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Eutanasia dell’Italia, aspettando l’inferno della Troika
Verrà la Troika e avrà i miei occhi, sembra dire Eugenio Scalfari, che forse trascura l’ultima tragica battuta del “Tamburo di latta”, memorabile film sulla Germania nazista: eravamo un popolo di ingenui, credevamo fosse Babbo Natale e invece quello che bussava alla porta era l’Uomo del Gas. La Troika, peggio dell’orco delle fiabe nere: il braccio armato dell’élite tecno-finanziaria che sta scassinando gli Stati europei riducendoli in miseria e portandogli via tutto. Più che fantascienza, un film dell’orrore. Tutto avviene nella quasi-indifferenza generale. Le televisioni, 24 ore su 24, propongono l’anonimo volto del carneade Renzi, la sua predicazione imbarazzante a cui – questa la notizia – ha creduto, forse per disperazione, il 40% dei votanti alle ultime europee. Lo stellone italiano, Babbo Natale. Ma a bussare alla porta, avverte Ferruccio De Bortoli, sarà proprio lui, l’Uomo del Gas. L’avrebbe confidato ad amici, hanno scritto. Manovra lacrime e sangue in autunno, con prelievo forzoso dai conti correnti degli italiani. Poi, comunque, arriverà la falce della Troika: l’Italia sarà commissariata come la Grecia.Un incubo, annacquato ogni giorno da polemiche minute – la distriba sugli 80 euro, le schermaglie parlamentari – mentre il paese affonda ogni giorno di più. E il peggio è che affonda senza neppure l’onore di una diagnosi con dignità politica, con piena cittadinanza in Parlamento. L’Italia, dicono ormai tutti gli analisti economici indipendenti, sta morendo per un motivo elementare: qualcuno, tra Berlino e Bruxelles, ha deciso di assassinarla. L’arma letale si chiama euro, il killer che la impugna si chiama Troika. Ogni possibile restrizione di bilancio – il pareggio obbligatorio, il tetto del 3%, il Fiscal Compact, la mannaia sulla spesa pubblica vitale – è direttamente riconducibile all’euro. Altre spiegazioni non reggono, eppure c’è ancora chi si attarda in chiacchiere su mafia e corruzione, evasione fiscale e auto blu. Se anche suonassero le sirene antiaeree, nessuno le sentirebbe. Non una sola formazione politica è stata capace di organizzare un fronte culturale, una mobilitazione trasversale, nonostante l’emergere ormai dilagante – non nel mainstream, però, ma solo nelle catacombe del web e nelle assemblee porta a porta – di voci autorevoli di esperti, economisti, ex ministri, intellettuali ed ex dirigenti dello Stato, tutti a dire che l’Eurozona è semplicemente demenziale, criminale, insostenibile. E non è stato un incidente, ma un disegno.Scalfari addirittura la invoca, la Troika, confermando – involontariamente – l’allarme lanciato da De Bortoli, che ha già concordato l’abbandono della direzione del “Corriere della Sera”. Renzi, dal canto suo, sembra in gara col Mostro: taglia il Senato, amputa la democrazia elettorale, predispone la più colossale privatizzazione della storia italiana. Forse, semplicemente, tenta di convincere il Mostro a tenersi lontano dall’Italia: se saranno gli italiani a suicidarsi da soli, forse sarà meno doloroso. Siamo a questo? Letture critiche si intrecciano un po’ ovunque, sui blog. L’ok al mostruoso Juncker? Un boccone alla belva Merkel, per tenerla buona. La battaglia europea per la Mogherini, ben relazionata con Kerry? Un messaggio: confidiamo nella protezione americana contro gli abusi disumani dell’asse franco-tedesco. Realpolitik compensativa: silenzio sulla macelleria di Gaza e su quella in Ucraina progettata da Obama, e avanti tutta con l’adesione al Ttip, il Trattato Transatlantico, negoziato in segreto, che potrebbe segnare la fine del made in Italy. «Renzi è la rovina dell’Italia», avrebbe detto De Bortoli. Senza spiegare, peraltro, chi ne sarebbe la salvezza.Verrà la Troika e avrà i miei occhi, sembra dire Eugenio Scalfari, che forse trascura l’ultima tragica battuta del “Tamburo di latta”, memorabile pellicola sulla Germania nazista: eravamo un popolo di ingenui, credevamo fosse Babbo Natale e invece quello che bussava alla porta era l’Uomo del Gas. La Troika, peggio dell’orco delle fiabe nere: il braccio armato dell’élite tecno-finanziaria che sta scassinando gli Stati europei riducendoli in miseria e portandogli via tutto. Più che fantascienza, un film dell’orrore. Tutto avviene nella quasi-indifferenza generale. Le televisioni, 24 ore su 24, propongono l’anonimo volto del carneade Renzi, la sua predicazione imbarazzante a cui – questa la notizia – ha creduto, forse per disperazione, il 40% dei votanti alle ultime europee. Lo stellone italiano, Babbo Natale. Ma a bussare alla porta, avverte Ferruccio De Bortoli, sarà proprio lui, l’Uomo del Gas. L’avrebbe confidato ad amici, hanno scritto. Manovra lacrime e sangue in autunno, con prelievo forzoso dai conti correnti degli italiani. Poi, comunque, arriverà la falce della Troika: l’Italia sarà commissariata come la Grecia.
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Chiediamo i danni a Renzi e Silvio (anzi, agli italiani)
Dunque alla fine anche l’Istat certifica ciò che la maggioranza della popolazione italiana vive direttamente ogni santo giorno: la crisi si aggrava e la recessione avanza. Il dato economico della nuova caduta del Pil è pesantissimo, molto più grave di quanto la solita informazione di regime cercherà di presentare per minimizzare. Il segno negativo giunge alla fine di una caduta economica che dura sostanzialmente dal 2008, dunque è peggio che nella terribile crisi del 1929. Ulteriore aggravante è il fatto che tutte le previsioni e i programmi economici del governo parlavano di ripresa. Qui c’è da stendere un velo pietoso su economisti e presunti tecnici di palazzo. È dal 2008 che prevedono la ripresa senza prenderci neppure per sbaglio: o sono particolarmente incompetenti o particolarmente imbroglioni, o tutte e due le cose assieme come spesso capita. Ma la cosa che dovrebbe suscitare indignazione e scandalo è il fatto che, mentre tutto ciò avviene, Renzi e i suoi mettono tutte le loro forze al servizio della non eleggibilità del futuro Senato. Qui siamo alla cialtroneria diventata sistema di governo.Nel passato si erano cominciati a conteggiare i costi per il paese di venti anni di berlusconismo. Anche tenendo conto del fatto che nella metà di quei venti anni ha governato un centrosinistra totalmente subalterno al Cavaliere, quel conteggio ci stava. Ma ora, con la benedizione del capo storico della destra, Renzi governa e lancia quelle riforme che il suo ventennale predecessore ha sempre auspicato. E la crisi si aggrava perché le politiche economiche son sempre le stesse e i risultati negativi pure. Berlusconi aveva alzato a 500 euro le pensioni minime, Renzi ha dato 80 euro a una parte dei lavoratori dipendenti; le loro risposte a chi li ha criticati sono state le stesse: voi non capite, la gente è contenta. No, sono loro che sono ottusi e non capiscono che redistribuire qualche soldo mentre non si fa nulla per ridurre la disoccupazione di massa, mentre l’impoverimento complessivo cresce, significa spargere acqua nel deserto. Acqua che magari dura il tempo necessario per vincere una elezione, ma poi sparisce lasciando tutti più assetati di prima.Naturalmente i danni Renzi e Berlusconi non li han provocati da soli. Con loro c’ è tutto un establishment politico, economico e intellettuale che sostiene le politiche liberiste, da venti anni spiegando che se esse non hanno successo è perché si è stati poco coraggiosi nel realizzarle. Così, mentre la politica economica reale è sempre la stessa da decenni, Berlusconi prima e Renzi poi si sono assunti il ruolo di organizzare la distrazione di massa, di imbrogliare il paese facendo credere, almeno alla sua maggioranza, che le loro riforme cambierebbero le cose. Mentre in realtà servono solo a costruire una cappa di autoritarismo che tuteli la pura continuità nelle decisioni che contano. Sì, a Berlusconi e a Renzi bisognerebbe chiedere i danni, ma in realtà la maggioranza degli italiani li dovrebbe chiedere a sé stessa per aver creduto in loro, se non fosse che questi danni la maggioranza del paese già li paga in continuazione. E continuerà a farlo fino a che non ci si libererà delle politiche di austerità e degli imbroglioni che le realizzano parlando d’altro.(Giorgio Cremaschi, “Quanto ci costa Renzi?”, da “Micromega” del 6 agosto 2014).Dunque alla fine anche l’Istat certifica ciò che la maggioranza della popolazione italiana vive direttamente ogni santo giorno: la crisi si aggrava e la recessione avanza. Il dato economico della nuova caduta del Pil è pesantissimo, molto più grave di quanto la solita informazione di regime cercherà di presentare per minimizzare. Il segno negativo giunge alla fine di una caduta economica che dura sostanzialmente dal 2008, dunque è peggio che nella terribile crisi del 1929. Ulteriore aggravante è il fatto che tutte le previsioni e i programmi economici del governo parlavano di ripresa. Qui c’è da stendere un velo pietoso su economisti e presunti tecnici di palazzo. È dal 2008 che prevedono la ripresa senza prenderci neppure per sbaglio: o sono particolarmente incompetenti o particolarmente imbroglioni, o tutte e due le cose assieme come spesso capita. Ma la cosa che dovrebbe suscitare indignazione e scandalo è il fatto che, mentre tutto ciò avviene, Renzi e i suoi mettono tutte le loro forze al servizio della non eleggibilità del futuro Senato. Qui siamo alla cialtroneria diventata sistema di governo.
