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Punire i migranti, legge infame: e il M5S boccia Grillo
«Siamo diventati oltre sette miliardi, e siamo tutti su un pianerottolo. Grillo e Casaleggio pensano davvero che il problema si risolverà cacciando via i sei miliardi che stanno arrivando? Se lo pensano vuol dire che pensano di farlo con la forza. Il fatto è che, ogni giorno che passa, anche quelli stanno diventando sempre più forti. E tra un po’ potremmo essere noi a dover scendere dal pianerottolo». Giulietto Chiesa, che ha sempre sostenuto con entusiasmo la capacità di mobilitazione civica espressa dal “Movimento 5 Stelle” contro gli abusi antidemocratici della casta, quella dei grandi partiti ridotti al ruolo di semplici “maggiordomi” dei poteri forti, ora si schiera senza riserve coi parlamentari grillini, “fulminati” dal tandem Grillo-Casaleggio per aver promosso l’emendamento sull’abolizione del reato di clandestinità all’indomani della strage di Lampedusa. Catastrofe umanitaria che ha costretto persino l’Unione Europea di Barroso – fischiato dagli abitanti dell’isola – ad ammettere che non è più possibile continuare a trincerarsi nell’ipocrisia della “Fortezza Europa”, prima responsabile della disperazione dei profughi per lo storico sfruttamento dei loro paesi.«Non entro nel merito degli argomenti che riguardano i metodi interni del M5S: non mi riguardano, ciascuno sceglie i criteri di disciplina interna che ritiene opportuni, e se ne assume la responsabilità», premette Chiesa, che tuttavia aggiunge: identificare il Movimento 5 Stelle coi milioni di italiani che l’hanno votato «è una evidente sciocchezza»: basta leggere l’ondata di proteste piovute sul blog di Grillo. Pretendere che il vertice abbia sempre ragione, dice Chiesa in un intervento su “Megachip”, «a me fa venire in mente “l’unità indistruttibile di partito e popolo” di sovietica memoria: sappiamo com’è andata a finire». Parole come “opinione pubblica” e “volontà popolare” sono da maneggiare con cura, specie in una società manipolata: Grillo e Casaleggio pensano forse che la grande massa di cittadini elettori sia già bell’e pronta ad affrontare le drammatiche trasformazioni della loro vita che questa crisi comporta e comporterà?«Peggio ancora là dove si ammette che una norma gravemente illegale, anticostituzionale, antiumana, irrazionale e controproducente viene considerata – da Grillo e Casaleggio – utile a prendere voti», continua Chiesa, presidente del laboratorio politico “Alternativa”. «Pensare poi – e scriverlo – che i disgraziati che salgono sui barconi lo facciano dopo avere studiato il nostro sistema giuridico e, dunque, concludere che togliere il reato di clandestinità equivalga a un invito ai candidati migranti a imbarcarsi per l’Italia, significa non rendersi conto di una elementare realtà: l’ondata migratoria ha cause ben più profonde, non esorcizzabili da una legge italiana, per quanto feroce essa sia». Quando nel 2009 «quella legge infame era ancora in discussione», giuristi come Rodotà e Zagrebelski fecero presente che l’introduzione di quel reato avrebbe paralizzato il sistema penale, citando la Corte Costituzionale: la crisi produce emarginazione, “nasconde” la miseria e tende a criminalizzare le persone in condizione di povertà come pericolose e colpevoli. Grillo e Casaleggio vanno oltre queste tentazioni: «Le impugnano come armi in difesa degli italiani poveri, in base alla logica dei polli a testa in giù nelle mani di Renzo», conclude Chiesa. «Non si va lontano con queste idee, purtroppo, e ce ne dispiace».«Siamo diventati oltre sette miliardi, e siamo tutti su un pianerottolo. Grillo e Casaleggio pensano davvero che il problema si risolverà cacciando via i sei miliardi che stanno arrivando? Se lo pensano vuol dire che pensano di farlo con la forza. Il fatto è che, ogni giorno che passa, anche quelli stanno diventando sempre più forti. E tra un po’ potremmo essere noi a dover scendere dal pianerottolo». Giulietto Chiesa, che ha sempre sostenuto con entusiasmo la capacità di mobilitazione civica espressa dal “Movimento 5 Stelle” contro gli abusi antidemocratici della casta, quella dei grandi partiti ridotti al ruolo di semplici “maggiordomi” dei poteri forti, ora si schiera senza riserve coi parlamentari grillini, “fulminati” dal tandem Grillo-Casaleggio per aver promosso l’emendamento sull’abolizione del reato di clandestinità all’indomani della strage di Lampedusa. Catastrofe umanitaria che ha costretto persino l’Unione Europea di Barroso – fischiato dagli abitanti dell’isola – ad ammettere che non è più possibile continuare a trincerarsi nell’ipocrisia della “Fortezza Europa”, prima responsabile della disperazione dei profughi per lo storico sfruttamento dei loro paesi.
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Facciamo esplodere la Siria, poi piangiamo per gli sbarchi
Era completamente falsa la “notizia” strombazzata per due giorni, in primis da “Repubblica”, degli “scafisti siriani” che, a cinghiate, avrebbero costretto i migranti a uccidersi, gettandosi dal gommone proveniente dalla Libia nel mare davanti Scicli. Una notizia vera ha trovato, invece, pochissimo spazio sul mainstream: secondo l’Oim, Organizzazione internazionale per le migrazioni, sono sempre di più i siriani che approdano sulle nostre coste: lo fanno per fuggire dalle bande di mercenari che stanno insanguinando quella nazione, e dalla conseguente reazione dell’esercito siriano, ma soprattutto, per fuggire dalla fame e dalla miseria esplose in Siria col feroce embargo decretato due anni fa dall’Unione Europea, Italia compresa. E i motivi di questo embargo, accusa Francesco Santoianni, sono politici e scritti nero su bianco: l’obiettivo è costringere la popolazione a ribellarsi ad Assad. «Una “primavera araba” dettata dall’Occidente, che ha già fatto 100.000 morti e due milioni di profughi».
