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Dan Olmsted, una morte comoda per l’industria dei vaccini
Una morte “comoda” per l’industria dei vaccini? Dan Olmsted si è spento il 23 gennaio nella sua casa di Falls Church, in Virginia, il giorno prima di un incontro cruciale: il 24 gennaio, secondo alcune fonti, Kennedy Jr, fondatore del World Mercury Project, lo avrebbe presentato a Trump nell’ambito della Commissione per la sicurezza dei vaccini da lui presieduta. Olmsted, ricorda Emanuela Lorenzi, era un grande giornalista investigativo formatosi a Yale, «uno di quelli che ancora scavano dentro e dietro la notizia per ottenere la verità e lo fanno ponendo domande». Per la “United Press International” denunciò l’insabbiamento da parte dell’esercito americano degli effetti neurotossici provocati dal farmaco antimalarico Lariam. Ma è soprattutto noto come fondatore di “The Age of Autism” e vero e proprio “detective dell’autismo”, cui ha consacrato gli ultimi anni della sua vita. Le sue relazioni sono state citate dall’avvocato ambientalista Robert Kennedy Jr, dalla “Columbia Journalism Review” e da David Kirby in una edizione del suo libro “Evidence of harm”.Insieme a Mark Blaxill, padre di una bambina autistica, Dan Olmsted «ha investigato a lungo le cause dell’autismo, rintracciandone la storia ed il costante rapporto con l’esposizione al mercurio», scrive Lorenzi su “Come Don Chisciotte”. Il reporter ha indagato sulla recente epidemia «sovrapponibile all’intensificazione del calendario vaccinale», passando per l’anomalia degli Amish, che rifiutano i vaccini e sono immuni da “effetti collaterali”. Olmsted ha denunciato la “iatrogenicità” di alcuni vaccini, «opponendosi al dogma della teoria genetica e del fatalismo con cui si devono confrontare i genitori dei bambini che ricevono diagnosi di autismo». Per Emanuela Lorenzi, «il tabù dell’eziologia porta in sé l’altro tabù: la guarigione: non si può “guarire” dall’autismo, perché questo proverebbe che non si tratta di una malattia genetica bensì di una malattia causata dall’uomo». A partire dal 2005, Olmsted «aveva indagato attentamente il legame fra autismo e vaccinazioni», fondando “Age of Autism”.In pratica, Olmsted «affermava senza mezzi termini quello che la letteratura scientifica seria (e i pensatori critici i cui neuroni non sono stati ancora totalmente demielinizzati dai vapori di mercurio) sostiene da tempo». E cioè che «con l’intento (apparente) di spazzare via ogni possibile infezione dal pianeta, il paradigma vaccinale ha causato assalti immunitari da iperstimolazione», oltre che «da introduzione di tossine come il mercurio», ma anche «alluminio, arsenico, squalene, formaldeide, polisorbato 80, neomicina, proteine e virus eterologi», nonché «materiale genetico da tessuti di pollo, vacca, cane, scimmia, coniglio, cellule di feti abortiti e virus a Dna ricombinante, endotossine batteriche, glutammato, nanoparticelle». Tutti elementi «che hanno slatentizzato malattie croniche nei nostri bambini, fra le quali l’autismo è solo la più nota», perché poi bisogna considerare «asma, Add, Adhd, diabete giovanile, malattie autoimmuni e molte altre». Il mercurio, osserva Lorenzi, è la sostanza più tossica del pianeta, seconda solo al plutonio: «E mai come per questo veleno è inapplicabile il motto paracelsiano sulla dose: il mercurio (ancora presente nei vaccini in tracce benché non sia obbligatorio riportarlo nel bugiardino) è tossico in quantità sub-micro e nano-molecolari».La quantità di mercurio contenuta nei vaccini antinfluenzali, «incredibilmente raccomandata a neonati e donne in gravidanza (ed inoculata per via parenterale, mentre si sconsiglia agli stessi soggetti di consumare pesci di grossa taglia perché contenenti molto mercurio», bell’esempio di «schizofrenia istituzionale»), secondo Emanuela Lorenzi «è tale da causare danni irreparabili nel sistema immunitario di un feto». E il metilmercurio, forma organica derivata dalla “metilazione” del mercurio inorganico, è infinitamente più tossico. «Olmsted fa anche un cenno alla tossicità delle amalgame dentali che, pur avendo alla base mercurio inorganico, diventano molto pericolose emanando vapori di mercurio già a temperatura corporea», peggio ancora «se sottoposte al calore di una bevanda, allo spazzolamento, alla semplice masticazione, per non parlare del trapanamento del dentista». La morte di Olmsted, «le cui cause non sono state rese note ma il cui tempismo è davvero sospetto», suona come «un duro colpo alla ricerca della verità sull’“era dell’autismo”». Secondo la Lorenzi, «è singolare che si sia verificata proprio mentre “The Age of Autism” denunciava la censura del primo, innovativo e lungamente atteso studio sottoposto a “peer review” che confrontava la salute di vaccinati versus non vaccinati, ritirato a novembre proprio poco prima della pubblicazione».Fra gli scienziati indipendenti non coinvolti nello studio, la dottoressa Stephanie Seneff, ricercatrice “senior” del laboratorio di informatica e intelligenza artificiale del Mit, ha dichiarato: «I risultati sono allarmanti, e ci obbligano a mettere seriamente in dubbio che i benefici dei vaccini prevalgano sui rischi». Su “HealthCare”, il 22 febbraio, il giornalista James Grundvig scrive: perché i centri di controllo e prevenzione non hanno mai finanziato uno studio del genere? L’agenzia sanitaria ha evitato di farlo di proposito? «Sembra che sia così», conclude Grundvig, «poiché andava contro il messaggio dei Cdc (Centers for Disease Control and Prevention) che recita che “i vaccini sono tutti sicuri”». Alcune scoperte dello studio sono illuminanti, come l’incidenza sproporzionata di disturbi cronici nei bambini con differenziazioni etniche, di genere e classe sociale, in modi che né gli autori né i finanziatori dello studio immaginavano. «In sintesi: vaccinazione, razza nera e sesso maschile erano significativamente associati alle patologie del neurosviluppo (Ndd) dopo aver tenuto conto di altri fattori. La nascita pre-termine combinata con la vaccinazione costituiva un forte fattore per lo sviluppo di Ndd nel modello finale, con un aumento pari a più del doppio di probabilità di Ndd rispetto alla sola vaccinazione».Lo studio, in effetti, non è mai stato ritirato: è stato “non accettato”. «Cosa resta di uno studio dopo che è stato accettato, visionato dalla comunità scientifica 80.000 volte in meno di 100 ore? La censura», scrive Lorenzi, che aggiunge: «Forse non è il caso di tirare fuori la Cia. Forse anche Big Pharma piangerà questa morte». Attenzione: nella sua recente lettera a Trump del 7 febbraio, la American Academy of Pediatrics, «un’organizzazione sindacale che non è certo immune da conflitti di interesse», protestando contro la costituzione di una Commissione per la sicurezza vaccinale e adducendo una serie di studi che ne proverebbero l’inutilità, ha «dimenticato di annoverare una cinquantina di studi che gettano quantomeno un’ombra equivoca sull’ “inequivocabile sostegno” espresso nei confronti della sicurezza dei vaccini». Gli studi dell’associazione pediatrica «sono pieni di conflitti di interesse, inesattezze e persino scandali». Uno dei redattori «ha dichiarato di avere, con i colleghi, gettato via dei dati commettendo frode scientifica».Il dottor William Thompson se ne scusa: «Sono dispiaciuto che i miei colleghi ed io abbiamo omesso informazioni statisticamente rilevanti nel nostro articolo del 2004 pubblicato sulla rivista “Pediatrics”». I dati omessi, continua Thompson, «suggeriscono che i maschi afroamericani che hanno ricevuto il vaccino Mpr prima dei 36 mesi di età hanno riportato un aumentato rischio di autismo. Sono state prese decisioni in merito a quali scoperte riportare dopo la raccolta dei dati, ed io credo che il protocollo finale dello studio non sia stato nemmeno seguito». Un altro redattore, Poul Thorsen, che Emanuela Lorenzi definisce «un criminale ricercato», è accusato di «aver sottratto fondi ai Cdc», i centri di prevenzione e cura. Questo studio, scrive la “Vaccines Safety Commission”, «mostra inequivocabilmente che alcuni vaccini causano vari tic, una condizione neurologica devastante». Informazione «ad ulteriore sostegno di una Commissione per la sicurezza vaccinale».Una morte “comoda” per l’industria dei vaccini? Dan Olmsted si è spento il 23 gennaio nella sua casa di Falls Church, in Virginia, il giorno prima di un incontro cruciale: il 24 gennaio, secondo alcune fonti, Kennedy Jr, fondatore del World Mercury Project, lo avrebbe presentato a Trump nell’ambito della Commissione per la sicurezza dei vaccini da lui presieduta. Olmsted, ricorda Emanuela Lorenzi, era un grande giornalista investigativo formatosi a Yale, «uno di quelli che ancora scavano dentro e dietro la notizia per ottenere la verità e lo fanno ponendo domande». Per la “United Press International” denunciò l’insabbiamento da parte dell’esercito americano degli effetti neurotossici provocati dal farmaco antimalarico Lariam. Ma è soprattutto noto come fondatore di “The Age of Autism” e vero e proprio “detective dell’autismo”, cui ha consacrato gli ultimi anni della sua vita. Le sue relazioni sono state citate dall’avvocato ambientalista Robert Kennedy Jr, dalla “Columbia Journalism Review” e da David Kirby in una edizione del suo libro “Evidence of harm”.
