la questione: mera faccenda di ordine pubblico. Inaccettabile, lasciar degradare una battaglia civile tollerando la comparsa di frange violente? Giusto, ma nessuno s’è domandato il perché di tutto questo? Lui sì, l’aveva fatto. L’unico, davvero, a rispondere «presente, eccomi qua». Capace addirittura di tornare a Torino, anni dopo, a deporre in tribunale. La differenza? Sta nel coraggio di non tirarsi indietro, di fronte a rogne che chiunque altro eviterebbe. Significa saper entrare nel cuore delle cose, scoprire i fatti, guardare negli occhi le persone. Specie se sono sole, senza amici che contino, senza difensori. E alle prese con un avversario onnipotente, che poi alla fine tanti altri italiani – col tempo – riconosceranno come problema comune: un nemico subdolo e bugiardo, pronto a a mentire a reti unificate pur di calpestare qualsiasi residua sovranità, trasmettendo il seguente messaggio: tu, semplice cittadino, ormai non conti più niente. Descansate, niño.Un anno più tardi, ci volle l’eroismo solitario e nonviolento di Luca Abbà, precipitato dal traliccio in cima al quale s’era arrampicato, per scomodare la mitica troupe di Michele Santoro: vuoi vedere che in valle di Susa c’è un problema grosso come una casa, per la democrazia italiana? Archiviato intanto il Cavaliere, il paese – con Letta, Renzi e Gentiloni – scivolava sul piano inclinato del meno peggio, fino all’attuale molto peggio: l’incubo della polizia sanitaria e gli arresti domiciliari di massa, il Distanziamento, il suicidio dell’economia stabilito per decreto. Qualcuno decide tutto, lassù, sopra la testa di sessanta milioni di persone. L’alibi può cambiare, la sostanza no: fine della libertà, attraverso l’imposizione (a mano armata, anche) dei voleri di un potere oscuro – finanziario, addirittura sanitario – che nessuno ha mai scelto, votato, approvato. Si può cominciare con un’inutile super-ferrovia, e si finisce con le museruole imposte ai bambini ai giardinetti, in attesa del vaccino universale obbligatorio, del tracciamento orwelliano, del microchip sottopelle. Dove portasse, quel vicolo maledetto – sbarrato dalle innocue barricate dimostrative della valle di Susa – erano stati davvero in pochi, a capirlo. Quel memorabile lunedì 27 giugno del 2011, a tarda sera, Giulietto Chiesa era ancora nella vallata in rivolta. Volle raggiungere Bussoleno, la cittadina del fondovalle dove i reduci NoTav erano radunati in assemblea. Una folla oceanica. Quando lo videro, esplose un’ovazione. Era per pronunciare l’unica frase possibile: grazie, Giulietto.Chi esce dai ranghi per affrontare l’ignoto va sempre incontro a grossi guai, e finisce per collezionare insulti: la destra ottusa ha accusato il Vecchio di essere una specie di incorreggibile nostalgico del comunismo sovietico, mente la sinistra l’ha detestato (altrettanto cordialmente) per la sua lucida, imperdonabile diserzione. «Non avete capito niente, della mutazione del mondo», ripeteva, agli ex compagni: «Quelli di voi che sono in buona fede perdono ancora tempo ad accanirsi contro i piccoli politici italiani, che non contano nulla, senza vedere che i leader “riformisti” si sono venduti all’élite mondialista, ai Padroni dell’Universo: quelli che se decidono di costruire una ferrovia miliardaria e inutile sono capaci di schiacciare la popolazione, senza nessuna pietà e senza dare spiegazioni». Ai NoTav, secoli prima dell’avvento della Salvini-Fobia, regalò queste parole: «E’ stata l’élite neoliberista, appoggiata anche dalla sinistra, a impoverire tutti, esasperando gli animi: al punto che, domani, avrà buon gioco il primo cialtrone che si metterà a incolpare i neri, gli zingari o qualsiasi altro disgraziato». Veniva dalla Luna, Giulietto Chiesa? «Canto l’uomo che è morto, non il Dio che è risorto», recita Lucio Dalla tra i versi di quella sua canzone, “Comunista”, riflettendo sull’eroismo di chi si dispone controvento, a proprio rischio, perché sente – prima e meglio degli altri – che soccorrere l’umanità in pericolo è l’unico modo dignitoso di essere uomini, prima ancora che giornalisti.(Giorgio Cattaneo, 27 giugno 2020).«Ciao, ascolta: da fonte riservata, so che la polizia arriverà lunedì mattina alle prime luci dell’alba. Voglio esserci: ho già prenotato il volo, arrivo domani sera». Sabato 25 giugno 2011, l’Italia dorme. Su “Repubblica”, non ancora incorporata dall’ex Fiat, Ezio Mauro reitera le “dieci domande” con cui perseguitare il mascalzone Berlusconi, vera sciagura vivente e unica causa della rovina nazionale. Ci sono le Olgettine, su cui si scatenano i Travaglio di tutta la penisola (è il loro momento d’oro). E ci sono le mani lunghe, assai meno vistose, dei signori che speculano sui bond, senza che la Bce faccia una piega. Una tempesta perfetta, a orologeria, in arrivo per l’autunno: “Fate presto”, titoleranno tutti, stendendo il tappeto rosso al becchino spedito in carrozza da Bruxelles, col placet del Quirinale, per dare agli italiani una mazzata epocale. Altro che Olgettine: rigore brutale, super-tasse e tagli spietati al welfare, cominciando dalla sanità. La scure di Madame Fornero sulle pensioni, il pareggio di bilancio inserito nella Costituzione con l’avallo del “compagno” Bersani. Già, Bersani: pronto a piegarsi ai peggiori diktat. Eppure irremovibile, il bonario Smacchiatore, su un punto: la stramaledetta storia del Tav Torino-Lione, l’alta velocità ostacolata da quei puzzoni dei valsusini. Appalto colossale assegnato alla Cmc, maxi-cooperativa di Ravenna di cui l’allora segretario del Pd era stato presidente. Dettagli irrilevanti, peraltro, in un paese in cui l’unico possibile conflitto d’interessi, notoriamente, è domiciliato ad Arcore.
-
L’avvocato del diavolo: per chi lavora il mago dell’imbroglio
L’avvocato del diavolo ha una caratteristica su tutte, il suo aspetto: è insignificante. «Così, nessuno mi vede mai arrivare», dice Al Pacino, nel film, rimproverando l’allievo Keanu Reeves per la sua vanesia esuberanza giovanile. Che tipo di diavolo serve, per imbrogliare l’Italia? Prima di tutto dev’essere, appunto, insignificante: anonimo, grigio, sbiadito, meglio ancora se incerto nell’eloquio e quasi incespicante. Democristiano nell’indole, un po’ di sinistra nell’apparenza e un po’ para-grillino nella circostanza, se il vento gonfia le vele effimere di quel movimento, a sua volta perfetto per illudere e poi fatalmente tradire, abbandonando i fedeli (come sempre fa, ogni demonietto che si rispetti). Ma esiste, il diavolo? A parte i satanisti, a crederci – secondo Mauro Biglino – sono solo i credenti che hanno sempre letto male la Bibbia, o non l’hanno proprio letta mai: altrimenti saprebbero che il Satàn ebraico è solo un “pubblico ministero” in carne e ossa, un essere umano prescelto a turno, ogni volta diverso, per dirimere contese civilissime, alla luce del sole. Allora è il male, il diavolo? Nemmeno alla consistenza del male crede la prima religione comparsa sulla Terra, quella di Zoroastro: il male è solo distanza dalla luce, che non può mai essere inghiottita dalle tenebre (è il Sole, semmai, a mangiarsi il buio). L’ombra non ha vita propria, è solo momentanea lontananza. Però serve, il diavolo, eccome. Serve da sempre: a mettere paura. E infatti è proprio la paura, oggi, a paralizzare l’Italia.Nel film di Taylor Hackford, l’avvocato del diavolo è al servizio del potere finanziario di Manhattan: il più concreto, potente demonio che si possa immaginare. Recita un vecchio adagio: il capolavoro del diavolo consiste nel far credere che non esista. Oggi potrebbe essere ribaltato: il diavolo è bravissimo a fabbricare gente che lo vede dappertutto. Nemici su misura per lui, creduloni e apocalittici, comodi da sbaragliare. Un certo complottismo demonizza da decenni la finanza, in blocco, come se – senza le banche e le assicurazioni – il tardo medioevo avesse potuto sviluppare i progressi sbalorditivi che poi lanciarono la modernità. Squalificarsi sparando a zero sulle banche significa lasciare campo libero alla Bad Bank; vuol dire rinunciare all’idea di una finanza differente, capace di tornare funzionale all’economia. Ed è proprio con quel tipo di diavolo, che abbiamo a che fare, da almeno quarant’anni. Oggi, riassume Franco Fracassi, l’intero pianeta – comprese le peggiori banche-mostro – è in mano ai tre massimi fondi d’investimento, cioè Vanguard, State Street e BlackRock, ciascuno dei quali è socio degli altri due. Sono sempre loro a finanziare qualcuno o a non finanziarlo, a promuoverlo o affondarlo. Vita o morte, inferno o paradiso. Ma non esisterebbero neppure, senza il loro avvocato del diavolo. Puntuale, impalpabile, onnipresente. E formidabile, come il capostipite Lewis Powell, che nel 1971 – come