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Se Renzi avesse la lira, governerebbe fino a 80 anni
Se Matteo Renzi avesse la lira invece che l’euro, sarebbe un uomo felice. Perché il suo 41% sarebbe saldo e diventerebbe imbattibile. Se Matteo Renzi e l’Italia oggi avessero la lira, la manovra degli “80 euro” avverrebbe senza bisogno di imporre tagli e tasse equivalenti per l’intera somma (tra i 6 e i 10 miliardi annui), annullandone di fatto l’illusorio effetto, che difatti non si sta manifestando. Se Matteo Renzi avesse la lira, la manovra ridicola e di sola comunicazione sugli “80 euro” sarebbe anzi raddoppiata, con detrazioni di 150 euro al mese per ogni lavoratore; e anzi sarebbero coinvolti anche coloro che non beneficiano di un contratto da lavoratore dipendente, oramai la maggioranza dei lavoratori specialmente giovani. Potrebbe dunque detassare imposte sul lavoro fino a 20 miliardi senza coperture di nuove tasse e riduzione spesa. Se Matteo Renzi avesse la lira, lui e il suo sottosegretario Delrio non dovrebbero inventare e sperare in inutili contabilità su astratti fogli di carta ma prive di sostanza pratica, del tipo non contabilizzare nel debito gli investimenti pubblici.Perché con l’euro ogni centesimo speso dallo Stato, contabilizzato o meno che si voglia, è un centesimo di debito contratto con 19 grandi istituti di credito che oggi prendono a prestito dalla Bce allo 0,15% e poi prestano agli Stati al 3, 4, 5%, contraendo utili sulle rendite finanziarie colossali e sicuri (Banca Imi, Barclays, Bnp Paribas, Citigroup, Commerzbank, Crédit Agricole, Credit Suisse, Deutsche Bank, Goldman Sachs, Hsbc, Ing, Jp Morgan, Merrill Lynch, Monte dei Paschi, Morgan Stanley, Unicredit, Société Générale, Nomura, Ubs). Se Matteo Renzi avesse la lira, potrebbe dunque finanziare gli investimenti con moneta monopolio di Stato e non delle banche private, e dunque finanziare tutti gli investimenti che vuole. Non dovrebbe imporre le tasse per coprire questi investimenti, e dunque non sarebbe costretto a restituire il denaro speso come avviene adesso, per la somma capitale più gli interessi; tanto che se non applicasse politiche di austerità l’insieme di monopolisti privati della moneta sopra elencati potrebbero impedire in pochi giorni il flusso di denaro nelle casse dello Stato.Matteo Renzi ora è ricattabile e anzi ricattato e consenziente; invece sarebbe autonomo. Quindi un vero democratico come stabilito dalla Costituzione e non un colono. Se Matteo Renzi avesse la lira non dovrebbe elemosinare a commissari o ministri stranieri la possibilità di cambiare le politiche di bilancio, e non dovrebbe rispettare assurdi parametri come quello del 3% deficit/pil (diventato 2,6% grazie alle promesse sue e di Padoan, è bene specificarlo: Renzi è più realista del Re, più austero della Merkel) o del 60% debito/pil. Potrebbe agire liberamente sulla base delle esigenze del suo paese e ridurre la tassazione rispetto alla spesa pubblica fino alla piena occupazione e al pieno rilancio dell’economia e della cultura. Se Matteo Renzi avesse la lira non dovrebbe versare all’Unione Europea quasi 10 miliardi all’anno; il Patto di Stabilità finirebbe subito e gli enti locali italiani potrebbero immediatamente pagare i loro fornitori; non dovrebbe elemosinare modifiche ai principi di co-finanziamento dei fondi europei che obbligano gli enti locali a sborsare ingenti somme per realizzare i progetti presentati, e spesso rinunciare per impossibilità di impiegare i fondi pur disponibili (il cane che morde la coda: Patto di Stabilità).Se Matteo Renzi avesse la lira non dovrebbe circondarsi di bei volti giovani e pop e dalla parlantina spigliata quanto vuota, perché tanto, oltre a raccattare voti, non si deve decidere nulla se non tenere buoni i cittadini; anzi meno capiscono e più tweet insensati scrivono tanto è meglio. No, se Matteo Renzi avesse la lira dovrebbe selezionare una classe politica capace di capire la forza di una moneta sovrana siffatta, e quindi le sue potenzialità per realizzare piena occupazione, piena democrazia, pieno benessere senza inflazione. Perché se invece occorre ascoltare i Gozi, le Bonafè, le Moretti e compagnia cantante, un partito avverso consapevole (quindi non M5S, quindi non lo sbrindellato centrodestra italiano di oggi, quindi non i timorosi di Tsipras) sbaraglierebbe il campo una volta vinte le elezioni (infatti la Dc governò 40 anni senza problemi nonostante la forte opposizione del Pci, perché sapeva come attivare la ricchezza, e un popolo con la pancia piena e la testa sgombra di pensieri non fa mai salti nei buio; ma negli ultimi 10 anni affondò, tra gli altri motivi, perché lo strumento di azione, la lira sovrana, era stato disattivato con la complicità di Ciampi e Andreatta).Se Matteo Renzi avesse la lira non dovrebbe mandare lettere a tutti i sindaci d’Italia per selezionare gli interventi di edilizia scolastica, ma imporrebbe a tutti i sindaci d’Italia i massimi standard di servizi, di sicurezza e di istruzione da raggiungere nel comparto scolastico (e non solo), stanzierebbe i fondi necessari, stabilirebbe in quanto tempo realizzare i lavori e poi, una volta scaduti i termini, bloccherebbe i finanziamenti e istituirebbe commissioni di inchiesta per valutare i motivi dell’inefficienza nel caso le opere non fossero realizzato a dovere. Se Matteo Renzi avesse la lira non dovrebbe contribuire con 125 miliardi per garantire i debiti pubblici dell’Eurozona, né, come farfuglia Del(i)rio, garantire il debito di Stato con beni immobili.Se Matteo Renzi avesse la lira, il debito pubblico non sarebbe un “debito” pubblico da ripagare come se lo Stato fosse un’azienda e una famiglia privata (e dunque aumentare il debito annuo del 5% ad esempio anziché il 3% significherebbe davvero far gravare sui figli la spesa di oggi, ed è quindi politica per pigliare due voti ma senza strategia), ma sarebbe una “ricchezza finanziaria” dei cittadini, ed ogni aumento di debito pubblico equivarrebbe ad un aumento dei risparmi di famiglie e imprese. Se Matteo Renzi avesse la lira governerebbe fino ad 80 anni, l’Italia tornerebbe un paese invidiato in tutto il mondo, la disoccupazione sarebbe un problema occasionle e molto temporaneo, le imprese italiane tornerebbero a produrre in Italia grazie ad una imposizione fiscale via via più bassa.Se Matteo Renzi avesse la lira i tassi di interesse sui titoli di Stato scenderebbero, dal 2/4% reale di oggi, ad un tasso prossimo allo zero o addirittura negativo. Gli 85 miliardi di spesa per interessi non sarebbero una zavorra per i conti pubblici ma una delle vie con le quali si manifesta la spesa pubblica, che potrebbe essere ridotta o aumentata sulla base delle scelte discrezionali di uno Stato. Invece: «Tornare alla lira? Per i giovani è uno strumento musicale». E allora, sentirai che musica, Matté: «Manovra correttiva di 10 miliardi inevitabile». Gira la ruota, va’.(“Se Renzi avesse la lira, ma non la vuole e non la capisce”, dal sito MeMmt del 14 luglio 2014).Se Matteo Renzi avesse la lira invece che l’euro, sarebbe un uomo felice. Perché il suo 41% sarebbe saldo e diventerebbe imbattibile. Se Matteo Renzi e l’Italia oggi avessero la lira, la manovra degli “80 euro” avverrebbe senza bisogno di imporre tagli e tasse equivalenti per l’intera somma (tra i 6 e i 10 miliardi annui), annullandone di fatto l’illusorio effetto, che difatti non si sta manifestando. Se Matteo Renzi avesse la lira, la manovra ridicola e di sola comunicazione sugli “80 euro” sarebbe anzi raddoppiata, con detrazioni di 150 euro al mese per ogni lavoratore; e anzi sarebbero coinvolti anche coloro che non beneficiano di un contratto da lavoratore dipendente, oramai la maggioranza dei lavoratori specialmente giovani. Potrebbe dunque detassare imposte sul lavoro fino a 20 miliardi senza coperture di nuove tasse e riduzione spesa. Se Matteo Renzi avesse la lira, lui e il suo sottosegretario Delrio non dovrebbero inventare e sperare in inutili contabilità su astratti fogli di carta ma prive di sostanza pratica, del tipo non contabilizzare nel debito gli investimenti pubblici.
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“Per l’Italia si avvicina la fine”, e Rcs silura De Bortoli
Qualcosa di esplosivo sta accadendo nei piani alti del mainstream italiano: a rompere il tabù, prospettando l’arrivo della famigerata Troika, il triumvirato tecnocratico composto da Commissione Ue, Bce e Fmi, è stato il direttore del “Corriere della Sera” Ferruccio De Bortoli. «Il direttore del “Corriere” ci descrive lo scenario che ci aspetta il prossimo autunno», avverte Cesare Sacchetti, «quando vedremo realizzarsi le peggiori nemesi nella manovra economica, che prevederà un probabile prelievo forzoso sui conti correnti». Sarebbe la riedizione del 1992, quando l’allora primo ministro Giuliano Amato «decise di approvare questo furto a danno del risparmio dei cittadini italiani». Solo allora «verrà dichiarata la resa ai tecnocrati». E sarà «messo in un angolo» il governo presieduto da Matteo Renzi, «che non ha vinto nessuna elezione democratica ma è stato nominato dal Capo dello Stato». Tutto questo, mentre i signori della Troika faranno all’Italia quello che fecero nel 2011 alla Grecia, che in cambio dei 50 miliardi ricevuti sta privatizzando tutto: sono all’asta «porti, aeroporti, isole e acquedotti».È questa, scrive Sacchetti su “L’Antidiplomatico”, «la forma più subdola e criminale con la quale il colonialismo finanziario distrugge e depreda gli Stati sovrani, ostaggi di un debito sovrano denominato in una valuta straniera che non possono stampare». Parole profetiche: «Datemi il controllo della moneta di una nazione e non mi importa di chi farà le sue leggi», disse un certo Mayer Amschel Rothschild. Auspicio «portato a compimento nella moderna Eurozona», dal momento che «gli Stati ex-sovrani sono messi nelle condizioni di una colonia: per poter finanziare la propria spesa devono bussare alle porte dei colonizzatori, che vorranno in cambio la linfa economica degli Stati e prenderanno il possesso monopolistico di tutti i settori strategici di quel paese». L’Italia è già da tempo in vendita, e gli investitori stranieri stanno facendo man bassa dei suoi gioielli, «gentilmente offerti dal governo Renzi», come la Cassa Depositi e Prestiti, Poste Italiane (che dismetterà il 40% della partecipazione pubblica), nonché Eni e Enel, «che potrebbero cedere il 5% delle azioni, come annunciato recentemente dal sottosegretario all’economia, Giovanni Legnini».Mentre gli italiani provano a godersi quei pochi spicchi di sole di quest’estate anomala, scrive Sacchetti, l’ipotesi che la Troika venga qui nel Belpaese non è più remota. «Il giorno dopo che De Bortoli ha annunciato questo scenario, Rcs fa sapere che non si avvarrà più della collaborazione del direttore. È stato infranto un vincolo di riservatezza, qualcosa che doveva essere taciuto è stato rivelato». Forse il direttore «ha pagato questa delazione», anche se «l’impressione è quella di un Ponzio Pilato che vuole lavarsi le mani del sangue degli italiani e non intende accollarsi la responsabilità morale di un disastro sociale ed economico senza precedenti». Non passano che pochi giorni dalle scioccanti dichiarazioni di De Bortoli che «il Barbapapà del giornalismo italiano, Eugenio Scalfari», fondatore di “Repubblica”, «ci fa dono di una delle sue memorabili articolesse domenicali, dove si augura una venuta della Troika che “deve combattere la deflazione che ci minaccia”».Per Scalfari, la Troika – proprio lei, la massima responsabile dell’euro-disastro – deve «puntare su una politica al tempo stesso di aumento del Pil, di riforme sulla produttività e la competitività, di sostegno della liquidità e del credito delle banche alle imprese». Scalfari, che non ha ancora digerito la detronizzazione del suo beniamino Letta (con quale cenava, addirittura insieme a Draghi e Napolitano) non manca di inviare un messaggio a Renzi: «Capisco che dal punto di vista del prestigio politico sottoporsi al controllo diretto della Troika sarebbe uno scacco di rilevanti proporzioni, ma a volte la necessità impone di trascurare la vanagloria e questo è per l’appunto uno di quei casi». Parole chiare: caro Renzi, ti è stato affidato un compito ben preciso e non lo stai portando a termine come previsto.«Questo – scrive Sacchetti – il contenuto del messaggio che Scalfari manda al premier, al quale potrebbe essere dato il ben servito molto presto se non esegue pedissequamente le istruzioni che gli sono state date». E la fine che lo attende, se non “obbedisce”, «è quella dei suoi predecessori Monti e Letta, i quali sono stati gettati via come due scarpe vecchie appena diventati inutili». Nessuna sorpresa: «E’ il meccanismo infernale che ha progettato l’élite transnazionale che detesta gli Stati e i popoli che li abitano, considerati alla stregua di una plebe ignorante priva di diritti», conclude Sacchetti. «De Bortoli e Scalfari sanno molto bene quale sarà il trattamento che attende l’Italia e ne stanno discutendo nei primi giorni di agosto, mese ideale per sferrare l’ennesimo calcio nelle gengive agli italiani, distratti dalle vacanze». Al loro ritorno, «potrebbero trovare ciò che è stato conquistato ieri dai loro padri completamente distrutto nel giro di pochi mesi oggi».Qualcosa di esplosivo sta accadendo nei piani alti del mainstream italiano: a rompere il tabù, prospettando l’arrivo della famigerata Troika, il triumvirato tecnocratico composto da Commissione Ue, Bce e Fmi, è stato il direttore del “Corriere della Sera” Ferruccio De Bortoli. «Il direttore del “Corriere” ci descrive lo scenario che ci aspetta il prossimo autunno», avverte Cesare Sacchetti, «quando vedremo realizzarsi le peggiori nemesi nella manovra economica, che prevederà un probabile prelievo forzoso sui conti correnti». Sarebbe la riedizione del 1992, quando l’allora primo ministro Giuliano Amato «decise di approvare questo furto a danno del risparmio dei cittadini italiani». Solo allora «verrà dichiarata la resa ai tecnocrati». E sarà «messo in un angolo» il governo presieduto da Matteo Renzi, «che non ha vinto nessuna elezione democratica ma è stato nominato dal Capo dello Stato». Tutto questo, mentre i signori della Troika faranno all’Italia quello che fecero nel 2011 alla Grecia, che in cambio dei 50 miliardi ricevuti sta privatizzando tutto: sono all’asta «porti, aeroporti, isole e acquedotti».