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“Cofferati, Kyenge, Spinelli e gli altri amici di Soros in Ue”
Il magnate ungherese George Soros ci sorprende ancora: la sua fondazione, la Open Society, ha appena pubblicato un file contenente i nomi degli “Alleati fidati nel Parlamento Europeo”. Il fascicolo, come riporta “Diario del Web”, si riferisce a 226 deputati (su 751) dell’Europarlamento che sono molto vicini a Soros e sposano le sue battaglie in giro per il mondo. Nella lista troviamo anche alcune vecchie conoscenze del Belpaese, tra cui l’ex sindacalista Cgil Sergio Cofferati, l’ex ministra Kashetu Kyenge e Barbara Spinelli, eletta con “L’altra Europa con Tsipras”, cioè con i voti della sinistra “radicale” italiana. Tra gli altri “amici fidati” di Soros a Strasburgo anche svariati esponenti del Pd come Daniele Viotti, Elena Gentile e Roberto Gualtieri. Secondo Maurizio Blondet, la lista dei “Soros friends” made in Italy fugurano anche altri europarlamentari eletti sempre con il Pd, come Alessia Mosca, Luigi Morgano, Elena Ethel “Elly” Schlein, Isabella De Monte, Brando Maria Benifei e Pier Antonio Panzieri. Il dossier, secondo Blondet, avvicinerebbe questi europarlamentari alle battaglie «radicali, globaliste, anti-sovraniste e anti-Russia» orchestrate da Soros.«Si nota anche come la Open Society sia molto attiva in Ungheria, dove sta mobilitando una spontanea “primavera” per rovesciare il governo di Viktor Orban», afferma Blondet, che aggiunge: «Molti siti di informazione ungheresi hanno ricevuto aiuti finanziari da Soros, fra cui “444.hu” che ha ricevuto 49.500 dollari». SorosLeaks, ovvero: retroscena sul ricchissimo super-speculatore ungherese, che “Diario del Web” definisce «il burattinaio dell’ordine mondiale». Gli “alleati” italiani di George Soros nel Parlamento Europeo? I loro nomi sono pubblicati da Open Society, «la fondazione-ombrello del magnate ungherese con la quale finanzia i suoi progetti “rivoluzionari” in giro per il mondo». Secondo gli hacker che recentemente hanno attaccato il sito della fondazione, aggiunge “Diario”, Soros sarebbe «l’architetto o il finanziatore di più o meno ogni rivoluzione o colpo di Stato degli ultimi 25 anni», compreso il golpe in Ucraina “truccato” da sommossa popolare. «Con i suoi soldi, il ricco ungherese avrebbe cercato più volte di influenzare e determinare il corso della storia».Oltre agli “italiani”, continua “Diario del Web”, altri 13 fedelissimi apparterrebbero al Gruppo di Visegrad. «Ma questo dato non sorprende più di tanto, visto che la Open Society di George Soros pare sia molto attiva in Ungheria», dove lavora per rovesciare il governo Orban, regolarmente eletto. Non sarebbe la prima volta: «Vale la pena ricordare che George Soros è diventato famoso per aver gettato sul lastrico la Banca d’Inghilterra e aver costretto la sterlina e la lira italiana a uscire dallo Sme nel 1992», scrive “Diario”. «Il 16 settembre di quell’anno mise in atto una gigantesca operazione speculativa vendendo una enorme quantità di sterline allo scoperto, e gettando nel caos sia la Gran Bretagna che l’Italia». I due paesi furono costretti a uscire dal Serpente Monetario Europeo, «mentre Soros guadagnava una fortuna». Ad oggi è una delle 30 persone più ricche del mondo: il suo patrimonio è stimato in circa 24,9 miliardi di dollari (dati aggiornati a maggio 2016). Soros ha cercato anche di favorire la candidata democratica Hillary Clinton alle presidenziali americane, ma questa volta – come sappiamo – le cose gli sono andate male.I documenti trafugati dalla sua fondazione dagli hacker, aggiunge “Diario del Web”, rivelano un costante impegno economico per campagne elettorali, fondazioni umanitarie, associazioni per i diritti umani e società di ricerca, «allo scopo di indirizzare il consenso dell’opinione pubblica (non solo americana) verso alcune questioni particolarmente care a Soros». Non sorprende, dunque, che il magnate ungherese «abbia finanziato anche Amnesty International, che recentemente ha rivolto un durissimo attacco nei confronti di alcuni leader mondiali ritenuti responsabili dall’associazione di una “retorica incendiaria”: Donald Trump, Recep Tayyip Erdogan, Viktor Orban. Guarda caso, tutti nemici giurati di Soros». E che dire del generoso finanziamento, sempre da parte della Open Society, verso il Poynter Institute che per Facebook si occuperà della “verifica delle notizie” attraverso un progetto di fact checking? «Il celebre social network avrebbe infatti deciso di dichiarare guerra alle “fake news”, ma è facile immaginare che l’informazione possa essere filtrata a favore degli “amici” più generosi». E questo punto, conclude il blog, «viene spontaneo chiedersi anche come e perché gli europarlamentari italiani siano stati inseriti da Soros nella lista dei suoi “fedelissimi”». E attenzione: tra i Soros-friends c’è anche Guy Verhofstadt, dell’Alde, il gruppo in cui Beppe Grillo ha cercato di far confluire gli europarlamentari 5 Stelle.Il magnate ungherese George Soros ci sorprende ancora: la sua fondazione, la Open Society, ha appena pubblicato un file contenente i nomi degli “Alleati fidati nel Parlamento Europeo”. Il fascicolo, come riporta “Diario del Web”, si riferisce a 226 deputati (su 751) dell’Europarlamento che sono molto vicini a Soros e sposano le sue battaglie in giro per il mondo. Nella lista troviamo anche alcune vecchie conoscenze del Belpaese, tra cui l’ex sindacalista Cgil Sergio Cofferati, l’ex ministra Kashetu Kyenge e Barbara Spinelli, eletta con “L’altra Europa con Tsipras”, cioè con i voti della sinistra “radicale” italiana. Tra gli altri “amici fidati” di Soros a Strasburgo anche svariati esponenti del Pd come Daniele Viotti, Elena Gentile e Roberto Gualtieri. Secondo Maurizio Blondet, la lista dei “Soros friends” made in Italy fugurano anche altri europarlamentari eletti sempre con il Pd, come Alessia Mosca, Luigi Morgano, Elena Ethel “Elly” Schlein, Isabella De Monte, Brando Maria Benifei e Pier Antonio Panzieri. Il dossier, secondo Blondet, avvicinerebbe questi europarlamentari alle battaglie «radicali, globaliste, anti-sovraniste e anti-Russia» orchestrate da Soros.
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Foa: tutti spiati 24 ore su 24, era il sogno di Hitler e Stalin
L’ex agente della Nsa Edward Snowden ci aveva avvertito: la capacità di spionaggio dei servizi segreti americani è colossale. Siamo tutti intercettati, in modi e in contesti oltre ogni immaginazione. Ora Wikileaks squarcia ulteriormente il velo su un mondo che non è esagerato definire da Grande Fratello orwelliano. La Cia non solo può registrare qualunque telefonata (che volete che sia, roba da dilettanti…) ma può introdursi nel vostro telefono e ascoltare le vostre conversazioni anche quando non siete in linea. Per intenderci: quando parlate con gli amici o durante una riunione di lavoro e appoggiate il telefono sul tavolo, l’intelligence americana può attivare in remoto il microfono. Vale per l’I-phone. E per chi usa Android. Immagino già il sorrisetto di chi in questo momento pensa: ma io uso Windows! Illuso, anche quello è “hackerabile”. Così come certi modelli di televisori smart di ultima generazione della Samsung, i quali sono dotati di un microfono che può essere attivato a distanza (ma non da voi…) anche quando è spento. Orwell lo aveva immaginato: il televisore che ti spia in casa. Ebbene, ci siamo. Peraltro non è propriamente una sorpresa.Ci siamo già da un paio di anni. La notizia era uscita nel 2015 e ne avevo parlato in questo post, in cui avevo riportato le rivelazioni del capo dei servizi segreti svizzero Seiler, il quale spiegava come ogni email da noi spedita fa “un giro” in Gran Bretagna e negli Usa dove viene copiata e archiviata. Non va meglio con WhatsApp, che negli ultimi tempi ci assicura che i messaggi vengono criptati (per tutti, ma non per la Cia, che li può leggere). Così come ogni attività su Signal e Telegram, come scrive il “New York Times”. Facebook, Twitter e Google contribuiscono già da tempo alla causa della Cia, che, non c’è da dubitarne, presta particolare attenzione a quanto io e voi, cari lettori, scriviamo su questo blog. Il quadro che ne emerge è sconcertante: intercettano praticamente tutto. Tanto più che, spiega ancora Wikileaks, i codici del programma Vault 7, così si chiama, sono sfuggiti al controllo e sono finiti in mano ad hackers governativi e contactors privati. Magnifico! A spiarci non è solo la Cia ma chissà chi altro.Lo confesso: mi sento rassicurato da queste rivelazioni; anche nel sapere che la centrale degli hackers governativi si trova in Germania, nella sede del consolato Usa di Francoforte. Che gentili: queste operazioni le fanno in Europa, mica negli Usa. Apprezzabile, non credete? Il punto è sempre lo stesso e pone un grave problema di fondo: per quale ragione un governo si arroga il diritto di spiare qualunque cittadino praticamente in tutto il mondo? E creando giganteschi archivi, la cui esistenza è stata rivelata da Snowden? Cosa faccio di male? E cosa fanno di male tutti i lettori che subiscono lo stesso trattamento? Le intercettazioni e lo spionaggio esistono da sempre ma rientrano nelle attività di intelligence su un numero limitato di persone, per ragioni di sicurezza o strategiche. Nessuna democrazia si è mai proposta di spiare chiunque e di violare in modo così pervasivo la sua privacy. Il controllo assoluto dei cittadini era da sempre il sogno di regimi dittatoriali come quelli comunisti o nazisti, che, però, non possedevano la tecnologia necessaria. Ora invece si moltiplicano i segnali e le indiscrezioni su quella che appare sempre di più come una schedatura di massa. E’ scandaloso che tutto ciò venga realizzato da un paese che ha come simbolo la Statua della Libertà. E che pretende di essere nostro amico.(Marcello Foa, “Cara Cia, perché spii me e ogni cittadino? Cosa facciamo di male?”, dal blog “Il Cuore del Mondo” su “Il Giornale” del 7 marzo 2017).L’ex agente della Nsa Edward Snowden ci aveva avvertito: la capacità di spionaggio dei servizi segreti americani è colossale. Siamo tutti intercettati, in modi e in contesti oltre ogni immaginazione. Ora Wikileaks squarcia ulteriormente il velo su un mondo che non è esagerato definire da Grande Fratello orwelliano. La Cia non solo può registrare qualunque telefonata (che volete che sia, roba da dilettanti…) ma può introdursi nel vostro telefono e ascoltare le vostre conversazioni anche quando non siete in linea. Per intenderci: quando parlate con gli amici o durante una riunione di lavoro e appoggiate il telefono sul tavolo, l’intelligence americana può attivare in remoto il microfono. Vale per l’I-phone. E per chi usa Android. Immagino già il sorrisetto di chi in questo momento pensa: ma io uso Windows! Illuso, anche quello è “hackerabile”. Così come certi modelli di televisori smart di ultima generazione della Samsung, i quali sono dotati di un microfono che può essere attivato a distanza (ma non da voi…) anche quando è spento. Orwell lo aveva immaginato: il televisore che ti spia in casa. Ebbene, ci siamo. Peraltro non è propriamente una sorpresa.
