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Coronavirus: riecco l’ennesima, perfetta epidemia di panico
Volevo spendere due parole sulla dissonanza cognitiva che circonda le notizie sulla nuova “epidemia” di coronavirus, ovvero del fatto che siamo tutti terrorizzati da un’epidemia senza che nessuno dei numeri diffusi parlino dell’epidemia. Possiamo fare due ipotesi: la prima è che i numeri diffusi dal governo cinese siano veritieri. La seconda è che il governo cinese stia nascondendo i fatti e i numeri siano ancora peggiori. Partiamo dalla prima ipotesi. Se questo è vero, sappiamo che in un paese che ha un miliardo e mezzo di abitanti ci sono 1360 malati, di cui 41 sono morti, quasi tutti anziani e malati. Ora, onestamente, visti i numeri in gioco questa non solo non è un’epidemia, è l’effetto di un giorno lievemente più freddo del solito, nel quale muoiono di polmonite degli anziani. Stiamo parlando di un numero di contagiati che sta nel raggio di un milionesimo della popolazione cinese, e un numero di morti che sta nell’ordine di mezzo decimilionesimo. Allora si dirà che si tratta delle caratteristiche del virus a preoccupare. Bene. Ma il problema è che le caratteristiche del virus sono note da dicembre, e a tutt’oggi è quasi ignoto il vettore che lo porta all’uomo.Se fossero gli uccelli, come la Sars, allora esisterebbe la possibilità che arrivi in volo. Se invece sono i visoni, le probabilità di una diffusione mediante un vettore sono, come dire, “relativamente basse”. è necessario che qualcuno entri in contatto con un cinese infetto. Cioè col milionesimo giusto della popolazione. In queste condizioni, direi che non si giustificano le evacuazioni fatte dai cinesi, non si giustifica la fuga dei diplomatici dalla Cina, e non si giustificano le misure straordinarie prese dal Politburo. Nessuno mette in quarantena 56 milioni di persone per qualcosa che, a sentire i numeri ufficiali (rapportati con la popolazione cinese), è meno pericoloso dello smog. E anche se lo paragoniamo coi 56 milioni di persone in quarantena, il numero di morti sembra una statistica sull’abuso di alcool sulle strade. Quindi, prende corpo la seconda ipotesi: i numeri forniti sono stati “cucinati”. Quello che sappiamo sinora è che questo coronavirus ha gli effetti di una leggera influenza. Questi sono i numeri attuali. Ma l’emergenza in atto è adatta ad un altro tipo di epidemia.Sappiamo che vengono costruiti ospedali per non dover muovere i malati. Il nuovo ospedale costruito a Wuhan può contenere circa 1500 malati. Se questo è vero, considerato che i numeri ufficiali parlano di 41 morti su 1360 contagiati, se diamo per buona questa proporzione (simile a quella della Sars), allora il governo cinese è al corrente di circa 50.000 contagi o li dà per scontati. Anche in questo caso, però, le proporzioni non bastano a parlare di epidemia. Se si isolano 56 milioni di persone per 50.000 contagiati, e una quantità di vittime vicina al 1500, stiamo ancora parlando di una probabilità di venire contagiati che sta attorno all’uno per mille, e una di morire che sta attorno all’uno su diecimila. Se avete queste paure, allora non usate più l’automobile, andate in palestra e cominciate a mangiare molto meglio. Altrimenti rischiate di più. La mia impressione è che questa sia un’epidemia di panico. Quello che vedo è che i giornali occidentali stanno diffondendo quello che sono più bravi a diffondere: la paura.Quella che, stando ai numeri, sembra un’influenza nemmeno tanto forte che uccide principalmente anziani e malati, sta venendo descritta come una gigantesca epidemia, una specie di peste bubbonica. Vorrei solo far presente che la “terribile” Sars ha fatto circa 8000 contagi l’anno, per un totale di circa 60 morti/anno, tutti persone anziane, sieropositive o immunodepresse. La mia personale sensazione è che si tratta del solito panico quotidiano gratuito. Il solito stato costante di ansia, paura e timore del futuro che viene usato per tenere la testa bassa a chi pensa di essere abbastanza in forma da criticare il manovratore. Sicuramente il coronavirus esiste. Ne esistono migliaia. E se prendiamo una popolazione di un paio di miliardi di persone stipate in città con densità insane, e condizioni igieniche buone solo in apparenza, è ovvio che si diffonderanno.Cosa intendo per “buone solo in apparenza?” Intendo dire la città di Wuhan vi potrà apparire pulita quanto volete, ma se fanno i mercatini con animali vivi uccisi sul posto, è un merdaio infame degno del terzo mondo: il concetto di igiene comprende tutta una profilassi che riguarda la catena di distribuzione