ricorda Paolo Barnard – progettò l’inferno attuale per conto di Wall Street.Ha questa dote, il diavolo: sa vedere lontanissimo. Se osservo che il capitalismo rooseveltiano ha fatto un compromesso storico con le istanze del socialismo, incoraggiando addirittura la nascita di un vero sindacato industriale negli Stati Uniti e inculcando nel popolo l’idea che il benessere possa essere progressivamente esteso a tutti grazie alla generosa iniezione finanziaria dello Stato, io devo impedire che lo Stato sia generoso, fino a trasformarlo in uno spietato esattore. Come ci arrivo? Semplice: privatizzando la moneta. Missione: sostituire il segno più col segno meno. Spendere deve diventare vietato: il deficit, strategico per l’economia, deve trasformarsi in una colpa. Per arrivare a questo devo inquinare tutto: stampa, editoria, università. Devo piegare ogni forma di comunicazione alla mia propaganda: più mercato, meno Stato. Metodi antichi, carota e bastone: premio chi mi segue, punisco chi si ribella. La sinistra, politica e sindacale? Idem: corrompere i leader è più sicuro e meno dispendioso, che non affrontare duri scontri con il popolo. Saranno loro, i capi carismatici, a convincerlo: è infinitamente più pratico. La gente si fida degli avvocati del popolo: sono perfetti, per questa missione.Così il diavolo ha portato a termine il suo piano: negli anni Ottanta ha regalato a piene mani la cornucopia facile della Borsa, creando un clima di fiducia e di ottimismo. Dieci anni dopo s’è ripreso tutto, con gli interessi, privatizzando lo Stato e finanziarizzando l’economia. Gli ha dato una bella mano Bill Clinton, bell’esempio di avvocato del popolo, abolendo la separazione tra banche speculative e credito ordinario al servizio dell’economia. Poi è arrivata l’Unione Europea, a smantellare la residua funzione sovrana dello Stato. E la moneta unica privata ha fatto il resto, come la Grecia insegna. Un intero paese sventrato e svenduto, con i bambini denutriti e lasciati senza cure. Chi l’avrebbe mai detto, che sarebbe potuto verificarsi uno scempio simile? Nessuno, certo. E nessuno, infatti – nel grande pubblico – ha la minima idea di chi fosse l’oscuro avvocato Lewis Powell, il primo grande architetto dell’orrore post-democratico nel quale oggi siamo immersi. Nel frattempo, beninteso, il diavolo s’è dato da fare a livello internazionale: ha buttato giù grattacieli, ha armato guerre devastanti, ha arruolato bande di tagliagole. E usa sempre lo stesso vecchio trucco, la paura. Non ci sono alternative, è il suo motto: vi tocca soffrire. E certo non gli mancano gli avvocati, i facilitatori, i domatori. Tutti uguali: grigi, rassicuranti. E rigorosamente anonimi: insignificanti.Pertini, Moro, Craxi, Berlinguer: ve li vedete, nei panni di avvocati del diavolo? Mai e poi e mai: troppo risoluti e netti, chiari nel parlare, ostinati nelle loro convinzioni (giuste o sbagliate, non importa). Sono spariti un attimo prima che il diavolo spiccasse il volo: la rivoluzione digitale, la globalizzazione (ma solo delle merci e dei capitali), il boom prodigioso della Cina (ma solo economico, non democratico). Ed eccoci alle prese con la peste presunta, il morbo globalizzato che rinchiuderà in casa gli abitanti della Terra anche per sempre, un virus dopo l’altro, sotto la sorveglianza occhiuta delle App, del 5G e della psico-polizia orwelliana in versione sanitaria. Si fregherà le mani, il diavolo, constatando che crediamo proprio a tutto, ormai – persino a Greta: l’emergenza ecologica declinata nella versione innocua, per bambini. Crediamo ai virologi che si smentiscono l’un l’altro, crediamo a Salvini e alle Sardine, siamo devoti – ciecamente – al culto dei vaccini. Chiusi in casa per mesi, all’ombra dello slogan più patetico (andrà tutto bene), tra processioni di bare sui camion militari e imminenti funerali di decine di migliaia di aziende. Andrà tutto bene? Ma certo, l’ha detto l’avvocato: l’ha ripetuto ogni sera, a reti unificate, spedendo poliziotti e droni a rincorrere gli anziani per le strade, nelle valli, in fondo alle campagne.Dia-ballo, dividere: la norma capitale dell’imperio demoniaco. Niente è impossibile, se si sa come maneggiare la paura. Altra accortezza: azzerare la memoria. Guai, se l’imbonitore di turno ti ricordasse qualcosa di sgradevole e sinistro, qualcuno che hai già visto all’opera. Per questo il suo aspetto dev’essere sbiadito, e incolore la sua voce. Deve aiutare a spegnere e sopire, accomodando i bimbi davanti al televisore. Pronti ad aspettare, anche stavolta, in fiduciosa attesa: nelle fiabe che il diavolo racconta c’è sempre l’happy end. A questo serve la speranza che alimenta, a non svegliarsi mai. Come sonnifero, sa usare molto bene persino la violenza dell’esasperazione, la partigianeria politica: è sempre lui a fabbricare l’Uomo Nero contro cui ti sfogherai, senza capire che nessuno – nemmeno quelli per cui tifi – mette mai in discussione le regole, truccate, di questo assurdo declinare, di questo insano rassegnarsi al peggio, non si sa poi perché. Fino al punto – e qui si supera una soglia che ha dell’inaudito – di confiscare ogni residua libertà, osando l’impensabile. Tutti in prigione, senza diritto di parola? Eppure, là fuori, c’è un mondo leggibile in tutt’altro modo. Mai, prima d’ora, il pianeta era stato così ricco. E mai così capace, tecnologicamente, di azzerare anche l’impatto dell’inquinamento. Questione di volontà politica? Già, ma i politici? Scomparsi. Al loro posto parlano i virologi, gli economisti, gli ex giornalisti dei talkshow. Li rappresenta l’avvocato, coi suoi modi dimessi e impiegatizi, coltivando la fiducia che i dormienti non si sveglino mai più.E’ il sogno antico di chi confida in questo: che nessuno si accorga di cosa potrebbe combinare, se solo si destasse. Farebbe sparire in un istante l’idea stessa della prigionia, la tirannia di un male immaginario che diventa reale soltanto assecondandolo, cedendogli un poco alla volta, giorno per giorno, anno dopo anno. Chi ti mette paura, è evidente, è il primo a temere il tuo risveglio. E il tuo non saperlo è la sua assicurazione sulla vita. Se il palcoscenico è gremito di fantasmi, lo si deve a un impresario a cui nessuno ha chiesto mai il conto, da troppo tempo a questa parte. Per questo si diverte, con i suoi test paradossali: probabilmente non credeva che saremmo sprofondati così in basso, e senza lamentarci. In fondo siamo noi, comparse maltrattate, i veri primattori dello show: senza di noi, niente di tutto questo esisterebbe. Ne siamo in parte inconsapevoli, in parte siamo spaventati e sbigottiti. Non è in mano nostra, il telecomando. Ma non ci è stato mai rubato, in fondo. Siamo noi ad averlo ceduto, forse senza saperlo. Pigri e distratti, in molti casi. Troppo presi dagli ordinari chiaroscuri quotidiani per badare ai personaggi di lassù, che invece ci pensano incessantemente. Loro non si distraggono, non possono. E scelgono per noi, quand’è il momento, quello che noi stessi gli lasciamo scegliere: i falsi amici, i nemici apparenti. E l’avvocato più adatto alla bisogna.(Giorgio Cattaneo, “L’avvocato del diavolo”, dal blog del Movimento Roosevelr del 5 maggio 2020).L’avvocato del diavolo ha una caratteristica su tutte, il suo aspetto: è insignificante. «Così, nessuno mi vede mai arrivare», dice Al Pacino, nel film, rimproverando l’allievo Keanu Reeves per la sua vanesia esuberanza giovanile. Che tipo di diavolo serve, per imbrogliare l’Italia? Prima di tutto dev’essere, appunto, insignificante: anonimo, grigio, sbiadito, meglio ancora se incerto nell’eloquio e quasi incespicante. Democristiano nell’indole, un po’ di sinistra nell’apparenza e un po’ para-grillino nella circostanza, se il vento gonfia le vele effimere di quel movimento, a sua volta perfetto per illudere e poi fatalmente tradire, abbandonando i fedeli (come sempre fa, ogni demonietto che si rispetti). Ma esiste, il diavolo? A parte i satanisti, a crederci – secondo Mauro Biglino – sono solo i credenti che hanno sempre letto male la Bibbia, o non l’hanno proprio letta mai: altrimenti saprebbero che il Satàn ebraico è solo un “pubblico ministero” in carne e ossa, un essere umano prescelto a turno, ogni volta diverso, per dirimere contese civilissime, alla luce del sole. Allora è il male, il diavolo? Nemmeno alla consistenza del male crede la prima religione comparsa sulla Terra, quella di Zoroastro: il male è solo distanza dalla luce, che non può mai essere inghiottita dalle tenebre (è il Sole, semmai, a mangiarsi il buio). L’ombra non ha vita propria, è solo momentanea lontananza. Però serve, il diavolo, eccome. Serve da sempre: a mettere paura. E infatti è proprio la paura, oggi, a paralizzare l’Italia.
