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Barare e rubare senza vergogna, così si diventa Germania
Volete essere l’economia leader di questa (putrefatta) Eurozona? Facile: barate, ma barate proprio in modo disgustoso, senza vergogna. Ecco le ricette. A) Inventatevi una Cassa Depositi e Prestiti, dategli il nome di Kfw, fatele investire soldi pubblici nelle aziende private nazionali senza che neppure un centesimo di questi soldi compaia nei famigerati conti di Stato, così nessuno a Bruxelles se ne accorge e vi mette le manette. B) Fate riforme del lavoro che fanno ristagnare i salari nazionali per 12 anni, così le vostre mega-industrie nazionali possono esportare a prezzi concorrenziali succhiando il sangue ai loro dipendenti. Ma quando questi s’infuriano (perché non sono tutti idioti), date la colpa delle loro pene non al governo né ai giganti dell’export, no! La colpa è di altri paesi europei, quelli spendaccioni, stupidi e incapaci.C) Create un sistema di moneta unica europea che ha in sé un complesso meccanismo finanziario per cui il vostro concorrente industriale numero uno, l’Italia, verrà spazzato via, messo in crisi e deprezzato all’estremo. Così le vostre patetiche Pmi (che in questo caso si chiamano Mittelstand) potranno venire in Italia a rubarci i nostri super-brevetti e le nostre prodigiose tecnologie per due soldi bucati, e portarsele a casa loro. Oh!, e i lavoratori/imprenditori italiani… bè c’è sempre un gabinetto dove metterli, no? D) Dettate la legge suprema della competitività in Europa, dove la regola numero uno è, ad esempio, prendere un Monti o una Fornero, promettergli la paghetta finale (consulenze private milionarie in ambito finanziario) a patto che diminuiscano drammaticamente sia i salari italiani che le pensioni. Ma a casa vostra fate esattamente il contrario: diminuite l’età pensionabile e fate addirittura intervenire la Banca Centrale (!) a dire che i salari vanno aumentati.F) Strombazzate in tutte le sedi di potere tecnocratico che la vostra disoccupazione è la minore in Europa, quando la verità è che barate da prendervi a schiaffi, perché avete il più alto tasso di lavoratori sottopagati rispetto alla media di reddito nazionale di tutta Europa, ma guarda caso risultano come occupati! G) Fate la voce grossa sulle RIFORME, che tutti ’sti paesi mollicci del sud Europa devono assolutamente fare perché sono spendaccioni, corrotti, incapaci zavorre all’economia del continente. Ma poi nascondete con oculatezza che l’Ocse vi mette al ventottesimo posto su 34 paesi come efficienza nelle… RIFORME! Cioè siete dei brocchi da vergognarsi. Ma con gli altri fate la voce grossa. H) Cambiate rapidamente discorso quando qualcuno vi ricorda che prima dell’introduzione dell’euro, cioè della macchina monetaria che vi permette di barare, c’era un piccolo industrioso paese chiamato Italia che vi faceva un c… così sia in termini di esportazioni, che come innovazione tecnologica, ed era esattamente al vostro pari nei maggiori parametri macroeconomici come Posizione Patrimoniale sull’Estero, Conto delle Partite Correnti e Debito Privato (qui poi noi italiani siamo ancora di gran lunga messi meglio).I) Vantate di avere una grande autorevole seria mega-banca, leader mondiale… mica ’ste botteghe di pochi spiccioli come hanno gli altri. Ma nascondete di nuovo che ’sta vostra illustrissima banca non è solo stra-fallita, con un equity capital ratio (l’opposto del leverage ratio) del 2,5%, cioè come avere 15 euro in cassa e avere debiti di miliardi con il Pentagono. E nascondete che ’sta vostra big bank si è anche accumulata scommesse in derivati (dinamite senza pompieri) per un totale di 20 volte il Pil del vostro stesso paese. E quando salta quella, la vostra illustrissima banca, salta il mondo. Ma voi zitti! Mentite con la faccia come il c… sul modello mondiale che ’sta vostra banca putrefatta rappresenta. Insomma, volete primeggiare in questa Eurozona? Mentite, barate, spogliatevi della minima decenza, siate bugiardi oltre il tollerabile… in altre parole chiamatevi Germania e Deutsche Bank.Ps: poi hanno il più alto giro di mazzette in termini assoluti di tutta Europa (Craxi era un pivello). E siccome hanno dato il pretesto (la tragedia dell’Olocausto) ai sionisti ebrei per massacrare i palestinesi, dovrebbero pagare di tasca loro un piano Marshall per tutta la Palestina. Ma non solo: i tedeschi dovrebbero essere processati per crimini contro l’umanità in Grecia, oggi. Dai, i tedeschi sono nazisti nel Dna, inutile, o l’Onu commissaria la Germania in blocco, oppure continueranno a fare Olocausti. Ce l’hanno nel Dna di essere nazisti.(Paolo Barnard, “Per essere Germania bisogna rubare, barare… fare proprio schifo”, dal blog di Barnard del 2 agosto 2014).Volete essere l’economia leader di questa (putrefatta) Eurozona? Facile: barate, ma barate proprio in modo disgustoso, senza vergogna. Ecco le ricette. A) Inventatevi una Cassa Depositi e Prestiti, dategli il nome di Kfw, fatele investire soldi pubblici nelle aziende private nazionali senza che neppure un centesimo di questi soldi compaia nei famigerati conti di Stato, così nessuno a Bruxelles se ne accorge e vi mette le manette. B) Fate riforme del lavoro che fanno ristagnare i salari nazionali per 12 anni, così le vostre mega-industrie nazionali possono esportare a prezzi concorrenziali succhiando il sangue ai loro dipendenti. Ma quando questi s’infuriano (perché non sono tutti idioti), date la colpa delle loro pene non al governo né ai giganti dell’export, no! La colpa è di altri paesi europei, quelli spendaccioni, stupidi e incapaci.
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Padoan? Disco rotto: promette ripresa ma fa solo tagli
«Ricordiamoci che lo Stato continua a prelavare dall’economia reale più di quanto eroghi, al netto degli interessi. La politica rimane di austerity. E finché rimane di austerity saranno guai». Parola di Emiliano Brancaccio, economista dell’università del Sannio, intervistato da “Radio Popolare” all’indomani dell’ultimo bollettino di guerra sulla situazione italiana: altro giro di vite della recessione (-0,2%), nonostante i sorrisi di Renzi e le rassicurazioni del ministro Padoan, secondo cui l’industria è comunque in ripresa. Gli italiani? Devono «mantenere la fiducia e spendere al meglio quegli 80 euro». C’è da ridere per non piangere: «Lasciamo stare l’invito del ministro a spendere», replica Brancaccio. «La verità è che quel bonus di 80 euro da un lato non funziona perché i lavoratori hanno dovuto comunque far fronte al deterioramento dei risparmi che si è verificato nel corso di lunghi anni di crisi. Dall’altro, quel bonus si inscrive comunque in una politica economica complessiva che rimane di austerità».Nel mainstream, la “verità” della tragedia italiana viene regolarmente oscurata, minimizzata. Gli interventi come quello di Brancaccio, limitati a brevissimi spot. L’infernale ordinamento della macchina tecnocratica europea – la Troika, l’Eurozona, il rigore come “normalità istituzionale” – non è minimamente analizzato. Non si dice mai che l’unica economia “ammessa” è quella neoliberista, che prescrive il suicidio dello Stato come soggetto strategico: l’interesse pubblico deve sparire, per non ostacolare la privatizzazione epocale di tutti i servizi e la frantumazione del lavoro, sempre più precario. La cosiddetta crisi europea non è “un incidente”, ma un piano preciso. E persino quando la stessa Ue ammette che la crisi peggiora, nessuna analisi ha vera cittadinanza sui grandi media. Così, a commentare gli ultimi dati sulla catastrofe sono Renzi e Padoan, che si appellano alla “fiducia” come provvidenziale soluzione, un minito dopo esser stati smentiti – per l’ennesima volta – sulle loro previsioni, cioè la mirabolante e imminente “ripresa”.«Mi spiace doverlo dire, ma quello di Padoan è un disco rotto», dichiara Brancaccio. «E’ un film che ormai vediamo dal 2011: è da allora che il governo e la Commissione Europea continuano a prevedere crescita e a vedere finalmente l’uscita dal tunnel, e vengono poi seccamente smentiti dai dati reali e dai fatti». Secondo Brancaccio, anche Padoan «non fa altro che reiterare questi errori di previsione, e francamente questo significa una cosa molto semplice». Ovvero: «Governo e Commissione Europea continuano a negare una realtà di fatto: l’austerity deprime l’economia e non migliora – ma peggiora – i conti pubblici». Il che non è affatto una sorpresa, ovviamente: tagliando la spesa pubblica, crolla anche il sistema privato e cala il gettito fiscale, aggravando il debito. Sono le condizioni perfette per indebolire il paese e renderlo indifeso di fronte alla “soluzione finale” programmata, ovvero la privatizzazione di tutti i servizi. A questo “serve” l’austerity di cui parla Brancaccio. Renzi e Padoan, in realtà, recitano: sanno benissimo quale sarà il finale, e lavorano esattamente per quell’obiettivo, la fine dell’Italia così come l’abbiamo conosciuta.«Ricordiamoci che lo Stato continua a prelevare dall’economia reale più di quanto eroghi, al netto degli interessi. La politica rimane di austerity. E finché rimane di austerity saranno guai». Parola di Emiliano Brancaccio, economista dell’università del Sannio, intervistato da “Radio Radicale” all’indomani dell’ultimo bollettino di guerra sulla situazione italiana: altro giro di vite della recessione (-0,2%), nonostante i sorrisi di Renzi e le rassicurazioni del ministro Padoan, secondo cui l’industria è comunque in ripresa. Gli italiani? Devono «mantenere la fiducia e spendere al meglio quegli 80 euro». C’è da ridere per non piangere: «Lasciamo stare l’invito del ministro a spendere», replica Brancaccio. «La verità è che quel bonus di 80 euro da un lato non funziona perché i lavoratori hanno dovuto comunque far fronte al deterioramento dei risparmi che si è verificato nel corso di lunghi anni di crisi. Dall’altro, quel bonus si inscrive comunque in una politica economica complessiva che rimane di austerità».