alimentare, la catena di smaltimento dei rifiuti, la catena di profilassi veterinaria, la qualità degli acquedotti e dei sistemi fognari, e tante altre cose di cui il passante non si accorge quando passeggia per la strada. Un regime che si fa propaganda con gli spazzini potrà anche mostrare una città linda e pulita, ma se in quella città si fanno mercati della carne con animali vivi, state passeggiando in un merdaio infetto come in Europa non se ne vedevano dal 1100 Dc. Il regime cinese sta, a mio avviso, cercando di salvare la faccia perchè tutto parli di un’organizzazione perfetta e di una reazione precisa e puntuale. Ma la diffusione di questa epidemia, e il suo passaggio dal visone all’uomo, parlano di una catena di allevamento del visone che ha condizioni di lavoro da terzo mondo.E alla fine, puoi anche costruirmi un ospedale in sei giorni (immagino la qualità strutturale di quell’edificio), ma questo virus mi parla di baracche ove gli esseri umani che allevano visoni dormono col visone stesso. Dall’altro lato, la stampa occidentale sta cercando disperatamente di sbattere in prima pagina qualcosa di allarmante. Il terrore, l’ansia, la cultura della scarsità sono l’arma che consente di passare sopra a tante cose. Un popolo impaurito, ansioso, cerca di rifugiarsi nell’autorità. I mercati americani aspettavano da anni una scusa per giustificare un bel crac, e una bella epidemia è proprio quel che ci vuole. A differenza del 2008, se le stesse cattive pratiche di allora dovessero produrre una nuova crisi sistemica, nessuno andrebbe ad accusare i capitalisti: andrebbero tutti ad accusare il coronavirus. I numeri che abbiamo sino ad ora, anche nel caso peggiore che siano cinquanta volte più grandi e il governo cinese stia nascondendo qualcosa (come fece con la Sars a suo tempo), non sono allarmanti.Tutto parla di una sindrome influenzale poco più forte del normale, altrimenti la Cina sarebbe già un immenso lazzaretto e i morti cinesi si conterebbero a decine di milioni (numero che, ricordo, in Cina è piccolo). Sarò molto sincero. Il coronavirus mi preoccupa molto meno di un asteroide. Quello che farò sarà di continuare a tenermi in forma, mangiare più sano che posso ed evitare l’automobile più che posso. Cosa che faccio già, e che mi espone a rischi ben maggiori rispetto ai numeri che leggo in giro. Anche i peggiori. Se poi a Wall Street decideranno di aver trovato un bel capro espiatorio per tirare i remi in barca e causare un’altra crisi, ci crederò il giusto. Questa non è un’epidemia di coronavirus: 1360 contagiati non sono un’epidemia, tantomeno una “pandemia”. è meno dei morti sulle strade che fa in Cina una specifica marca di Vodka. Questa è un’epidemia di panico. E l’unico vaccino è l’esticazzi.(”Epidemia di panico”, da “Keinpfusch.net” del 25 gennaio 2020).Volevo spendere due parole sulla dissonanza cognitiva che circonda le notizie sulla nuova “epidemia” di coronavirus, ovvero del fatto che siamo tutti terrorizzati da un’epidemia senza che nessuno dei numeri diffusi parlino dell’epidemia. Possiamo fare due ipotesi: la prima è che i numeri diffusi dal governo cinese siano veritieri. La seconda è che il governo cinese stia nascondendo i fatti e i numeri siano ancora peggiori. Partiamo dalla prima ipotesi. Se questo è vero, sappiamo che in un paese che ha un miliardo e mezzo di abitanti ci sono 1360 malati, di cui 41 sono morti, quasi tutti anziani e malati. Ora, onestamente, visti i numeri in gioco questa non solo non è un’epidemia, è l’effetto di un giorno lievemente più freddo del solito, nel quale muoiono di polmonite degli anziani. Stiamo parlando di un numero di contagiati che sta nel raggio di un milionesimo della popolazione cinese, e un numero di morti che sta nell’ordine di mezzo decimilionesimo. Allora si dirà che si tratta delle caratteristiche del virus a preoccupare. Bene. Ma il problema è che le caratteristiche del virus sono note da dicembre, e a tutt’oggi è quasi ignoto il vettore che lo porta all’uomo.
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Morire di carne: stiamo letteralmente suicidando la Terra
