Archivio del Tag ‘Alternativa per la Germania’
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Se l’Ue perde la Merkel, spietata esecutrice degli oligarchi
Senza Angela Merkel alla testa dell’Europa, chi lotterà contro la svolta a destra di Polonia e Ungheria in materia di immigrazione? Chi scongiurerà una Grexit? Chi, soprattutto, ricatterà-blandirà l’Italia per evitare una sua uscita dall’euro nel 2018? «Il tramonto di Angela Merkel», scrive Federico Dezzani, «risolleva le sorti del 2017 e getta le basi per un 2018 esplosivo: il governatore della Banca Centrale Europa, Mario Draghi, è ormai il solo, vero, ostacolo alla dissoluzione dell’euro». E dire che erano le presidenziali francesi in prinmavera, ad apparire come l’unico appuntamento elettorale del 2017 capace di destabilizzare l’Eurozona: nessuna sorpresa, invece, era attesa dalle elezioni federali tedesche dove, grazie al sistema proporzionale, la riconferma di Angela Merkel alla cancelleria era data per scontata. Il crollo della Spd e il timore degli altri partiti di andare incontro a un destino analogo hanno però vanificato i tentativi di formare una nuova coalizione di governo. «Il ritorno alle urne è probabile», in Germania. «E la Cdu, questa volta, correrebbe senza Angela Merkel», osserva Dezzani. «La caduta dell’ultima “paladina del mondo liberale” imprime nuovo slancio alla disgregazione dell’Unione Europea».Sconfitta Marine Le Pen, ricorda Dezzani nel suo blog, «l’attenzione si è progressivamente spostata alle elezioni italiane del 2018, considerate l’unica incognita per il fantomatico rilancio del processo di integrazione europea». Pochi colpi di scena si aspettavano dalla Germania, «dove le solide prestazioni economiche (rispetto agli altri membri della Ue), il provvidenziale blocco della “via balcanica” (primavera 2016) e l’accomodante sistema proporzionale ponevano le basi per la nascita, senza difficoltà, del quarto governo Merkel». Era improbabile che il voto tedesco del 24 settembre producesse scossoni sull’establishment politico tedesco tali da decretare la fine della cancelliera, pericolosa per la stabilità della già precaria Unione Europea. «Il logoramento di Angela Merkel si è sviluppato in sordina, sfociando in un’aperta crisi politica soltanto a distanza di due mesi dal voto», annota Dezzani. «È stata una caduta a rallentatore, ma non per questo meno rovinosa per gli equilibri europei». Dalle elezioni è uscito un Bundestag «incapace di esprimere un chiaro esecutivo», rendendo infruttuose le consultazioni per l’ipotetica “coalizione Giamaica” formata da Cdu-Csu, Verdi e Liberali.Proprio i liberali, fa notare Dezzani, hanno rifiutato la linea in materia di immigrazione emersa durante in negoziati, «piombando così la Germania nella più grave crisi istituzionale del dopoguerra: le possibilità che Angela Merkel sopravviva all’incidente sono ormai minime». Se a Bruxelles c’è chi tifa per un governo di minoranza ancora presieduto dalla Merkel, «lo scenario più realistico è un rapido ritorno alle urne, dove la Cdu, già indebolita dalla peggiore prestazione elettorale degli ultimi 70 anni, sarebbe obbligata a sbarazzarsi di Angela Merkel», scelta (ma in realtà imposta) come presidente del partito nel lontano 2000 «a discapito di Wolfgang Schäuble, neutralizzato con la “Tangentopoli tedesca”». La ragione del fallimento dei negoziati? «Va cercata nel sistema di potere adottato da Angela Merkel», sistema che oggi «lascia la Cdu senza un delfino pronto a raccogliere la sua eredità». Spiega Dezzani: «Angela Merkel, il cui unico obiettivo è stato sin dai primi anni ‘90 la conquista e la conservazione della cancelleria federale, ha sempre sfruttato, svuotato e, infine, abbandonato qualsiasi alleato. Consumatone uno, ne cercava un altro, assicurandosi soltanto di rimanere al centro della scena politica», peraltro «con grande soddisfazione dei suoi padrini atlantici».Il gioco è andato avanti per 12 anni, pima di rompersi sull’onda dell’emergenza migratoria. L’esordio è del 2005, con la Merkel a capo di una Grande Coalizione con la Spd e i Verdi. Alle elezioni