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Grazie a Renzi, anche l’Eni potrebbe lasciare l’Italia
Quello di Monti era il governo della Goldman Sachs. Quello di Letta, il nipote, era il governo dell’Aspen Institute. Per dire che erano entrambi molto orientati a fare gli interessi della finanza anglo-americana. Non a caso il governo Monti realizzò lo scorporo della Snam, che gestisce la rete di distribuzione del gas in Italia, dalla holding Eni. Una richiesta che era venuta «non soltanto dagli esponenti della canaglia liberista in Italia (legati mani e piedi agli ambienti di Wall Street e della City) ma anche da azionisti dell’Eni come il fondo di investimento americano Knight Winke, che si era assunto il ruolo di assillare il governo con tale questione che poi Monti aveva finito per risolvere a suo modo all’inizio del 2012». Anche Matteo Renzi, che nel 2009 il settimanale americano “Time” aveva definito “l’Obama italiano”, si è mostrato fedele alla linea “atlantica” e ha avviato le grandi manovre per mettere in vendita quote azionarie di società sotto controllo pubblico come Eni, Enel, Poste, Finmeccanica e Fincantieri, ma anche Enav, Cdp Reti, Rai Way e Stm.In particolare, scrive Giuliano Augusto su “Rinascita”, Renzi è intenzionato a vendere una quota del 5% di Eni ed Enel portando in tal modo la quota pubblica dal 30% al 25%. Attualmente l’Enel è controllato dal Tesoro con una quota del 31,244% mentre l’Eni è controllata al 26,369% dalla Cassa Depositi e Prestiti (il cui principale azionista è il Tesoro con l’80,1%) e dal Tesoro con il 3,94%. Collegata a queste operazioni c’è la questione dell’Opa obbligatoria che il Pd al governo vorrebbe fare scendere al 25% dall’attuale 30%, mentre il relatore del provvedimento alla Camera, Massimo Mucchetti, voleva portarla al 20%. Il che avrebbe obbligato il Tesoro e la Cassa Depositi e Prestiti a vendere la quota azionaria eccedente quella percentuale, sia che si tratti di quota diretta (Tesoro) che indiretta (Cdp). Obiettivo: tutelare «gli interessi esteri anglofoni». Renzi? «L’uomo giusto al posto giusto». Per la prima volta, nell’ente fondato da Enrico Mattei come leva strategica della rinascita italiana nel dopoguerra, i soci privati stranieri sono diventati maggioritari: potrebbero essere le premesse per trasferire l’Eni all’estero, «tanto per gettare le premesse di un futuro assorbimento da parte di un colosso concorrente come l’americana Exxon».«La linea di Renzi – scrive Augusto – è in buona sostanza quella di trasformare Eni, Enel e le altre società a controllo statale in “pubblic company”», società ad azionariato diffuso «nelle quali non ci sia più un socio di riferimento ma dove i tanti soci privati eleggano di volta in volta gli amministratori». Così, addio Eni sullo scenario internazionale, con buona pace di «qualsiasi possibilità dell’Italia di avere una politica energetica autonoma in Europa e nel mondo». Questa sarebbe la risposta dell’“amerikano” Renzi alle critiche venute dagli europei “atlantici” e dagli stessi Stati Uniti per l’eccessiva “simpatia” italiana verso la Russia di Putin? Il ministro dell’economia, Pier Carlo Padoan, ha stimato in appena 10 miliardi il ricavato delle privatizzazioni (svendite). Soldi che sarebbero usati per coprire una parte irrisoria dell’enorme debito pubblico italiano. Tra le cessioni, la vendita a gruppi cinesi del 49% di CdP-Reti, società che controlla appunto la Snam. «Tra americani e cinesi cambia poco. Continua la colonizzazione del nostro paese».Quello di Monti era il governo della Goldman Sachs. Quello di Letta, il nipote, era il governo dell’Aspen Institute. Per dire che erano entrambi molto orientati a fare gli interessi della finanza anglo-americana. Non a caso il governo Monti realizzò lo scorporo della Snam, che gestisce la rete di distribuzione del gas in Italia, dalla holding Eni. Una richiesta che era venuta «non soltanto dagli esponenti della canaglia liberista in Italia (legati mani e piedi agli ambienti di Wall Street e della City) ma anche da azionisti dell’Eni come il fondo di investimento americano Knight Winke, che si era assunto il ruolo di assillare il governo con tale questione che poi Monti aveva finito per risolvere a suo modo all’inizio del 2012». Anche Matteo Renzi, che nel 2009 il settimanale americano “Time” aveva definito “l’Obama italiano”, si è mostrato fedele alla linea “atlantica” e ha avviato le grandi manovre per mettere in vendita quote azionarie di società sotto controllo pubblico come Eni, Enel, Poste, Finmeccanica e Fincantieri, ma anche Enav, Cdp Reti, Rai Way e Stm.
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Zanoli: orrore Gaza, cancellatemi dai Giusti d’Israele
anoli, riferisce la Bbc, ha scritto all’ambasciata israeliana all’Aja affermando che il 20 luglio un F-16 israeliano ha distrutto la casa della sua pronipote a Gaza, uccidendo tutti coloro che si trovavano al suo interno. L’ambasciata israeliana non ha voluto rilasciare commenti. «Il gesto di Henk Zanoli è per me dolorosissimo – scrive Gad Lerner – ma non posso che definirlo nobile».Avvocato in pensione, Zanoli ha mosso aspre critiche all’operazione “Margine protettivo”, avvertendo che le «vergognose» azioni dell’esercito di Tel Aviv potrebbero portare a possibili condanne per «crimini di guerra» e «crimini contro l’umanità», racconta il “Fatto Quotidiano”. Zanoli ricorda inoltre di aver perso suo padre nel lager nazista di Mauthausen, dove fu internato nel 1941 per aver osato protestare contro l’occupazione militare dell’Olanda da parte di Hitler. L’uomo resistette alle atroci crudeltà del campo di sterminio fino al febbraio 1945, morendo poco prima della liberazione dei prigionieri superstiti. Zanoli e sua madre Johana avevano ricevuto il riconoscimento di “Giusto tra le nazioni” nel 2011 per avere salvato la vita a Elhanan Pinto, un piccolo ebreo tenuto al riparo dai nazisti nella loro abitazione di famiglia di Eemnes, vicino a Utrecht, tra il 1943 e il 1945.Poi, la storia della famiglia Zanoli è tornata a intrecciarsi con la Terrasanta: la pronipote di Zanoli, Angelique Eijpe, divenuta un diplomatico olandese, ha sposato l’economista palestinese Ismail Ziadah, nato in un campo profughi nel centro della Striscia. Durante gli ultimi bombardamenti israeliani, la coppia non si trovava a Gaza. Ma la madre di Ziadath, tre fratelli, una cognata e una nipotina di tre anni hanno perso la vita nei raid. Così, Zanoli ha chiesto la cancellazione del suo nome dal Giardino dello Yad Vashem, il memoriale di Gerusalemme che celebra la memoria di salvatori di ebrei, come l’Oskar Schindler protagomista del kolossal di Spielberg. Il piccolo salvato da Zanoli oggi vive in Israele – fu lui a segnalare allo Yad Vashem l’eroismo dei suoi salvatori olandesi – mentre i suoi genitori furono barbaramente sterminati in un lager, insieme ad altri milioni di ebrei europei.Come racconta il sito ufficiale del museo dell’Olocausto, nel 1943 Henk Zanoli, allora poco più che ventenne, da Emmes fece un rischiosissimo viaggio verso Amsterdam (guardie e controlli erano ovunque) per andare a prendere il bambino e accompagnarlo a casa. Intollerabile, quindi, il dolore per i parenti appena uccisi a Gaza. Per Gad Lerner, giornalista di fede ebraica, il drammatico gesto di Henk Zanoli «esplicita una lacerazione che viviamo in molti: l’Israele che c’è offusca l’eterno Israele che è in noi». Per Paolo Barnard, assai più critico con le autorità di Tel Avibv, il massacro di Gaza «infanga la memoria delle vittime di Auschwitz». Roger Waters, leader dei Pink Floyd, chiede di boicottare Israele denunciando l’apartheid che conduce ogni giorno contro i palestinesi. Zeev Sternhell, considerato il più autorevole storico israeliano, chiede addirittura che la comunità internazionale isoli il governo di Tel Aviv. Per il collega Ilan Pappe, secondo cui il “peccato originale” di Israele è proprio la “pulizia etnica” della Palestina, Israele è ormai «fuori dal mondo civile», vista la barbarie dei bombardamenti su Gaza. A cui si sono opposti 50 soldati “obiettori di coscienza”, tra cui il giovanissimo Udi Segal: meglio il carcere, piuttosto che uccidere innocenti.«E’ davvero terribile che oggi, quattro generazioni dopo, la nostra famiglia debba sopportare l’uccisione di altri suoi membri a Gaza. Uccisioni di cui è responsabile lo Stato di Israele. Per me, dunque, conservare questa medaglia sarebbe un insulto alla memoria della mia coraggiosa madre». Così Henk Zanoli, olandese, 91 anni, fino a ieri “Giusto tra le Nazioni” insieme alla madre Johana per aver salvato un bambino ebreo durante la Shoah, “restituisce” la massima onorificenza israeliana per protesta contro il genocidio dei palestinesi nella Striscia. E spiega, al quotidiano israeliano “Haaretz”: «Continuare a sentirmi orgoglioso dell’onore concessomi dallo Stato di Israele, in queste circostanze sarebbe un insulto». Zanoli, riferisce la Bbc, ha scritto all’ambasciata israeliana all’Aja affermando che il 20 luglio un F-16 israeliano ha distrutto la casa della sua pronipote a Gaza, uccidendo tutti coloro che si trovavano al suo interno. L’ambasciata israeliana non ha voluto rilasciare commenti. «Il gesto di Henk Zanoli è per me dolorosissimo – scrive Gad Lerner – ma non posso che definirlo nobile».