Secondo l’economista Jeremy Rifkin, uno dei più famosi teorici no-global, il consumo di carne è direttamente responsabile del rischio-fame per due miliardi di persone: il “racket dell’hamburger” assorbe il 36% della produzione mondiale di grano, destinato a mangimi. «Centinaia di milioni di persone nel mondo lottano ogni giorno contro la fame perché gran parte del terreno arabile viene oggi utilizzato per la coltivazione di cereali ad uso zootecnico piuttosto che per cereali destinati all’alimentazione umana», scrive Maurizio Sabbadini. «I ricchi del pianeta consumano carne bovina e suina, pollame e altri di tipi di bestiame, tutti nutriti con foraggio, mentre i poveri muoiono di fame». Europa, Nord America e Giappone stanno letteralmente divorando il patrimonio alimentare dell’intero pianeta. Oggi, oltre il 70% per cento del grano prodotto negli Usa è destinato all’allevamento del bestiame, in gran parte bovino. «Sfortunatamente, di tutti gli animali domestici, i bovini sono fra i convertitori di alimenti meno efficienti: sperperano energia e sono da molti considerati “le Cadillac delle fattorie”». Per far ingrassare di mezzo chilo un manzo, occorrono oltre 4 chili di foraggio, di cui oltre 2 chili e mezzo sono cereali e sottoprodotti di mangimi, e il restante chilo e mezzo è paglia tritata. «Questo significa che solo l’11% del foraggio assunto dal manzo diventa effettivamente parte del suo corpo».Attualmente, negli Stati Uniti, 157 milioni di tonnellate di cereali, legumi e proteine vegetali potenzialmente utilizzabili dall’uomo sono destinate alla zootecnia: è una produzione di 28 milioni di tonnellate di proteine animali che l’americano medio consuma in un anno, riassume Sabbadini su “Disinformazione.it”. «In tutto il mondo la domanda di cereali per la zootecnia continua a crescere perché le multinazionali cercano di capitalizzare sulla richiesta di carne proveniente dai paesi ricchi». Fra il 1950 e il 1985, gli anni boom dell’agricoltura, negli Stati Uniti e in Europa, due terzi dell’aumento di produzione di grano sono stati destinati alla fornitura di cereali d’allevamento, per lo più bovino. «E’ stata la decisione più iniqua della storia quella di usare la terra per creare una catena alimentare artificiale che ha portato alla miseria centinaia di milioni di esseri umani nel mondo», sostiene Sabbadini. «È importante tenere a mente che un acro di terra coltivato a cereali produce proteine in misura cinque volte maggiore rispetto ad un acro di terra destinato all’allevamento di carni; i legumi e le verdure possono produrne rispettivamente 10 e 15 volte tanto». Le grandi multinazionali producono semi e prodotti chimici per l’agricoltura, allevano bestiame e controllano mattatoi, canali di marketing e distribuzione della carne: «Hanno tutto l’interesse di pubblicizzare i vantaggi del bestiame allevato a cereali».Purtroppo, la carne fa ancora tendenza: «La pubblicità e le campagne di vendita destinate ai paesi in via di sviluppo equiparano e associano all’allevamento di bovini nutriti a foraggio il prestigio di quel dato paese. Salire la “scala delle proteine” è diventato un simbolo di successo che assicura l’entrata in un club elitario di produttori che sono in cima alla catena alimentare mondiale». Il periodico americano “Farm Journal” riflette con queste parole i pregiudizi della comunità agro-industriale: «Incrementare e diversificare le forniture di carne sembra essere il primo passo di ogni paese in via di sviluppo». Iniziano tutti con l’allevamento di polli e con l’installazione di attrezzature per la produzione delle uova: è il modo più veloce ed economico che permette di produrre proteine non vegetali. «Poi, quando le loro economie lo permettono, salgono “la scala delle proteine” e spostano la loro produzione verso carne suina, latte, latticini, manzo nutrito al pascolo. Per poi arrivare, in alcuni casi, al manzo allevato con grano raffinato». Ma incoraggiare altri paesi a salire la “scala delle proteine”, avverte Sabbadini, promuove solo gli interessi degli agricoltori occidentali (americani soprattutto) e delle società agro-industriali.Molti paesi in via di sviluppo hanno iniziato a salire la “scala delle proteine” all’apice del boom agricolo, con molto grano in eccesso. Nel 1971 la Fao suggerì di passare al grano grezzo, che poteva essere consumato più facilmente dal bestiame. Il governo americano, prosegue “Disinformazione.it”, incoraggiò ulteriormente i suoi programmi di aiuti all’estero, collegando gli aiuti alimentari allo sviluppo sul mercato dei cereali foraggieri. «Società come la Ralston Purina e la Cargill hanno ricevuto finanziamenti governativi a basso tasso di interesse per la gestione di aziende avicole e l’uso di cereali foraggeri nei paesi in via di sviluppo, iniziando queste nazioni al viaggio che le avrebbe condotte verso la scala delle proteine. Molte nazioni hanno seguito il consiglio della Fao e si sono sforzate di rimanere in cima a questa scala». Risultato: «Negli ultimi 50 anni la produzione mondiale di carne si è quintuplicata». E il passaggio dal cibo al mangime «continua velocemente in molti