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Le Pen vince o perde? Da noi è uguale, va male a Pd e M5S
Cattive notizie, per i maggiori partiti italiani – 5 Stelle e Pd – sia in caso di vittoria di Marine Le Pen, sia in caso di sconfitta della “signora” del Front National. E’ il politologo Aldo Giannuli a provare a valutare i riflessi, sul nostro paese, dell’evento europeo più atteso (e temuto), le presidenziali francesi, tra poco più di due mesi. «La prima conseguenza sarà di carattere generale e riguarderà l’Europa: se a vincere sarà la Le Pen, non c’è dubbio che salterà tutto in aria, euro, Ue e compagnia cantante». Se invece dovesse affermarsi Fillon, o più probabilmente Macron, «questo non risolverà la crisi della Ue, ma, al massimo, gli darà un po’ di fiato per qualche tempo, soprattutto se la Le Pen dovesse superare il 45%». Quanto all’Italia, in caso di vittoria della Le Pen, «ovviamente il maggior beneficiario sarebbe Salvini, che potrebbe aspirare alla leadership della destra e ad un risultato con almeno il 2 davanti per il suo partito, soprattutto se Toti e i suoi amici dovessero staccarsi da Fi». Tramonterebbe la stella del Cavaliere, che dovrebbe «rassegnarsi alla marginalità o ad accettare la leadership di Salvini», e si aprirebbe uno «scenario da incubo per il Pd», che dovrebbe «fronteggiare una marea anti-euro».Il Pd, continua Giannuli nella sua analisi, in caso di boom No-Euro «non avrebbe neppure un possibile alleato di governo (Fi)», e sarebbe «costretto a schiacciarsi contro la sua sinistra e cercare qualche intesa con il M5S». Se il segretario fosse ancora Renzi, «il suo declino acclererebbe e la crisi del Pd si approfondirebbe, con rischio di nuove scissioni». Ma lo scenario sarebbe «non bello» anche per il Movimento 5 Stelle, «che scoprirebbe che la Lega non è un possibile alleato, ma un temibile concorrente che inizierebbe a insidiare il suo elettorato». Per il Mdp – gli scissionisti bersaniani – potrebbero aprirsi spazi nel caso di crisi del Pd, «ma potrebbero ridursi se questo portasse ad una nuova segreteria più di “sinistra”» del Partito Democratico, «che potrebbe portare al rientro di almeno una parte del partito appena nato». Di riflesso, in questo caso, “Sinistra Italiana” «potrebbe giovarsi del rapido declino di Mdp». Morale: se Marine Le Pen conquista l’Eliseo, in Italia «fine della legislatura già dal giorno dei risultati, e nuove elezioni entro sei mesi».E lo scenario che vede la Le Pen sconfitta? «Ovviamente, il maggiore danneggiato sarebbe Salvini, che forse pagherebbe il prezzo di una scissione di Bossi e vedrebbe archiviato il suo sogno di diventare il leader di tutta la destra». Per contro, «questo segnerebbe il rilancio del Cavaliere, che potrebbe tornare ad essere il punto di attrazione della destra», e non solo per i leghisti e “Fratelli d’Italia”, «ma anche per la residua area di centro (Alfano, Casini, Verdini e frattaglie varie, da Tosi a Marchini a Fitto e ai resti dell’ex area Giannino)», e questo, secondo Giannuli, potrebbe riportare Forza Italia oltre il 20% e l’area di centrodestra «verso un pericoloso 34-35%». Per il Pd «sarebbe una (amarissima) mezza vittoria, perché gli darebbe l’alleato con cui fare un governo di “unione nazionale” o giù di lì, ma potrebbe farlo diventare terzo schiacciato fra la nuova destra ed il M5S: brutto affare, che riproporrebbe la crisi interna». I 5 Stelle potrebbero «uscirne bene, evitando la concorrenza della Lega», che però, in uno scenario del genere, «difficilmente potrebbe appoggiare dall’esterno un governo Di Maio, ammesso che i voti possano bastare». Ma, se (come sembra probabile) il partito di Grillo non dovesse raggiungere il 40%, «si troverebbe a fare i conti con la delusione della sua base». Risultato: «Probabile governo Fi-Pd e durata un po’ più lunga della legislatura, diciamo 2 anni».Cattive notizie, per i maggiori partiti italiani – 5 Stelle e Pd – sia in caso di vittoria di Marine Le Pen, sia in caso di sconfitta della “signora” del Front National. E’ il politologo Aldo Giannuli a provare a valutare i riflessi, sul nostro paese, dell’evento europeo più atteso (e temuto), le presidenziali francesi, tra poco più di due mesi. «La prima conseguenza sarà di carattere generale e riguarderà l’Europa: se a vincere sarà la Le Pen, non c’è dubbio che salterà tutto in aria, euro, Ue e compagnia cantante». Se invece dovesse affermarsi Fillon, o più probabilmente Macron, «questo non risolverà la crisi della Ue, ma, al massimo, gli darà un po’ di fiato per qualche tempo, soprattutto se la Le Pen dovesse superare il 45%». Quanto all’Italia, in caso di vittoria della Le Pen, «ovviamente il maggior beneficiario sarebbe Salvini, che potrebbe aspirare alla leadership della destra e ad un risultato con almeno il 2 davanti per il suo partito, soprattutto se Toti e i suoi amici dovessero staccarsi da Fi». Tramonterebbe la stella del Cavaliere, che dovrebbe «rassegnarsi alla marginalità o ad accettare la leadership di Salvini», e si aprirebbe uno «scenario da incubo per il Pd», che dovrebbe «fronteggiare una marea anti-euro».
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Thurn und Taxis: la birra dei Padroni di Tutto, dal medioevo
Sul menù del Bounty Pub c’è una birra che si chiama Thurn und Taxis. Delizia. Ma tu lo sai che della dinastia Thurn und Taxis ne parlò Benjamin Franklin, Karl Marx? E tu lo sai che i Thurn und Taxis sono ancora oggi quelli che hanno il potere di sussurrare nell’orecchio di Mario Draghi, di Juncker e della Merkel cosa fare (poi a cascata sul pollitalico pollaio)? Ops! Non lo sapevi? Ma fanno anche birre, nel passatempo. Sai chi sono? Sono per caso una marca come Moretti o Heineken? No, no. Pochi poveri intellettuali disperati come l’immenso Alain Parguez, professore emerito di storia dell’economia all’università di Besançon in Francia, o come la storica Lacroix-Riz, o come Paolo Barnard, vi avevano raccontato chi sono i Thurn und Taxis anni fa, e cosa succede a causa loro, e di altri come loro, in Unione Europea. I pochi poveri intellettuali disperati come noi vi avevano raccontato che il disegno neoliberista – su cui ancora si vomitano migliaia di inutili papers accademici e libri e ragliate di ‘belle anime’ – è stato totalmente superato, e oggi l’Unione Europea è in mano al neofeudalesimo dei Thurn und Taxis e soci.Poche famiglie nobili, una minuta élite, persino più ristretta della Commissione Europea, dettano ancora nel 2017 ogni secondo della vostra vita, voi sperduti di Latina, Cuneo, Catanzaro e Bari, e prima fra tutte troneggia la famiglia tedesca proprio dei Thurn und Taxis, poi i belgi Davignon, e i Boel, e la miriade di discendenti della casa Hohenstaufe (le birre le fanno solo i primi, devo essere onesto). Ciò che le élite di questi ‘rentiers’ (feudatari) come i Thurn und Taxis, e dell’Opus Dei, hanno creato in Europa e che oggi si chiama Unione Europea, Patto di Stabilità, Banca Centrale Europea, direttive Ue, Eurozona, è precisamente un percorso di ritorno a condizioni di tale panico economico da riportare milioni di persone all’abbruttimento e alla paura caratteristiche delle epoche feudali. La Politica della Carenza, da Paolo Barnard descritta qui due anni fa: be’, non è più neoliberismo, è neofeudalesimo, il territorio dei Thurn und Taxis, quelli della tua birra al pub, sì, loro.Ma chi sono i ‘rentiers’ esattamente? Vi ricordate a scuola le lezioni sui nobili, i feudatari? Oggi la cosa è più complessa. I marchesi, i Borboni, i duchi si sono dovuti eclissare, essi erano i ‘rentiers’. Ma non hanno mai ceduto, mai. Si sono solo modernizzati. La famiglia Agnelli in Italia fu un esempio. Furono i più inetti produttori di auto del mondo occidentale per quasi un secolo, ma sono sopravvissuti, gli Agnelli, e hanno goduto di immensi privilegi, grazie allo sfruttamento di generazioni di immigrati meridionali e ai sussidi di denaro pubblico in quantità grottesca. Eccoli i rentiers, neofeudali. I ‘rentiers’ più potenti oggi sono la più ricca dinastia di Germania, i Thurn und Taxis, proprietari immobiliari e terrieri da epoca feudale, con un ramo italiano di tutto rispetto, che viene da Ruggiero de Tassis del 1443. Sì, loro, quelli della birra sul menù del tuo pub. Sapete, il precursore di Karl Marx, Benjamin Franklin, ci raccontò che i Thurn und Taxis furono la prima dinastia che emerse dal Sacro Impero Romano grazie all’invenzione del servizio postale. Furono i primi a farsi pagare per spedire lettere.Il, tragicamente male interpretato, filosofo morale Adam Smith, un vero eroe dalla Vera Sinistra pre-illuminista, sempre svenduto al mondo come l’esatto opposto, denunciò i Thurn und Taxis come autori del primo progetto mercantile d’Europa. Oggi la Germania naviga falciando vite umane su un progetto neo-mercantile, quel progetto che ha devastato l’economia italiana come mai dal 1948, ma che marcia diligente sugli ordini dei Thurn und Taxis. Quelli della tua birra al pub. Ok, avete capito, spero. I Grandi Disegni sulle vostre vite a Macerata, Torio o a Comacchio non li fanno Renzi, Grilli, Grillo, Poletti, la Boldrini, né la Mafia. Vado a letto. Notte.(Paolo Barnard, “Bevi una birra Thurn und Taxis? Fotti la vita di tuo figlio”, dal blog di Barnard del 25 febbraio 2017).Sul menù del Bounty Pub c’è una birra che si chiama Thurn und Taxis. Delizia. Ma tu lo sai che della dinastia Thurn und Taxis ne parlò Benjamin Franklin, Karl Marx? E tu lo sai che i Thurn und Taxis sono ancora oggi quelli che hanno il potere di sussurrare nell’orecchio di Mario Draghi, di Juncker e della Merkel cosa fare (poi a cascata sul pollitalico pollaio)? Ops! Non lo sapevi? Ma fanno anche birre, nel passatempo. Sai chi sono? Sono per caso una marca come Moretti o Heineken? No, no. Pochi poveri intellettuali disperati come l’immenso Alain Parguez, professore emerito di storia dell’economia all’università di Besançon in Francia, o come la storica Lacroix-Riz, o come Paolo Barnard, vi avevano raccontato chi sono i Thurn und Taxis anni fa, e cosa succede a causa loro, e di altri come loro, in Unione Europea. I pochi poveri intellettuali disperati come noi vi avevano raccontato che il disegno neoliberista – su cui ancora si vomitano migliaia di inutili papers accademici e libri e ragliate di ‘belle anime’ – è stato totalmente superato, e oggi l’Unione Europea è in mano al neofeudalesimo dei Thurn und Taxis e soci.
