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Il Furbistan grillino: tagliare le poltrone e prolungare le loro
A vederli e sentirli non si direbbe, ma i grillini ogni notte mangiano pane e volpe, ne sanno una più del diavolo e ogni mattina trovi il pacco spedito dal loro amazon politico-elettorale. Tu pensavi che fossero lo Zero assoluto in politica e scienza e loro invece s’inventano un capolavoro matematico-politico da brividi. Sentite cosa è successo. Premessa, il Movimento 5Stelle Cadenti naufraga nei sondaggi, soprattutto dopo che si è appiattito peggio di una sogliola in Europa ai diktat franco-tedeschi; ha per premier un azzeccagarbugli disposto a scrivere per la “Repubblica”, a fare la Tav, allearsi alla sinistra e a chicchesia, a pulire il tinello della Merkel e a eseguire gli ordini degli eurocrati, pur di restare a galla. Il Movimento 5 Stelle col suo premier è perciò considerato dai Suggeritori di Palazzo, come Paolo Mieli e Dario Franceschini, la nuova manovalanza per isolare Salvini e riportare la sinistra al governo. E allora, siccome sentono odore di elezioni anticipate, i grillo-furbetti preparano il loro raccontino per la gente e la loro manovrina per pararsi le cinque chiappe a rischio. L’operazione in due mosse riguarda il Parlamento: la prima è quella che non si conta più da uno per i mandati parlamentari ma da zero, in modo che i loro capetti possano guadagnare un altro mandato e così restare nel giro alle prossime elezioni, ben installati sulle loro poltrone.Non hanno il coraggio di dire ai loro militanti ed elettori che derogano per comodità personale a una loro norma, si adattano come tutti gli altri politicanti e sono trasformisti come i marpioni della vecchia repubblica o dell’antica monarchia. No, loro studiano alta matematica e introducono dopo un attento studio e un serrato confronto con la matematica araba e indiana, il concetto orientale che rivoluzionò la fisica, l’aritmetica e la visione del mondo: l’introduzione dello zero. Lo zero per loro ha pari dignità degli altri numeri, ha diritto di voto e di conteggio; il primo mandato parlamentare è perciò considerato una specie di rodaggio, di tirocinio, un numero zero. C’è la Coca zero, c’è il caffè zero, perché non dovrebbe esserci il mandato zero? Contavano lo zero pure nella piattaforma di Cape Kennedy, perché non dovrebbero conteggiarlo nella piattaforma Rousseau, cioè nella cabina di comando di Grillology? Così il regolamento resta invariato, due mandati, ma la sostanza è che i mandati sono tre. Raggiro di massa con lode.Ma a questa magagna scientifico-napoletana, nota come il gioco delle tre carte diventate due, i grillini del Furbistan aggiungono anche un’astuta strategia di copertura e diversione politico-mediatica: rilanciano la proposta assai popolare di dimezzare il numero dei parlamentari e così ottenere due piccioni con una fava; da una parte galvanizzano il meraviglioso popolo della rete rilanciando il racconto dei grillini contro tutti, vero movimento antisistema e antipappatoria, distraendoli da quota zero; e dall’altro accusano gli alleati leghisti e chiunque voglia il voto, di volerlo per impedire l’approvazione di questa legge taglia-parlamentari. Lo fanno per le poltrone, dicono proprio loro che non vogliono votare per la stessa ragione perché dimezzerebbero le loro poltrone anche senza la legge taglia-seggi. I cervellini più fragili, che pensano cliccando e adorano l’Algoritmo della setta, se la bevono in un sorso. Ma basterebbe un minimo di cervello autonomo e funzionante per capire che Salvini pensa al voto anticipato per capitalizzare il consenso da record che ha, temendo di logorarlo strada facendo e di perderlo perché i grillini ammosciano, frenano ogni sua proposta di cambiamento. Figuratevi se un leader che si gioca la partita delle sua vita per la guida del paese, butta all’aria un governo anche suo, chiede il voto anticipato solo per conservare le “poltrone” ai peones (che sarebbero comunque garantite per la ragione inversa ai grillini, perché la Lega è data coi consensi raddoppiati).Detto tra noi, l’idea di dimezzare il numero dei parlamentari ci è sempre piaciuta, e non per le ragioni banali o minori agitate dai grillini: si risparmiano milioni di euro, dicono loro, ma i grillini non capiscono o non vogliono far capire che i problemi gravi di bilancio del nostro paese sono nell’ordine dei miliardi e non dei milioni. L’algebra grillina, che maneggia così acutamente gli zeri, ritiene o fa ritenere ai suoi elettori che milioni e miliardi siano la stessa cosa. In realtà il dimezzamento del numero dei parlamentari è una cosa buona e giusta perché diminuendo la quantità magari migliora la qualità dei medesimi, più selezionati; rende più agile il pachiderma parlamentare, ci allinea ai parlamenti degli altri paesi; e infine, c’è il risparmio sulle indennità. Però, il numero dei parlamentari è un falso problema, uno specchietto per le allodole e una manovra per distrarre il gentile pubblico dal fatto che loro, nel frattempo, col mandato zero si sono conservati le loro poltrone, proprio mentre accusano gli altri di voler votare per tenersi le poltrone. E si sono dotati di un argomento da campagna elettorale in caso di voto e di una fiaba utile per catturare gli ingenui: ci fanno votare per tenersi le poltrone. E così passano in secondo piano i problemi urgenti dell’Italia, le riforme e le opere da fare, la necessità di avere un governo attivo. Mi auguro che il popolo sia un tantino superiore al livello mentale e civile in cui lo considerano la Casaleggio & Associati & Dissociati.(Marcello Veneziani, “La furbata dei grillini in due mosse”, da “La Verità” del 24 luglio 2019; articolo ripreso dal blog di Veneziani).A vederli e sentirli non si direbbe, ma i grillini ogni notte mangiano pane e volpe, ne sanno una più del diavolo e ogni mattina trovi il pacco spedito dal loro amazon politico-elettorale. Tu pensavi che fossero lo Zero assoluto in politica e scienza e loro invece s’inventano un capolavoro matematico-politico da brividi. Sentite cosa è successo. Premessa, il Movimento 5Stelle Cadenti naufraga nei sondaggi, soprattutto dopo che si è appiattito peggio di una sogliola in Europa ai diktat franco-tedeschi; ha per premier un azzeccagarbugli disposto a scrivere per la “Repubblica”, a fare la Tav, allearsi alla sinistra e a chicchesia, a pulire il tinello della Merkel e a eseguire gli ordini degli eurocrati, pur di restare a galla. Il Movimento 5 Stelle col suo premier è perciò considerato dai Suggeritori di Palazzo, come Paolo Mieli e Dario Franceschini, la nuova manovalanza per isolare Salvini e riportare la sinistra al governo. E allora, siccome sentono odore di elezioni anticipate, i grillo-furbetti preparano il loro raccontino per la gente e la loro manovrina per pararsi le cinque chiappe a rischio. L’operazione in due mosse riguarda il Parlamento: la prima è quella che non si conta più da uno per i mandati parlamentari ma da zero, in modo che i loro capetti possano guadagnare un altro mandato e così restare nel giro alle prossime elezioni, ben installati sulle loro poltrone.
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Millennials docili, non più ribelli: e addio anche alla moto
Ci sono notizie che passano subito in cavalleria come il gossip dei rotocalchi, l’oroscopo settimanale o la rubrica “strano, ma vero” della “Settimana Enigmistica”. Eppure, quando riguardano tutti noi, alcune curiosità estive andrebbero analizzate e soppesate di più. E’ questo il caso delle industrie americane messe in crisi dalle abitudini dei Millennials, ovvero dai ragazzi nati dagli anni ‘80 ai Duemila e che hanno appena cominciato a consumare massicciamente. Questa nuova generazione è ovviamente destinata a sostituire quella attuale e, secondo diversi studi, i Millenials registrano abitudini del tutto inedite per il settore industriale, che si dovrà giocoforza riconvertire per evitare il fallimento. Ma non si tratta solo di mode consumistiche, almeno non in un paio di casi. Partiamo da quelli più banali. Secondo la ricerca, gli adolescenti spesso saltano la colazione e, quando la fanno, non mangiano più latte e cereali. Questa nuova modalità costringerà aziende comme Kellog’s a rivedere le proprie scelte strategiche e di marketing. Stesso dicasi per l’uso di uvetta, a quanto pare in caduta libera a causa degli zuccheri in essa contenuti.Sorprende anche il calo di consumo di birra da parte dei più giovani, anche se in questo caso occorre fare qualche distinguo. A quanto pare, infatti, il calo riguarda le birre tradizionali, quelle prodotte industrialmente tipo Heineken, mentre sarebbero in netta ascesa le birre artigianali. In crisi anche i grandi magazzini e i centri commerciali, e la causa qui è facilmente individuabile nell’uso dei siti di e-commerce come Amazon, a danno dei vari Coin e Rinascente. Tutte le abitudini appena elencate, tuttavia, potrebbero anche rientrare velocemente, come accadde per i ristoranti cinesi 20 anni or sono o per Hello Kitty, che fino a 10 anni fa sembrava dovesse sostituire il presidente della Repubblica (e chissà…). Ciò che dovrebbe far riflettere maggiormente, invece, sono altre abitudini praticate dalla nuova generazione che dovrebbero preoccuparci, o quanto meno confermare segni di declino. Ne propongo due: il calo della ristorazione tradizionale e quello della vendita di motociclette. Nel primo caso, è evidente che i Millenials si stanno sempre più rivolgendo alla ristorazione low cost standardizzata; quella dei fast food, per intenderci. Non vanno demonizzati, per carità, ma quando vengono preferiti in toto alla spaghetteria e alla pizzeria ciò può significare una cosa sola: meglio mangiare in piedi un po’ di merda che del cibo decente, seppure seduti con accanto dei bambini.Spiace fare del moralismo, ma il dato non può che rivelare questo. Se tra qualche decade ci saranno solo ristoranti di lusso con l’offerta di cibo “fusion” oppure, a contrasto, lo “Spicchio Fast and Furious”, ciò significherà anche un forte ridimensionamento del numero delle famiglie in linea con la scomparsa dei ristoranti tradizionali di fascia media. Ma ciò che mi ha fatto balzare sulla sedia è stato il calo dell’acquisto di motociclette. Con tutto ciò che gira attorno al mondo degli sponsor, la MotoGp e i fighettoni vari, mi è sembrato un dato errato; anzi, fuorviante. Eppure una sua logica, purtroppo, ce l’ha. Da quando esiste, la moto è stata – più che una comodità – un simbolo di ribellione e di trasgressione. Un affronto polemico verso i genitori preoccupati che i figli indossassero la maglia di lana. La moto è un oggetto per il viaggio, l’avventura e l’emancipazione. Spiace dirlo, perchè hanno molte altre qualità, ma di ribellione ed emancipazione ne avremo invece tutti tanto bisogno, e i Millenials ne sembrano completamente sprovvisti.(Massimo Bordin, “I millennials non si fanno la moto”, da “Micidial” del 20 luglio 2019).Ci sono notizie che passano subito in cavalleria come il gossip dei rotocalchi, l’oroscopo settimanale o la rubrica “strano, ma vero” della “Settimana Enigmistica”. Eppure, quando riguardano tutti noi, alcune curiosità estive andrebbero analizzate e soppesate di più. E’ questo il caso delle industrie americane messe in crisi dalle abitudini dei Millennials, ovvero dai ragazzi nati dagli anni ‘80 ai Duemila e che hanno appena cominciato a consumare massicciamente. Questa nuova generazione è ovviamente destinata a sostituire quella attuale e, secondo diversi studi, i Millenials registrano abitudini del tutto inedite per il settore industriale, che si dovrà giocoforza riconvertire per evitare il fallimento. Ma non si tratta solo di mode consumistiche, almeno non in un paio di casi. Partiamo da quelli più banali. Secondo la ricerca, gli adolescenti spesso saltano la colazione e, quando la fanno, non mangiano più latte e cereali. Questa nuova modalità costringerà aziende comme Kellog’s a rivedere le proprie scelte strategiche e di marketing. Stesso dicasi per l’uso di uvetta, a quanto pare in caduta libera a causa degli zuccheri in essa contenuti.