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Fortezza Europa: vendiamo armi e anneghiamo profughi
Siamo noi a vendere le armi ai regimi che li massacrano, facendoli fuggire sui barconi. Per la prima volta dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, il numero di profughi, richiedenti asilo e sfollati ha superato i 50 milioni di persone. E’ il più grande esodo della storia, dopo la fuga di massa dall’Europa dominata dal nazismo. La fuga è diventata espressione del nostro mondo, scrivono Barbara Spinelli, Daniela Padoan e Guido Viale in una petizione al Parlamento Europeo in occasione del semestre italiano di presidenza dell’Ue. «È una fuga che vede l’Europa come approdo, luogo di salvezza». Sulle nostre coste affluiscono uomini, donne e bambini «che si lasciano alle spalle paesi in fiamme, dittature, genocidi, carestie, catastrofi climatiche e ambientali, guerre divenute inani e senza fine contro il terrorismo». Ma siamo noi, Occidente, i principali “esportatori” di disperazione. E tutto quello che facciamo è lasciare i disperati in mano ai trafficanti, per poi rinchiudere i superstiti nei centri di detenzione italiani, mentre il resto d’Europa lascia che la sbrighi l’Italia.«I rifugiati sono oggi il prodotto su scala industriale di quella grande guerra, immateriale e non dichiarata, che è la guerra contro i poveri, dove un confine netto separa chi ha diritto di muoversi da chi quel diritto si vede negato», e di trova di trova di fronte un’Europa trasformata in filo spinato, scrivono Spinelli, Padoan e Viale, nella petizione sottoscritta da Alexis Tsipras e Nichi Vendola e da autorevoli personalità come Stefano Rodotà, Luigi Manconi, Andrea Camilleri, Umberto Eco, Curzio Maltese, Moni Ovadia, Erri De Luca, Gad Lerner, Marco Revelli, Ermanno Rea, Sandra Bonsanti e Gustavo Zagrebelsky. Imperativo morale: garantire il diritto di fuga e fermare i “respingimenti”. Nel 2013, il numero dei migranti forzati è aumentato di ben 6 milioni, complice la carneficina siriana che in tre anni ha sfrattato due milioni e mezzo di civili. Si scappa anche dalla Repubblica Centrafricana, dal Sud Sudan, dall’Eritrea, dalla Libia gettata nel caos dalla guerra occidentale; si fugge dalla Somalia e dal Maghreb.Uomini, donne e bambini che giungono alle nostre coste «in cerca non solo della nuda vita, ma di libertà e di giustizia: di quell’inclusione nel concetto di umanità senza il quale ogni discorso sui diritti perde significato, rimanendo appannaggio di un ceto di privilegiati». Chi non muore durante il viaggio, che trasforma il Mediterraneo in un cimitero, viene accolto come un fuorilegge, subendo una «inferiorizzazione giuridica, economica e sociale», oltre alla privazione della libertà. Così, a naufragare è «quello stesso pensiero di eguaglianza e solidarietà che fonda le nostre democrazie». Sicché, «i cittadini europei non possono più assistere passivamente alla strage che giorno dopo giorno si svolge davanti ai loro occhi». Tuttavia, l’Unione Europea – che dal 2000 dichiara di voler prevenire e combattere il traffico di esseri umani – sta, di fatto, permettendo che profughi e migranti attraversino il Mediterraneo «mettendo la propria vita nelle mani di organizzazioni criminali transnazionali, perché è stato lasciato loro il monopolio del trasporto in mare».La cosa, aggiungono i firmatari della petizione, è tanto più grave in quanto il Trattato sul Funzionamento dell’Unione prevede una responsabilità diretta in materia di gestione integrata delle frontiere, gestione di tutte le fasi del processo migratorio, accoglienza delle persone e condivisione degli oneri, non solo finanziari, tra tutti i paesi membri. Tutte norme rimaste quasi lettera morta: questo «conferma l’assenza di volontà politica da parte degli Stati membri e la pusillanimità della Commissione», data anche l’incapacità di predisporre soluzioni pratiche come la creazione di corridoi umanitari. L’Ue preferisce restare «nascosta dalla retorica del Consiglio Europeo o dalla valanga di documenti, incontri e conferenze», tra agenzie europee che dovrebbero «applicare le politiche europee, e non nel fare da schermo alla loro assenza». Massima ipocrisia, i respingimenti: presentati come misure per salvare i profughi, sono esattamente la loro condanna all’annegamento. Sono gli Stati, per primi, a violare le norme su diritto d’asilo, integrazione e solidarietà: «L’ossessione della lotta contro l’immigrazione clandestina e la chiusura dei canali di accesso regolari hanno concretamente operato per accrescere, come strumento di dissuasione, il rischio patito da tutti coloro che cercano di attraversare i confini della “fortezza Europa”».Come ogni altra legge varata dall’autocrazia tecnocratica di Bruxelles che infligge le politiche di austerity, anche lo “scudo” europeo anti-immigrazione, Frontex, non è mai stato votato dai cittadini. «L’Europa che ha creduto di potersi barricare in una fortezza, ha fallito», scrivono Spinelli, Padoan e Viale, ricordando il cartello esposto a Bruxelles da un migrante: “Non siamo noi ad attraversare i confini, sono i confini ad attraversare noi”. Servono nuove leggi, da applicare prontamente per fermare la strage. Oggi ci sono soltanto «iniziative su base volontaria, approcci diplomatici poco credibili e strumenti operativi con risorse limitate, come Frontex», praticamente «fumo negli occhi». I firmatari chiedono a Bruxelles di esaminare seriamente la situazione e produrre risposte. Nel frattempo, «si tratta di prevedere d’urgenza l’apertura di percorsi autorizzati e sicuri per chi lascia il territorio di nascita, di cittadinanza o di residenza – in fuga da guerre, persecuzioni, catastrofi ambientali, climatiche o economiche». Un corridoio umanitario tra Africa e Ue, sotto tutela Onu, per scongiurare nuove tragedie. Del resto, l’Europa è già presente in Libia: perché non fa niente per contrastare il traffico di esseri umani?Spinelli, Padoan e Viale chiedono «canali di ingresso legale», in cui «un sistema di traghetti e voli charter sostituisca le carrette del mare», e in cui l’Onu e l’Ue presidino ogni snodo di partenza e di transito per «identificare, tutelare e dotare i profughi di visti provvisori», per poi «smistare gli arrivi fra i vari porti e aeroporti attrezzati per l’accoglienza, così da governare razionalmente la distribuzione sul territorio europeo dei singoli e delle famiglie», mettendo fine all’assedio degli abitanti di Lampedusa, costretti a supplire, con grande generosità, «l’abissale assenza dello Stato e dell’Unione Europea». Più in generale, «l’Italia e tutti i popoli del Sud Europa non possono più essere lasciati soli nel gravoso compito dei soccorsi in mare». Poi occorre assicurare libertà di movimento, garantire ai profughi «la libertà di scegliere dove vivere e la libertà di riannodare i propri affetti». Serve anche il “mutuo riconoscimento” delle decisioni sull’asilo: «Chiunque si trovi nello spazio europeo, indipendentemente dalla sua cittadinanza, deve poter godere del pieno esercizio di pari diritti». Per questo, i firmatari chiedono «la chiusura di tutti i centri di detenzione per migranti e profughi, comunque si chiamino, che configurano una forma di detenzione extra ordinem».Barbara Spinelli, Daniela Padoan, Guido Viale e chiedono che l’Ue si impegni a facilitare richieste e visti, «per chi fugge da situazioni di guerra o di persecuzione o di rischio per la vita», grazie a una normativa «capace di restituire dignità giuridica ai rifugiati», a cominciare dalla protezione del diritto di transito. Problema ancor più drammatico per i minori non accompagnati, quasi 6.000 in Italia negli ultimi 18 mesi: «Molti di loro sono trattenuti da mesi in strutture inadeguate, che non prevedono percorsi di formazione né di integrazione». Poi, l’istituzione dello “ius soli”, per assicurare la cittadinanza europea ai figli dei migranti nati nei nostri paesi. Obiettivo finale: una “pax mediterranea”, dopo la “guerra infinita” prodotta dall’attuale geopolitica occidentale, prima responsabile delle crisi che determinano il flusso dei rifugiati. Servono nuovi strumenti politici per governare l’esodo: «Basti pensare al fatto che se accogliessimo davvero i profughi, dando loro possibilità di avere voce e diritti, si creerebbe forse in Europa una “terza forza” in grado di rappresentare il rispettivo paese – per esempio la Siria, la Repubblica Centrafricana, l’Eritrea e tutti i paesi del Corno d’Africa – in un eventuale negoziato, più e meglio dei cosiddetti governi in esilio, che talvolta sono puri fantocci».La crisi migratoria, concludono i firmatari, mostra quanto sia urgente una politica estera europea, «attualmente impedita non solo da sterili sovranità nazionali gelosamente custodite, ma anche dalla sudditanza dell’Unione Europea alla Nato e agli Usa, che sono spesso all’origine dei conflitti che deflagrano nel mondo e soprattutto ai nostri confini». L’Europa è tutt’altro che innocente: tra i primi dieci esportatori mondiali di armi figurano Germania, Francia, Regno Unito, Paesi Bassi, Italia, Spagna e Svezia. «Partner di questo lucroso commercio sono in gran parte proprio i paesi dai quali le persone sono costrette a fuggire per mettersi al riparo da guerre, persecuzioni, violazioni dei diritti umani e soppressione delle libertà democratiche. Poiché i rifugiati sono il prodotto della guerra, noi, cittadini d’Europa, chiediamo che la nostra pace non sia una retorica né un privilegio di asserragliati, ma si declini in politiche solidali capaci di includere i paesi che si affacciano sul Mediterraneo e l’Africa».Siamo noi a vendere le armi ai regimi che li massacrano, facendoli fuggire sui barconi. Per la prima volta dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, il numero di profughi, richiedenti asilo e sfollati ha superato i 50 milioni di persone. E’ il più grande esodo della storia, dopo la fuga di massa dall’Europa dominata dal nazismo. La fuga è diventata espressione del nostro mondo, scrivono Barbara Spinelli, Daniela Padoan e Guido Viale in una petizione al Parlamento Europeo in occasione del semestre italiano di presidenza dell’Ue. «È una fuga che vede l’Europa come approdo, luogo di salvezza». Sulle nostre coste affluiscono uomini, donne e bambini «che si lasciano alle spalle paesi in fiamme, dittature, genocidi, carestie, catastrofi climatiche e ambientali, guerre divenute inani e senza fine contro il terrorismo». Ma siamo noi, Occidente, i principali “esportatori” di disperazione. E tutto quello che facciamo è lasciare i disperati in mano ai trafficanti, per poi rinchiudere i superstiti nei centri di detenzione italiani, mentre il resto d’Europa lascia che la sbrighi l’Italia.
