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Sdoganare la pedofilia: vogliono far cadere l’ultimo tabù
La pedofilia è l’ultimo grande tabù della civiltà occidentale: orientamento sessuale innato per alcuni, perversione immorale e criminale da punire duramente con il carcere per altri, o ancora una malattia mentale da curare. È necessario discutere oggi di pedofilia, perché il suo sdoganamento – con conseguente legalizzazione e decriminalizzazione sociale – con molta probabilità avverrà nel prossimo futuro; e non si tratta di complottismo spicciolo, ma di una presa di coscienza basata sulla lettura degli eventi attuali. Prima di parlare di cosa stia succedendo a livello propagandistico e pubblico in tema di pedofilia, occorre ripercorrere le origini di un movimento ben definito, organizzato e diffuso capillarmente in tutto l’Occidente, che ambisce a normalizzare le relazioni sessuali tra adulti e minori, nel nome della libertà di scelta e di un presunto diritto dei bambini ad amare. I movimenti per la legalizzazione della pedofilia sorgono nel contesto della rivoluzione controculturale sessantottina che dilagò nei paesi occidentali fra gli anni ’60 e ’70, simultaneamente e nell’alveo delle lotte di liberazione femministe e omosessuali.I più grandi ideologi e pensatori della rivoluzione sessuale scoppiata nell’epoca della grande contestazione sono stati anche degli strenui sostenitori della caduta degli ultimi tabù sessuali, come incesto e pedofilia, ritenuti dei lasciti dell’eteronormatività fallocentrica e patriarcale: Jacques Derrida, il coniatore del termine fallocentrismo, Michael Warner, colui che ha popolarizzato il concetto di eteronormatività, Jack Halberstam, autore prolifico sulle identità di genere e sulla mascolinità tossica, e in generale i maggiori esponenti del postmodernismo francese come Michel Foucault, Guy Hocquenghem, Jean Danet, Françoise Dolto, e la controversa coppia Simone de Beauvior-Jean Paul Sartre. Nel 1977 i capofila della critica esistenzialista e del postmodernismo francesi, tra i quali Foucault, Derrida, de Beauvior, Sartre, Gilles Deleuze e Louis Althusser, inviarono una petizione al Parlamento per chiedere l’abolizione dell’età del consenso e la depenalizzazione di ogni rapporto sessuale consenziente tra adulti e minori di 15 anni. Foucault, inoltre, infervorò il dibattito pubblico intervenendo insieme a Hocquenghem nel programma “Dialogue” dell’emittente radiofonica “France Culture”, spiegando le ragioni del suo sostegno alla causa pedofila.Contemporaneamente a Londra fu fondato il Paedophile Information Exchange da Michael Manson, un piccolo gruppo pro-pedofilia dipendente dall’Outright Scotland, una delle più grandi e longeve sigle presenti nella galassia lgbt britannica. Sebbene numericamente esiguo e ufficialmente isolato dalle maggiori organizzazioni omosessuali, il Pie riuscì a trasformare in un dibattito nazionale l’abolizione dell’età del consenso e curò la pubblicazione di un proprio periodico, “Understanding Paedophilia”, riuscendo ad ottenere finanziamenti pubblici per circa 70 mila sterline dall’Home Office (secondo una recente inchiesta del “Daily Mirror”) e ad ottenere l’affiliazione al National Council for Civil Liberties, oggi noto semplicemente come Liberty, una delle più importanti organizzazioni per i diritti civili e umani presenti in Inghilterra. Nello stesso periodo, negli Stati Uniti, David Thorstad, ex troskista poi divenuto il più importante attivista pro-pedofilia della storia occidentale recente, fonda la North American Man/Boy Love Association (Nambla), il più grande ed influente gruppo di pressione attivo nell’abolizione dell’età del consenso e nella promozione delle relazioni sessuali tra adulti e minori.Le posizioni estremiste della Nambla hanno causato la sua scomunica dall’International Lesbian and Gay Association nel 1994, a seguito di una controversia giunta in sede di Nazioni Unite, e nonostante le numerose inchieste federali e gli scandali sessuali che hanno coinvolto diversi membri, non è mai stata sciolta dalla giustizia statunitense. La Nambla ha avuto il merito di realizzare contatti con le principali sigle della galassia pro-pedofilia, riuscendo nell’obiettivo di trasformare l’International Pedophile and Child Emancipation in una vera e propria internazionale della pedofilia, composta da più di 80 fra organizzazioni e partiti politici di Canada, Stati Uniti ed Europa occidentale. La situazione organizzativa e associativa dei movimenti pro-pedofilia in Europa occidentale è comparabile a quella statunitense, sebbene il dibattito sia meno acceso per via del minore spazio garantito dai grandi media a questa ala estrema della più vasta galassia Lgbt. La Germania è il paese europeo con più organizzazioni pro-pedofilia del Vecchio Continente, oltre 15, e ha ospitato fra gli anni ’70 e ’90 un dibattito politico molto serio inerente l’abolizione dell’età del consenso, la depenalizzazione dei rapporti tra adulti e minori e la decriminalizzazione sociale della pedofilia, che ha coinvolto anche attori politici di spessore come il partito dei Verdi, e vanta una triste, quanto sconosciuta, storia di esperimenti sociali miranti a capire gli effetti dei rapporti pedofili sulla psiche degli adolescenti.Negli anni ’70 il dipartimento di sociologia dell’università di Hannover guidò una serie di ricerche sotto l’egida del professore Helmut Kentler, luminare noto nell’ambiente accademico nazionale per le sue innovative idee di ingegneria sociale. Il programma di Kentler prevedeva l’affidamento di adolescenti senzatetto o senza famiglia con problemi comportamentali, di tossicodipendenza o di alcolismo, presso pedofili noti, ossia con precedenti penali per abusi su minori o segnalati alle autorità, con il duplice obiettivo di fornire alle cavie una figura genitoriale e ai pedofili una possibilità di trasformarsi in modelli comportamentali positivi. Il programma fu finanziato con fondi pubblici e fu scoperto soltanto alla morte di Kentler avvenuta nel 2008. La giustizia tedesca non è stata capace di appurare il numero di giovani tedeschi, soprattutto berlinesi, affidati a pedofili come parte del cosiddetto esperimento Kentler, sebbene le indagini abbiano concluso possano essere stati più di mille.I Paesi Bassi hanno ospitato le attività dell’organizzazione Vereniging Martijn e del partito politico Carità, Libertà e Diversità, impegnati nella revisione dell’età del consenso, nell’inserimento della pedofilia tra i temi affrontati