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Ledeen, l’amico americano che tiene al guinzaglio il Pd
Se ieri le nostre piazze saltavano in aria perché l’Italia era lo scudo occidentale contro il comunismo sovietico, e si doveva impedire a tutti i costi che il Pci di Berlinguer andasse al governo con Moro, oggi la situazione dello Stivale è persino peggiorata, dato il progressivo esaurimento delle risorse fossili. Questo spiega l’instabilità sul fronte est (lo scontro tra Usa e Russia in Ucraina) e quella sul fronte sud (il massacro di Gaza, motivato anche dall’enorme giacimento di gas, il “Leviatano”, nelle acque palestinesi). «Gli interessi geopolitici del “Gruppo di Georgetown” e del Mossad, quindi, sono identici», sostiene Stefano Ali, mentre «gli interessi economici e militari della destra conservatrice e interventista Usa in Italia sono sensibilmente incrementati», come dimostra l’installazione del Muos a Niscemi o anche l’insistenza sull’acquisto dei disastrosi F-35. «Continuiamo ad essere un paese anomalo, servo della Nato e solo apparentemente democratico, ad opera degli stessi spettri del passato». Da Kissinger a Renzi, passando per Michael Ledeen, indicato come consigliere-ombra del giovane premier per la politica estera.In un post ripreso da “Come Don Chisciotte”, Ali evoca una lobby come il “Gruppo di Georgetown”, capitanato da quel Kissinger che definì Napolitano «il mio comunista preferito», corretto immediatamente da Napolitano (ex comunista, prego). «E Renzi. Matteo Renzi con la sua rete di amicizie internazionali, attraverso Marco Carrai. Davide Serra (con forti interessi in Israele e che porta in dote i legami con la Morgan Stanley), Marco Bernabè (sempre con Tel Aviv con il fondo Wadi Ventures e il padre, Franco, e le sue dorsali telefoniche Italia-Israele), Yoram Gutgeld (israeliano e suo consulente economico – porta in anche dote l’esperienza McKinsey di cui era socio anziano fino al marzo 2013)». Ma sopratutto Ledeen, cioè «la figura più inquietante», che «si allunga dietro tutte le stragi, tutti i depistaggi che hanno attraversato l’Italia e non solo». L’ammiraglio Fulvio Martini, all’epoca capo del Sismi, lo definì «non gradito all’Italia». Ledeen, racconta Ali, fu «sdoganato da Berlusconi appena giunto al potere», e così «imperversò nelle sue televisioni sotto la forma di “commentatore politico internazionale”».Secondo Ali, Ledeen è stato in grado di «ordinare a Matteo Renzi» la cessione degli aeroporti toscani al magnate argentino Eduardo Eurnekian. Secondo il blogger, «Henry Kissinger, Michael Ledeen e le strutture israeliane sono di nuovo (e da sempre) i padroni della scena». C’è chi dice che il Pd è la nuova Dc? Peggio: il partito fondato da Veltroni «ha ormai da tempo tradito le origini, ma con il binomio Renzi-Napolitano è diventato l’antitesi della storia della sinistra». Secondo Stefano Ali, «è l’erede di tutto quel fronte anticomunista che si asservì e asservì l’Italia alla destra conservatrice Usa di Kissinger e Ledeen e del Mossad». Il “muro di gomma” delle stragi impunite? Frutto del blocco di potere «“garante” della subalternità e della sottomissione dello Stato italiano agli interessi del “Gruppo di Georgetown”». Linea diretta coi rottamatori? «Per le referenze su Federica Mogherini, Renzi dice: “Chiedete a John Kerry”». L’esponente Pd fu «ammessa agli incontri segreti con agenti Usa sin dal 2006», scrive Ali, che illumina il retroterra del presunto potere occulto di ieri e di oggi basandosi anche sul testimonianze come quelle del senatore Giovanni Pellegrino, fino al 2001 presidente della Commissione Stragi, autore del libro-denuncia “Segreto di Stato”.«Ciò che può sembrare intreccio di fantascienza complottistica è solo il frutto di un lavoro certosino fatto dalla Commissione Stragi», avverte Ali. «Teniamolo sempre a mente, anche quando sembra di precipitare nelle allucinazioni ansiogene». Nella sua analisi, Pellegrino parte da una premessa ancora attuale: l’Italia non è mai stata una democrazia “normale”, perché – dal Trattato di Yalta – è stata sempre considerata “marca di frontiera”, al doppio crocevia est-ovest e nord-sud. Sovranità limitata: «Una specie di portaerei Nato nel Mediterraneo». A questo, oltre alla pesante presenza del Vaticano, si aggiunga «una spaccatura verticale interna, determinata da post-fascismo e post-Resistenza», tra italiani «anticomunisti» e italiani «antifascisti». Tutta la storia del dopoguerra, secondo Pellegrino, va interpretata in quest’ottica. E’ per questo che certi fili non si spezzano: l’attuale capogruppo del Pd al Senato, Luigi Zanda, figlio dell’ex capo della polizia e allora giornalista dell’“Espresso”, secondo un report del Sisde risalente al lontano 1984 ebbe «rapporti molto stretti» con Ledeen, dopodiché fu promosso consigliere di amministrazione dell’“Editoriale L’Espresso” e ricoprì l’incarico di addetto stampa di Francesco Cossiga durante il sequestro Moro. Stefano Ali parla di connessioni sotterranee con la P2, che faceva da tramite col super-potere Usa, di cui il Mossad israeliano sarebbe stato un braccio operativo nella stagione della strategia della tensione, fra attentati e depistaggi.Se la stagione della guerra fredda aveva permesso lo sviluppo della cosiddetta “Gladio Rossa”, formata da “Lotta Continua”, “Potere Operaio” e le prime Brigate Rosse, fino cioè all’arresto di Curcio e Franceschini, «con la svolta parlamentare del Pci, l’isolamento di Secchia e soprattutto la morte di Feltrinelli», di fatto l’eversione “rossa” «si dissolse, per confluire nelle Brigate Rosse», che però finirono sotto il controllo di Mario Moretti, scampato alla retata che fruttò la cattura dei fondatori grazie a Silvano Girotto, in arte “Frate Mitra”, un classico infiltrato. Da quel momento, scrive Ali, al di là della facciata “di sinistra” delle Br di Moretti, «connotazione ideologica utilizzata solo per fomentare i militanti», i vertici delle strutture “eversive” passarono – tutti – sotto il controllo «degli ambienti della destra repubblicana Usa». Versione controversa: secondo altri analisti, rimase forte anche l’influenza dell’Urss, attraverso la Stasi, l’intelligence della Germania Est. L’Italia, in ogni caso, era un campo di battaglia. E gli attori – sulla sponda occidentale – sono ormai noti. La notizia? Un vecchio arnese come Ledeen, molto «vicino» a Zanda in quegli anni secondo il Sisde, è un super-consigliere di Renzi.«Mossad e destra repubblicana Usa – continua Ali – erano già riusciti a instaurare (in Grecia, Spagna e Portogallo) regimi fascisti». Le stragi italiane, fino al 1969 dovevano quindi servire «affinché, nel dicembre del 1969, Mariano Rumor dichiarasse lo “stato d’emergenza” che ne consentisse l’instaurazione anche in Italia». Rumor, però, non dichiarò lo stato d’emergenza. E il tentato “golpe Borghese” del 1970 fu l’ultimo tentativo, anche quello andato a vuoto. «Da notare che già dagli anni ‘60 la P2 di Gelli era molto attiva: con la sua rete di iscritti soprattutto nelle forze armate e nei servizi segreti, era nelle condizioni di garantire tutta la copertura necessaria». Secondo Ali, da vari documenti risulta che Kissinger e Ledeen «fossero iscritti alla P2 nel “Comitato di Montecarlo” (o “Superloggia”)», un “braccio” della P2 «che si occupava di traffico internazionale di armi e al quale venne fatta risalire in modo diretto l’organizzazione della strage di Bologna». Se Gelli era «solo una sorta di segretario», significa che «le “menti” stavano altrove». Il vero leader? Rimasto nell’ombra, fino ad oggi. In compenso, conclude Ali, molti nomi di allora sono rimasti al loro posto. E qualcuno, oggi, è