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Vinny Ooh: il primo “alieno” ex-umano, senza più i genitali
«Il mondo è bello perché è vario. Anche se a volte qualcuno esagera». È il caso di Vinny Ooh, 22enne americano che ha subito ben 110 operazioni chirurgiche per diventare “un alieno”. «Ora ha in programma un intervento per la rimozione dei genitali, dei capezzoli e dell’ombelico», riferisce Rachele Nenzi sul “Giornale”. «Voglio essere un essere alieno senza sesso», dice lui. «Voglio che il mio io interiore si rifletta all’esterno». Il suo obiettivo è quello di diventare un alieno “genderless”, letteralmente senze genere: né maschio, né femmina. Più precisamente, come ha dichiarato al “Daily Mail”: «Voglio essere un ibrido». Per provarci, da quando aveva 17 anni, ha speso oltre 50.000 dollari in operazioni di chirurgia plastica. «Voglio essere senza sesso e senza genere», ha ribaduto ai medici. «E sono stato fortunato», sostiene. Vinny fa il “make-up artist” a Los Angeles, scrive “Supereva”: «La sua vita sembrerebbe “normale”, se non fosse che il ragazzo ha un’idea fissa: «Il mio obiettivo – dice – è quello di cambiare la mentalità di tutti circa le “bambole umane”. Sto cercando di svegliare la gente per mostrare loro che i ruoli di genere nella società non importano e dimostrare che abbiamo bisogno di essere solo degli esseri umani migliori».La sua trasformazione, iniziata anni fa, non si è ancora completata. E ora, continua “Supereva”, Vinny sogna di diventare presto l’essere perfetto che ha sempre sognato. Nel frattempo si è sottoposto a oltre 100 interventi di chirurgia plastica e indossa quotidianamente lenti a contatto nere, unghie finte e parrucche. «L’immagine complessiva che voglio avere è quella di un alieno», insiste. «Voglio essere un ibrido, non maschio o femmina. Ho voluto essere senza sesso e senza genere da quando avevo 17 anni». E come farà senza più i genitali? «Potrei vivere senza organi sessuali, quindi perché dovrei avere un pene o una vagina?». Inoltre, sottolinea il “Giornale”, «per assomigliare di più a un alieno, o a quello che l’immaginario e il cinema ci hanno insegnato, indossa grandi lenti a contatto annerite e artigli». Per diventare “un alieno”, Vinny non ha badato a spese ed è finito numerose volte sotto i bisturi. Per lui, riassume “Supereva”, ci sono stati ben 12 interventi riempitivi alle guance, 5 operazioni al naso e 2 alla fronte, perché la conformazione del volto fosse simile a quella di un alieno (o almeno a come se lo immagina lui).Le labbra carnose invece sono il risultato di 5 “filler” per le labbra e diverse sedute di botox. Inoltre si è sottoposto a laser al viso e a 35 trattamenti in tutto il corpo. «E mentre negli Stati Uniti in tanti si scandalizzano e lo criticano per il suo comportamento bizzarro, lui sta già programmando la prossima operazione: prossimamente si farà rimuovere i capezzoli e l’ombelico, ma soprattutto gli organi genitali». Lo scopo di tutte queste operazioni? Secondo il giovane è quello di creare addirittura una nuova specie: «Vinny – racconta, parlando di sé in terza persona – è un alieno di una generazione di nuovi individui che vogliono un aspetto diverso». E azzarda una profezia: «Entro 15 anni, centinaia di persone inizieranno a voler sembrare come lui». Chiosa “Leonardo.it”: «Da oggi in poi, oltre all’alieno, simpatico, di “Avanti un altro”, ricordiamoci anche di Vinny, il ragazzo americano che ha fatto più di 110 operazioni chirurgiche per assomigliare sempre più a un essere extraterrestre». Viviamo strani giorni, cantava Battiato. Ma era solo il 1996: il futuro “alieno” di Los Angeles era appena nato e poppava il latte, come tutti i bebè.«Il mondo è bello perché è vario. Anche se a volte qualcuno esagera». È il caso di Vinny Ooh, 22enne americano che ha subito ben 110 operazioni chirurgiche per diventare “un alieno”. «Ora ha in programma un intervento per la rimozione dei genitali, dei capezzoli e dell’ombelico», riferisce Rachele Nenzi sul “Giornale”. «Voglio essere un essere alieno senza sesso», dice lui. «Voglio che il mio io interiore si rifletta all’esterno». Il suo obiettivo è quello di diventare un alieno “genderless”, letteralmente senze genere: né maschio, né femmina. Più precisamente, come ha dichiarato al “Daily Mail”: «Voglio essere un ibrido». Per provarci, da quando aveva 17 anni, ha speso oltre 50.000 dollari in operazioni di chirurgia plastica. «Voglio essere senza sesso e senza genere», ha ribaduto ai medici. «E sono stato fortunato», sostiene. Vinny fa il “make-up artist” a Los Angeles, scrive “Supereva”: «La sua vita sembrerebbe “normale”, se non fosse che il ragazzo ha un’idea fissa: «Il mio obiettivo – dice – è quello di cambiare la mentalità di tutti circa le “bambole umane”. Sto cercando di svegliare la gente per mostrare loro che i ruoli di genere nella società non importano e dimostrare che abbiamo bisogno di essere solo degli esseri umani migliori».
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Bonnal: caos e paura, perché il sistema tifa Marine Le Pen
La rapidità della sottomissione di Trump al sistema è stata ammirevole, come la sottomissione di Syriza in Grecia o la rapidità dell’annullamento della Brexit. Come direbbe Céline, la resistenza populista non chiede altro che far sloggiare qualcuno – o cliccare furiosamente sul proprio mouse». Per lo scrittore francese Nicolas Bonnal, autore fra l’altro di un saggio sul “lato oscuro” di Mitterrand, definito “esoterista e grande iniziato”, siamo alla vigilia di una possibile, spettacolare operazione: l’elezione di Marine Le Pen all’Eliseo. Non “contro” il sistema, ma con la regia – dietro le quinte – dell’establishment, ben lieto di assistere, finalmente, al grande caos di un paese europeo nel panico: «La Francia avrebbe una sua rivoluzione arancione per strada», inoltre «si ribellerebbe alla funzione pubblica» e naturalmente «avrebbe una fuga di capitali», con «i borghesi disperati per il crollo dei prezzi degli appartamenti parigini e dei castelli antichi». Secondo Bonnal, il paese «si farebbe bloccare dalla Nato anche più velocemente della Serbia». E, quanto alla strategia della tensione, «la Francia subirebbe gli attentati più rapidi della sua storia». Attenzione: «Per tutte queste ragioni, il sistema vuole Marine».In un post su “Defensa”, tradotto da “Come Don Chisciotte”, Bonnal spiega che quello in vista alle elezioni francesi è uno schema classico, ben delinato addirittura da Aristotele, nella “Politica”, quando il grande filosofo scriveva: «Nella democrazia, le rivoluzioni nascono prima di tutto dalla turbolenza dei demagoghi. Per quel che riguarda gli individui, costringono con le loro continue denunce gli stessi ricchi a riunirsi per cospirare; poiché la comunanza di paure avvicina le persone più ostili». E il più grande filosofo dell’antichità puntualizza freddamente, come se avesse previsto la fine del nefasto film: «Per le loro ingiustizie, i demagoghi e i loro complici hanno costretto i cittadini potenti a lasciare la città; ma gli esuli si sono riuniti, e, rivoltandosi contro il popolo, lo spoglieranno del loro potere». Tra i candidati, quello del Front National è «il peggiore, per l’oligarchia mondiale». Ma, proprio per questo, potrebbe diventare “il migliore”, il più utile – a piegare il popolo con le cattive, dopo aver fatto deragliare il lepenismo. «Il carattere pseudo-rivoluzionario della Francia (vedi la presa della Bastiglia) qui sarà usato in pieno: sottomettiamo la Francia e il resto seguirà presto».Per questo, Nicolas Bonnal insiste: «Il sistema ha interesse a far eleggere Marine Le Pen. Il “Bataclan”, se verrà eletta, sarà tale che lei si sottometterà ancora più velocemente del suo modello Trump. Il sistema – continua Bonnal – potrà allora imporre più velocemente la propria agenda terrorista e totalitaria: guerra contro la Russia ribelle, invasione del Sud, abolizione del denaro contante, controllo biometrico, divieto dell’oro, censura della rete». Secondo lo scrittore, «il caos dell’elezione del Fn sarà tale che lo tsunami (che, come si sa, è un metodo di controllo a freddo, come gli attentati, l’effetto serra, i rifugiati) sarà imparabile». Quindi, ragiona Bonnal, «il sistema farà eleggere Marine, la quale ha già dato delle garanzie licenziando suo padre». Questo sarebbe l’obiettivo dell’establishment: «Far scoppiare l’ascesso populista una volta per tutte». Nel suo libro su Trump, pubblicato prima della sua elezione (“Donald Trump, le candidat du chaos”), Bonnal annunciava già la piega che avrebbe preso: «Tutto ci sembra esagerato, falso, quasi squallido. I suoi affari, la sua stessa fortuna sembra gonfiata. Le sue proposte sono nulle, scadenti o neppure degne di nota. Qualche frase interessante e coraggiosa è subito contraddetta. La sua politica è inapplicabile ed è meglio così. Suscita inoltre una tale ostilità all’estero e nei luoghi importanti (televisioni, economia) che rischia di essere rovinato anche prima dell’elezione».Scriveva Bonnal: «Sembra che l’affaire Trump serva come operazione psicologica a livello mondiale». Motivo: «Il sistema ha paura delle folle, e ha bisogno di fare un esempio – mostrando il male». E quindi: «L’accusa di razzismo, di nazismo, di fascismo, di machismo da parte dei media, l’eccesso o il cosiddetto eccesso di Trump, porteranno i loro frutti». Al che, «tutto il piccolo mondo del piccolo bianco frustrato rientrerà nella sua nicchia, come in Francia: sarà “agitato” un’ultima volta prima di “asservirsi” per niente». Bonnal, nel libro, cita il film “Network”, del 1976, sugli anni difficili Nixon-Ford, «più difficili del 2017, poiché c’era un residuo di marxismo e i militanti erano ancora disposti a sacrificarsi per imporlo – oggi invece cliccano!». Scriveva: «Il presentatore televisivo Howard Beale invita i telespettatori a ribellarsi e urlare dalla finestra – cosa che anche lui si affretta a fare. Poi, per far piacere al suo capo, che parla di marchi, di dollari, di rubli, di sicli, di mercato, di capitale, di cifre, di sistema olistico, di natura (il capitale la adora), d’investimenti, della fine dei popoli, di denaro, di “movimenti autonomi dei non-viventi”, predica un vangelo della rassegnazione – e alla fine si fa ammazzare per l’abbassamento dell’indice di ascolto». Quel film «segna il passaggio dalla ribellione alla sottomissione».«Può anche essere che Trump serva anche come esorcismo finale per calmare il risentimento generale americano e organizzare con più calma la bancarotta del paese che è già cominciata, anche se viene descritta raramente», scriveva Bonnal nel suo libro su Trump. «Il fascismo e la militarizzazione degli Stati Uniti descritte da Paul Craig Roberts serviranno a prevenire o schiacciare completamente tutte le ribellioni, da qualunque parte provengano. Sembra proprio che anche in Francia si stia prendendo la stessa strada». Oggi, lo scrittore conferma: «Sì, far montare il pericolo Fronte Nazionale e anche far eleggere Marine è la cosa migliore che possa succedere al sistema. La finanza e il mercato immobiliare crollati in tempi brevi serviranno ai malvagi. Sappiamo dove conduce l’ottimismo dell’antisistema (Cuba? Caracas?)». Bonnal, citando Aristotele, la definisce una tattica, «una semplice operazione di compattazione», che non mai è cambiata in migliaia di anni. Il popolo ne ha abbastanza dell’élite? Giusto. Solo che le élite «lasciano che un populista arrivi al potere, poi lo liquidano – a meno che non lo assecondino, come nel caso ben noto del caporale boemo». E conclude: «Ridiamo, siamo in buona compagnia».La rapidità della sottomissione di Trump al sistema è stata ammirevole, come la sottomissione di Syriza in Grecia o la rapidità dell’annullamento della Brexit. Come direbbe Céline, la resistenza populista non chiede altro che far sloggiare qualcuno – o cliccare furiosamente sul proprio mouse». Per lo scrittore francese Nicolas Bonnal, autore fra l’altro di un saggio sul “lato oscuro” di Mitterrand, definito “esoterista e grande iniziato”, siamo alla vigilia di una possibile, spettacolare operazione: l’elezione di Marine Le Pen all’Eliseo. Non “contro” il sistema, ma con la regia – dietro le quinte – dell’establishment, ben lieto di assistere, finalmente, al grande caos di un paese europeo nel panico: «La Francia avrebbe una sua rivoluzione arancione per strada», inoltre «si ribellerebbe alla funzione pubblica» e naturalmente «avrebbe una fuga di capitali», con «i borghesi disperati per il crollo dei prezzi degli appartamenti parigini e dei castelli antichi». Secondo Bonnal, il paese «si farebbe bloccare dalla Nato anche più velocemente della Serbia». E, quanto alla strategia della tensione, «la Francia subirebbe gli attentati più rapidi della sua storia». Attenzione: «Per tutte queste ragioni, il sistema vuole Marine».