dall’educazione sessuale nelle scuole, e nella depenalizzazione della pedopornografia. Sebbene questi due movimenti siano stati dissolti dalla giustizia olandese, anche per via dei crimini sessuali che hanno visti coinvolti i loro membri, il contesto intellettuale nel quale sono sorti, ossia la Società Olandese per la Riforma Sessuale, è ancora in fermento e continua a propagandare la normalizzazione di ogni perversione sessuale, dalla pedofilia alla zoofilia. Il dibattito pubblico e accademico sulla pedofilia nei Paesi Bassi inizia nell’immediato secondo dopoguerra con la fondazione dell’Enclave Kring, il primo movimento pro-pedofilia del mondo, da parte dell’eminente psicologo e attivista omosessuale Frits Bernard.Bernard sfruttò la sua notorietà per tentare di sdoganare questo tabù, portando la sua battaglia anche nel vicino mondo omosessuale, in quanto collaboratore del Coc, la più longeva organizzazione per i diritti omosessuali del mondo. Il movimento pro-pedofilia nazionale riuscì a riscuotere ulteriore visibilità tra gli anni ’50 e ’80 per via dell’intenso attivismo di Edward Brongersma, senatore appartenente al Partito del Lavoro poi convertitosi in un prolifico autore di opere sulla sessualità infantile e sui rapporti adulto-bambino. Brongersma lottò durante la sua intera carriera politica per revisionare l’età del consenso e sdoganare la pedofilia, dando vita ad una fondazione avente il suo nome con l’obiettivo di realizzare i suoi progetti politici in tema di sessualità. Coerentemente con il suo credo anticattolico e progressista, nel 1998 decise di porre fine alla sua esistenza tramite eutanasia volontaria.La pedofilia, intesa come rapporto sessuale consenziente tra adulti e bambini, gode quindi di un supporto ideologico e di una rete organizzativa molto più vaste di quanto si creda comunamente e la lotta per il suo sdoganamento sarà un importantissimo terreno di scontro della guerra culturale tra le forze tradizionaliste-conservatrici e progressiste-liberali d’Occidente. Attingendo dalle principali teorie sulla costruzione del consenso e sul condizionamento delle opinioni e del comportamento è facile capire in che modo i tabù vengono normalizzati e i loro detrattori accusati di oscurantismo e retrogradezza: il sociologo Joseph Overton, il teorico della Finestra di Overton, ha illustrato quanto sia semplice trasformare un’idea impensabile o radicale in una diffusa e legalizzata attraverso un processo di accettazione e razionalizzazione, la Scuola di Francoforte ha illustrato il potere persuasivo dei grandi media sugli spettatori attraverso le teorie della spirale del silenzio, dell’agenda setting o del falso consenso.I grandi media anglofoni, come il “The Telegraph”, il “The Independent”, la “Bbc”, la “Cnn” o il “New York Times”, producono periodicamente degli approfondimenti pro-pedofilia, da titoli accattivanti come “We Have Met the Pedophiles and They Are Us”, “Pedophilia: A Disorder, Not a Crime”, “Paedophilia is natural and normal”, “Paedophilia a sexual orientation – like being straight or gay”, dando voce ad accademici, politici, opinionisti ed intellettuali che attraverso discutibili presentazioni basate sul disconoscimento delle conseguenze, sul ridimensionamento, sul giustificazionismo morale, o sull’idea del progresso, tentano di aprire un dibattito pubblico su questo tabù. Negli ultimi anni Ted, l’internazionale delle conferenze sulle società del futuro, finanziata tra gli altri dalla famiglia Clinton, da Bill Gates, da Jimmy Wales e da Google, ha organizzato diversi eventi sul tema della pedofilia, della sessualità contemporanea e delle questioni di genere. Il 5 maggio 2018 nell’ambito di un convegno all’università di Würzburg, l’intervento di Mirjam Heine intitolato “Why our perception on pedophilia must change: pedophilia is a natural sexual orientation”, registrato e pubblicato su YouTube, ha avuto una eco mediatica globale e attirato forti critiche verso gli organizzatori.Negli Stati Uniti il dibattito sulla pedofilia è tornato in auge con l’affermazione della cosiddetta “alt-right”, alimentato da personaggi pubblici come Milo Yiannopoulos e Nathan Larson, mentre nel resto del mondo occidentale proliferano le partecipazioni delle sigle pro-pedofilia ai gay pride, dopo un ventennio di damnatio memoriae, assume sempre più importanza il 25 aprile, la data scelta annualmente per celebrare l’Alice Day, ossia la giornata dell’orgoglio pedofilo, e dei bambini come Desmond Napoles o Nemis Quinn, sono diventati dei giovanissimi drag queen ed icone culturali idolatrate dalla comunità gay occidentale, dai media e dall’establishment dello spettacolo. L’insieme di questi accadimenti lascia supporre che la guerra culturale per l’accettazione della pedofilia sia molto viva ed intensa e ben lontana dal finire. La costruzione dell’Occidente del futuro passerà anche da questo: dal rendere socialmente accettabile la perversa convinzione che anche i bambini abbiano il diritto a sperimentare la sessualità, meglio se con adulto, e che in un mondo ruotante attorno al sesso, alla concupiscenza edonistica e al soddisfacimento di ogni desiderio secondo una visione distopica huxleyana non ci sia nulla di sbagliato nell’educare i fanciulli alla normalità della pedofilia.(Emanuel Pietrobon, “Guerra all’ultimo tabù”, da “L’intellettuale dissidente” del 19 agosto 2018).La pedofilia è l’ultimo grande tabù della civiltà occidentale: orientamento sessuale innato per alcuni, perversione immorale e criminale da punire duramente con il carcere per altri, o ancora una malattia mentale da curare. È necessario discutere oggi di pedofilia, perché il suo sdoganamento – con conseguente legalizzazione e decriminalizzazione sociale – con molta probabilità avverrà nel prossimo futuro; e non si tratta di complottismo spicciolo, ma di una presa di coscienza basata sulla lettura degli eventi attuali. Prima di parlare di cosa stia succedendo a livello propagandistico e pubblico in tema di pedofilia, occorre ripercorrere le origini di un movimento ben definito, organizzato e diffuso capillarmente in tutto l’Occidente, che ambisce a normalizzare le relazioni sessuali tra adulti e minori, nel nome della libertà di scelta e di un presunto diritto dei bambini ad amare. I movimenti per la legalizzazione della pedofilia sorgono nel contesto della rivoluzione controculturale sessantottina che dilagò nei paesi occidentali fra gli anni ’60 e ’70, simultaneamente e nell’alveo delle lotte di liberazione femministe e omosessuali.