-
Barnard a Burioni: non siete scienza, se oscurate Montanari
Caro dottor Roberto Burioni, e suoi colleghi del Patto Trasversale per la Scienza, so che avete preso di petto il giornalista Claudio Messora, la sua testata “ByoBlu” e il naopatologo Montanari, Messora pubblicato. Be’, giusto per creare un “level plain field”, vi dico che non sono amico di nessuno dei due e ho sempre rifiutato di comparire sulla testata. Ma… c’è un “ma”. Il “ma” è che quando vedo che la scienza, nata da Galileo Galilei, si comporta come una cordata democristiana ai tempi di Ciriaco De Mita, be’, allora devo parlare, dottor Burioni. Le faccio dei nomi. Ignác Fülöp Semmelweis, Kery Mullys, Richard Horton, Freeman Dyson, Galileo Galilei. Abbia la pazienza, per cortesia, di ascoltare questi pochi minuti. Ignác Fülöp Semmelweis fu il medico ungherese che perse la vita, letteralmente, perché si accorse che la sepsi pureperale, che ai suoi tempi ammazzava decine di migliaia di donne gravide e di feti, era dovuta al fatto che i medici passavano da malato a malato, per poi infine visitare le gravide, senza lavarsi le mani nude. Le sue grida d’allarme furono prima ridicolizzate, poi fecero infuririare quelli che fanno i Patti per la Scienza, e infine – letteralmente – lo ammazzarono, rinchiudendolo in un manicomio, dove dopo due settimane di torture morì. Ma aveva ragione. Ci vollero decenni, e vallate di morti innocenti, perché la scienza se ne accorgesse.Kery Mullys fu l’inventore della “polymerase chain reaction” la Pcr, la tecnica di amplificazione di pezzi di acido nucleico, che non solo ha cambiato la storia dell’intera scienza biomedica, ma è ciò che oggi ci permette di identificare con certezza la presenza del coronavirus negli umani. Per questa scoperta, tra l’altro, Mullys vinse il Premio Nobel nel ‘93. Era un mio amico, Kery Mullys: lo invervistai per due mie inchieste di “Report”, negli anni Novanta, mangiavano gli spaghetti ai gamberoni fatti ha me nella sua casa di La Hoja, in California. Mullys mi disse, e l’aveva detto all’America delle scienze, che l’intero establishment scientifico globale aveva preso un immenso abbaglio, in virologia, cona la scoperta dell’Hiv come unica causa dell’Aids. Immagini, Burioni, il caos che ne seguì, quando “Report” di Gabanelli trasmise alla Rai quella mia inchiesta, quella mia intervista: Furio Colombo si “scarabattò” sudaticcio in qualche talkshow di punta, a smentire Mullys, e a chiedere implicitamente che lui, “Report” e io fossimo relegati alla vergogna. Anni dopo, Luc Montagner – il vero scopritore dell’Hiv – ammise che dovevano esserci dei co-fattori ad aiutare l’Hiv a causare l’Aids.In realtà, poi, il grande dissidente dell’Hiv come causa dell’Aids è un altro luminare americano, Peter Duesberg – altro mio caro amico, che fu eletto membro dell’Accademia delle Scienze Usa, per esser stato lo scopritore del primo onco-virus al mondo. Duesberg, letteralmente, fece perdere la testa agli scienziati: quando nel 1996, su Mullys e Duesberg, io intervistai il “baronissimo” dei baroni, cioè Anthony Fauci all’Nih, sperimentai i 25 minuti di odio più intensi, da parte di un intervistato, nella storia del giornalismo. Ma qui arriva Richard Horton (e lei sa chi è). Per il pubblico, è il direttore della più prestigiosa rivista scientifica del mondo, il “The Lancet”, su cui mi auguro che lei, Burioni, abbia abbondantemente pubblicato (immagino di sì). Richard Horton fu talmente scandalizzato dai tentativi della scienza di mettere a tacere delle voci scomode, che sul “The New York Review of Books”, nientemeno, scrisse: «Sono voci che comunque meritano di essere ascoltate, e l’assassinio ideologico che hanno subito rimarrà come un testamento imbarazzante delle tendenze reazionarie della scienza moderna». Cari Burioni e colleghi del Patto Trasversale per la Scienza, inizia a venirvi in mente qualcosa che avete fatto, in questi giorni, in Italia?E infine Freeman Dyson, deceduto a 96 anni, proprio il 28 febbraio scorso: era l’ultimo sopravvissuto dell’immenso “cluster” di geni della fisica e della matematica del Novecento, da Albert Einstein a Robert Oppenheimer, da Enrico Fermi a Alan Turing fino a Richard Feynman e Stephen Hawking. Freeman Dyson lavorò con tutti loro, e sedette fino alla sua morte nell’ufficio accanto a quello di Einstein, nell’Institute of Advanced Studies di Princeton, in America (più alto di lì non si va – almeno, con la relatività generale di questo universo). Lo conobbi brevemente: un uomo meraviglioso. Ma Dyson non era solo un “contrarian”: era proprio l’eretico degli eretici, in scienza. C’è una sua meravigliosa “lecture” al Pardee Centre della Boston University, dove inizia dicendo: «I dogmi scientifici odierni probabilmente sono giusti, ma devono essere sfidati». Quest’uomo, che fu definito un genio ha Hans Bethe (e spero che lei, Burioni, sappia chi era, Hans Bethe: fu il cervello che scrisse la matematica di quasi tutta la fisica quantistica, da Niels Bohr fino a Richard Feynman), trascorse gli ultimi anni della sua vita a prendersi tegole in testa dai Patti Trasversali per la Scienza, quando: 1) sfidò i modelli matematici dei climatologi sul “climate change”, definendoli “flat wrong”, cioè pessima aritmetica; 2) si mise contro l’invero movimento verde globale, dichiarando che gli orgamismi geneticamente modificati sono un tesoro di salvezza per i poveri, e non il loro veleno; 3) quando dichiarò che Darwin ci aveva forse preso, su come si sono evolute le macro-forme viventi, ma non aveva capito nulla dell’evoluzione dei microorganismi della Terra per miliardi di anni.E le tegole in testa, caro dottor Burioni, se le presero pure quelli che lo pubblicavano, cioè che pubblicavano un ostinato negazionista dei teoremi scientifici oggi dati per scontati. Ma mai – mai e poi e mai, Burioni – i suoi colleghi internazionali, ai livelli dell’Institute for Advanced Studies di Princeton, la seconda patria di Einstein, o ai livelli del “The Lancet”, si sognarono di trottare nelle Procure a denunciare chi aveva dato voce agli iconoclasti. Anzi – e ve lo ripeto, esimi Burioni e colleghi del Patto Trasversale per la Scienza: Horton, direttore del “The Lancet”, scrisse: «Sono voci che meritano di essere ascoltate, e l’assasinio ideologico che hanno subito rimarrà come testamento imbarazzante delle tendenze reazionarie delle scienza moderna». State umiliando il ricordo di Galileo Galilei, dottor Burioni e Patto Trasversale per la Scienza: il Galileo scandaloso e le sue folli idee, eretiche e pericolose al pubblico dei fedeli, zittito dalle Procure di allora (l’Inquisizione). Ritirate l’esposto contro “ByoBlu”, oppure togliete la parola “scienza” dal vostro Patto. E cito, ancora: «I dogmi scientifici odierni probabilmente sono giusti, ma devono essere sfidati» (Freeman Dyson).(Paolo Barnard, “Il testamento imbarazzante delle tendenze reazionarie della scienza moderna”, video-messaggio del 28 marzo 2020 in sostegno di “ByoBlu”, video-blog denunciato dal Patto Trasversale per la Scienza guidato da Roberto Burioni per aver dato spazio a Stefano Montanari e alle sue tesi alternative sul coronavirus).Caro dottor Roberto Burioni, e suoi colleghi del Patto Trasversale per la Scienza, so che avete preso di petto il giornalista Claudio Messora, la sua testata “ByoBlu” e il naopatologo Montanari, Messora pubblicato. Be’, giusto per creare un “level plain field”, vi dico che non sono amico di nessuno dei due e ho sempre rifiutato di comparire sulla testata. Ma… c’è un “ma”. Il “ma” è che quando vedo che la scienza, nata da Galileo Galilei, si comporta come una cordata democristiana ai tempi di Ciriaco De Mita, be’, allora devo parlare, dottor Burioni. Le faccio dei nomi. Ignác Fülöp Semmelweis, Kery Mullys, Richard Horton, Freeman Dyson, Galileo Galilei. Abbia la pazienza, per cortesia, di ascoltare questi pochi minuti. Ignác Fülöp Semmelweis fu il medico ungherese che perse la vita, letteralmente, perché si accorse che la sepsi pureperale, che ai suoi tempi ammazzava decine di migliaia di donne gravide e di feti, era dovuta al fatto che i medici passavano da malato a malato, per poi infine visitare le gravide, senza lavarsi le mani nude. Le sue grida d’allarme furono prima ridicolizzate, poi fecero infuririare quelli che fanno i Patti per la Scienza, e infine – letteralmente – lo ammazzarono, rinchiudendolo in un manicomio, dove dopo due settimane di torture morì. Ma aveva ragione. Ci vollero decenni, e vallate di morti innocenti, perché la scienza se ne accorgesse.