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Scalea: soldi facili, così la finanza ha rovinato l’economia
Il problema è che la finanza, da strumento dell’economia, ne è divenuta il cuore. La banca, a sua volta, da strumento dell’impresa ne è diventata proprietaria. E la Borsa non è più lo strumento degli investitori, ma il tempio degli speculatori. Così la speculazione ha superato l’investimento, e la rendita i profitti: questo, riassume Daniele Scalea, è il problema a monte che rende qualsiasi ripresa fragile, e il sistema economico globale squilibrato e instabile. Difficile, per il sistema politico mondiale, porre un freno al disastro. Ci ha provato la Russia al G-20 di San Pietroburgo, fissando come priorità «lo sviluppo di una serie di misure volte a promuovere una crescita sostenibile, inclusiva ed equilibrata, e la creazione di posti di lavoro nel mondo». Secondo Putin, il benessere va ottenuto tramite investimenti in posti di lavoro di qualità, condizioni di trasparenza e fiducia, nonché un’efficace regolamentazione: cioè una retromarcia completa rispetto allo spettacolo messo in scena dall’Occidente negli ultimi trent’anni.«La deregulation, parola d’ordine lanciata negli anni ‘70, ha rappresentato un mantra del neoliberalismo, almeno finché non è divenuto evidente il ruolo da essa avuto nel provocare la crisi finanziaria del 2008», scrive su “Huffington Post” lo stesso Scalea, condirettore della rivista “Geopolitica” e direttore dell’Isag di Roma, istituto di alti studi in geopolitica e scienze ausiliarie. «L’episodio più importante fu rappresentato, negli Usa, dal Gramm-Leach-Bliley Act, proposto dai tre parlamentari repubblicani eponimi ma approvato nel 1999 con un’ampia maggioranza bipartisan». Fine delle regole: «La legge era nata per rispondere all’esigenza creatasi con la nascita di Citigroup, l’anno precedente, e abolì una parte del Glass-Steagall Act del 1933», la famosa legge varata dopo la Grande Depressione del ’29, che aveva separato le banche d’investimento dalle banche commerciali, impedendo alle prime – impegnate nelle speculazioni più rischiose – di raccogliere depositi dai risparmiatori.Dal fatidico ’99, dunque, anche i risparmi delle famiglie sono finiti nelle speculazioni a più alto rischio, in particolare quelle legate alle cartolarizzazioni, fattesi sempre più sofisticate dagli anni ‘80 in poi. «La cartolarizzazione – spiega Scalea – altro non è che la cessione di crediti o attività di una società tramite l’emissione di titoli obbligazionari». Nei primi anni ‘90 divennero popolari i famigerati derivati: titoli il cui prezzo è legato al valore di mercato di uno o più beni, e la cui ratio è la copertura da un rischio finanziario connesso a quei beni stessi. Proprio i derivati «sono divenuti lo strumento prediletto della speculazione, in particolare tramite le vendite allo scoperto», cioè l’impegno a vendere, in una certa data, un determinato bene che ancora non si possiede nel momento in cui si sigla il contratto. Tuttavia, aggiunge Scalea, la deregolamentazione e i “fantasiosi” nuovi strumenti finanziari (creati non da economisti, ma da matematici) rappresentano «solo il corso finale d’una più grande problematica che scorre a monte: quella della finanziarizzazione dell’economia».Quando la finanza prende il sopravvento, sottolinea il condirettore di “Geopolitica”, l’economia reale finisce sempre per risentirne. Accadde così anche nel ’29: «Nel primo dopoguerra, l’economia mondiale era ripartita grazie a uno schema triangolare tra Usa, Germania e altri paesi dell’Europa Occidentale. Washington garantiva alla Germania gl’investimenti per ricostruirne l’economia (non a caso, la tensione postbellica tra Parigi e Berlino fu risolta dal Piano Dawes, che deve il suo nome non a un abile diplomatico bensì a un ricco banchiere); la Germania poteva così pagare le riparazioni di guerra ai paesi europei vincitori del conflitto, e quest’ultimi acquistavano grosse quantità di beni di consumo dagli Usa». La macchina, continua Scalea, s’inceppò proprio quando i profitti a Wall Street divennero così elevati che risparmiatori, imprenditori e banchieri americani cominciarono a trovare più profittevole speculare tutto in Borsa, piuttosto che investire qualcosa nell’economia reale europea. «Quest’ultima rallentò, facendo calare bruscamente gli ordinativi di beni dagli Usa, con conseguente crisi di sovrapproduzione e successivo crollo della Borsa».Analogamente, anche la crisi del 2008 trova la sua genesi nella supremazia della finanza sull’economia reale. Dopo la “stagflazione” degli anni ‘70, ricorda Scalea, la ripresa della crescita economica ha visto quest’ultima concentrarsi sempre più nel segmento finanziario, con parallelo esplodere però anche dei debiti pubblici e il fabbisogno statale crescentemente affidato ai mercati per la sua copertura. Crescita che è stata alimentata da una serie di bolle: prima quella dell’information technology (2000-2001), poi quella dei mutui immobiliari Usa (2007). «L’esigenza di immettere sul mercato titoli da negoziare ha spinto a trascurare la solidità dei sottostanti (vedi mutui subprime): il derivato finanziario è divenuto la ragion d’essere, l’economia reale un semplice strumento». Idem la Borsa: era «il luogo ideale in cui far incontrare i risparmiatori desiderosi d’investire i loro capitali e gl’imprenditori capaci di farli fruttare», quindi in un orizzonte fatto di economia reale, e invece è divenuta una realtà a sé stante: «Le azioni non si comprano più per partecipare dell’impresa e dei suoi utili, ma per speculare sulle variazioni del prezzo di mercato dei titoli stessi».La Borsa, scrive Scalea, ha preso a pullulare di strumenti finanziari, come i derivati, solo debolmente connessi alla realtà economica: «Gli azionisti non guardano più al bene a lungo termine dell’azienda, ma alla possibilità a breve termine di realizzare plusvalenze uscendo dall’azionariato». Complici di questo gioco, i manager: «Per compiacere gli azionisti, hanno indugiato nella pratica di distribuire generosi dividendi anche quando i conti della società non erano positivi, col semplice fine di rendere le azioni più appetibili e dunque farne crescere il valore di mercato