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La Cia è in ascolto: da cellulari, social media e televisori
Wikileaks ha pubblicato quella che sostiene essere la più grossa raccolta di documenti confidenziali sulla Cia, che rivelano le estese capacità di quest’agenzia di mettere sotto controllo gli smartphone e le più diffuse app di social media, come WhatsApp. Un totale di 8.761 documenti sono stati pubblicati all’interno di “Year Zero”, una prima parte di documenti sequestrati che Wikileaks ha definito “Vault 7”. Wikileaks ha dichiarato che “Year Zero” rivela i dettagli di un programma segreto globale di hackeraggio della Cia, che comprende “operazioni armate” contro prodotti come l’iPhone della Apple, Android di Google, Windows di Microsoft e persino i televisori della Samsung [smart-Tv]. Tutti questi sistemi possono essere convertiti e utilizzati come microfoni-spia. Secondo i documenti appena pubblicati, il reparto di telefonia mobile della Cia ha sviluppato svariati strumenti e sistemi che permettono di hackerare i più comuni smartphone, mandando istruzioni perché questi ritrasmettano sia informazioni sulla località in cui si trovano, sia comunicazioni audio e testo. Anche le telecamere e i microfoni degli smartphone possono venire attivati a distanza.Wikileaks ha dichiarato sul proprio sito che «questi strumenti e tecniche permettono alla Cia di controllare a distanza piattaforme di social media come WhatsApp, Signal, Telegram, Wiebo, Confide e Cloackman, prima che venga applicato un metodo di criptazione del messaggio». Il periodo di tempo coperto dai documenti della Cia appena resi pubblici va da 2013 al 2016. Wikileaks si domanda se le capacità di hackeraggio della Cia superino il mandato che le è stato conferito, e pongono il problema di un controllo pubblico sulla agenzia. Julian Assange, il cofondatore di Wikileaks, ha detto che questa massa di documenti mostra il rischio di una proliferazione estrema nello sviluppo delle cosiddette armi cibernetiche. «Il significato di “Year Zero”», ha aggiunto Assange, «va ben oltre la scelta fra cyberguerra e cyberpace. Queste rivelazioni sono anche eccezionali da un punto di vista politico e legale».In particolare, l’analisi di Wikileaks su “Year Zero” ha svelato l’esistenza di “Weeping Angel”, una tecnica di sorveglianza che riesce ad infiltrare le smart-Tv, trasformandole in microfoni attivi. Un attacco contro i televisori della Samsung, in cooperazione con l’Mi5, ha utilizzato “Weeping Angel”, mettendo i televisori in falsa modalità “off”, mentre registrava conversazioni anche quando il televisore sembrava spento. Leggendo la documentazione di “Weeping Angel” si scopre che «è possibile aprire dei portali di ascolto sui servizi utilizzati, oltre che estrarre le credenziali e la history del browser».(“Attenti al cellulare, la Cia vi ascolta”, estratto di un articolo pubblicato da “Russia Today” e tradotto da “Luogo Comune”).Wikileaks ha pubblicato quella che sostiene essere la più grossa raccolta di documenti confidenziali sulla Cia, che rivelano le estese capacità di quest’agenzia di mettere sotto controllo gli smartphone e le più diffuse app di social media, come WhatsApp. Un totale di 8.761 documenti sono stati pubblicati all’interno di “Year Zero”, una prima parte di documenti sequestrati che Wikileaks ha definito “Vault 7”. Wikileaks ha dichiarato che “Year Zero” rivela i dettagli di un programma segreto globale di hackeraggio della Cia, che comprende “operazioni armate” contro prodotti come l’iPhone della Apple, Android di Google, Windows di Microsoft e persino i televisori della Samsung [smart-Tv]. Tutti questi sistemi possono essere convertiti e utilizzati come microfoni-spia. Secondo i documenti appena pubblicati, il reparto di telefonia mobile della Cia ha sviluppato svariati strumenti e sistemi che permettono di hackerare i più comuni smartphone, mandando istruzioni perché questi ritrasmettano sia informazioni sulla località in cui si trovano, sia comunicazioni audio e testo. Anche le telecamere e i microfoni degli smartphone possono venire attivati a distanza.
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Rockefeller: il vero potere al comando, dalla fine di Nixon
Le elezioni esistono ancora, possiamo votare i candidati. A patto di non scordarci che non saranno loro a decidere le cose importanti. Vale per Trump ma era così anche per Obama. L’orribile Nixon provò a fare di testa sua, e la pagò cara: fu travolto dallo scandalo Watergate che spianò la strada a Gerald Ford e soprattutto al suo vice, Nelson Rockefeller, fratello di David. Loro, i Rockefeller, insieme al loro stratega, Zbingiew Brzezinski, da allora non si sarebbero più fermati, dalla “fabbricazione” di Jimmy Carter in poi, fino a Obama e oltre. Lo ricorda Jon Rappoport, prestigioso giornalista americano, candidato al Pulitzer. «Lo Stato-nazione come unità fondamentale della vita organizzata dell’uomo ha cessato di essere la prima forza creativa», affermava Brzezinski nel 1969, quattro anni prima della nascita della Trilateral Commission, fondata da Rockefeller. «Le banche internazionali e le multinazionali stanno agendo e pianificando in termini che sono di gran lunga in anticipo rispetto ai concetti politici degli Stati nazionali». Ammette, nel 2003, lo stesso David Rockefeller: «Se questa è l’accusa, io sono colpevole e sono orgoglioso di esserlo». E cioè: «C’è chi crede che noi siamo parte di una cabala segreta che lavora contro i veri interessi degli Stati Uniti».«Particolarmente la mia famiglia ed io – aggiunge il capostipite della dinastia – veniamo considerati degli “internationalists” e dei cospiratori, insieme ad altri, in giro per il mondo, che vogliono costruire una struttura politica ed economica globale più integrata, “One World”». Pochi, scrive Rappoport in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”, ricordano che ad opporsi agli albori della globalizzazione fu Richard Nixon, «che aveva cominciato a mettere certi dazi su alcune merci importate negli Stati Uniti, per pareggiare il campo di gioco e proteggere le aziende americane». Nixon, beninteso, «sotto altri aspetti era un vero mascalzone», ma in questo caso «uscì fuori dalle righe e in realtà aprì la via ad un movimento che rifiutava la visione globalista del mondo». Era troppo, per il supremo potere: con Ford al suo posto alla Casa Bianca (e Nelson Rockefeller come vice) si ebbe «il segnale che il globalismo e il libero scambio erano di nuovo in pista». Ma David Rockefeller e il suo assistente, Brzezinski, pretendevano di più: «Volevano un loro uomo alla Casa Bianca e volevano che fossero loro stessi a crearlo da zero. Quell’uomo era un contadino che coltivava arachidi e di cui nessuno aveva mai sentito parlare: Jimmy Carter».Grazie al loro network, Rockefeller e Brzezinski misero Carter sotto i riflettori, così il loro uomo vinse la nomination dei democratici nel 1976 e, dopo la débacle del Watergate, «cominciò a mandare in giro smielati messaggi di amore e di “volemose-bene”, e ben presto arrivò allo Studio Ovale». Appena due anni dopo, passò completamente inosservata un’intervista – in realtà illuminante – realizzata dal giornalista Jeremiah Novak, a colloquio con Karl Kaiser e Richard Cooper, due membri della Commissione Trilaterale fondata nel ‘73. Argomento dell’intervista: chi, esattamente, stesse “dettando” la politica degli Usa, sotto Carter. «L’atteggiamento negligente e distratto dei due della Trilaterale è sorprendente», scrive Rappoport: «Kaiser e Cooper è come se stessero dicendo: “Quello che stiamo rivelando è già alla luce del sole, è troppo tardi per fare qualcosa, perché state ancora perdendo tempo con questa storia? Abbiamo già vinto”». Era così, ma Novak non lo sapeva ancora. E’ vero, domanda ai due, che un “ente privato” (quale è la Trialterale), guidato dallo statunitense Henry Owen e composto da rappresentanti anche europei e giapponesi, sta «coordinando lo sviluppo economico e quello politico» dei paesi interessati? Sì, certo, confermano gli intervistati: «Si sono già incontrati tre volte».Ma allora, insiste il reporter, perché la Trilaterale dice di voler restare “informale”? «Questa cosa non fa paura?». Ma no, smorza Kaiser: è solo per non irritare gli europei di fronte al peso, reale, della Germania Ovest. Aggiunge Cooper: «C’è tanta gente che ancora vive in un mondo di nazioni separate, e ci resterebbe male per questo coordinamento della politica». Come dire: gente che crede ancora alle elezioni, ai governi, alla democrazia. Eppure, ribatte Novak, ormai la Trilaterale «è essenziale per tutta la vostra politica». E dunque, domanda, «come potete cercare di mantenerla segreta, rinunciando a ottenere un sostegno popolare» per le decisioni di politica economica stabilite dalla Commissione? Oh, be’, abbozza Cooper: si tratta di “lavorarci su”, utilizzando la stampa, i media. E passi, concede Novak. «Ma perché allora il presidente Carter non ne parla? Perché non dice al popolo americano che il potere economico e politico è coordinato da