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5 Stelle (e strisce), come la Lega: oggi Grillo, ieri Bossi
Ogni fase politica della Repubblica italiana è stata scandita da un partito “di protesta”, funzionale agli interessi dell’establishment atlantico: si comincia con L’Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini per terminare col Movimento 5 Stelle di Gianroberto Casaleggio, passando per il Partito Radicale di Marco Pannella e la Lega Nord di Umberto Bossi. Fino alla recente svolta nazionalista, filorussa e anti-euro, il Carroccio è infatti stato uno dei tanti prodotti di Washington e Londra, schierato su posizioni “thatcheriane” ed europeiste. E’ la tesi di Federico Dezzani, analista geopolitico, impegnato in una ricostruzione “non convenzionale” della storia recente del nostro paese. Nei primi anni ‘90, ricorda, la Lega Nord avrebbe dovuto essere lo strumento per attuare un ambizioso disegno geopolitico: la frantumazione dello Stato unitario e la nascita di una confederazione di tre “macroregioni”, così da cancellare l’Italia come attore del Mar Mediterraneo. Questo, secondo Dezzani, il vero ruolo della Lega Nord durante Tangentopoli, a cominciare dalla figura, allora determinante, del suo ideologo, il professor Gianfranco Miglio.«Non si muove foglia che Washington non voglia: anche in Padania». In politica, sostiene Dezzani nel suo blog, ogni segmento della domanda deve essere coperto, come in ogni altro settore di mercato: l’offerta deve essere costantemente rinnovata e nuovi prodotti possono essere lanciati grazie a un’adeguata campagna pubblicitaria. Basta considerare i partiti alla stregua di ogni altro prodotto di consumo. «L’abilità di chi tira i fili della democrazia consiste nel rifornire gli scaffali dalla politica dei partiti giusti, al momento giusto: ad ogni tornata elettorale, i votanti acquisteranno i loro prodotti preferiti, con grande soddisfazione di chi controlla il grande supermercato della democrazia». Negli ultimi anni, va crescendo la “specialità” dei partiti di protesta. Ma la loro origine non è recente, ricorda Dezzani: «Risale agli albori della Repubblica Italiana, quando Washington e Londra foggiarono per l’Italia una singolare democrazia, dove la seconda forza politica del paese, il Pci, era esclusa “de iure” dal governo», ovviamente per ragioni geopolitiche (la sua contiguità con l’Urss, avversaria della Nato).«Per ovviare a questo opprimente immobilismo, che un po’ stona con le logiche del mercato», in 70 anni sono state immesse diverse sigle per intercettare il malcontento dell’elettorato e la domanda di cambiamento: «Si comincia, prima delle elezioni del 1948, con l’Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini e si termina oggi con il Movimento 5 Stelle di Davide Casaleggio». Annota Dezzani: «Sia Giannini che Casaleggio sono, incidentalmente, inglesi da parte materna». Tra i due estremi, l’analista annovera anche il Partito Radicale di Marco Pannella, «che prestò non pochi servigi all’establishment atlantico: la campagna per le dimissioni del presidente Giovanni Leone, quella per l’aborto e il divorzio, i referendum del 1993 contro “la partitocrazia” e “lo Stato-Padrone”». E poi c’è anche il caso della Lega Nord, nata e cresciuta nei travagliati primi anni ‘90, nutrendosi dei voti in uscita dal Psi e soprattutto dalla Dc. Ma come? Anche il folkloristico Carroccio, i raduni di Pontida, il “dio Po” e il leggendario Alberto da Giussano, sarebbero un prodotto dell’establishment atlantico? Ebbene sì, scrive Dezzani: «È una verità che probabilmente spiazzerà molti leghisti della prima ora», ma è indispensabile per capire, ad esempio, «perché Umberto Bossi, padre-padrone della primigenia Lega Nord, contesti la recente svolta nazionalista, anti-euro e filorussa di Matteo Salvini».Salvini appare deciso a trasformare (con esiti incerti) il Carroccio nella versione italiana del Front National? Non a caso, il redivivo Bossi oggi gli si oppone, chiedendo un congresso. «Bruxelles è sempre stata ed è tuttora il faro di Umberto Bossi, sebbene il suo obiettivo fosse agganciarsi all’Unione Europea non attraverso l’Italia, ma tramite la “Padania”, in ossequio a quella “Europa della macroregioni” tanto cara all’establishment atlantico», sostiene Dezzani. Il progetto: «Smembrare gli Stati nazionali per sostituirli, al vertice, con un governo sovranazionale e, alla base, con una costellazione di cantoni, regioni e feudi: l’oligarchia libera di comandare indisturbata su 500 milioni di persone ed i paesani appagati delle loro effimere autonomie». La storia della Lega Nord, continua l’analista, è indissolubilmente legata al crollo del Pentapartito. Cioè alle manovre, iniziate con la firma del Trattato di Maastricht, per traghettare l’Italia verso la nascente Unione Europea a qualsiasi costo: vergognose privatizzazioni, saccheggi del risparmio privato, attentati terroristici e giustizialismo spiccio. «Studiare l’origine della Lega Nord significa quindi completare l’analisi dell’infamante biennio 1992-1993 che travolse la Prima Repubblica e forgiò la Seconda, dove Umberto Bossi ha giocato un ruolo di primo piano».La Lega Nord nasce ufficialmente nel febbraio del 1991, come federazione della Lega Lombarda, della Liga Veneta, di Piemont Autonomista e dell’Union Ligure: «Chi volesse indagare sul periodo proto-leghista, scoprirebbe quasi certamente che anche questi movimenti autonomisti nascono nel medesimo humus massonico-atlantista da cui germoglierà poi il Carroccio». La Liga Veneta, quella più radicata e “antica”, compie i primi passi presso l’istituto privato linguistico Bertrand Russell di Padova, dove nel 1978 è istituito un corso di storia, lingua e civiltà veneta. «Chi volesse scavare più indietro ancora – ipotizza Dezzani – potrebbe riallacciarsi alla lunga serie di attentati destabilizzanti, di matrice autonomista e secessionista, che colpiscono tra gli anni ‘50 e ‘60 il Nord-Est dove, è bene ricordarlo, la concentrazione delle forze armante angloamericane è più alta che in qualsiasi altra parte dell’Italia continentale», come nel caso della caserma Ederle di Vicenza e della base di Aviano, fuori Udine. «L’idea di superare le leghe su base “etnica” e di federarle in un’unica Lega allargata all’intero Nord, ribattezzato all’occorrenza come “Padania”, è comunque ufficialmente attribuita ad Umberto Bossi». Ma il “senatur” ne è stato l’unico padre o è stato “aiutato” da una regia più ampia, «sofisticata e altolocata», come quella che starebbe dietro ai 5 Stelle?