a breve, anche se questo minava la solidità aziendale sul lungo periodo». Fenomeno aggravato dall’abitudine di concedere ai manager bonus in azioni della società. Pratiche state denunciate anche dai media all’indomani del crollo borsistico del 2008, eppure continuano ad essere messe in atto. Se fino a ieri la finanza era un mezzo per supportare l’economia, ora è l’unico vero fine a cui mira chi dovrebbe occuparsi del benessere generale, a cominciare dai posti di lavoro.Il problema è che la finanza, da strumento dell’economia, ne è divenuta il cuore. La banca, a sua volta, da strumento dell’impresa ne è diventata proprietaria. E la Borsa non è più lo strumento degli investitori, ma il tempio degli speculatori. Così la speculazione ha superato l’investimento, e la rendita i profitti: questo, riassume Daniele Scalea, è il problema a monte che rende qualsiasi ripresa fragile, e il sistema economico globale squilibrato e instabile. Difficile, per il sistema politico mondiale, porre un freno al disastro. Ci ha provato la Russia al G-20 di San Pietroburgo, fissando come priorità «lo sviluppo di una serie di misure volte a promuovere una crescita sostenibile, inclusiva ed equilibrata, e la creazione di posti di lavoro nel mondo». Secondo Putin, il benessere va ottenuto tramite investimenti in posti di lavoro di qualità, condizioni di trasparenza e fiducia, nonché un’efficace regolamentazione: cioè una retromarcia completa rispetto allo spettacolo messo in scena dall’Occidente negli ultimi trent’anni.
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Whitney: gli Usa sono la più grande piaga del mondo
Gli Stati Uniti sono la più grande piaga del mondo. Non importa dove vivi o cosa fai, gli Stati Uniti troveranno sempre qualche scusa per ficcare il naso negli affari tuoi e per renderti la vita infelice. Ecco perché gli Stati Uniti hanno tanti nemici, perché si mettono sempre in mezzo, in qualsiasi impiccio che capiti, in qualsiasi parte del mondo. Quelli di Washington proprio non riescono a sopportare l’idea che ci sia qualcuno, non importa dove, che potrebbe vivere una vita normale e felice senza doversi aspettare di essere bombardato per un attacco di “drone” o di essere sbattuto dentro qualche buco nero, dove la Cia può strapparti le unghie o farti diventare nero e blu. Questo è tutto quello che ha prodotto questa guerra globale al terrorismo – solo questo.
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Guzzanti: Scalfari e quella cena così strana e inquietante
Mancava soltanto Francesco, il Papa. Lo aspettavano per il caffè ma poi ha dato buca. Tutti gli altri erano lì: il signor presidente della Repubblica, il signor presidente del Consiglio dei ministri, il signor presidente della Banca centrale europea. Quanto all’anfitrione non poteva che essere lui: Eugenio Scalfari, l’uomo di gran lunga più onnipotente di Dio, cui non crede ma da cui ha comunque ottenuto un voucher per l’eternità – just in case – proprio dal commensale assente, il papa argentino. Non conosciamo la disposizione dei commensali (anche se immaginiamo Giorgio Napolitano a capotavola) e ignoriamo tutto del menù. Non ci sembra invece difficile indovinare i temi della conversazione, dato il consesso e lo stato delle cose, ovvero la situazione politica. Pur giocando a mosca cieca con i dettagli, ci sono un paio di considerazioni che vorremmo fare.Il presidente della Repubblica è la più alta istituzione di garanzia del paese. È il garante dei garanti, il super partes fra i super partes, un equilibrista in equilibrio. O, almeno, dovrebbe. E da chi va a cena? Dal venerando Eugenio Scalfari, creatore e signore di ebdomadari e gazzette quotidiane di gran successo, nonché di teorie sulla latente esistenza sia di Dio che del suo Io (cui dedicò con successo un suo libro) ma più che altro il campione incontrastato dell’antiberlusconismo, benché gli sia capitato nella sua lunga vita persino di intrattenersi ad Arcore alternandosi al pianoforte con l’odiato Cavaliere. Insomma, al di là della scelta dei vini e dei contorni, quel che colpisce di questo simposio (rivelato dal “Fatto Quotidiano”) è che almeno due figure centrali per il loro ruolo di garanzia – Napolitano e Draghi – piluccavano e sorseggiavano nella magione del principe e decano dell’antiberlusconismo più militante e quasi militare.Domanda ai lettori: c’è per caso qualcosa che non va, che non suona bene in questa faccenda? Sì, d’accordo, Scalfari si può permettere l’ego smisurato che ha, e si nutre soltanto di ospiti adeguati alla sua dieta. Ma gli altri? Perché il capo dello Stato, garante della Costituzione, era a discutere di politica – e di che cos’altro sennò? – con un giornalista schierato su uno dei due fronti politici? E che cosa ci faceva Mario Draghi? E che cosa Enrico Letta, in partenza per gli Usa? Non ci vuole molta fantasia: Eugenio dirigeva l’orchestra non facendo mancare la sua devozione a Napolitano; Draghi parlava poco e annuiva molto, Letta non poteva frenarsi dall’esprimere la sua esausta frustrazione.Provando a immaginare la cena, ecco che un’altra immagine ci si è parata davanti: quella del panfilo Britannia a bordo del quale nella primavera del 1992 – annus horribilis di Falcone, Borsellino, Tangentopoli e molto altro ancora – fu avviata la svendita dell’Italia. Così almeno vuole la vulgata, solida e ben fondata. Ventuno anni fa a bordo di quel naviglio c’era anche il giovane Mario Draghi, allora direttore delegato del ministero del Tesoro, Beniamino Andreatta (sponsor e mentore di Enrico Letta) e tanti altri banchieri, affaristi, venditori, acquirenti, maneggioni e speculatori d’ogni risma. Dopo quell’allegra crociera il 48 per cento delle aziende italiane passò di mano ad aziende straniere, la lira svalutò e il paese si avviò in un declino pilotato.Lungi da noi l’idea che l’abitazione di Scalfari galleggi e bordeggi come un panfilo e non sarà certo qualche elemento di continuità, come la presenza allora e oggi di Mario Draghi a farci velo e indurci a similitudini forzate. Ma conosciamo i nostri polli a cominciare dal variopinto gallo Scalfari. E possiamo essere sicuri che nel corso del sobrio banchetto (persone d’età, stomaci delicati) si sia parlato più