-
Burioni chiede di spegnere “ByoBlu”, cioè l’Italia più libera
Possibile lutto per quel che resta della libertà e della democrazia in Italia: il Patto per la Scienza creato da Roberto Burioni, virologo milanese, chiede alla magistratura di spegnere “ByoBlu”, il video-blog più seguito nel paese, con 400.000 iscritti e 130 milioni di visualizzazioni complessive. L’accusa: aver dato spazio alle tesi, sul coronavirus, esposte dal nanopatologo Stefano Montanari, scienziato di livello internazionale e con fama di “eretico”, notoriamente contrario ai vaccini. Secondo Montanari, attorno al Covid-19 sarebbe stata allestita una colossale montatura allarmistica. Obiettivi: incentivare il business di Big Pharma, ingigantire il potere tecno-sanitario e rovinare intere economie, a scopo speculativo. Quanto alla scarsissima letalità del virus, in tal senso si sono pronunciati epidemiologi di fama mondiale come Ilaria Capua, che si richiama alle cifre fornite dallo stesso Istituto Superiore della Sanità: sono pochissime le persone finora morte solo per il contagio; le vittime (anche giovani) erano minacciate da gravi malattie. Il virus avrebbe quindi agito come “detonatore” letale, aggravandone le condizioni. Punti di vista, quindi. Ma il Patto per la Scienza non li accetta. Non solo: pretende che non vengano espressi. E non chiede solo che venga rimosso Montanari dal web, ma esige che sia addirittura spento “ByoBlu”.Il canale è stato fondato oltre dieci anni fa da Claudio Messora, già comunicatore parlamentare dei 5 Stelle. Il video-blog vanta numeri che i giornali, oggi, possono solo sognarsi di avere. Milioni di italiani, ogni giorno, sono abituati a ricevere informazioni vitali proprio da “ByoBlu”, che – attraverso una redazione giornalistica – sforna 4-5 lunghi servizi quotidiani, dando vita a un rigoroso esperimento di pluralismo nell’informazione: una tribuna aperta alle voci più diverse, validate giornalisticamente e spesso autorevolissime. Non si contano i grandi nomi – del pensiero, della scienza, della cultura – che gli italiani hanno potuto incontrare regolarmente su “ByoBu”, spesso in contraddittorio fra loro. Informazioni di prima mano, analisi, squarci e approfondimenti su possibili verità che i grandi media trascurano. La linea editoriale è chiaramente riconoscibile: massima libertà di espressione, senza preclusioni per nessuno, nel rispetto delle regole giornalistiche (ovvero: affermazioni sempre documentate e verificabili). Uno stile “anglosassone”, asciutto, senza timori reverenziali né tesi preconcette. E’ un fatto: l’audience di “ByoBlu”, che si sostiene solo con le donazioni degli utenti, dimostra quanto sia importante, per milioni di italiani, questa preziosa fonte di informazioni.A chiedere di privare gli italiani della voce di “ByoBlu” è Burioni, vaccinista convinto, massimo propagandista nazionale della campagna per l’obbligo vaccinale imposto dal governo Gentiloni e poi confermato dai governi Conte, nonostante la presenza dei 5 Stelle (un tempo fieramente favorevoli alla libertà vaccinale). Oltre ai libri e all’onnipresenza televisiva nei principali talkshow, lo scorso anno Burioni ha lanciato un suo manifesto politico-programmatico – il Patto per la Scienza, appunto – ottenendo il consenso di firmatari illustri: Beppe Grillo, Matteo Renzi e il giornalista Enrico Mentana. Il documento chiedeva, in sostanza, di orientare in modo rigido la stessa ricerca scientifica, privilegiando l’impostazione dei vaccinisti come Burioni. Anche qui: libere opinioni. A patto che poi – come invece avviene oggi – non si pretenda addirittura di spegnere, censurare e imbavagliare le altre voci. La denuncia contro “ByoBlu” contesta la violazione dell’articolo 656 del codice penale, cioè la “pubblicazione e diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose, atte a turbare l’ordine pubblico”. Com’è evidente a tutti, oggi l’ordine pubblico in Italia è abbondantemente “sigillato” dal coprifuoco imposto dal governo per contenre il coronavirus. Messora confida nei magistrati milanesi. Con lui, milioni di italiani.Possibile lutto per quel che resta della libertà e della democrazia in Italia: il Patto per la Scienza creato da Roberto Burioni, virologo milanese, chiede alla magistratura di spegnere “ByoBlu”, il video-blog più seguito nel paese, con 400.000 iscritti e 130 milioni di visualizzazioni complessive. L’accusa: aver dato spazio alle tesi, sul coronavirus, esposte dal nanopatologo Stefano Montanari, scienziato di livello internazionale e con fama di “eretico”, notoriamente contrario ai vaccini. Secondo Montanari, attorno al Covid-19 sarebbe stata allestita una colossale montatura allarmistica. Obiettivi: incentivare il business di Big Pharma, ingigantire il potere tecno-sanitario e rovinare intere economie, a scopo speculativo. Quanto alla scarsissima letalità del virus, in tal senso si sono pronunciati epidemiologi di fama mondiale come Ilaria Capua, che si richiama alle cifre fornite dallo stesso Istituto Superiore della Sanità: sono pochissime le persone finora morte solo per il contagio; le vittime (anche giovani) erano minacciate da gravi malattie. Il virus avrebbe quindi agito come “detonatore” letale, aggravandone le condizioni. Punti di vista, quindi. Ma il Patto per la Scienza non li accetta. Non solo: pretende che non vengano espressi. E non chiede solo che venga rimosso Montanari dal web, ma esige che sia addirittura spento “ByoBlu”.
-
Casca il mondo, l’Italia sparisce. E nessuno dice la verità
“La guerra infinita”, “Il più grande crimine”, “Massoni”. Tre libri – italiani – senza precedenti nel mondo, quando uscirono. Nel primo, edito da Feltrinelli nel 2003, Giulietto Chiesa svelava la drammatica inconsistenza della versione ufficiale sull’11 Settembre, oggi conclamata: i tremila architetti e ingegneri dell’associazione 9/11 Thruth (e i pompieri di New York) dimostrano la “demolizione controllata” delle Torri Gemelle, certo non abbattute da aerei dirottati. Otto anni dopo, archiviato l’inferno dell’Iraq e neutralizzato il supertestimone Julian Assange, di fronte alla crisi finanziaria globale e alla micidiale austerity europea è stato Paolo Barnard ad afferrare il torno per le corna, con un instant-book diffuso sul web e ora pubblicato da Andromeda: il golpe tecnocratico dell’Eurozona riletto in chiave criminologica, dalle sue premesse (la svendita dell’Italia affidata a Prodi e Draghi) fino all’estrema conseguenza del devastante “economicidio” eseguito da Monti. Infine, nel 2014, è stato il massone progressista Gioele Magaldi ad aggiungere una spiegazione decisiva, facendo luce sul missing link che separa la cronaca dalla verità del potere: il ruolo delle superlogge sovranazionali, presentate per la prima volta con nomi e cognomi.Che fine hanno fatto, questi tre autori che il mainstream continua a ignorare? Due di loro – Chiesa e Magaldi – presidiano canali di informazione critica, mentre il terzo (Barnard) ha abbandonato anche il web, deluso dall’immobilismo italiano: cittadini ipnotizzati da un’offerta politica demenziale o cialtrona, come quella dei 5 Stelle, e “leoni da tastiera” incapaci di strutturarsi in opinione pubblica militante, in grado di impegnarsi politicamente per cambiare qualcosa. Giulietto Chiesa è passato per l’esperimento deludente della “Lista del Popolo” con Antonio Ingroia e ora segue da vicino Vox Italia, la formazione di Diego Fusaro. Soprattutto, anima le trasmissioni web di “Pandora Tv” e quelle nuovissime di “Contro Tv”, emittente fondata con Massimo Mazzucco, il cui esplosivo documentario “11 Settembre, inganno globale” fu trasmesso in prima serata nel 2006 su Canale 5 da “Matrix”, talkshow allora condotto da Mentana. Magaldi, dal canto suo, ha fondato il Movimento Roosevelt, entità trasversale meta-partitica: missione, inoculare il virus del risveglio democratico nei partiti italiani. E’ anche tra i promotori del “Partito che serve all’Italia”, piattaforma politica keynesiana, e partecipa a trasmissioni web-tv sui canali YouTube di “Border Nights” che ospitano lo stesso Mazzucco.A che punto è la notte? Difficile dirlo, data la nebbia che avvolge l’Italia: buio pesto, là fuori. A Palazzo Chigi siede il prestanome Giuseppe Conte, ottimamente relazionato con il Vaticano (nel frattempo divenuto socio di Lapo Elkann tramite il fondo Centurion basato a Malta), mentre le cosiddette Sardine fanno la guerra all’opposizione ignorando le eroiche imprese del governo più imbarazzante di sempre, attorno a cui ronzano statisti del calibro di Renzi, Di Maio e Zingaretti. L’Italia nel frattempo cade a pezzi: il crollo del viadotto Morandi e l’oscena vicenda del Tav Torino-Lione ne emblematizzano il declino, causa morte civile della politica, insieme all’agonia dell’Ilva, all’ignobile silenzio ufficiale sulla rete 5G, alla scandalosa gestione dell’obbligo vaccinale che nel 2019, per la prima volta, ha escluso 130.000 bambini da nidi e asili. Nel frattempo, la Exor di John Elkann si compra “Repubblica” e “L’Espresso”, cede ai francesi il timone dell’ex Fiat e non concede alcuna garanzia sul futuro degli stabilimenti italiani. In compenso ne aprirà uno in Marocco e si prepara a intascare altri 136 milioni di euro, stavolta dal governo Conte (che dichiara guerra al contante e ai micro-evasori, mentre la Fca continua a pagare le tasse in Olanda anziché in Italia).Argomenti caldi, sui media: gli sbarchi dei migranti e il malvagio Salvini. In compenso si lascia credere che il mondo