Archivio del Tag ‘Alexandr Dugin’
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Dugin: povera Italia, sottomessa. Ma il “risveglio” vincerà
Il Grande Reset è la reazione disperata dei globalisti che vedono come il mondo stia diventando multipolare. Questo progetto, nonostante la contrarietà della maggior parte dei popoli del globo, vuole arrivare al suo obiettivo puntando molto anche sulla pandemia. Il Grande Reset arriva dai primi anni 2000, quando i globalisti hanno cominciato a sentire la perdita della loro forza e dunque hanno cercato e cercano in tutti i modi di recuperare una situazione positiva per loro. Ad esempio, l’élite liberale ha imposto lo stato di emergenza per recuperare il potere sulla mente delle persone, in quanto sempre più esseri umani si stanno allontanando dal disegno globalista. L’élite liberale, nonostante si sia dimostrata incapace di gestire l’emergenza Covid, vuole comunque usare questa cosa (e lo stato di emergenza) per rimanere ai vertici. Tutto questo sembra piuttosto una “agonia liberale” e personalmente penso che il Grande Reset sia affogato.Questo anche perché, se le restrizioni occidentali e lo stato di emergenza sono usate dall’élite liberale per mantenere il potere e per difendere il globalismo, la Russia e la Cina hanno dimostrato che delle giuste misure di contenimento del virus possono essere usate però solamente per i propri interessi sovrani (contrari al globalismo): misure simili ma con visioni diverse. L’Italia è stata la più sfortunata di tutti perché ha scelto il peggior presidente possibile. Non immagino nessuno peggio di Draghi. Quest’ultimo non porta nessuna promessa con sé, ma è uno che sta lì per garantire il puro status quo. E questa è la cosa più spaventosa: non cambiare niente – nelle tendenze di oggi – è il delitto più grave. Draghi incarna perfettamente l’élite liberale. Nonostante il Grande Reset sia sostanzialmente fallito, comunque, è chiaro che alcuni territori siano ancora sotto il controllo dell’élite liberale. Insieme ai monopoli tecnocratici che non si sottopongono a nessun potere politico, hanno usato l’emergenza coronavirus da un lato per mantenersi al potere e dall’altro per cercare di rafforzare la propria influenza e il loro dominio.Al Grande Reset, però, si oppone il Grande Risveglio. E questa fase, iniziata da poco, si sta sviluppando come una guerra tra due visioni contrapposte. In concreto, le popolazioni da un lato e l’élite liberale dall’altro. Questa non sarà una guerra tra nazioni, ma una guerra – in Europa ed in tutto il mondo – tra la popolazione che è per il Grande Risveglio, e le loro élite che sono per il Grande Reset. Se parliamo del ruolo della Russia in questa guerra civile, essa sarà dalla parte del Grande Risveglio, anche se i tentacoli del Grande Reset ce li abbiamo ancora dentro; ad esempio, il nostro Gref (Herman Gref, presidente di Sberbank, il principale gruppo bancario del paese, ndr) sarebbe come il vostro Draghi. La differenza fondamentale è che noi lo abbiamo lasciato dov’è, mentre voi l’avete messo a capo della Banca Centrale Europea e ora alla testa del governo italiano. L’influenza globalista dentro la Russia è molto forte ed è presente soprattutto nel potere economico: se l’anima della Russia è col Grande Risveglio, per le questioni più concrete non è interamente così. Quindi la Russia è in una posizione di “neutralità ostile” verso il Grande Reset e anche questo è già un buon segno.Per noi ortodossi, il Grande Reset significa il progetto dell’Anticristo. Dunque, tutti quelli che sono davvero contro l’Anticristo sono dei santi. E la Russia di Putin ha quasi preso la posizione di leader in questo circolo dei santi che sono contro l’Anticristo. In generale, va sempre tenuto presente che nessuno può risolvere questo problema se non le persone stesse. Se un italiano o un francese non si rialzano contro il male globale che ha il volto di Draghi o di Macron, nessun altro lo farà per loro. Non importa se siano pro Le Pen o Mélenchon, ad esempio; l’importante è muoversi contro Macron. Questo vale anche per gli statunitensi: se non si rialzeranno e non difenderanno la loro identità, nessun altro lo farà per loro, nemmeno Putin. Questa è una lotta dell’umanità contro l’anti-umanità. Nonostante il mostro globalista stia affogando, ci serve – a maggior ragione – l’aiuto di tutti, perché venga definitivamente sconfitto. In questa lotta, pure una persona da sola (anche andando contro la famiglia o il fratello, come dice il Vangelo) potrà cambiare la bilancia del mondo. Anche un piccolo granello può fare la differenza.I segni del fallimento dell’élite globalista li vediamo, ad esempio, nel frenetico ritiro degli Usa dall’Afghanistan, così come dalla Siria. I Talebani hanno dato un calcio in culo alle armate invincibili nordamericane che, ritirandosi, hanno lasciato il caos generale: ovunque esse vanno, infatti, non portano più ordine ma soltanto distruzione. Ad esempio, tutti quegli Stati post-sovietici ai quali gli Usa hanno promesso di dare assistenza, in cambio hanno perso la propria integrità territoriale. Gli americani non possono più essere i possessori del mondo e la loro politica è inadeguata sotto ogni aspetto. Questi sono i segnali