una Commissione, la Trilaterale, diretta da un comitato composto da sette persone? Dopotutto, se la politica è gestita a livello multinazionale, la gente dovrebbe saperlo». Ribatte Cooper: «Il presidente Carter e il segretario di Stato, Cyrus Vance, ne hanno fatto costantemente riferimento, nei loro discorsi». Già, conferma Kaiser: «E questo non è mai stato considerato un problema».Dov’era, l’opinione pubblica, mentre tutto questo accadeva? Dov’era la stampa, a parte Jeremiah Novak? «Naturalmente – puntualizza Rappoport – benché Kaiser e Cooper avessero detto che tutti già erano a conoscenza delle manipolazioni fatte dal comitato della Commissione Trilaterale, nessuno ne sapeva niente». Nonostante ciò, «la loro intervista è scivolata sotto i radar dei media generalisti che, deve essere detto, la ignorarono e la sotterrarono. Non divenne uno scandalo del livello del Watergate, benché il suo contenuto fosse ben più scandaloso del Watergate». In realtà avevano “già vinto”: «La gestione della politica e dell’economia Usa era guidata da un comitato della Commissione Trilaterale, creata nel 1973 come “gruppo informale di discussione” da David Rockefeller e dalla sua longa manus, Brzezinski, che divenne poi il “national security advisor” di Jimmy Carter». All’indomani della vittoria alle presidenziali, il braccio destro di Carter, Hamilton Jordan, disse: se Vance e Brzezinski entrassero nella squadra del presidente, io me ne andrei, perché avrei perso. Jordan (che poi però non si dimise) vedeva la Trilaterale come una minaccia: avrebbe messo la Casa Bianca sotto controllo, in barba agli elettori americani.Sono scene che da allora si ripetono, racconta Rappoport: lo stesso Brzezinski, nel 2008, ricomparve come “tutor” di Barack Obama, presentato ufficialmente come outsider assoluto. Nel tempo, il peso della Trilaterale è cresciuto esponenzialmente: il saggista Patrick Wood fa presente che oggi sono ben 87 i membri Commissione che vivono in America. E Obama, aggiunge Rappoport, ne ha nominati 11 in cariche di primissimo piano: per esempio Tim Geithner al Tesoro, James Jones alla sicurezza nazionale, il super-falco neocon Paul Volker all’economia e Dennis Blair alla direzione della National Intelligence. Un altro veterano della Trilaterale, Michael Froman, è stato piazzato sempre da Obama come rappresentante per il commercio, portavoce degli Usa per il trattato globalista Tpp, Trans-Pacific Partnership. Sono uomini che «non vengono messi lì per caso, devono eseguire un ordine del giorno specifico». Donald Trump oggi ripudia quel trattato, ma – avverte Patrick Wood – ha già preso a bordo un esponente della Trilaterale, Kenneth Juster, come vice-assistente presidenziale per gli affari economici internazionali. «I compiti assegnati a Juster lo porteranno nel cuore dei negoziati ad alto livello con governi esteri sulla politica economica», conferma Rappoport. «Vediamo se sarà veramente in linea con le posizioni dichiaratamente anti-globaliste di Trump». Come dire: puoi battere Hillary Clinton, ma non i signori della Trilateral Commission. Quelli vincono sempre, comunque.Le elezioni esistono ancora, possiamo votare i candidati. A patto di non scordarci che non saranno loro a decidere le cose importanti. Vale per Trump ma era così anche per Obama. L’orribile Nixon provò a fare di testa sua, e la pagò cara: fu travolto dallo scandalo Watergate che spianò la strada a Gerald Ford e soprattutto al suo vice, Nelson Rockefeller, fratello di David. Loro, i Rockefeller, insieme al loro stratega, Zbingiew Brzezinski, da allora non si sarebbero più fermati, dalla “fabbricazione” di Jimmy Carter in poi, fino a Obama e oltre. Lo ricorda Jon Rappoport, prestigioso giornalista americano, candidato al Pulitzer. «Lo Stato-nazione come unità fondamentale della vita organizzata dell’uomo ha cessato di essere la prima forza creativa», affermava Brzezinski nel 1969, quattro anni prima della nascita della Trilateral Commission, fondata da Rockefeller. «Le banche internazionali e le multinazionali stanno agendo e pianificando in termini che sono di gran lunga in anticipo rispetto ai concetti politici degli Stati nazionali». Ammette, nel 2003, lo stesso David Rockefeller: «Se questa è l’accusa, io sono colpevole e sono orgoglioso di esserlo». E cioè: «C’è chi crede che noi siamo parte di una cabala segreta che lavora contro i veri interessi degli Stati Uniti».
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Zurlini: quelli che cercano i super-poteri nella New Age
Il fenomeno della New Age ci ha portati nel mondo dei chakra, della kundalini, della meditazione, della respirazione forzata, delle iniziazioni a pagamento ed ha alimentato, con l’esaltazione della “tecnica” da imparare in seminari di un giorno in grandi auditorium, il desiderio di “saltare i gradini” per acquisire i poteri sulla materia. Ha presentato ai curiosi e ai ricercatori, la “Via Veloce del Potere” e dell’Energia da manipolare a piacimento, partendo da una base egoistica. In altre parole, ha presentato la possibilità di acquisire Potere personale, senza gli altri due punti del triangolo basilare della Vita Universale: l’Amore e l’Intelligenza. Praticare tecniche fisiche o mentali per accelerare la realizzazione dei propri desideri, permette un grande afflusso di energia sul Plesso Solare, il Centro Sacrale, il Cuore e la Gola. Questo prova congestioni, problemi fisici e psichici. Anche se molti partono da “buone intenzioni”, quest’ultime non bastano. L’energia è neutra e non guarda le intenzioni di partenza, ma espande quello che trova! Le fasi alchemiche di trasformazione di sé richiedono pazienza e anni di lungo e lento lavoro, quelli che vogliono tutto e subito rischiano di bruciare tutto e rovinare la “cottura”…All’inizio non ci si accorge di questi “errori spirituali”, poi pian piano si avverte di essere sotto l’effetto di forze fisiche, emotive e mentali che hanno aumentato gli impulsi sessuali, hanno aumentato l’irascibilità, la separatività, la critica continua verso chi pratica forme diverse di ricerca spirituale, l’egoismo, l’insensibilità verso gli eventi negativi (esempio: “questo evento negativo accaduto a queste persone non mi tocca per niente, perché è il loro karma negativo che li sta punendo”), oppure l’indifferenza verso i bisogni degli altri, nonostante i mantra, gli esercizi di risveglio e le tecniche utilizzate per attrarre a sé il partner e la macchina nuova, si rimane ancora fondamentalmente egoisti, separativi e con il “cuore chiuso”. Ci sono persone che dopo dieci anni di meditazioni sono diventate peggio di prima, poiché non avendo seguito un solo percorso, hanno mescolato (senza uso del discernimento e la saggezza di una Guida dal cuore puro) fra di loro diverse energie creando ingorghi e blocchi energetici. Questo non aiuta l’umanità a prendere fiducia e iniziare un cammino di risveglio su scala più ampia, ma permette all’opinione pubblica di aumentare la separazione e il giudizio, creando maggiore conflitto tra materialità e spiritualità.I grandi problemi dei Movimenti Spirituali, delle Scuole Esoteriche, delle Chiese e della moltitudine di insegnanti e guide spirituali, sono sempre stati la coerenza e l’esempio. Il fatto, cioè, della contraddizione tra il parlato e il vissuto. Perché questo? Perché noi stiamo vivendo in un periodo storico in cui lo “spirituale” sta emergendo sempre più potentemente come reazione al materialismo dilagante. Molti quindi si dedicano allo spirituale e all’esoterismo, entrano in scuole e movimenti vari. Perché lo fanno? Alcuni perché sono in crisi esistenziale e pensano di risolverla col Divino e con le tecniche spirituali. Quindi per sollievo. Altri perché hanno paura del mondo e dunque si ritirano in luoghi appartati, comunitari, eco-villaggi, ecc. Altri ancora perché hanno bisogno di lavorare e di affermarsi e trovano nello “spirituale” un terreno molto fertile. Si guadagna bene e possono dispensare consigli di vita e promesse miracolose di illuminazione a tutti gli inconsapevoli. Così fanno del male a se stessi e anche agli altri, rovinando la credibilità di Scuole, Movimenti, Insegnanti e Guide.Sono pochi purtroppo quelli che nello Spirituale riconoscono se stessi come strumenti di servizio verso l’umanità e la Natura. Proprio questa è stata la crisi delle Religioni, delle Scuole e dei Movimenti Spirituali: la mancanza di credibilità. Perché, a parole, tutti dicono frasi molto belle e meravigliose ma poi nei fatti si comportano all’opposto perché non sono pronti al servizio, nel quale si deve dimenticare se stessi per cercare di aiutare gli altri ad evolvere. Molti hanno ancora bisogno di affermare se stessi e di compiere la loro esperienza nell’ego e nella personalità. Anche se l’Anima fa sentire la sua voce e chiama il suo discepolo, egli è ancora perso nel successo e nell’auto realizzazione attraverso lo spirituale. Bisogna porre attenzione a quel mondo dell’energia che è stato presentato in modo estremo e parossistico, tipicamente infantile e adolescenziale (es. l’apertura