«Diversi elementi fanno propendere per la seconda ipotesi», continua Dezzani, «declassando Umberto Bossi al ruolo di capo carismatico di facciata, di semplice tribuno e di arringatore: la stessa funzione, per intendersi, svolta da Beppe Grillo nel M5S». Siamo infatti nel febbraio 1991, il Muro di Berlino è crollato da due anni e l’Unione Sovietica collasserà entro pochi mesi: «L’oligarchia atlantica ha già stilato i suoi piani per il “Nuovo Ordine Mondiale” che, calati nella realtà italiana, significano l’abbattimento della Prima Repubblica, l’archiviazione della Dc e del Psi, lo smantellamento dell’economia mista e, se possibile, anche un nuovo assetto geopolitico per la penisola», da attuare attraverso i movimenti indipendentisti. Segnale importante: «L’accoglienza che la grande stampa anglosassone riserva al neonato Carroccio, simile a quella che il Movimento 5 Stelle riceverà a distanza di 15 anni, non lascia adito a dubbi circa l’interessamento che Londra e Washington nutrono per la neonata formazione nordista: il 4 ottobre 1991 il “Wall Street Journal” definisce la formazione di Umberto Bossi come “il più influente agente di cambiamento della scena politica italiana”».Poco dopo, nel gennaio 1992, il settimanale statunitense “Time” definisce Bossi come il leader più popolare e temuto della politica italiana. E il 28 marzo, il settimanale inglese “The Economist”, megafono della City, accomuna la Lega Nord al Partito Repubblicano di Ugo La Malfa, definendolo come «l’unico fattore di rinnovamento nel decadente panorama politico italiano». Sono le stesse settimane in cui Mario Chiesa, esponente socialista e presidente del Pio Albergo Trivulzio, è arrestato a Milano per aver intascato una bustarella: è il primo atto di quell’inchiesta giudiziaria, Mani Pulite, destinata a travolgere il Pentapartito e la Prima Repubblica. «Non c’è dubbio che la Lega Nord debba “completare”, nei piani angloamericani, l’inchiesta di Tangentopoli», sostiene Dezzani: «Il pool di Mani Pulite è incaricato di smantellare la Dc ed il Psi, mentre il Carroccio ha lo scopo di intercettare i voti in fuga dai vecchi partiti prossimi al collasso». E il trait d’union tra il palazzo di giustizia milanese e la Lega Nord, sempre secondo Dezzani, è fisicamente incarnato dal console americano Peter Semler, cioè il funzionario statunitense che, alla fine del 1991, un paio di mesi prima dell’arresto di Mario Chiesa, “incontra” Antonio Di Pietro nei suoi uffici per discutere delle imminenti inchieste giudiziarie. E’ lo stesso funzionario che, «quasi contemporaneamente, “incontra” i dirigenti della Lega Nord».In una recente intervista a “La Stampa”, Semler ammette di aver pranzato con due dirigenti leghisti il 1° gennaio 1992: «Quello che mi colpì di più era un ex poliziotto, ex militare. Giocammo al golf club di Milano e mi dissero: “Cambierà tutto”». Rileva Dezzani: «C’è da scommettere che non siano stati i due leader della Lega Nord ad avvertire il console americano che tutto sarebbe cambiato, bensì l’opposto». Il Carroccio, infatti, all’epoca «è parte integrante della manovra angloamericana per smantellare il Psi e la Dc», con la sua corrosiva e talvolta violenta retorica contro la partitocrazia della Prima Repubblica, lo Stato clientelare ed assistenzialista (indimenticabile il cappio sventolato nel 1993 a Montecitorio, per “appendervi” i politici corrotti). Ma perché mai, continua Dezzani, l’attacco è sferrato “su base regionale”, attraverso una formazione che inneggia alla Padania onesta e laboriosa, contro la Roma corrotta e la ladrona, sede di “un Parlamento infetto”? Ovvero: perché la stessa funzione non è assolta da un partito di protesta “nazionale”, come è oggi il Movimento 5 Stelle?«Compito della Lega Nord – riprende Dezzani, parlano al presente storico – è anche quello di attuare il piano geopolitico che l’establishment atlantico ha in serbo per l’Italia in questa drammatica fase della vita nazionale: passare dall’Italia unita all’unione, o confederazione, di tre macroregioni», ovvero la Repubblica del Nord (o Padania), una repubblica del Centro e una del Sud: «E’ il periodo, infatti, delle “stragi mafiose” e Cosa Nostra ed il Carroccio sembrano lavorare all’unisono (d’altronde, la regia a monte è comune) per ritagliarsi ognuno il proprio feudo, cannibalizzando lo Stato nazionale». Da qui, Dezzani mette in luce l’entrata in scena di una figura-chiave del leghismo delle origini, il personaggio politico che avrebbe dovuto essere “la mente” del processo di secessione della Repubblica dal Nord: Gianfranco Miglio, classe 1918 (scomparso poi nel 2001). Allievo del filosofo liberale Alessandro Passerin d’Entrèves (a lungo docente all’Università di Oxford e quella di Yale) e del giurista Giorgio Balladore Pallieri (primo giudice italiano alla Corte europea dei diritti dell’uomo).Docente all’Università Cattolica di Milano, teorizzatore del decisionismo, studioso del federalismo e ascoltato consulente in materia di riforme costituzionali, vero e proprio “giacobino di destra”, Gianfranco Miglio è un intellettuale molto gettonato dai politici e dagli alti manager della Prima Repubblica in cerca di consigli. Miglio comincia coll’assistere l’uomo più potente d’Italia, Eugenio