più evidenti di questo fallimento. Dunque, anche se i globalisti riescono ancora a mantenersi al potere, essi non hanno nessuna idea seducente per le persone; possono usare la paura e spaventare tutti, possono introdurre il Green Pass e mettere le telecamere di sorveglianza ovunque, ma non offrono nessuna idea di futuro.Ad esempio, se guardiamo i film americani incentrati sul nostro prossimo futuro, essi finiscono tutti male. Non c’è futuro, come in “Mad Max” ed altre pellicole. L’idea, infatti, è sempre la stessa: moriranno tutti o sopravviveranno in pochi ma in malo modo, magari come uomini-rettili totalmente disumanizzati. Quindi, come possiamo vedere chiaramente, i globalisti non hanno alcuna idea di futuro; e le civiltà senza un’idea di futuro sono civiltà in agonia, come sempre lo sono state. Essi cercano di rimanere al potere con i denti, stringendolo forte con le mani, ma il potere gli sta sfuggendo ugualmente. Un altro esempio è la Cina: la volevano sottomettere, ma è uscita dal loro controllo. Il Pcc (Partito Comunista Cinese) ha resistito e non è stato annullato. Anche Pechino cerca dunque di proteggere la propria identità. E Putin sta facendo lo stesso fin dall’arrivo al potere nel 1999, quando ha iniziato (ed è riuscito) a rimettere la Russia sulla propria strada: quella della sua identità. In conclusione, è possibile affermare che nel futuro emergeranno sempre più poli a livello mondiale; e dunque i globalisti stanno fallendo e ora sono in agonia.(Alexandr Dugin, dichiarazioni rilasciate a Jacopo Brogi e Alessandro Fanetti per l’intervista “Il Grande Reset è fallito, è l’ora del Grande Risveglio”, pubblicata su “Come Don Chisciotte” il 27 gennaio 2022. Eminente filosofo, con idee politicamente tradizionaliste, Dugin è considerato un ideologo molto influente, nell’orbita del potere russo).Il Grande Reset è la reazione disperata dei globalisti che vedono come il mondo stia diventando multipolare. Questo progetto, nonostante la contrarietà della maggior parte dei popoli del globo, vuole arrivare al suo obiettivo puntando molto anche sulla pandemia. Il Grande Reset arriva dai primi anni 2000, quando i globalisti hanno cominciato a sentire la perdita della loro forza e dunque hanno cercato e cercano in tutti i modi di recuperare una situazione positiva per loro. Ad esempio, l’élite liberale ha imposto lo stato di emergenza per recuperare il potere sulla mente delle persone, in quanto sempre più esseri umani si stanno allontanando dal disegno globalista. L’élite liberale, nonostante si sia dimostrata incapace di gestire l’emergenza Covid, vuole comunque usare questa cosa (e lo stato di emergenza) per rimanere ai vertici. Tutto questo sembra piuttosto una “agonia liberale” e personalmente penso che il Grande Reset sia affogato.
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Salvini inguaia l’Italia: insulta l’Iran come l’ultimo dei servi
Il 3 gennaio 2020 è stato assassinato a Baghdad, da un missile lanciato da un drone statunitense, il generale maggiore iraniano Soleimani, considerato una delle massime autorità in Iran dopo la “guida suprema”. Un eroe di mille battaglie, per tutto il mondo sciita. Eroe di un paese, l’Iran, che – più o meno, unico al mondo – non ha mai attaccato militarmente altre nazioni. Basti pensare che Soleimani è stato uno degli artefici, insieme ai russi e all’esercito regolare siriano, della sconfitta dei tagliagole dell’Isis, in Siria. Vi ricordate quelle bestie che in Siria stupravano donne e tagliavano teste? Soleimani era uno degli eroi che contribuirno a sconfiggere quelle bestie, e adesso gli americani lo hanno ammazzato. E’ difficile immaginare una provocazione più grave di questa. Si tratta di una azione che rappresenta, a tutti gli effetti, un atto di guerra contro l’Iran. Immaginate ora i fatti a ruoli invertiti: provate a pensare cosa sarebbe successo se gli iraniani avessero assassinato il vicepresidente americano o il capo della Cia, in visita a un altro paese. Ma in realtà l’esempio non rende, perché Soleimani in Iran era molto più popolare di queste persone, negli Stati Uniti.La ritorsione iraniana è già stata annunciata, e sarà inevitabile. A quel punto, basterà un niente perché si scateni la Terza Guerra Mondiale. Anche perché l’assassinio di Soleimani è mirato esattamente a questo: a causare una reazione che produca un’escalation che conduca ad una grande guerra. L’Europa e l’Italia hanno reagito, e l’hanno fatto con la loro proverbiale codardia, tanto per cambiare. A questo ignobile atto di guerra statunitense hanno reagito guardandosi bene dal condannarlo esplicitamente. Tuttavia, al di là della codardia, per lo meno si scorge una certa insofferenza, racchiusa nell’espressione “grande preoccupazione” con cui quasi tutti i politicanti europei da quattro soldi si sono riempiti la bocca – bocche peraltro solo in grado di balbettare, in questa occasione. Andrebbe loro ricordato che non sono stati eletti per preoccuparsi quando, come dicono gli americani, “la merda colpisce il ventilatore”, bensì per agire nell’interesse dei paesi che rappresentano. E anziché balbettare, nei momenti di crisi dovrebbero invece condannare fermamente, e dissociarsi nel modo più netto dalle