dei chakra a tutte le ore, le attivazioni di codici numerici a pagamento, “pulizia del karma” con una passata della mano, magliette che trasformano l’aura, canalizzazioni di ogni tipo con angeli, santi, morti, ecc.).Il Sentiero Spirituale è un’esperienza di Magia e Alchimia, di Osservazione lenta e paziente nella conoscenza di se stessi, di lavoro profondo sul dolore del proprio sistema familiare, di manipolazione di energia psichica e spirituale fatta in modo totalmente consapevole e ordinato. E soprattutto non è un processo veloce (dove basta la lettura di un paio di libri) per imparare l’arte. Il primo passo, basilare e fondamentale è la “purificazione” dei corpi. Solo questo protegge l’individuo dalla forza che sta muovendo. Nelle antiche Scuole non si permetteva mai di meditare quando l’Aspirante aveva una bassa vitalità, emozioni ancora negative o pensieri di critica e separazione perché, come abbiamo detto prima, la meditazione rafforza quello che trova! Prima occorre purificare i veicoli con vari esercizi fisici, emotivi e mentali, bisogna radicare una visione elevata nel cuore e nella mente dell’aspirante, insegnandogli ad alimentarsi senza intossicarsi. A relazionarsi con gli altri senza intossicarsi. A lavorare quotidianamente senza farsi depredare dal lavoro stesso. Ci sono persone che mangiano al ristorante (carne e formaggi) fino alle metà pomeriggio, e con il corpo pieno di cibo (e tossine), di sera, fanno la loro meditazione e la loro pratica spirituale! Questa è follia pura.Studiare e leggere, meditare, volere educare se stessi e l’ego a sviluppare la comprensione amorevole, la consapevolezza di sé, il perdono e la gioia, tenendo però il tutto solo sul piano mentale, senza azione, crea una congestione energetica. Se sul piano dell’azione, quello quotidiano e ordinario, con la propria famiglia, datori di lavoro, colleghi, amici e partner, si esprimono solo le forze della personalità, quelle ordinarie e conformi alla norma della massa, questo fa sbagliare strada e ritarda notevolmente il progresso sul Sentiero Evolutivo. In ultimo, ma non per complicare le cose, ma solo per esigenza di totale chiarezza: il Sentiero Spirituale non è mai repressivo, chiuso, forzato, bensì spontaneo, fatto di entusiasmo e gioia. Se c’è tristezza, eccessivo rigore, incapacità a sorridere di sé, freddezza, critica verso tutti gli altri movimenti spirituali e insegnanti, separatività e mancanza di collaborazione col “diverso da sé”, allora è bene riflettere: si sta sbagliando qualcosa! Che il fuoco del discernimento di questo scritto possa essere utile ai cercatori della verità sugli errori da evitare e la strada da percorrere al meglio.(Andrea Zurlini, “Le trappole sul sentiero spirituale”, dal blog di Zurlini del 18 dicembre 2016).Il fenomeno della New Age ci ha portati nel mondo dei chakra, della kundalini, della meditazione, della respirazione forzata, delle iniziazioni a pagamento ed ha alimentato, con l’esaltazione della “tecnica” da imparare in seminari di un giorno in grandi auditorium, il desiderio di “saltare i gradini” per acquisire i poteri sulla materia. Ha presentato ai curiosi e ai ricercatori, la “Via Veloce del Potere” e dell’Energia da manipolare a piacimento, partendo da una base egoistica. In altre parole, ha presentato la possibilità di acquisire Potere personale, senza gli altri due punti del triangolo basilare della Vita Universale: l’Amore e l’Intelligenza. Praticare tecniche fisiche o mentali per accelerare la realizzazione dei propri desideri, permette un grande afflusso di energia sul Plesso Solare, il Centro Sacrale, il Cuore e la Gola. Questo prova congestioni, problemi fisici e psichici. Anche se molti partono da “buone intenzioni”, quest’ultime non bastano. L’energia è neutra e non guarda le intenzioni di partenza, ma espande quello che trova! Le fasi alchemiche di trasformazione di sé richiedono pazienza e anni di lungo e lento lavoro, quelli che vogliono tutto e subito rischiano di bruciare tutto e rovinare la “cottura”…
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Siberia: quel cratere aperto dal meteorite, pieno di diamanti
E’ rimasto segreto per anni. Eppure un buco di circa 100 chilometri di diametro, creato da un asteroide precipitato 35 milioni di anni fa, è il più grande giacimento di diamanti presente sulla Terra, nonché uno dei posti più inquietanti, scrive Noemi Penna sulla “Stampa”, in un servizio che presenta immagini che «sembrano esser state scattate su un pianeta alieno». Siamo a Popigai, nella Siberia orientale, a 400 chilometri dal primo centro abitato e a un’ora e mezza di elicottero dall’aeroporto di Khatanga. «Questa miniera è stata gelosamente nascosta dai russi per oltre 40 anni. E’ stata infatti scoperta all’inizio degli anni ‘70 ma è stata subito etichettata come “top secret”: durante la guerra fredda l’Unione Sovietica la considerava una “riserva strategica” e solo nel settembre del 2012 la Russia ha ufficialmente dichiarato l’esistenza di questo giacimento inestimabile». Negli anni si sono susseguite numerose spedizioni, ben prima della “ufficializzazione” e dalla “riscoperta” avvenuta nel 2009. I ricercatori dell’Istituto di geologia di Novosibirsk hanno certificato che il cratere contiene trilioni di carati, ovvero centinaia di migliaia di tonnellate: là sotto ci sono abbastanza diamanti da sopperire alle richieste globali per tremila anni.«Non stiamo parlando però di diamanti “tradizionali”: queste pietre preziose risultano infatti due volte più dure rispetto alle altre, hanno una forma tabulare con striature di colore grigio, blu o giallo e vengono definite “da impatto”», scrive Penna. «Si pensa infatti che siano state prodotte dall’onda d’urto dell’asteroide – che aveva un diametro compreso tra 5 e i 7 chilometri – su un grande deposito di grafite siberiano». La pressione d’urto avrebbe in sostanza trasformato la grafite presente nel terreno in diamanti, in un raggio di 13,6 chilometri dal punto d’impatto. «Questo ha fatto sì che il cratere di Popigai custodisca al suo interno una quantità di diamanti almeno 10 volte superiore di tutti i giacimenti presenti sul nostro pianeta finora scoperti». L’enorme cratere siberiano, che «sembra un paeaggio alieno segreto», è il settimo per dimensioni sulla Terra e, ricorda la “Stampa”, è stato designato dall’Unesco come parco geologico. Ma come si è formato, in realtà?Secondo Richard April, professore di geologia all’università di Hamilton, New York, ci sono due spiegazioni principali per la formazione dei cosiddetti “diamanti da impatto”, che si trovano in piccole quantità nei siti dell’impatto da meteorite in tutto il mondo. Una possibilità, scrive “Gaia News”, è che un meteorite cada in una zona ricca di qualche forma di carbonio, come i resti degli organismi viventi: le alte pressioni e le temperature generate dalla collisione sarebbero sufficienti a trasformare il carbonio terrestre in diamante. In un secondo scenario, invece, il carbonio arriva all’interno del meteorite e, allo stesso momento dell’impatto, si fonde trasformandosi in diamanti che si disperdono nel terreno. Secondo April però, nessuno dei due scenari potrebbe creare il numero di diamanti di cui parlano gli scienziati russi. C’è una terza possibilità che, secondo April, che potrebbe spiegare la formazione di così tanti diamanti extraduri nel cratere: è concepibile che il meteorite si sia infilato, come una palla da golf in buca, in un campo di diamanti preesistente. Uno dei “tubi vulcanici di kimberlite”, presenti in Siberia. «E’ possibile che i diamanti si siano ricristallizzati alle alte temperature; questo potrebbe anche spiegare il fatto che ci sono così tanti diamanti». Ma sarebbe la prima volta che gli scienziati assistono ad un fatto di tale portata.E’ rimasto segreto per anni. Eppure un buco di circa 100 chilometri di diametro, creato da un asteroide precipitato 35 milioni di anni fa, è il più grande giacimento di diamanti presente sulla Terra, nonché uno dei posti più inquietanti, scrive Noemi Penna sulla “Stampa”, in un servizio che presenta immagini che «sembrano esser state scattate su un pianeta alieno». Siamo a Popigai, nella Siberia orientale, a 400 chilometri dal primo centro abitato e a un’ora e mezza di elicottero dall’aeroporto di Khatanga. «Questa miniera è stata gelosamente nascosta dai russi per oltre 40 anni. E’ stata infatti scoperta all’inizio degli anni ‘70 ma è stata subito etichettata come “top secret”: durante la guerra fredda l’Unione Sovietica la considerava una “riserva strategica” e solo nel settembre del 2012 la Russia ha ufficialmente dichiarato l’esistenza di questo giacimento inestimabile». Negli anni si sono susseguite numerose spedizioni, ben prima della “ufficializzazione” e dalla “riscoperta” avvenuta nel 2009. I ricercatori dell’Istituto di geologia di Novosibirsk hanno certificato che il cratere contiene trilioni di carati, ovvero centinaia di migliaia di tonnellate: là sotto ci sono abbastanza diamanti da sopperire alle richieste globali per tremila anni.