successive, ricorda Dezzani, la Spd ne esce a pezzi: e la cancelliera, di conseguenza, forma il nuovo governo con i liberali. Quindi nel 2013 sono i liberali a crollare, e così la Merkel «riallaccia i rapporti con i socialisti della Spd, ridotti nuovamente a semplice satellite della cancelliera». Trascorrono quattro anni e, nel 2017, la Germania torna al voto: la Spd registra il peggiore risultato di sempre (20%), inducendo la cancelliera a cercare un’intesa con i precedenti alleati liberali, cui deve sommare anche i Verdi per sopperire al salasso di voti subito dalla Cdu-Csu (dal 41% al 32%). Ora, ragionano i liberali: perché mai dovremmo farci spremere e poi gettar via come nel 2009, solo per garantire alla Merkel altri quattro anni alla cancelleria? Merkel: chi tocca muore. Nessuno sopravvive all’alleanza. Questo spiega la volontà generalizzata dei partiti tedeschi di tornare al voto il prima possibile: tutti, sottolinea Dezzani, «vogliono evitare l’ennesimo abbraccio mortale della cancelliera, la cui immagine, oltretutto, è ormai indissolubilmente compromessa dalla crisi migratoria del 2015».Assumendo quindi che il destino di Angela Merkel sia ormai segnato, quali previsioni si possono formulare per la Germania e l’Unione Europea? Dezzani ricorda innanzitutto quali interessi rappresenta la cancelliera, definita dal “New York Times” «the Liberal West’s Last Defender», l’ultima paladina dell’ordine liberale. In virtù del primato economico della Germania, la Merkel è «il politico che ha chiesto e ottenuto il coinvolgimento del Fondo Monetario Internazionale nei “salvataggi europei”, che ha favorito il saccheggio dell’europeriferia da parte della finanza internazionale, che ha avvallato il golpe italiano del 2011, che ha imposto le sanzioni contro la Russia al resto dell’Europa, che ha incentivato la politica migratoria di George Soros, che ha sinora garantito l’integrità dell’Eurozona nel bene e nel male, che ha raccolto la guida dell’ordine mondiale “liberale” dopo l’insediamento alla Casa Bianca di Donald Trump (surriscaldamento climatico, difesa della globalizzazione, etc)».Per Dezzani, l’uscita di scena della Merkel avrebbe conseguenze traumatiche per il potere Ue: «La Germania si prepara, una volta liberatasi dalla tutela di Angela Merkel, a spostarsi ulteriormente “a destra”: non si intende soltanto un travaso di voti verso i falchi della Cdu-Csu o “Alternativa per la Germania”, ma anche un diverso approccio di Berlino negli affari esteri». Secondo Dezzani, senza la Merkel alla cancelleria federale, «la Germania sarà più nazionalista e “continentale”, meno liberale e atlantica». Parallelamente, «l’uscita di scena di Angela Merkel complica ulteriormente i progetti di integrazione franco-tedeschi, già indeboliti dal rapido sfaldamento della presidenza Macron, e accelera le spinte centrifughe nel resto dell’Europa».Senza Angela Merkel alla testa dell’Europa, chi lotterà contro la svolta a destra di Polonia e Ungheria in materia di immigrazione? Chi scongiurerà una Grexit? Chi, soprattutto, ricatterà-blandirà l’Italia per evitare una sua uscita dall’euro nel 2018? «Il tramonto di Angela Merkel», scrive Federico Dezzani, «risolleva le sorti del 2017 e getta le basi per un 2018 esplosivo: il governatore della Banca Centrale Europa, Mario Draghi, è ormai il solo, vero, ostacolo alla dissoluzione dell’euro». E dire che erano le presidenziali francesi, in primavera, ad apparire come l’unico appuntamento elettorale del 2017 capace di destabilizzare l’Eurozona: nessuna sorpresa, invece, era attesa dalle elezioni federali tedesche dove, grazie al sistema proporzionale, la riconferma di Angela Merkel alla cancelleria era data per scontata. Il crollo della Spd e il timore degli altri partiti di andare incontro a un destino analogo hanno però vanificato i tentativi di formare una nuova coalizione di governo. «Il ritorno alle urne è probabile», in Germania. «E la Cdu, questa volta, correrebbe senza Angela Merkel», osserva Dezzani. «La caduta dell’ultima “paladina del mondo liberale” imprime nuovo slancio alla disgregazione dell’Unione Europea».