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Giannini: e se adesso le riforme salva-Italia le fa Gentiloni?
«Ha ragione, Paolo Gentiloni: i governi non fanno miracoli. Ma se non ci prova lui, cosa ci sta a fare a Palazzo Chigi fino al 2018? Cos’ha da perdere questo governo nato sulle macerie del renzismo, tra Gigli Magici appassiti e schizzi fetidi di fango, insanabili scissioni tafazziane e improbabili lezioni californiane?». Ora vogliamo tagliare le tasse sul lavoro, annuncia il premier. È un buon inizio, per Massimo Giannini: «La stagione dei bonus, inutili e costosi, è finita». Ed è anche “un buon indizio”: il governo non vuole limitarsi a galleggiare. «Ma per curare le “cicatrici della crisi” serve una vera e propria terapia d’urto, potente e sorprendente». Può sembrare un paradosso, scrive l’editorialista di “Repubblica”, ma Gentiloni «ha un’occasione irripetibile per osare l’inosabile», nonostante siamo tutti distratti perché «troppo immersi nella torbida “Saga dei Romeo’s” (le polizze vita di Salvatore e le mazzette Consip di Alfredo)». La prima ragione nasce dalla politica monetaria. «Se in questi tre anni l’Italia non ha rivissuto il novembre nero berlusconiano del 2011, questo si deve solo a Mario Draghi», sostiene Giannini. «Dal 2013 al 2016 gli acquisti di titoli di Stato effettuati da Bankitalia e Bce sono passati da 95 a 266 miliardi. Quelli compiuti dalle banche sono cresciuti da 275 a 415 miliardi. I tassi di interesse a quota zero e il Quantitative easing ci hanno salvato. Ora tutto questo sta per finire».Spinto dalle pressioni tedesche e da un’inflazione appena risalita al 2% nell’Eurozona, Draghi a breve aumenterà i tassi. E da ottobre avvierà il cosiddetto “tapering”: cioè ridurrà gradualmente gli acquisti di bond sovrani sui mercati secondari, fino a interromperli del tutto a marzo 2018. «A quel punto l’Italia sarà senza rete: qualunque shock politico-finanziario ci esporrà alla sindrome greca». Dunque, secondo Giannini, questa “finestra” temporale Gentiloni deve usarla subito, prima che si richiuda per sempre. La seconda ragione per un clamorso cambio di passo nascerebbe dalla politica economica: «Il paese ha davanti a sé una micidiale corsa in tre tappe: manovra aggiuntiva, Documento di Economia e Finanza, Legge di stabilità. Se ci illudiamo di poterla affrontare in “surplace”, ci condanniamo a una caduta rovinosa». Per Giannini, «al punto in cui siamo serve uno scatto, che deve passare da un’ammissione e da un’ambizione. L’ammissione riguarda la manovrina da 3,4 miliardi: ammettiamo di aver sbagliato (Renzi ha scommesso “contro” Bruxelles e ha perso) e facciamola subito. L’ambizione riguarda il Def e la manovra d’autunno». Gentiloni sembra aver chiari i problemi da aggredire: tasse sul lavoro e investimenti. «Ora si tratta di intendersi sulla qualità e sulla quantità degli interventi».Secondo il giornalista, «abbattere il cuneo fiscale, a vantaggio delle imprese e dei lavoratori, è la via maestra sulla quale concentrare tutti gli sforzi». Ma attenzione: «Se il taglio sarà solo di 3-5 punti si rischia un nuovo flop (in stile 80 euro)». Un taglio magari utile sul piano statistico, «perché riavvicinerà il nostro costo del lavoro (esploso dal 36,8 al 49% tra il 2000 e il 2016) a quello della Germania», ma nei portafogli delle imprese e nelle tasche dei lavoratori il beneficio sarà modesto, quasi nullo. «Lo dimostrano gli esperimenti degli ultimi 16 anni, dal governo D’Alema nel 2000 al governo Prodi nel 2007 (che fu proprio di 5 punti, pari a 7 miliardi)». No, serve uno sforzo molto maggiore. E la stessa cosa vale per gli investimenti. «La vera sfida, adesso, non riguarda più solo gli investimenti privati (cresciuti del 2,9% nel 2016), ma quelli pubblici (crollati del 5,4%)». Questa, scrive Giannini, è la prova più dolorosa del fallimento delle politiche economiche di questi anni: «Abbiamo “estorto” all’Europa 19 miliardi di flessibilità, e siamo riusciti a sprecarli senza aumentare di un euro la domanda pubblica, e riducendola addirittura di altri 2 miliardi».Non solo: «Il Jobs Act era stato “venduto” come volano per l’arrivo di enormi flussi di capitali dall’estero (Renzi disse in tv che aveva già la lista delle multinazionali pronte ad entrare) ma purtroppo nel primo semestre 2015 è successo il contrario: gli investimenti diretti esteri sono scesi a 7,8 miliardi, con un crollo del 40,6%». Se questo è il quadro generale, osserva l’analista di “Repubblica”, Gentiloni avrebbe «una chance formidabile». Addirittura «un’operazione storica e, finalmente, davvero strutturale». Ovvero: «Un grande piano di riduzione del cuneo fiscale di almeno 10 punti, e un grande programma di rilancio degli investimenti pubblici (dalle infrastrutture di rete alla banda larga)». Per Giannini, «su un progetto del genere può valere la pena di giocarsi l’osso del collo. In Parlamento a Roma, e in Commissione a Bruxelles». Del resto, «qual è l’alternativa? Continuare a ballare sotto il Vulcano?». Per come siamo messi, conclude Giannini, «la vecchia morale andreottiana può funzionare solo al contrario: piuttosto che tirare a campare, meglio tirare le cuoia».«Ha ragione, Paolo Gentiloni: i governi non fanno miracoli. Ma se non ci prova lui, cosa ci sta a fare a Palazzo Chigi fino al 2018? Cos’ha da perdere questo governo nato sulle macerie del renzismo, tra Gigli Magici appassiti e schizzi fetidi di fango, insanabili scissioni tafazziane e improbabili lezioni californiane?». Ora vogliamo tagliare le tasse sul lavoro, annuncia il premier. È un buon inizio, per Massimo Giannini: «La stagione dei bonus, inutili e costosi, è finita». Ed è anche “un buon indizio”: il governo non vuole limitarsi a galleggiare. «Ma per curare le “cicatrici della crisi” serve una vera e propria terapia d’urto, potente e sorprendente». Può sembrare un paradosso, scrive l’editorialista di “Repubblica”, ma Gentiloni «ha un’occasione irripetibile per osare l’inosabile», nonostante siamo tutti distratti perché «troppo immersi nella torbida “Saga dei Romeo’s” (le polizze vita di Salvatore e le mazzette Consip di Alfredo)». La prima ragione nasce dalla politica monetaria. «Se in questi tre anni l’Italia non ha rivissuto il novembre nero berlusconiano del 2011, questo si deve solo a Mario Draghi», sostiene Giannini. «Dal 2013 al 2016 gli acquisti di titoli di Stato effettuati da Bankitalia e Bce sono passati da 95 a 266 miliardi. Quelli compiuti dalle banche sono cresciuti da 275 a 415 miliardi. I tassi di interesse a quota zero e il Quantitative easing ci hanno salvato. Ora tutto questo sta per finire».