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Il Def 2018: aumentare l’Iva o svendere Trenitalia e Poste
Aumentare l’Iva, o cedere altre quote di Trenitalia e Poste Italiane, attraverso privatizzazioni-svendita per placare Bruxelles e arginare il debito pubblico. «Dimenticate per un attimo la scaramuccia fra Roma e Bruxelles sulla correzione dei conti da tre miliardi attesa entro fine aprile. Le probabilità che l’Italia vada al voto prima del 2018 sono ormai prossime allo zero. Ciò permette a Gentiloni di allungare lo sguardo oltre quello che nella Prima Repubblica chiamavano l’orizzonte balneare», scrive Alessandro Barbera sulla “Stampa”, alludendo alle riunioni in corso a Palazzo Chigi sulla manovra per il 2018, che si annuncia una super-stangata. Bruxelles attende entro il 10 aprile il testo del Def, il Documento di economia e finanza, di fatto la bozza della legge di bilancio per l’autunno. «Oggi le procedure europee rafforzate impongono che quei numeri siano scritti con coerenza e realismo». Insieme a Gentiloni, se occupano i ministri Pier Carlo Padoan e Carlo Calenda, «il trio che ha preso le redini del governo dopo l’uscita di scena di Renzi». Punto di partenza: una clausola di salvaguardia da quasi 20 miliardi di euro, pari ad un aumento dell’ultima aliquota Iva al 25% per cento dal 1° gennaio.«A Bruxelles sono perfettamente consapevoli delle conseguenze potenzialmente devastanti di un simile aumento delle tasse sulla crescita italiana, così come lo sarebbe un taglio alle spese della stessa entità», scrive Barbera sulla “Stampa”, in un articolo ripreso da “Dagospia”. «Nelle trattative già avviate fra Roma e Bruxelles si ragiona già su un compromesso per dimezzare quel pesante fardello». Nei piani europei, l’Italia avrebbe dovuto far scendere il deficit di quest’anno all’1,8%, e poi all’1,2 nel 2018. Quest’anno si è fermato al 2,3%, ma la correzione chiesta entro aprile da Bruxelles dovrebbe far ridiscendere l’asticella al 2,1. «Se la trattativa andrà in porto, il Def per il 2018 potrebbe indicare un deficit fra l’1,9 e il 2%, sette-otto decimali sopra gli attuali obiettivi ma in ogni caso in una traiettoria ancora discendente». Per l’Italia, significherebbe uno “sconto” di circa 10-11 miliardi di euro. «Ciò non significa che la manovra per il 2018 non sarà impegnativa», avverte Barbera. «La finestra di opportunità spalancata due anni fa da Mario Draghi con il piano di acquisto titoli della Bce si sta lentamente chiudendo: l’inflazione sta salendo, e con essa la pressione tedesca perché viri la rotta della politica monetaria».Il Def ne prenderà atto, prevedendo per il 2018 l’inizio del “tapering” da parte di Francoforte; la conseguenza sarà un aumento dei rendimenti sui titoli pubblici e della spesa per onorare il debito. «Se l’azionista di maggioranza del governo – ovvero Renzi – insisterà nel dire no ad un aumento anche solo lieve dell’Iva (al Tesoro da tempo accarezzano l’ipotesi di ritoccarla di un punto), dovrà accettare una forte riduzione della spesa pubblica nell’ordine di qualche miliardo di euro». La questione che più preoccupa Bruxelles, conclude “La Stampa”, resta la sostenibilità del debito italiano: «Per questo, il Def prometterà anche quest’anno una lieve riduzione dello stock da finanziare con i proventi da privatizzazioni: su tutte Trenitalia e una nuova tranche di Poste. Quelle privatizzazioni che ormai trovano l’aperto dissenso di esponenti e ministri Pd», anche rappresentano un altro duro colpo al futuro del paese, costretto a tagliare su tutto a causa del rigore imposto dal regime monetario dell’euro.Aumentare l’Iva, o cedere altre quote di Trenitalia e Poste Italiane, attraverso privatizzazioni-svendita per placare Bruxelles e arginare il debito pubblico. «Dimenticate per un attimo la scaramuccia fra Roma e Bruxelles sulla correzione dei conti da tre miliardi attesa entro fine aprile. Le probabilità che l’Italia vada al voto prima del 2018 sono ormai prossime allo zero. Ciò permette a Gentiloni di allungare lo sguardo oltre quello che nella Prima Repubblica chiamavano l’orizzonte balneare», scrive Alessandro Barbera sulla “Stampa”, alludendo alle riunioni in corso a Palazzo Chigi sulla manovra per il 2018, che si annuncia una super-stangata. Bruxelles attende entro il 10 aprile il testo del Def, il Documento di economia e finanza, di fatto la bozza della legge di bilancio per l’autunno. «Oggi le procedure europee rafforzate impongono che quei numeri siano scritti con coerenza e realismo». Insieme a Gentiloni, se occupano i ministri Pier Carlo Padoan e Carlo Calenda, «il trio che ha preso le redini del governo dopo l’uscita di scena di Renzi». Punto di partenza: una clausola di salvaguardia da quasi 20 miliardi di euro, pari ad un aumento dell’ultima aliquota Iva al 25% per cento dal 1° gennaio.
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De Benedetti: entro 5 anni l’Unione Europea sarà morta
Per farsi un’idea dell’incertezza che aleggia sul destino dell’Unione Europea, basta leggere il “libro bianco” di Jean-Claude Juncker riguardo il futuro dell’Europa. Mercoledì questo documento del presidente della Commissione Europea è stato reso pubblico, e conteneva addirittura cinque possibili scenari per l’evoluzione dell’Ue da qui al 2025: “tirare avanti”, “nient’altro che il mercato unico”, “quelli che vogliono fare di più fanno di più”, “fare meno in maniera più efficiente” e “fare molto di più insieme”. La vaghezza e genericità del “libro bianco” è comprensibile. Mentre si avvicinano le elezioni in Olanda, Bulgaria, Francia, Germania e in Repubblica Ceca, non c’è praticamente nessun governo che abbia voglia di seguire le ambiziose iniziative di Juncker. Tuttavia, i governi si rendono conto che l’Europa sta creando rischi al mondo intero in una maniera che non si era più verificata dalla fine della guerra fredda negli anni 1989-91. Gli strateghi di politica estera a Berlino, Parigi e nelle altre capitali stanno rivedendo le loro posizioni a lungo condivise sull’inevitabilità dell’integrazione europea e la stabilità dell’alleanza Europa-Usa nell’ambito della sicurezza.L’Europa “a più velocità”, che incoraggia alcuni paesi a integrarsi più velocemente di altri, è tornata di moda. Questa idea, attraente in special modo per alcune parti dell’Europa occidentale, ha ricevuto sostegno da Jean-Marc Ayrault e Sigmar Gabriel, i ministri degli esteri di Francia e Germania. Un’altra idea è di aumentare la collaborazione nella difesa, in modo che in questo campo l’Ue diventi per gli Stati Uniti un partner più credibile. Al di là di queste proposte relativamente prudenti, alcuni responsabili politici e analisti indipendenti stanno pensando l’impensabile. Un esempio è il report di MacroGeo, una società di consulenza presieduta da Carlo De Benedetti, un veterano della comunità imprenditoriale italiana. Il report “L’Europa al tempo di Trump e della Brexit: disintegrazione e riorganizzazione”, arriva a conclusioni coraggiose. Afferma che l’Ue nella sua forma attuale con ogni probabilità va incontro alla decomposizione, anche se dovessero vincere le elezioni di quest’anno politici pro-integrazione come Emmanuel Macron, il centrista indipendente francese, e Martin Schulz, il socialdemocratico tedesco.