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Cari grillini, che c’entra Renzi con la Grande Guerra?
Lo storico Aldo Giannuli, amico di vecchia data di “Radio Popolare”, ha pubblicato in questi giorni due interessanti articoli dedicati alla “storia per anniversari” in cui pone dei problemi e articola delle riflessioni stimolanti e che ci hanno “tirato in causa”, facendoci riflettere sul nostro lavoro di queste settimane. Storia per anniversari? Parliamone. Come si fa a non essere d’accordo con il professor Giannuli: l’anniversarismo è la malattia infantile (o senile?) della storiografia. Una prova viene dall’attuale dibattito parlamentare. Il vicecapogruppo del “Movimento 5 Stelle”, Andrea Cecconi, ha twittato questo messaggio: “A 100 anni dalla Grande Guerra, la trincea è divenuta ideologica”. In un solo tweet, l’esponente del “Movimento 5 Stelle” fa un parallelismo tra le trincee militari e quelle dell’opposizione e cita uno dei padri della Costituzione, Pietro Calamandrei.Con tutta la comprensione per la posizione del gruppo grillino contro la riforma istituzionale proposta da Renzi è davvero un’iperbole insopportabile quella di paragonarsi a un alpino sull’Ortigara o a un fante sulla Marna. Perché a Palazzo Madama non si rischia di morire; perché i soldati italiani cent’anni fa non stavano difendendo la democrazia contro la dittatura; perché molti di quei militari neanche sapevano perché stavano combattendo in quelle spaventose condizioni. Quello di Andrea Cecconi è lo stesso salto mortale doppio carpiato che fanno i giornalisti quando urlano “strage” per un incidente stradale o “emergenza meteo” quando nevica fuori stagione. Decontestualizzano, ingigantiscono (o minimizzano), falsificano. Perché possono farlo senza “pagare pegno”? Perché nessuno insegna più la storia come si dovrebbe.La citazione di Calamandrei è pertinente: il giurista e politico parlava proprio di quella Costituzione che il vicecapogruppo del “Movimento 5 Stelle” rivendica di difendere con la sua azione parlamentare. Ma suggerisce l’idea che trincee e Costituzione facciano parte di un unico pacchetto. Il che – oggettivamente – è un po’ difficile da sostenere. Spezzo però una lancia a favore dell’anniversarismo, denunciato da Aldo Giannuli come principale colpevole di «una percezione “a chiazze” del sapere storico [...] che spesso è peggio della totale ignoranza della storia, perché ha effetti “falsificanti” anche maggiori». Sarà banale, ma dipende da come si usano gli anniversari: in altre parole dipende dal dosaggio di capacità divulgativa, precisione nelle fonti e contestualizzazione. Ci sono medium che sono capaci di farlo e altri no. Non dico che con il progetto multimediale “Autista moravo” abbiamo dimostrato di saperlo fare, ma posso assicurare che molti ascoltatori ci hanno comunicato la gratificazione per aver capito meccanismi della storia recente e dell’attualità che prima ignoravano.Meno banale è l’aspetto delle fonti. Mano a mano che entriamo negli anniversari più “vicini”, maggiore è la possibilità di utilizzare fonti audio e video, che rendono più vivace la narrazione. Non è semplice usarle correttamente, ma indubbiamente è più facile mostrare i filmati su come si muoveva la cavalleria, vedere le foto della battaglia, ascoltare il racconto dei sopravvissuti, confrontare i quotidiani. E quindi anche interrogarsi sulla propaganda usata come arma (consigliabile, da questo punto di vista la mostra “La Grande Guerra su grande schermo” aperta da poco al Museo Storico di Trento), sulla manipolazione dell’opinione pubblica, sulle deformazione a posteriori degli avvenimenti. Insomma: non dobbiamo abbandonare l’anniversarismo, ma abbiamo bisogno di storici competenti e di mass media che sappiano usarlo con intelligenza.(Danilo De Biasio, “Storia per anniversari? Parliamone”, dal sito di “Radio Popolare” del 31 luglio 2014).…..storia, Aldo Giannuli, Radio Popolare, anniversari, malattia, infanzia, senilità, storiografia, prove, Parlamento, M5S, Beppe Grillo, Movimento 5 Stelle, Andrea Cecconi, Twitter, social network, Grande Guerra, Prima Guerra Mondiale, ideologia, militari, opposizione, Costituzione, Pietro Calamandrei, riforme, Matteo Renzi, iperbole, alpini, trincee, Ortigara, fanteria, Marna, Palazzo Madama, rischio, morte, soldati, democrazia, dittatura, giornalisti, media, disinformazione, strage, incidenti, emergenza, meteo, menzogne, falsificazioni, scuola, studio, diritto, politica, colpa, cultura, conoscenza, ignoranza, fonti, multimediale, radio, attualità, audio, video, testimonianze, narrazione, cavalleria, sopravvissuti, giornali, propaganda, armi, musei, Trento, manipolazione, opinione pubblica, competenza, intelligenza, Danilo De Biasio,Lo storico Aldo Giannuli, amico di vecchia data di “Radio Popolare”, ha pubblicato in questi giorni due interessanti articoli dedicati alla “storia per anniversari” in cui pone dei problemi e articola delle riflessioni stimolanti e che ci hanno “tirato in causa”, facendoci riflettere sul nostro lavoro di queste settimane. Storia per anniversari? Parliamone. Come si fa a non essere d’accordo con il professor Giannuli: l’anniversarismo è la malattia infantile (o senile?) della storiografia. Una prova viene dall’attuale dibattito parlamentare. Il vicecapogruppo del “Movimento 5 Stelle”, Andrea Cecconi, ha twittato questo messaggio: “A 100 anni dalla Grande Guerra, la trincea è divenuta ideologica”. In un solo tweet, l’esponente del “Movimento 5 Stelle” fa un parallelismo tra le trincee militari e quelle dell’opposizione e cita uno dei padri della Costituzione, Pietro Calamandrei.
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Udi Segal, eroe: in galera, pur di non sparare su Gaza
«Fuoco sui civili di Gaza? Non in mio nome. Piuttosto, vado in prigione». E’ il destino che attende Udi Segal, 19 anni, soldato israeliano: sei mesi di carcere, per essersi rifiutato di partecipare all’ennesimo massacro contro i palestinesi. «Verrà un giorno in cui si riconoscerà che il vero eroe di questa guerra è stato il diciannovenne Udi Segal che, disertando per non colpire dei civili in una guerra ingiusta, ha salvato l’onore di Israele», sostiene Aldo Giannuli. «Tanto più importante, la scelta di Udi e degli altri come lui, di fronte al vergognoso e complice silenzio della cosiddetta comunità internazionale», rincara la dose Fabio Marcelli sul “Fatto Quotidiano”. «Comunità di ipocriti, bugiardi e mestatori che ha un esponente esemplare nel “nostro” Matteo Renzi e nella sua ministra degli esteri Mogherini, incapaci di articolare una proposta o protesta degna di questo nome di fronte alla strage degli innocenti che continua ad aver luogo a poche centinaia di chilometri dalle nostre coste».Lo stesso Marcelli racconta che, anni fa, ebbe occasion di incontrare a Tel Aviv alcuni “Refuseniks”, esponenti del movimento israeliano contro la guerra, molti dei quali militari. «Erano i tempi della seconda Intifada: altri massacri, tuttora impuniti, si erano svolti da poco a Jenin ed altrove». Aggiunge Marcelli: «Rimasi colpito davvero dalla tranquilla fermezza di quelle persone, degne esponenti di una cultura millenaria cui l’umanità deve moltissimo, degni continuatori dei ribelli che difesero con le armi la loro vita e la loro dignità nel ghetto di Varsavia contro gli assassini nazisti». Una cultura civile e una nobile storia «che oggi Netanyahu e altra gentaccia della sua risma, i veri antisemiti, rischiano di gettare per sempre in una pattumeria piena di sangue e di bugie». Costretti a vivere in una società ostile, i giovani obiettori israeliani, in un paese in cui «crescono a vista d’occhio le malepiante dell’odio razziale e del fascismo». Eppure, «coraggiosamente, continuano a chiedere il dialogo e una pace giusta, così come chiedono giustizia per tutte le vittime innocenti di questa guerra insensata».Udi Segal sarà rinchiuso per sei mesi nel carcere militare Prison Six. «Israele può continuare questa occupazione, “but not in my name”, non nel mio nome», dichiara a Gianni Rosini del “Fatto”. Se un sondaggio del “Jerusalem Post” rivela che l’86% dei cittadini israeliani si dichiara favorevole all’operazione “Protective Edge”, sul fronte opposto sono almeno 50 i soldati dell’Idf, l’Israel Defense Force, che hanno annunciato il loro rifiuto di partecipare all’operazione. «E migliaia di rappresentanti delle comunità ebraiche di tutto il mondo, guidate dal movimento di ebrei ortodossi antisionisti “Neturei Karta”, stanno manifestando nelle piazze contro l’attacco israeliano a Gaza». L’appoggio del paese alla politica di Netanyahu è ancora forte, ammette il giovane Segal, «ma ci sono molte persone che sono stanche di questa guerra: solo tra i miei coetanei, conosco almeno 120 o 130 ragazzi che hanno preso la mia stessa decisione».«Quando mi sono avvicinato all’età della leva obbligatoria – racconta Segal – ho iniziato a leggere, studiare e documentarmi sul conflitto tra Israele e Palestina. È più di un anno che mi informo sui giornali e studio la storia e ho deciso che non posso prendere parte a questa occupazione». In Terra Santa molte altre persone hanno deciso di fare obiezione di coscienza per protestare contro l’occupazione israeliana nella Striscia di Gaza e nella West Bank, rischiando il carcere come Udi Segal. «Non so ancora di preciso quanto rimarrò in cella – continua il ragazzo – anche se la pena prevista in questi casi è di circa 6 mesi. Non basterà questo a farmi cambiare idea in futuro». Gli altri 50 soldati obiettori la pensano come lui. Lo spiegano in una lettera al “Washington Post”: «Ci opponiamo all’esercito israeliano e alla legge sulla leva obbligatoria perché ripudiamo questa operazione militare».Gli israeliani, scrive Giannuli, sono già al massimo dei rapporti di forza nei confronti dei loro avversari, «a meno di non pensare davvero ad un genocidio, cosa che immaginiamo (e speriamo) ripugni la maggioranza della stessa opinione pubblica israeliana». A ben vedere, osserva lo storico dell’ateneo milanese, «lo Stato d’Israele esce indebolito da questa “brillante” operazione militare: persino gli Usa mostrano maggiore freddezza del passato e cresce il suo isolamento internazionale, l’opinione pubblica europea è disgustata mentre si risolleva una preoccupante ondata di antisemitismo», al punto che «la memoria del genocidio ebraico ne è sporcata e logorata», mentre nei paesi arabi «si ridestano gli umori più ostili a Israele rimettendo in discussione l’accettazione della sua esistenza. Vi sembrano costi politici da poco? E per aver ottenuto cosa? Questa offensiva ha comportato autentici crimini di guerra che non saranno perseguiti solo perché sul banco degli imputati ci vanno i vinti, e Israele non lo è».Domanda: quanto peserà l’obiezione di coscienza di alcune decine di militari, di fronte all’ennesima mattanza? Furono molti i soldati che, all’epoca, rifiutarono di combattere per Israele al confine con il Libano. Un “rifiuto selettivo” che poi si estese ai Territori Occupati. Il più famoso e nutrito gruppo di militari che hanno deciso di non combattere in Cisgordania e Gaza, ricorda ancora il “Fatto”, si chiama “Ometz LeSarev” o anche “Courage to Refuse”, coraggio di rifiutare. I 623 componenti del movimento dei “refuseniks”, formatosi nel 2002 e guidato da un ex generale dell’aviazione, si sono rifiutati di combattere nella Striscia di Gaza e in West Bank, ma hanno giurato di servire fedelmente il loro paese in qualsiasi altra operazione militare: per questo, nel 2004, il gruppo è stato candidato al Premio Nobel per la Pace.Tutto inutile, però, secondo Fabio Marcelli, fino a quando l’ipocrita Occidente continerà imperterrito «il traffico di armi e il sostegno, sia politico che militare, nei confronti del governo assassino» di Netanyahu, perfettamente consapevole che i tre studenti israeliani rapiti – casus belli dell’ultimo massacro – non erano finiti nelle mani di Hamas. I colpevoli siamo anche noi: il Tribunale Penale Internazionale rifiuta di tutelare i palestinesi. «A fronte di questa e altre vergognose manifestazioni di codardia e realpolitik», cioè subalternità al potere imperiale Usa, «occorre continuare la lotta per una giusta pace in Medio Oriente: lo dobbiamo alle mille e più vittime innocenti di Gaza, lo dobbiamo a Udi, ai giovani israeliani che rifiutano la guerra».«Fuoco sui civili di Gaza? Non in mio nome. Piuttosto, vado in prigione». E’ il destino che attende Udi Segal, 19 anni, soldato israeliano: sei mesi di carcere, per essersi rifiutato di partecipare all’ennesimo massacro contro i palestinesi. «Verrà un giorno in cui si riconoscerà che il vero eroe di questa guerra è stato il diciannovenne Udi Segal che, disertando per non colpire dei civili in una guerra ingiusta, ha salvato l’onore di Israele», sostiene Aldo Giannuli. «Tanto più importante, la scelta di Udi e degli altri come lui, di fronte al vergognoso e complice silenzio della cosiddetta comunità internazionale», rincara la dose Fabio Marcelli sul “Fatto Quotidiano”. «Comunità di ipocriti, bugiardi e mestatori che ha un esponente esemplare nel “nostro” Matteo Renzi e nella sua ministra degli esteri Mogherini, incapaci di articolare una proposta o protesta degna di questo nome di fronte alla strage degli innocenti che continua ad aver luogo a poche centinaia di chilometri dalle nostre coste».