vicinissimo al governo Renzi. Pronti a tutto, nel caso gli eventi precipitassero in Ucraina con l’offensiva Usa contro la Russia di Putin?Se ieri le nostre piazze saltavano in aria perché l’Italia era lo scudo occidentale contro il comunismo sovietico, e si doveva impedire a tutti i costi che il Pci di Berlinguer andasse al governo con Moro, oggi la situazione dello Stivale è persino peggiorata, dato il progressivo esaurimento delle risorse fossili. Questo spiega l’instabilità sul fronte est (lo scontro tra Usa e Russia in Ucraina) e quella sul fronte sud (il massacro di Gaza, motivato anche dall’enorme giacimento di gas, il “Leviatano”, nelle acque palestinesi). «Gli interessi geopolitici del “Gruppo di Georgetown” e del Mossad, quindi, sono identici», sostiene Stefano Ali, mentre «gli interessi economici e militari della destra conservatrice e interventista Usa in Italia sono sensibilmente incrementati», come dimostra l’installazione del Muos a Niscemi o anche l’insistenza sull’acquisto dei disastrosi F-35. «Continuiamo ad essere un paese anomalo, servo della Nato e solo apparentemente democratico, ad opera degli stessi spettri del passato». Da Kissinger a Renzi, passando per Michael Ledeen, indicato come consigliere-ombra del giovane premier per la politica estera.
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Benetazzo: Morte Nera, se il virus Ebola arriva in Europa
Andiamo per gradi. Tra il 1346 ed il 1352 il Vecchio Continente venne colpito dalla Morte Nera, l’epidemia di peste bubbonica che falcidiò 1/3 della popolazione europea. Nei tre secoli precedenti la popolazione europea fece un salto quantico, sostanzialmente raddoppiò in numero, passando da 40 a 80 milioni (secondo le stime più autorevoli): questo venne reso possibile dall’assenza di grandi conflitti tra gli Stati e produzioni agricole negli anni più che abbondanti. Tuttavia durante i primi decenni del 1300 vi furono prolungati periodi di carestia a causa di un peggioramento delle condizioni climatiche in generale: gli storici fanno menzione di una piccola era glaciale. La peste bubbonica sembra abbia avuto origine negli altipiani dell’Asia Centrale, in prossimità della Mongolia, in cui a seguito della scarsità di derrate alimentari e irrigidimento climatico, vi fu una moria accentuata di topi e ratti.
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Anche Wall Street scommette sulla Terza Guerra Mondiale
Della crisi ucraina ho già scritto a più riprese. La prima cosa che mi colpì, nel momento in cui Viktor Yanukovic fu rovesciato da un colpo di stato plateale, appoggiato patentemente dagli Stati Uniti (meglio dire da loro promosso) con l’attiva partecipazione della Polonia, della Lituania e dell’Estonia, e dei fantocci al potere a Bruxelles, fu la sua apparente inutilità. Perché mettere in atto un golpe se Yanukovic poteva essere tranquillamente tolto di mezzo tra un anno con regolari elezioni? E altre domande portavano tutte a conclusioni analoghe. Perché rovesciare il tavolo quando l’Ucraina era già nelle mani degli americani, completamente – Yanukovic o non Yanukovic – da diversi anni? Sicuramente dai tempi della cosiddetta “rivoluzione arancione” di Yushenko-Timoshenko, che consegnarono nelle mani della Cia gli ultimi rimasugli di sovranità nazionale, dopo quelli svenduti dai precedenti presidenti dell’Ucraina “indipendente”, Kravchuk e Kuchma?Perché infine rovesciare Yanukovic quando lo stesso quarto e ultimo presidente dell’Ucraina aveva già venduto il Donbass alla Chevron e alla Shell? La bellezza di quasi 8.000 chilometri quadrati di territorio per la durata di 50 anni, un accordo segreto in gran parte valutato 10 miliardi di dollari, alla ricerca del gas da scisti bituminosi che avrebbe liberato “per sempre” l’Ucraina dalla dipendenza energetica dall’odiata Russia. Insomma: Yanukovic – presentato come «l’uomo di Mosca» da tutti i media occidentali – non era poi quel grande amico di Putin. Perché farlo fuori così brutalmente? Che bisogno c’era? Solo perché non aveva firmato a Vilnius il documento giugulatorio di “associazione” all’Unione Europea? Ma fino al novembre dell’anno precedente Viktor Yanukovic aveva negoziato, lasciando sperare in un successo europeo totale. Il documento era già pronto, anche se in parte assai segreto. Bastava aspettare qualche mese e sarebbe stato imposto, con le buone o con le cattive.No, tutti questi interrogativi non avevano risposte adeguate. Doveva esserci qualcos’altro. La fretta con cui Washington aveva premuto, e Varsavia aveva agito ai suoi ordini, indicava qualche altra impellente necessità. A me fu subito chiaro che il golpe – non a caso un golpe con le stigmate naziste così visibili – era diretto non contro Yanukovic, pedina di nessun peso, ma contro la Russia. I neocon, tramite la esecutrice Victoria Nuland, volevano una crisi di valenza internazionale, se non addirittura mondiale. Ma perché la fretta? Perché accelerare lo scontro e portare la Nato praticamente sul portone del Cremlino? Era, in fondo, uno scenario che io stesso avevo previsto sarebbe accaduto. Ma assistevo a un’improvvisa e drammatica accelerazione. Doveva esserci qualcos’altro a spiegare la fretta. E le dimensioni della rottura che si stava creando. Non si trattava di una crisi regionale, non un episodio passeggero. Le potenziali ripercussioni erano evidenti: uno scontro di portata non minore di quello della crisi dei missili a Cuba del 1962.Bisognava spiegare il senso e le ragioni dell’accelerazione. Io non sono un economista (lo ripeto sempre, per non eccitare le rimostranze degli scopritori dell’aria calda). Non sono neanche un esperto dei sotterfugi della finanza mondiale. Credo poco o nulla ai numeri che arrivano da quella parte, convinto ormai da tempo che sono in gran parte falsi o comunque molto manipolati. Ma tutto il nervosismo che da tempo leggo nei commenti di coloro che dicono d’intendersene (anche perché su quei trucchi ci hanno vissuto e ci vivono), mi ha fatto pensare che qualcosa non funzionava nei ragionamenti sopra esposti. Così mi sono trovato, con qualche sorpresa, in buona compagnia a parlare di “inizio della Terza Guerra Mondiale”. Devo prima di tutto esprimere i miei ringraziamenti a Roberto Savio, ideatore di quel fondamentale bollettino che si chiama “Other News”, con sottotitolo esplicativo: “L’informazione che i mercati eliminano”. Il primo di agosto, “Other News” ha pubblicato una rassegna che riprende numerosi spunti dal “Washington’s Blog”, così intitolata: “Un gruppo di esperti finanziari ai massimi livelli afferma che la Terza Guerra Mondiale è in arrivo, a meno che non la fermiamo”. Saccheggerò questa rassegna, che mi pare estremamente istruttiva.In primo luogo i nomi sono effettivamente grossi calibri, a giudicare dalla frequenza con cui i mercati li citano. Prendiamo per esempio Nouriel Rubini, che a gennaio di quest’anno twittava da Davos: «Molti oratori qui paragonano il 2014 con il 1914, quando la Prima Guerra Mondiale esplose e nessuno se l’aspettava. Siamo di fronte a un cigno nero nella forma di una guerra tra Cina e Giappone?» Fuochino. Ma gli fa eco Kile Bass, multimiliardario manager di hedge funds, che prima cita un «influente analista cinese» e poi lo stesso premier giapponese Abe, che «non escludono un confronto militare tra Cina e Giappone». Aggiungendo previsioni molto ben descritte, che in bocca a un gestore finanziario di quel calibro non possono essere trascurate. «Miliardi di dollari di depositi bancari saranno ristrutturati – ci informa Kile Bass – e milioni di prudenti risparmiatori finanziari perderanno grandi percentuali del loro reale potere d’acquisto