«Per il ciclo elettorale 2021-22, l’Ue potrebbe entrare negli ultimi cinque anni della sua ‘reale’ esistenza», dice il report, che considera che le strutture legali formali dell’Unione con sede a Bruxelles potrebbero resistere più a lungo. Il report sostiene che, al di là di shock quali il voto britannico per l’uscita dall’Ue, i trend geopolitici di lungo termine stanno portando l’unione valutaria all’atrofia. Ai confini orientali e meridionali dell’Unione si affacciano molti problemi: l’immigrazione clandestina, Stati prossimi al fallimento, terrorismo, cambiamenti climatici e revisionismo russo. Nel frattempo, gli Stati Uniti si stanno lentamente disimpegnando dall’Europa per focalizzarsi sulla Cina e l’estremo oriente. La Germania non occuperà il posto degli Stati Uniti come potenza egemone di riferimento per l’Europa: non lascerà mai che l’eurozona diventi una “unione di trasferimenti fiscali” e, nonostante le speculazioni riguardo a un deterrente nucleare tedesco, il suo passato nel ventesimo secolo dice chiaramente che né la Germania né i suoi vicini vogliono che essa diventi la potenza militare dominante dell’Europa.La disintegrazione dell’Ue scatenerebbe «i pericolosi demoni nazionalistici del passato europeo», come teme Guy Verhofstadt, ex primo ministro belga? Gli autori del report di MacroGeo prevedono che non si avrà un’anarchica competizione tra gli Stati-nazione, bensì «l’affermazione di un nucleo centrale geoeconomico intorno alla Germania». Questo sarebbe formato dalla Germania e dai paesi che ne costituiscono la filiera industriale, cui si addice la cultura fiscale e monetaria tedesca. In maniera disarmante, gli autori suggeriscono che, «se l’Italia dovesse dividersi», l’Italia del Nord potrebbe unirsi al gruppo formato da Olanda, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e alcuni paesi scandinavi. Questa evoluzione presuppone la disgregazione dell’Eurozona a 19 paesi. I ministri delle finanze e i banchieri centrali europei ci ripetono che questo passo sarebbe devastante per le economie europee e per la stabilità finanziaria globale.Tuttavia, questa prospettiva è in discussione, e non solo nei circoli del partito di estrema destra francese, il Front National, o nel partito anti-estabilishment italiano M5S. Mediobanca, una banca d’investimenti che una volta era l’emblema del capitalismo del nord Italia, a gennaio ha pubblicato un rapporto controverso in cui suggeriva che, in termini di debito pubblico, l’Italia non soffrirebbe particolarmente lasciando l’Eurozona. Il mese scorso il Parlamento olandese ha votato per l’istituzione di una commissione d’inchiesta sui pro e contro dell’appartenenza olandese all’Eurozona, una mossa che riflette la frustrazione nei confronti della politica di tassi ultra-bassi e del programma Qe della Banca Centrale Europea. Nel valutare il futuro dell’Europa, questi sviluppi vanno presi attentamente in considerazione – forse più attentamente del “libro bianco” di Juncker.(Tony Barber, “L’Europa inizia a pensare l’impensabile, smantellare l’Eurozona”, dal “Financial Times” del 3 marzo 2017, articolo tradotto e ripreso da “Voci dall’Estero”).Per farsi un’idea dell’incertezza che aleggia sul destino dell’Unione Europea, basta leggere il “libro bianco” di Jean-Claude Juncker riguardo il futuro dell’Europa. Mercoledì questo documento del presidente della Commissione Europea è stato reso pubblico, e conteneva addirittura cinque possibili scenari per l’evoluzione dell’Ue da qui al 2025: “tirare avanti”, “nient’altro che il mercato unico”, “quelli che vogliono fare di più fanno di più”, “fare meno in maniera più efficiente” e “fare molto di più insieme”. La vaghezza e genericità del “libro bianco” è comprensibile. Mentre si avvicinano le elezioni in Olanda, Bulgaria, Francia, Germania e in Repubblica Ceca, non c’è praticamente nessun governo che abbia voglia di seguire le ambiziose iniziative di Juncker. Tuttavia, i governi si rendono conto che l’Europa sta creando rischi al mondo intero in una maniera che non si era più verificata dalla fine della guerra fredda negli anni 1989-91. Gli strateghi di politica estera a Berlino, Parigi e nelle altre capitali stanno rivedendo le loro posizioni a lungo condivise sull’inevitabilità dell’integrazione europea e la stabilità dell’alleanza Europa-Usa nell’ambito della sicurezza.
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Il bluff degli 80 euro, 2 milioni di italiani li devono restituire
Flop 80 euro. Quasi un milione di italiani, tra i 12 milioni che hanno ricevuto il “bonus” renziano, lo hanno dovuto restituire integralmente. Altri 765.000 cittadini, invece, lo hanno dovuto restituire solo in parte. Ecco i dati ufficiali appena pubblicati dal dipartimento delle finanze del ministero dell’economia. Ed è già bufera. Di nuovo. Matteo Renzi la definisce ancora sul suo blog come «la più grande opera di redistribuzione salariale mai fatta in Italia». Ma i media parlano di “flop 80 euro” e taluni non esitano ad apostrofarla “mancetta elettorale”. In qualunque modo la si voglia chiamare, però, la manovra renziana è stata un fallimento de facto. In primis perché doveva servire a rilanciare i consumi nazionali sostenendo l’economia reale e coadiuvando la ripresa. E questo non è avvenuto. Poi perché per quasi due milioni di italiani il “bonus” promesso si è rivelato un “bluff”. Un bonus o un prestito statale? Secondo i dati appena pubblicati dal dipartimento delle finanze del ministero dell’economia, infatti, circa un milione di cittadini, tra i 12 milioni che hanno ricevuto i famosi 80 euro in più in busta paga, hanno dovuto restituire integralmente la somma di denaro, per giunta in un’unica soluzione da 950 euro. E altri 765.000 italiani ne hanno dovuta restituire una parte. Si tratta del 14,5% dei beneficiari.Il che, di per sé, è un paradosso visto che un “bonus” per definizione dovrebbe essere un emolumento non restituibile. Più che comprensibile, dunque, l’irritazione di quelle famiglie che avendo speso, assai ingenuamente, l’intera somma senza cogliere prontamente l’inganno nascosto dietro l’ossimoro in questione – il bonus-prestito – si sono trovate in difficoltà economica al momento di dover restituire l’importo. Ma tant’è. Il problema principale della questione è che il governo Renzi ha introdotto questo “bonus” con un’erogazione mensile da 80 euro, ma avrebbe dovuto scegliere la via di un’unica erogazione annuale a fine anno, così da permettere ai tecnici dell’Agenzia delle Entrate di definire esattamente importi e idoneità. In molti casi, invece, è accaduto che l’agenzia si è trovata a dover correggere in negativo o in positivo (più raramente) il saldo dei bonus dopo aver esaminato la dichiarazione dei redditi dei contribuenti. Così ha richiesto indietro il denaro anche a quelli che l’avevano già speso.Una “mancia” a fini elettorali? Ma perché scegliere di erogare il bonus mensilmente andando incontro a tutti questi problemi e mettendo in difficoltà intere famiglie che, de facto, in questo modo si sono viste trasformare un bonus in un prestito statale? Probabilmente per accelerare i tempi della «mancetta elettorale» (come la definisce Giulio Cavalli su “Left”) e renderla maggiormente «visibile» in busta paga (un conguaglio di fine anno non avrebbe avuto lo stesso effetto sull’umore degli elettori). Vale anche la pena ricordare che il “bonus” in questione escludeva a priori le fasce più deboli della popolazione, cioè tutti coloro che guadagnavano meno di 7.500 euro, considerandoli evidentemente troppo poco interessanti dal punto di vista elettorale.(Giulia Ugazio, “Bonus 80 euro, perché è un bluff da restituire per quasi 2 milioni di italiani”, da “Diario del Web” del 3 marzo 2017).Flop 80 euro. Quasi un milione di italiani, tra i 12 milioni che hanno ricevuto il “bonus” renziano, lo hanno dovuto restituire integralmente. Altri 765.000 cittadini, invece, lo hanno dovuto restituire solo in parte. Ecco i dati ufficiali appena pubblicati dal dipartimento delle finanze del ministero dell’economia. Ed è già bufera. Di nuovo. Matteo Renzi la definisce ancora sul suo blog come «la più grande opera di redistribuzione salariale mai fatta in Italia». Ma i media parlano di “flop 80 euro” e taluni non esitano ad apostrofarla “mancetta elettorale”. In qualunque modo la si voglia chiamare, però, la manovra renziana è stata un fallimento de facto. In primis perché doveva servire a rilanciare i consumi nazionali sostenendo l’economia reale e coadiuvando la ripresa. E questo non è avvenuto. Poi perché per quasi due milioni di italiani il “bonus” promesso si è rivelato un “bluff”. Un bonus o un prestito statale? Secondo i dati appena pubblicati dal dipartimento delle finanze del ministero dell’economia, infatti, circa un milione di cittadini, tra i 12 milioni che hanno ricevuto i famosi 80 euro in più in busta paga, hanno dovuto restituire integralmente la somma di denaro, per giunta in un’unica soluzione da 950 euro. E altri 765.000 italiani ne hanno dovuta restituire una parte. Si tratta del 14,5% dei beneficiari.