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Presi per il Pil? Noi no: storie di italiani che non ci stanno
Fino a ieri il sistema ha inseguito la crescita del Pil per diffondere consumi e sostenere l’industria. Oggi sappiamo che in Europa non è più così: gli stessi politici che continuano a predicare “crescita”, in realtà hanno promosso una deliberata, drammatica inversione di rotta. Non “dobbiamo” più crescere, perché a farlo saranno soltanto le élite, che hanno realizzato un colossale trasferimento di ricchezza, dall’industria alla finanza, dal lavoro alla rendita speculativa. Matematico: la crescita del benessere diffuso comporta maggiore consapevolezza culturale, quindi l’acquisizione di diritti “scomodi”, che il sistema politico – sempre più centralistico e sempre meno democratico – non è più disposto a tollerare. E quindi: precariato, disoccupazione, tagli al welfare, erosione del risparmio, super-tassazione, eclissi delle pensioni, privatizzazione dei servizi vitali. Da anni stiamo “decrescendo” in modo vertiginoso, proprio grazie ai politici che, a parole, si dichiarano favorevoli alla “crescita”. Che peraltro, come sappiamo, minaccia di far esplodere il pianeta: sovrapproduzione di merci superflue, boom demografico, progressiva penuria di risorse.Il blackout della politica, ormai colonizzata dall’oligarchia tecno-finanziaria che manipola l’immaginario collettivo attraverso il ferreo controllo dei media, non ha impedito il diffondersi di esperienze individuali di resistenza libertaria. Messe assieme, fanno rete. Specie se vengono spiegate, mostrate, raccontate. Come accade nel documentario “Presi per il Pil”, realizzato da Stefano Cavallotto col giornalista Andrea Bertaglio, su soggetto elaborato da Lorenzo Fioramonti, economista dell’università sudafricana di Pretoria. Tema: come vivere «senza più essere schiavi dei soldi», peraltro sempre meno abbondanti. Lo spiegano Marta e Giorgio, che hanno deciso di trasferirsi coi figli in valle Maira, sulle montagne di Cuneo, allevando capre e producendo formaggi. E poi Roberto, che si è «dimesso da avvocato» lasciando Cagliari per il natio borgo selvaggio, dove – insieme alla famiglia – ha imparato ad auto-prodursi «tutto quello che gli serve per vivere». Non mancano le comunità organizzate: come quella degli abitanti di Pescomaggiore, alle porte dell’Aquila, che – con l’aiuto volontari italiani e stranieri – costruiscono un eco-villaggio modello, seguendo i metodi della bioedilizia.«Storie sorprendenti ed emblematiche», che aiutano a capire «il desiderio di liberarsi dal dogma del Pil», per immaginare «un mondo più giusto, iniziando dalle nostre vite». Quelle incrociate dal documentario sono «persone che hanno scelto di vivere senza più inseguire il mito della crescita infinita imposto dal sistema», liberandosi dell’ideologia dominante. Il narratore è lo stesso Bertaglio, autore di saggi sulla decrescita (l’ultimo si intitola “Generazione decrescente”, edizioni L’Età dell’Acquario). Tutto nasce quando Andrea, incuriosito dal progetto energetico “Coltiviamo il sole”, decide di partecipare a una riunione dell’associazione che l’ha ideato. Lì incontra Giorgio, interessato all’installazione di un impianto fotovoltaico per la propria stalla. Da quel momento, Andrea inizia «un viaggio fisico e soprattutto interiore» tra questi «pionieri della decrescita», nel loro caso sicuramente “felice”. Morale: specie in un momento di crisi devastante, sorprende la facilità con cui è possibile dribblare il disastro, rimboccandosi le maniche. Purché si abbiano le idee chiare: massima sobrietà, minime esigenze, autosufficienza alimentare. A quel punto, può anche crollare il Pil: lo sostituisce una nuova economia di prossimità, fondata sullo scambio alla pari.Non mancano voci eterodosse, a spiegare perché tutto questo accade, e accadrà sempre di più: da Enrico Giovannini, già a capo dell’Istat e poi ministro del governo Letta, favorevole a «elaborare indicatori di benessere alternativi al Pil», fino a battitori liberi (e famosi) come l’inglese Rob Hopkins, fondatore del movimento delle “Transition Towns”, e il francese Serge Latouche, padre del moderno pensiero decrescista, insieme all’italiano Maurizio Pallante. Parlano docenti universitari come Mario Pianta, tra i promotori della campagna “Sbilanciamoci!”, attivisti e scrittori come Giulio Marcon, già coordinatore del Servizio Civile Internazionale, e autrici come Helena Norberg-Hodge, studiosa dell’impatto dell’economia globale sulle culture e sull’agricoltura a livello mondiale. La Hodge, fondatrice dell’Isec (International Society for Ecology and Culture) è anche produttrice e co-regista del documentario “L’economia della felicità”. Ed è esattamente di questo – economia e felicità – che parla l’ex avvocato Roberto, 45 anni, “scappato” dal capoluogo sardo per farsi coltivatore, nella casa della sua infanzia: «Paradossalmente – dice – oggi ho molti meno problemi economici dei colleghi che mi sono lasciato alle spalle, rimasti schiavi di mutui, finanziamenti e orari di lavoro ormai insostenibili».Stessa musica in Abruzzo, tra i ragazzi di Pescomaggiore, molti dei quali rimasti senza casa dopo il terremoto del 2009. La soluzione si chiama Eva, eco-villaggio interamente auto-costruito, col materiale meno consueto e più ecologico: la paglia. «La manodopera ce la mettiamo noi, riscoprendo la comunità». Un’esperienza umana che cambierà per sempre la loro vita: «Famiglie che si ritrovano, padri e figli che lavorano insieme con un obiettivo comune». Parole come sostenibilità e benessere diventano all’improvviso realtà. «I giovani di Pescomaggiore, molti dei quali precari che hanno trovato una dimensione sociale e lavorativa proprio in questo eco-villaggio, si aiutano nel lavoro, mangiano e parlano insieme, organizzano le proprie giornate in un clima di cooperazione e convivialità», racconta Andrea, che traccia anche un parallelo con l’esperienza – stavolta metropolitana – dei ragazzi del circolo torinese Mdf, il Movimento per la Decrescita Felice: «Si impegnano a vivere una città come Torino quasi come se fosse un paese, a cominciare dai trasporti – la bicicletta in primis – promuovendo uno stile di vita ecologico, basato sul consumo critico». Orti urbani, per esempio, da impiantare anche nelle scuole e attraverso progetti speciali, alcuni dei quali in collaborazione con associazioni come Slow Food».Il documentario, montato da Roberto Allegro e sorretto da musiche originali degli Yo-Yo Mundi, si arrampica anche sulle Alpi, scovando i silenzi incontaminati del Puy, dove pascolano le capre bianche di Marta e Giorgio, marito e moglie, «due tra le persone più lucide che si possa avere la fortuna di incontrare nel corso di un’intera vita», garantisce Andrea. «Vivono e lavorano con i loro cinque figli e pochi buoni amici nel comune di San Damiano Macra, dove sono arrivati da Torino nel 1995». Lei è medico e lavora part-time in zona. Lui, laureato in filosofia e originario della vicina valle Po, per lavoro traduceva libri per case editrici. Nel 1999, la grande scommessa: recuperare un’intera borgata abbandonata per poi avviare un’azienda di capre da latte, che col tempo è diventata anche agriturismo. «Nonostante si possa pensare il contrario, Marta e Giorgio non sono degli “alternativi”», spiega Andrea. «Hanno solo capito prima di altri che per vivere sereni non c’era bisogno di puntare sui soldi». I loro figli – tutti musicisti – ora crescono in un paradiso verde, e tra le vecchie case di pietra è tornata la vita. E’ una strana impresa, super-sostenibile: niente mangimi industriali, farmaci o gasolio. E funziona benissimo: «E’ uno schiaffo a chiunque si rassegni a dire che non è possibile, che oggi il mondo non ti permette di fare certe scelte».(Il documentario: “Presi per il Pil”, Italia 2014, 65 minuti. E’ possibile promuovere la proiezione del film, una produzione low-budget di Settembre Film, e acquistare il filmato in formato dvd, al prezzo di 10 euro, mediante il sito del progetto).Fino a ieri il sistema ha inseguito la crescita del Pil per diffondere consumi e sostenere l’industria. Oggi sappiamo che in Europa non è più così: gli stessi politici che continuano a predicare “crescita”, in realtà hanno promosso una deliberata, drammatica inversione di rotta. Non “dobbiamo” più crescere, perché a farlo saranno soltanto le élite, che hanno realizzato un colossale trasferimento di ricchezza, dall’industria alla finanza, dal lavoro alla rendita speculativa. Matematico: la crescita del benessere diffuso comporta maggiore consapevolezza culturale, quindi l’acquisizione di diritti “scomodi”, che il sistema politico – sempre più centralistico e sempre meno democratico – non è più disposto a tollerare. E quindi: precariato, disoccupazione, tagli al welfare, erosione del risparmio, super-tassazione, eclissi delle pensioni, privatizzazione dei servizi vitali. Da anni stiamo “decrescendo” in modo vertiginoso, proprio grazie ai politici che, a parole, si dichiarano favorevoli alla “crescita”. Che peraltro, come sappiamo, minaccia di far esplodere il pianeta: sovrapproduzione di merci superflue, boom demografico, progressiva penuria di risorse.