di futuro che di passato e che si siano gettate le basi sul da farsi prossimo venturo. La crostata a casa Letta (Gianni, in questo caso) a confronto era una minestra della Caritas.Ora, uno può invitare a casa sua chi vuole e chiunque è padrone di accettare qualsiasi invito. Ma la densità, la qualità e l’attualità delle persone concentrate davanti alla stessa tovaglia imbandita ci dice che è proprio il fatto in sé ad apparire improprio, criticabile e fuori dalle regole, specie considerando che quei quattro commensali sono persone che fanno del rispetto delle regole una ragione di vita. Ecco quindi che qualsiasi cosa sia accaduta, qualsiasi cosa sia stata detta in quella cena, per il solo fatto che si sia svolta nella casa privata di un campione politico, oltre che giornalistico, impone uno stato d’allarme. Il capo dello Stato, il capo del governo e il capo della Bce hanno accettato di riunirsi sotto la tenda del canuto maresciallo di uno dei due eserciti in battaglia per brindare e fare piani. Nessuno dica dunque che non è accaduto nulla: non basterà un digestivo per digerire questo inquietante simposio…(Paolo Guzzanti, “Ma quante trame a casa Scalfari con Letta, Napolitano e Draghi”, da “Il Giornale” del 28 settembre 2013).Mancava soltanto Francesco, il Papa. Lo aspettavano per il caffè ma poi ha dato buca. Tutti gli altri erano lì: il signor presidente della Repubblica, il signor presidente del Consiglio dei ministri, il signor presidente della Banca centrale europea. Quanto all’anfitrione non poteva che essere lui: Eugenio Scalfari, l’uomo di gran lunga più onnipotente di Dio, cui non crede ma da cui ha comunque ottenuto un voucher per l’eternità – just in case – proprio dal commensale assente, il papa argentino. Non conosciamo la disposizione dei commensali (anche se immaginiamo Giorgio Napolitano a capotavola) e ignoriamo tutto del menù. Non ci sembra invece difficile indovinare i temi della conversazione, dato il consesso e lo stato delle cose, ovvero la situazione politica. Pur giocando a mosca cieca con i dettagli, ci sono un paio di considerazioni che vorremmo fare.
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Grillo: stanno spolpando l’Italia, non lo dimenticheremo
Questo governo ha fatto solo annunci e ha aumentato le tasse dirette e indirette. Qualcuno ha detto che qualunque imbecille è capace di aumentare le tasse. Non ha tagliato nulla, auto blu, F-35, finanziamenti pubblici, pensioni d’oro, Province e mille altri sperperi non sono stati neppure sfiorati. Questo governo ha come obiettivo di resistere, resistere, resistere al cambiamento e vendere il patrimonio nazionale, quello che ne è rimasto, per guadagnare tempo. Neppure un pazzo affiderebbe alla coppietta del crack, Capitan Findus Letta e Pesce Palla Alfano, i destini di una nazione. Napolitano lo ha fatto, lo fa, si crede invulnerabile come chi è sopravvissuto a tutto e a tutti. Questo governo si è auto-eletto a norma di legge, ma gli italiani, il voto, la democrazia non c’entrano nulla. Elezioni, referendum, leggi popolari sono diventate un rito. A loro della volontà popolare non gliene frega un beneamato cazzo. Occupano Palazzo e istituzioni da decenni e non se ne vogliono andare.Questo governo ha al suo fianco l’informazione più vergognosa dell’intero Occidente. Ogni anno scende di qualche posizione, superata nel mondo, in modo surreale, da molti paesi africani. La stampa di Dada Amin e di Bokassa non è mai arrivata ai livelli sublimi di menzogna, diffamazione, leccaculismo dei giornali e telegiornali italiani. Di uno Scalfari domenicale al quale va ricordato che chi ha fottuto Prodi nell’urna sono stati Renzi e D’Alema, i suoi amici del cuore, e che il M5S voterà compatto per la decadenza di Berlusconi. Non siamo suoi pari, freni la lingua. Siamo in guerra e ormai non è più un modo di dire. E’ necessario schierarsi. Riconoscere gli amici dai nemici e prepararsi ai materassi. E’ una lunga marcia quella che ci aspetta. Hanno troppi interessi, troppi scheletri, troppi collegamenti con la criminalità organizzata, con le lobby più o meno occulte per uscire di scena. Questi sono gli eredi della P2, dei servizi deviati, della trattativa Stato-mafia. Troppi processi li attenderebbero. Molti finirebbero in galera o ai servizi sociali come Berlusconi, che è solo uno dei tanti predatori dell’Italia, forse neppure il peggiore.L’Italia viene spogliata come un carciofo, foglia dopo foglia, lasciando le famiglie nell’indigenza. In una settimana hanno licenziato due amministratori delegati, Cucchiani di Intesa San Paolo, che si opponeva all’acquisizione di Mps, che dovrebbe essere nazionalizzata con l’avvio di una commissione di inchiesta, e Bernabè di Telecom Italia, regalata a Telefonica da un governo imbelle. Tra poco sarà il turno delle cessioni di quote di Eni, Enel e Finmeccanica. Un italiano su otto non mangia perché il loro appetito è insaziabile. Per poter cambiare devono andarsene. Nessun compromesso con questa gentaglia. John Kennedy disse: «Perdona i tuoi nemici, ma non scordare mai i loro nomi». Faremo dei nodi ai fazzoletti. Noi non dimenticheremo.(Beppe Grillo, “I nodi al fazzoletto, non dimenticheremo”, dal blog di Grillo del 6 ottobre 2013).Questo governo ha fatto solo annunci e ha aumentato le tasse dirette e indirette. Qualcuno ha detto che qualunque imbecille è capace di aumentare le tasse. Non ha tagliato nulla, auto blu, F-35, finanziamenti pubblici, pensioni d’oro, Province e mille altri sperperi non sono stati neppure sfiorati. Questo governo ha come obiettivo di resistere, resistere, resistere al cambiamento e vendere il patrimonio nazionale, quello che ne è rimasto, per guadagnare tempo. Neppure un pazzo affiderebbe alla coppietta del crack, Capitan Findus Letta e Pesce Palla Alfano, i destini di una nazione. Napolitano lo ha fatto, lo fa, si crede invulnerabile come chi è sopravvissuto a tutto e a tutti. Questo governo si è auto-eletto a norma di legge, ma gli italiani, il voto, la democrazia non c’entrano nulla. Elezioni, referendum, leggi popolari sono diventate un rito. A loro della volontà popolare non gliene frega un beneamato cazzo. Occupano Palazzo e istituzioni da decenni e non se ne vogliono andare.