violazioni del diritto internazionale e dai crimini di guerra che vengono compiuti. Ma si tratta, appunto, di politicanti da quattro soldi. L’Europa non ha di meglio da offrire, e più della loro balbettante “grande preoccupazione” non c’è nulla da aspettarsi.Per la cronaca, Russia e Cina hanno giustamente condannato l’azione statunitense. L’Europa invece ha balbettato. Un balbettio che peraltro non è neppure andato bene, agli americani, che si aspettavano invece genuflessione totale. Il segretario di Stato americano Pompeo si è detto “deluso” dalla reazione europea, la quale – dice lui – non sarebbe stata di aiuto. Ovvero, si attendeva (e pretendeva) l’appoggio totale ed entusiastico, come d’altra parte si conviene a dei vassalli. Se almeno il politicume italiota avesse la decenza di confessare la verità innominabile, e cioè se dicesse chiaramente, una volta per tutte, “italiani, mettetevi l’anima in pace, noi qui al governo e in Parlamento siamo politici solo per finta, per esigenze di teatro; la realtà è che l’Italia è una colonia americana e noi prendiamo ordini, e obbediamo ciecamente, e i nostri lauti stipendi di politici sono dovuti solo al fatto che salviamo le apparenze, recitiamo il teatrino della democrazia”, be’, se lo confessassero ci farebbero una figura migliore, più dignitosa. Tuttavia, bisogna dire che si può fare di peggio. Si può fare di peggio, che balbettare di “grande preoccupazione”: si può fare come Matteo Salvini.Cioè, ci si può genuflettere totalmente al padrone, e abbaiare per lui (contro il nemico di turno del padrone), sperando di ricavarne alla fine un bell’osso succulento da sgranocchiare. E naturalmente, fare tutto ciò irriflessivamente, automaticamente, senza pensare, senza capire cosa stia succedendo e di cosa si stia parlando. E soprattutto: senza coscienza delle conseguenze inevitabili e irreversibili delle tue parole. Subito dopo l’assassinio del generale iraniano, Salvini twitta trionfante che bisogna ringraziare Trump e “la democrazia americana” per aver eliminato Soleimani, che Salvini definisce testualmente “uno degli uomini più pericolosi e spietati al mondo, un terrorista islamico”. Terrorista islamico? Come si può definire così il “numero due” del potere iraniano, una figura leggendaria che si era guadagnata l’incondizionato rispetto popolare di tutto il mondo sciita combattendo contro il terrorismo? In Occidente, pochi sanno quanti attentati l’Iran abbia dovuto subire, nei decenni. Soleimani si era guadagnato meriti fin da quando, negli anni ‘80, si faceva le ossa combattendo contro l’invasore, l’Iraq di Saddam Hussein armato e appoggiato dall’Occidente, che aggredì l’Iran in una guerra terribile, che durò anni e costò milioni di morti. E poi, in tempi recentissimi, insieme ai siriani e ai russi, Soleimani combatté contro i terroristi tagliagole dell’Isis in Siria.Ebbene, definire così un personaggio del genere va molto oltre l’insulto imperdonabile: qui siamo nientemeno che al puro delirio. Rendiamoci quindi conto che Salvini si schiera apertamente a favore di un’azione che, secondo il diritto internazionale, è criminale: è un crimine internazionale. Si esprime a favore dell’omicidio di un quasi-capo di Stato, a favore di un atto terroristico compiuto in un paese sovrano. Ma soprattutto: si rende conto, Salvini, di aver dichiarato guerra all’Iran? Io non credo che se ne sia accorto. Ma con quelle parole, in pratica, ha dichiarato guerra all’Iran. Mi chiedo: cosa sarebbe accaduto se Salvini avesse pronunciato quelle parole quand’era ministro, o ancora peggio – Dio ce ne scampi – se fosse presidente del Consiglio? Saremmo in prima linea in una prossima guerra contro l’Iran, con le miglia di soldati italiani schierati in Medio Oriente immediatamente trasformati in bersagli preferenziali, contro il nostro interesse nazionale. Forse Salvini è abituato al fatto che in Italia le parole volano, e poi si dimenticano subito: per chiunque apra bocca in pubblico, ormai vige la “presunzione di quaquaraquà”, tutto va in vacca e la gente ci sghignazza sopra, magari con l’aiuto di una parodia di Crozza. Ma gli iraniani non dimenticheranno le sue parole infamanti: non le dimenticheranno mai. E neppure i russi le dimenticheranno, e neppure i cinesi.In effetti, nessun soggetto intelligente e razionale può dimenticare dichiarazioni del genere: perché, tragicamente, queste dichiarazioni mettono a nudo il livello del soggetto che le ha pronunciate. E cioè uno che, essenzialmente, non sa cosa dice. Un leone da tastiera, come si suol dire – nel caso specifico, un sovranista da tastiera: cioè, sovranista solo a parole. Con il suo tweet, infatti, Salvini si dimostra il politico più antisovranista d’Italia. Ovvero: candidare l’Italia a diventare carne da cannone per le guerre d’aggressione americane non corrisponde esattamente all’interesse nazionale. Inoltre, l’Italia era il primo partner commerciale dell’Iran: il primo. Ebbene, Salvini ha appena mandato affanculo tutte le aziende italiane che hanno stabilito questo primato. Un gran bel sovranismo, direi. Wow! L’Italia è già lo zerbino degli Stati Uniti, facciamocene pure una ragione. Ma Salvini insiste per scrivere, su quello zerbino, “welcome, calpestateci, fate