esattamente nel momento sbagliato delle loro vite [sempre che ci sia un momento giusto per perdere i propri averi, ndr]. Neanche questa volta il mondo finirà, ma la struttura sociale delle nazioni influenti sarà posta in acuta tensione e in qualche caso fatta a pezzi. (…) Noi crediamo che la guerra sia un’inevitabile conseguenza dell’attuale situazione economica globale».Gli fa eco l’ex capo dell’Office for Management and Budget ai tempi di Reagan, David Stockman. Anche per lui lo scontro in atto tra America e Russia condurrà alla terza guerra mondiale. Un po’ più generico sulle modalità, ma convinto anche lui che si sta andando verso «una grossa guerra» (“a major war”) è l’ex analista tecnico di Goldman Sachs, Charles Nenner, che, ora in proprio, vanta tra i suoi clienti numerosi importanti hedge funds, banche, e un certo numero di ricchissimi investitori internazionali. Altrettanto, con qualche variazione, pensano investitori americani di primo piano come James Dines e Marc Faber. Quest’ultimo afferma apertamente che il governo americano comincerà nuove guerre in risposta alla crisi economica in atto. «La prossima cosa che il governo farà per distrarre l’attenzione della gente dalle cattive condizioni economiche – scrive Marc Faber – sarà di cominciare una qualche guerra da qualche parte».Tutto chiaro, ma allora come mai i giornali e le tv ci dicono che l’America va fortissimo? Pochi giorni fa Martin Armstrong – un gestore di fondi d’investimenti sovrani multimiliardari – dice la stessa cosa: «Occorre distrarre la gente dall’imminente declino economico». Gli ultimi due pezzi che ha scritto li ha intitolati così: “Andremo in guerra contro la Russia” e “Prepariamoci alla terza guerra mondiale”. Non è ben chiaro se tutti questi profeti stiano enunciando prognosi sincere o siano semplicemente festeggiando in anticipo i futuri successi economico-finanziari che si aspettano dalla guerra, essendo evidente, da sempre, che le guerre ingrassano prima di tutto i banchieri e poi i produttori di armi. Ma l’insistenza con cui il tema viene sollevato indica comunque che il puzzo di bruciato tutti costoro lo sentono in anticipo.Altri, per esempio la presidentessa del Brasile, Dilma Rousseff, osservano che il mondo è attraversato da una «guerra delle valute» che sta diventando globale, cioè di tutti contro tutti. Da non dimenticare che la seconda guerra mondiale arrivò dopo una serie violenta di svalutazioni competitive. Sta accadendo ora la stessa cosa, quando le nazioni svalutano per rendere più competitive le loro merci e per incentivare le esportazioni. E molti si stanno accorgendo che la nuova banca, creata dal Brics, con capitale iniziale di 100 miliardi di dollari, basata in Cina, costituisce una novità impressionante nel panorama globale, dove un numero crescente di transazioni avviene in yuan, in rubli, invece che in dollari Usa. Come scrive Jim Rickards – che nel 2009 partecipò ai primi “giochi di guerra finanziari” organizzati dal Pentagono – c’è il rischio che gli Stati Uniti si trovino «trascinati» in «guerre asimmetriche» di valute, in grado di accrescere le incertezze globali. È evidente che Rickards sta dalla parte americana. Ma, se il Pentagono – e non la Federal Reserve – organizza questo tipo di “giochi”, vuol dire che ci siamo già dentro fino al collo e che il loro carattere militare è fuori discussione.Del resto (questa volta parla il multimiliardario Hugo Salinas Price) «sono molti a chiedersi quali siano state le ragioni vere che hanno portato all’eliminazione di Gheddafi. Egli stava pianificando una valuta pan-africana. La stessa cosa accadde a Saddam Hussein. Gli Stati Uniti non tollerano alcun’altra solida valuta in grado di competere con il dollaro». Altri mettono il dito sulla crescente scarsità di risorse, soprattutto energetiche. Altri ancora guardano alla Cina come a un avversario bisbetico e sempre più incontrollabile – forse il protagonista di quella guerra asimmetrica citata da Jim Rickards. Gerald Celente, autore di accurate previsioni finanziarie e geopolitiche da molti anni, va anche lui seccamente alla conclusione: «Una terza guerra mondiale comincerà presto». Jim Rogers, un altro investitore internazionale miliardario, punta gli occhi sull’Europa: «Se si continua a salvare uno Stato dietro l’altro si finirà in un’altra guerra mondiale». Dunque continuiamo a strozzare i popoli europei, con l’obiettivo di evitare la guerra. Un pacifismo molto sospetto, ma comunque allarmato. Ovviamente sarà utile guardarsi da certi “pacifisti”. Ma questa rassegna è utile per capire che l’allarme è in aumento.La Cina, senza fare troppo rumore, fa provvista di risorse, energetiche e territoriali, solo che invece di mandare le proprie cannoniere (non è il tempo), quelle risorse se le compra, con i denari del debito americano. Putin deve fronteggiare la prima offensiva e non ha tempo da perdere. Tra l’altro un tribunale olandese, senza alcuna autorità o potere, ha decretato che la Russia dovrà pagare 50 miliardi di dollari, più gl’interessi, alla Yukos, cioè a quel bandito di Mikhail Khodorkovskij che la Russia ha scarcerato qualche mese fa con un gesto di distensione verso l’Europa (si noti che il tribunale sedeva nello stesso paese che aveva avuto il più alto numero di vittime nell’abbattimento del Boeing delle linee aeree malaysiane). Sarà stato un caso? Comunque, uno dei più vicini consiglieri di Putin, di fronte alla domanda “cosa farà la Russia di fronte a quella sentenza?”, ha risposto stringendosi nelle spalle: «C’è una guerra alle porte in Europa. Lei pensa realmente che una tale decisione abbia qualche importanza?».Giuridicamente non ce l’ha, ma sarà usata dai centri di comando dell’Occidente per colpire i beni russi all’estero, per sequestrare e congelare conti bancari, proprietà azionarie. Ecco una guerra asimmetrica appena iniziata senza essere stata nemmeno dichiarata. Un influente settimanale americano ha dedicato la sua copertina a Vladimir Putin, con questo commento: “Il Paria”. Un titolo che è, invece, una dichiarazione di guerra. Solo che non è stata pronunciata dal Dipartimento di Stato, bensì dal “ministero della propaganda”, cioè dai media occidentali. È stato Paul Craig Roberts a usare questa definizione in un articolo di qualche giorno fa. Chi è Paul Craig Roberts? È stato Assistente Segretario al Tesoro durante la presidenza Reagan, ex editore del “Wall Street Journal”, considerato dal “who’s who” americano come uno dei mille pensatori politici più influenti del mondo. L’articolo era intitolato: “La guerra sta arrivando” (“War is coming”).(Giulietto Chiesa, “Chi parla di Terza Guerra Mondiale?”, da “Megachip” del 6 agosto 2014).Della crisi ucraina ho già scritto a più riprese. La prima cosa che mi colpì, nel momento in cui Viktor Yanukovic fu rovesciato da un colpo di stato plateale, appoggiato patentemente dagli Stati Uniti (meglio dire da loro promosso) con l’attiva partecipazione della Polonia, della Lituania e dell’Estonia, e dei fantocci al potere a Bruxelles, fu la sua apparente inutilità. Perché mettere in atto un golpe se Yanukovic poteva essere tranquillamente tolto di mezzo tra un anno con regolari elezioni? E altre domande portavano tutte a conclusioni analoghe. Perché rovesciare il tavolo quando l’Ucraina era già nelle mani degli americani, completamente – Yanukovic o non Yanukovic – da diversi anni? Sicuramente dai tempi della cosiddetta “rivoluzione arancione” di Yushenko-Tymoshenko, che consegnarono nelle mani della Cia gli ultimi rimasugli di sovranità nazionale, dopo quelli svenduti dai precedenti presidenti dell’Ucraina “indipendente”, Kravchuk e Kuchma?