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Sapir: aprite gli occhi, l’euro sta portando l’Europa in guerra
Gettare l’euro nella spazzatura della storia. Lo chiede a gran voce il partito euroscettico tedesco “Alternative für Deutschland”, che dopo le ultime elezioni è entrato nelle assemblee locali di molti länder tedeschi. In allarme per le reazioni anti-tedesche in tutta Europa, nel suo recente memorandum sulla questione della Grecia, Afd si pronuncia a favore di un’uscita di Atene dall’Eurozona e per uno smantellamento generale di quest’ultima. I problemi di competitività dei paesi membri dell’area euro? Irrisolvibili, se non si possono svalutare le monete rispetto a quelle di economie più competitive. Afd, rileva l’economista francese Jacques Sapir, sottolinea infine come le cosiddette strategie di “svalutazione interna” si siano dimostrate disastrose da un punto di vista sociale, oltre che inefficaci: hanno infatti gettato più di mezza Europa in una trappola di “euro-austerità”. Oltre a Afd, in Germania ne parla anche una parte della Linke, legata a Oskar Lafontaine, mentre in Italia si segnalano voci no-euro come quelle di Stefano Fassina, esponenti di Forza Italia e del M5S, in linea col dibattito critico in corso anche in Olanda e in Spagna.«La Francia – scrive Sapir, in un post ripreso da “Vox Populi” – resta il solo paese in cui l’omertà dell’Ump e del Ps ha strozzato il dibattito», fondamentale per il futuro dell’Europa, «le cui tinte stanno diventando sempre più fosche a causa dell’esistenza dell’euro». Non è solo una questione economica o finanziaria, continua Sapir: non si sono mai viste né un’ampia unione di trasferimenti, né un’unione fiscale e men che meno un’unione sociale, «che avrebbero dovuto essere realizzate se si fosse voluto che l’euro avesse successo». Di tutto questo, «tutti i popoli dell’Unione economica e monetaria ne stanno ora pagando il prezzo». Ma quella dell’euro è anche e soprattutto una questione politica: «Avendo preteso – certamente a torto – che l’euro rappresentasse il completamento dell’Unione Europea, ora le classi dirigenti dei paesi membri sono terrorizzate dalla prospettiva di un suo fallimento, di cui perfino i più cocciuti tra loro iniziano a rendersi conto, e dalle conseguenze politiche che ne deriveranno».Credono che la fine dell’euro significherebbe la fine dell’Europa? «Non si rendono conto che è l’esistenza stessa dell’euro a sollevare un popolo contro l’altro, a far rivivere i vecchi antagonismi, ad aver fatto della guerra economica tra i paesi membri la normalità quotidiana, finché il conflitto militare, cosa che oggi è da temere, non arrivi a sostituirsi a questo conflitto economico». L’euro, continua Sapir, «distrugge i singoli paesi membri anche mettendo i lavoratori contro altri lavoratori, inventando nuove divisioni tra chi si avvantaggia dell’euro (in realtà una piccola minoranza) e chi invece vede la sua vita e il suo lavoro distrutti dall’euro, ed è questa ormai la realtà quotidiana per una maggioranza». Apriamo gli occhi, insiste Sapir: «La realtà è che l’euro ha distrutto l’Europa: non solamente le sue strutture istituzionali, che sarebbe dopotutto il male minore, ma anche le sue radici politiche e culturali. L’euro è la guerra. Ed è per questo che la dissoluzione dell’Eurozona non è solamente un obiettivo economico desiderabile, ma anche un’urgenza politica del nostro tempo».Gettare l’euro nella spazzatura della storia. Lo chiede a gran voce il partito euroscettico tedesco “Alternative für