Cefis: presidente dell’Eni dal 1967, dopo la morte di Enrico Mattei, fino al 1971, e poi numero uno della Montedison dal 1971 al 1977. Secondo Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, uscito nel 2016, Cefis è stato il capo della Loggia P1, vero dominus delle strategie coperte per la manipolazione occulta dell’Italia. Carpeoro la chiama “sovragestione”: un intreccio di poteri fortissimi eterodiretti dagli Usa, reti massoniche e servizi segreti deviati. Un livello di potere assai più alto e protetto di quello rappresentato dalla P2 di Gelli, che infatti all’occorrenza fu sacrificato sull’altare dell’opinione pubblica, a differenza del potentissimo Cefis, che è anche l’uomo-ombra di “Petrolio”, il romanzo incompiuto sulla fine di Mattei che forse è costato la vita a Pasolini. Tornando alla ricostruzione di Dezzani sulle mosse di Miglio: dopo aver collaborato con Cefis, l’ideologo della Padania ha fatto anche da consulente al primo ministro Bettino Craxi.Nei tumultuosi anni che seguono la caduta del Muro di Berlino – scrive Dezzani – il professor Miglio compie una spettacolare e singolare metamorfosi: nel giugno del 1989, constata la precarietà delle finanze pubbliche e del panorama politico italiani, suggerisce nientemeno che «sospendere le prove elettorali per un certo periodo, dar vita a un lungo Parlamento, bloccare il ricambio parlamentare, che so, per 8-10 anni», affidando quindi poteri speciali al Pentapartito per fronteggiare le emergenze. Dopo nemmeno due anni, Miglio è invece diventato “l’ideologo” della costituenda Lega Nord, nonché il più severo e spietato censore della partitocrazia, dello Stato parassitario e della deriva mafiosa del Meridione: «E’ difficile spiegare questo repentino cambiamento e il suo “affiancamento” a Umberto Bossi, se non come un’operazione studiata a tavolino, concepita da quegli “ambienti liberali ed anglofoni” che Miglio frequenta sin dalla gioventù».Gianfranco Miglio, annota Dezzani, è l’architetto di quelle riforme costituzionali che dovrebbero scardinare l’assetto geopolitico dell’Italia, servendosi della Lega Nord e di Umberto Bossi come semplici grimaldelli. Esisterebbero, secondo il professore, due Italie: una europea, da agganciare alla nascente Unione Europea, e una mediterranea, da abbandonare alla deriva verso il Levante e il Nord Africa. Lo Stato unitario ha fatto il suo tempo e sulle sue macerie bisogna edificare uno Stato federale, o meglio ancora confederale, costruito da tre entità separate: una Repubblica del Nord, una del Centro e una del Sud. Al governo centrale della neo-costituita Unione Italiana, spetterebbero soltanto la difesa e parte della politica estera. «Il disegno sottostante alle ricette di Miglio è chiaro: sfruttare l’inchiesta di Tangentopoli che sta sconquassando la politica, il crollo del Pentapartito, la strategia della tensione e l’emergenza finanziaria, per cancellare l’Italia unitaria come soggetto geopolitico. Un’Italia che, con Enrico Mattei, Aldo Moro e le politiche filo-arabe di Bettino Craxi e Giulio Andreotti, ha dimostrato di poter infastidire gli angloamericani nello strategico bacino mediterraneo».Le elezioni politiche del 5 aprile 1992 vedono la Lega Nord raccogliere una discreta percentuale dei voti in uscita dalla Dc e dal Psi: in Lombardia il Carroccio raccoglie il 23% delle preferenze, ad un solo punto dai democristiani, ma si ferma all’8,65% a scala nazionale, mentre le varie leghe del Sud non decollano. «Non è andata così bene, dovevamo essere determinanti», ammette Bossi, ben sapendo che la secessione del Nord dal resto d’Italia implicherebbe una forza elettorale che la Lega dimostra di non avere. Bottino elettorale: 55 deputati e 25 senatori. Sono abbastanza, «per portare a compimento la demolizione della Prima Repubblica e il rapido smantellamento dell’economia mista, come auspicato dai croceristi del Britannia». Ecco il punto, per Dezzani: «Non c’è una singola mossa del Carroccio, infatti, che si discosti dall’agenda che l’establishment atlantico ha in serbo per l’Italia: la Lega è decisiva per bloccare l’elezione di Giulio Andreotti al Quirinale, si schiera contro l’ipotesi di una presidenza del Consiglio affidata a Bettino Craxi, è favorevole ad un aggressivo piano di privatizzazioni».«Gli economisti di Bossi credono nella Thatcher», titola la “Repubblica”, riportando che la Lega vuole «privatizzare tutte le imprese di Stato, dall’Iri all’Eni, all’Efim. Senza risparmiare le banche pubbliche come Bnl, Comit, Credito italiano, San Paolo di Torino. Largo ai privati anche per le Ferrovie, l’Enel e le Poste». La Lega di Bossi, aggiunge Dezzani, è fautrice di un “liberismo spinto” contrapposto allo Stato-padrone, definito ovviamente come «parassitario, bizantino, romano-centrico, corrotto, ladrone». Non solo, il Carroccio «gioca di sponda con le “menti raffinatissime” che stanno attuando una spietata strategia di destabilizzazione per meglio saccheggiare i risparmi degli italiani e l’industria pubblica: mentre i servizi segreti “deviati” piazzano bombe in tutt’Italia e gli squali dell’alta finanza si accaniscono sui Btp, la Lega Nord getta altra benzina sul fuoco, incitando allo sciopero fiscale, sconsigliando di comprare i titoli di Stato, evocando la separazione del Sud mafioso dal resto dell’Italia, gridando all’imminente secessione della Padania».