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L’oleodotto dei Sioux finanziato anche da Intesa Sanpaolo
Dopo avere bloccato la concessione dei permessi a dicembre 2016, di recente l’Army Corps of Engineers ha riesaminato e autorizzato la costruzione della Dakota Access Pipeline negli Stati Uniti, un oleodotto di 1900 chilometri che trasporterà petrolio dal Dakota fino all’Illinois. Un impianto che avrà un enorme impatto ambientale e distruggerà le terre degli indiani Sioux di Standing Rock. Tra i finanziatori c’è anche la banca Intesa Sanpaolo. E tu da che parte stai? Se a dicembre i Sioux e i tanti attivisti e ambientalisti avevano esultato alla notizia che l’Army Corps of Engineers aveva annunciato che non avrebbe approvato i permessi per costruire il Dakota Access Pipeline, oggi non c’è più nulla da festeggiare. A inizio febbraio l’amministrazione Trump ha dato istruzioni all’Army Corps per riesaminare il tutto ed è arrivato il via libera. «L’impatto umano e ambientale di questo progetto è devastante, poiché mette a rischio le riserve idriche di una vasta zona del Nord degli Stati Uniti e attraversa, con gravi impatti, un’area sacra per i nativi indiani Sioux», scrive Claudia Vago per la campagna “Non con i miei soldi”.«I rischi sono alti: solo nel 2016 si sono registrati oltre 200 sversamenti dagli oleodotti nel territorio statunitense e il petrolio è una delle principali cause del cambiamento climatico. I Sioux stanno protestando da mesi per difendere le loro terre sacre, ricevendo solidarietà e sostegno da ogni parte del mondo. La loro protesta è stata spesso contrastata con metodi brutali». A fine 2016 i Sioux hanno chiesto di poter incontrare gli istituti bancari che finanziano, a diverso titolo, il progetto. Gli appelli sono caduti quasi tutti nel vuoto. «Il 10 gennaio era la data limite per dare una risposta e le cose sono andate così: quattro banche hanno rifiutato l’invito (Bayern Lb, Bnp Paribas, Mizuho Bank e Suntrust), sei non hanno risposto (Bank of Tokyo-Mitsubishi Ufj, Bbva Compass, Icbc, Intesa Sanpaolo, Natixis e Sumitomo Mitsui Banking Corporation) mentre sette banche hanno accettato di incontrare le tribù (Citi, Crédit Agricole, Dnb, Ing, Société Générale, Td e Wells Fargo)».Tra le azioni intraprese dai Sioux e dagli attivisti che li sostengono c’è anche una campagna per invitare al “divestment” dagli istituti che finanziano il Dapl. Nelle scorse settimane uno dei finanziatori del progetto si è tirato indietro. L’olandese Abn Amro ha annunciato che smetterà di finanziare la Energy Transfer Equity (Ete) se il Dakota Access Pipeline verrà costruito senza il consenso della tribù Sioux di Standing Rock o se continuerà ad essere utilizzata violenza contro gli attivisti che si oppongono al progetto. «Tra le banche che finanziano direttamente il Dakota Access Pipeline figura anche Intesa Sanpaolo». Greenpeace Italia ha scritto una lettera ufficiale ad Intesa per chiedere se ha intenzione di continuare a finanziare la distruzione delle terre dei Sioux e di mettere a rischio l’acqua potabile di tutta quella zona, oppure se deciderà di non impegnare i soldi dei propri clienti per un progetto tanto pericoloso e controverso. Intesa Sanpaolo non ha ancora dato una risposta ufficiale, il tempo corre e il suo è un silenzio assordante. Greenpeace ha lanciato una petizione online per rafforzare la propria richiesta a Intesa Sanpaolo.(“L’oleodotto dei Sioux finanziato da Intesa Sanpaolo, tu da che parte stai?”, da “Coscienze in Rete” del 2 marzo 2017).Dopo avere bloccato la concessione dei permessi a dicembre 2016, di recente l’Army Corps of Engineers ha riesaminato e autorizzato la costruzione della Dakota Access Pipeline negli Stati Uniti, un oleodotto di 1900 chilometri che trasporterà petrolio dal Dakota fino all’Illinois. Un impianto che avrà un enorme impatto ambientale e distruggerà le terre degli indiani Sioux di Standing Rock. Tra i finanziatori c’è anche la banca Intesa Sanpaolo. E tu da che parte stai? Se a dicembre i Sioux e i tanti attivisti e ambientalisti avevano esultato alla notizia che l’Army Corps of Engineers aveva annunciato che non avrebbe approvato i permessi per costruire il Dakota Access Pipeline, oggi non c’è più nulla da festeggiare. A inizio febbraio l’amministrazione Trump ha dato istruzioni all’Army Corps per riesaminare il tutto ed è arrivato il via libera. «L’impatto umano e ambientale di questo progetto è devastante, poiché mette a rischio le riserve idriche di una vasta zona del Nord degli Stati Uniti e attraversa, con gravi impatti, un’area sacra per i nativi indiani Sioux», scrive Claudia Vago per la campagna “Non con i miei soldi”.
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Contro Trump il killer dei presidenti Usa, budget 100 milioni
E’ in corso la campagna contro il nuovo presidente degli Stati Uniti, condotta dagli stessi sponsor di Barack Obama, Hillary Clinton e della distruzione del Medio Oriente. Dopo la marcia delle donne del 22 gennaio, è previsto che si tenga una marcia per la scienza non solo negli Stati Uniti, ma anche in tutto il mondo occidentale, il 22 aprile. L’obiettivo è dimostrare che Donald Trump non è solo un misogino, ma anche un oscurantista. Il fatto che sia l’ex-organizzatore del concorso di Miss Universo, e che sia sposato con una modella al suo terzo matrimonio è sufficiente, a quanto pare, a dimostrare che disprezza le donne. Che il presidente contesti il ruolo svolto da Barack Obama nella creazione della Borsa Climatica di Chicago (ben prima della sua presidenza) e che respinga l’idea che le perturbazioni climatiche siano causate dal rilascio di carbonio nell’atmosfera, attesta il fatto che non capisce nulla di scienza. Per convincere l’opinione pubblica statunitense della follia del presidente – un uomo che dice di desiderare la pace con i suoi nemici, e di voler collaborare con loro per la prosperità economica universale – uno dei più grandi specialisti di agit-prop (agitazione e propaganda), David Brock, ha messo in campo un dispositivo impressionante già prima dell’investitura di Trump.Al tempo in cui lavorava per i repubblicani, Brock lanciò contro il presidente Bill Clinton una campagna, che sarebbe poi diventata il Troopergate, la vicenda Whitewater, e il caso Lewinsky. Dopo aver voltato gabbana, è oggi al servizio di Hillary Clinton, per la quale ha già organizzato non solo la demolizione della candidatura di Mitt Romney, ma anche la sua replica nella vicenda dell’assassinio dell’ambasciatore Usa a Bengasi. Durante il primo turno delle primarie, è stato Brock a dirigere gli attacchi contro Bernie Sanders. “The National Review” ha qualificato Brock come «un assassino di destra che è diventato un assassino di sinistra». E ‘importante ricordare che le due procedure di destituzione di un presidente in carica, avviate dopo la Seconda Guerra Mondiale, sono state messe in moto a vantaggio dello Stato Profondo, e non certo per il bene della democrazia. Così il Watergate è stato interamente gestito da una certa “gola profonda” che, 33 anni più tardi, si è rivelato essere Mark Felt, l’assistente di J. Edgar Hoover, direttore dell’Fbi. Per quanto riguarda la vicenda Lewinsky, era semplicemente un modo di forzare Bill Clinton ad accettare la guerra contro la Jugoslavia.La campagna in corso è organizzata sottobanco da quattro associazioni. “Media Matters” (“i media contano”) ha il compito di dare la caccia agli errori di Donald Trump. Leggete ogni giorno il suo bollettino sui vostri giornali: il presidente non può essere attendibile, si è sbagliato su questo o su quel punto. “American Bridge 21st Century” (“Il ponte americano del XXI secolo”) ha raccolto più di 2.000 ore di video che mostrano Donald Trump nel corso degli anni, e più di 18.000 ore di altri video dei membri del suo gabinetto. Ha a sua disposizione sofisticate attrezzature tecnologiche progettate per il dipartimento della difesa, e presumibilmente fuori mercato, che le consentono di cercare le contraddizioni tra le loro dichiarazioni più datate e le loro posizioni attuali. Dovrebbe arrivare a estendere il suo lavoro a 1.200 collaboratori del nuovo presidente. “Citizens for Responsibility and Ethics in Washington – Crew” (“I cittadini per la responsabilità e l’etica a Washington”) è uno studio di giuristi di alto livello con il compito di monitorare tutto ciò che potrebbe fare scandalo nell’amministrazione Trump. La maggior parte degli avvocati di questa associazione lavorano gratis, per la causa. Sono loro ad aver preparato il caso di Bob Ferguson, il procuratore generale dello Stato di Washington, contro il decreto sull’immigrazione (“Executive Order 13.769”).“Shareblue” (“la condivisione blu”) è un esercito elettronico già collegato con 162 milioni di internauti negli Stati Uniti. Ha il compito di diffondere dei temi preordinati, ad esempio: Trump è autoritario e ladro; Trump è sotto l’influenza di Vladimir Putin; Trump è una personalità debole e irascibile, è un maniaco-depressivo; Trump non è stato eletto dalla maggioranza dei cittadini degli Stati Uniti, ed è quindi illegittimo; il suo vicepresidente, Mike Pence, è un fascista; Trump è un miliardario che sarà costantemente di fronte a conflitti di interesse tra i suoi affari personali e quelli dello Stato; Trump è un burattino dei fratelli Koch, i famosi elemosinieri dell’estrema destra; Trump è un suprematista bianco e una minaccia per le minoranze; l’opposizione anti-Trump continua a crescere fuori Washington; per salvare la democrazia, cerchiamo di sostenere i parlamentari democratici che stanno attaccando Trump, e cerchiamo di demolire quelli che stanno collaborando con lui; stessa cosa con i giornalisti; per rovesciare Trump ci vorrà del tempo, quindi cerchiamo di non indebolire la nostra lotta.Questa associazione produrrà newsletter e video di 30 secondi. Si appoggerà ad altri due gruppi: una società che realizza video documentari, “The American Independent”, e una unità statistica, Benchmark Politics (ossia “politica comparativa”). L’insieme di questo dispositivo – che è stato messo in campo durante il periodo transitorio, cioè prima dell’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca – dà già lavoro a oltre 300 specialisti a cui conviene aggiungere numerosi volontari. Il suo budget annuale, inizialmente previsto nella misura di 35 milioni di dollari, è stato aumentato fino a un livello di circa 100 milioni di dollari. Distruggere l’immagine – e quindi l’autorità – del presidente degli Stati Uniti, prima che abbia avuto il tempo di fare alcunché, può avere gravi conseguenze. Eliminando Saddam Hussein e Muammar Gheddafi, la Cia ha fatto precipitare questi due paesi in un lungo periodo di caos, e la “terra della libertà” potrebbe gravemente soffrire da una tale operazione. Questo tipo di tecnica di manipolazione di massa non era mai stata utilizzata contro il capofila del mondo occidentale. Per il momento, questo piano sta funzionando: nessun leader politico al mondo ha avuto il coraggio di felicitarsi dell’elezione di Donald Trump, con l’eccezione di Vladimir Putin e di Mahmud Ahmadinejad.