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Delors e l’euro, la moneta-mostro ideata da Goldman Sachs
Alle elementari avevo un maestro perverso. Questo bruto dalla chioma fiammeggiante si divertiva a colpire i suoi allievi con due canne di vimini scuro, che aveva battezzato Katie e Maggie, però quando Mr C. non stava frustandoci il palmo delle mani, ci teneva delle dotte lezioni per spiegarci tutti i motivi che non ci dovevano mai indurre ad usare la violenza. Ecco José Manuel Barroso, mi ricorda proprio Mr C. – anche se i due uomini non hanno nessuna somiglianza fisica tra di loro. Il capo della Commissione Europea sta tenendo le fila di un esperimento sadico che ha inflitto sofferenze a milioni di persone che non avevano avuto niente a che vedere con la crisi finanziaria, oggi però vuol farci credere di aver trovato una sua coscienza sociale. Questo mese Barroso e soci stanno presentandoci un cinico esperimento di austerità – addolcita. Un nuovo documento politico emesso dalla Commissione ricorda che ci dovrebbe essere un maggior controllo sulle politiche occupazionali nei paesi della zona euro.
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La cena segreta: Draghi da Scalfari con Letta e Napolitano
«Mancava soltanto Francesco, il Papa. Lo aspettavano per il caffè ma poi ha dato buca. Tutti gli altri erano lì», racconta Paolo Guzzanti sul “Giornale”. Metti una sera a cena: con Napolitano, Letta e nientemeno che sua maestà Mario Draghi. Dove? A casa di Eugenio Scalfari, il fondatore di “Repubblica”. Che, tra un colloquio e l’altro col Pontefice, trova anche il tempo di occuparsi del destino della nazione. Non in qualità di giornalista, come forse ci si aspetterebbe, e neppure di “consigliere del principe”. Anche perché in questo caso i principi sono addirittura tre. E il consigliato è lui, che riceve precise istruzioni da trasmettere alla plebe dei lettori. Loro, gli italiani incorreggibili che dimostrano «l’incapacità della massa di fare progressi» e cedono di fronte all’altro grande male che affligge il paese, «la caparbietà di Berlusconi nel privilegiare se stesso». Un racconto lunare, quello che offre “Dapospia” attingendo al “Fatto Quotidiano”, sulla famosa cena (ovviamente informale, dunque top secret) del 20 settembre: la folla di agenti in borghese e l’inattesa processione di auto blu in piazza della Minerva, nel cuore di Roma, alla vigilia del tremebondo ricatto berlusconiano contro il governo Letta.«Non sapremo mai cosa si sono detti», ma possiamo desumerlo dall’articolo in cui Scalfari, due giorni dopo, “spiega” che il governo Letta, così come l’esecutivo Monti, non è stato una scelta, ma solo «il prodotto necessario d’una situazione priva di alternative». Napolitano, Letta e Draghi? Sono «lo scudo Italia-Europa». Cioè «i nostri tre punti di forza, che hanno l’Europa come obiettivo preminente per l’avvenire di tutti». Ben più drastica, e di segno diametralmente opposto, l’interpretazione di “Movisol”, il movimento internazionale per i diritti civili presieduto da Liliana Gorini: «L’Ue trama un altro golpe in Italia per prorogare lo “stato di necessità”». Enrico Letta, sostiene “Movisol” nel suo sito, ha superato il voto di fiducia alle Camere anche grazie ai meccanismi di “stabilizzazione” politica messi in atto da Bruxelles per «assicurare che saranno prese decisioni conformi allo “stato di necessità”» decretato dall’Unione Europea. Traduzione: «Le elezioni vanno evitate a tutti i costi e il golpe avviato con la nomina di Mario Monti deve proseguire, per assicurare che gli italiani si immolino per salvare l’euro».“Movisol”, che si richiama all’economista statunitense Lyndon LaRouche, più volte candidato alla presidenza Usa e autore di una proposta per la ristrutturazione democratica del sistema finanziario mondiale, attribuisce grande importanza al vertice informale del 20 settembre, nel quale include anche la presidente della Camera, Laura Boldrini, eletta in Parlamento dal partito di Vendola. Scalfari e i suoi commensali? «Tutti membri della corrente spinelliana del “partito britannico”». Chiari i riferimenti al padre nobile del federalismo europeo, l’intellettuale antifascista Altiero Spinelli, e ad un’altra famosa cena, tristemente nota: quella del ’92 in cui, a bordo del panfilo Britannia ormeggiato a Civitavecchia, l’allora direttore del Tesoro, Mario Draghi, fu messo a parte del primo grande piano di privatizzazioni selvagge ai danni del patrimonio pubblico italiano. Sul vascello dei reali inglesi, insieme a Draghi, il gotha della finanza anglosassone: è lo stesso super-clan planetario – oggi Gruppo dei Trenta, Bilderberg, Goldman Sachs – di cui allora l’opinione pubblica non aveva praticamente mai sentito parlare.