«Ma se la casa crolla, il Nord deve andarsene», è un sintomatico titolo della “Repubblica” del 31 dicembre 1992. Nell’articolo, il professor Miglio dipinge un futuro a tinte fosche per l’Italia. E pronostica un imminente, drammatico peggioramento della situazione economica, anticamera della secessione della Repubblica del Nord: «Se si arrivasse a non riuscire a controllare più niente, se non si riuscisse più ad avere i servizi, se la sicurezza e le garanzie crollassero, è evidente che ciascuno penserebbe a se stesso. Probabilmente anche il Sud se ne andrebbe per conto suo». Bingo: per Dezzani, «le parole dell’ideologo del Carroccio sono musica per chi, a Washington e Londra, lavora per tenere l’Italia in costante fibrillazione». Poco dopo, nel 1993, l’inchiesta di Mani Pulite ha sortito gli effetti sperati: Dc e Psi, che l’analista definisce «i vincitori morali della Guerra Fredda», sono stati spazzati via dal pool di Milano. «L’unico grande partito risparmiato dalle inchieste giudiziarie è stato il Pci, riverniciato ora come Pds, cui gli angloamericani contano di affidare il governo facendo affidamento sulla sua ricattabilità», dato che «nella Russia allo sfascio si comprano gli archivi del Kgb a prezzo di saldo».Se dalle successive elezioni uscisse un Nord saldamente in mano al Carroccio e un Centro-Sud in mano alla sinistra, «si concretizzerebbe lo scenario di una secessione “de facto” della Padania dal resto dell’Italia». Per la Lega Nord non che resta, a questo punto, che «ricevere la benedizione “ufficiale” da parte dell’establishment atlantico, dopo lunghi rapporti reconditi ed opachi». Così, il 18 ottobre 1993 una delegazione del Carroccio si reca in visita al quartier generale della Nato a Bruxelles. E il 23 ottobre è la volta degli Stati Uniti: una prima tappa a New York, per incontrare il milieu dell’alta finanza e di Wall Street, e una seconda tappa a Washington, dove sono in programma pranzi di lavoro con deputati e senatori repubblicani ed esponenti della National Italian American Foundation. Ma ecco che accade qualcosa di inatteso: «La “discesa in campo” di Silvio Berlusconi, annunciata nell’autunno del 1993, è un evento non previsto dall’establishment atlantico», che secondo Dezzani puntava sulla bipartizione Lega (Nord) e sinistra (Centro-Sud). In più, il Cavaliere vince: «La neonata Forza Italia si impone alle elezioni politiche del 27-28 marzo 1994, drenando buona parte dei voti in uscita dal Psi e dalla Dc e imponendosi come primo partito del Nord Italia».La Lega, ferma all’8% delle preferenze su scala nazionale, dimostra ancora di non avere una forza sufficiente per strappare la secessione della Padania e attuare gli ambiziosi cambiamenti costituzionali sognati da Gianfranco Miglio. Forte di 122 deputati e 59 senatori, il Carroccio dispone però di un manipolo di parlamentari sufficienti per staccare la spina al primo governo Berlusconi, di cui è entrata a far parte nella cornice del Popolo della Libertà. Per Dezzani, riemerge quindi la vera natura della Lega Nord «come strumento politico nelle mani di Londra e Washington». E quando Berlusconi, durante la conferenza mondiale dell’Onu contro la criminalità organizzata, riceve un invito a comparire dal pool di Milano, Umberto Bossi «completa l’operazione per disarcionare il Cavaliere, togliendogli la fiducia e avvallando il “ribaltone” che insedia l’ex-Bankitalia Lamberto Dini a Palazzo Chigi». Si marcia così rapidamente verso nuove elezioni, e «ancora una volta il Carroccio agisce in perfetta sintonia con l’establishment atlantico: scegliendo di correre da solo e di non rinnovare l’alleanza col Popolo della Libertà, spiana la strada ai governi di Romano Prodi e Massimo D’Alema: seguirà “il contributo straordinario per l’Europa”, la scandalosa privatizzazione della Telecom, “la marchant bank” di Palazzo Chigi, la liquidazione finale dell’Iri, il vergognoso cambio di 2.000 lire per ogni nuovo euro, l’avvallo alle operazioni militari della Nato contro la Serbia».E così, mentre «quel che rimane dell’economia mista è smantellato a prezzi di saldo e i risparmi degli italiani sono immolati sull’altare della moneta unica», Umberto Bossi continua a blaterare di secessione, di camice verdi, di milizie armate del Nord, di rivolta fiscale. Dezzani lo definisce «utile idiota manovrato dall’oligarchia atlantica». La Lega tornerà al governo solo dopo le elezioni del 2001, quando i giochi “europei” saranno ormai fatti. Morale: «Le vicende della Lega Nord, di Gianfranco Miglio e di Umberto Bossi sono legate a doppio filo alla nascita Seconda Repubblica, alla perdita di qualsiasi sovranità nazionale e all’avvento della moneta unica». Secondo Dezzani, il Senatùr ne è perfettamente cosciente. Intervistato recentemente dal “Corriere della Sera”, dichiara: «Se venisse giù l’euro, verrebbe giù tutto, una situazione che nessuno saprebbe gestire. Tra l’altro, pagheremmo di più le materie prime, cosa che per un paese di trasformazione come l’Italia sarebbe un disastro. Berlusconi parla di doppia moneta, il che è una presa per il culo. Ma non è che Berlusconi non sia in grado di capire le cose». Per Dezzani, «sono le ultime battute dell’ennesima “stampella del potere”», sia pure in camicia verde.Ogni fase politica della Repubblica italiana è stata scandita da un partito “di protesta”, funzionale agli interessi dell’establishment atlantico: si comincia con L’Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini per terminare col Movimento 5 Stelle di Gianroberto Casaleggio, passando per il Partito Radicale di Marco Pannella e la Lega Nord di Umberto Bossi. Fino alla recente svolta nazionalista, filorussa e anti-euro, il Carroccio è infatti stato uno dei tanti prodotti di Washington e Londra, schierato su posizioni “thatcheriane” ed europeiste. E’ la tesi di Federico Dezzani, analista geopolitico, impegnato in una ricostruzione “non convenzionale” della storia recente del nostro paese. Nei primi anni ‘90, ricorda, la Lega Nord avrebbe dovuto essere lo strumento per attuare un ambizioso disegno geopolitico: la frantumazione dello Stato unitario e la nascita di una confederazione di tre “macroregioni”, così da cancellare l’Italia come attore del Mar Mediterraneo. Questo, secondo Dezzani, il vero ruolo della Lega Nord durante Tangentopoli, a cominciare dalla figura, allora determinante, del suo ideologo, il professor Gianfranco Miglio.