di noi tutto quello che volete, ma per favore lasciatemi giocare a fare il Capitano, e prometto che sarò la migliore delle scimmie ammaestrate”. Il tragico è che, mentre lo dice, non se ne rende neanche conto. Così come non si rende conto che qualsiasi nuova guerra in Medio Oriente, cui lui adesso plaude, ci riempirà di milioni di nuovi rifugiati, che a lui parole aborrisce.Milioni di altri rifugiati: è questo per cui ha lavorato, scrivendo questo tweet. Cioè: fai tifo per la guerra e poi, quando arrivano i rifugiati dalla tua bella guerra, che fai? Non ci aveva pensato: non si rende proprio conto. Tutti quelli che in Italia, da tempo, gridano all’allarme-Salvini – presunto grande stratega populista, presunta minaccia per la democrazia, presunto restauratore del fascismo, presunto filo-russo e pupazzo di Putin, presunto sovranista di ferro, presunto uomo forte che fermerà l’immigrazione – dovranno adesso prendere atto di avere sempre preso lucciole per lanterne. Salvini non è mai stato pericoloso, nel senso che essi temevano. Care Sardine, soffrite di allucinazioni. E’ invece pericoloso per il motivo opposto: per il non essere ciò che pretende di essere. Nei fatti, Salvini non è un sovranista. Salvini plaude a Draghi presidente della Repubblica. E il suo ideale, lo abbiamo appena visto, è un’Italia totalmente prona all’America – l’America che bombarda, non quella del sogno americano. Proprio, lui non capisce il mondo. Non è uno stratega; piuttosto è un abile tattico, che naviga a vista, ma destinato a naufragare al primo tatticismo andato storto (per esempio, al primo tweet).E infatti, su Twitter e sugli altri social, è già montato un cosiddetto “shit storm”, una “tempesta di merda”, nei suoi confronti, da parte di tutti quelli che, diversamente da lui, hanno capito il significato (e le implicazioni) delle sue incredibili parole sull’assassinio di Soleimani – anche da parte degli stessi leghisti, e di intellettuali che in passato lo avevano sostenuto. Facciamo un esempio: Diego Fusaro, che un tempo lo apprezzava, lo ha definito “un servo”. L’influente filosofo russo Dugin, che un tempo lo apprezzava, in un post su Facebook ha sentenziato (in italiano) che Salvini “ha tradito se stesso”. L’uccisione di Soleimani, poi, è un crimine ancora più grave di quanto era inizialmente sembrato. Il grande giornalista Pepe Escobar ha riportato una dichiarazione attribuita al primo ministro iracheno, il quale ha raccontato che gli Stati Uniti avevano a lui una mediazione con l’Iran. Quindi il primo ministro iracheno avrebbe invitato Soleimani come mediatore: e, appena arrivato a Baghdad, gli americani lo hanno ammazzato. Il generale iraniano sarebbe quindi stato assassinato dagli americani mentre era in una missione diplomatica, di negoziazione, sollecitata dagli stessi americani.Commenta, al riguardo, Pepe Escobar, che «nessuna persona sana di mente crederà mai più a questi barbari (con l’eccezione dei loro barboncini)». A Salvini, a questo punto, devono esser fischiate le orecchie. E oltre a Soleimani, i missili americani hanno ucciso anche un importante capo dell’esercito iracheno: un altro crimine internazionale, che ha giustamente fatto arrabbiare moltissimo, a loro volta, anche gli iracheni, che quindi hanno trovato nel loro Parlamento l’unità necessaria per la decisione di espellere l’esercito americano dal paese. Questa seconda uccisione non era stata pianificata dagli statunitensi: pare che quel comandante non avrebbe dovuto trovarsi là. Gli americani non l’avrebbero previsto né voluto, visto che questo avrebbe compromesso i loro rapporti con gli iracheni. Così infatti è stato: in pratica, con il loro gesto, gli americani hanno finito per auto-espellersi dall’Iraq. Poi è tutto da dimostrare che se ne vadano davvero. Ma a quel punto, se rimanessero, sarebbero di nuovo una forza di occupazione illegale: le apparenze se ne andrebbero a quel paese.(Roberto Quaglia, estratto dal video-intervento “Trump è in trappola”, trasmesso da “Pandora Tv” il 7 gennaio 2020).Il 3 gennaio 2020 è stato assassinato a Baghdad, da un missile lanciato da un drone statunitense, il generale maggiore iraniano Soleimani, considerato una delle massime autorità in Iran dopo la “guida suprema”. Un eroe di mille battaglie, per tutto il mondo sciita. Eroe di un paese, l’Iran, che – più o meno, unico al mondo – non ha mai attaccato militarmente altre nazioni. Basti pensare che Soleimani è stato uno degli artefici, insieme ai russi e all’esercito regolare siriano, della sconfitta dei tagliagole dell’Isis, in Siria. Vi ricordate quelle bestie che in Siria stupravano donne e tagliavano teste? Soleimani era uno degli eroi che contribuirno a sconfiggere quelle bestie, e adesso gli americani lo hanno ammazzato. E’ difficile immaginare una provocazione più grave di questa. Si tratta di una azione che rappresenta, a tutti gli effetti, un atto di guerra contro l’Iran. Immaginate ora i fatti a ruoli invertiti: provate a pensare cosa sarebbe successo se gli iraniani avessero assassinato il vicepresidente americano o il capo della Cia, in visita a un altro paese. Ma in realtà l’esempio non rende, perché Soleimani in Iran era molto più popolare di queste persone, negli Stati Uniti.