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Web, 10 milioni di voci libere: ecco perché il Ddl Gambaro
Se carico filmati erotici su YouTube mi chiudono l’account, se li carico su YouPorn posso fare milioni di visionamenti. Se pubblicizzo medicine che possono avere effetti dannosi è Ok, se informo sulla relazione tra vaccini e casi di autismo fuorvio l’opinione pubblica. Se insulto il Capo dello Stato su una pagina Facebook che ho aperto in Italia rischio sanzioni e galera, se lo faccio da una pagina aperta in un’altra nazione deregolata non mi succede niente. C’è qualcosa che non va. Gli estensori del Ddl Gambaro non se ne rendono conto? Strano! Nessuno può ancora pensare che noi siamo qui a discutere questioni risolvibili con leggi nazionali. Credo che siate d’accordo. La libertà e il controllo nel web, le norme che dovrebbero regolarlo, i grandi soggetti che lo hanno costruito e lo animano… e così via, sono a ogni effetto questioni e soggetti globali, quindi è meglio alzare il punto di vista dell’osservatore, il più in alto possibile, per cercare di avere una visione d’insieme di un fenomeno molto esteso, molto dinamico e complesso.Alle Nazioni Unite, per esempio, sin dal 1995 si pose la questione delle norme nel web. Dieci anni dopo – a seguito del debutto di YouTube, nel 2005, e poi di Facebook – una delle agenzie Onu, la International Telecommunications Union di Ginevra, cominciò a convocare tutti i soggetti interessati agli Igf, “Forum sulla Governance di Internet”. Proprio ieri si sono avviate le prime consultazioni dell’Igf 2017 a Ginevra e i lavori, in questo momento, sono in corso. Quali sono le aspettative e i risultati dopo 12 anni di incontri? Scarsi. Perché? Per tanti motivi. La materia è in costante progresso, coinvolge centinaia di trattati internazionali e contrappone gli interessi dei governi (e dei militari) a quelli dei mercanti e a quelli dei popoli. I mercanti non amano il metodo di voto dell’Onu dominato dalla presenza dei governi, quindi rallentano e impediscono le decisioni in nome della libertà di commercio e della frenetica innovazione tecnologica, e hanno fatto adottare all’assemblea il sistema multi stake holder. Questo modello di misurazione delle volontà riconosce agli stake holders, ovvero i portatori di interessi, pari peso e dignità.Chi sono gli stake holders? Governi, aziende (sia commerciali che tecnologiche), accademie e la società civile. Quindi, quando si tratta di decidere rispetto alla governance di Internet, un governo ha pari peso e dignità di una multinazionale. È così. Al tavolo è chiamata ad esprimersi anche la società civile, ma le sue rappresentanze non hanno fondi e spesso sono organizzate in grandi sigle internazionali che vivono ufficialmente di donazioni, ma in realtà sono interlocutori senza voce mossi da lobbisti occulti. Risultato? A parte qualche modifica dell’Icann – l’anagrafe planetaria del web, voluta dal ministero del commercio Usa, che attribuisce nomi e domini – ciò che si è ottenuto in 12 anni è stato solo il mantenimento e l’esaltazione del dialogo. Un risultato apprezzabile – dicono i liberisti – che ha consentito alla Rete di crescere, espandersi e di non spezzarzi in “N” tronconi: una rete cinese, una araba, una occidentale e così via. È così! Lo stato del dibattito è molto alto e vivace, durante gli Igf, ma non si arriva a nulla se non a fotografare ciò che i giganti del web modificano incessantemente a loro vantaggio. In sostanza la Rete (di tutti) è nelle salde mani di pochi, cosiddetti Over the Top, che ne fanno ciò che vogliono. È strano che i firmatari del Ddl Gambaro non lo sappiano.Passiamo all’Europa. Nel nostro continente le istituzioni preposte alla creazione di regole per il web sono apparse molto distratte, che strano!, e hanno tollerato l’insediamento dei giganti in territori fiscalmente agevolati e deregolati, quali l’Irlanda e il Lussemburgo, fino ad accorgersi recentemente che: 1) i giganti Over the Top, guarda caso, tutti originati in Usa, non pagano in Europa le tasse che dovrebbero. Secondo “Forbes”, nel 2016, si tratterebbe di cifre comprese tra 50 e 70 miliardi di euro/anno sottratti al fisco da quegli stessi soggetti ai quali qualcuno vuole affidare il controllo delle “fake news” in Rete. Strano anche questo. 2) L’Europa si è accorta anche che la Rete può essere la sede di attività losche e violente. In qualche anno si è passati dall’indignazione per gli schiaffoni in classe filmati e caricati su YouTube, alla scoperta del traffico di organi nel cosiddetto deep web e dei siti che organizzano stragi. A quel punto le istituzioni europee hanno cercato di correre ai ripari, ma non risulta che ci sia alle viste un testo di norme condivisibile da tutti gli Stati membri, pertanto ogni governo locale sta agendo in modo autonomo e diverso dagli altri.La vicenda del Ddl Gambaro si inscrive in questa scena. Poco più di un mese fa, il 25 gennaio 2017, l’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, un organismo internazionale privo di poteri e che non ha niente a che fare con il Consiglio Europeo, ha approvato il rapporto “Media online e giornalismo: sfide e responsabilità”, presentato dalla senatrice Gambaro. Obiettivo: promuovere la disciplina dell’informazione online come avviene per quella offline, usando gli strumenti già a disposizione negli ordinamenti giuridici nazionali… e consentendo ai giganti del web l’uso di selettori software (algoritmi) per «rimuovere i contenuti falsi, tendenziosi, pedopornografici o violenti». La senatrice è tornata a casa con questa missione e che ha fatto? Il 7 febbraio ha presentato un Ddl al Senato che: ha molto poco a che vedere con il suo rapporto presentato al Consiglio d’Europa, in cui si disegnava una scena ben più ampia e complessa; sembra scritto da sacerdoti della Verità di Stato; utilizza gli ordinamenti giuridici nazionali soprattutto in chiave di repressione locale; adombra infine un sogno: la soluzione è il rilancio di un immenso Ordine dei giornalisti, disclipinati da una legge di 60 anni fa!Il ruolo e le responsabilità dei giganti del web non vengono mai menzionati. Strano! Eppure, lo sanno tutti, i maggiori players della vicenda Internet sono un drappello di corporations targate Usa. Tra queste: Google-YouTube (confluita in Alphabet), Facebook, Amazon, e-Bay, Yahoo, PayPal. Ognuno di loro, è stato ampiamente dimostrato, chi più chi meno, lavora alacremente a raccogliere Big Data e li passa poi ai pubblicitari e ai servizi segreti. Addirittura, per legge (il Patriot Act), li passa alla Nsa statunitense. Queste sono le loro principali ragion d’essere. Il loro ruolo, dopo una stagione di seduzione, di promesse di libertà di espressione e di uguaglianza e dopo la nascita dei social network, si è rivelato per quello che è: sono megastrutture “pompate nelle Borse”, grandi evasori fiscali, al servizio dei mercanti globali, alleate con alcuni governi e in guerra con altri. Il loro fine ultimo è concedere visibilità in cambio della gestione e del controllo della privacy, degli spazi pubblicitari e dell’e-commerce. In pochi anni hanno mutato la vita sociale, la produzione della cultura, il commercio, e hanno creato stili di vita sempre più uniformi.Grazie all’immenso fenomeno dei “contenuti generati dagli utenti”, ai sistemi di cross selling in rete, all’impero delle carte di credito, l’alleanza Ott–mercanti, a partire dal 2009 ha prodotto enormi risultati. Tra questi è rilevante l’avvenuta sudditanza dei media mainstream al potere, che era già in latenza ma si è conclamata, grazie alla sottrazione di risorse pubblicitarie che sono state destinate al web. Oggi nessun editore è ormai più indipendente, tutti vengono usati a sostegno della visione di potere… e forse questo è anche il motivo per cui il Ddl Gambaro li esclude dalle sanzioni? E arriviamo ai “contenuti generati dagli utenti”, i Cgu (blogs, pagine Fb, canali Yt). Credo sia la prima volta che vengono menzionati con tale dicitura – all’articolo 8 – in un Ddl. Le sanzioni e le pene sono pensate soprattutto per loro. Questo imponente fenomeno che coinvolge nel mondo 2 miliardi di utenti solo su Fb e Yt, riguarda in Italia 50 milioni di accounts. E di questi il 10% è considerabile “antagonista”. Il fenomeno non è mai stato analizzato a fondo da giuristi, economisti e politici. I Cgu hanno scardinato negli ultimi 12 anni alla radice la comunicazione di massa e quindi anche la politica e il costume. Ma ora si stanno rivelando un boomerang. Perché?Avendo ridotto di molto l’autorevolezza dei media tradizionali ed essendosi sostituiti ad essi in occasioni altamente strategiche grazie a testimonianze scritte e filmate imprevedibili e non controllabili, i Cgu hanno consentito la misurazione di una mente collettiva tumultuosa, non conformista, populista e non riconducibile alla divisione classica destra/sinistra. Però molto reale, attiva e determinante per l’organizzazione del consenso non solo elettorale (vedi Brexit, No alla riforma costituzionale, Trump e il dibattito su Europa matrigna, euro, signoraggio bancario, debito predatorio). Quindi il potere cerca di correre ai ripari. La domanda è: perchè non c’è stato il setaccio alle origini? Perchè non ci doveva essere. Almeno nella fase in cui gli Ott hanno usato i Cgu per raggiungere alcuni obiettivi prima impensabili, tra i quali la sudditanza generalizzata. Per diventare sudditi e partecipare all’orgia digitale bastava e basta un semplice “I accept”… “Io accetto le norme di chi mi ospita”. Oggi, però, su pressione di alcuni governi e potentati, gli Ott stanno cominciando a “setacciare”… tanto, gli obiettivi delle origini sono per loro stati raggiunti, i Big Data sono stati accumulati, la pubblicità ingannevole dilaga a costi minimi per gli inserzionisti; il mainstream è asservito, centinaia di milioni di umani vengono veicolati all’acquisto di merci e servizi di massa, globalizzati e inquinanti. I mercanti hanno vinto, ora “selezionano” le truppe digitali che appaiono non ossequiose.Accenniamo ora all’evanescente concetto di “fake news”, bufale, notizie vero/falso… questo tipo di comunicazione esiste da sempre (dai tempi di Nerone, dai tempi di Giordano Bruno). La novità è che la rete è un enorme amplificatore di tutto, quindi anche di “fake news”, le sue caratteristiche di velocità e ubiquità e possibile anonimità, la rendono una dimensione in cui il vero e il falso possono coincidere nello stesso spazio tempo. Questo determina aspetti politici e sociali inaspettati. Quando il potere planetario, organizzato nelle sue diverse aree di influenza, nonostante abbia sottratto sovranità ai governi locali, si accorge che i media al suo servizio non sono in grado di raggiungere un’organizzazione del consenso per esso soddisfacente; quando si accorge che esistono sacche quali Wikileaks e Anonimous e milioni di Cgu che sono incontrollabili e destabilizzanti, il potere planetario si innervosisce e tira le orecchie ai governi locali lanciando una semplice parola d’ordine, “meno libertà e più controllo… datevi da fare, ognuno sul proprio territorio”. E così si mette in moto la macchina del controllo e talvolta, come nel caso del Ddl Gambaro, va fuori strada e diventa la macchina della repressione.I firmatari tentano di addolcire la pillola con le proposte di alfabetizzazione e promozione dell’uso critico dei media online. Bene! Oltre che nelle scuole secondarie (se mai la faranno) la facessero in prima serata sulle reti Rai, visto che tanto paghiamo sempre noi. Ma diciamoci una verità: perchè il Ddl Gambaro non menziona e reprime le bufale diffuse dalla pubblicità e dai media mainstream? Perchè non controlla e reprime le migliaia di “fake news” che ogni giorno circolano in Rete mascherate da suggerimenti per fare affari nelle Borse? O addirittura per salvare i risparmi di una vita, mettendoli in realtà a rischio? Queste sì che sono fake news destabilizzanti. Eccome! Noi però non possiamo dimenticare che «la democrazia punisce i fatti compiuti mentre è la dittatura che punisce le opinioni».(Glauco Benigni, “I grandi mercanti del web ora vogliono setacciare gli utenti”, da “Megachip” del 3 marzo 2017. Benigni è presidente di Wac, Web Activists Community).Se carico filmati erotici su YouTube mi chiudono l’account, se li carico su YouPorn posso fare milioni di visionamenti. Se pubblicizzo medicine che possono avere effetti dannosi è Ok, se informo sulla relazione tra vaccini e casi di autismo fuorvio l’opinione pubblica. Se insulto il Capo dello Stato su una pagina Facebook che ho aperto in Italia rischio sanzioni e galera, se lo faccio da una pagina aperta in un’altra nazione deregolata non mi succede niente. C’è qualcosa che non va. Gli estensori del Ddl Gambaro non se ne rendono conto? Strano! Nessuno può ancora pensare che noi siamo qui a discutere questioni risolvibili con leggi nazionali. Credo che siate d’accordo. La libertà e il controllo nel web, le norme che dovrebbero regolarlo, i grandi soggetti che lo hanno costruito e lo animano… e così via, sono a ogni effetto questioni e soggetti globali, quindi è meglio alzare il punto di vista dell’osservatore, il più in alto possibile, per cercare di avere una visione d’insieme di un fenomeno molto esteso, molto dinamico e complesso.
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Il Papa: leggete la Bibbia. E se scoprono che Dio lì non c’è?