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Tav, Governo del Tradimento: sangue e bugie, addio grillini
«Non c’erano e non ci sono governi amici, l’abbiamo sempre saputo». Così il movimento NoTav reagisce al “tradimento” gialloverde sulla Torino-Lione, anticipato da Conte: «Non fare il Tav costerebbe più che farlo». Alberto Airola, parlamentare 5 Stelle, si sente raggirato da Di Maio: «Il suo – dice – è un atteggiamento pilatesco: sa benissimo che in aula saremo gli unici a votare “no”». In una video-intervista al “Fatto Quotidiano”, Airola condanna la decisione di rinunciare al potere dell’esecutivo per bloccare l’opera, ricorrendo alla farsa del voto parlamentare (più che scontato) sul destino del progetto, costosissimo e inutile. «L’ho detto più volte, a Conte: l’opera – che è appena ai preliminari – si può fermare senza danni per l’Italia». Conte però ha finto di non sentire: «E’ stato mal consigliato?», si domanda Airola. Certo, in linea con Conte appare Di Maio, che sposa in pieno la tattica dell’ipocrisia: i 5 Stelle ribadiranno la loro pletorica contrarietà alla super-ferrovia, già sapendo che Lega, Pd, Forza Italia e Fratelli d’Italia voteranno a favore. Un mezzuccio un po’ meschino, per tentare di salvarsi la coscienza. «Credo che il Movimento 5 Stelle abbia deciso di scrivere il proprio testamento politico», sentenzia Nilo Durbiano, sindaco di Venaus, uomo-simbolo dell’opposizione della valle di Susa alla grande opera. Addio 5 Stelle: «La loro avventura è conclusa», dice Durbiano, nel cui Comune i 5 Stelle erano il primo partito.Il cedimento gialloverde emerge anche dalle parole di Beppe Grillo, secondo cui è illusorio «credere che basti essere al governo, in tandem, per bloccare un processo demenziale come questo». Per Grillo, «significa avere dimenticato che non siamo una repubblica presidenziale oppure una dittatura». Ammette il fondatore, che della battaglia NoTav aveva fatto una sua bandiera: «Sono molto scontento della situazione che si è venuta a creare». Ma non aggiunge altro, preparandosi a “digerire” il clamoroso voltafaccia difendendo Toninelli e Conte, che avrebbero reso «meno disastroso» lo scenario, tenendo testa a Macron. Come dire: scusate, ma finora avevamo scherzato. Vi avevamo promesso che ci saremmo messi di traverso, per fermare il Tav? Erano solo parole: come quelle contro l’obbligo vaccinale, il Tap in Puglia e le trivelle nell’Adriatico. Impossibile, sembra dire Grillo tra le righe, che un governo possa fare davvero gli interessi dei cittadini, e non quelli delle lobby che dominano l’Ue. Se non ci fossimo noi – aggiunge l’ex comico – sarebbe pure peggio. Come dire: non siamo colpevoli, e in ogni caso è inutile illudersi che il sistema possa essere cambiato. Ma non era proprio per questo che erano nati, i 5 Stelle? Difatti: non a caso, il loro consenso sta franando. E il “tradimento” sul Tav, come dice Durbiano, sembra davvero l’inizio della fine: tra poco i 5 Stelle potrebbero non esistere più.Dopo la sortita di Conte, affermano i NoTav, ora tutto è finalmente chiaro: «Come abbiamo sempre sostenuto, dalle parti del governo non abbiamo mai avuto amici». Aggiungono i NoTav: «La manfrina di tutti questi mesi giunge alla parola fine, e il cambiamento tanto promesso dal governo getta anche l’ultima maschera, allineandosi a tutti i precedenti». Formule retoriche, che si ripetono dal 2001 a prescindere dal colore politico dell’esecutivo di turno. Il governo Conte? Sembra aver voluto «cambiare tutto per non cambiare niente». Tante chiacchiere, ma poi – al dunque – il governo gialloverde «è sempre stato ambiguo, negli atti concreti, e questo è il risultato». Non fare la Torino-Lione costerebbe più che farla? «E’ solo una scusa per mantenere in piedi il governo e le poltrone degli eletti, sacrificando ancora una volta il futuro di molti sull’altare degli interessi politici di pochi». Lo stesso Conte fino a poco tempo fa si era detto convinto che quest’opera non serviva all’Italia. Ora perché ha cambiato idea? E’ stato «fulminato sulla via di Damasco da promesse di finanziamenti europei o da equilibri politici da mantenere?».Recentissima la richiesta di arresto per il direttore della Cmc di Ravenna, general contractor della Torino-Lione, accusato per una storia di corruzione in Kenya. «Un piccolo esempio di cosa abbia scelto il presidente Conte», sottolineano i NoTav: «Altro che interessi degli italiani!». Del resto, aggiunge il movimento valsusino, «abbiamo sempre definito il sistema Tav il bancomat della politica». Cosa cambia, ora? «Per noi assolutamente nulla, perché sono 30 anni che ogni governo fa esattamente come quello attuale: annuncia il sì all’opera e aumenta il debito degli italiani facendo leva su un fantomatico interesse nazionale – che non c’è, e che nessuno dimostrerà mai». Opera inutile: lo dice anche la commissione speciale istituita da Toninelli e coordinata dal professor Marco Ponti. «Conte e il governo che presiede saranno gli ennesimi responsabili di questo scempio ambientale, politico ed economico: dalla Torino Lione la maggioranza del paese non trarrà nessun vantaggio, ma un danno economico e ambientale, che pagheremo tutti».E i 5 Stelle, da sempre NoTav, ora faranno finta di niente, tirando a campare? Bella sceneggiata, quella di «portare il voto in un Parlamento dove l’esito è già scontato, e dove il Movimento 5 Stelle voterebbe contro, tentando di salvarsi la faccia dicendo “siamo coerenti, abbiamo fatto tutto il possibile”». I NoTav annunciano battaglia: «Proseguiremo la nostra lotta popolare per fermare quest’opera inutile e imposta. Lo faremo come abbiamo sempre fatto, mettendoci di traverso quando serve e portando le nostre ragioni in ogni luogo di questo paese, che siamo convinti, sta con noi». Nel 2005, quando la polizia sgomberò con inaudita violenza i manifestanti dal presidio di Venaus, di colpo l’Italia scoprì che in valle di Susa c’era un problema – non locale, ma nazionale. «Non si possono imporre le opere pubbliche col manganello», disse Di Pietro. Da allora sono passati quasi 15 anni, e il governo in carica – stavolta rappresentato anche dai 5 Stelle – continua a premere per la grande opera senza la minima trasparenza, cioè evitando ancora una volta di dimostrarne l’utilità. Una storia tristemente italiana, di democrazia calpestata. Con un corollario: l’auto-rottamazione del movimento creato da Grillo.Era nell’aria: il Governo del Tradimento si sarebbe apprestato a rimangiarsi anche l’ultima delle sue promesse. Ovvero: non gettare via miliardi in valle di Susa per il Tav Torino-Lione, senza prima averne verificato l’utilità. La verifica – la prima, nella storia – era arrivata nei mesi scorsi dopo decenni di silenzio da parte dei governi romani, per merito del ministro Danilo Toninelli. Verdetto negativo, firmato dal più autorevole trasportista italiano, il professor Marco Ponti, già docente del Politecnico di Milano e consulente della Banca Mondiale: un’opera faraonica e completamente inutile, perfetto doppione della linea Italia-Francia che già attraversa la valle di Susa, collegando Torino e Lione via Traforo del Fréjus, da poco riammodernato al prezzo di quasi mezzo miliardo di euro per consentire il passaggio di treni con a bordo i Tir e i grandi container “navali”. Lo sapevano anche i sassi, peraltro: il traffico Italia-Francia è praticamente estinto. Lo chiarisce la Svizzera, delegata dall’Ue a monitorare i trasporti transalpini: l’attuale linea valsusina Torino-Modane-Lione, ormai semideserta e destinata a restare un binario morto anche nei prossimi decenni, potrebbe aumentare del 900% il suo volume di traffico, se solo esistesse almeno il miraggio di merci da trasportare, un giorno.