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Riforme progettate per noi, docile bestiame da decimare
Ci sono due linee di riforme “indispensabili per la crescita”. Linee convergenti. Pericolosamente. La prima linea è istituzionale-strutturale e sta producendo: svuotamento dei poteri e dell’autonomia degli Stati nazionali parlamentari; concentrazione dei poteri politici in organismi sovrannazionali; isolamento tecnocratico degli organismi decidenti; soprattutto, indipendenza e gestione autoreferenziale delle banche centrali e della politica monetaria; riduzione della partecipazione e dell’influenza democratiche sugli organismi decidenti; riduzione della trasparenza, della responsabilità, della controllabilità degli organismi decidenti; riduzione della conoscibilità dei loro obiettivi di medio e lungo termine e degli effetti di medio e lungo termine delle loro decisioni. Queste caratteristiche (votate da quasi tutto il Parlamento, perché comportano la blindatura della partitocrazia contro la società civile) sono marcatamente proprie soprattutto dell’Ue: quasi tutto il potere, e tutto il potere legislativo, sono in mano ad organismi non elettivi, non responsabili, non trasparenti, burocratici, intergovernativi.L’unico organo elettivo, cioè il Parlamento, ha poteri limitati, che preferisce non esercitare (non ha mai costretto la Commissione a un rendiconto), e la sua natura di cagnolino da passeggio è stata evidenziata da come è stato fatto votare il nuovo presidente dell’Ue: era ammesso un solo candidato – Juncker – e il voto era segreto. Per giunta, nessun elettore europeo, prima di votare, aveva saputo che sarebbe stato Juncker il candidato unico alla presidenza. Nessuna meraviglia se le medesime caratteristiche le ritroviamo anche nella urgente e irresistibile marcia delle riforme istituzionali di Renzi: queste riforme, appunto, diminuiscono la partecipazione e l’influenza degli elettori, ostacolano i referendum, danno al premier i poteri sia politico-legislativi, che di controllo (su se stesso) anche solo con un 22% dei consensi. Nessuna meraviglia: è chiaro che l’Italia e la sua Costituzione devono essere riformate in questo senso per integrarsi nella struttura autocratica dell’Ue.La seconda linea di riforme, iniziata alla fine degli anni ’70, è quella economico-finanziaria, e punta essenzialmente a difendere e tutelare gli interessi dei creditori finanziari con sacrificio degli altri interessi sociali: il modello di sviluppo keynesiano, caratterizzato dallo Stato che corregge il mercato e fa investimenti anticiclici per evitare la recessione e assicurare l’occupazione, al prezzo di una costante, fisiologica inflazione, viene sostituito con un modello da alcuni ritenuto hayekiano, ma che tale non è perché Friedrich Von Hayek voleva non solo il libero mercato come unico regolatore dell’economia, ma anche uno Stato che tenga il mercato libero dai monopoli e che si astenga dall’assistenzialismo sociale e imprenditoriale. Il modello economico-finanziario imposto all’Ue fa per contro tutto questo, anzi in esso i grandi monopoli bancario-finanziari dettano la politica degli Stati e dell’Unione.Il detto modello raggiunge lo scopo della tutela degli interessi dei creditori-finanziari mediante alcuni principali strumenti: indipendenza-irresponsabilità delle banche centrali dai parlamenti, vincoli di bilancio pubblico (proibizione della spesa pubblica antirecessiva), stretta monetaria, compressione salariale (e della domanda interna) per assicurare un pareggio o un surplus della bilancia estera, socializzazione delle perdite delle banche. Quando la politica economica è affidata ai banchieri centrali, che, per statuto, deliberano e operano non solo in autonomia ma nella segretezza e nella irresponsabilità, la democrazia rappresentativa è finita, il consenso popolare è superato. Il risultato – prevedibile e inevitabile perché facente parte degli obiettivi – è la deflazione, la disoccupazione, l’avvitamento fiscale, la recessione o stagnazione – che ora si prospetta pure per la Germania.La Costituzione italiana del 1948 è, per contro, esplicitamente keynesiana: l’articolo 1 fonda la Repubblica sul lavoro, non sul capitale, e numerose altre norme riconoscono al lavoro (all’occupazione, alla produzione, agli investimenti) il primato assoluto e la funzione di perequazione sostanziale tra i cittadini; quindi essa è in opposizione radicale e inconciliabile col modello politico-economico costitutivo dell’Ue e della Bce, che si basa sulla priorità alla prevenzione dell’inflazione (primaria minaccia per le rendite finanziarie), e per prevenirla impone l’austerità, cioè innanzitutto l’astensione dagli investimenti pubblici anticiclici per uscire dalla recessione – sicché la recessione perdura, diviene strutturale e non accidentale. La storia della cosiddetta integrazione europea è in realtà la storia della sostituzione di un modello socio-economico-istituzionale con un modello opposto, ossia dei valori sociali e produttivi, fondanti per la democrazia elettiva e la legittimità costituzionale, col loro contrario: parassitismo finanziario e autocrazia.E’ la storia di un’inversione non dichiarata, che è avanzata di soppiatto, sotto il camuffamento di ideali sbandierati e mai attuati di solidarietà integrazione dei popoli, identità comune, di promesso sviluppo che non arriva mai. Un’inversione di cui oramai sentiamo fortemente gli effetti pratici, anche se molti di noi non sanno da che cosa provengano, e pensano che le cause siano la corruzione o l’evasione o l’articolo 18. In Italia, oltre a queste piaghe, le due linee di riforme di cui Napolitano, Monti, Letta e Renzi sono paladini e artefici (soprattutto Napolitano, che, per imporla e accelerarla, deborda continuamente dalla sua funzione di garante e arbitro per intervenire nella politica dei partiti) sul piano economico sta producendo un continuo e rapido aumento del debito pubblico – cioè l’opposto di ciò che promette – e l’emigrazione di capitali, imprese e cervelli, con la deindustrializzazione del paese e la moria delle sue aziende (dirò poi perché queste loro azioni non vanno condannate, nemmeno moralmente).La direzione, la finalità autocratica, essenzialmente dittatoriale, a cui mira la prima linea di riforme, cioè quelle istituzionali, spiega chiaramente la ragione per la quale, paradossalmente, ci si ostina a portare avanti la seconda linea di riforme, cioè quella economico-finanziaria, sebbene stia producendo effetti rovinosi e contrari a quelli che dovrebbe produrre, tra la sofferenza di milioni di persone: le due linee di riforme convergono in un’operazione di ingegneria sociale, di costruzione di una società radicalmente e apertamente oligarchica che comandi incontrastata le popolazioni fiaccate e rassegnate da molti anni di frustrazioni e insicurezze, e impoverite di redditi, risparmi, diritti civili, sociali, politici. Il modello economico in via di imposizione, con le sue riforme, non importa se produce recessione o stagnazione; il suo scopo reale e non detto non è la crescita, ma una riforma dell’ordinamento sociale e giuridico che assicuri il dominio sulla popolazione generale, la possibilità di sfruttarla senza limiti, l’estrazione da essa di rendite certe per il capitale finanziario anche in periodi di contrazione del Pil, e il tutto in modo formalmente legittimo. A questo servono le riforme. E le privatizzazioni, che ieri Padoan ha ripromesso, parlando in Cina, che verranno eseguite. Quindi è assurdo ciò che promette Renzi, ossia che queste riforme strutturali rilancerebbero l’economia. Possono solo rilanciare l’affarismo spartitorio e screditare ulteriormente il settore pubblico – e questo credo sia il vero obiettivo.Attualmente in Italia abbiamo un programma di tagli alla spesa pubblica, una pressione fiscale che non può calare anche a causa dei 40 miliardi all’anno di riduzione del debito pubblico che il governo dovrà fare in esecuzione del Fiscal Compact, un reddito e una capacità di spesa in picchiata anche a causa dell’alta disoccupazione e maloccupazione, soprattutto giovanili; inoltre le banche stanno riducendo il credito alle imprese e alle famiglie e tengono altissimi i tassi: sanno che gli aspiranti mutuatari, data la mancanza di continuità del loro reddito, non avranno i mezzi per ripagare i prestiti, quindi logicamente non erogano prestiti, se non raramente e con spread altissimi, al decuplo dell’Euribor, per compensare il rischio – dicono. Quindi oggettivamente non ci sono le condizioni per un’uscita dalla depressione economica. Anzi, è in corso un avvitamento recessivo, che determinerebbe rendimenti altissimi sul debito pubblico, senonché qualcuno – la Bce e/o la Fed – comprando sul mercato secondario, e distorcendo il mercato, li tiene artificialmente bassi – come fa ancora più vistosamente con le nuove emissioni del debito pubblico greco.Alla luce di quanto sopra detto, possiamo tranquillamente concludere che, quando un leader comunitario, soprattutto un leader italiano, promette crescita o impegno per la crescita, promette la sospirata flessibilità, promette che l’Ue porta allo sviluppo – quando promette queste cose, e insieme dice che “le regole europee”, “il risanamento”, “il rigore di bilancio” saranno rispettati, mente sapendo di mentire, mente per imbonire la gente: il modello che viene implementato attraverso l’Ue e l’Italia in particolare non vuole crescita, lavoro, sicurezza, rilancio produttivo, ma stagnazione. Come non vuole partecipazione popolare né diritti sociali. Al massimo sono ammessi interventi di riduzione del disagio sociale per prevenire che evolva in sommossa, o sussidii a categorie sociali realizzati a spese di altre categorie sociali (come gli 80 euro di Renzi), in una logica di divide et impera. Logica peraltro applicata anche tra gli Stati membri: consentire ad alcuni (Germania e soci) un relativo (e provvisorio) sviluppo a spese degli altri, onde avere il loro appoggio per completare l’opera di inversione costituzionale. Che si appalesa, oramai, come un’opera eversiva. E quando ci dicono “fare le riforme istituzionali è condizione per ottenere flessibilità di bilancio dall’Europa”, il significato è: “se non ci lasciate riformare la Costituzione per realizzare l’autocrazia che vuole la grande finanza, la grande finanza vi lascia senza soldi”.Diversamente da altri, io non biasimo moralmente i progettisti e gli autori di quanto sopra. Non dico che sono criminali perché sacrificano il 99% della popolazione agli interessi dell’1%. Infatti, il loro modello socioeconomico deflativo-parassitario-autocratico è più adeguato a ciò che i popoli sono, al loro effettivo livello mentale e di consapevolezza, che non è molto diverso da quello del bestiame, come dimostra la bovina docilità con cui si lasciano “riformare”. Il modello democratico, e anche il modello (post)keynesiano, presuppongono che l’uomo mediano e il popolo siano qualcosa che in realtà non sono affatto, quindi semplicemente non possono funzionare. Il modello socioeconomico deflativo ha, inoltre, il vantaggio di riuscire a imporre coercitivamente e dall’alto, di fronte al raggiungimento dei limiti fisici dello sviluppo e alla necessità di ripiegare, la necessaria decrescita ecologica dei consumi e della stessa popolazione, che in regime di democrazie nazionali non si potrebbe ottenere.(Marco Della Luna, estratti dal post “Dove portano queste riforme”, pubblicato sul blog di Della Luna il 24 luglio 2014).Ci sono due linee di riforme “indispensabili per la crescita”. Linee convergenti. Pericolosamente. La prima linea è istituzionale-strutturale e sta producendo: svuotamento dei poteri e dell’autonomia degli Stati nazionali parlamentari; concentrazione dei poteri politici in organismi sovrannazionali; isolamento tecnocratico degli organismi decidenti; soprattutto, indipendenza e gestione autoreferenziale delle banche centrali e della politica monetaria; riduzione della partecipazione e dell’influenza democratiche sugli organismi decidenti; riduzione della trasparenza, della responsabilità, della controllabilità degli organismi decidenti; riduzione della conoscibilità dei loro obiettivi di medio e lungo termine e degli effetti di medio e lungo termine delle loro decisioni. Queste caratteristiche (votate da quasi tutto il Parlamento, perché comportano la blindatura della partitocrazia contro la società civile) sono marcatamente proprie soprattutto dell’Ue: quasi tutto il potere, e tutto il potere legislativo, sono in mano ad organismi non elettivi, non responsabili, non trasparenti, burocratici, intergovernativi.