Ah, se solo leggeste la Bibbia almeno quanto leggete i messaggi sul telefonino… Parola di Papa Francesco, sicuro che ai suoi fedeli farebbe bene leggere l’Antico Testamento. Lo ripete (da tutt’altro punto di vista) anche Mauro Biglino, le cui traduzioni – letterali, dall’ebraico antico, pubblicate da Uno Editori e da Mondadori – stanno smontando i dogmi basati sull’interpretazione monteistica delle “sacre scritture”. «Leggetela, la Bibbia», ripete Biglino, «e scoprirete che non parla affatto di Dio, di nessun Dio». Ovvero: in ebraico non esistono né la parola “Dio” né il concetto stesso di divinità. Nella Bibbia, spiega Biglino (autore di 17 traduzioni ufficiali della Bibbia per le Edizioni San Paolo), non compaiono testualmente neppure le parole “creazione”, “eternità”, “onnipotenza”, di cui invece sono piene le Bibbie tradotte (molto liberamente) nelle edizioni moderne. «Tutte “invenzioni” della teologia, basate su traduzioni scorrette, erronee o deliberamente false, per accreditare l’idea che la Bibbia parli di Dio». Il problema? «Spesso, chi raccomanda di leggere la Bibbia non l’ha mai letta, in ebraico. Chi la predica non la conosce affatto, nella versione originale. Altrimenti saprebbe che quel libro non parla mai di nessun Dio, ma solo di un “Elohim” chiamato Jahvè, presentato insime ad altri “Elohim”, suoi pari. E nessuno al mondo sa cosa significhi la parola “Elohim”, che la teologia – senza giustificarlo in alcun modo – traduce arbitrariamente con il termine “Dio”».La tesi di Biglino non è mai stata smentita da nessuno, neppure dagli importanti teologi convocati a Milano per un confronto aperto sulle Scritture, tra cui il rabbino capo della comunità ebraica di Torino, Ariel Di Porto, e monsignor Avondios (Dumitru Bica), arcivescovo milanese della Chiesa ortodossa. «Se avessimo certezza di Dio, Dio non sarebbe», ammette don Ermis Segatti, docente di storia del Cristianesimo alla facoltà teologica dell’Italia settentrionale. Nettissimo anche il biblista e pastore valdese Daniele Garrone, autore di dizionari di ebraico antico: «Nella Bibbia, se volete, c’è la fiducia che sia risuonata la parola di Dio». Tutto qui: «La fiducia, se volete». Ma non l’equazione “Jahvè uguale Dio”. Autore ultra-contestato dai “partigiani” del monoteismo biblico, Mauro Biglino è diventato un fenomeno editoriale, con decine di migliaia di titoli venduti, anche all’estero. Provocazioni? No: solo il gusto della ricerca libera, fondata sul dubbio. «Sulla Bibbia – precisa – non ho alcuna certezza. Non sono nemmeno sicuro che racconti la verità. Nessuno, del resto, può avere certezze: l’unica cosa sicura è che questa Bibbia non è l’originale. Il testo attuale è stato rimaneggiato, per l’ultima volta, dai biblisti ebrei Masoreti all’epoca di Carlomagno. Nessuno sa che in che lingua sia stata scritta, e da chi: la Bibbia è un libro senza fonti storiche, senza alcuna traccia della vera identità dei suoi numerosi autori».Lo stesso Biglino si guarda bene dal negare l’esistenza di Dio: «Non ho le certezze degli atei», chiarisce. «Semplicemente, non mi occupo dei mondi spirituali, perché non ne so nulla». Rivendica però il diritto di rileggere la Bibbia nel modo più semplice: alla lettera, in ebraico. «Non nego affatto la legittimità dell’interpretazione tradizionale, teologica, così come di tutte le altre, l’interpretazione allegorica, quella simbolica, quella esoterica. Chiedo però che la traduzione testuale abbia, almeno pari dignità». Biglino contesta i propagandisti clericali: «Pretendono di far dire alla Bibbia cose che quel libro non dice. Magari non conoscono la lingua in cui è stato scritto, eppure sostengono che – laddove ad esempio parla di guerra, cioè quasi ovunque – in realtà parli di pace, in modo allegorico. Ma perché mai gli autori biblici, in un mondo di analfabeti, avrebbero dovuto rifugiarsi nel linguaggio cifrato? La Bibbia in realtà è chiarissima: parla della ferrea dominazione di un “Elohim” chiamato Jahvè su una famiglia, quella di Giacobbe, senza mai neppure spiegare esattamente cosa fosse, un “Elohim”».Certo, per la Bibbia – alla lettera – Jahvè non è un Dio: degli “Elohim”, che erano tanti, la Scrittura dice che erano individui potenti ma in carne e ossa, col bisogno di mangiare, riposarsi, lavarsi. Jahvè è definito “maschio di guerra”, guerriero. La sua specialità? «Guerre di sterminio: genocidi, infanticidi, femminicidi». Biglino lo definisce «il più grande antisemita della storia, dato che le “guerre sante” di Jahvè, come quella contro i Madianiti, erano condotte dal gruppo di Giacobbe contro parenti prossimi, tutti discendenti di Abramo». Da Javhè, in ogni caso, mai un accento etico, men che meno metafisico o religioso: i suoi famosi “comandamenti” – non 10, ma oltre 600 – erano semplici regole per disciplinare una comunità piuttosto primitiva e violenta, organizzata in modo militare. «Leggetela davvero, la Bibbia», ripete Biglino: «Persino nella versione tradizionale, in italiano, vi accorgerete che non parla di Dio». E nemmeno di Gesù, aggiunge Biglino, citando l’ultima versione dell’Antico Testamento tradotta quest’anno dai vescovi tedeschi, che smonta «la falsa profezia dell’avvento del Messia», attribuita al libro di Isaia. La traduzione consueta, “la vergine partorirà”, è stata sostituita da quella letterale, “la ragazza è incinta”. Il testo non allude quindi “profeticamente” a Maria di Nazareth, ma una donna della tribù di Giuda. Quel “messia” già in arrivo, secoli prima di Cristo, avrebbe dovuto liberare i giudei dalla dominazione assiro-babilonese. Leggere la Bibbia? Sì, ma alla lettera. E le sorprese non finiscono mai.Ah, se solo leggeste la Bibbia almeno quanto leggete i messaggi sul telefonino… Parola di Papa Francesco, sicuro che ai suoi fedeli farebbe bene leggere l’Antico Testamento. Lo ripete (da tutt’altro punto di vista) anche Mauro Biglino, le cui traduzioni – letterali, dall’ebraico antico, pubblicate da Uno Editori e da Mondadori – stanno smontando i dogmi basati sull’interpretazione monteistica delle “sacre scritture”. «Leggetela, la Bibbia», ripete Biglino, «e scoprirete che non parla affatto di Dio, di nessun Dio». Ovvero: in ebraico non esistono né la parola “Dio” né il concetto stesso di divinità. Nella Bibbia, spiega Biglino (autore di 17 traduzioni ufficiali della Bibbia per le Edizioni San Paolo), non compaiono testualmente neppure le parole “creazione”, “eternità”, “onnipotenza”, di cui invece sono piene le Bibbie tradotte (molto liberamente) nelle edizioni moderne. «Tutte “invenzioni” della teologia, basate su traduzioni scorrette, erronee o deliberamente false, per accreditare l’idea che la Bibbia parli di Dio». Il problema? «Spesso, chi raccomanda di leggere la Bibbia non l’ha mai letta, in ebraico. Chi la predica non la conosce affatto, nella versione originale. Altrimenti saprebbe che quel libro non parla mai di nessun Dio, ma solo di un “Elohim” chiamato Jahvè, presentato insime ad altri “Elohim”, suoi pari. E nessuno al mondo sa cosa significhi la parola “Elohim”, che la teologia – senza giustificarlo in alcun modo – traduce arbitrariamente con il termine “Dio”».
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Craig Roberts: pazzi criminali, spingeranno Trump in guerra
Non gliene importa nulla se il 10% dell’arsenale nucleare di Usa e Russa basta e avanza per cancellare la vita sul pianeta: al clan dell’intelligence Usa sono bastati 24 giorni – il tempo in cui è rimasto in carica il generale Flynn, consigliere per la sicurezza nazionale – per archiviare le promesse di distensione, dopo le forti tensioni con Mosca create a freddo dal regime di Obama. Lo afferma Paul Craig Roberts, già viceministro di Reagan: ai media “presstitute” (“New York Times”, “Washington Post”, “Cnn” e “Nbc”) sono bastate le “fake news” sul conto di Flynn costruite a tavolino da John Brennan, il direttore della Cia voluto da Obama, che «ha costruito dossier falsi» riguardo all’amicizia “pericolosa” tra Flynn e Putin, come documenta Gareth Porter su “Information Clearing House”. «Rapporti falsi, nessuno dei quali conteneva alcuna prova». Il movente? Semplice: la minaccia, da parte di Flynn, di ridimensionare il budget militare, 1.000 miliardi di dollari l’anno per gli armamenti e il business della sicurezza. Risultato: «I media occidentali sono più impegnati a servire il padrone della Cia di quanto non siano a servire la pace tra potenze nucleari».Sconsolato, un osservatore come Patrick Lawrence dichiara: «Le luci su di noi stanno oscurando. Siamo stati abbandonati da una stampa che si dimostra incapace di informarci in modo disinteressato. Sia i media “liberal”, clintoniani, che i giornali e le emittenti, sono servi del potere». Restano i media “alternativi”, aggiunge Craig Roberts sul suo blog, ma sono tutti sotto attacco: Rt, Usa Watchdog, Alex Jones, Information Clearing House, Global Research, Unz Review. «A quanto pare, Alex Jones sta già avendo problemi con Google», e centinaia di altri siti web sono in difficoltà: pagine rimosse, articoli non più indicizzati, perdita dei banner pubblicitari. «Come dicevano i nazisti, tutto quello che serve è la paura: portare il popolo al collasso», scrive Craig Roberts, secondo cui «la presidenza di Trump è effettivamente finita: anche se gli sarà permesso di rimanere in carica, a comandare sarà lo Stato Profondo». Trump si è già arresto alla linea del Pentagono: ha detto che la Russia deve restituire la Crimea all’Ucraina, mentre in realtà è la Crimea che è tornata, da sola, alla Russia. In più ha respinto una nuova limitazione delle armi strategiche, il trattato Start con la Russia, affermando che vuole la supremazia Usa negli armamenti nucleari, non la parità.Dopo appena un mese alla Casa Bianca, scrive Craig Roberts, l’obiettivo di Trump è già cambiato. Nuove tensioni in vista con la Russia, e non solo: «Ci sono piani per occupare parte della Siria con truppe statunitensi, al fine di evitare che la Siria riesca a riunificarsi con l’aiuto della Russia, come segnala “Global Research”». Il piano di smembramento che Trump approverebbe? Parte della Siria andrebbe alla Turchia, un’altra parte ai curdi, mentre una porzione di territorio siriano finirebbe sotto in controllo militare Usa, in modo che Washington possa «mantenere le turbolenze in corso per sempre». Una catastrofe, per Putin, che contava su Trump per eliminare l’Isis. «E’ difficile capire se il nuovo regime Trump è più iranofobico o russofobico: l’inclinazione è quella di buttare a mare l’accordo con l’Iran, riaprendo il conflitto con Mosca, oltre che con la Cina». Certo, osserva Craig Roberts, «è strano vedere i “liberal-progressisti” di sinistra alleati con i guerrafondai contro Trump. E’ come tirare fuori l’Armageddon nucleare dalla tomba in cui l’avevano sepolto Regan e Gorbaciov». Così, oggi, «la sinistra