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Faletti, le ultime parole: io, l’uomo più fortunato al mondo
«Per lo più piango. Un’amica psicologa mi ha detto di non trattenere niente. Così, una sera sono uscita sul terrazzo e ho rotto un servizio di piatti orrendo, che non piaceva neanche a Giorgio. Mi ha fatto sentire meglio». A quasi un mese dalla morte di Giorgio Faletti, sua moglie Roberta sceglie “Vanity Fair” e un amico scrittore, Luca Bianchini, per ricordare i loro 14 anni insieme. A partire dal primo invito a cena: «Ero un po’ agitata perché pensavo di non aver argomenti di conversazione per via della differenza di età. Invece fu tutto facile, poi io sono sempre sembrata più adulta e lui più bambino, per cui la distanza era minore. Però ci vollero altre cene prima che ci baciassimo, finalmente, a casa sua. E dopo un po’ mi chiese di andare a vivere da lui a Milano». Ecco un estratto dell’intervista, pubblicata nel numero in edicola da mercoledì 30 luglio.Poi, un giorno del 2002, l’hai ritrovato disteso in camera per via dell’ictus. «Sì, era il giorno in cui avrebbe dovuto fare la sua prima presentazione di “Io uccido” alla Mondadori di via Marghera. Per fortuna ebbi la lucidità di descrivere bene i sintomi al pronto soccorso, per cui lo portarono al Niguarda. Poco dopo, però, dovetti prendere la decisione più difficile della mia vita». Cioè? «C’era un farmaco che poteva sbloccare la situazione, ma in Italia era ancora in via sperimentale. E, non sapendo bene da quanto tempo Giorgio era in coma, avrebbe potuto essere letale. Più il tempo passava, più aumentava il rischio. Il medico mi lasciò dieci minuti per decidere, e io rischiai. Ho sempre pensato che per avere risultati si debbano correre rischi». Come reagì Giorgio quando lo seppe? «Mi chiese di sposarlo. Parallelamente, la sua guarigione venne accelerata dai risultati clamorosi delle vendite di “Io uccido”».Il mondo letterario però non l’ha mai apprezzato veramente. «Infatti ne soffriva. Lui faceva comodo agli editori e ai festival, perché portava pubblico e faceva vendere tante copie. Però gli intellettuali non lo hanno mai veramente accettato». Quando ha scoperto di avere un tumore? «A gennaio, per caso. Doveva fare una risonanza magnetica perché aveva un’ernia da controllare, e da un po’ aveva un fastidioso mal di schiena». Qual è stata la tua reazione? «Ho detto solo: “Cazzo”. Poi ci siamo presi qualche giorno per decidere che cosa fare, io e lui. Ci hanno consigliato un medico di Los Angeles che lavorava con le eccellenze di tutto il mondo. Ma la nostra decisione di curarci in America era dettata soprattutto dalla necessità di avere un po’ di privacy». Quando è precipitata la situazione? «Nell’ultimo mese. Ha iniziato a non sentirsi più bene… faticava a camminare, a parlare. Hanno fatto diversi esami prima di capire che aveva metastasi al cervello. Era il 20 giugno».È lì che ha deciso di tornare? «Lui aveva già deciso di tornare per fare la radioterapia in Italia, ma sono sicura che in cuor suo avesse capito che non c’era più nulla da fare. Desiderava tantissimo tornare in Italia, lo desiderava con tutto se stesso. Tant’è che ha tenuto duro fino a che siamo arrivati qui. Poi ha mollato. Vorrei però che tutti sapessero che non ha mai avuto un momento di rabbia o di sconforto. Mi diceva: “Comunque vadano le cose, io ho avuto una vita che altri avrebbero bisogno di tre per provare le stesse emozioni. E se penso che sarei dovuto morire nel 2002 e in questi 12 anni ho fatto le cose a cui tenevo di più, devo ritenermi l’uomo più fortunato del mondo”».(“Giorgio Faletti: dovevo morire 12 anni fa, sono l’uomo più fortunato del mondo”, intervista di Luca Bianchini alla moglie, Roberta Faletti, concessa per “Vanity Fair” del 30 luglio 2014 a quasi un mese dalla scomparsa dell’attore, cantante e scrittore).«Per lo più piango. Un’amica psicologa mi ha detto di non trattenere niente. Così, una sera sono uscita sul terrazzo e ho rotto un servizio di piatti orrendo, che non piaceva neanche a Giorgio. Mi ha fatto sentire meglio». A quasi un mese dalla morte di Giorgio Faletti, sua moglie Roberta sceglie “Vanity Fair” e un amico scrittore, Luca Bianchini, per ricordare i loro 14 anni insieme. A partire dal primo invito a cena: «Ero un po’ agitata perché pensavo di non aver argomenti di conversazione per via della differenza di età. Invece fu tutto facile, poi io sono sempre sembrata più adulta e lui più bambino, per cui la distanza era minore. Però ci vollero altre cene prima che ci baciassimo, finalmente, a casa sua. E dopo un po’ mi chiese di andare a vivere da lui a Milano». Ecco un estratto dell’intervista, pubblicata nel numero in edicola da mercoledì 30 luglio.
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Tra Kissinger e Robin Williams ci siamo noi, zona grigia
Sei sei un fenomeno, con “numeri” fuori dal comune, puoi diventare due cose assolutamente opposte: Robin Williams, oppure Henry Kissinger. Così Paolo Barnard commenta la tragica scomparsa del geniale attore americano. Racconta: «Mi fu detto una volta: “Chi nasce con il talento vulcanico, la personalità esplosiva e mercuriale, con capacità elevate, e quindi eccelle in positivo, corre un rischio orrendo: e cioè che questa immensa mole di energia si sdoppi con la stessa potenza nell’alimentare il suo demone interno. E la sua devastazione sarà esattamente pari alla sua esaltazione”». Nella storia, la lista di uomini e donne cui questo è accaduto è infinita. «Quando un essere umano si trova nelle condizioni sopra descritte ha due scelte. Se accetta di rimanere umano, e quindi di portarsi addosso i demoni della propria anima, se accetta di parlare alla sua anima, vive ogni attimo dell’esistenza appeso a una fune che lo solleva in paradiso, e poco dopo lo cala all’inferno, e via così di continuo, ogni giornata, anno dopo anno. Reggere diventa a un certo punto impossibile, e la si fa finita: Williams».Altrimenti, continua Barnard, l’uomo o la donna di enorme talento «ammazzano, nel senso che proprio disintegrano ogni grammo della loro umanità, e con esso i demoni dell’anima, l’anima stessa». Il risultato? «Sono persone robotiche, prive di qualsiasi sentimento, con l’anima vitrea e incenerita. Tutto il loro talento a quel punto può solo fare una cosa: fare del male. Kissinger». Morale: «Fine delle scelte. Viva la vita, eh?». Questo, però, vale per le eccellenze assolute, le persone straordinarie. E tutti gli altri? Il nazismo, ricorda Primo Levi, non regnò grazie al “genio” di Hitler o al sadismo efferato di qualche gerarca fanatico: riuscì a imporsi, per lunghi anni, solo grazie all’acquiescenza decisiva della cosiddetta “zona grigia”, quella che trasforma i testimoni dei carnefici in loro complici, se restano passivi di fronte all’abominio. «Che ne dite di un po’ di porca verità?», propone Barnard. Oggi sappiamo esattamente come funziona la struttura del super-potere oligarchico, sappiamo perfettamente che è di natura totalitaria, eppure non muoviamo un dito.«C’è l’Impero americano, quello russo, e altri. C’è il Bilderberg. C’è la Trilaterale. C’è la Massoneria. C’è il complesso finanziario, mostro globale. C’è il complesso militare industriale. Ci sono decine di migliaia di lobby di servizi, finanza e industria. Ci sono i colossi dell’Agribusiness, coi loro veleni. Ci sono le Mafie. C’è la speculazione multimiliardaria di Big Pharma sulla nostra salute. Insomma, ci sono gli squali dell’umanità, i vampiri che uccidono, straziano, succhiano sangue degli esseri umani». E noi, che facciamo? «Oggi voi sapete tutti», sottolinea Barnard. «Ci sono i giornalisti che v’informano rischiando la vita, la carriera, sfinendosi sul lavoro, e sono persino in Tv (“La Gabbia”, La7). Ci sono le band rock che lo fanno, “Muse”, “Linkin Park” e altri. C’è la Rete, che vi avvisa su centinaia di migliaia di siti accessibili gratis. Ci sono le Ong con grande visibilità che tentano di farvi capire».Ormai non ci sono più scuse: esistono «mezzi di comunicazione e organizzazione civica di massa che sono CENTOMILA volte quelli dei proletari del ‘900». Eppure, aggiunge Barnard, grande attivista “sovranista” della Mmt, l’economia democratica, «tutto quello che facciamo per voi diventa cenere». Perché? «Perché tutto viene distrutto dalle vostre orde, da voi: la gggènte. Tutto. Nulla sopravvive alla gggènte, soprattutto ai gggiòvani, che macinano in sguardi istupiditi tutto, tutto, non gliene frega un cazzo di sapere niente». E allora diciamocela, “la porca verità”: «Chi sono i porci del mondo? No, non i Padroni, non gli Imperi, ma la ggggènte, e i gggiòvani. Se ne fottono DEI MEZZI CHE GLI DIAMO PER SALVARSI LA VITA E LA DIGNITA’. La gggènte e i gggiòvani macinano secoli di lotte, e di intelletti immensi che hanno lottato per loro, in merda. Pur di avere un iPad, il pub, le spiagge, le chat, e altre porcate del genere. Non danno un solo minuto della loro vita all’impegno umano e sociale, NON UN MINUTO, loro, la gggènte e i gggiòvani. Non gli frega un cazzo di nient’altro».Milioni di persone stanno andando tranquillamente al macello, ogni giorno, nell’immenso mattatoio socio-economico chiamato Eurozona, mentre il mondo intorno – il vecchio mondo, uscito dalla fine della guerra guerra – sta letteralmente crollando, schiantato dalla geopolitica globalista imperiale e dal dominio assoluto delle élite. Una carneficina, che si nutre di continui sacrifici umani, dall’Ucraina ai bambini di Gaza. Ma nessuno fa mai nulla per opporsi alla “dittatura” del vero potere. «E’ nazista – si domanda provocatoriamente Barnard – dire che il massacro di ’ste masse, che non hanno più giustificazioni oggi, è solo giustizia?». Disse il rivoluzionario francese Danton: «Tu hai i diritti per cui sei stato disposto a combattere». Viceversa, chiosa Barnard, «vivi da cane, e muori da cane. Ed è…GIUSTO. Non date la colpa al Potere». A cui, del resto, non mancheranno mai Kissinger. Quanto ai Robin Williams, difficilmente arrivano all’età della pensione, in un mondo trasformato in immensa “zona grigia”.Sei sei un fenomeno, con “numeri” fuori dal comune, puoi diventare due cose assolutamente opposte: Robin Williams, oppure Henry Kissinger. Così Paolo Barnard commenta la tragica scomparsa del geniale attore americano. Racconta: «Mi fu detto una volta: “Chi nasce con il talento vulcanico, la personalità esplosiva e mercuriale, con capacità elevate, e quindi eccelle in positivo, corre un rischio orrendo: e cioè che questa immensa mole di energia si sdoppi con la stessa potenza nell’alimentare il suo demone interno. E la sua devastazione sarà esattamente pari alla sua esaltazione”». Nella storia, la lista di uomini e donne cui questo è accaduto è infinita. «Quando un essere umano si trova nelle condizioni sopra descritte ha due scelte. Se accetta di rimanere umano, e quindi di portarsi addosso i demoni della propria anima, se accetta di parlare alla sua anima, vive ogni attimo dell’esistenza appeso a una fune che lo solleva in paradiso, e poco dopo lo cala all’inferno, e via così di continuo, ogni giornata, anno dopo anno. Reggere diventa a un certo punto impossibile, e la si fa finita: Williams».