Deutschland”, che dopo le ultime elezioni è entrato nelle assemblee locali di molti länder tedeschi. In allarme per le reazioni anti-tedesche in tutta Europa, nel suo recente memorandum sulla questione della Grecia, Afd si pronuncia a favore di un’uscita di Atene dall’Eurozona e per uno smantellamento generale di quest’ultima. I problemi di competitività dei paesi membri dell’area euro? Irrisolvibili, se non si possono svalutare le monete rispetto a quelle di economie più competitive. Afd, rileva l’economista francese Jacques Sapir, sottolinea infine come le cosiddette strategie di “svalutazione interna” si siano dimostrate disastrose da un punto di vista sociale, oltre che inefficaci: hanno infatti gettato più di mezza Europa in una trappola di “euro-austerità”. Oltre a Afd, in Germania ne parla anche una parte della Linke, legata a Oskar Lafontaine, mentre in Italia si segnalano voci no-euro come quelle di Stefano Fassina, esponenti di Forza Italia e del M5S, in linea col dibattito critico in corso anche in Olanda e in Spagna.
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Afd: liberiamo la Grecia e l’Europa dall’orrore dell’euro
Alternative für Deutschland (“Alternativa per la Germania”) è un partito pro-europeo che sostiene fondamentalmente i principi della competitività, della sussidiarietà e dei buoni rapporti reciproci tra le nazioni europee, convinto che ciascuna nazione dovrebbe avere il controllo del proprio destino economico. A tale scopo, Afd constata con inquietudine che la politica fatta per salvare l’euro a qualsiasi costo (politica sostenuta dal governo tedesco) ha portato ad una forte reazione anti-tedesca in Grecia. Sottolinea che una moneta sopravvalutata ha deteriorato senza speranze di miglioramento la competitività dell’economia greca, ha contribuito a generare disoccupazione di massa e ha chiuso un’intera “generazione perduta” in una situazione senza via d’uscita. Ritiene che il mantenimento dell’unione monetaria nella sua forma attuale è in contrasto con gli interessi della società e dell’economia greca, economia che ha bisogno di una forte svalutazione per ritrovare la strada della ripresa.Afd condanna l’attuale situazione che costringe i contribuenti europei a pagare e a portare sulle proprie spalle il peso di un’unione monetaria fallita, che sta prolungando le sofferenze della popolazione greca. Questa politica non ha alcun genere di giustificazione economica o morale. Sottolinea che non si può aspettare che la Germania riduca il suo livello di competitività per risolvere la crisi dell’Eurozona, mentre la “svalutazione interna” non può riuscire a migliorare la competitività della Grecia. Sostiene con forza che l’Europa nel suo insieme dovrebbe concentrarsi sul miglioramento della competitività per assicurarsi una posizione di leadership a livello mondiale. Insiste sul fatto che è nell’interesse comune dei contribuenti europei e della popolazione greca che si metta fine all’unione monetaria nella sua forma attuale. Più essa prolunga la sua esistenza, più pesanti saranno le perdite subite sia dai contribuenti europei che dalla popolazione greca, che ha già sofferto gli effetti distruttivi della politica di austerità.Sostiene che qualsiasi piano di ristrutturazione del debito greco deve essere accompagnato da un sistema di uscita concordata della Grecia dall’Eurozona. Ribadisce che tale uscita non deve significare l’uscita dall’Unione Europea, come dimostrano gli esempi di diversi paesi dell’Unione Europea che hanno un’economia fiorente ma non