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“Fusaro chiede poltrone alla Lega e poi pranza col Savoia”
Ha suscitato curiosità la foto di Diego Fusaro a pranzo con Emanuele Filiberto di Savoia e l’ex sindaco milanese Gabriele Albertini, postata sui social dallo stesso Fusaro il 16 novembre. Intanto, Fusaro non ha smentito le sue ambizioni poltroniere, cioè le voci (fastidiose anzitutto per lui) secondo cui sarebbe andato a trattare con la Lega e con Fratelli d’Italia per una poltrona. La contrattazione di cui si è parlato, in termini molto precisi e mai smentiti, è che Fusaro avrebbe detto: datemi una poltrona nel prossimo Parlamento, e io in cambio “congelo” Vox Italia. Le voci dicono che comunque è stato rispedito al mittente. Ma questa foto con Emanuele Filiberto e Albertini ci fa vedere tutto il compiacimento di Fusaro, che si proclama profeta del popolo, populista rossobruno contro la precarizzazione e la fuga di coscienza da parte del proletariato, privo di una coscienza – che lui vuole dargli, come nuovo vate e come ideologo del proletariato del XXI secolo, precarizzato e inconsapevole. E poi però c’è questo aspetto narcisistico, per cui Fusaro va a mendicare visibilità… L’abbiamo visto anche con Parenzo, che minacciava di pubblicare gli sms privati in cui, quasi piagnucolando, il filosofo andava cercando l’invito per qualche ospitata: quindi un Fusaro che cerca di andare dove può, in televisione, per mostrarsi e per vendere i suoi libri (che sono un po’ la copia l’uno dell’altro).
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Moscopoli: ‘Report’ evita l’unica domanda che conti davvero
L’unica notizia, nel lenzuolone televisivo “La fabbrica della paura” firmato da Giorgio Mottola sul caso Moscopoli, è il ritrattino poco edificante che di Salvini e Savoini fornisce un veterano del giornalismo come Gigi Moncalvo, allora direttore della “Padania”: il giovanissimo Salvini era assenteista e falsificava le note spese, mentre Savoini (suo mentore occulto) venerava icone naziste, afferma l’autore di libri scomodi come “Agnelli segreti”. Moncalvo è esplicito: quando chiese l’allontanamento di Salvini dal giornale leghista, il giovane Matteo lo sfidò: «Tu passi, io resto. E diventerò molto più potente». A parte questo, “Report” si limita – in un’ora di televisione – a imporre ai telespettatori, il 21 ottobre, una tesi a senso unico: Salvini è un mascalzone pericoloso. Le “prove” a carico: esponenti del Carroccio entrarono in contatto con neofascisti come Maurizio Murelli, condannato per aver ucciso un poliziotto. Così la Lega ha finito col trovarsi al centro di una “internazionale nera”, estesa da Washington a Mosca, basata sul recupero politico del tradizionalismo religioso, familista e nazionalista. Una rete che finanzia progetti teoricamente eversivi e mirati a far implodere l’attuale Ue (che per “Report”, evidentemente, è sacra). Unico appiglio offerto: la famosa intercettazione di Savoini a Mosca, un anno fa. Chi la effettuò? Mistero.Per “Report”, comunque, va bene così: basta che i telespettatori disprezzino la Lega, senza neppure sapere chi avrebbe cercato di “incastrarla”. Seriamente: anche in seguito a quel polverone il governo italiano è caduto, ma a “Report” non interessa provare a spiegare chi ha spinto i gialloverdi alle dimissioni, e perché. Lo stile della trasmissione, ora condotta da Sigfrido Ranucci, eredita il marchio fuorviante impresso da Milena Gabanelli: fragorosi depistaggi. Mai una vera indagine sul potere (dopo la dipartita di Paolo Barnard) e inchieste aggressive solo nei toni, in apparenza “contro”, ma in realtà perfettamente allineate ai voleri dell’establishment: vedi l’improvvisa liquidazione del populista Antonio Di Pietro, di colpo presentato come gestore inaffidabile dei finanziamenti pubblici del suo partito, nel momento in cui “serviva” travasare l’elettorato dell’Italia dei Valori nell’esordiente Movimento 5 Stelle (altro fumo negli occhi destinato agli elettori “arrabbiati”). L’infaticabile Mottola ha messo insieme una notevole mole di dati, tutti però di secondo piano. Ha acceso i riflettori su un mondo sommerso – il greve retrobottega anche affaristico del fondamentalismo cristiano russo e americano, insospettabilmente interconnesso – ma senza mai collocare le notizie all’interno di un’analisi capace di fornire deduzioni decisive per leggere l’attualità, depurandola dal foklore.Salvini? Avvicinato (quasi molestato) solo e sempre a margine di comizi, tra nugoli di fan in coda per i selfie di rito: in quei momenti, in mezzo alla folla, all’odiato “capitano” è stato chiesto di parlare dei suoi eventuali legami con remoti oligarchi russi. L’unico scopo evidente degli spettacolari “agguati”, in stile “Le Iene”, era trasmettere il seguente messaggio: lo spregevole Salvini evita di rispondere perché sa di essere colpevole e teme la verità. E quale sarebbe, per “Report”, la verità? Con l’aria di inoltrarsi tra le SS di Himmler nel tenebroso maniero di Wewelsburg, le telecamere incalzano i seguaci di Steve Bannon nella Certosa di Trisulti, in Ciociaria, che secondo i piani doveva diventare il Vaticano del “sovranismo” europeo. Da Frosinone a Mosca, stessa musica: si delizia, “Report”, nel cogliere l’apprezzamento di Salvini nelle parole del filosofo neo-conservatore Alexandr Dugin, ideologo presentato come ispiratore di Putin (e in Italia, esaltato da Diego Fusaro). Dio, patria e famiglia? Ricetta specularmente opposta e complementare, rispetto alla teologia globale neoliberista che dice di voler contrastare.Rifugiandosi nel mitico buon tempo antico, magari quello dello zarismo che spediva in Siberia qualsiasi dissidente, l’attuale sovranismo sembra il binario morto costruito apposta per non democratizzarla mai, la