paesi in modo irreversibile, nonostante il crescente numero di persone che muoiono di fame». Un caso emblematico? La crisi in Etiopia nel 1984, con migliaia di vittime denutrite. «L’opinione pubblica non era al corrente del fatto che in quel momento l’Etiopia stesse utilizzando parte dei suoi terreni agricoli per la produzione di panelli di lino, di semi di cotone e semi di ravizzone da esportare nel Regno Unito e in altri paesi europei come cereali foraggieri destinati alla zootecnia».Le statistiche sono sconcertanti: l’80% dei bambini che nel mondo soffrono la fame vive in paesi che di fatto generano un surplus alimentare prodotto sotto forma di mangime animale, di conseguenza utilizzato solo da consumatori benestanti. La corsa alla carne sta travolgendo i paesi in fase di sviluppo come la Cina, dove la quota di grano destinato alla zootecnia è triplicata. Nel solo Messico, dal 1960 ad oggi, la percentuale di grano da allevamento è cresciuta dal 5 al 45% per cento, mentre in Egitto è passata dal 3 al 31% e in Thailandia dall’uno al 30%. Ironia della sorte: «Milioni di ricchi consumatori dei paesi industrializzati muoiono a causa di malattie legate all’abbondanza di cibo (attacchi di cuore, infarti, cancro, diabete – malattie provocate da un’eccessiva e sregolata assunzione di grassi animali), mentre i poveri del Terzo Mondo muoiono di malattie poiché viene loro negato l’accesso alla terra per la coltivazione di grano e cereali destinati all’uomo». Le statistiche parlano chiaro, sottolinea Sabbadini: sarebbero 300.000 gli americani che ogni anno muoiono prematuramente a causa di problemi di sovrappeso, ed è un numero destinato ad aumentare. «Secondo gli esperti, nel giro di qualche anno, se continuano le attuali tendenze, sempre più americani moriranno prematuramente più per cause di obesità che per il fumo delle sigarette».Attualmente è sovrappeso il 61% degli americani, insieme a oltre la metà degli europei. La colpa, accusa l’Oms, è dell’hamburger. Gli obesi nel mondo sono il 18%, più o meno quanto gli individui denutriti. «Mentre i consumatori dei paesi ricchi letteralmente fagocitano se stessi fino alla morte, seguendo regimi alimentari carichi di grassi animali, nel resto del mondo circa 20 milioni di persone l’anno muoiono di fame e di malattie collegate». Secondo le stime, la fame cronica contribuisce al 60% delle morti infantili. Ma i consumatori di carne non sanno, né vogliono sapere. «I consumatori di carne dei paesi più ricchi – scrive Sabbadini – sono così lontani dal lato oscuro del circuito grano-carne che non sanno, né gli interessa sapere, in che modo le loro abitudini alimentari influiscano sulle vite di altri esseri umani e sulle scelte politiche di intere nazioni». Obiettivamente: «Chi mangia carne consuma le risorse della terra quattro volte di più di chi non lo fa». Ogni volta che si mangia una bistecca, aggiunge il blogger, «bisognerebbe essere consapevoli dei liquami che filtrano nelle falde acquifere, delle foreste disboscate, del deserto conseguente, dell’anidride carbonica e del metano che intrappolano il globo in una cappa calda. Ogni bistecca equivale a 6 metri quadrati di alberi abbattuti e a 75 chili di gas responsabili dell’effetto serra».Bisognerebbe essere consapevoli anche delle tonnellate di grano e soia usate per dar da mangiare alla fonte delle bistecche, non dimenticandosi «degli 840 milioni di persone che nel mondo hanno fame e dei 9 milioni che ne hanno tanta da morirne». Mangiare meno carne, o magari non mangiarne più? «Una scelta sociale, solidale con chi ha fame e con il futuro del pianeta». E non è tutto: «Ogni volta che addentiamo un hamburger si perdono venti o trenta specie vegetali, una dozzina di specie di uccelli, mammiferi e rettili. Dal 1960 a oggi, oltre un quarto delle foreste del Centro America è stato abbattuto per far posto a pascoli; in Costa Rica i latifondisti hanno abbattuto l’80% della foresta tropicale e in Brasile c’è voluto l’omicidio di Chico Mendes, il raccoglitore di gomma assassinato dagli allevatori per una disputa sull’uso della foresta pluviale, per accorgersi dell’esistenza di una “bovino connection”». E ancora: «In Amazzonia la foresta pluviale è stata divorata da 15 milioni di ettari di pascolo, eppure è in questo habitat che dimora il 50% delle specie viventi e da qui deriva un quarto di tutti i farmaci che usiamo». Dove prima c’erano migliaia di varietà viventi ora ci sono solo mandrie.