«Ciò che il partito britannico teme – scrive “Movisol” – è che il sentimento anti-austerità nella popolazione italiana (che Berlusconi sicuramente sfrutta per salvarsi, ma questo è solo una complicazione per gli smarriti) possa sfociare in un definitivo voto anti-euro in caso di nuove elezioni». Attenzione: il fronte anti-euro si sta finalmente organizzando su scala pan-europea. Il 23 settembre a Roma si è tenuto il primo incontro degli euroscettici del nord e del sud del continente. Presenze importanti: da Hans-Olaf Henkel dell’università di Mannheim, già capo della Confindustria tedesca, a Brigitte Granville, economista della Queen Mary University di Londra. Fra gli italiani, oltre a Carlo Borghi e Alberto Bagnai, anche l’ex ministro Giuseppe Guarino, secondo cui la politica “zero deficit” dell’Ue non solo è sbagliata, ingiusta e suicida, ma è pure illegale persino per la stessa normativa comunitaria.«Per giustificare l’illegalità – sostiene “Movisol” – l’Ue ha costantemente usato l’argomentazione dello “stato di necessità”, che secondo Karl Schmitt autorizza a sospendere la Costituzione». In realtà, «lo stato di necessità è dettato dall’imperativo di salvare il sistema oligarchico», e nell’estate 2011 Bruxelles lo ha imposto all’Italia «manipolando il valore dei suoi titoli di Stato: la Bce ha prima lasciato cadere i titoli, ed è intervenuta successivamente ad acquistarli per sostenere il governo Monti». Si ripeterà il giochetto con Letta? Altra domanda: è questo che Draghi ha discusso nella “cena delle trame”? E il suo annuncio al Parlamento Europeo che la Bce è pronta ad un’altra mega-iniezione di liquidità per le banche (Ltro) ha a che fare con questo? Ma soprattutto: Draghi cosa avrebbe chiesto, in cambio, ai suoi illustri commensali? «Il Financial Stability Assessment del Fmi per l’Italia, rilasciato il 27 settembre – conclude “Movisol” – raccomanda l’applicazione del bail-in (prelievo forzoso) per soccorrere le banche italiane. È quanto ha chiesto Draghi? O si è limitato a sollecitare le privatizzazioni, in consueto “stile Britannia”?». Magari lo si potrebbe chiedere a Scalfari, se solo facesse ancora il giornalista.«Mancava soltanto Francesco, il Papa. Lo aspettavano per il caffè ma poi ha dato buca. Tutti gli altri erano lì», racconta Paolo Guzzanti sul “Giornale”. Metti una sera a cena: con Napolitano, Letta e nientemeno che sua maestà Mario Draghi. Dove? A casa di Eugenio Scalfari, il fondatore di “Repubblica”. Che, tra un colloquio e l’altro col Pontefice, trova anche il tempo di occuparsi del destino della nazione. Non in qualità di giornalista, come forse ci si aspetterebbe, e neppure di “consigliere del principe”. Anche perché in questo caso i principi sono addirittura tre. E il consigliato è lui, che riceve precise istruzioni da trasmettere alla plebe dei lettori. Loro, gli italiani incorreggibili che dimostrano «l’incapacità della massa di fare progressi» e cedono di fronte all’altro grande male che affligge il paese, «la caparbietà di Berlusconi nel privilegiare se stesso». Un racconto lunare, quello che offre “Dapospia” attingendo al “Fatto Quotidiano”, sulla famosa cena (ovviamente informale, dunque top secret) del 20 settembre: la folla di agenti in borghese e l’inattesa processione di auto blu in piazza della Minerva, nel cuore di Roma, alla vigilia del tremebondo ricatto berlusconiano contro il governo Letta.
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La fine di Lizzani: vivere è un diritto, non un dovere
«Poter morire con dignità è una conquista ancora da fare. Ci vuole una legge». L’oncologo Umberto Veronesi commenta così il tragico suicidio dell’ultranovantenne regista Carlo Lizzani, gettatosi dalla finestra come Mario Monicelli. Ex ministro della sanità e autore di testi sul diritto all’eutanasia, Veronesi chiede che si torni a parlare di “fine vita” perché morti come quella di Lizzani sono anche «una forte forma di denuncia e di protesta». Lo ha sostenuto anche il figlio: se in Italia fosse stato possibile, il padre avrebbe chiesto l’eutanasia. Purtroppo, invece – in Italia come anche in molte parti d’Europa – il diritto di spegnersi con dignità non è ancora riconosciuto, dice Veronesi. «Non è possibile immaginare Mario Monicelli che si alza dal letto di un ospedale, che apre la finestra e si butta giù, o i tanti che lo fanno senza avere titoli di giornale. Ci sono mille modi di interrompere la propria vita più serenamente. E’ necessario avviare un dibattito serio».Un terzo dei suicidi, annota Flavia Amabile della “Stampa”, è a carico di chi ha più di 65 anni: metà degli anziani soffre di depressione. «E’ un problema vero», conferma Veronesi, che più che di “depressione” preferisce parlare di “demotivazione alla vita”: «Sono persone che pensano: sono anziano, non sto bene, sono di peso alla società e alla famiglia, perché devo vivere?». Sul tema, è stata presentata una richiesta di legge di iniziativa popolare, supportata dalle necessarie firme. «Se si dovesse avviare l’iter di legge si parlerà finalmente di questo complesso tema», osserva il professor Veronesi, anche se poi la legge non dovesse essere approvata. «Non dimentichiamo quello che accadde negli anni Settanta con l’interruzione di gravidanza». Sia in quel caso che ora, si tratta di un problema molto sentito dagli italiani: in tanti hanno un parente anziano che “non ce la fa più” e minaccia di farla finita. «Abbiamo tremila suicidi in Italia, tutti purtroppo tragici. La maggior parte si impiccano o si buttano giù dalla finestra. Sono un po’ di meno quelli che si asfissiano con il gas perché è un’operazione lunga, complessa. Ancora di meno quelli che usano i barbiturici perché spesso non funzionano. Rari quelli che si ammazzano con un colpo di pistola perché le armi non si trovano facilmente».