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Vaticanomics, l’Opus Dei a lezione dalla Goldman Sachs
Il diavolo e l’acqua santa. Il denaro sterco del demonio. Gli pseudo-opposti che si incontrano e si suggeriscono regole di comportamento. Con tanti saluti alla nuova linea della Chiesa attenta alla povertà, con la quale Francesco I ha voluto caratterizzare il suo pontificato. La Pontificia Università Santa Croce, che dipende dall’Opus Dei, ha deciso che i suoi studenti, futuri sacerdoti, debbano conoscere l’economia e la finanza, per comprendere meglio il senso del proprio apostolato e dove esso debba indirizzarsi nel sociale. Fino a qui, niente di trascendentale. Non si vive di solo spirito e poi, come si dice in certi ambienti, il cibo materiale deve poter trasformarsi in cibo spirituale. Non sarà più sufficiente quindi agli studenti dell’Opera fondata da Escrivà de Balaguer essere in grado di maneggiare la teologia, la filosofia, il diritto canonico e la comunicazione. Da qui l’idea di creare un corso denominato “Economics for Ecclesiastic” grazie al quale, questo è l’intendimento, i futuri sacerdoti non si troveranno troppo isolati dal mondo reale.Il problema sta nella personalità del professore che erudirà le future tonache sul significato etico dell’economia e della finanza nel mondo contemporaneo. Sarà infatti Brian Griffiths of Fforestafch, un cognome impronunciabile che è tutto un programma, ad intrattenere gli studenti su “Le sfide etiche e culturali per la finanza contemporanea”. Il punto è che il signore in questione è stato vicepresidente esecutivo di Goldman Sachs International, ossia della banca di affari che nell’immaginario del cittadino medio Usa rappresenta il simbolo stesso della più schifosa speculazione che strozza i piccoli risparmiatori e crea le condizioni per portargli via la casa. In Italia, come in Europa, la Goldman Sachs è la banca che ha speculato a man bassa contro i titoli di Stato, i Bonos spagnoli e i Btp italiani, con l’intento di affossare l’euro. Insomma, Brian Griffiths of Fforestafch è un banchiere che vanta non poche responsabilità nell’aver contribuito ad aggravare una situazione interna, come quella italiana, già di per sé grave per l’altissimo debito pubblico.È quasi superfluo aggiungere che Griffiths è membro della Camera dei Lords (appartiene quindi alla nomenklatura inglese) ed è stato consigliere di Margareth Thatcher per le privatizzazioni e per deregolamentare il mercato interno. Si tratta di uno di quei tecnocrati che sostengono la creazione di un grande mercato globale senza vincoli di frontiere e di dazi doganali. Un mercato globale che implica la cancellazione degli Stati nazionali e la loro sottomissione ad un complesso di strutture sovranazionali, di fatto in mano all’Alta Finanza. Una strategia che il mondo cattolico dovrebbe teoricamente vedere con ostilità. Questo in teoria perché ci sono, e non sono pochi, banchieri cattolici che sognano lo stesso traguardo, sia pure con una attenzione paternalista verso i poveri e gli emarginati. E in Italia i banchieri legati all’Opus Dei sono molti e potenti, anche se spesso quasi sconosciuti al grande pubblico. Tra i più noti svetta Antonio Fazio, ex governatore della Banca d’Italia. In Spagna, fa parte dell’Opus Dei il presidente del Banco di Santander, Emilio Botin.Questo per dire che non esiste una finanza “laica” e una finanza “cattolica”, ma esiste soltanto una finanza che realizza affari e profitti e intende continuare a farli. Come dimostra l’enorme patrimonio mobiliare e immobiliare della chiesa cattolica e delle sue tante diramazioni. Ma nemmeno i protestanti scherzano, visto che Griffiths ha presieduto in passato il Lambeth Fund, controllato dall’arcivescovo di Canterbury. E allora questo connubio tra Opus Dei e Goldman Sachs trova la sua ragione di essere nel medesimo approccio universalista. Del resto il capitalismo liberista si è sempre fatto forte, basti vedere Max Weber, di una profonda impronta evangelica e biblica. Ma l’Opus Dei non è l’unica struttura in ambito cattolico a tenere buoni rapporti con certi ambienti e ad allevare futuri banchieri. Mario Draghi, anche lui un ex Goldman Sachs, ha studiato dai gesuiti. E questo non gli ha impedito di caratterizzare la sua attività nella direzione di rafforzare il potere delle banche e della finanza e al tempo stesso di impoverire i cittadini italiani ed europei, come sappiamo ormai a menadito.(Irene Sabeni, “L’etica di Opus Goldman Sachs Dei”, da “Il Nodo Gordiano” del 4 agosto 2014).Il diavolo e l’acqua santa. Il denaro sterco del demonio. Gli pseudo-opposti che si incontrano e si suggeriscono regole di comportamento. Con tanti saluti alla nuova linea della Chiesa attenta alla povertà, con la quale Francesco I ha voluto caratterizzare il suo pontificato. La Pontificia Università Santa Croce, che dipende dall’Opus Dei, ha deciso che i suoi studenti, futuri sacerdoti, debbano conoscere l’economia e la finanza, per comprendere meglio il senso del proprio apostolato e dove esso debba indirizzarsi nel sociale. Fino a qui, niente di trascendentale. Non si vive di solo spirito e poi, come si dice in certi ambienti, il cibo materiale deve poter trasformarsi in cibo spirituale. Non sarà più sufficiente quindi agli studenti dell’Opera fondata da Escrivà de Balaguer essere in grado di maneggiare la teologia, la filosofia, il diritto canonico e la comunicazione. Da qui l’idea di creare un corso denominato “Economics for Ecclesiastic” grazie al quale, questo è l’intendimento, i futuri sacerdoti non si troveranno troppo isolati dal mondo reale.