verrà salvato da Greta Thunberg, cioè dai mega-investitori planetari alle spalle della ragazzina, Goldman Sachs e BlackRock in testa, che si apprestano a riverniciare di “green” i fondi-pensione da vendere a centinaia di milioni di persone, una torta da oltre 100 trilioni di dollari. Riassunto delle puntate precedenti? Non disponibile: i media non se ne occupano. Magari pontificano sulle altrui “fake news” sorvolando sulle proprie, ma si sono ben guardati dal recensire “La guerra infinita”, “Il più grande crimine” e “Massoni”, tre volumi risultati preziosissimi per gli italiani desiderosi di capire almeno qualcosa dello smisurato caos nel quale sembra finito il mondo, senza più distinzione tra destra e sinistra, buoni e cattivi, progressisti e conservatori. Si è appena celebrato l’anniversario della caduta del Muro di Berlino: poteva essere l’anno zero, l’avvento dell’epoca di pace sognata da Gorbaciov? Errore: Wall Street si gettò subito sulla Russia per spolparla, mentre alla Cina fu permesso di entrare nel grande giro mondiale del Wto ma in modo selvaggio, senza tutele per gli operai e per l’ambiente. Risultato: globalizzazione feroce e lavoratori occidentali nei guai, alle prese con la sciagura delle delocalizzazioni e la competizione impossibile con prodotti a bassissimo costo.Riassume Barnard: fu l’avvocato Lewis Powell, nel lontano 1971, a dettare il vademecum con cui l’élite “feudale” si sarebbe ripresa il pianeta, privatizzandolo. Con il libraccio “La crisi della democrazia” (di Gianni Agnelli la prefazione all’edizione italiana), la Trilaterale di Kissinger e soci spiegò che “l’eccesso di democrazia” si cura solo tagliando la democrazia. In Europa, gli oligarchi crearono un’Unione Europea concepita come il Sacro Romano Impero, fatta di sudditi da ridurre all’obbedienza. Bersaglio numero uno: gli Stati, pericolosi “competitor” del grande capitale. Vittima illustre: la ricchissima Italia dell’economia mista, supportata dall’Iri. Utili leggende fabbricate dal neoliberismo: il debito pubblico come malattia, come colpa (come se il governo avesse dovuto prima “risparmiare”, per poter poi finanziare le infrastrutture strategiche che permisero all’Italia del boom economico di uscire dall’età della pietra in cui l’aveva sprofondata la guerra fascista). Ora siamo agli sgoccioli: dopo la cura Monti il paese è a pezzi, ma i partiti pensano alle poltrone (e le Sardine a Salvini). Nel frattempo, la guerra – quella che Gorbaciov avrebbe voluto cancellare dalla faccia della Terra – è ridiventata una prassi ordinaria, fisiologica, a cui non si fa più neppure caso. Afghanistan e Iraq, Yemen, Somalia, Libia e Siria. Normalissimo, spararsi addosso per conto terzi: gli americani con le portaerei, i russi con i missili.Spiega Chiesa: l’11 Settembre fu creato a tavolino come casus belli per attuare il Pnac, il Piano per il Nuovo Secolo Americano redatto dai neocon, i signori del Deep State. Guerra planetaria, per terremotare l’economia e ridare fiato agli Stati Uniti, la superpotenza con il maggior debito estero del globo. A peggiorare ulteriormente il quadro provvede Magaldi: quei signori erano e sono massoni, che militano nelle superlogge reazionarie (che, attenzione: sono diffuse in tutto il pianeta, reclutando politici di ogni grande paese). Riletta così, la geopolitica si riduce a una serie di spaventosi regolamenti di conti, a guerre per bande. L’11 Settembre? E’ stata l’abominevole trovata di una Ur-Lodge terroristica, la Hathor Pentalpha dei Bush, per accelerare – manu militari, con la guerra innescata dal terrorismo “false flag” – questa folle globalizzazione neoliberista e mercantile, questa guerra mondiale dei super-ricchi contro il resto del mondo. I cocci, ovviamente, ci stanno cadendo addosso. C’è il sangue del terrorismo “domestico”, targato Al-Qaeda e poi Isis, e c’è lo sfacelo delle economie nazionali, dove neppure il Pil corrisponde più al benessere medio: più cresce, e più la maggioranza soffre, data la forbice ormai mostruosa tra produttori e rendita finanziaria.Era il 2010 quando Barnard cominciò a diffondere il suo contro-Vangelo sulla dominazione dell’euro, la moneta “privatizzata” per schiavizzare il 99% degli europei. Rimase lettera morta il clamoroso meeeting di economia promosso nel 2012 a Rimini con le migliori menti finaziarie dell’economia keynesiana. Inutile anche il viaggio di Warren Mosler in Italia, i consigli dispensati al governo romano. Tesi elementare: se si recupera sovranità monetaria si può tornare a investire nel mercato interno, battendo la crisi creata dalla globalizzazione. E i media nazionali? Silenzio, su tutta la linea. Non c’è pericolo che ai vari Floris, Formigli e Gruber venga in mente di sfiorare l’argomento: mutismo assoluto, anche ora che persino sua maestà Mario Draghi ha osato evocare la Modern Money Theory di Mosler. Da “La guerra infinita” sono passati 16 anni. Chi ha letto anche “Il più grande crimine”, e poi “Massoni”, si domanderà cosa mai potrà scuotere i dormienti, oggi lobotomizzati da Facebook, Twitter e WhatsApp. Si apre il 2020, e l’oscurità è fittissima. Julian Assange resta in prigione, anche se 80 medici raccomandano che sia ricoverato, essendo in pericolo di vita. L’Italia è in via di estinzione anche in Libia, ma quel che importa sono le regionali in Emilia. Qualcuno spieghi alle Sardine che l’Italia era un grande paese: c’èra giusto bisogno di innocue e appetitose Sardine per finire di divorarlo in santa pace.“La guerra infinita”, “Il più grande crimine”, “Massoni”. Tre libri – italiani – senza precedenti nel mondo, quando uscirono. Nel primo, edito da Feltrinelli nel 2003, Giulietto Chiesa svelava la drammatica inconsistenza della versione ufficiale sull’11 Settembre, oggi conclamata: i tremila architetti e ingegneri dell’associazione 9/11 Thruth (e i pompieri di New York) dimostrano la “demolizione controllata” delle Torri Gemelle, certo non abbattute da aerei dirottati. Otto anni dopo, archiviato l’inferno dell’Iraq e neutralizzato il supertestimone Julian Assange, di fronte alla crisi finanziaria globale e alla micidiale austerity europea è stato Paolo Barnard ad afferrare il torno per le corna, con un instant-book diffuso sul web e ora pubblicato da Andromeda: il golpe tecnocratico dell’Eurozona riletto in chiave criminologica, dalle sue premesse (la svendita dell’Italia affidata a Prodi e Draghi) fino all’estrema conseguenza del devastante “economicidio” eseguito da Monti. Infine, nel 2014, è stato il massone progressista Gioele Magaldi ad aggiungere una spiegazione decisiva, facendo luce sul missing link che separa la cronaca dalla verità del potere: il ruolo delle superlogge sovranazionali, presentate per la prima volta con nomi e cognomi.
-
Basta fango: se tutti i partiti si unissero per salvare il paese
Fango su fango, per produrre altro fango, lungo un desolato orizzonte di fango. Tutto è uguale a niente, ormai? Buio sul povero Giulio Regeni, massacrato in Egitto: anni di parole contro il truce regime del Cairo, e silenzio assordante sugli elusivi committenti di Giulio, le ambigue e reticenti agenzie di Cambridge che probabilmente lo mandarono al macello, a sua insaputa. Fango su fango, anche se si vuole inquadrare il martirio dei migranti: tutto sembra risolversi nell’insulso derby violento all’italiana, pro o contro Salvini, senza uno sputo di analisi sull’immane tragedia dell’Africa. Solo maschere, per questo piccolo avanspettacolo nutrito di personaggi come Carola Rackete e Greta Thunberg (perfetta, la svedese, per eludere – con il suo dogma climatico – il vero dramma dell’avvelenamento terrestre). A vincere è il fango, declinato ovunque. Fango sulla Russia, anche in salsa olimpionica: tutto si esaurisce negli ipotetici Russiagate, senza che nessuno si interroghi sul ruolo di Mosca, di Bruxelles, di Berlino e di Washington. I media fotografano una società che, anziché pensare, insulta. Fango su Trump, per le presunte intrusioni in Ucraina, dopo che il paese fu travolto da una rivoluzione colorata, progettata a tavolino e finita con la consegna del gas ucraino al figlio di Joe Biden, allora vice di Obama. Fango su tutti, a turno: sui siriani e gli iracheni, sui palestinesi, sui curdi.Fango e morte per i libici, gli yemeniti, gli stessi europei fatti a pezzi nelle piazze dal sedicente Isis, sotto il naso di polizie distratte. Fango e botte, per buon peso: sprangate in faccia ai manifestanti di Hong Kong e a quelli di Parigi. C’è chi la chiama terza guerra mondiale a rate, a puntate, a geometria variabile. Con tanto sangue, e soprattutto fango, a ogni latitudine. La piccola Italia (non così piccola, ma rimpicciolita dagli stregoni dell’Ue) diventa addirittura microscopica, nella fanghiglia della sua non-politica di ieri e di oggi. Non un partito vero, che pensi al domani: tutto è fermo alle elezioni del giorno dopo. Sondaggi, telegiornali, talkshow. Il non-governo attanagliato dal terrore del voto, l’opposizione che non va oltre l’ovvio disgusto per le non-decisioni dei prestanome che occupano i palazzi. La cosiddetta crisi morde sempre di più: acciaierie in panne e banche sull’orlo del tracollo, viadotti che si schiantano, fabbriche che chiudono, industrie che scappano all’estero per pagare meno (sia il lavoro che le tasse). Politica assente: massima irrisione, la non-protesta delle Sardine. Una beffa grottesca: festicciole e canzoni, al funerale dell’Italia.Uno spettacolo surreale, offerto al mondo che ci guarda, e che osserva la