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Dalla Russia coi servizi (deviati) per agitare gli italiani idioti
Un recente sondaggio dice che il 58% degli italiani ritiene grave la storia dei soldi promessi dai russi alla Lega per la campagna elettorale europea di quest’anno. Ciò dimostra ulteriormente che l’inconsapevolezza è la regina della democrazia come oggi praticata. Infatti, posto che il problema di questo ipotetico e non avvenuto finanziamento è quello dell’interferenza straniera nella politica italiana, cioè della tutela dell’indipendenza politica italiana, allora ogni non-idiota sa che questa indipendenza non esiste dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. L’Italia dal 1945 è militarmente occupata dagli Usa con oltre 100 basi sottratte al controllo italiano. Gli Usa hanno allestito, armato e finanziato in Italia la Gladio, un’organizzazione paramilitare illecita con fini di condizionamento politico. La Dc e il Pci hanno sempre preso miliardi rispettivamente dagli Usa e dall’Urss, dati per condizionare la politica italiana; in particolare l’Urss assicurava al Pci percentuali su determinati commerci. Il Pci riceveva questi soldi mentre l’Urss teneva puntati contro l’Italia i missili nucleari. Il Pci, in cui allora militava il futuro bipresidente della Repubblica Giorgio Napolitano, accettava la guida del Pcus di Stalin.Diversi leader politici italiani hanno sistematicamente svenduto a capitali stranieri i migliori asset nazionali. Moltissimi leader politici e statisti italiani hanno sistematicamente e proditoriamente ceduto agli interessi franco-tedeschi e della grande finanza in fatto di euro, fisco, bilancio, immigrazione; in cambio hanno ricevuto sostegno alle loro carriere. L’Italia ormai riceve da organismi esterni, diretti da interessi stranieri, l’80% della sua legislazione e della sua politica finanziaria. Essa è indebitata in una moneta che non controlla e che è controllata ultimamente da banchieri privati; la Banca d’Italia è controllata pure da banchieri prevalentemente stranieri. Ciliegina sulla torta: notoriamente, nel 2011, su disposizione di Bce e Berlino, il Palazzo italiano ha eseguito un golpe per sostituire il governo Berlusconi con uno funzionale agli interessi della finanza franco-germanica. E su tutto questo nessun Pm ha mai aperto un fascicolo per corruzione internazionale: andava tutto bene!Nel confronto con questi fatti, il problema dei soldi russi alla Lega, peraltro mai dati, è insignificante, e solo un idiota può considerarlo diversamente; mentre chi ha un minimo di buon senso nota che il problema grave è un altro, ossia che i servizi segreti – sottoposti al premier Conte – abbiano eseguito un anno fa, e tirato fuori proprio ora, le intercettazioni in questione, e che le tirino fuori ora per mettere in difficoltà la Lega in un momento critico per il M5S. Si ventila pure che possa essere stata, invece, la Cia, per colpire il legame Salvini-Russia. In ambo i casi, questa è la vera interferenza, questo è lo scandalo.(Marco Della Luna, “Dalla Russia coi servizi, deviati”, dal blog di Della Luna del 14 luglio 2019).Un recente sondaggio dice che il 58% degli italiani ritiene grave la storia dei soldi promessi dai russi alla Lega per la campagna elettorale europea di quest’anno. Ciò dimostra ulteriormente che l’inconsapevolezza è la regina della democrazia come oggi praticata. Infatti, posto che il problema di questo ipotetico e non avvenuto finanziamento è quello dell’interferenza straniera nella politica italiana, cioè della tutela dell’indipendenza politica italiana, allora ogni non-idiota sa che questa indipendenza non esiste dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. L’Italia dal 1945 è militarmente occupata dagli Usa con oltre 100 basi sottratte al controllo italiano. Gli Usa hanno allestito, armato e finanziato in Italia la Gladio, un’organizzazione paramilitare illecita con fini di condizionamento politico. La Dc e il Pci hanno sempre preso miliardi rispettivamente dagli Usa e dall’Urss, dati per condizionare la politica italiana; in particolare l’Urss assicurava al Pci percentuali su determinati commerci. Il Pci riceveva questi soldi mentre l’Urss teneva puntati contro l’Italia i missili nucleari. Il Pci, in cui allora militava il futuro bipresidente della Repubblica Giorgio Napolitano, accettava la guida del Pcus di Stalin.
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Sì alla Torino-Lione: il M5S firma la sua condanna a morte
«Non c’erano e non ci sono governi amici, l’abbiamo sempre saputo». Così il movimento NoTav reagisce al “tradimento” gialloverde sulla Torino-Lione, anticipato da Conte: «Non fare il Tav costerebbe più che farlo». Alberto Airola, parlamentare 5 Stelle, si sente raggirato da Di Maio: «Il suo – dice – è un atteggiamento pilatesco: sa benissimo che in aula saremo gli unici a votare “no”». In una video-intervista al “Fatto Quotidiano”, Airola condanna la decisione di rinunciare al potere dell’esecutivo per bloccare l’opera, ricorrendo alla farsa del voto parlamentare (più che scontato) sul destino del progetto, costosissimo e inutile. «L’ho detto più volte, a Conte: l’opera – che è appena ai preliminari – si può fermare senza danni per l’Italia». Conte però ha finto di non sentire: «E’ stato mal consigliato?», si domanda Airola. Certo, in linea con Conte appare Di Maio, che sposa in pieno la tattica dell’ipocrisia: i 5 Stelle ribadiranno la loro pletorica contrarietà alla super-ferrovia, già sapendo che Lega, Pd, Forza Italia e Fratelli d’Italia voteranno a favore. Un mezzuccio un po’ meschino, per tentare di salvarsi la coscienza. «Credo che il Movimento 5 Stelle abbia deciso di scrivere il proprio testamento politico», sentenzia Nilo Durbiano, sindaco di Venaus, uomo-simbolo dell’opposizione della valle di Susa alla grande opera. Addio 5 Stelle: «La loro avventura è conclusa», dice Durbiano, nel cui Comune i 5 Stelle erano il primo partito.
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Borrelli: che disastro, dopo Mani Pulite (che risparmiò il Pci)
Rispetto di fronte alla morte, ma anche un sereno giudizio (severo, nel caso) su un personaggio pubblico che ha contribuito a sconvolgere la storia del paese. Gianluigi Da Rold si riferisce a Francesco Saverio Borrelli, capo del pool Mani Pulite. Probabilmente, scrive Da Rold sul “Sussidiario”, la popolarità di Mani Pulite è sempre alta. Eppure, rispetto ai risultati ottenuti «con l’abbattimento della Prima Repubblica e l’avvento di altre ipotetiche repubbliche variamente numerate», si nota qualche ripensamento e anche qualche critica. «Quando nel 1992 iniziò Tangentopoli chiudemmo un occhio sulle esagerazioni e gli eccessi, nella certezza che la mannaia avrebbe colpito indistintamente a destra quanto a sinistra», ha detto Ferruccio De Bortoli, già direttore del “Corriere della Sera”. «Poi a un certo punto – ha ammesso – ci siamo accorti che alcuni erano stati risparmiati o avevano ricevuto un trattamento di riguardo, creandosi una situazione di disparità francamente imbarazzante: chi in galera e chi al potere». Più impressionante quella sorta di “pentimento” che lo stesso Borrelli consegnò a Marco Damilano, oggi direttore dell’“Espresso”, vent’anni dopo l’esplosione della grande inchiesta: abbiamo combinato un bel guaio, ammise il magistrato.Nel saggio “Eutanasia di un potere”, edito da Laterza nel 2013, Borrelli dice a Damilano: «Se fossi un uomo pubblico di qualche paese asiatico, dove è costume chiedere scusa per i propri sbagli, chiederei scusa per il disastro seguito a Mani pulite». E aggiunge: «Non valeva la pena di buttare all’aria il mondo precedente per cascare poi in quello attuale». Nel libro citato, annota Da Rold, il pensiero di Borrelli viene riproposto un altro paio di volte, «e probabilmente offre la misura della delusione provata anche dal capo del pool di fronte alla parabola politica che parte con Berlusconi, passa dai comprimari del “nuovismo” di sinistra per poi approdare a “Giggino”, “Dibba” e al “Capitano”». Pesa la pochezza culturale dei nuovi leader, peraltro inaugurata da Berlusconi col suo partito-azienda e seguita a ruota dall’altrettanto personalistico Renzi, fino ad arrivare alla “caserma” pentastellata. Fu comunque Berlusconi – poi vittima a sua volta delle “toghe rosse” – il primo ad approfittare dello tsunami di Tangentopoli: tutti ricordano le dirette non-stop di Emilio Fede, con Paolo Brosio in pianta stabile davanti al palagiustizia milanese, ad applaudire i giustizieri. Il resto è cronaca, lo si sconta da trent’anni ma molti se ne accorgono solo oggi: Mani Pulite sguarnì il Belpaese di fronte all’offensiva dei superpoteri europei – industriali e finanziari – che fecero dell’Italia un sol boccone, dal Trattato di Maastricht in poi.In Borrelli e nel suo vitalissimo e popolarissimo pool – scrive Da Rold – c’era purtroppo «il vecchio spirito inquisitorio che l’Italia non vuole abbandonare». In più «c’era, in quei tempi, un’intesa