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Andreotti, Vanna Marchi e ora il Tamarro di Firenze
Questo presidente del Consiglio ha uno stile molto personale: una miscela fra Fanfani, Andreotti, Berlusconi e Vanna Marchi, con un tocco tamarro molto particolare. Di Fanfani ha l’attivismo frenetico e fine a sé stesso, ma non l’ideazione politica; di Andreotti il cinismo, ma non la raffinata perfidia; di Berlusconi l’ineguagliabile faccia tosta, ma non il tempismo (essere frenetici non significa necessariamente essere tempisti). Di Vanna Marchi ha la comunicativa dell’imbonitore televisivo, ma gli manca… gli manca… No: mi pare che non manchi nulla. Quanto al coefficiente di tamarraggine, fate voi. La cifra stilistica vantata è quella della velocità: Renzi è veloce, fa in un mese quello che altri non hanno fatto in vent’anni. Poi dopo un mese, due mesi, tre mesi non è successo niente? Non c’è problema: annunciamo un’altra “riforma” che faremo nel mese prossimo.In realtà lui è un grande illusionista, sa creare come nessun altro l’illusione di un attivismo insonne e turbinoso. E questo tratto si confonde con quello dell’arroganza del provinciale toscano che, però, è di più di quel che sembra. In lui l’arroganza non è solo un aspetto del tratto personale più o meno sgradevole, è di più: è una forma di comunicazione politica e uno strumento di governo. In questo modo lui dà l’immagine del leader diverso dagli altri, informale, sbrigativo, deciso (e pazienza se questo comporta un discreto tasso di maleducazione). Ma è anche un modo per dribblare gli avversari. Se ci fate caso, non risponde mai nel merito alle obiezioni rivoltegli, ma punta solo a squalificare l’interlocutore: contesti argomentatamente le sue idee di riforma? Sei contro le riforme, sei un gufo, sei contro il cambiamento e vuoi lasciare tutto com’è.Trovi discutibili il suo modo di porsi verso la Ue? Sei antitaliano, indebolisci la posizione del paese verso la Merkel. Critichi le sue posizioni troppo morbide verso Israele, anche di fronte al massacro di Gaza? Sei antisemita. Non condividi la scelta della Mogherini come mister Pesc o ti scappa da ridere di fronte alla candidatura della Pinotti al Quirinale? Sei misogino, non vuoi l’affermazione delle donne in politica. E via di questo passo, attingendo a piene mani a quell’immenso serbatoio di stupidità che è il “politicamente corretto”, una delle grandi patologie del nostro tempo. Abilissimo a sfruttare qualche gaffe di suoi avversari, come quando Mineo disse che gli sembrava un autistico («Lascia stare i ragazzi autistici, che sono il dramma di migliaia di famiglie, prenditela con me»), come se Mineo, al di là della scelta del termine, se la fosse presa con qualche altro.Con questa tecnica, da giullare fiorentino, riesce sia a mascherare la sua ben modesta cultura, sia ad evitare un dibattito politico reale che non saprebbe reggere. Tutto diventa una questione di velocità o lentezza, di decisione o immobilismo, senza mai entrare nel merito delle riforme proposte che, in fondo, potrebbero anche essere sbagliate. Ma questo è un dubbio che non lo sfiora; anzi, Renzi proprio non ha dubbi mai. Il suo stile da leader carismatico alla “ribollita” è il prodotto dell’innesto delle due culture politiche originarie del Pd: quella democristiana e quella pcista. Dallo scudo crociato ha ereditato l’ipocrisia, l’assoluta slealtà sino ai limiti del cannibalismo (l’altro democristiano, Enrico Letta, ne sa qualcosa); dalla radice pcista ha ereditato lo stalinismo – che delegittima e criminalizza ogni dissenso – e la faziosità spinta sino al limite dell’assoluta disonestà intellettuale. Dalla Dc non ha ereditato il senso della mediazione (che non saprebbe fare). Dal Pci non ha ereditato il senso strategico della politica. E questo sarebbe il nuovo che il Pd ci propone… Carramba che sorpresa!(Aldo Giannuli, “Lo stile di Renzi”, dal blog di Giannuli del 29 luglio 2014).Questo presidente del Consiglio ha uno stile molto personale: una miscela fra Fanfani, Andreotti, Berlusconi e Vanna Marchi, con un tocco tamarro molto particolare. Di Fanfani ha l’attivismo frenetico e fine a sé stesso, ma non l’ideazione politica; di Andreotti il cinismo, ma non la raffinata perfidia; di Berlusconi l’ineguagliabile faccia tosta, ma non il tempismo (essere frenetici non significa necessariamente essere tempisti). Di Vanna Marchi ha la comunicativa dell’imbonitore televisivo, ma gli manca… gli manca… No: mi pare che non manchi nulla. Quanto al coefficiente di tamarraggine, fate voi. La cifra stilistica vantata è quella della velocità: Renzi è veloce, fa in un mese quello che altri non hanno fatto in vent’anni. Poi dopo un mese, due mesi, tre mesi non è successo niente? Non c’è problema: annunciamo un’altra “riforma” che faremo nel mese prossimo.
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Craig Roberts: vogliono la guerra, è un’élite di pazzi
La propaganda straordinaria condotta contro la Russia dai governi statunitense e britannico e dai ministeri della propaganda noti come “media occidentali” ha lo scopo di portare il mondo ad una guerra che nessuno potrà vincere. I governi europei devono scuotersi dalla noncuranza, perché l’Europa sarà la prima ad essere vaporizzata a causa delle basi missilistiche statunitensi che ospita per garantire la sua “sicurezza”. Come riportato da Tyler Durden di “Zero Hedge”, la risposta russa alla sentenza extragiudiziale di un corrotto tribunale olandese, che non aveva alcuna giurisdizione sul caso che ha arbitrato, sentenza che ordina al governo russo di pagare 50 miliardi di dollari agli azionisti della Yukos (un’entità corrotta che stava saccheggiando la Russia ed evadendo le tasse), è molto significativa. Quando gli è stato chiesto come la Russia si comporterà riguardo la sentenza, un consigliere del presidente Putin ha risposto: «C’è una guerra che sta arrivando in Europa. Crede davvero che questa sentenza abbia importanza?».L’Occidente si è coalizzato contro la Russia perché è totalmente corrotto. La ricchezza delle élite è ottenuta non solo depredando i paesi più deboli, i cui leader possono essere comprati (per istruirvi su come funziona il saccheggio leggete “Confessions of an Economic Hit Man” di John Perkins), ma anche derubando i loro stessi cittadini. Le élite americane eccellono nel saccheggio dei loro connazionali e hanno spazzato via gran parte della classe media statunitense nel nuovo 21° secolo. Al contrario, la Russia è emersa dalla tirannia e da un governo basato sulle menzogne, mentre gli Usa e il Regno Unito sono sommersi da una tirannia schermata da menzogne. Le élite occidentali vorrebbero depredare la Russia, un premio succulento, e Putin sbarra loro la strada. La soluzione è sbarazzarsi di lui, come in Ucraina si sono sbarazzati del presidente Yanukovich. Le élite predatorie e gli egemonisti neoconservatori hanno lo stesso obiettivo: fare della Russia uno Stato vassallo.Questo obiettivo unisce gli imperialisti finanziari occidentali con gli imperialisti politici. Ho raccolto per i lettori la propaganda che viene usata per demonizzare Putin e la Russia. Ma perfino io sono rimasto scioccato dalle strabilianti e aggressive bugie del giornale britannico “The Economist” del 26 luglio. In copertina c’è il viso di Putin in una ragnatela e, avete indovinato, il titolo di copertina è “Una rete di bugie”. Dovete leggere questa propaganda per constatare sia il livello di spazzatura della propaganda occidentale, sia l’evidente spinta verso la guerra. Non viene presentata la minima prova per supportare le accuse estreme dell’“Economist” e la sua richiesta che l’Occidente smetta di essere conciliante con la Russia e intraprenda le azioni più dure possibili contro Putin. Questo genere di menzogne incoscienti e di lampante propaganda non ha altro scopo che di condurre il mondo alla guerra. Le élite occidentali e i governi non sono solo totalmente corrotti, sono anche pazzi. Come ho scritto precedentemente, non aspettatevi di vivere ancora a lungo.(Paul Craig Roberts, “La guerra sta arrivando”, dal blog di Craig Roberts del 28 luglio 2014, ripreso da “Controinformazione.info”. Craig Roberts è stato viceministro dell’economia del governo Reagan. Nel post, mostra anche un video nel quale uno dei consiglieri di Putin e alcuni giornalisti russi parlano apertamente dei piani statunitensi per attaccare la Russia).La propaganda straordinaria condotta contro la Russia dai governi statunitense e britannico e dai ministeri della propaganda noti come “media occidentali” ha lo scopo di portare il mondo ad una guerra che nessuno potrà vincere. I governi europei devono scuotersi dalla noncuranza, perché l’Europa sarà la prima ad essere vaporizzata a causa delle basi missilistiche statunitensi che ospita per garantire la sua “sicurezza”. Come riportato da Tyler Durden di “Zero Hedge”, la risposta russa alla sentenza extragiudiziale di un corrotto tribunale olandese, che non aveva alcuna giurisdizione sul caso che ha arbitrato, sentenza che ordina al governo russo di pagare 50 miliardi di dollari agli azionisti della Yukos (un’entità corrotta che stava saccheggiando la Russia ed evadendo le tasse), è molto significativa. Quando gli è stato chiesto come la Russia si comporterà riguardo la sentenza, un consigliere del presidente Putin ha risposto: «C’è una guerra che sta arrivando in Europa. Crede davvero che questa sentenza abbia importanza?».