nostra incapacità strutturale di leggere la crisi, di riconoscerne i mandanti e gli esecutori. Attaccano Salvini, i dimostranti ipnotizzati dalla disinformazione: se la prendono con un micro-leader che domani forse non esisterà nemmeno più, e che comunque (questa la sua colpa) non ha ancora fatto assolutamente niente per restituire al paese una visione precisa, nonché una strategia su come uscire dall’oceano di fango nel quale sta affondando. Quel che non si perdona, alla Lega, è di essere l’unico partito a suo modo vitale, legittimato dal consenso? In effetti sembra fuori posto, questa Lega – prontamente assediata dalle inchieste – nell’Italia dell’anonimo e cardinalizio Conte, dell’esanime Zingaretti, della caricatura Renzi, degli zombie un po’ cialtroni che fino a ieri promettevano un mondo a 5 stelle. Altro? Macché. Fango per tutti, a reti unificate, senza sforzarsi di capire perché siamo finiti così in basso. Cos’è il debito pubblico? Cosa sono l’Eurozona, il Mes, la Brexit, il Fiscal Compact, il pareggio di bilancio? Cos’è davvero l’avanzo primario, che da quasi trent’anni fa sì che lo Stato prelevi dai cittadini, sotto forma di tasse, più di quanto il governo non spenda, per gli italiani, in termini di servizi?Economia, questa sconosciuta: deve provvedere Mario Draghi, nientemeno, a suggerire che la via d’uscita può essere dalla parte opposta, rispetto al plumbeo rigorismo della Bce. Proprio lui, Draghi, è come se dicesse: ci si salva facendo l’esatto contrario di quel che ho fatto io, in tutti questi anni, prima al Tesoro e poi a Bankitalia, quindi a Francoforte. Modern Money Theory: emissione illimitata di liquidità, a costo zero. Altro che super-tasse, altro che austerity imposta per volere divino. Deficit positivo: vuol dire soldi da investire, lavoro, consumi, economia (e alla fine, risanamento del bilancio). Il “nuovo” Draghi, keynesiano e sovranitario, potrebbe essere l’eroe perfetto, per le Sardine – per loro, e per chiunque aspiri a recuperare il senso delle cose, il contatto con la realtà (cos’è lo Stato e a cosa serve, come deve funzionare). “Prestatore di ultima istanza”: parole divenute antiche solo qui, in questa Europa nanizzata dall’Ue, dai trattati intangibili che la recintano, deprimendola. Atroce, storicamente, per un continente dove – tra Parigi e Londra – nacque la democrazia moderna, già incubata in modo larvale nel medioevo italiano dei Comuni, e poi evocata tra le barricate della Repubblica Romana. Mazzini e Garibaldi: non volevano forse una democrazia europea, di popoli fratelli? Sappiamo com’è andata: due guerre mondiali. Poi la pace tra le rovine, la ricostruzione, la prodigiosa rinascita nel Belpaese. Fino a quando, lassù, non s’è deciso che potesse bastare, e che dovessimo tornare a soffrire.Modern Money Theory: massima eresia. La sventola Draghi, e nessuno fiata. Nessuno lo intervista, lo interroga, lo incalza. Sarebbe la notizia del secolo, in teoria, in materia finanziaria. Certo, non è merce maneggevole per l’insultificio. Meglio il fango, certo: è tanto più comodo. Nel fango si sguazza un po’ tutti, perché non è difficile trovare il bersaglio adatto, visto il livello dello zoo politico. Sarebbe bello vedere un altro film. Gente che accetta di sedersi allo stesso tavolo, a discutere. Fine del tifo, della gara di rutti. Tema: rimettere insieme i frantumi. Unirsi, con un obbligo: cancellare la lavagna delle prossime elezioni, e mettersi a pensare. Trovare, insieme, il gusto del bicchiere mezzo pieno. Ce ne sarebbe, da studiare. Prima, però, converrebbe archiviare le bandiere. Si fa così, da sempre, quando si vuole la pace. Si mettono da parte i vecchi rancori, le liturgie rituali, le identità solo formali. Destra e sinistra: che senso hanno, oggi? Cos’ha fatto, di buono, il centrodestra di governo? E in cosa si è distinto, il centrosinistra, rispetto ai tagli sociali dell’era berlusconiana? Entrambe le fazioni hanno obbedito a diktat. L’hanno votata insieme, la legge Fornero. Hanno mostrato il medesimo rispetto reverenziale per lo sciagurato Patto di Stabilità, che in capo a dieci anni ha ridotto le strade dei paesi italiani a campi minati, dove si fa lo slalom tra le buche perché il Comune non ha i soldi per l’asfalto.Hanno ragione, le Sardine, a reclamare una diversa estetica, gentile e dialogante. Mancano il bersaglio, certo: sparano all’orso di cartone, senza avvedersi che il luna park è recintato come un lager, dove tutto è proibito. Siamo prigionieri, ecco il punto. Beninteso, prigionieri europei del terzo millennio: privilegiati, senza nessuna guerra in casa da settant’anni. Siamo persino liberi di parlare, di insultarci allegramente, di vomitare fango contro gli orsetti di cartone. Ma è tutto qui, quel che sappiamo fare? Non ci viene il sospetto che le nostre animose divisioni siano l’habitat perfetto, per chi vuole continuare a portarci via tutto? Nei decenni della sovranità relativa, monetaria, l’Italia divenne la quarta potenza industriale del pianeta. E questo, nonostante le sue piaghe: mafia, evasione fiscale di massa, corruzione dilagante della politica. Eppure il paese cresceva, tutti stavano meglio e sapevano che i figli avrebbero avuto ancora più opportunità. Il deficit aveva fatto da motore, e il mastodonte Iri era il volano di un’economia che trascinava migliaia di aziende. Poi hanno fatto a pezzi tutto, dando la colpa a noi: al debito delle cicale, alla mafia, agli evasori, ai politici corrotti.Con queste miserabili menzogne hanno eretto il recinto spinato dell’attuale luna park, su cui sventola la bandierina blu-stellata della cosiddetta Europa. Mafia, evasione, corruzione? Esattamente come prima. La differenza? Non possiamo più spendere. Il risultato è una specie di catastrofe: meno servizi, meno welfare, meno sanità, meno pensioni. Meno soldi, meno consumi, meno futuro, meno tutto. Rigore, tasse, delimitazioni assurde come la suprema frode del famigerato tetto del 3% alla spesa pubblica: pura invenzione di un’ideologia maligna, spacciata per norma scientifica, per legge economica. Balordo imbroglio, grazie al caos organizzato a tradimento. Dopo decenni di cospicue regalie statali, la grande industria se la svigna in Serbia, in Romania e in Polonia, dove le maestranze costano di meno. La Fiat scappa in Olanda, lasciando a secco il fisco del paese che l’ha coperta di miliardi per decenni. E che dire dell’inflessibile Germania? Trucca i suoi conti pubblici, facendo dimagrire il debito di Stato depennando quello delle Regioni e la spesa pensionistica. E noi in piazza, valorosamente, a intonare gli inni dell’antifascismo di un secolo fa, mentre i predoni del 2019 ridono degli italiani, ingenui incorreggibili.Che bello, se qualcuno mettesse in produzione l’altro film: quello che manca. Tutti seduti allo stesso tavolo. Di Maio e Renzi, Salvini e Zingaretti, la Meloni. Conferenza a reti unificate, per dire: signori, c’è un problema. Le regole vanno cambiate. Siamo tutti d’accordo, finalmente. Vogliamo salvare gli italiani, tornare alla democrazia reale dello Stato. Lanciare una democrazia continentale. Far nascere qualcosa che ancora non esiste: una Unione Europea, di gente che si aiuta. Bello e impossibile? Soltanto un sogno, un’utopia? Pure, proprio da lì si parte: sono i sogni a dissipare il fango. Il resto, poi, viene da sé. Di fronte a un orizzonte nuovo, chi mai perderebbe ancora tempo a vomitare insulti? Molto sta nel crederci, all’orizzonte amico. Serve qualcuno che innanzitutto lo disegni, faccia vedere quanto sarebbe attraente, e spieghi anche quali passi, esattamente, sarebbe necessario compiere, verso la meta. Prima, però, deve tornare il sole almeno nei pensieri: per metter fine al fango, alla paura, alla stupidità dell’odio. Sta a noi, la prima mossa: se scoppia la pace, si mette male per gli sfruttatori. Lo sanno bene, i padroni del luna park. Gli unici a non saperlo ancora, a quanto pare, siamo noi?(Giorgio Cattaneo, “Basta fango: se tutti i partiti italiani si unissero, per salvare il paese”, dal blog del Movimento Roosevelt del 18 dicembre 2019).Fango su fango, per produrre altro fango, lungo un desolato orizzonte di fango. Tutto è uguale a niente, ormai? Buio sul povero Giulio Regeni, massacrato in Egitto: anni di parole contro il truce regime del Cairo, e silenzio assordante sugli elusivi committenti di Giulio, le ambigue e reticenti agenzie di Cambridge che probabilmente lo mandarono al macello, a sua insaputa. Fango su fango, anche se si vuole inquadrare il martirio dei migranti: tutto sembra risolversi nell’insulso derby violento all’italiana, pro o contro Salvini, senza uno sputo di analisi sull’immane tragedia dell’Africa. Solo maschere, per questo piccolo avanspettacolo nutrito di personaggi come Carola Rackete e Greta Thunberg (perfetta, la svedese, per eludere – con il suo dogma climatico – il vero dramma dell’avvelenamento terrestre). A vincere è il fango, declinato ovunque. Fango sulla Russia, anche in salsa olimpionica: tutto si esaurisce negli ipotetici Russiagate, senza che nessuno si interroghi sul ruolo di Mosca, di Bruxelles, di Berlino e di Washington. I media fotografano una società che, anziché pensare, insulta. Fango su Trump, per le presunte intrusioni in Ucraina, dopo che il paese fu travolto da una rivoluzione colorata, progettata a tavolino e finita con la consegna del gas ucraino al figlio di Joe Biden, allora vice di Obama. Fango su tutti, a turno: sui siriani e gli iracheni, sui palestinesi, sui curdi.