tra magistratura inquirente e mass media che portò molti giornalisti quasi al “disgusto”, alle dimissioni di fronte a certe carte che passavano da una mano all’altra e a certe rivelazioni clamorose ed esclusive». Il 14 luglio 1994, ricorda Da Rold, sugli schermi televisivi apparvero i Pm del pool per affossare il cosiddetto decreto Conso, che tentava di porre un argine all’improvvisa esuberanza di una magistratura per mezzo secolo s’era ben guardata dal “vedere” gli illeciti amministrativi della politica. «Un simile spettacolo di invadenza giudiziaria nella vita politica non sarebbe immaginabile neppure oggi, nemmeno nella piuttosto sgangherata vecchia Gran Bretagna in preda alla Brexit», scrive Da Rold. Da noi, invece, «naturalmente vinsero i “pm” che avrebbero “pulito” l’Italia». Ma quello che più stupisce, aggiunge l’analista, è l’ipocrisia: tutti sapevano che il finanziamento pubblico ai partiti era stato illecito fin dal 1946. «Dati alla mano, si è dimostrato che tutti i bilanci firmati dai presidenti delle Camere, sin dal 1946, erano falsi e che nessun politico e nessun magistrato aveva mai sollevato obiezioni, tranne poi scatenare la “grande lotta alla corruzione”».Inoltre, aggiunge Da Rold, il “nuovismo” politico si è pure rifiutato di creare su Tangentopoli commissione d’inchiesta – doverosa, almeno da quello che appariva. Ora ci risiamo, con le bufale velenose del Russiagate salviniano? Dato che siamo in tema di “Russopoli”, Da Rold ricorda Stephane Courtois, autore de “Il libro nero del comunismo”, che scrive: «L’assordante silenzio che ha accompagnato in Italia le rivelazioni sulla dimensione criminale di quasi un secolo di comunismo, cioè sugli 85 milioni di morti ammazzati, non è nulla rispetto al silenzio, come dire?, rimbombante che è stato steso su quello che riguardava la ‘question financière’, cioè l’oro di Mosca». Alla vigilia della guerra di Corea, nel 1950 – riassume Da Rold – Stalin dava incarico all’armeno Vagan Grigorian di costituire un fondo per finanziare sistematicamente i partiti comunisti di opposizione in Occidente. Il nome che fu stabilito era questo: “Fondo sindacale di assistenza alle organizzazioni operaie di sinistra”. Cose vecchie? Mica tanto: secondo i calcoli di Courtois, sino alla caduta del Muro di Berlino, il Pci – sotto varie forme – intascò il 25% per cento dei finanziamenti di Mosca «anche dopo Stalin, dopo Kruscev, dopo Breznev e dopo le “ultime mummie” del Cremlino». Totale: mille miliardi di vecchie lire. E i magistrati, Borrelli e colleghi? «Non si è mai capito – conclude Da Rold – perché ancora alla fine degli anni Settanta, e forse anche dopo, il Pci avesse a disposizione sulla Bank of Cyprus di Londra il conto numero 100203939/560. Erano archiviate tutte queste possibili inchieste? Forse Borrelli e i suoi “ragazzi” se ne erano dimenticati».Rispetto di fronte alla morte, ma anche un sereno giudizio (severo, nel caso) su un personaggio pubblico che ha contribuito a sconvolgere la storia del paese. Gianluigi Da Rold si riferisce a Francesco Saverio Borrelli, capo del pool Mani Pulite. Probabilmente, scrive Da Rold sul “Sussidiario”, la popolarità di Mani Pulite è sempre alta. Eppure, rispetto ai risultati ottenuti «con l’abbattimento della Prima Repubblica e l’avvento di altre ipotetiche repubbliche variamente numerate», si nota qualche ripensamento e anche qualche critica. «Quando nel 1992 iniziò Tangentopoli chiudemmo un occhio sulle esagerazioni e gli eccessi, nella certezza che la mannaia avrebbe colpito indistintamente a destra quanto a sinistra», ha detto Ferruccio De Bortoli, già direttore del “Corriere della Sera”. «Poi a un certo punto – ha ammesso – ci siamo accorti che alcuni erano stati risparmiati o avevano ricevuto un trattamento di riguardo, creandosi una situazione di disparità francamente imbarazzante: chi in galera e chi al potere». Più impressionante quella sorta di “pentimento” che lo stesso Borrelli consegnò a Marco Damilano, oggi direttore dell’“Espresso”, vent’anni dopo l’esplosione della grande inchiesta: abbiamo combinato un bel guaio, ammise il magistrato.
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Ivo Mej sul “Fatto” approva Mazzucco: mai stati sulla Luna
Insomma, ci siamo stati o no? Per quello che può interessare ai lettori de “Il Fatto Quotidiano”, la mia personale opinione è che no, sulla Luna non ci saremmo mai potuti andare con la tecnologia degli anni ‘60, tant’è vero che non riusciamo ad andarci neanche oggi. Ma naturalmente della mia opinione chissenefrega, e poi come è possibile che in mezzo secolo non sia mai venuta fuori la verità sulla conquista mai avvenuta del nostro satellite? Per fortuna, esistono altri positivisti-scientisti oltre al sottoscritto, non inclini ad accettare qualsiasi cosa venga loro propinata dalla propaganda di turno, ma determinati a verificare le miriadi di supercazzole inventate dalla Nasa in 50 anni per compiacere i presidenti di turno. E’ il caso di Massimo Mazzucco – uno che di professione ha fatto il fotografo prima di diventare regista e di immagini se ne intende – e del suo incredibile documentario “American Moon”, oltre due ore di serena e plausibile confutazione della verità ufficiale sulla Luna. Come molti sanno, la “teoria del complotto lunare” corrente vorrebbe il regista Stanley Kubrick coinvolto in prima persona dalla Nasa per simulare la conquista della Luna. Moltissimi gli indizi in merito, riportati anche in un altro incantevole documentario di Rodney Ashner, “Room 237”, del 2012.Un altro indizio sulla stretta connessione tra Kubrick e la Nasa è la costruzione da parte dell’Ente spaziale americano di un obiettivo fatto appositamente per il film di Kubrick “Barry Lyndon”. Perché la Nasa avrebbe speso ingenti fondi per studiare e realizzare un obiettivo tanto speciale per il regista? Perché non glielo fece neanche pagare? Un semplice omaggio all’autore di “2001 Odissea nello spazio” (anno: 1968)? Ma a tutto questo Mazzucco non accenna neanche. Di Kubrick nessuna traccia, in “American Moon”. Invece, per tagliare le gambe a tutti i debunker sfata-tesi, il regista gioca d’anticipo, confutando dall’inizio e scientificamente tutte le loro critiche. Il principale debunker e avversario da sempre di Mazzucco è il solito Paolo Attivissimo, di nome e di fatto nel tentare di intorbidire le acque della vicenda lunare. Ma naturalmente ci sono anche fior di fotografi professionisti, interpellati da Mazzucco sulle caratteristiche tecniche delle immagini “riportate” dalla Luna. Bene, nessuno tra Oliviero Toscani, Toni Thorimbert, Aldo Fallai, Peter Lindbergh e Nicola Pecorini riesce a spiegare la stranezza di tutte quelle immagini degli “allunaggi” se non con la loro realizzazione in uno studio fotografico.Per non parlare di uno degli argomenti principe della impossibilità di arrivare sulla Luna: l’attraversamento delle micidiali Fasce di Van Allen, in grado di “friggere” qualsiasi apparato radio (non parliamo dei corpi degli astronauti). Non posso certo riportare qui tutte le incongruenze logiche, le strane dimissioni, le ammissioni a mezza bocca dei dirigenti Nasa presenti nel film, ma voglio ricordare che nel 1994 un altro regista, l’americano Bart Sibrel, tentò di fare giurare sulla Bibbia Neil Armstrong, Buzz Aldrin e Michael Collins di essere davvero stati sulla Luna. Nessuno di loro volle farlo. Il documentario “American Moon” verrà proiettato il 15 luglio al Teatro Eliseo di Roma, esattamente cinque giorni prima del cinquantenario di quella che potrebbe essere ricordata come la più gigantesca fake news della storia.(Ivo Mej, “Insomma, sulla Luna ci siamo stati o no?”, dal “Fatto Quotidiano” dell’8 luglio 2019).Insomma, ci siamo stati o no? Per quello che può interessare ai lettori de “Il Fatto Quotidiano”, la mia personale opinione è che no, sulla Luna non ci saremmo mai potuti andare con la tecnologia degli anni ‘60, tant’è vero che non riusciamo ad andarci neanche oggi. Ma naturalmente della mia opinione chissenefrega, e poi come è possibile che in mezzo secolo non sia mai venuta fuori la verità sulla conquista mai avvenuta del nostro satellite? Per fortuna, esistono altri positivisti-scientisti oltre al sottoscritto, non inclini ad accettare qualsiasi cosa venga loro propinata dalla propaganda di turno, ma determinati a verificare le miriadi di supercazzole inventate dalla Nasa in 50 anni per compiacere i presidenti di turno. E’ il caso di Massimo Mazzucco – uno che di professione ha fatto il fotografo prima di diventare regista e di immagini se ne intende – e del suo incredibile documentario “American Moon”, oltre due ore di serena e plausibile confutazione della verità ufficiale sulla Luna. Come molti sanno, la “teoria del complotto lunare” corrente vorrebbe il regista Stanley Kubrick coinvolto in prima persona dalla Nasa per simulare la conquista della Luna. Moltissimi gli indizi in merito, riportati anche in un altro incantevole documentario di Rodney Ashner, “Room 237”, del 2012.