«Vacche ovunque», scrive Rifkin nel suo “Ecocidio”: «Attualmente il nostro pianeta è popolato da ben oltre un miliardo di bovini. Quest’immensa mandria occupa, direttamente o indirettamente, il 24% della superficie terrestre e consuma una quantità di cereali sufficiente a sfamare centinaia di milioni di persone». Per farvi posto occorre terreno da pascolo. E deforestazione per creare pascoli significa desertificazione: dopo tre o quattro, il suolo calpestato e divorato da milioni di bovini (ogni capo libero ingurgita 400 chili di vegetazione al mese) finisce esposto a sole, piogge e vento, quindi diventa sterile. E i ruminanti si devono spostare dissacrando altri ettari di foresta. «Ci vorranno da 200 a mille anni perché quei terreno ritorni fertile». E che dire dell’acqua? «Quasi la metà dell’acqua dolce consumata negli States è destinata alle coltivazioni di alimenti per il bestiame: è stato calcolato che un chilo di manzo si beve 3.200 litri d’acqua». Risultato: le falde acquifere del Midwest e delle Grandi Pianure statunitensi si stanno esaurendo. Non solo: l’allevamento richiede ingenti quantità di sostanze chimiche tra fertilizzanti, diserbanti, ormoni, antibiotici: «Tutti prodotti dalle stesse, poche multinazionali che detengono il monopolio dei semi usati per coltivare cereali e legumi destinati ad alimentare il bestiame», fa notare Enrico Moriconi, veterinario e ambientalista, nelle pagine del suo “Le fabbriche degli animali” (Edizioni Cosmopolis).«Ogni anno in Europa gli animali da allevamento consumano 5.000 tonnellate di antibiotici, di cui 1.500 per favorirne la crescita, e tutti vanno a finire nelle falde acquifere», incalza Marinella Correggia, attivista della Global Hunger Alliance e autrice di “Addio alle carni” (Lav). Roberto Marchesini, docente di bioetica e zoo-antropologia, autore di “Post-human” (Bollati Boringhieri) svela che nel bacino del Po, ogni anno, «vengono riversate 190.000 tonnellate di deiezioni animali: contengono metalli pesanti, antibiotici e ormoni». Con quali conseguenze? Per esempio, le alghe abnormi nell’Adriatico. Marchesini parla di «fecalizzazione ambientale». E Rifkin ci illumina sulla portata del problema: un allevamento medio produce 200 tonnellate di sterco al giorno. «C’è dell’altro: i bovini sono responsabili dell’effetto serra tanto quanto il traffico veicolare del mondo intero a causa dell’uso di petrolio (22 grammi per produrre un chilo di farina contro 193 per uno di carne), delle emissioni di metano dovute ai processi digestivi (60 milioni di tonnellate ogni anno) e dell’anidride carbonica scatenata dal disboscamento».E’ la stessa Fao a fornire un elenco agghiacciante dei problemi causati dagli allevamenti intensivi: riduzione della bio-diversità, erosione del terreno, effetto serra, contaminazione delle acque e dei terreni, piogge acide a causa delle emissioni di ammoniaca. E tutto questo per cosa? Per quelle che Frances Moore Lappé, autrice di “Diet for a small planet”, definisce «fabbriche di proteine alla rovescia». Occorre un chilo di proteine vegetali per avere 60 grammi di proteine animali. «Per produrre una bistecca che fornisce 500 calorie», spiegano gli autori di “Assalto al pianeta” (Bollati Boringhieri), «il manzo deve ricavare 5.000 calorie, il che vuoi dire mangiare una quantità d’erba che ne contenga 50.000». Attenzione: «Solo un centesimo di quest’energia arriva al nostro organismo: il 99% viene dissipata, usata per il processo di conversione e per il mantenimento delle funzioni vitali, espulsa o assorbita da parti che non si mangiano, come ossa o peli». Il bestiame? E’ una fonte di alimentazione altamente idrovora ed energivora, una massa bovina che ingurgita tonnellate di acqua ed energia. E lo fa per nutrire solo il 20% della popolazione globale del pianeta: quel 20% che sfrutta l’80% delle risorse mondiali, per non rinunciare alla sua bistecca quotidiana. «Nel mondo c’è abbastanza per i bisogni di tutti, ma non per l’ingordigia di alcuni», diceva Gandhi.Ingordigia che ha raggiunto livelli esorbitanti: dal dopoguerra a oggi, in Europa, siamo passati da circa 7-15 chili di consumo pro capite all’anno a 85-90 (110-120 negli States), riferisce Marchesini. Secondo Moore Lappé, le tonnellate di cereali e soia che nutrono gli animali da carne basterebbero per dare una ciotola di cibo al giorno a tutti gli esseri umani per un anno. E la Fao conferma: una dieta vegetariana mondiale potrebbe dar da mangiare a 6,2 miliardi di persone, mentre un’alimentazione che limiti la carne al 25% può sfamarne solo 3,2 miliardi. La spiacevole sorpresa? La domanda di carne sta crescendo. «Paesi come la Cina stanno abbandonando riso e soia a favore di abitudini occidentali», scrive Sabbadini: «Stiamo esportando il nostro modello alimentare (e che