(Thierry Meyssan, “Il dispositivo Clinton per screditare Donald Trump”, da “Megachip” del 5 marzo 2017).E’ in corso la campagna contro il nuovo presidente degli Stati Uniti, condotta dagli stessi sponsor di Barack Obama, Hillary Clinton e della distruzione del Medio Oriente. Dopo la marcia delle donne del 22 gennaio, è previsto che si tenga una marcia per la scienza non solo negli Stati Uniti, ma anche in tutto il mondo occidentale, il 22 aprile. L’obiettivo è dimostrare che Donald Trump non è solo un misogino, ma anche un oscurantista. Il fatto che sia l’ex-organizzatore del concorso di Miss Universo, e che sia sposato con una modella al suo terzo matrimonio è sufficiente, a quanto pare, a dimostrare che disprezza le donne. Che il presidente contesti il ruolo svolto da Barack Obama nella creazione della Borsa Climatica di Chicago (ben prima della sua presidenza) e che respinga l’idea che le perturbazioni climatiche siano causate dal rilascio di carbonio nell’atmosfera, attesta il fatto che non capisce nulla di scienza. Per convincere l’opinione pubblica statunitense della follia del presidente – un uomo che dice di desiderare la pace con i suoi nemici, e di voler collaborare con loro per la prosperità economica universale – uno dei più grandi specialisti di agit-prop (agitazione e propaganda), David Brock, ha messo in campo un dispositivo impressionante già prima dell’investitura di Trump.
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Piramidi hi-tech 30.000 anni fa, la Storia è da riscrivere
«Non vedo l’ora che la verità venga esposta e che i falsi libri di storia vengano bruciati». Per l’antropologo Semir Osmanagich, fondatore del Parco Archeologico Bosniaco, «i mass-media sono complici di un insabbiamento di proporzioni epiche». Osmanagich, scopritore del sito archeologico più attivo del mondo, dichiara che le prove scientifiche, “inconfutabili”, venute alla luce, sull’esistenza di antiche civiltà con tecnologia avanzata, non ci lasciano altra scelta se non quella di riscrivere la nostra storia, la storia dell’umanità sulla Terra. L’attento esame delle strutture emerse nella valle del fiume Visoko, 40 chilometri a nord-ovest di Sarajevo, attraverso la datazione al radiocarbonio rivela definitivamente che quelle grandi piramidi «sono state costruite da civiltà avanzate di oltre 29.000 anni fa», scrive “Il Sapere”. Questo, aggiunge il ricercatore bosniaco, «costringe il mondo a riconsiderare totalmente la sua comprensione sullo sviluppo della civiltà attuale e della sua storia», spiega il dottor Osmanagich. Ormai si scava da otto anni nel sito bosniaco, che si estende sui sei chilometri quadrati attorno a 4 piramidi, collegate da tunnel sotterranei. La colossale Piramide del Sole è la più grande al mondo: è alta 420 metri, contro il 146 di quella di Cheope.«Il dottor Osmanagich – rileva “Il Sapere” – ha stupito l’intera comunità scientifica e archeologica con la raccolta e formazione di un team di ingegneri interdisciplinari, fisici e ricercatori da tutto il mondo per condurre un’indagine aperta e trasparente del sito e per cercare di scoprire la vera natura e il vero scopo di questo complesso piramidale». Per uno scienziato come Tim Moon, «questa è una cultura sconosciuta che ci presenta arti e scienze altamente avanzate, in grado di formare strutture veramente enormi, dimostrando una capacità di sfruttare le risorse energetiche pure». In un tunnel che conduce verso la Piramide del Sole, la squadra ha portato alla luce una enorme pietra megalitica da 25 tonnellate a circa 400 metri di profondità. «Inoltre abbiamo individuato muri di fondazione lungo tutto il suo perimetro formati da blocchi di pietra tagliata», aggiunge Moon. Grandi quantità di reperti sono state recuperati dalle gallerie: effigi, dipinti su pietra, oggetti d’arte e una serie di geroglifici e “testi” antichi, «scavati nelle pareti dei tunnel». La datazione al radiocarbonio è stata effettuata a Kiev su materiale organico presente nel sito della piramide, costruita in calcestruzzo. Mona Haggag, archeologa dell’università di Alessandria, dice che è come «scrivere nuove pagine della storia europea e mondiale».A sbalordire i tecnici, anche la presenza di una fonte di “energia misteriosa” che emanerebbe dalla grande piramide, dalla cui profondità proviene anche un’emissione radio. «I popoli antichi che hanno costruito queste piramidi conoscevano i segreti della frequenza e dell’energia», conclude Osmanagich. «Hanno usato queste risorse naturali per sviluppare tecnologie e per intraprendere la costruzione di scale che non abbiamo visto in nessun altro posto della terra». Non solo: «Le prove dimostrano chiaramente che le piramidi furono costruite allineandole con la griglia energetica della Terra, ed erano come macchine che fornivano energia al potere della guarigione». Ma non è solo dalla Bosnia che giungono rivelazioni sconcertanti, sostiene sempre “Il Sapere”: «Studiosi di storia antica negli Stati Uniti hanno notizie altrettanto sorprendenti su qualcosa trovato negli angoli più lontani del globo. Per esempio la scoperta di Rockwall al di fuori di Dallas, Texas, è solo un esempio di come stiamo riesaminando antichi misteri che rivelano molto sul nostro passato». Il sito texano è un complesso e poderoso muro di dieci miglia di diametro, costruito oltre 20.000 anni fa e coperto dal suolo sette piani sotto terra. «La domanda è: da chi è stata costruita questa struttura e per quale scopo e, soprattutto, la conoscenza data da queste civiltà del passato, in che modo può aiutarci a comprendere il nostro futuro?».Ne parla anche il “National Geographic”, interrogandosi nel 2013 sui “100 più grandi misteri rivelati delle civiltà antiche”: «A volte le culture si lasciano dietro misteri che confondono coloro che vengono dopo di loro, dai menhir ai manoscritti codificati, ci indicano che gli antichi hanno avuto uno scopo profondo». Michal Cremo, nel suo libro “Forbidden Archeology”, teorizza che la conoscenza dell’avanzato homo sapiens sia stata soppressa o ignorata dalla comunità scientifica perché contraddirebbe le attuali opinioni sulle origini umane, che non vanno d’accordo con il paradigma dominante. I recenti risultati, invece, «indicano chiaramente che simili civiltà avanzate erano presenti in tutto il mondo in quel momento storico», cioè 30.000 anni fa. Che alle nostre origini ci sia “tutt’un’altra storia” lo suggerisce anche il Gobekli Tepe, scoperto nel 1995 nella Turchia orientale: un vasto complesso di enormi cerchi di pietre megalitiche, con un raggio tra i 10 e i 20 metri, molto più grandi di quelle di Stonehenge in Gran Bretagna. I test al carbonio radiofonico rivelano che la struttura risale almeno a 11.600 anni fa. Lo conferma l’archeologo tedesco Klaus Schmidt, dell’Istituto Archeologico Tedesco di Berlino, che ha diretto gli studi con il supporto dell’ArchaeoNova Institute di Heidelberg.«Gobekli Tepe è uno dei più affascinanti luoghi neolitici del mondo», sostiene Schmidt. Ma, come spiega in un recente rapporto, per capire le nuove scoperte, gli archeologi hanno bisogno di lavorare a stretto contatto con gli specialisti di religioni comparate, con i teorici dell’architettura e dell’arte, con i teorici della psicologia evolutiva, con i sociologi che utilizzano la teoria delle reti sociali, ed altri ancora. «È la complessa storia delle prime, grandi comunità insediate, la loro vasta rete, e la loro comprensione comune del loro mondo, forse anche delle prime religioni organizzate e delle loro rappresentazioni simboliche del cosmo». Oltre alle strutture megalitiche, sono state scoperte figure e sculture, raffiguranti animali preistorici, come i dinosauri. E lo scavo non è concluso: si pensa che ci siano ancora fino a 50 ambienti nascosti sottoterra, tra gli enormi monoliti svettanti, alti 7 metri e pesanti 25 tonnellate. «L’obiettivo della ricerca archeologica – precisa Schmidt – è soprattutto quello di cercare di capire la loro funzione». Dalla Bosnia, il dottor Osmangich non ha dubbi: è giunto il momento di condividere liberamente la conoscenza, in modo che si possa scoprire il nostro autentico passato. «È tempo per noi di aprire le nostre menti alla vera natura della nostra origine», dice. «La nostra missione è quella di riallineare la scienza con la spiritualità, al fine di progredire come specie. E questo richiede un chiaro percorso di conoscenza condivisa».«Non vedo l’ora che la verità venga esposta e che i falsi libri di storia vengano bruciati». Per l’antropologo Semir Osmanagich, fondatore del Parco Archeologico Bosniaco, «i mass-media sono complici di un insabbiamento di proporzioni epiche». Osmanagich, scopritore del sito archeologico più attivo del mondo, dichiara che le prove scientifiche, “inconfutabili”, venute alla luce, sull’esistenza di antiche civiltà con tecnologia avanzata, non ci lasciano altra scelta se non quella di riscrivere la nostra storia, la storia dell’umanità sulla Terra. L’attento esame delle strutture emerse nella valle del fiume Visoko, 40 chilometri a nord-ovest di Sarajevo, attraverso la datazione al radiocarbonio rivela definitivamente che quelle grandi piramidi «sono state costruite da civiltà avanzate di oltre 29.000 anni fa», scrive “Il Sapere”. Questo, aggiunge il ricercatore bosniaco, «costringe il mondo a riconsiderare totalmente la sua comprensione sullo sviluppo della civiltà attuale e della sua storia», spiega il dottor Osmanagich. Ormai si scava da otto anni nel sito bosniaco, che si estende sui sei chilometri quadrati attorno a 4 piramidi, collegate da tunnel sotterranei. La colossale Piramide del Sole è la più grande al mondo: è alta 420 metri, contro il 146 di quella di Cheope.