globalizzazione in atto. Mondialismo neoliberale e neo-sovranismo: due facce della stessa medaglia, interpretate da soggetti che in realtà giocano nella stessa squadra e con lo stesso obiettivo, addormentare le coscienze politiche o al massimo deviarle verso falsi bersagli, comodamente sbaraccabili al momento giusto (Di Pietro docet) quando non serviranno più a infervorare gli elettori più sprovveduti. Ma questi probabilmente sono spunti impensabili, per “Report”, che sembra trattare gli spettatori come bambini dell’asilo. Nella fiaba di giornata, il cattivo è Putin. Gli oligarchi euro-atlantici, invece, sono mammolette? Nel fanta-mondo di “Report”, se lo Zar del Cremlino è il Dio del misterioso Savoini (anima nera del bieco Salvini), il capo della Lega è una sorta di enigma: chi è davvero l’Uomo Nero di Pontida? E’ il classico utile idiota, accecato dall’ambizione e quindi comodamente sfruttato dalla micidiale Spectre sovranista, oppure è una specie di genio del male pronto a distruggere la meravigliosa armonia democratica dell’Unione Europea, modello mondiale di felicità?Avvilente il bilancio giornalistico del servizio televisivo: un’ora di speculazione elettorale contro il salvinismo, senza mai neppure domandarsi – nemmeno per sbaglio – chi ha intercettato Savoini a Mosca, e perché, mentre parlava coi petrolieri russi ipotizzando transazioni milionarie (mai avvenute). La prova del nove la fornisce l’impareggiabile Fabio Fazio, lo zerbino di Macron pagato dagli italiani con il canone Rai: com’è possibile, si domanda, che il dossier di “Report” rimanga senza conseguenze? Ma se Fazio fa solo avanspettacolo, sia pure politicamente scorretto perché tendenzioso, in teoria “Report” dovrebbe sentire il dovere di informarli, i cittadini, e quindi farsi l’unica domanda utile per inseguire la notizia: chi ha intercettato Savoini? Sono stati i servizi di Trump, per sbarazzarsi del deludente carrozzone gialloverde? Quelli di Conte, per liberarsi di Salvini? Quelli di Putin, che potrebbe aver “venduto” l’amico Salvini in cambio di qualcos’altro, sullo scacchiere geopolitico? C’è stata una concertazione internazionale incrociata per ottenere il cambio di governo a Roma? La notizia starebbe proprio qui: e invece “Report” galoppa dalla parte opposta, portando a spasso i telespettatori lontanissimo dall’accaduto. Qualcuno ha passato gli audio del Metropol al sito americano “BuzzFeed”. Già, ma chi? E quindi: perché? Inoltre: chi è “BuzzFeed”? Con chi parla? Con chi lavora? Qualcuno lo finanzia?Tra i nuovi fenomeni web, nel confine ambiguo tra giornalismo e intelligence, si è imposto recentemente il “Site” di Rita Katz, un tempo considerata vicina al Mossad israeliano, sempre prontissima a divulgare – in esclusiva – le imprese dell’Isis. Nella famosa serata moscovita in quello che è conosciuto anche come “l’albergo delle spie”, c’era un russo la cui identità non è ancora nota. Al Metropol, si dice, anche i muri hanno orecchie. Chi ha deciso, il 18 ottobre 2018, che la corsa italiana della Lega andava fermata con un possibile ricatto? Se gli italiani si aspettano risposte da “Report”, buonanotte. La polpetta avvelenata proviene ovviamente da qualche 007. Lo scopo: indurre i giornali a colpire, nella direzione indicata. Compito che “Report” esegue pedestremente, obbedendo e facendosi usare senza porsi domande. Non stupisce, peraltro: Barnard, co-fondatore della trasmissione, mise in difficoltà la redazione (allora scomoda, per la Rai) con inchieste taglienti. Memorabili le amnesie di Fassino sulle malefatte della globalizzazione, o la sconcertante confessione di Prodi quand’era a capo della Commissione Ue. Testualmente: come faccio a sapere quali e quante direttive emaniano? Fulminato, Barnard, per un’inchiesta sugli abusi di Big Pharma censurata dalla Gabanelli: se la trasmettiamo, gli disse, ci chiudono. Benissimo, rispose Barnard: lo facciano, daremo battaglia. A finire fuori, invece, fu lui. “Report” ovviamente è rimasto, ma abdicando al suo ruolo originario: l’antica grinta ribelle oggi serve solo a raccontare favole innocue per il potere, e magari – come in questo caso – confezionate direttamente da misteriosi servizi segreti.(Giorgio Cattaneo, “Moscopoli, la fabbrica della paura creata dagli 007: da Report nessuna risposta sul caso montato da chi voleva far cadere il governo italiano”, dal blog del Movimento Roosevelt del 24 ottobre 2019).L’unica notizia, nel lenzuolone televisivo “La fabbrica della paura” firmato da Giorgio Mottola sul caso Moscopoli, è il ritrattino poco edificante che di Salvini e Savoini fornisce un veterano del giornalismo come Gigi Moncalvo, allora direttore della “Padania”: il giovanissimo Salvini era assenteista e falsificava le note spese, mentre Savoini (suo mentore occulto) venerava icone naziste, afferma l’autore di libri scomodi come “Agnelli segreti”. Moncalvo è esplicito: quando chiese l’allontanamento di Salvini dal giornale leghista, il giovane Matteo lo sfidò: «Tu passi, io resto. E diventerò molto più potente». A parte questo, “Report” si limita – in un’ora di televisione – a imporre ai telespettatori, il 21 ottobre, una tesi a senso unico: Salvini è un mascalzone pericoloso. Le “prove” a carico: esponenti del Carroccio entrarono in contatto con neofascisti come Maurizio Murelli, condannato per aver ucciso un poliziotto. Così la Lega ha finito col trovarsi al centro di una “internazionale nera”, estesa da Washington a Mosca, basata sul recupero politico del tradizionalismo religioso, familista e nazionalista. Una rete che finanzia progetti teoricamente eversivi e mirati a far implodere l’attuale Ue (che per “Report”, evidentemente, è sacra). Unico appiglio offerto: la famosa intercettazione di Savoini a Mosca, un anno fa. Chi la effettuò? Mistero.