americana chiede l’impeachment del presidente il cui obiettivo era migliorare le relazioni con la Russia».In politica interna, l’obiettivo di Trump erano i posti di lavoro per la classe operaia? Il problema «lascia fredda la sinistra», che vuole solo «distruggere il “deplorevole” Trump», demonizzato come «razzista, misogino, omofobo». Chi poi si oppone «all’ideologia neo-conservatrice che sta guidando la politica estera Usa verso l’egemonia mondiale», viene bollato come «agente di Putin». Aggiunge Craig Roberts: «Il motivo per cui c’è ancora vita sulla Terra dopo più di mezzo secolo di armi nucleari è che i presidenti americani e leader sovietici hanno lavorato insieme per ridurre le tensioni. Nel corso di questi decenni, ci sono stati numerosi falsi allarmi di missili Icbm in arrivo. Tuttavia, perché le leadership di entrambi i paesi stavano lavorando insieme per evitare il conflitto nucleare, gli avvertimenti sono stati creduti sia dai sovietici che dagli americani». Oggi invece la situazione è molto diversa. Gli ultimi tre presidenti degli Stati Uniti, scrive Craig Roberts, «hanno fatto gli straordinari per aumentare le tensioni tra le due potenze nucleari». Oggi, poi, «si è lavorato per convincere il governo russo che quello di Washington sia completamente inaffidabile». Le storie sui collegamenti “russi” di Trump «sono così ovviamente false da essere ridicole, ma i russi stanno vedendo che, nonostante la falsità delle accuse, il consigliere per la sicurezza nazionale di Trump è caduto, e Trump stesso potrebbe essere il prossimo».In altre parole, conclude Craig Roberts, i russi «stanno osservando che in America i fatti non sono rilevanti per i risultati». L’avevano già capito dopo «le bugie su Putin, l’Ucraina, la Georgia, e le intenzioni russe verso l’Europa». Putin è abitualmente chiamato “delinquente”, “assassino”, “il nuovo Hitler” dai politici americani, dalle “presstitutes” della stampa e da Hillary Clinton. Generali del Pentagono descrivono la Russia come «la principale minaccia per gli Stati Uniti», mentre «comandanti della Nato affermano che l’esercito russo potrebbe occupare i Paesi Baltici e la Polonia in qualsiasi momento». Sono accuse deliranti, «prive di senso», che però «suggeriscono ai russi l’idea che l’Occidente stia preparando le sue popolazioni per un attacco alla Russia». In una situazione simile, come si farà a riconoscere eventuali falsi allarmi? Come potranno mantenere i nervi saldi, gli americani «convinti che Putin e la Russia siano l’incarnazione del male»? E i russi, a loro volta, come potranno pensare che gli americani non facciano sul serio? «Questo è il rischio estremo», conclude Craig Roberts: l’Armageddon, pericolo al quale «hanno esposto la vita sulla Terra». Loro, naturalmente: «I neoconservatori folli, gli idioti, l’avido complesso militare e di sicurezza, i liberal-progressisti di sinistra e generali aggressivi. E le poche voci di avvertimento vengono liquidate come “agenti russi”».Non gliene importa nulla se il 10% dell’arsenale nucleare di Usa e Russa basta e avanza per cancellare la vita sul pianeta: al clan dell’intelligence Usa sono bastati 24 giorni – il tempo in cui è rimasto in carica il generale Flynn, consigliere per la sicurezza nazionale – per archiviare le promesse di distensione, dopo le forti tensioni con Mosca create a freddo dal regime di Obama. Lo afferma Paul Craig Roberts, già viceministro di Reagan: ai media “presstitute” (“New York Times”, “Washington Post”, “Cnn” e “Nbc”) sono bastate le “fake news” sul conto di Flynn costruite a tavolino da John Brennan, il direttore della Cia voluto da Obama, che «ha costruito dossier falsi» riguardo all’amicizia “pericolosa” tra Flynn e Putin, come documenta Gareth Porter su “Information Clearing House”. «Rapporti falsi, nessuno dei quali conteneva alcuna prova». Il movente? Semplice: la minaccia, da parte di Flynn, di ridimensionare il budget militare, 1.000 miliardi di dollari l’anno per gli armamenti e il business della sicurezza. Risultato: «I media occidentali sono più impegnati a servire il padrone della Cia di quanto non siano a servire la pace tra potenze nucleari».
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La caverna dei 7 ladri: Gelli, il Pci e il tesoro di Jugoslavia
Belgrado, 17 marzo 1941. Su 57 autocarri sono caricate 1.300 cassette di legno, sulle quali è stampigliata la scritta Banque Nationale Royame de Jugoslavie, Caisse Centrale. Ciascuna cassetta è numerata in rosso e contiene 55 chili d’oro fino in lingotti, per un totale presunto di 60 tonnellate. Su altri otto autocarri viaggia un altro tesoro: fondi neri di generali e ministri jugoslavi in fuga al seguito del re, per un totale di 64,494.177 dinari, 223 mila franchi francesi, 175 mila corone, 76.675 mila dollari. Poi c’è un terzo tesoro, quello della corona: sacchi di ruvida tela che contengono 500 milioni di dinari in biglietti da mille, e un imprecisato numero di casse piene di gioielli e monete d’oro. Il 14 aprile, sotto la scorta di cento uomini, il convoglio arriva a destinazione nei pressi di Cattaro, ma nel frattempo la situazione militare crolla: fra il 9 e il 13 aprile l’Italia occupa la Dalmazia fino alle bocche di Cattaro. Il 15 aprile il tenente di stato maggiore che comanda il prezioso convoglio, riceve l’ordine, in attesa dell’imbarco per l’Egitto, di nascondere il tesoro in una caverna naturale a due chilometri dalla città di Niksic, sulla strada per Podgoriza, vicino alla base navale di Cattaro: la caverna dei sette ladri, così chiamata per via di sette banditi che nell’Ottocento vi nascondevano il frutto delle loro scorrerie.Il giovane re Pietro volle però che il tesoro della corona fosse nascosto nelle grotte del monastero del patriarca Gavrilov, sul monte Ostrog. Tenne per sé 15 milioni di dinari per le spese personali e per la fuga. Intanto il 17 aprile l’Italia con le divisioni Centauro, Messina e Marche, occupa l’intero Montenegro, e improvvisamente, il piano del governo jugoslavo e dell’ambasciatore inglese per imbarcare il tesoro, diventa impraticabile. Entrano in scena i servizi segreti militari italiani. Il generale Mario Roatta localizza l’oro jugoslavo attraverso il generale Riccardo Pentimalli, comandante della divisione Marche, e fa piantonare la caverna. Entra in scena Licio Gelli, che all’epoca è in Jugoslavia al seguito di un ex federale di Pistoia, Luigi Alzona, diventato rappresentante del Servizio Informazione Militari (Sim). E’ proprio Gelli a proporre l’idea di un falso treno ospedale diretto a Trieste, per trasportare il tesoro jugoslavo. Con questo stratagemma il tesoro raggiunge l’Italia, i cinque vagoni che lo trasportavano furono parcheggiati in un binario morto dopo la stazione di Trieste. Lì, Alzona e Gelli lo consegnarono ad altri agenti del Sim.A questo punto, il bottino si divise: otto tonnellate d’oro furono consegnate alla Banca d’Italia, le altre per la maggior parte furono nascoste dagli stessi funzionari della Banca d’Italia in varie località segrete, dove restarono fino alla liberazione di Roma sotto il controllo del governatore Azzolini, di Roatta e di Pentimalli. In questo quadro si inserirebbe un incontro tra Licio Gelli e Palmiro Togliatti, nella sede romana del Pci, dove Gelli sarebbe giunto scortato da tre ex partigiani comunisti, incaricati dal Cln, al comando di Bruno Tesi. Perché ci sarebbe stato questo incontro? Gelli voleva un appoggio per far sbiadire i suoi trascorsi fascisti? Forse voleva parlare del malloppo jugoslavo, barattando l’informazione con protezioni politiche? Di certo si sa che in questo periodo del presunto colloquio con Togliatti, Gelli ebbe vari contatti con esponenti responsabili del Pci. Nel 1945, via mare e in gran segreto, 27 tonnellate d’oro del tesoro jugoslavo furono restituite a Tito. Solo nel 1947, ufficialmente, furono restituite le otto tonnellate conservate nelle casseforti della Banca d’Italia.Nel frattempo i protagonisti della vicenda dell’oro jugoslavo, Roatta, Pentimalli, Azzolini e Gelli, approdano con pochi danni dal regime fascista a quello democratico. La scure dell’epurazione non colpì nessuno dei quattro protagonisti, che alla fine furono tutti riabilitati nel secondo grado di giudizio, perché “ingiustamente” condannati. Secondo Gianfranco Piazzesi, autore del libro “La caverna dei sette ladri” (Baldini & Castoldi, 1996), dopo l’incontro con Togliatti, Gelli poté entrare nell’isola della Maddalena sotto la tutela degli americani, dove lo raggiunse la moglie e il resto della famiglia, tutti al sicuro da eventuali vendette partigiane. Il suo iter giudiziario fu davvero poco drammatico. Fu spedito nelle carceri di Cagliari e di Napoli. A Regina Coeli, poi, condivise la cella con Junio Valerio Borghese, il principe nero, ex comandante della X Mas. Nel 1947 fu in carcere a Pistoia, poi a Firenze con l’accusa di collaborazionismo. Nel 1947 Togliatti, ministro della giustizia, promulga l’amnistia, dalla quale sono esclusi solo i colpevoli di sevizie particolarmente efferate. Gelli ha collaborato con i nazisti, ma si è fatto anche vedere a fianco dei partigiani e i documenti del Cln sono tutti a suo favore. Gelli rientra a pieno titolo nei casi previsti dall’amnistia. E il tesoro? Oltre venti tonnellate d’oro restarono in mani misteriose.(Lara Pavanetto, “La caverna dei sette ladri, ovvero come l’esercito italiano trafugò l’oro jugoslavo grazie a Licio Gelli. Cattaro 1941”, dal blog della Pavanetto, 5 ottobre 2014).Belgrado, 17 marzo 1941. Su 57 autocarri sono caricate 1.300 cassette di legno, sulle quali è stampigliata la scritta Banque Nationale Royame de Jugoslavie, Caisse Centrale. Ciascuna cassetta è numerata in rosso e contiene 55 chili d’oro fino in lingotti, per un totale presunto di 60 tonnellate. Su altri otto autocarri viaggia un altro tesoro: fondi neri di generali e ministri jugoslavi in fuga al seguito del re, per un totale di 64,494.177 dinari, 223 mila franchi francesi, 175 mila corone, 76.675 mila dollari. Poi c’è un terzo tesoro, quello della corona: sacchi di ruvida tela che contengono 500 milioni di dinari in biglietti da mille, e un imprecisato numero di casse piene di gioielli e monete d’oro. Il 14 aprile, sotto la scorta di cento uomini, il convoglio arriva a destinazione nei pressi di Cattaro, ma nel frattempo la situazione militare crolla: fra il 9 e il 13 aprile l’Italia occupa la Dalmazia fino alle bocche di Cattaro. Il 15 aprile il tenente di stato maggiore che comanda il prezioso convoglio, riceve l’ordine, in attesa dell’imbarco per l’Egitto, di nascondere il tesoro in una caverna naturale a due chilometri dalla città di Niksic, sulla strada per Podgoriza, vicino alla base navale di Cattaro: la caverna dei sette ladri, così chiamata per via di sette banditi che nell’Ottocento vi nascondevano il frutto delle loro scorrerie.