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Ma perché non parli di ciò che sai, Eugenio Scalfari?
Poche cose sono crudeli nella vita come quella di aver vissuto un’esistenza da Eugenio Scalfari, avere la sua cultura, e trovarsi a poco dalla morte a non aver capito un cazzo del Potere. Eugenio S. invoca la Troika. Ecco cosa ci ha portato la Troika di Commissione Ue, Bce e Fmi nell’economia della gente vera (oltre a crimini contro l’umanità in Grecia), e cito sono pochi esempi dell’ultima ora: A) il più devastante declino nei prestiti bancari alle famiglie dal 2008. Non so se capite cosa vuol dire per gli esseri umani che non sono Herman Von Rompuy o Marchionne. La banche europee hanno fatto porcate inimmaginabili finendo di fatto fallite, e chi doveva regolamentarle, Eugenio? La Trrrrrrr….. oika. B) La Bank of International Settlements ci dice in un rapporto che «le banche soprattutto in Europa non sono riuscite a rimediare alla loro catastrofica esposizione a prestiti che saranno inesigibili perché gli indebitati sono al collasso, col conseguente danno alla ripresa economica». E il collasso è proprio opera della Troika e delle sue Austerità, come ormai ammettono anche Goldman Sachs e gli Hedge Funds, Eugenio caro.C) “Reuters” ci dice con un sorriso che le stesse banche europee marce, fallite, con buchi contabili che si vedono dalla Luna, hanno prestato 3.000 miliardi di dollari ai Mercati Emergenti, l’equivalente del Pil di tutta la Germania, e che sarà difficile che li riavranno indietro… Poi indovinate a chi, per questo, ’ste banche diranno No al mutuo o al finanziamento? Ehhhhh? A Bashir Muhktar di Lahore? Nooooo, a Giorgio Mazzetti di Livorno. Sì, cazzo, e di nuovo, non era la Bce (Troika) a doverle regimentare? D) Il 90% dello strombazzato calo dello spread e degli interessi sui titoli di Stato dei paesi come Spagna, Irlanda o Italia, ci dice uno studio di “Bloomberg”, non è dovuto a reali progressi dell’economia di quegli Stati, ma ai trucchi speculativi di Mario Draghi alla Bce (quelli che ho spiegato a “La Gabbia”). Quindi fumo, che Renzi oggi usa per infinocchiare i soliti italiani scimmie cani, ma solo fumo negli occhi. Trucchi del N.1 della Troika, Scalfari. Ma sai leggere almeno il “Sole 24 Ore”? (non pretendo il “Ft”).E) Oh! Come Paolo Barnard e Gianluigi Paragone (quelli inaffidabili perché vanno in Tv con orecchini e anelli) hanno detto per 20 mesi, le banche più fallite di tutta l’Europa non sono quelle spagnole o italiane, ma quelle tedesche. Yes Sir! Le tedesche sono fottute, marce, putrefatte, e Scalfari non lo sa. Ci vuole la Troika, secondo lui, cioè gli autori di questo disastro che va oltre la decomposizione dell’Europa, che è la distruzione di un continente. Eugenio, 90 anni spesi molto male se arrivi alla fine da fesso.(Paolo Barnard, “Ma perché non parli di ciò che sai, Eugenio Scalfari?”, dal blog di Barnard del 5 agosto 2014).Poche cose sono crudeli nella vita come quella di aver vissuto un’esistenza da Eugenio Scalfari, avere la sua cultura, e trovarsi a poco dalla morte a non aver capito un cazzo del Potere. Eugenio S. invoca la Troika. Ecco cosa ci ha portato la Troika di Commissione Ue, Bce e Fmi nell’economia della gente vera (oltre a crimini contro l’umanità in Grecia), e cito sono pochi esempi dell’ultima ora: A) il più devastante declino nei prestiti bancari alle famiglie dal 2008. Non so se capite cosa vuol dire per gli esseri umani che non sono Herman Von Rompuy o Marchionne. La banche europee hanno fatto porcate inimmaginabili finendo di fatto fallite, e chi doveva regolamentarle, Eugenio? La Trrrrrrr….. oika. B) La Bank of International Settlements ci dice in un rapporto che «le banche soprattutto in Europa non sono riuscite a rimediare alla loro catastrofica esposizione a prestiti che saranno inesigibili perché gli indebitati sono al collasso, col conseguente danno alla ripresa economica». E il collasso è proprio opera della Troika e delle sue Austerità, come ormai ammettono anche Goldman Sachs e gli Hedge Funds, Eugenio caro.
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Comanda solo il business, ecco perché il mondo è nel caos
«Mentre la terza guerra mondiale non è stata formalmente dichiarata, i conflitti di tutto il mondo stanno raggiungendo livelli mai visti dal 1944», anche se per la grande maggioranza di persone in tutto il mondo «le notizie su questi conflitti sono solo parte della cronaca quotidiana». Per Roberto Savio, editore di “Other News” e fondatore dall’agenzia di stampa Ips, Inter Press Service, l’opinione pubblica ha semplicemente rinunciato a tentare di capire quello che sta succedendo, giorno per giorno. Perché il pianeta sta sprofondando in questo pericoloso caos? «La fine della Guerra Fredda ha scongelato il mondo, che era stato tenuto stabile dall’equilibrio tra le due superpotenze». Le alleanze oggi cedono, di fronte agli interessi nazionali: lo dimostra l’Austria, che ha firmato sottobanco con la Russia l’accordo per il gasdotto Southstream che aggirerebbe l’Ucraina, proprio mentre gli Usa pretendono che l’Europa isoli Mosca. «Un mondo multipolare è in divenire, ma resta da capire quanto stabile».Cina e Giappone stanno aumentando i loro investimenti militari, alla pari dei paesi circostanti, scrive Savio in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”. E mentre i conflitti locali, come quelli in Siria, in Iraq e in Sudan, non stanno degenerando in un conflitto più allargato, questo rischio è invece molto più vicino in Asia. «In un mondo sempre più diviso da una recrudescenza degli interessi nazionali, l’idea stessa di una governance condivisa sta perdendo forza, e non solo in Europa», continua Savio. Le Nazioni Unite sono ormai diventate marginali come arena in cui raggiungere consenso e legittimità, mentre a dettare l’agenda sono «i due motori della globalizzazione – il commercio e la finanza». Sviluppo, pace, diritti umani, ambiente e istruzione? «Sebbene questi temi siano cruciali per un mondo vivibile, non sono visti come tali da chi è al potere. Conclusione: le Nazioni Unite stanno diventando irrilevanti», così come «valori e idee considerati universali», ad esempio «la cooperazione, l’aiuto reciproco, la giustizia sociale e la pace internazionale».Esempio: «Il presidente francese François Hollande incontra il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, non per discutere di come fermare il genocidio in Sudan o il sequestro di bambini in Nigeria, ma per chiedergli di intervenire con il suo ministro della giustizia per ridurre un’ammenda gigante comminata a una banca francese, la Bnp-Paribas, per attività fraudolente». Altro tema-fantasma, il futuro del pianeta: «L’incombente problema del controllo del clima era in gran parte assente nell’ultima riunione del G7, per non parlare del disarmo nucleare». Dopo il colonialismo, archiviati i regimi totalitari con la fine della Seconda Guerra Mondiale, la frase-chiave fu “l’attuazione della democrazia”. Ma al termine della Guerra Fredda, continua Savio, la democrazia fu data per scontata e ora «sta perdendo il suo fascino», perché il pragmatismo del business «ha portato alla perdita della visione a lungo termine, e la politica è diventata sempre più semplice amministrazione».I cittadini sono estranei ai partiti, e gli affari internazionali sono delegati ai poteri forti, che decidono senza più consultare il popolo. Accade ogni giorno: «Il modo in cui il piano di salvataggio di Cipro dalla crisi finanziaria di qualche anno fa è stato trattato in seno alla Commissione Europea è stato ampiamente riconosciuto come un esempio lampante di mancanza di trasparenza». Altro elemento-chiave per l’aumento del caos, la “nuova economia” prodotta dalla finanza: «Un’economia che contempla la disoccupazione permanente, la mancanza di investimenti sociali, una riduzione delle imposte per i grandi capitali, la marginalizzazione dei sindacati e una riduzione del ruolo dello Stato come regolatore e garante della giustizia sociale». Sicché, «le disuguaglianze stanno raggiungendo livelli senza precedenti», se è vero che «le 85 persone più ricche del mondo possiedono la stessa ricchezza di 2,5 miliardi di persone». Tutto ciò, conclude Savio, accade anche perché gli organizzatori del caos usano i media per manipolare la verità, oscurare le notizie e impedire all’opinione pubblica di “vedere” quello che sta davvero succedendo.«Mentre la terza guerra mondiale non è stata formalmente dichiarata, i conflitti di tutto il mondo stanno raggiungendo livelli mai visti dal 1944», anche se per la grande maggioranza di persone in tutto il mondo «le notizie su questi conflitti sono solo parte della cronaca quotidiana». Per Roberto Savio, editore di “Other News” e fondatore dall’agenzia di stampa Ips, Inter Press Service, l’opinione pubblica ha semplicemente rinunciato a tentare di capire quello che sta succedendo, giorno per giorno. Perché il pianeta sta sprofondando in questo pericoloso caos? «La fine della Guerra Fredda ha scongelato il mondo, che era stato tenuto stabile dall’equilibrio tra le due superpotenze». Le alleanze oggi cedono, di fronte agli interessi nazionali: lo dimostra l’Austria, che ha firmato sottobanco con la Russia l’accordo per il gasdotto Southstream che aggirerebbe l’Ucraina, proprio mentre gli Usa pretendono che l’Europa isoli Mosca. «Un mondo multipolare è in divenire, ma resta da capire quanto stabile».