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Caso Regeni, colpire l’Italia: l’Eni, ma anche Hacking Team
«Quella dell’Hacking Team è l’ennesima prova avuta in questi dodici mesi che l’omicidio Regeni non è la storia di un brutale interrogatorio della polizia finito in tragedia, ma un vero e proprio attacco all’Italia e al sistema-paese, condotto con efficienza americana e puntualità inglese». Federico Dezzani, analista geopolitico, mette a fuoco la singolare “sincronicità” fra l’atroce morte del giovane Giulio Regeni e l’ostracismo “atlantico” scattato contro un’assoluta eccellenza italiana, la società Hacking Team, partecipata della Regione Lombardia e un tempo fornitrice anche dell’Fbi. «Nelle settimane successive al ritrovamento del corpo di Regeni – ricorda Dezzani – il fuoco mediatico è diretto contro il “regime egiziano”, il “dittatore Al-Sisi” e i rapporti italo-egiziani, da interrompere tassativamente finché il Cairo non fornirà “la verità” sul caso». Per Dezzani, il povero Regeni (reclutato dall’università di Cambridge in una struttura contigua all’intelligence britannica) fu ucciso su ordine di Londra per sabotare l’asse strategico Roma-Cairo, dopo la scoperta da parte dell’Eni del più grande giacimento mediterraneo di gas nel mare egiziano. Ma, a quanto pare, nell’affare-Regeni andrebbe aggiunta anche l’azienda tecnologica milanese, colpita anch’essa per punire l’Italia.Il nome quell’azienda rimbalza spesso sulla stampa in quei giorni bollenti, a fianco dell’Eni, ricorda Dezzani nel suo blog: si tratta di Hacking Team, una piccola società informatica milanese. «Tra i clienti di Hacking Team c’era anche l’Egitto», scrive il “Corriere della Sera” il 9 febbraio 2016. «Amnesty: basta con l’hacking di Stato, denunciamolo», attacca a ruota la “Repubblica” citando la società. «L’ombra di Hacking Team sull’omicidio Regeni», insiste “La Stampa”. All’interno di quest’ultimo articolo, si legge: «Le tensioni con l’Egitto per l’uccisione di Giulio Regeni hanno lambito anche Hacking Team, l’azienda italiana che vende software di intrusione e sorveglianza a numerosi governi. Il 31 marzo infatti il ministero dello sviluppo economico (Mise) ha revocato con decorrenza immediata l’autorizzazione globale per l’esportazione che era stata concessa alla società milanese, dallo stesso Mise, circa un anno fa». La ragione del ripensamento? «Lo scontro (per alcuni troppo debole da parte italiana) tra il nostro paese e l’Egitto sul caso Regeni». L’Egitto sarebbe stato infatti un cliente di Hacking Team.Software di intrusione e sorveglianza, blocco con decorrenza immediata dell’autorizzazione ad esportare, contesto geopolitico difficile, contatti con l’Egitto nazionalista di Al-Sisi, misteriosi attacchi informatici che riversano in rete la lista dei clienti della società? «Si direbbe che questo piccolo produttore italiano di software, pur fatturando solo 40 milioni di euro rispetto ai 70 miliardi dell’Eni, non sia finito accidentalmente nella bufera Regeni», scrive Federico Dezzani. Secondo l’analista, «gli stessi attori coinvolti nell’operazione per danneggiare i rapporti italo-egiziani», tra i quali Dezzani include «il gruppo “L’Espresso”, Amnesty International, Human Rights Watch», cioè le Ong «dietro cui si nascondono le diplomazie e i servizi segreti angloamericani», avrebbero «sfruttato la morte del giovane friulano per colpire anche una piccola ma scomoda realtà economica». Ma di cosa si occupa esattamente l’Hacking Team? E perché è finita nel mirino dell’establishment atlantico?Nata nel 2003, ricorda Dezzani, l’Hacking Team produce programmi per sorvegliare telefoni e computer, con una peculiarità che la rende pressoché unica a livello mondiale: anziché decifrare i dati criptati, li legge direttamente “in chiaro” sul supporto fisico, introducendo virus sugli apparecchi elettronici. «Partecipata anche dalla Regione Lombardia, l’Hacking Team non è però un nido di pirati informatici: tra i suoi clienti figurano soltanto governi e forze di sicurezza, anche di un certo calibro, se si considera che si annovera anche il Federal Bureau of Investigation». Essendo così ben introdotta negli apparati di sicurezza Nato, l’Hacking Team avrebbe dovuto dormire sonni tranquilli: la situazione, invece, si deteriora mese dopo mese a partire dal 2014, sino a culminare con l’accusa di essere complice del sequestro e l’uccisione di Regeni, con conseguente revoca dell’autorizzazione ad esportare. «Se la società milanese fosse stata “sensibile” agli inequivocabili messaggi che le erano lanciati, avrebbe dovuto da tempo capire di essere finita nei radar dei servizi angloamericani (gli stessi dell’“operazione Regeni”) e avrebbe dovuto notare come l’umore nei suoi confronti stesse velocemente cambiando».Siamo infatti nel febbraio 2014 quando Citizen Lab, un laboratorio interdisciplinare dell’università di Toronto specializzato in sicurezza delle telecomunicazioni e difesa dei diritti umani, accusa la società italiana di aver venduto un sofisticato sistema di monitoraggio di pc e telefoni a decine di paesi. Stati americani (Colombia, Panama e Messico), europei (Ungheria e Polonia), asiatici (Malesia, Thailandia, Corea del Sud). Ma anche a governi “autoritari” come quelli di Azerbaijan, Etiopia, Sudan Kazakhstan, Uzbekistan, Sudan. Nella lista figurano anche paesi “amici” ma non certo democratici come Marocco, Nigeria, Arabia Saudita, Oman, Emirati Arabi Uniti. Più la Turchia, imbarazzante “democratura” Nato, e lo stesso Egitto. «Che uso fanno, questi paesi di dubbia democraticità, dei programmi acquistati?», si domanda il Citizen Lab. Ovvio: li usano per sorvegliare «attivisti e difensori dei diritti umani», ossia lo stesso humus dove sono state coltivate le “rivoluzioni colorate” che hanno sconquassato il Medio Oriente nel 2011. Sono, per inciso, gli stessi ambienti “studiati” anche dai docenti di Cambridge del defunto Giulio Regeni.A distanza di un mese, continua Dezzani, nel marzo 2014 il rapporto canadese è prontamente ripreso da Privacy International, un’organizzazione non governativa inglese ruotante nell’orbita della London School of Economics. Privacy International prende carta e penna e scrive al Parlamento italiano: non solo, dicono gli inglesi, l’Hacking Team viola i diritti umani, ma riceve addirittura fondi pubblici dalla Regione Lombardia. Che lo Stato italiano intervenga subito, per «indagare e prendere provvedimenti per garantire che la sua attività invasiva e offensiva non sia esportata dall’Italia e utilizzata in violazione dei diritti umani». Già in questa fase, come accadrà due anni dopo col caso