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Perché Falcone e Borsellino saltarono in aria in quel modo
Saltarono in aria, quei giudici, perché avrebbero fatto saltare per aria il sistema. «Con Falcone arriva il segnale della pace tra Stato e mafia, mentre con la strage di via D’Amelio in cui muore Borsellino si dà il via alle leggi che azzerano i poteri della magistratura». Sul blog “Petali di Loto”, il 19 luglio 2019 – anniversario della strage di via D’Amelio – Stefania Nicoletti richiama le analisi offerte nel corso degli anni dall’avvocato Paolo Franceschetti, con l’aiuto dell’allora collega Solange Manfredi. Già legale delle “Bestie di Satana”, Franceschetti ha dedicato studi coraggiosi al fenomeno dei delitti rituali (dal Mostro di Firenze in poi), tutti “firmati” in realtà da killer dediti a forme di esoterismo degenerate in occultismo criminale. Uomini protetti da forti coperture a livello istituzionale, a volte funzionale alla strategia della tensione o comunque alla manipolazione psicologica delle masse. «Esempio: l’individuo che viene arrestato non è mai un giudice, un politico, un notaio, un medico, un ufficiale, un docente universitario. E’ sempre un contadino semi-analfabeta, una povera madre presentata come pazza, un giovane drogato e sbandato. E’ il capro espiatorio perfetto, attraverso cui far sapere alla gente che è in buone mani e non corre pericoli, visto che il potere è pulito. Invece è vero esattamente il contrario».Lo si è intuito, in modo atrocemente sanguinoso, osservando i retroscena inquinatissimi delle morti ravvicinate di Falcone e Borsellino. Dopo la seconda, in particolare, si cominciò a parlare di “trattativa Stato-mafia”. Affrontò il tema Vincenzo Calcara, uno dei pochi collaboratori di giustizia che possono veramente essere chiamati “pentiti”. «Il dottor Borsellino – scrisse, nel suo memoriale – era in possesso di verità scomode», di fronte alle quali «in tanti si devono vergognare per averlo lasciato solo al suo destino». Calcara era stato segnato dall’incontro col magistrato, che gli aveva cambiato la vita: una vera e propria redenzione morale. C’erano due piani alternativi per uccidere Borsellino, ricorda Franceschetti: il primo prevedeva l’uso di un fucile di precisione ed era affidato proprio a Calcara, mentre nel secondo caso – un’autobomba – il futuro pentito avrebbe svolto soltanto un lavoro di copertura. «Poi però da Palermo arrivò l’ordine, direttamente da Totò Riina: prima, avrebbe dovuto essere ucciso Giovanni Falcone». Così, Calcara riuscì a non uccidere l’uomo che, anni dopo, gli avrebbe salvato la vita, facendolo rinascere come essere umano. Ma Riina era veramente “il capo dei capi”, o invece era solo il “prestanome” di qualcuno molto più potente, protagonista occulto dell’infinita finita strategia delle tensione italiana?Lo stesso Riina affermò che Borsellino non sarebbe stato “condannato” dalla mafia, ma probabilmente da uomini dello Stato. E nel caso, perché mai? «Forse perché aveva capito che la cosiddetta “trattativa” non era altro che un accordo per realizzare un piano eversivo di destabilizzazione dello Stato, condotta da un “sistema criminale” composto da mafia, massoneria deviata e servizi segreti deviati?». Riguardo alla possibile manovalanza, alternativa o contigua a quella strettamente mafiosa, Solange Manfredi cita le dichiarazioni rese da un ex paracadutista della Folgore, Fabio Piselli, coinvolto nelle indagini sul rogo della nave “Moby Prince”. Una ricostruzione scioccante, che mette insieme la strage di Capaci e quella di via D’Amelio, l’autobomba fiorentina di via dei Georgofili e la bomba romana di via Fauro. Italia fragilissima, all’epoca: Tangentopoli e passaggio cruciale dalla Prima alla Seconda Repubblica, sotto le forche caudine di Bruxelles, dopo aver spazzato via – a colpi di inchieste – l’intera classe politica. Decisivo, secondo Solange Manfredi, il ruolo nefasto di una sigla-fantasma ma onnipresente, in quegli anni: la Falange Armata.Esisteva dal 1985, sembra, ma compare per la prima volta soltanto il 4 gennaio 1991, quando a Bologna vengono uccisi tre carabinieri nel quartiere del Pilastro. L’ultima apparizione mediatica è del 27 novembre 1994, con il seguente comunicato: “Di Pietro è un uomo morto”. Di mezzo ci sono Falcone e Borsellino, le minacce a Di Pietro per le indagini su Craxi, un’autobomba scoperta a Roma in via dei Sabini a cento metri da Palazzo Chigi, il palagiustizia di Padova dato alle fiamme. Il 19 luglio ‘92, la Falange Armata rivendica l’attentato costato la vita a Borsellino. Un anno dopo, il 16 settembre del ‘93, la Procura di Roma individua in 16 ufficiali del Sismi i telefonisti che rivendicarono le azioni della fantomatica sigla terroristica. Cos’era, la Falange Armata? Secondo l’ex parà Fabio Piselli, «è stata una operazione modello, continuata e mai inquinata, compartimentata e soprattutto posta in sonno e mai disattivata da parte di un organo inquirente o ispettivo». In questo modo «ha raggiunto i propri obiettivi». Dopodiché “l’operazione” «è stata semplicemente conclusa», e i suoi “operativi”, di fatto, «hanno continuato a fare il proprio lavoro», dedicandosi ad altre mansioni e lasciando gli inquirenti impegnati a inseguire una falsa pista, cioè «una “organizzazione”, e non una semplice “operazione”».Risultato scontato: indagini finite in un nulla di fatto, «o con l’arresto di mere, ignare pedine, o di qualche povero innocente sacrificato per confondere gli inquirenti, il quale si è fatto qualche mese di galera ingiustamente e la cui vita è stata rovinata». Omicidi, rapine, attentati, sequestri. E poi: infiltrazioni in attività militari e politiche, trafugamento di armi dello Stato, addestramento di civili in attività militari. Ancora: spionaggio politico e militare, intercettazioni illegali, violazione e utilizzo del segreto d’ufficio, peculato, attentato alla democrazia. «E’ ciò che l’operazione Falange Armata ha posto in essere fra il 1985 ed il 1994 attraverso gli operatori, attivati singolarmente o in piccole squadre», dice Piselli. E’ tutto? No, certo. Sulla “trattativa”, la prima indagine fu archiviata nel 2000 per decorrenza dei termini, ricorda Franceschetti, prima che Antonio Ingroia riaprisse il caso, su cui ormai si sono scritti fiumi di inchiostro. Quello di cui invece Franceschetti è rimasto l’unico a parlare, invece, è un dettaglio sfuggente: il ricorrere – veramente impressionante – delle stesse modalità simboliche che costellano i fatti di sangue “mediatici”, sia gli attentati terroristici che molti delitti in apparenza comuni, destinati alla semplice cronaca nera.Dopo anni di ricerche, Franceschetti ha individuato una “firma” ancora più elusiva di quella della Falange Armata: è la Rosa Rossa, specializzata in delitti rituali anche eccellenti, come quelli del cantante Rino Gaetano e del ciclista Marco Pantani. Personaggi da “punire” secondo lo schema – dantesco – della “legge del contrappasso”, attraverso modalità maniacalmente simboliche, a partire dai nomi dei luoghi (mai casuali) e delle date in cui i delitti si consumano. La morte come tragico cerimoniale, in cui si mette in scena – capovolgendolo – ciò che il malcapitato aveva rappresentato, in vita. Gaetano? Vittima di uno stranissimo incidente stradale, soccorso da una strana ambulanza e morto dissanguato dopo esser stato rifiutato da quattro diversi ospedali – esattamente come nella “Canzone di Renzo”, uscita postuma, in cui saranno gli stessi assassini a portare a spalle la bara. Pantani? Ucciso al residence “Le Rose” di Rimini. Accanto al corpo, un biglietto: “Oggi le rose sono contente, e la rosa rossa è la più contata”. A chi dava fastidio, Pantani? Al business del doping, che coinvolge potenti ambienti massonici: droghe prodotte nei laboratori di Big Pharma, testate sui ciclisti e poi immesse sul mercato (anche quello della guerra, destinate ai soldati).E Rino Gaetano? Nel brano “Nuntereggae più” cita Vincenzo Cazzaniga, storico percettore dei fondi neri Usa indirizzati alla Dc, mentre nella canzone “Mio fratello è figlio unico” menziona “il rapido Taranto-Ancona”, che poi le indagini sugli anni di piombo avrebbero rivelato essere “il treno delle spie”, usato dai servizi deviati per trasportare gli esplosivi destinati alle stragi nelle piazze. Secondo Franceschetti, neppure Falcone e Borsellino sono sfuggiti al lugubre copione simbolico del “contrappasso”: riferendosi all’inferno della Divina Commedia, «la persona da eliminare morirà secondo la logica di far patire alla vittima il “peccato” che questa avrebbe commesso». Un classico: «Molti dei testimoni del disastro di Ustica, il Dc-9 dell’Itavia abbattuto, moriranno in un incidente aereo». Lo stesso Fabio Piselli, testimone dell’incendio della “Moby Prince”, è caricato su un’auto che poi viene incendiata: doveva quindi morire in un rogo, anche lui. Oppure il caso del perito Luciano Petrini: stava facendo una perizia sulla strana fine del colonnello Mario Ferraro, del Sismi, trovato impiccato all’asciugamani del bagno. Ebbene, Petrini morirà a colpi di portasciugamani».La casistica esaminata da Franceschetti è davvero vasta. L’antropologa Cecilia Gatto Trocchi, che smascherava crimini di matrice esoterica, volò dal balcone: «Chi sale troppo in alto, viene gettato dall’alto». Le vie dei killer sono pressoché infinite: «Qualcuno può morire fulminato dalla corrente elettrica come il giovane contestatore siciliano Giuseppe Gatì, perché il fulmine simboleggia la folgore di Zeus che punisce la persona che ha osato troppo». E la chiave simbolica della spaventosa morte di Falcone e Borsellino, entrambi dilaniati dall’esplosivo? Tragicamente semplice: «Li hanno fatti letteralmente saltare in aria, perché quei due stavano per far saltare in aria il sistema parallelo che collega la mafia alla parte oscura del potere ufficiale». Falcone, innanzitutto, «doveva morire in Sicilia – e non a Roma, dove sarebbe stato più facile assassinarlo – perché proprio sull’isola si erano svolte le sue indagini: la regola del contrappasso esigeva quindi che morisse nella stessa terra ove aveva “peccato”». Inoltre, aggiunge Franceschetti, «doveva saltare in aria in modo eclatante, proprio perché voleva far