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Carpeoro: Fusaro (oscurato da Fb) mi ricorda Franco Freda
«Facebook ha commesso l’ennesimo abuso, chiudendo anche le pagine del neonato movimento Vox Italia guidato da Diego Fusaro, le cui idee peraltro mi ricordano sinistramente quelle di Franco Freda». E’ una vera e propria bomba quella che Gianfranco Carpeoro sgancia sul giovane filosofo torinese, leader mediatico della nuovissima formazione “sovranista”. Vox Italia è stata battezzata ufficialmente il 14 settembre all’Hotel Quirinale di Roma alla presenza – fra gli altri – dell’economista post-keynesiano Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt. «A proposito: da Galloni mi aspetto un chiarimento – aggiunge Carpeoro – visto che è stato inserito nel comitato di presidenza della nuova formazione: per il Movimento Roosevelt non è un problema, ma Nino è anche fondatore del progetto del Psai, “Partito che serve all’Italia”, che invece esclude che si possa essere iscritti ad altri partiti». E poi: che c’entra, Galloni, col “rossobrunismo” di Fusaro e soci, che si ispirano al tradizionalismo del russo Alexandr Dugin, considerato l’ideologo del conservatore Putin? Fusaro riesce a mettere insieme il comunista Gramsci e il fascista Gentile, in linea con il “fasciocomunismo” del suo maestro, Costanzo Preve. E Franco Freda, citato da Carpeoro? Si è definito “nazi-maoista”, per le sue teorie a metà strada tra nazismo e maoismo.Decisamemte ardito, il parallelismo tra Fusaro – brillante intellettuale-contro, spesso coccolato dai media mainstraim – e il neofascista Freda, condannato per gli attentati dinamitardi del 1969 e indagato per la strage di piazza Fontana insieme al terrorista Giovanni Ventura e al giornalista Guido Giannettini, agente dei servizi segreti e militante dell’estrema destra negli anni di piombo. Cosa accomunerebbe l’editore Freda, fondatore di Ordine Nuovo, all’antagonista salottiero Fusaro? Forse, par di capire – ascoltando la diretta web-streaming del 22 settembre su YouTube – l’avvocato milanese, nonché saggista e massone progressista, allude al pericolo cui Fusaro potrebbe esporsi: un certo estremismo ideologico, in Italia, è stato puntualmente manipolato dai poteri che orchestrano la sovragestione del consenso, in altri tempi anche alimentando le nebulose ideologiche da cui, nel peggiore dei casi, scaturì anche il terrorismo, spesso controllatro dai servizi deviati. In video-chat con Fabio Frabetti di “Border Nights”, Carpeoro sembra domandarsi a chi possa essere utile, davvero, il “socialismo nazionale sovranista” agitato da Fusaro, messo in campo formalmente – con Vox Italia – dopo l’uscita di Salvini dal governo.Per Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, Fusaro è solo uno specchietto per allodole: comodo perché innocuo, come il suo intellettualismo presentato dai media come stravagante e quasi divertente, perfetto per mettere in burletta il tema, serissimo, della perdita di sovranità democratica imposta dall’euro-sistema. Carpeoro invece non esita a scomodare il fantasma di Freda, autore della collana editoriale Ar, che Wikipedia definisce “di ispirazione neofascista, tradizionalista e neonazista”. Strano, poi, che Facebook abbia chiuso le pagine di Vox Italia, poco dopo aver cancellato quelle di CasaPound: un movimento, quello neofascista Simone Di Stefano, che secondo il socialista Carpeoro, «pur essendo politicamente impalpabile, quanto a consistenza numerica, è stato regolarmente strumentalizzato, a prescindere dalle iniziative sociali anche valide che porta avanti». Probabilmente, aggiunge l’avvocato, il quadro si fa meno misterioso se si collega il network di Zuckerberg agli ambienti dell’intelligence. «Quella del giovane fenomeno che si è fatto da sé grazie a un’idea geniale è solo una leggenda», ricorda Carpeoro: «Facebook è una creazione della Cia, spiazzata di fronte all’opinione pubblica americana traumatizzata dall’11 Settembre».Di fronte alla necessità di schedare milioni di americani, il servizio di sicurezza partorì l’escamotage: fare in modo che fossero i cittadini stessi ad auto-schedarsi, con tanto di foto e “amici”. E’ un fatto: Zuckerberg, il manovale dell’operazione, ricevette 30 milioni di dollari da una consociata della holding Cia. «Ci sono passato anch’io, in questa commistione tra Facebook e i servizi segreti», racconta Carpeoro, che nel 2010 si vide chiudere la sua pagina col pretesto di una vignetta sul Papa. Chiese di riavere almeno i contenuti pubblicati, ma glielo negarono: scoprì a sue spese, allora, che il social network è