modello!)». Secondo l’Ifpri, entro il 2020 la domanda di carne nei paesi in via di sviluppo aumenterà del 40%: questo significherà oltre 300 milioni di tonnellate di bistecche. E raddoppierà, sempre nei paesi in via di sviluppo, la domanda di cereali zootecnici: fino a raggiungere 445 milioni di tonnellate di carne. «Richieste incompatibili con la salute del pianeta e con un equo sfruttamento delle risorse». Una slavina inarrestabile, globalizzata. Si chiama: rivoluzione zootecnica. «Significa spostare nel Sud del mondo la produzione di carne».La Banca Mondiale sovvenziona, in Cina, l’industria dell’allevamento e della macellazione. «Ma sbaglia: suolo e acqua non bastano per sfamare il mondo a suon di bistecche e hamburger», scrive “Disinformazione.it”. «Con un terzo della produzione di cereali destinata agli animali e la popolazione mondiale in crescita deI 20% ogni dieci anni», prevede Rifkin, «si sta preparando una crisi alimentare planetaria». Rincara la dose Correggia: «E’ stato calcolato che l’impronta ecologica di una persona che mangia carne, cioè suo il consumo di risorse, di 4.000 metri quadrati di terreno, contro i mille sufficienti a un vegetariano». Allo stato attuale, «la disponibilità di terra coltivabile per ogni abitante della terra è di 2.700 metri quadrati». Ancora: un ettaro di terra a cereali per il bestiame dà 66 chili di proteine, che diventano 1.848 (28 volte di più!) se lo stesso terreno viene coltivato a soia. Ancora Rifkin: «Ogni chilo di carne è prodotto a spese di una foresta bruciata, di un territorio eroso, di un campo isterilito, di un fiume disseccato, di milioni di tonnellate dì anidride carbonica e metano rilasciate nell’atmosfera».La nuova dimensione del male, ragiona Sabbadini, è intimamente connessa con il complesso bovino moderno, che ha acquisito i caratteri di un male occulto, inflitto a distanza: è un male camuffato da strati sovrapposti di veli tecnologici e istituzionali. «Un male cosi lontano, nel tempo e nel luogo, da chi lo commette e da chi lo subisce, da non lasciar sospettare o avvertire alcuna relazione causale». E’ un male che non può essere avvertito, data la sua natura impersonale. «E’ probabile che i proprietari dei negozi in cui si vende carne di bovini nutriti a cereali non avvertano mai, personalmente, la disperazione delle vittime della povertà, di quei milioni di famiglie allontanate dalla propria terra per fare spazio a coltivazioni di prodotti destinati esclusivamente all’esportazione. E che i ragazzi che divorano cheeseburger in un fast-food non siano consapevoli di quanta superficie di foresta pluviale sia stata abbattuta e bruciata per mettere a loro disposizione quel pasto». Il consumatore che acquista una bistecca al supermercato non si sente responsabile dell’immensità del dolore che il suo gesto provoca. «Abbiamo appiattito la ricchezza organica dell’esistenza, trasformando il mondo che ci circonda in astratte equazioni algebriche, statistiche e standard di performance economica».Il male occulto? Viene perpetuato da istituzioni e individui: il mercato, la globalizzazione del profitto. In un mondo di questo genere, conclude Sabbadini, ci sono ben poche occasioni per essere in sintonia con l’ambiente e proteggere i diritti delle future generazioni. «L’effetto sull’uomo e sull’ambiente del modo moderno di pensare e di strutturare le relazioni è stato quasi catastrofico: ha indebolito gli ecosistemi e minato alla base la stabilità e la sostenibilità delle comunità umane. La grande sfida che dobbiamo affrontare è rappresentata dal lato oscuro della moderna visione del mondo: dobbiamo reagire al male occulto che sta trasformando la natura e la vita in risorse economiche che possono essere mediate, manipolate e ricostruite tecnologicamente, per adeguarle ai ristretti obiettivi dell’utilitarismo e dell’efficienza economica». Primo passo necessario: «Diventare consapevoli dei meccanismi di sfruttamento del pianeta di cui siamo complici». Il secondo passo «non è fare la rivoluzione, e non è neanche aderire a questa o quest’altra organizzazione alternativa (per quanto possa essere positivo), ma è far seguire conseguenti e coerenti azioni personali in armonia con una vita etica e rispettosa dell’ambiente e del prossimo. Se vogliamo cambiare il mondo dobbiamo iniziare da noi stessi».Secondo l’economista Jeremy Rifkin, uno dei più famosi teorici no-global, il consumo di carne è direttamente responsabile del rischio-fame per due miliardi di persone: il “racket dell’hamburger” assorbe il 36% della produzione mondiale di grano, destinato a mangimi. «Centinaia di milioni di persone nel mondo