saltare il sistema». Attenzione: «Falcone aveva capito che il fulcro del sistema criminale in Italia non è la mafia. E’ lo Stato. E sono le banche. Quindi doveva saltare in aria perché l’esplosione con cui muore fa da contrappasso all’esplosione che lui voleva assestare al “sistema”».Non è casuale neppure la scelta del luogo dell’agguato: «Falcone è morto a Capaci, a simboleggiare che chiunque sia “capace”, deve morire». La cosa può suonare ridicola, ammette Franceschetti, ma suggerisce di riflettere sul fatto che «stiamo parlando di un’associazione che non lascia nulla al caso, neanche i nomi delle persone che vengono messe in determinate posizioni di vertice politico, finanziario, o amministrativo». C’è anche dell’altro, dietro al nome Capaci: la cittadina prese il nome dalla parola “pace” (Capaci, “cca-paci”) per siglare la fine di una leggendaria punizione, la reclusione sulla vicina Isola delle Femmine di 13 fanciulle. Scoppierà una “pace”, dopo “l’attentatone” costato la vita a Falcone e alla sua scorta? «Esatto: non a caso, come risulta dalla sentenza sulla strage di via dei Georgofili (che riuniva in un solo processo ben sette stragi, commesse a Firenze, Milano e Roma) e dalla sentenza sul Capitano Ultimo, dopo la strage di Capaci venne avviata la famosa trattativa tra Stato e mafia, di cui si fece portavoce il generale Mario Mori, per raggiungere, appunto, la pace». Probabilmente, aggiunge Franceschetti, la morte così eclatante di Falcone «segna anche, simbolicamente, uno spartiacque tra il vecchio metodo di eliminazione dei magistrati (ucciderli) e quello nuovo (delegittimarli). Non più attentati, quindi, ma le cosiddette “armi silenziose per una guerra tranquilla”».La morte di Falcone simboleggia quindi una storica tregua? Fateci caso: dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio, la mafia siciliana sembra quasi non esistere più: finiscono in carcere Riina e Provenzano, imprendibili per decenni, dopodiché cala il silenzio. «Addirittura, l’allora procuratore antimafia Pietro Grasso è andato al “Maurizio Costanzo Show” a declamare gli immensi successi dello Stato sulla mafia», ormai ridotta – secondo lui – al lumicino. Ricapitolando, il simbolismo della strage di Capaci è: auto, esplosione, Isola delle Femmine, Capaci. «Il probabile significato: Falcone voleva far saltare il sistema (esplosione), quindi dal cielo (auto) arriva la punizione che lo fa saltare in aria; dopodiché dovrà scendere la pace, tra lo Stato e la mafia (Capaci). Così muoiono le persone capaci di arrivare al cuore del sistema». Non è tutto: «A firmare la strage, ci sono due elementi: il gruppo di mafiosi si era posizionato sulla collina vicino Capaci; e la collina si chiama “Raffo Rosso“, ove raffo in ebraico significa “Dio che guarisce”. RR, firma della Rosa Rossa». L’organizzazione di cui parla Franceschetti si ispirerebbe – in modo deformato e deviato – alla confraternita sapienziale inziatica dei Rosa+Croce? Eccola: «La moglie di uno degli agenti di scorta, la donna straziata che fece il famoso discorso ai funerali, si chiama Rosaria Costa: le iniziali, RC).E Borsellino? «Fu ucciso nello stesso modo, anzitutto perché aveva seguito le orme dell’amico. Poi perché anche lui, col Memoriale Calcara, aveva avuto notizie che erano in grado di far saltare il sistema». Non mancano ulteriori indizi simbolici: «Credo che un aspetto della simbologia della sua morte vada trovata anche nella via dove avvenne l’esplosione, via Mariano D’Amelio: un politico che fece leggi sulla magistratura. Chiaro il messaggio: la magistratura deve essere azzerata». Dopo quelle orrende mattanze, «inizialmente sembrò che la magistratura acquistasse più poteri, e che lo Stato volesse realmente fare la guerra alla mafia». Nacque infatti lo strumento del 41 bis, il carcere duro per i mafiosi, e ci furono alcuni ritocchi al codice di procedura penale. «Ma poco dopo – aggiunge Franceschetti – arrivarono leggi che, di fatto, azzerarono il potere della magistratura riducendolo ad un formalismo vuoto, cosicché oggi l’80% dei reati cade in prescrizione, e per reati gravissimi vengono comminate pene ridicole». Sparì di fatto il reato di falso in bilancio, scomparve l’ergastolo per il reato di “attentato agli organi costituzionali”, si cercò di limitare le intercettazioni. Di fatto, dopo la morte di Borsellino, scattò «un’opera sistematica di demolizione dei poteri dei magistrati». Fantasie? Non esattamente, purtroppo.Saltarono in aria, quei giudici, perché avrebbero fatto saltare per aria il sistema. «Con Falcone arriva il segnale della pace tra Stato e mafia, mentre con la strage di via D’Amelio in cui muore Borsellino si dà il via alle leggi che azzerano i poteri della magistratura». Sul blog “Petali di Loto”, il 19 luglio 2019 – anniversario della strage di via D’Amelio – Stefania Nicoletti richiama le analisi offerte nel corso degli anni dall’avvocato Paolo Franceschetti, con l’aiuto dell’allora collega Solange Manfredi. Già legale delle “Bestie di Satana”, Franceschetti ha dedicato studi coraggiosi al fenomeno dei delitti rituali (dal Mostro di Firenze in poi), tutti “firmati” in realtà da killer dediti a forme di esoterismo degenerate in occultismo criminale. Uomini protetti da forti coperture a livello istituzionale, a volte funzionale alla strategia della tensione o comunque alla manipolazione psicologica delle masse. «Esempio: l’individuo che viene arrestato non è mai un giudice, un politico, un notaio, un medico, un ufficiale, un docente universitario. E’ sempre un contadino semi-analfabeta, una povera madre presentata come pazza, un giovane drogato e sbandato. E’ il capro espiatorio perfetto, attraverso cui far sapere alla gente che è in buone mani e non corre pericoli, visto che il potere è pulito. Invece è vero esattamente il contrario».
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Mazzucco: povero Enrico Mentana, come sei caduto in basso
Una volta facevi il giornalista. Una volta sapevi affrontare qualunque argomento, anche il più controverso, con equidistanza e con obiettività, stando ben attento a non far entrare le tue opinioni personali nel dibattito in corso. Oggi invece hai completamente rinunciato al sacro principio su cui è basato il tuo mestiere, che è quello dell’obiettività, e ti sei apertamente schierato, su tutte le questioni più controverse, come una comare da cortile. Urli e ti agiti per imporre le tue opinioni, aprofitti del tuo palcoscenico televisivo per fare dei piccoli comizi travestiti da editoriale, e arrivi persino ad insultare le persone che non la pensano come te. L’ultimo caso, in ordine di tempo, è stato l’infelice post di ieri, nel quale davi dei “fessi” a tutti coloro che non credono che siamo stati sulla luna. Per la precisione, hai scritto: «Un saluto ai fessi che non credono che l’uomo sia andato sulla luna. Senza quell’impresa non esisterebbe gran parte delle conquiste tecnologiche che vi permettono di non confinare al tavolo del bar le vostre ‘opinioni’».Ora, a parte che con queste frasi tu hai offeso in un colpo solo decine di migliaia di persone che dubitano dei viaggi lunari – tra cui, fra l’altro, alcuni tuoi colleghi giornalisti – ma soprattutto dimostri, ancora una volta, di essere palesemente disinformato sullo stato del dibattito in corso. Nel mio film, io mostro che nelle comunicazioni originali della Nasa manca il ritardo audio che dovrebbe esserci fra terra e luna. Questo è un fatto, non è una opinione. E nessuno è in grado di dare una spiegazione razionale per questo fatto. Nel mio film, io mostro delle bandiere che sventolano da sole, senza che nessun astronauta le stia toccando. Questo è un fatto, non è una opinione. E nessuno è in grado di dare una spiegazione razionale per questo fatto. Nel mio film, io mostro la completa assenza di danni da radiazione sulle pellicole delle foto lunari, ed è la Nasa stessa a riconoscere che queste pellicole dovrebbero essere invece fortemente danneggiate. Questo è un fatto, non è una opinione. E nessuno è in grado di dare una spiegazione razionale per questo fatto.Nel mio film, io mostro i fotografi professionisti che spiegano perché, tecnicamente, le fotografie delle missioni Apollo non possono esser state fatte sulla luna. E nessuno è in grado di contestare le loro affermazioni. Siamo quindi di fronte a fatti concreti – non a “opinioni” – che mettono legittimamente in dubbio le missioni lunari. Ora, nessuno qui è obbligato a convincersi per forza che sulla luna non ci siamo andati. Ma lo spazio per un sano dibattito c’è, ed i dubbi sulle missioni lunari sono oggettivamente legittimi e ben documentati. Un buon giornalista avrebbe preso questi dubbi seriamente, e avrebbe concesso loro la giusta platea, per una sana discussione pubblica. Invece tu hai preferito rinchiuderti nella tua presunzione infinita, hai già deciso di aver capito tutto, e hai scelto di dare dei fessi a chi non la pensa come te. Proprio come un opinionista da bar. Per uno che osa chiamarsi giornalista, questa è la vergogna più grande che ci possa essere.(Massimo Mazzucco, “Mentana, come sei caduto in basso”, dal blog “Luogo Comune” del 21 luglio 2019).Una volta facevi il giornalista. Una volta sapevi affrontare qualunque argomento, anche il più controverso, con equidistanza e con obiettività, stando ben attento a non far entrare le tue opinioni personali nel dibattito in corso. Oggi invece hai completamente rinunciato al sacro principio su cui è basato il tuo mestiere, che è quello dell’obiettività, e ti sei apertamente schierato, su tutte le questioni più controverse, come una comare da cortile. Urli e ti agiti per imporre le tue opinioni, aprofitti del tuo palcoscenico televisivo per fare dei piccoli comizi travestiti da editoriale, e arrivi persino ad insultare le persone che non la pensano come te. L’ultimo caso, in ordine di tempo, è stato l’infelice post di ieri, nel quale davi dei “fessi” a tutti coloro che non credono che siamo stati sulla luna. Per la precisione, hai scritto: «Un saluto ai fessi che non credono che l’uomo sia andato sulla luna. Senza quell’impresa non esisterebbe gran parte delle conquiste tecnologiche che vi permettono di non confinare al tavolo del bar le vostre ‘opinioni’».