-
Un manuale di democrazia, contro l’odio politico quotidiano
Il Mes? Una tenzone tra «servi di Berlino» e «agenti di Putin». I migranti? Tutti da accogliere o tutti da rispedire in Libia. L’Ilva? Futuro parco giochi o eterna distilleria di veleni… Ma quanto sappiamo davvero del meccanismo europeo di stabilità? Chi conosce il tasso di criminalità e l’apporto alla previdenza sociale determinati dalla presenza degli stranieri in Italia? Qual è il livello di produzione e di occupazione entro il quale la grande acciaieria di Taranto è sostenibile? Bisognerebbe parlarne, magari senza strillare, in modo da ascoltare (anche) le ragioni degli altri: perché non è detto siano peggiori delle nostre. Lo scrive Goffredo Buccini sul “Corriere della Sera”, secondo cui – in questi tempi di reciproche scomuniche – sul comodino di ogni politico dovrebbe stare un libro, “Good economics for hard times” (buona economia per tempi duri, in uscita da Laterza). Una specie di “manuale di democrazia”, scritto dai coniugi Esther Duflo e Abhijit Banerjee, lei francese e lui indiano, entrambi docenti al Mit di Boston (e incidentalmente anche Premi Nobel per l’Economia). Il libro, avverte Buccini, affronta la decadenza della nostra vita pubblica. Meglio: l’eclissi di quell’elemento che di ogni democrazia è il sale, e cioè il dialogo.Il discorso pubblico, scrivono i due professori, è «sempre più polarizzato», tra sinistra e destra è sempre più «un match di insulti» con «pochissimo spazio per una marcia indietro». Non vi sembra di vedere scene da talk show nostrano? Non ritrovate la trincea dei famosi valori non negoziabili? «Se in Italia ci si picchia a Montecitorio sotto gli occhi delle scolaresche in visita – continua Buccini – in America il 61% dei democratici vede i repubblicani come razzisti, sessisti o bigotti e il 54% dei repubblicani chiama i democratici “maligni”. Un terzo degli americani sarebbe deluso se un membro stretto della famiglia sposasse un sostenitore dell’altro partito». Ciò che ci interessa, delle grandi questioni, è riaffermare «specifici valori personali» («Io sono a favore dell’immigrazione perché sono generoso», «Io sono contro l’immigrazione perché i migranti minacciano la nostra identità»). E per supporto, continua Buccini, ricorriamo a numeri fasulli e letture semplicistiche dei fatti. «La sinistra “illuminata” parla in termini “millenaristici” dell’ascesa mondiale della nuova destra, la quale ricambia i pregiudizi».I punti di vista sono «tribalizzati», non solo sulla politica ma anche sui problemi sociali: tutte questioni, annota Buccini, che richiederebbero qualcosa più di un tweet. Scrivono Duflo e Banerjee: «La democrazia può vivere con il dissenso finché c’è rispetto da entrambe le parti». Infatti, scrive il giornalista del “Corriere”, il virus discende aggressivo dai politici ai loro supporter. «Lo scrittore Gery Palazzotto ha di recente tracciato per “Il Foglio” una fenomenologia dell’hater nostrano, l’odiatore da social, riportando i verbali di interrogatorio di una nonna (nonna!) di 68 anni, appartenente alla pattuglia che vomitò oscenità web contro Sergio Mattarella quando il capo dello Stato, nel maggio 2018, fermò la nomina del professor Savona a ministro dell’economia». Se non ci fosse questa «forsennata tammurriata collettiva», scrive Buccini, «sarebbe assai improbabile che un dentista bergamasco (Roberto Calderoli) desse dell’orango a una dottoressa di origine congolese (Cécile Kyenge)». L’eccesso di intemperanza dei politici «ha un effetto esponenziale, produce legioni di odiatori che, specie in un paese segnato dall’analfabetismo funzionale quale è il nostro, odiano senza sapere bene perché».La risposta, dicono Duflo e Abhijit Banerjee nel loro libro, sta nello spacchettare il fenomeno, «scoprendo così che dentro, quasi sempre, non c’è nulla». Da scienziati sociali, i due Nobel avvertono: meglio che ciascuna parte capisca, prima di tutto, ciò che l’altra parte sta dicendo, e quindi «arrivi a qualche ragionato disaccordo, se non al consenso». Un’ottica, per tornare ai nostri casi, in cui – secondo Buccini – potrebbe stonare, una chiusura irridente alla pur inattesa proposta di dialogo di Matteo Salvini su un tavolo di “salvezza nazionale” per regole condivise. Quella del leghista «sarà anche tattica, per sfuggire a un certo isolamento». Per giunta «suonerà persino bizzarra, venendo da chi ieri si appellava alla Madonna di Medjugorje contro il premier Conte, e ancora oggi tiene due profeti dell’Italexit a capo delle commissioni economiche del Parlamento». Eppure, conclude Buccini, «sedersi a quel tavolo non sarebbe inutile», per esempio «se servisse solo a svelenire il clima, mostrando innanzitutto agli odiatori di ciascuna fazione che esiste una strada diversa».Il Mes? Una tenzone tra «servi di Berlino» e «agenti di Putin». I migranti? Tutti da accogliere o tutti da rispedire in Libia. L’Ilva? Futuro parco giochi o eterna distilleria di veleni… Ma quanto sappiamo davvero del meccanismo europeo di stabilità? Chi conosce il tasso di criminalità e l’apporto alla previdenza sociale determinati dalla presenza degli stranieri in Italia? Qual è il livello di produzione e di occupazione entro il quale la grande acciaieria di Taranto è sostenibile? Bisognerebbe parlarne, magari senza strillare, in modo da ascoltare (anche) le ragioni degli altri: perché non è detto siano peggiori delle nostre. Lo scrive Goffredo Buccini sul “Corriere della Sera“, secondo cui – in questi tempi di reciproche scomuniche – sul comodino di ogni politico dovrebbe stare un libro, “Good economics for hard times” (buona economia per tempi duri, in uscita da Laterza). Una specie di “manuale di democrazia”, scritto dai coniugi Esther Duflo e Abhijit Banerjee, lei francese e lui indiano, entrambi docenti al Mit di Boston (e incidentalmente anche Premi Nobel per l’Economia). Il libro, avverte Buccini, affronta la decadenza della nostra vita pubblica. Meglio: l’eclissi di quell’elemento che di ogni democrazia è il sale, e cioè il dialogo.
-
Lo sfacelo della politica italiana e l’indegna fine dei 5 Stelle
Rumore di fondo: ogni giorno che passa, l’Armata Brancaleone del Conte-bis offre di sé un ritratto piuttosto penoso. Accuse, ripicche, insinuazioni e ricatti. Dopo la débacle in Umbria, il clima è ulteriormente peggiorato. Volano gli stracci tra i 5 Stelle, mentre l’incolore Pd zingarettiano si lecca le ferite senza nulla dire, pensare, proporre. Renzi (in versione mini-sciacallo) si gode lo spettacolo, gustandosi la faccia dello spaurito Speranza, ministro “di sinistra” di un esecutivo inesistente, abborracciato dai tecnocrati-canaglia di Bruxelles e tenuto in piedi da parlamentari terrorizzati dall’idea del voto anticipato. Sul funerale dell’Italia volteggia l’avvoltoio Mario Draghi, osannato dal gotha dell’euro-catastrofe, mentre Salvini (in tandem con Giorgia Meloni, miracolata dal voto umbro) già si proietta a colpi si selfie sulle regionali in Emilia. Nessuno di loro ha battuto ciglio per la svendita alla Francia dei resti umani della Fiat, operai residuali in balia degli affaroni non più italiani della dinastia Agnelli-Elkann. Silenti gli stessi sindacati-fantasma, anche di fronte al disperato taglieggiamento del governo ai danni del cittadino, vessato da grappoli di micro-tasse che servono a tenere in piedi un bilancio utile solo a rinviare di qualche mese la certificazione clinica del declino, imposto dalla sottomissione all’austerity perenne.L’ultima caccia alle streghe – tutta colpa dell’idraulico che lavora in nero, del ristorante che rifuta le carte di credito – aggiunge disagio al senso del ridicolo che grava sul paese, pietosamente alla mercé di qualsiasi forza esterna intenzionata a usare l’Italia come discount a prezzi stracciati. La liquidazione dell’Italia va avanti da almeno un quarto di secolo, si lamenta l’ex ministro socialista Formica: finita la cosiddetta Prima Repubblica, insieme ai partiti e a quel che restava delle loro ideologie sono sparite anche le idee su come progettare un futuro per la Penisola. Berlusconi e Prodi, poi Monti e i prestanome del Pd. Fallito sul nascere l’ambiguo tentativo gialloverde, si è tornati all’antico ma solo provvisoriamente, barcollando in modo precario sull’abisso. Emblema del momento presente, il non-premier Conte: non votato, non eletto, non schierato, non chiaro con gli italiani. Rumore di fondo: disgregazione, sfaldamento, diserzione. Renzi aspetta che Zingaretti si dissangui, Salvini attende la fine di Berlusconi. Nessuno ha spiegato che idea di paese ha in mente, quale visione di futuro, che tipo di collocazione per l’Italia, quale ruolo dello Stato nell’economia, che posizione assumere con l’Ue. Si procede a tentoni, tra voci di indagini e comparsate televisive, confidando nel supporto fokloristico delle opposte tifoserie, dall’ostilità calcistica per l’avversario.Lo sfacelo del Movimento 5 Stelle spiega, da solo, il disastro politico italiano. Dopo aver promesso di rimettere il cittadino al centro della scena, il partito-caserma fondato da Casaleggio e Grillo ha tradito militanti ed elettori, votando esattamente il contrario di quanto sbandierato per anni. Voltafaccia completo, su tutta la linea, sonoramente premiato col 7,4% rimediato a Perugia. I delusi bombardano Di Maio, come se Grillo non esistesse. Gli ottimisti scommettono ancora sulla base grillina, piena di buone intenzioni, ingannata dai perfidi dirigenti. Ma i 5 Stelle non hanno mai celebrato un congresso, eletto (davvero) i loro organi dirigenti, confrontato diverse opzioni sul tappeto. Hanno accettato, fin dall’inizio, che fosse il Capo ad avere l’ultima parola, sempre. E’ stato Grillo a imporre a Di Maio di allearsi con Renzi, dopo aver cestinato il 90% del programma dei 5 Stelle. Il MoVimento ora è in stato di disfacimento: doveva servire solo a tener buoni gli italiani, in attesa che il grande potere si riorganizzasse? In realtà, il caos regna anche ai piani alti: lo dimostra la paralisi della Commissione Europea. Macron e Merkel litigano, oggi. Ma non hanno di che preoccuparsi, riguardo all’Italia: il Movimento 5 Stelle ha mostrato loro che milioni di italiani possono davvero credere a storielle come il mitico “uno vale uno”. A metterli nel sacco c’è riuscito persino Beppe Grillo.Rumore di fondo: ogni giorno che passa, l’Armata Brancaleone del Conte-bis offre di sé un ritratto piuttosto penoso. Accuse, ripicche, insinuazioni e ricatti. Dopo la débacle in Umbria, il clima è ulteriormente peggiorato. Volano gli stracci tra i 5 Stelle, mentre l’incolore Pd zingarettiano si lecca le ferite senza nulla dire, pensare, proporre. Renzi (in versione mini-sciacallo) si gode lo spettacolo, gustandosi la faccia dello spaurito Speranza, ministro “di sinistra” di un esecutivo inesistente, abborracciato dai tecnocrati-canaglia di Bruxelles e tenuto in piedi da parlamentari terrorizzati dall’idea del voto anticipato. Sul funerale dell’Italia volteggia l’avvoltoio Mario Draghi, osannato dal gotha dell’euro-catastrofe, mentre Salvini (in tandem con Giorgia Meloni, miracolata dal voto umbro) già si proietta a colpi si selfie sulle regionali in Emilia. Nessuno di loro ha battuto ciglio per la svendita alla Francia dei resti umani della Fiat, operai residuali in balia degli affaroni non più italiani della dinastia Agnelli-Elkann. Silenti gli stessi sindacati-fantasma, anche di fronte al disperato taglieggiamento del governo ai danni del cittadino, vessato da grappoli di micro-tasse che servono a tenere in piedi un bilancio utile solo a rinviare di qualche mese la certificazione clinica del declino, imposto dalla sottomissione all’austerity perenne.