È un insieme di vicende tragiche su cui dovremmo ricominciare a riflettere, aggiunge Veronesi. «Se si è stanchi di vivere si ha anche il diritto di andarsene, la vita è un diritto ma non un dovere. Nessuno può toglierti la vita, ma decidere di troncarla da soli è un diritto». I cattolici, osserva la giornalista della “Stampa”, sostengono che la vita sia un dono e di conseguenza non si è liberi di interromperla, né prima della nascita né dopo. Verissimo, risponde lo scienziato, «ma esiste anche l’autodeterminazione». Ed in Italia, oltre ai cattolici, «esistono dieci milioni di atei e agnostici», senza contare «milioni di persone che professano religioni diverse». Quindi: «Chi è fedele agli insegnamenti della Chiesa li segua, ma non può pretendere di invadere la legge civile. Chi non è credente ha il diritto di non ascoltare i dettami della religione».Certo, bisognerebbe provare a vivere sempre e comunque, ma «la decisione spetta solo a noi», e perciò «non è giusto mettere la nostra vita nelle mani di medici che ci torturano con macchine capaci di far vivere un corpo senza coscienza, senza ricordi, senza pensieri». La sopravvivenza artificiale garantita dal cosiddetto “accanimento terapeutico” «è una forzatura», quando invece «bisognerebbe assecondare la natura». Per Veronesi, “eutanasia” è un pessimo termine: «Preferisco parlare di desistenza dalle cure, di aiutare a morire». E qualsiasi sia il termine, che cosa direbbe agli italiani che non hanno più voglia di vivere? «Di procurarsi una corda o di aprire una finestra: non c’è altra soluzione legittima o accettabile. È assurdo, perché uccidersi non è reato. Anche il tentato suicidio non è punibile. Allora, perché è reato aiutare qualcuno se questa persona ha scritto chiaramente qual è la sua volontà?».«Poter morire con dignità è una conquista ancora da fare. Ci vuole una legge». L’oncologo Umberto Veronesi commenta così il tragico suicidio dell’ultranovantenne regista Carlo Lizzani, gettatosi dalla finestra come Mario Monicelli. Ex ministro della sanità e autore di testi sul diritto all’eutanasia, Veronesi chiede che si torni a parlare di “fine vita” perché morti come quella di Lizzani sono anche «una forte forma di denuncia e di protesta». Lo ha sostenuto anche il figlio: se in Italia fosse stato possibile, il padre avrebbe chiesto l’eutanasia. Purtroppo, invece – in Italia come anche in molte parti d’Europa – il diritto di spegnersi con dignità non è ancora riconosciuto, dice Veronesi. «Non è possibile immaginare Mario Monicelli che si alza dal letto di un ospedale, che apre la finestra e si butta giù, o i tanti che lo fanno senza avere titoli di giornale. Ci sono mille modi di interrompere la propria vita più serenamente. E’ necessario avviare un dibattito serio».
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Rodotà: e invece di governare, insidiano la Costituzione
Giù le mani dalla Costituzione. Piuttosto, abbiano la decenza di cestinare il Porcellum e cambiare la legge elettorale. E dimostrino che non sono soltanto marionette agli ordini dei boss della finanza e della grande industria. Stefano Rodotà vota contro le larghe intese: «Stiamo vivendo il grado zero della politica, e in questo vuoto di politica rischia di precipitare l’intera società italiana». Il governo Letta? «Un azzardo politico, e ora ne stiamo pagando il prezzo, prevedibile e elevatissimo». L’esecutivo era nato «fin dall’inizio prigioniero delle smanie di un autocrate», Berlusconi, che l’ha paralizzato con lo stallo infinito sull’Imu, senza contare la speranza di avere uno sconto sulla giustizia, fonte di «fibrillazioni continue». Ricatti incrociati per una partita truccata, «fino a giungere alle indegne vicende dell’ultima fase», col suicidio del Cavaliere e l’evaporazione del Pd, appiattito sulla pura sopravvivenza del governo, «considerando come unico e supremo bene il solo fatto che il governo riuscisse a durare».
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Migranti: diritti e traghetti sicuri, o non siamo più umani
Traghetti. La prima cosa che ci vuole sono traghetti sicuri verso porti accoglienti. Quand’anche i politici non possano dirlo apertamente, è questa la prima ovvia necessità se si vuole evitare che il Canale di Sicilia si trasformi in una nuova Fossa delle Marianne. Quel tratto di mare non è di per sé insidioso per la navigazione; diventa tale quando lo solcano barche malconce e stipate all’inverosimile. Peggio dei vagoni merci diretti a Auschwitz esattamente settant’anni fa, se proprio vogliamo fare il calcolo del numero di persone ammucchiate in una superficie più o meno analoga. La differenza è che ad Auschwitz ci si andava deportati a morire, contro la propria volontà. Mentre sulle carrette del mare le persone si imbarcano volontariamente, pagando cifre con cui sugli aerei si viaggia in business class, nella speranza di vivere.