l’unico proprietario dei testi, delle foro e dei video presenti nelle pagine personali. «Denunciai la cosa alla Procura di Milano, ma – scaduti i sei mesi di rito – scoprii che della mia denuncia non c’era giù traccia: era stata fatta sparire». L’avvocato racconta di aver ricevuto ben tre visite, da parte dei servizi italiani: «Mi fecero capire che processare Facebook “non era cosa”». Lui passò al contrattacco: «Come farete – disse – a far sparire 365 denunce, se sporgessi una querela al giorno in tutte le sedi giudiziarie italiane?». Alla fine, ricorda, gli proposero un accordo: avrebbe avuto una nuova pagina, nella quale gli sarebbero stati restituiti tutti i contenuti sottratti. «Accettai, anche se non è giusto».«C’è qualcosa di non democratico, in tutto questo, di non perfettamente legale», ribadisce Carpeoro. In altre parole, «lo Stato protegge precise aree di illegalità, perché fanno comodo al potere». La riprova? «Per aprire il suo locale, il pizzaiolo sotto casa deve firmare scartoffie per sei mesi e poi riceverà la visita della Guardia di Finanza. E invece Amazon, Google e affini aprono mega-servizi dalla sera alla mattina, facendo milioni a palate, e poi non pagano neppure le tasse in Italia». Come se ne esce? «Pretendendo il rispetto della piena legalità». Esempio: «Va bene sgomberare la palazzina illegalmente occupata da CasaPound a Roma, ma perché tollerare che i centri sociali di Milano continuino a occupare analogamente i loro spazi, cioè senza pagare affitto e bollette?». Di fronte al bavaglio imposto da Fecebook, in ogni caso, Carpeoro difende sia CasaPound che Vox Italia: «E’ vero che Facebook è un’azienda privata, ma lo spazio che usa – il web – è pubblico. Ed è ora che questo spazio venga legalmente regolamentato, mettendo fine a questa vergogna».«Facebook ha commesso l’ennesimo abuso, chiudendo anche le pagine del neonato movimento Vox Italia guidato da Diego Fusaro, le cui idee peraltro mi ricordano sinistramente quelle di Franco Freda». E’ una vera e propria bomba quella che Gianfranco Carpeoro sgancia sul giovane filosofo torinese, leader mediatico della nuovissima formazione “sovranista”. Vox Italia è stata battezzata ufficialmente il 14 settembre all’Hotel Quirinale di Roma alla presenza – fra gli altri – dell’economista post-keynesiano Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt. «A proposito: da Galloni mi aspetto un chiarimento – aggiunge Carpeoro – visto che è stato inserito nel comitato di presidenza della nuova formazione: per il Movimento Roosevelt non è un problema, ma Nino è anche fondatore del progetto del Psai, “Partito che serve all’Italia”, che invece esclude che si possa essere iscritti ad altri partiti». E poi: che c’entra, Galloni, col “rossobrunismo” di Fusaro e soci, che si ispirano al tradizionalismo del russo Alexandr Dugin, considerato l’ideologo del conservatore Putin? Fusaro riesce a mettere insieme il comunista Gramsci e il fascista Gentile, in linea con il “fasciocomunismo” del suo maestro, Costanzo Preve. E Franco Freda, citato da Carpeoro? Si è definito “nazi-maoista”, per le sue teorie a metà strada tra nazismo e maoismo.
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Magaldi: Vox Fusaro e Renzi-2, niente di nuovo per l’Italia
Tanti anni fa, il sociologo inglese Anthony Giddens vaticinava le “magnifiche sorti e progressive” della Terza Via, a metà strada tra socialismo e capitalismo. Traduzione pratica: negli ultimi decenni, la sinistra s’è messa a completo servizio della destra economica neoliberale. Capoclasse Tony Blair, seguito da Bill Clinton e Massimo D’Alema. Ultimi della fila, Matteo Renzi e Carlo Calenda, che è una specie di Renzi-bonsai «regolarmente “bruciato” e battuto sul tempo dal Renzi originale», osserva Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt. «Peraltro, al clamore del mainstream per l’annuciato divorzio di Renzi dal Pd non corrispondono certo numeri entusiasmanti: le previsioni oscillano fra il 3 il 5% al massimo». In altre parole: un modo come un altro per non andare da nessuna parte, «non avendo niente di nuovo da offrire agli italiani, per giunta dopo averli malgovernati». Nessuna novità, secondo Magaldi, neppure dall’altra notizia che – in piccolo, su “ByoBlu” – si è affacciata nell’agenda politica: la nascita di Vox Italia, esperimento firmato da Diego Fusaro. «Peccato – dice Magaldi – che un intellettuale così colto non proponga altro che un “rossobrunismo nazionalsocialista”: a che serve bocciare l’imperante neoliberismo, se poi si prospetta un ritorno al tradizionalismo nazionalista e illiberale?».