-
5 Stelle ricattati dal potere che utilizza tutti, anche la Lega
Nelle elezioni in Umbria, la coalizione Pd-M5S la preso una legnata terribile. Lo si sapeva, era attesa. Ma probabilmente è andata al di là delle proporzioni che tutti si aspettavano. A parte quello che dicono i talkshow, sempre manipolati, ora cosa ci si può attendere, realisticamente? L’alleanza tra 5 Stelle e Pd è stata facilitata dal “babau” Salvini che “creava un sacco di problemi per l’Italia” (il che era anche vero, perché tutto il mondo del potere si era esercitato – coi mercati, con l’Europa – contro il governo precedente). Salvini, per qualche motivo (qualche ricatto, o qualcosa del genere) è stato costretto a buttare all’aria il governo gialloverde, e così si è formato quello che prima non si poteva formare: senza il “babau” Salvini, Pd e 5 Stelle non avrebbero mai fatto maggioranza insieme. Certo non è facile, la coesistenza di questi due soggetti: bisogna che ci siano delle contingenze esterne che la rendano sempre più possibile. Ora, elezioni regionali sembrano essere state una legnata, per i due alleati (e lo sono), ma d’altra parte li costringono – ancora di più – a stare insieme fino alla fine della legislatura, perché se si va alle elezioni prendono una batosta anche a livello nazionale e perdono il governo.Quindi, invece di chiarire se questo governo deve rimanere in carica o no, queste elezioni lo rafforzano – a meno che (il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi) qualche gruppo di grillini o di renziani non immagini una strada diversa e mandi tutto all’aria. Vedremo, ma innnazitutto: perché si è verificata, questa batosta? I grillini hanno tradito la loro base. Come nel resto d’Italia, anche in Umbria il Movimento 5 Stelle si era formato combattendo contro Berlusconi e contro il Pd. Questa è stata la loro storia. In Umbria avevano lottato soprattutto contro il Pd, in tutti i modi. In Umbria, il Pd era l’arroganza del potere, il rapporto con il capitale e con i poteri forti, e nessun ascolto dei territori. Questo è stato, il gruppo incarnato dal Pd, per decine di anni. E gli uomini del Movimento 5 Stelle (consiglieri regionali, comunali) erano cresciuti in Umbria facendo questa battaglia. Ho parlato con tanti di loro. Quando il M5S si è alleato col Pd, dicevano: «E adesso noi che facciamo? Ci avevamo messo la faccia, e adesso la perdiamo». Aggiungevano: «Speriamo che il disastro elettorale sia di proporzioni limitate». Ma secondo me nemmeno loro se l’aspettavano, che finisse proprio così.C’è stato il tradimento di tutta una classe di attivisti 5 Stelle (come anche nel resto d’Italia, peraltro: quindi, se la stressa cosa viene riproposta in giro per l’Italia, immaginatevi cosa succede). Ma ormai la gente cominicia a non credere più ai burattini di Grillo. In mezzo a loro ci sono tante persone per bene, ma ormai lo si è capito: Grillo ha deciso di andare col Pd, coi poteri forti. Ha deciso di favorire la finta rivoluzione fatta dai poteri forti attraverso l’elettronica, l’industria del “green new deal”, e così il Tap, il Tav, il Muos, i vaccini. Quindi la gente ormai se n’è accorta. Ci vorrà un po’ di tempo, ma diciamo che il Movimento 5 Stelle è in via di spegnimento. A favore di chi? Dei poteri forti, ovviamente. Attualmente, in Parlamento il M5S ha una massa enorme di deputati e senatori che non avrebbe, se si fosse votato adesso, ma insieme a quelli del Pd (che anch’essi prenderebbero una discreta legnata) hanno tutto l’interesse a portare a termine la legislatura, a maggior ragione dopo la batosta in Umbria. Ma pensate al potere oscuro che li controlla entrambi: è un potere verticista, mondializzante, europeista. Pensate a come li controlla meglio, adesso. Non possono sgarrare, né protestare, perché rischiano di andare tutti a casa.E allora farà ancora più disastri, il pericolosissimo governo Conte-bis. E’ stato formato da gente del Club di Roma, dell’Unione Europea, di Goldman Sachs e da gente dei peggiori poteri, inclusi i gesuiti e certe massonerie. E’ un governo di guerra, muove guerra alle coscienze, e trasferirà ancora più fondi dalle nazioni all’Ue: è punta di lancia dell’europeismo e della maggioranza europea verticalizzante. Farà ancora più danni, perché costringerà facilmente a stare zitti i deputati e i senatori che lo sostengono: dovranno accettare tutto, altrimenti andranno a casa. Riuscirà, questa operazione? Speriamo di no. Se non riuscisse, cosa succederebbe? Magari, la destra andrebbe al governo. Ma non aspettiamoci rivoluzioni: la destra dipende dagli stessi poteri, il suo mestiere è solo di fare “bau-bau”. Quindi avremmo un governo di destra che verrebbe attaccato in tutti i modi. Verrebbe messa in crisi l’Italia, fino a ricondurci all’ovile dei funzionari del potere. Quello che è stato fatto adesso verrebbe riproposto. Cosa dobbiamo fare? Svegliarci, non credergli più. E continuare a fare quello che diciamo sempre: lavoriamo, non pensando a questi felloni, ma a quello che possiamo fare attorno a noi. Organizziamoci in piccole comunità e associazioni, gruppi d’acquisto etico-solidali. Facciamo il lavoro in orizzontale: è dal livello orizzontale che sorgerà una società nuova, non da questi felloni.(Fausto Carotenuto, “Elezioni in Umbria: la batosta Pd e M5S. Perché? Cosa cambia in Parlamento?”, video-editoriale su YouTube registrato il 29 ottobre 2019. Già analista politico dei servizi segreti Nato, Carotenuto è ora animatore del network “Coscienze in Rete”).Nelle elezioni in Umbria, la coalizione Pd-M5S la preso una legnata terribile. Lo si sapeva, era attesa. Ma probabilmente è andata al di là delle proporzioni che tutti si aspettavano. A parte quello che dicono i talkshow, sempre manipolati, ora cosa ci si può attendere, realisticamente? L’alleanza tra 5 Stelle e Pd è stata facilitata dal “babau” Salvini che “creava un sacco di problemi per l’Italia” (il che era anche vero, perché tutto il mondo del potere si era esercitato – coi mercati, con l’Europa – contro il governo precedente). Salvini, per qualche motivo (qualche ricatto, o qualcosa del genere) è stato costretto a buttare all’aria il governo gialloverde, e così si è formato quello che prima non si poteva formare: senza il “babau” Salvini, Pd e 5 Stelle non avrebbero mai fatto maggioranza insieme. Certo non è facile, la coesistenza di questi due soggetti: bisogna che ci siano delle contingenze esterne che la rendano sempre più possibile. Ora, elezioni regionali sembrano essere state una legnata, per i due alleati (e lo sono), ma d’altra parte li costringono – ancora di più – a stare insieme fino alla fine della legislatura, perché se si va alle elezioni prendono una batosta anche a livello nazionale e perdono il governo.
-
ControTv, in diretta: Chiesa e Mazzucco aggirano YouTube
Attenti a quei due: da anni sfidano il mainstream, smontando le sue leggende, e non hanno ancora smesso di impensierire il Grande Fratello. Tant’è vero che, non appena la nuova iniziativa è finita su una pagina Facebook con oltre 40.000 contatti, la segnalazione è stata trasmessa in automatico solo a 9.000 follower. Già si annusano guai in vista, ipotizza Massimo Mazzucco, titolare della pagina stranamente “filtrata”: il mitico algoritmo di Zuckerberg sospetta che il suo nome, unito a quello di Giulietto Chiesa, possa essere sinonimo di grane? Del resto, quello è il sistema che dispensa sonni tranquilli al cittadino, magari invitandolo a rifugiarsi nel politically correct come nel caso del polverone attorno alla commissione Liliana Segre. Sacrosanto condannare chi insulta i reduci della Shoah, beninteso: purché questo poi non venga usato per silenziare chiunque la pensi diversamente, sui temi più disparati. «Vale anche per il revisionismo: un conto è oltraggiare i reduci, un altro è avere idee differenti sulla storia. Proibirle non è forse contrario alla libertà di parola tutelata dalla Costituzione?». E poi: «Perché la versione ufficiale dovrebbe essere obbligatoria solo per la Shoah, di cui si stabilisce il numero di vittime senza mai interrogarsi sulle vere cause del nazismo e sui sostenitori occulti di Hitler?». A quel punto, dice Mazzucco, si emani una verità ufficiale su ogni altro tema, e buonanotte a tutti.
-
Petizione: la Gruber è faziosa, va cacciata da Otto e mezzo
«Non si permetta, io non dico sciocchezze!». L’ultima a protestare è Giorgia Meloni, che si è sentita presa a sberle in trasmissione, insolentita da Lilli Gruber. Il sulfureo Vittorio Feltri definisce la conduttrice di “Otto e mezzo” con poche parole: «Capace di dirigere con grande abilità un programma brutto, un ring dove non vince il più forte bensì il più cafone». Lilli Gruber? Sa anche prodursi in «qualcosa di disgustoso e fuori dalle elementari regole del giornalismo», sentenzia il mitico direttore di “Libero”. Perché allora non chiedere che cambi mestiere, la navigatissima giornalista di origine altoatesina che esordì al Tg2 nell’era Craxi? Facile a dirsi, ma la Lilli nazionale «ottiene buoni ascolti», aggiunge Feltri: «E Cairo, il padrone de “La7”, gongola». Tra chi non rinuncia alla speranza di vedere la televisione italiana “bonificata” dall’invadente presenza della Gruber c’è Marco Moiso, pubblicitario londinese, vicepresidente del Movimento Roosevelt. «Lilli Gruber – scrive, nel testo di una petizione su “Change.org” – non sembra essere in grado di fare il mestiere della giornalista in maniera obiettiva ed equanime». L’accusa: «Il suo stile di giornalismo, giudicato fazioso (e strumentale all’agenda politico-finanziaria neoliberista), offende troppe persone per poter continuare ad avere uno spazio importante come quello di “Otto e Mezzo”».