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Wall Street promuove Le Pen. Sondaggi: vincerà al 1° turno
Marine Le Pen sembra ormai a un passo dall’Eliseo: secondo l’ultimo sondaggio Elabe, realizzato per la televisione francese “Bfm”, la leader del Front National potrebbe battere già al primo turno i suoi avversari, François Fillon ed Emmanuel Macron. «Ma, più che i sondaggi, a essere determinante nella partita delle presidenziali francesi è l’appoggio della finanza internazionale», scrive “Diario del Web”: «Ora a scommettere sulla vittoria di Marine Le Pen sono nientepopodimenoché le grandi banche d’affari», le prime a “fiutare il vento” del cambiamento che potrebbe scuotere l’Unione Europea dalle fondamenta. Non molto tempo fa, aggiunge il newsmagazine, tutte le banche francesi, marciando unite e compatte «si erano rifiutate energicamente di concedere prestiti al Front National, snobbando con la puzza sotto il naso l’invisa europarlamentare». E i media mainstream, a ruota, se la ridevano: «In mancanza di meglio – scrivevano – Marine ha dovuto farsi prestare 6 milioni di euro dalla “banca” di suo papà», Jean-Marie Le Pen, fondatore del Fn, che trent’anni fa, nel 1988, mise in piedi la Cotolec (che sta per “Cotisation Electorale”), una struttura finanziaria che raccoglie donazioni e presta il suo denaro al 5% di interesse.La Cotolec, spiega “Diario del Web”, funziona come una piccola banca. Ed è il presidente in persona, papà Jean-Marie, a tenere i cordoni della borsa, scegliendo come impiegare il denaro della sua cassaforte. «Nulla di strano, dunque, che con i denari a disposizione abbia scelto di contribuire alla causa del suo partito e di sua figlia», anche se proprio da quest’ultima era stato espulso mesi or sono dal Front National per le sue intemperanze xenofobe e antisemite. Ora però tutto sta cambiando: i sondaggi iniziano a credere in Marine Le Pen come prossima inquilina dell’Eliseo. E così, la grande finanza già corre in soccorso della (possibile) vincitrice: «La grande novità che probabilmente muterà le sorti delle presidenziali francesi, infatti, riguarda l’incontro tra gli emissari di BlackRock, Ubs e Barclays e il team degli esperti economici del Front National che avrebbe avuto luogo proprio nei giorni scorsi», scrive il blog. Le grandi banche d’affari hanno allungato le loro antenne verso Marine per capire «le strategie d’investimento» del Fn in caso di vittoria. I nomi dei protagonisti non sono trapelati, ma “Bloomberg” riferisce che i banchieri sono rimasti «sorpresi dalla competenza del personale economico del Front National».Si tratterebbe di persone che «capiscono i mercati, anche se da essi sono ideologicamente molto lontani». Non solo. Il giudizio di BlackRock, Ubs e Barclays alla fine sembra essere stato più che positivo nei confronti del team della Le Pen: «La macchina politica del partito è molto più sofisticata di quanto pensassimo. Le vedute del Fn sull’euro, anche se radicali, possono essere il riflesso della realtà, la direzione in cui l’euro deve sviluppare», riporta “Bloomberg”. A questo punto, forse, la “Frexit” è davvero più vicina, «soprattutto se la finanza internazionale e i mercati iniziano a credere seriamente che Marine Le Pen possa imporsi alle presidenziali su candidati filo-europeisti come Macron e Fillon». Dentro e fuori la Francia, aggiunge “Diario del Web”, la leader del Front National sta incrementando la sua credibilità raccogliendo voti e consenso, in particolar modo dal bacino della classe lavoratrice, rimasta orfana in tutto il continente europeo di benessere economico e sociale. Il programma elettorale di Marine, sulla carta, è rivoluzionario: fuori dall’euro, da Schengen e pure dalla Nato. In nome dell’amor di patria, e brandendo una frase di Victor Hugo: “Non abbiamo ancora finito di essere francesi”.Marine Le Pen sembra ormai a un passo dall’Eliseo: secondo l’ultimo sondaggio Elabe, realizzato per la televisione francese “Bfm”, la leader del Front National potrebbe battere già al primo turno i suoi avversari, François Fillon ed Emmanuel Macron. «Ma, più che i sondaggi, a essere determinante nella partita delle presidenziali francesi è l’appoggio della finanza internazionale», scrive “Diario del Web”: «Ora a scommettere sulla vittoria di Marine Le Pen sono nientepopodimenoché le grandi banche d’affari», le prime a “fiutare il vento” del cambiamento che potrebbe scuotere l’Unione Europea dalle fondamenta. Non molto tempo fa, aggiunge il newsmagazine, tutte le banche francesi, marciando unite e compatte «si erano rifiutate energicamente di concedere prestiti al Front National, snobbando con la puzza sotto il naso l’invisa europarlamentare». E i media mainstream, a ruota, se la ridevano: «In mancanza di meglio – scrivevano – Marine ha dovuto farsi prestare 6 milioni di euro dalla “banca” di suo papà», Jean-Marie Le Pen, fondatore del Fn, che trent’anni fa, nel 1988, mise in piedi la Cotolec (che sta per “Cotisation Electorale”), una struttura finanziaria che raccoglie donazioni e presta il suo denaro al 5% di interesse.
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L’Olanda lancia una commissione d’inchiesta sull’euro
Nel bel mezzo di un’ondata montante di scetticismo sulla moneta unica, l’Olanda è in procinto di avviare un’inchiesta parlamentare sul suo futuro rapporto con l’euro. Secondo quanto riportato dai deputati dell’opposizione, i politici olandesi hanno votato all’unanimità per l’inchiesta, che esaminerà tutte le opzioni sull’euro, inclusa la possibilità di uscire dalla moneta unica e, in caso affermativo, con quali modalità. La decisione di commissionare l’indagine al Consiglio di Stato, organo di consulenza legale del governo olandese, riflette la crescente ondata di euro-scetticismo in Europa, dove i partiti populisti sperano di piazzarsi bene nelle elezioni di quest’anno, anche nei paesi centrali della zona euro, Francia e Germania. Con l’inchiesta si richiede al Consiglio di esaminare tutte le “opzioni politiche e istituzionali” per il futuro dell’euro, elencandone i vantaggi e gli svantaggi, senza escludere e anzi prevedendo anche l’uscita. Pieter Omtzigt, il deputato euroscettico del partito di opposizione dei Cristiano-Democratici che ha presentato la mozione parlamentare per l’indagine sull’euro, è una tra le sempre più numerose voci dei paesi creditori del nord che attaccano le politiche monetarie della Banca Centrale Europea.