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Vergogna gialloverde, i 5 Stelle si piegano anche sul Tav
«Alla luce degli investimenti comunitari, non realizzare il Tav costerebbe più che completarlo». Con queste parole, il premier Giuseppe Conte azzera politicamente il Movimento 5 Stelle, da sempre contrario alla Torino-Lione. L’opposizione all’alta velocità in valle di Susa era l’ultima grande promessa elettorale non ancora disattesa. A questo punto, i grillini sono politicamente finiti. Non manca di sense of humor, Conte, quando aggiunge che «soltanto il Parlamento può recedere unilateralmente dal contratto», ben sapendo che tutti gli altri partiti – Lega, Pd, Forza Italia e Fratelli d’Italia – sono da sempre favorevoli alla maxi-opera più inutile della storia d’Europa, peraltro mai neppure avviata. L’unico cantiere aperto, a Chiomonte, riguarda infatti una semplice galleria esplorativa: un piccolo tunnel solo geognostico, da cui non passerebbe mai nessun treno. Del faraonico traforo Italia-Francia non è stato finora scavato neppure un metro. Sarebbe un doppione disastrosamente inutile: proprio attraverso la valle di Susa, Torino e Lione sono già collegate dalla ferrovia internazionale che valica le Alpi grazie al traforo del Fréjus, recentemente ammodernato (quasi mezzo miliardo la spesa) in modo da consentire il transito di treni con a bordo i Tir e i grandi container “navali”. La nuova Torino-Lione? Non servirebbe a nessuno. In più, il traffico merci fra Italia e Francia è ormai inesistente.Lo ribadì alcuni mesi fa lo studio sul rapporto costi-benefici commissionato dal ministro Danilo Toninelli al professor Marco Ponti del Politecnico di Milano, “trasportista” di fama mondiale. Era la prima analisi seria, professionale, prodotta da un governo italiano, da vent’anni a questa parte, sulla grande opera più controversa della penisola, contro la quale si è scatenata una fortissima protesta popolare culminata nel 2005 con la quasi-insurrezione della valle di Susa, guidata dai sindaci in fascia tricolore. Protesta tempestivamente cavalcata da Beppe Grillo, in prima linea coi NoTav insieme a Dario Fo. Cinque anni dopo, lo stesso Grillo tornò in valle di Susa spingendosi a Chiomonte e violando provocatoriamente la prima “zona rossa” imposta dalle forze dell’ordine. Sembrano passati mille anni: i grillini oggi sono costretti a ingoiare le parole del premier gialloverde, scelto proprio da loro per giudare la traballante alleanza con la Lega, da sempre favorevole allo spreco ferroviario del secolo. «Sono pervenuti dei fatti nuovi», ha tentato di spiegarsi Conte, alludendo alla recente apertura dell’Unione Europea, che si è detta disponibile ad aumentare lo stanziamento dal 40% al 55%. «La tratta nazionale per l’Italia potrebbe beneficiare di un contributo europeo pari al 50%».A proposito di Bruxelles: proprio i grillini sono stati determinanti, la scorsa settimana, nella nomina della tedesca Ursula von der Leyen, fedelissima della Merkel e impietosa interprete del peggior rigore europeo. Oltre che l’ennesimo clamoroso tradimento dell’elettorato grillino, l’incredibile voltafaccia sul Tav Torino-Lione si annuncia come una pagina particolarmente vergognosa per il governo gialloverde: se la mossa di Conte sembra un tentativo funambolico di tenere in piedi l’esecutivo accontentando Salvini, rivela soprattutto le mostruose pressioni subite dal potere Ue, a cui l’Italia sembra cedere anche stavolta, come già per la vertenza sul deficit negato. E’ un’Italia che evidentemente obbedisce a decisioni altrui, in questo caso imposte dalla potente lobby europea delle grandi opere. Il paese dei viadotti che crollano ha un disperato bisogno di infrastrutture utili, e invece si prepara a regalare miliardi ai soliti noti, per un’opera inutile che prevede cantieri con un profilo occupazionale ridicolo. Una farsa, che per i 5 Stelle si trasformerà in tragedia politica: d’ora in poi, nessuno potrà più prendere sul serio Luigi Di Maio, qualunque cosa dovesse dire. Chi ha votato 5 Stelle difficilmente lo rifarà.«Alla luce degli investimenti comunitari, non realizzare il Tav costerebbe più che completarlo». Con queste parole, il premier Giuseppe Conte azzera politicamente il Movimento 5 Stelle, da sempre contrario alla Torino-Lione. L’opposizione all’alta velocità in valle di Susa era l’ultima grande promessa elettorale non ancora disattesa. A questo punto, i grillini sono politicamente finiti. Non manca di sense of humor, Conte, quando aggiunge che «soltanto il Parlamento può recedere unilateralmente dal contratto», ben sapendo che tutti gli altri partiti – Lega, Pd, Forza Italia e Fratelli d’Italia – sono da sempre favorevoli alla maxi-opera più inutile della storia d’Europa, peraltro mai neppure avviata. L’unico cantiere aperto, a Chiomonte, riguarda infatti una semplice galleria esplorativa: un piccolo tunnel solo geognostico, da cui non passerebbe mai nessun treno. Del faraonico traforo Italia-Francia non è stato finora scavato neppure un metro. Sarebbe un doppione disastrosamente inutile: proprio attraverso la valle di Susa, Torino e Lione sono già collegate dalla ferrovia internazionale che valica le Alpi grazie al traforo del Fréjus, recentemente ammodernato (quasi mezzo miliardo la spesa) in modo da consentire il transito di treni con a bordo i Tir e i grandi container “navali”. La nuova Torino-Lione? Non servirebbe a nessuno. In più, il traffico merci fra Italia e Francia è ormai inesistente.
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Vogliono il golpe, con Draghi? Magaldi: non vinceranno più
Mario Draghi & friends? Saranno sconfitti dalla storia, perché la gente gli si rivolterà contro. Finora hanno stravinto, a mani basse, rottamando la democrazia. Ma non durerà per sempre: il loro potere sta scricchiolando. Lo dimostra il solo fatto di puntare su Draghi per Palazzo Chigi al posto di Conte, per sfrattare Salvini. «Una scelta debole, che rivela le inquietudini del superpotere europeo, in stato confusionale». Lo afferma con convinzione, Gioele Magaldi, il primo (e unico, per ora) a spiegare chi è veramente il banchiere europeo, che a differenza di Bruno Amoroso e Nino Galloni tradì la lezione keynesiana del maestro, Federico Caffè, per passare armi e bagagli alla concorrenza, svendendo il paese (con le privatizzazioni selvagge) all’oligarchia finanziaria che, dal Britannia in poi, ha imposto il globalismo neoliberista e neo-feudale. Ha ancora incredibilmente buona stampa, Draghi, presentato dai media come una specie di salvatore dell’euro e paladino dell’Italia. «Ridicolo: Draghi non ha mosso un dito, in questi anni, per impegnare la Bce nello spegnere l’incendio dello spread. Anzi: ha atteso che paesi come la Grecia e l’Italia venissero ricattati, per subire il regime di austerity, permettendo a svariati soggetti di lucrare denaro speculando sulla crisi. Solo a cose fatte è finalmente intervenuto, legittimando in tal modo il feroce commissariamento».La Grecia in ginocchio, e l’Italia affidata alle “cure” di Monti, «di cui Draghi era uno dei grandi sponsor, insieme a Napolitano». Nel libro “Massoni” uscito nel 2014, Magaldi lo chiama “il venerabile Draghi”, vero e proprio frontman europeo e internazionale delle superlogge più reazionarie, protagoniste della rivoluzione neo-conservatrice che ha piegato l’economia sociale azzoppando gli Stati e impoverendo la classe media a favore dell’élite finanziaria. Magaldi non ama la parola “complotto”, preferisce il termine “progetto”: un piano condotto alla luce del sole, per disarticolare la democrazia sostanziale e sbaraccare i diritti sociali. Ove non bastasse, si è ricorso anche alla guerra e persino al terrorismo, targato prima Al-Qaeda e poi Isis. Oggi abbiamo un’Europa dominata da burattinai come Macron e la Merkel (“socia occulta” di Putin nella superloggia “Golden Eurasia”), che possono essere visti a loro volta come burattini, manovrati dal potere-ombra ora impaurito, che si blinda con Christine Lagarde alla Bce e Ursula von del Leyen alla Commissione Europea, puntando su Draghi per mettere il guinzaglio all’Italia gialloverde.