fanno parte dell’Eurozona. Sostiene che, visto il danno permanente che la partecipazione all’unione monetaria ha inflitto alla Grecia, è necessario favorire un ritorno dell’economia greca alla crescita. Invita i leader europei a preparare tutte le misure giuridiche ed economiche per ridurre il costo dell’uscita dall’euro, sia per la Grecia che per tutti i paesi dell’Eurozona. Invita i partiti europei centristi a cooperare per l’attuazione di una procedura di uscita concordata per i paesi che si trovano attualmente in condizioni di grave crisi economica; in mancanza di ciò i partiti estremisti, sia di sinistra che di destra, si affermeranno sempre più sullo scenario europeo.(Alternative für Deutschland, “Manifesto per la ripresa economica della Grecia” pubblicato dalla formazione politica no-euro tedesca e ripresa dal blog “Vox Populi” il 2 aprile 2015).Alternative für Deutschland (“Alternativa per la Germania”) è un partito pro-europeo che sostiene fondamentalmente i principi della competitività, della sussidiarietà e dei buoni rapporti reciproci tra le nazioni europee, convinto che ciascuna nazione dovrebbe avere il controllo del proprio destino economico. A tale scopo, Afd constata con inquietudine che la politica fatta per salvare l’euro a qualsiasi costo (politica sostenuta dal governo tedesco) ha portato ad una forte reazione anti-tedesca in Grecia. Sottolinea che una moneta sopravvalutata ha deteriorato senza speranze di miglioramento la competitività dell’economia greca, ha contribuito a generare disoccupazione di massa e ha chiuso un’intera “generazione perduta” in una situazione senza via d’uscita. Ritiene che il mantenimento dell’unione monetaria nella sua forma attuale è in contrasto con gli interessi della società e dell’economia greca, economia che ha bisogno di una forte svalutazione per ritrovare la strada della ripresa.
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La lunga marcia dei no-euro, assedio all’Europarlamento
In Gran Bretagna il partito populista “United Kingdom Indipendence Party”, Ukip, il Partito per l’indipendenza del Regno Unito, è rilevato in prima posizione nelle intenzioni di voto per le elezioni europee in un sondaggio realizzato dall’istituto Yougov per il quotidiano “Sunday Times”. I dati registrano lo Ukip guidato da Nigel Farage al 31%, i laburisti al 28%, i Tory del premier Cameron al 19%, e i Liberaldemocratici al 9%. Lo Ukip sta realizzando per le europee una campagna molto vigorosa contro i posti di lavoro “rubati” dagli stranieri, definita razzista dagli altri partiti. Secondo l’opinione della maggioranza del campione di Yougov questo tipo di posizione non è razzista, ma un commento duro sulla realtà. Nei sondaggi realizzati da quest’istituto si nota come l’avvicinarsi del voto stia spingendo verso l’alto i consensi dello Ukip, cresciuto dal 23% di inizio marzo all’attuale 31%, con una contemporanea flessione dei laburisti così come dei conservatori.Per il voto alla Camera dei Comuni i sondaggi sono diversi; certo se questo dato fosse confermato sarebbe comunque piuttosto clamoroso che un partito che combatte da sempre contro l’adesione della Gran Bretagna all’Unione Europea in pochi anni sia passato da una relativa marginalità al primato nazionale, per quanto in questa specifica consultazione. Il Regno Unito non è però l’unico paese Ue dove alle prossime europee sarà possibile un’affermazione dei no-euro. Il “Movimento 5 Stelle” è una formazione che nella stampa europea viene definita no-euro, anche se il M5S non è