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Giallo, la morte di Pantani e i misteri della Rosa Rossa
Strano suicidio, quello di Marco Pantani. Così strano da spingere la magistratura a riaprire l’inchiesta a dieci anni di distanza da quel 14 febbraio 2004. Più che un suicidio, scrive l’avvocato Paolo Franceschetti, sembra un omicidio “firmato”, con implacabile precisione, dall’ “Ordine della Rossa Rossa”. Fantomatica organizzazione segreta internazionale, secondo alcuni studiosi sarebbe una potentissima cupola eversiva di tipo esoterico, con fini di potere, dedita anche all’oscura pratica dell’omicidio rituale. «Un’ipotesi sempre scartata come irrealistica dagli inquirenti», scrive nel suo blog lo stesso Franceschetti, autore di studi sulla presunta relazione tra crimini e occultismo iniziatico, incluso il caso del cosiddetto “mostro di Firenze”. Di matrice rosacrociana, fondata sul simbolismo della Cabala e dell’ebraico antico come la londinese “Golden Dawn” rinverdita dal “mago” Aleister Crowley, secondo alcuni saggisti la “Rosa Rossa” sarebbe una sorta di super-massoneria deviata e criminale. Problema: non esiste una sola prova che questa organizzazione esista davvero. Solo indizi, benché numerosi.Chi esegue una sentenza rituale di morte, per “punire” in modo altamente simbolico un presunto “colpevole” o addirittura perché pensa – magicamente – di “acquisire potere” dall’uccisione “satanica” di un innocente, secondo Franceschetti ricorre sistematicamente a pratiche sempre identiche: in particolare la morte per impiccagione (la corda di Giuda, traditore di Cristo), con la vittima fatta ritrovare inginocchiata, e la morte per avvelenamento (o overdose di droga). Decine di casi di cronaca, tutti contrassegnati da circostanze ricorrenti: manca sempre un movente plausibile, non si trova l’arma del delitto, i nomi delle vittime hanno spesso origine biblica, la somma dei “numeri” (data di morte, data di nascita) riconduce a numeri speciali, per la Cabala, come l’11 e i suoi multipli. Oppure il 13, il numero della morte dei tarocchi. E poi, la “firma”: Pantani fu ritrovato morto a Rimini all’hotel “Le Rose”. Accanto al corpo, un biglietto in codice dal significato criptico: “Colori, uno su tutti rosa arancio come contenta, le rose sono rosa e la rosa rossa è la più contata”.Sul caso Pantani, sono stati scritti fiumi di parole, reportage, libri. Tra chi non ha mai creduto alla tesi del suicidio c’è un giornalista come Andrea Scanzi, che sul “Fatto Quotidiano” scrive: «Troppe incongruenze. La camera era mezza distrutta, c’era sangue sul divano, c’erano resti di cibo cinese (che Pantani odiava: perché avrebbe dovuto ordinarlo?)». Inoltre, il campione aveva chiamato per ben due volte la reception, parlando di «due persone che lo molestavano», ma l’aneddoto è stato catalogato come “semplici allucinazioni di un uomo ormai pazzo”. In più, Pantani «fu trovato blindato nella sua camera, i mobili che ne bloccavano la porta, riverso a terra, con un paio di jeans, il torso nudo, il Rolex fermo e qualche ferita sospetta (segni strani sul collo, come se fosse stato preso da dietro per immobilizzarlo, e un taglio sopra l’occhio)». Uniche tracce di cocaina, quelle ritrovate su palline di mollica di pane. Indagini superficiali: «Non esiste un verbale delle prime persone che sono entrate all’interno della camera, non è stato isolato il Dna delle troppe persone che entrarono nella stanza».Dettaglio macabro e particolarmente strano, il destino del cuore di Pantani: «Venne trafugato dopo l’autopsia dal medico, che lo portò a casa senza motivo (“Temevo un furto”) e lo mise nel frigo senza dirlo inizialmente a nessuno», scrive Scanzi. Prima di morire, a Rimini il ciclista aveva trascorso cinque giorni, «per nulla lucido, accompagnato da figure equivoche. Avrebbe anche festeggiato con una squadra di beach volley poco prima di morire: chi erano?». Altre domande: «Perché il cadavere aveva i suoi boxer un po’ fuori dai jeans, come se lo avessero trascinato?». Certo, aggiunge Scanzi, Pantani morì per overdose di cocaina, «ma troppi particolari lasciano pensare (anche) a una messa in scena». L’autopsia, peraltro, confermò che le tracce di Epo nel suo corpo erano minime, «segno evidente di come il ciclista non avesse mai fatto un uso costante di sostanze dopanti». E poi, tutte quelle “incongruenze”, reperibili in libri-denuncia come “Vie et mort de Marco Pantani” (Grasset, 2007) e “Era mio figlio” (Mondadori, 2008). E poi, soprattutto: «Che senso aveva quel messaggio in codice accanto al cadavere?». Colori e rose, “la rosa rossa è la più contata”.Anche i suoi amici, ricorda Franceschetti, dissero che la morte di Pantani in quell’hotel non può esser stata casuale: forse Marco voleva «lasciare un messaggio a qualcuno», perché «era un uomo che non faceva nulla a caso». Meglio ancora: «Non era lui che voleva lasciare un messaggio, ma chi l’ha ucciso», chiosa l’avvocato, sempre attento ai possibili “segni invisibili”: «Probabilmente c’è un significato anche nel fatto che sia morto a San Valentino, giorno in cui tradizionalmente si regalano rose alla fidanzata». Pantani “costretto” ad andare in quel preciso albergo affinchè poi il delitto fosse “firmato”? «Ovviamente, dire che dietro un delitto c’è la “Rosa Rossa” significa poco: essendo la “Rosa Rossa” un’organizzazione internazionale, e contando centinaia di affiliati in Italia, è come dire che si tratta di un delitto di mafia o di camorra». Un’affermazione «talmente generica da essere pressoché inutile a fini investigativi». Tuttavia, «dovrebbe essere un buon indizio perlomeno per non archiviare la cosa come suicidio».Franceschetti considera «evidente» l’origine «massonica» degli attacchi a Pantani, citando l’anomalo incidente che, anni prima, lo vide protagonista a Torino: fu travolto da un’auto che era penetrata in un’area interdetta al traffico, lungo la discesa della collina di Superga, quella dove si schiantò l’aereo del Grande Torino. La basilica di Superga, sull’altura che domina la città, fu costruita nel 1717, «anno in cui venne ufficialmente fondata la massoneria». Basta questo, all’avvocato, per concludere che si tratta di «una firma manifesta, specie alla luce delle stranezze di quell’incidente». Tra gli “incidenti non casuali”, Franceschetti inserisce pure quello ai danni del cantante Rino Gaetano: come anticipato in modo inquietante dal testo di una sua canzone, “La ballata di Renzo”, peraltro gremita di “rose rosse”, l’artista morì a Roma nella notte del 2 giugno 1981 dopo esser stato rifiutato da 5 diversi ospedali. «Statisticamente, le probabilità che un cantante descriva la morte di qualcuno perché viene rifiutato da 5 ospedali, e che poi muoia nello stesso identico modo sono… nulle».Molto strana, aggiunge Franceschetti, è anche la tragica fine del ciclista Valentino Fois, della stessa squadra di Pantani: anche lui muore per cause da accertare, ma alcuni giornali parlano subito di overdose, «e già questo fa venire qualche sospetto». Premessa: in Italia, muoiono per omicidio circa 2.500 persone all’anno. E altrettante finiscono suicide. Giornali e Tv si disinteressano della stragrande maggioranza di questi episodi. «Quando però su un fatto scatta l’attenzione dei media, in genere questo è un segnale che sotto c’è dell’altro. Quindi viene spontanea la domanda: perché i giornali si interessano alla morte di un ciclista poco conosciuto come Fois?». Premesso che nello sport professionistico il doping (entro certi limiti) è pressoché inevitabile, Franceschetti sospetta che Fois sia morto «per aver “tradito”, come Pantani». Ovvero, i due avrebbero «pagato con la vita la loro maggiore pulizia e onestà intellettuale rispetto al resto dell’ambiente in cui vivevano».Secondo Franceschetti, c’è anche «non il sospetto, ma la certezza» che la verità non verrà mai a galla. Del resto, «la maggior parte delle famiglie di queste vittime non saprà mai la verità, la maggior parte muore senza che i familiari sospettino un omicidio». E racconta: «Io stesso, dopo il primo incidente che mi capitò, pensai ad un caso. E dopo il secondo pensavo che ce l’avessero con la mia collega e che avessero manomesso contemporaneamente sia la mia moto che la sua per maggior sicurezza di fare danni a lei. In altre parole, potevo morire senza sapere neanche perché, e pochi avrebbero sospettato qualcosa». E aggiunge: «Ogni volta che prendo l’auto sono consapevole che lo sterzo potrà non funzionare, che un’auto che viene in senso inverso all’improvviso potrà sbandare e venire verso di me, o magari che potrò avere un malore nell’anticamera di una Procura come è successo al capo dei vigili testimone della Thyssen Krupp». La storia italiana, aggiunge l’avvocato, è troppo gremita di “coincidenze”, depistaggi e collusioni: le bombe nelle piazze, Ustica, Moby Prince. «In quei casi i familiari delle vittime ormai hanno capito, ma negli altri?».La storia infinita del “mostro di Firenze”, ad esempio, sembra il frutto di un “normale” serial killer solitario. Secondo Franceschetti, invece, tutti quegli omicidi non sono altro che precise esecuzioni rituali, settarie ed esoteriche, meticolosamente pianificate da un clan criminale protetto da amicizie potenti. «Ho telefonato ai genitori di Pantani prima di scrivere questo articolo», scriveva Franceschetti nel 2008. «Dal loro silenzio successivo al mio fax presumo che abbiano pensato che io sia un folle, magari un mitomane in cerca di pubblicità. E’ normale che lo pensino, come è normale che la maggior parte delle persone che leggeranno queste righe le prendano per un delirio». Continua Franceschetti: «Un mio amico medico legale, a cui ho raccontato le mie “scoperte”, mi ha lasciato di stucco quando mi ha detto: “Sì, Paolo, lo sapevo. Tutti quei suicidi in carcere per soffocamento con buste di plastica sono impossibili dal punto di vista di medico-legale”». L’esoterismo «è un linguaggio: se non lo conosci è come camminare per le strade di una nazione straniera, vedi le scritte ma non ti dicono nulla, sembrano segni innocui e invece sono messaggi precisi”». Difficile parlarne, «perché ti prendono per matto». E il guaio è che, «quando capisci il sistema», è problematico «continuare a fare la vita di sempre senza impazzire».Strano suicidio, quello di Marco Pantani. Così strano da spingere la magistratura a riaprire l’inchiesta a dieci anni di distanza da quel 14 febbraio 2004. Più che un suicidio, scrive l’avvocato Paolo Franceschetti, sembra un omicidio “firmato”, con implacabile precisione, dall’ “Ordine della Rossa Rossa”. Fantomatica organizzazione segreta internazionale, secondo alcuni studiosi sarebbe una potentissima cupola eversiva di tipo esoterico, con fini di potere, dedita anche all’oscura pratica dell’omicidio rituale. «Un’ipotesi sempre scartata come irrealistica dagli inquirenti», scrive nel suo blog lo stesso Franceschetti, autore di studi sulla presunta relazione tra crimini e occultismo iniziatico, incluso il caso del cosiddetto “mostro di Firenze”. Di matrice rosacrociana, fondata sul simbolismo della Cabala e dell’ebraico antico come la londinese “Golden Dawn” rinverdita dal “mago” Aleister Crowley, secondo alcuni saggisti la “Rosa Rossa” sarebbe una sorta di super-massoneria deviata e criminale. Problema: non esiste una sola prova che questa organizzazione esista davvero. Solo indizi, benché numerosi.