«Fa bene, Antonio Maria Rinaldi, a denunciare i preparativi di quello che chiama “golpe bianco” contro Salvini, ma non so se Draghi accetterà davvero di farsi incastrare a Palazzo Chigi, sorretto da Pd e 5 Stelle: Draghi ambisce al Quirinale, e sa benissimo che si brucerebbe, se dovesse guidare il governo che gli chiedono di fare, incaricato di firmare manovre “lacrime e sangue”». E’ uno schema che si ripete, ricorda Magaldi: riuscì col massone Ciampi, primo ministro e poi presidente della Repubblica. Ritentarono col “fratello” Monti, «ma agli italiani bastò vederlo all’opera: scoprirono presto di quali disastri era capace quello che sembrava un pensoso professore della Bocconi». Ecco perché il “venerabile” Draghi non ha nessuna voglia di essere paracadutato a Palazzo Chigi, almeno secondo Magaldi. «Peraltro, una simile sciagura sarebbe paradossalmente una fortuna: tutti finalmente capirebbero chi è davvero, Mario Draghi. Sarebbe la fine dell’quivoco, e anche delle speranze di Draghi di ascendere un giorno al Quirinale, dopo Mattarella. Il fatto è che il primo a saperlo è proprio “Super-Mario”, uomo accorto e navigatissimo».Come andrà a finire? Impossibile dirlo, perdurando la rissa quotidiana tra Conte, Salvini e Di Maio. Pessimi, i 5 Stelle: «Sono stati decisivi nel far nominare alla guida della Commissione la von der Leyen, cioè il peggior candidato possibile». Certo, aggiunge Magaldi, non ha brillato nemmeno la Lega: «I grillini accusano i leghisti di non aver posto pregiudiziali su nessun candidato, salvo poi bocciare la tedesca in extremis. Una condotta non lineare. Certo, almeno la Lega non l’ha votata, la fedelissima della Merkel. Ma il minimo che ci si poteva aspettare, da parte delle due forze gialloverdi, era che convergessero su un candidato comune, anche solo di bandiera, per rivendicare a testa alta il radicale cambiamento di cui l’Europa ha bisogno». In altre parole, restiamo in alto mare. Ma sarebbe un errore disperarsi: l’élite neoaristocratica, che ora a quanto pare si aggrappa a Mario Draghi per tentare di normalizzare l’Italia, secondo Magaldi in realtà è nei guai. «Hanno deliberatamente impoverito i popoli, con la menzogna del neoliberismo, e ora non sanno come fronteggiare il malcontento dialagante», dice il presidente del Movimento Roosevelt: «Il loro potere nefasto è destinato a tramontare: la gente sta scoprendo chi sono, davvero, gli oligarchi della post-democrazia che ha sabotato le nostre economie spegnendo il futuro».Mario Draghi & friends? Saranno sconfitti dalla storia, perché la gente gli si rivolterà contro. Finora hanno stravinto, a mani basse, rottamando la democrazia. Ma non durerà per sempre: il loro potere sta scricchiolando. Lo dimostra il solo fatto di puntare su Draghi per Palazzo Chigi al posto di Conte, per sfrattare Salvini. «Una scelta debole, che rivela le inquietudini del superpotere europeo, in stato confusionale». Lo afferma con convinzione, Gioele Magaldi, il primo (e unico, per ora) a spiegare chi è veramente il banchiere europeo, che a differenza di Bruno Amoroso e Nino Galloni tradì la lezione keynesiana del maestro, Federico Caffè, per passare armi e bagagli alla concorrenza, svendendo il paese (con le privatizzazioni selvagge) all’oligarchia finanziaria che, dal Britannia in poi, ha imposto il globalismo neoliberista e neo-feudale. Ha ancora incredibilmente buona stampa, Draghi, presentato dai media come una specie di salvatore dell’euro e paladino dell’Italia. «Ridicolo: Draghi non ha mosso un dito, in questi anni, per impegnare la Bce nello spegnere l’incendio dello spread. Anzi: ha atteso che paesi come la Grecia e l’Italia venissero ricattati, per subire il regime di austerity, permettendo a svariati soggetti di lucrare denaro speculando sulla crisi. Solo a cose fatte è finalmente intervenuto, legittimando in tal modo il feroce commissariamento».
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La Francia respinge migranti imbrogliando la polizia italiana
Le procedure sono procedure. E se un paese amico fa la cose per bene, non ci sarebbe motivo di dubitarne. Tuttavia i saggi sanno che in politica fidarsi è bene, ma non farlo è pure meglio. Anche se di mezzo c’è la Francia. Già, perché a quanto pare pur di respingere quanti più migranti possibili in Italia, i nostri cugini non si fanno problemi ad aggirare le norme o a taroccare i documenti. Dal lontano 2015 Parigi gestisce una sorta di “muro invisibile” al confine tra Ventimiglia e Mentone. Solo negli ultimi dodici mesi ha rispedito nel Belpaese qualcosa come 18.125 immigrati. E ogni giorno continua a mettere in atto riammissioni e respingimenti facendo leva sulla sospensione dell’accordo di Schengen prorogata (nel silenzio dell’Ue) ben oltre il limite dei due anni. Niente di assurdo, per carità. Anzi: la Francia fa quello che – a giudicare dalle elezioni – anche gli italiani desiderano. Ovvero sbarrare i luoghi d’ingresso ai clandestini. Solo che mentre i “porti chiusi” di Salvini indignano l’Europa intera, nessuno s’infiamma per le saracinesche calate da Macron o per i trucchetti della polizia d’Oltralpe.Vediamo cosa accade. Quando Parigi trova un irregolare alla frontiera può “respingerlo” in Italia. Si tratta di una procedura molto rapida: i gendarmi pizzicano i clandestini sui treni e li portano a Ponte San Luigi. Qui li trattengono in container senza cibo né acqua, gli danno un foglio chiamato “refus d’entré” e poi li rimandano indietro. Tutto nella norma. O quasi. L’obiettivo della polizia francese, infatti, è quello di cacciare oltre confine i migranti prima possibile. E per riuscirci svolgono le pratiche in maniera più che sbrigativa, a volte calpestando i diritti degli stranieri. Facciamo qualche esempio. Per identificare gli immigrati si basano su un paio di domande su nome, cognome ed età senza approfondire le indagini. E se fosse un profugo? Se fosse in fuga dalla guerra? Pace. E ancora: i “refus d’entré” dovrebbero essere firmati dagli agenti specificando nome e grado, ma in quasi tutti i documenti appaiono solo scarabocchi e poco più. Infine, molti migranti hanno denunciato l’impossibilità di presentare richiesta di asilo: i poliziotti li ignorerebbero, evitando così di doversi far carico della domanda di protezione. Bel vantaggio.«Alla maggior parte delle persone – spiega Emilie Pesselier, di Anafè – viene solo consegnato il “refus d’entre” e vengono rimandate in Italia». Di aneddoti su espedienti poco ortodossi ne esistono a bizzeffe. Capita pure che fermino gli stranieri ben oltre la frontiera e, violando gli accordi, provino a rispedirli a Ventimiglia. Le norme affermano che per giustificare il respingimento debbano beccare il clandestino al confine e presentare una “prova” della sua provenienza dall’Italia. Cosa fanno invece i transalpini? «A volte prendono un biglietto del treno Venitimiglia-Mentone e lo danno in mano al migrante», ci rivela un poliziotto italiano impegnato al confine. Poi ovviamente i nostri agenti domandano loro se sono davvero stati presi sul convoglio (come scritto sui documenti francesi) e «rispondono che erano già a Marsiglia». Cioè a tre ore d’auto dalla frontiera. Un piccolo trucco con cui «si stanno ripulendo la Francia». A discapito del Belpaese.L’inventiva francese non ha limiti. «Quando ci presentano i documenti – aggiunge il poliziotto – sui fogli scrivono nome, cognome, data di nascita e provenienza del migrante. Ma spesso li compilano loro stessi». Sui “refus d’entré” gli agenti nostrani trovano «nomi o storie inventate» e «minori che diventano maggiorenni» per magia. L’artificio dei finti over 18 è stato per lungo tempo motivo di scontro: «Su quelli palesemente minori dicono: “Ha dichiarato di essere maggiorenne”. Ma poi quando verifichiamo le impronte digitali scopriamo che non ha 18 anni». A quel punto la polizia li riporta in Francia e i gendarmi “fanno gli stupidi”. «Ci dicono: “Ah, scusami, non me ne ero accorto”. Insomma, “ci provano”».Secondo il regolamento di Dublino, i minori non accompagnati non potrebbero essere respinti. E così per evitare di farsene carico, nel tempo Parigi ne ha inventate di ogni: alcuni sono stati rimessi direttamente sul treno per Ventimiglia senza passare dagli uffici, altri sono stati “affidati” ad altri migranti maggiorenni anche se non erano parenti. E si sono verificate pure modifiche arbitrarie alle date di nascita pur di farli risultare maggiorenni. «Diverse missioni di osservazione – si legge nel rapporto di Anafé – hanno trovato prove del fatto che il cambio della data di nascita sarebbe avvenuta allo scopo di ingannare la polizia italiana». Non proprio quella che si può definire “correttezza istituzionale”. Perché respingere i clandestini sarà pure un diritto. Ma taroccare le carte no.(Giuseppe De Lorenzo e Costanza Tosi, “La Francia falsifica i documenti per rimandare i migranti in Italia”, dal “Giornale” del 20 luglio 2019).Le procedure sono procedure. E se un paese amico fa la cose per bene, non ci sarebbe motivo di dubitarne. Tuttavia i saggi sanno che in politica fidarsi è bene, ma non farlo è pure meglio. Anche se di mezzo c’è la Francia. Già, perché a quanto pare pur di respingere quanti più migranti possibili in Italia, i nostri cugini non si fanno problemi ad aggirare le norme o a taroccare i documenti. Dal lontano 2015 Parigi gestisce una sorta di “muro invisibile” al confine tra Ventimiglia e Mentone. Solo negli ultimi dodici mesi ha rispedito nel Belpaese qualcosa come 18.125 immigrati. E ogni giorno continua a mettere in atto riammissioni e respingimenti facendo leva sulla sospensione dell’accordo di Schengen prorogata (nel silenzio dell’Ue) ben oltre il limite dei due anni. Niente di assurdo, per carità. Anzi: la Francia fa quello che – a giudicare dalle elezioni – anche gli italiani desiderano. Ovvero sbarrare i luoghi d’ingresso ai clandestini. Solo che mentre i “porti chiusi” di Salvini indignano l’Europa intera, nessuno s’infiamma per le saracinesche calate da Macron o per i trucchetti della polizia d’Oltralpe.