assimilabile ai partiti di destra populista che combattono contro Bruxelles. Alle europee il primato dei 5 Stelle è un’ipotesi al momento non così probabile, ma neppure impossibile. Il fronte no-euro al Parlamento di Strasburgo sarà guidato da Marine Le Pen, e il suo Front National potrebbe conseguire una prima posizione alle consultazioni del 25 maggio.Come mostra la media dei sondaggi realizzata da “Electionista” su Twitter, il partito della destra repubblicana Ump e la formazione di Marine Le Pen sono praticamente appaiate poco sopra il 20%. Per il Front National si tratterebbe di una crescita clamorosa, visto che 5 anni fa raccolse poco più del 6%. I Paesi Bassi, come la Francia e l’Italia, sono una delle sei nazioni fondatrici del processo di unificazione dell’Europa. Anche l’elettorato olandese potrebbe consegnare ai no-euro del “Partito della Libertà” di Geert Wilders il primato nazionale alle consultazioni per l’Europarlamento. Al momento il Pvv è terzo dietro i liberali progressisti, ora all’opposizione, e i liberali conservatori del premier Rutte, ma il margine di distacco è molto ridotto. La terza formazione assai rilevante che aderisce al blocco no euro della destra populista sono i liberali austriaci della Fpö di Heinz-Christian Strache. Anche in Austria le europee potrebbero essere vinte dai no -uro, ora al terzo posto nella media delle intenzioni di voto, dietro ai popolari e ai socialdemocratici.In Germania i no-euro di “Alternativa per la Germania”, che hanno recentemente rifiutato la proposta di alleanza offerta loro da Marine Le Pen, non vinceranno le elezioni europee ma sicuramente entreranno all’Europarlamento, con un risultato in costante crescita, che danneggia la Cdu della vera leader dell’Ue, Angela Merkel. Come si vede nell’ultimo sondaggio pubblicato su “Bild”, “Alternativa per la Germania”, Afd, è rilevata al 7,5%, in aumento rispetto al 4,9% conseguito alle ultime federali. E’ difficile definire “Syriza” un partito no-euro, visto che la formazione guidata da Tsipras è favorevole alla moneta unica. Le critiche radicali alle politiche di austerità hanno però tratti accomunabili al variegato fronte che combatte contro i governi dell’Ue, ed in questa prospettiva la possibile affermazione di “Syriza” in Grecia alle prossime europee rappresenterebbe uno scossone a Bruxelles non così dissimile dal primato nazionale del Front National della Le Pen o del Pvv di Wilders.(Andrea Mollica, “I paesi dove i no-euro hanno chance di vittoria alle europee”, dal blog di Gad Lerner del 28 aprile 2014).In Gran Bretagna il partito populista “United Kingdom Indipendence Party”, Ukip, il Partito per l’indipendenza del Regno Unito, è rilevato in prima posizione nelle intenzioni di voto per le elezioni europee in un sondaggio realizzato dall’istituto Yougov per il quotidiano “Sunday Times”. I dati registrano lo Ukip guidato da Nigel Farage al 31%, i laburisti al 28%, i Tory del premier Cameron al 19%, e i Liberaldemocratici al 9%. Lo Ukip sta realizzando per le europee una campagna molto vigorosa contro i posti di lavoro “rubati” dagli stranieri, definita razzista dagli altri partiti. Secondo l’opinione della maggioranza del campione di Yougov questo tipo di posizione non è razzista, ma un commento duro sulla realtà. Nei sondaggi realizzati da quest’istituto si nota come l’avvicinarsi del voto stia spingendo verso l’alto i consensi dello Ukip, cresciuto dal 23% di inizio marzo all’attuale 31%, con una contemporanea flessione dei laburisti così come dei conservatori.