lottano ogni giorno contro la fame perché gran parte del terreno arabile viene oggi utilizzato per la coltivazione di cereali ad uso zootecnico piuttosto che per cereali destinati all’alimentazione umana», scrive Maurizio Sabbadini. «I ricchi del pianeta consumano carne bovina e suina, pollame e altri di tipi di bestiame, tutti nutriti con foraggio, mentre i poveri muoiono di fame». Europa, Nord America e Giappone stanno letteralmente divorando il patrimonio alimentare dell’intero pianeta. Oggi, oltre il 70% per cento del grano prodotto negli Usa è destinato all’allevamento del bestiame, in gran parte bovino. «Sfortunatamente, di tutti gli animali domestici, i bovini sono fra i convertitori di alimenti meno efficienti: sperperano energia e sono da molti considerati “le Cadillac delle fattorie”». Per far ingrassare di mezzo chilo un manzo, occorrono oltre 4 chili di foraggio, di cui oltre 2 chili e mezzo sono cereali e sottoprodotti di mangimi, e il restante chilo e mezzo è paglia tritata. «Questo significa che solo l’11% del foraggio assunto dal manzo diventa effettivamente parte del suo corpo».
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Pepe: 12 vaccini per legge è da nazisti, caso unico al mondo
«Addirittura 12 vaccini, somministrati a bambini di tre mesi di vita? E’ da criminali incoscienti». Il senatore Bartolomeo Pepe si scaglia con decisione contro il decreto legge del governo Gentiloni, ora in discussione: ben 12 vaccini obbligatori, finò all’età di 16 anni, pena l’esclusione dalla scuola. E con pesanti sanzioni per i trasgressori, pecuniare (anche 7.500 euro) e non solo: si arriva fino a privare i genitori della patria potestà. «Siamo alla follia totale, al nazi-vaccinismo», tuona il senatore ex 5 Stelle: «Il sistema vaccini in Italia è fuori controllo, i bambini sono in pericolo». E attenzione: «Non esiste nessun paese al mondo con simili disposizioni: che non stanno né in cielo né in terra, a detta di Premi Nobel e virologi di fama internazionale». Attualmente, l’Italia – con 4 vaccinazioni obbligatorie – è già in testa alla classifica mondiale, insieme alla Francia. Segue il Belgio, con soli 2 vaccini obbligatori, mentre tutti gli altri paesi del pianeta hanno un solo vaccino obbligatorio, o anche nessuno. «E’ una cosa pazzesca: ora finalmente la gente si renderà conto di cosa c’è in ballo, di cosa sta accadendo», aggiunge Pepe: «E ricordiamoci che il vaccino contro l’epatite C fu introdotto anni fa con una tangente all’allora ministro De Lorenzo: il ministro è stato arrestato, ma il vaccino è rimasto, divenendo il quarto vaccino obbligatorio in Italia».«Io non sono contro i vaccini, sono per il loro controllo», precisa Pepe, secondo cui in ogni caso «non esistono motivi di allarme, né pandemie». C’è stato il caso della meningite, «ma poi è rientrato, dopo una denuncia per procurato allarme»: l’Italia è fra i paesi con meno problemi di meningite, e inoltre il trend è in calo. Poi è stato lanciato l’Sos addirittura per una presunta epidemia di morbillo: «Ho chiesto in Parlamento “quanti e morti e feriti abbiamo, per morbillo”, ma non mi hanno risposto», dice Pepe. «E’ un’epidemia ciclica, con un picco ogni tre anni. Ma non c’è nemmeno un morto, per morbillo». Eppure, «a fronte di una pandemia che non esiste», è stato fatto questo decreto d’urgenza «che non ha nessun motivo». Da noi, accusa il senatore, la farma-sorveglianza non funziona. «Veniamo da una storia di vaccini poi ritirati, ma che potevano essere ritirati anche prima, e invece sono stati somministrati anche per dieci anni, nonostante si sapesse che facessero male. Ci sono controlli insufficienti, problemi a far segnalare reazioni avverse. E non c’è trasparenza sui dati, che sono fermi al 2013: non si ha il quadro esatto della situazione».Parecchie di queste reazioni avverse sono “scoppiate” con il caso del vaccino contro il “papilloma virus”, recentemente segnalato in televisione da “Report”, che ha evidenziato «guai seri per le ragazze che lo hanno assunto». Un problema che sarebbe innanzitutto di sicurezza sanitaria, come evidenziato da svariate ricerche, con «vaccini che sono stati a contatto con parti di Dna umano, feti abortiti, glifosato (un erbicida), formaldeide (un conservante, altrettanto cancerogeno) e sottoprodotti di metalli pesanti come alluminio e mercurio, che sono neuro-tossici: l’alluminio provoca l’Alzheimer, il mercurio crea disabilità mentali». Quali interessi nasconde l’industria farmaceutica? Inoltre, aggiunge Pepe, molto spesso a non vaccinarsi sono proprio gli operatori sanitari che lavorano negli ospedali: «Di cosa hanno