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Giorno: Napolitano riceva sindaci e parlamentari No-Tav
«Odio le cattive massime più delle cattive azioni» (Jean-Jacques Rousseau). Giorgio Napolitano ha scritto al direttore de “La Stampa” Mario Calabresi perché Massimo Numa ha ricevuto una pacchetto anonimo con all’interno un guscio di hard disk con polvere esplosiva. Le indagini sono in corso, nessuno ha rivendicato l’azione, il movimento ha rigettato ogni responsabilità diretta o indiretta («pallottole e bombe non ci appartengono») e lo stesso giornalista non ritiene il movimento NoTav all’origine della spedizione (ha addirittura pubblicato ampi stralci di due mail di solidarietà provenienti da attiviste). Dunque l’accostamento è come minimo prematuro, arbitrario o – più subdolamente – strumentale, in un periodo in cui sembra che sia necessario come mai prima distogliere l’attenzione da “altre” indagini di magistratura, che hanno fatto emergere collegamenti diretti e inequivocabili di una cricca ignobile volta ai propri interessi e alle proprie poltrone con alte cariche istituzionali, esponenti di primo piano dei partiti, “grand commis” dello Stato che dalle poltrone di comando di imprese pubbliche graziosamente trasformate in SpA usano i beni e i denari comuni come fossero propri.Il presidente della Repubblica, trascinato letteralmente nel suo secondo settennato da una faida senza precedenti del suo partito che stava “suicidando” uno dopo l’altro tutti i candidati a succedergli, richiama i cittadini della valle di Susa che si ostinano a non accettare il colpo definitivo alla residua abitabilità della loro terra «al superamento di ogni tolleranza e ambiguità nei confronti di violenze di stampo ormai terroristico». Molti dei cittadini cui è stato rivolto il suo vibrante monito hanno l’età che aveva lui quando aderì alla Gioventù Universitaria Fascista, ma sono tra i più giovani e attivi iscritti alle locali sezioni dell’Anpi. Altri hanno l’età di quando lui – nel 1957, come ha ammesso di recente in una apprezzabile autocritica scritta a due mani con un altro grande vecchio che si atteggia a papa laico – Eugenio Scalfari – plaudeva all’ingresso in Budapest dei carri armati sovietici, i cui cingoli grondavano del sangue di coloro che avevano osato sperare che nel paradiso stalinista potesse essere garantito il diritto all’autogoverno democratico del paese.Ma la maggior parte di coloro che hanno dato vita – un quarto di secolo fa – a un «profilo di pacifico dissenso e movimento di opinione» appartiene a fasce di età che arrivano fino a quella dello stesso presidente, e qualcuno di loro non si limita ad avere la tessera dell’associazione dei partigiani, ma ha partecipato in prima persona alla lotta di Liberazione. Averli avuti e averli tuttora accanto ci da un conforto che nessuna “scomunica” può appannare. Chi tra loro ha ancora recentemente parlato ai più giovani della loro esperienza di Resistenza lo ha fatto in modo autorevole, equilibrato, responsabile: lo ha ricordato anche Erri De Luca ieri sera a Susa in uno dei suoi passaggi più applauditi: c’è un abisso tra l’oppressione di un popolo da parte di un regime dittatoriale ed esterno e il tentativo di imporre (anche attraverso l’uso della forza) un uso del territorio che chi vi risiede non vuole dover subire.Ma ci sono anche delle analogie che autorizzano a richiamarsi a quel diritto-dovere di opporsi a decisioni che possono anche scaturire da percorsi di democrazia formale ma che hanno violato la democrazia sostanziale. Decisioni che comportano (qui come a Taranto, oggi, o nel Vajont ieri) il venir meno di quel principio di precauzione che dovrebbe presiedere a qualunque scelta progettuale, prima ancora di una analisi costi-benefici che però – come sappiamo – è negativa persino circa la desiderabilità di quest’opera per l’intera comunità nazionale (senza contare le perplessità riscontrate in ambito europeo verso un intero programma di grandi opere che sembrano avvantaggiare soltanto il circuito finanziario, che vi individua redditività e garanzie che solo un uso scellerato del denaro pubblico può assicurare ad istituzioni peraltro privatizzate in modo assai discutibile).Annotiamo infine che – stando a quanto scrive “La Stampa” – il presidente Napolitano avrebbe un filo diretto con l’architetto Mario Virano, che in val di Susa ha svolto (su nomina di un gruppo d’impresa coinvolto nella realizzazione e gestione di grandi opere infrastrutturali) l’ad dell’autostrada del Fréjus prima di diventare, per nomina governativa, presidente dell’Osservatorio che doveva stabilire l’utilità dell’opera, e poi commissario per la sua realizzazione. Si tratta di un personaggio certamente informato, ma non per questo in grado di fornire una descrizione obiettiva delle dinamiche in atto, non fosse altro perché la deriva da lui stesso denunciata certifica il fallimento del suo ruolo.Ne discenderebbe il diritto per i cittadini e il dovere per il Capo dello Stato di ascoltare almeno anche le nostre ragioni e “il nostro racconto” della situazione, direttamente o attraverso i nostri sindaci democraticamente eletti. Ma visto che lo stesso presidente oggi in carica si è più volte rifiutato di farlo (e quando non c’erano neanche le avvisaglie di un possibile inasprimento del confronto e quindi nessun “alibi”) potrebbe almeno “sforzarsi” di ricevere i parlamentari eletti nel nostro collegio, che sono motivatamente contrari all’opera. In fin dei conti, dovrebbe essere garante della loro agibilità politica almeno al pari di quella di chi rappresenta le forze di governo.(Claudio Giorno, “Immodesto e non deferente giudizio su un Presidente e le sue iniziative”, 7 ottobre 2013. Ambientalista valsusino già candidato al Parlamento, Giorno è un esponente del movimento No-Tav).«Odio le cattive massime più delle cattive azioni» (Jean-Jacques Rousseau). Giorgio Napolitano ha scritto al direttore de “La Stampa” Mario Calabresi perché Massimo Numa ha ricevuto una pacchetto anonimo con all’interno un guscio di hard disk con polvere esplosiva. Le indagini sono in corso, nessuno ha rivendicato l’azione, il movimento ha rigettato ogni responsabilità diretta o indiretta («pallottole e bombe non ci appartengono») e lo stesso giornalista non ritiene il movimento NoTav all’origine della spedizione (ha addirittura pubblicato ampi stralci di due mail di solidarietà provenienti da attiviste). Dunque l’accostamento è come minimo prematuro, arbitrario o – più subdolamente – strumentale, in un periodo in cui sembra che sia necessario come mai prima distogliere l’attenzione da “altre” indagini di magistratura, che hanno fatto emergere collegamenti diretti e inequivocabili di una cricca ignobile volta ai propri interessi e alle proprie poltrone