paura? Sanno qualcosa che noi non sappiamo?». Se fossimo davvero in una reale situazione di epidemia, ragiona il parlamentare, dovremmo bloccare l’Italia – scuole, aeroporti – vaccinando qualsiasi persona che entrasse nel nostro paese. Sospetti: «La sensazione è che si stia avverando la profezia di Rudolf Steiner: creare vaccini per inibire l’evoluzione della coscienza. E’ palese l’attacco alle nostre coscienze: ci stanno provando con una serie di cose, anche con i vaccini».Bartolomeo Pepe invita a osservare con attenzione gli studi, di ambito fisico, che rivelano l’esistenza della “memoria dell’acqua”, che ha la possibilità di memorizzare frequenze elettromagnetiche, rimanendovi influenzata. «E noi siamo fatti al 75% di acqua. Dio solo sa a cosa sono stati sottoposti, questi vaccini – a quali frequenze? Non oso immaginare cosa siano capace di fare, questi signori», dichiara il senatore, scandalizzato anche dalle misure repressive previste dal decreto legge: «Arrivare a togliere la patria potestà dei figli è pazzesco: questo nazi-vaccinismo sta dimostrando tutta la sua follia. Ripeto: siamo l’unico paese al mondo con 12 vaccini obbligatori, e senza il necessario controllo». L’Ema, la farma-sorveglianza, sempre secondo Pepe «è foraggiata dalle stesse aziende farmaceutiche». Addirittura, aggiunge, «abbiamo avuto casi di corruzione, a capo dell’agenzia di controllo del farmaco: l’imputato prima ha visto finire in prescrizione il suo processo, e poi è stato promosso, in sede europea, a capo della sorveglianza sui farmaci, sull’alimentazione e la veterinaria. Questo è il sistema-Italia: vengono lanciati falsi allarmi – vedi meningite e morbillo, entrambi rientrati – quindi si fa un decreto legge d’urgenza che non ha nessuna giustificazione».Alcune vaccinazioni non sono sicure, insiete Pepe: quella sul “papilloma virtus” è stato ritirata in Danimarca e sconsigliata in Giappone. Alcuni vaccini sono inefficaci: «Si sono rivelati acqua fresca, anche se poi magari si inventano storie come quelle dell’infermiera “che non vaccinava”, per mascherare l’inefficicacia assoluta di vaccini somministrati a 7.500 bambini». Poi c’è il problema della “catena del freddo” per la conservazione dei vaccini, «che spesso si interrompe». Gli stessi vaccini, infine, non sarebbero tracciati: «Non vengono indicati i lotti di provenienza, sui libretti sanitari». Secondo Pepe, siamo nel paradosso assoluto: abbiamo migliaia di reazioni avverse, di cui le autorità negano l’evidenza. «Eppure abbiamo migliaia di casi di encefalopatie, bambini morti, persino militari – sottoposti a decine di vaccini prima di una missione – con problemi di leucemie, linfomi di Kodgkin e danni al Dna», aggiunge il senatore. «Mi domando: se un vaccino riesce addirittura a distruggere il fisico di un militare in perfetta forma, cosa può provocare, a un bambino di tre mesi, la bellezza di 12 vaccini? Non oso immaginarlo. E a tre mesi di vita – anche il peggiore dei pediatri lo sa bene – il sistema immunitario deve ancora formarsi: bisogna aspettare i tre anni. Anticipare i tempi è da criminali. E chi vuole praticare questo è un criminale incosciente, che non vuole il bene del bambino».«Addirittura 12 vaccini, somministrati a bambini di tre mesi di vita? E’ da criminali incoscienti». Il senatore Bartolomeo Pepe si scaglia con decisione contro il decreto legge del governo Gentiloni, ora in discussione: ben 12 vaccini obbligatori, finò all’età di 16 anni, pena l’esclusione dalla scuola. E con pesanti sanzioni per i trasgressori, pecuniare (anche 7.500 euro) e non solo: si arriva fino a privare i genitori della patria potestà. «Siamo alla follia totale, al nazi-vaccinismo», tuona il senatore ex 5 Stelle ai microfoni di “Forme d’Onda“, web-radio: «Il sistema vaccini in Italia è fuori controllo, i bambini sono in pericolo». E attenzione: «Non esiste nessun paese al mondo con simili disposizioni: che non stanno né in cielo né in terra, a detta di Premi Nobel e virologi di fama internazionale». Attualmente, l’Italia – con 4 vaccinazioni obbligatorie – è già in testa alla classifica mondiale, insieme alla Francia. Segue il Belgio, con soli 2 vaccini obbligatori, mentre tutti gli altri paesi del pianeta hanno un solo vaccino obbligatorio, o anche nessuno. «E’ una cosa pazzesca: ora finalmente la gente si renderà conto di cosa c’è in ballo, di cosa sta accadendo», aggiunge Pepe: «E ricordiamoci che il vaccino contro l’epatite C fu introdotto anni fa con una tangente all’allora ministro De Lorenzo: il ministro è stato arrestato, ma il vaccino è rimasto, divenendo il quarto vaccino obbligatorio in Italia».