Regeni, entra in campo il gruppo “L’Espresso”: «Privacy International chiede chiarimenti al governo sull’attività di Hacking Team, una delle più importanti organizzazioni internazionali per la difesa della privacy chiama in causa il governo italiano». Per Dezzani, «è quasi una prova generale dell’attacco che, di lì a due anni, sarà sferrato contro la società milanese, arrivando a revocarle l’autorizzazione ad esportare, sull’onda dell’omicidio Regeni».Ma perché l’Hacking Team, un tempo cliente persino dell’Fbi, è diventata improvvisamente d’intralcio ai servizi angloamericani? Risposta: «E’ una società italiana, e il nostro paese non fa parte della ristretta cricca di spioni anglofoni nota come “Five Eyes”». L’Hacking Team è quindi “un’arma tecnologica” che per gli angloamericani sarebbe meglio inglobare o neutralizzare. Tanto più che «opera in un lucroso mercato dove esistono pochi altri concorrenti (inglesi, americani e israeliani)». E la storia dell’Olivetti, osserva Dezzani, «insegna che le eccellenze tecnologiche in un paese a sovranità limitata, come l’Italia, sono spesso uccise in fasce». Infine, i suoi programmi per la sorveglianza delle telecomunicazioni venduti a “governi autoritari” (Turchia, Nigeria, Uzbekistan, Kazakhstan, Egitto e Malesia) e impiegati per monitorare “dissidenti e attivisti”, di fatto «ostacolano le solite “rivoluzioni colorate” fomentate da George Soros, Mi6 e Cia». Nel 2015, l’assedio attorno ad Hacking Team si stringe: «Nel mese di luglio un attacco informatico in grande stile scardina le difese della società milanese e, svuotatone gli archivi, riversa su Wikileaks (la piattaforma usata dai diversi servizi segreti per lanciarsi fango a vicenda) 400 Gb di dati: clienti, fatture, email», racconta Dezzani.«Wikileaks pubblica un milione di email aziendali rubate ad Hacking Team», scrive “Repubblica”, evidenziando le zone grigie dell’azienda, mentre la stampa inglese attacca ancora più pesantemente: «I documenti – scrive il “Guardian” – dimostrano che l’azienda ha venduto strumenti di spionaggio a regimi repressivi». Il battage della stampa insiste, infatti, sulla natura “autoritaria e repressiva” dei clienti della società milanese: Azerbaijan, Kazakhstan, Uzbekistan, Russia, Bahrein, Arabia Saudita «ed altri “regimi” che gli angloamericani rovescerebbero con piacere». Del caso si occupa anche il “Fatto Quotidiano”, che nell’aprile 2016 titola: «Hacking Team, revocata l’autorizzazione globale all’export del software spia: stop anche per l’Egitto dopo il caso Regeni». Al che, la società milanese vacilla. E per alcune settimane sembra che debba chiudere i battenti: poi, passata la tempesta mediatica, riprende la normale attività. «L’operazione con cui è ucciso Giulio Regeni ha, senza dubbio, come principali obbiettivi l’Eni e la politica estera tra Egitto e Libia, ma il fatto che anche l’Hacking Team fosse un fornitore del Cairo è prontamente sfruttato per revocare alla società l’autorizzazione ad esportare, così da chiuderle i mercati di sbocco, come auspicato da Londra e Washington», sintetizza Dezzani.«Quella dell’Hacking Team è l’ennesima prova avuta in questi dodici mesi che l’omicidio Regeni non è la storia di un brutale interrogatorio della polizia finito in tragedia, ma un vero e proprio attacco all’Italia e al sistema-paese, condotto con efficienza americana e puntualità inglese». Federico Dezzani, analista geopolitico, mette a fuoco la singolare “sincronicità” fra l’atroce morte del giovane Giulio Regeni e l’ostracismo “atlantico” scattato contro un’assoluta eccellenza italiana, la società Hacking Team, partecipata della Regione Lombardia e un tempo fornitrice anche dell’Fbi. «Nelle settimane successive al ritrovamento del corpo di Regeni – ricorda Dezzani – il fuoco mediatico è diretto contro il “regime egiziano”, il “dittatore Al-Sisi” e i rapporti italo-egiziani, da interrompere tassativamente finché il Cairo non fornirà “la verità” sul caso». Per Dezzani, il povero Regeni (reclutato dall’università di Cambridge in una struttura contigua all’intelligence britannica) fu ucciso su ordine di Londra per sabotare l’asse strategico Roma-Cairo, dopo la scoperta da parte dell’Eni del più grande giacimento mediterraneo di gas nel mare egiziano. Ma, a quanto pare, nell’affare-Regeni andrebbe aggiunta anche l’azienda tecnologica milanese, colpita anch’essa per punire l’Italia.
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Dezzani: Bergoglio scelto dal superclan Usa oggi perdente
Ratzinger “deposto” da un complotto gestito dai servizi segreti anglosassoni, con anche la collaborazione di Gianroberto Casaleggio. Obiettivo: insediare in Vaticano l’attuale pontefice “modernista”. Un piano del massimo potere, gestito da personaggi come George Soros e ora messo in pericolo dalla vittoria di Trump. Lo sostiene Federico Dezzani, che evoca “padrini occulti” dietro al pontificato di Bergoglio, di cui profetizza l’imminente fine. Nonostante il flop del Giubileo e «il sostanziale fallimento dell’Anno Santo», Papa Francesco oggi accelera la svolta modernista: crea nuovi cardinali a lui fedeli e concede a tutti i sacerdoti la facoltà di assolvere l’aborto. «Forse Bergoglio ha fretta, perché sa che il contesto internazionale che lo ha portato sul Soglio Petrino si è dissolto con l’elezione di Donald Trump», scrive Dezzani, secondo cui furono «l’amministrazione Obama e George Soros» a introdurre il gesuita argentino, «in forte odore di massoneria», dentro le Mura Leonine. Bergoglio? Sarebbe «la versione petrina di Barack Hussein Obama», in coerenza col “cesaropapismo”, grazie al quale il potere civile estende la propria competenza al campo religioso, così da plasmare la dottrina «secondo le esigenze del potere temporale».Una pratica bizantina, ancora viva nell’Occidente moderno? Senz’altro: «La Chiesa di Roma subisce, dalla notte dei tempi, gli influssi del mondo esterno: re francesi, imperatori tedeschi, generali corsi e dittatori italiani hanno sempre cercato di ritagliarsi una Chiesa su misura». Dopo il 1945, il Vaticano è stato «inglobato come il resto dell’Europa Occidentale nell’impero angloamericano», subendone l’influenza politica, economica e ideologica: «Quanto avviene alla Casa Bianca, presto o tardi, si ripercuote dentro le Mura Leonine». Se poi il potere temporale si sente particolarmente forte e ha fretta di imporre la propria agenda alla Chiesa cattolica, «indebolita da decenni di secolarizzazione della società e in preda ad una profonda crisi d’identità», a quel punto – sostiene Dezzani – spinge più a fondo la “modernizzazione” dello Stato pontificio «cosicché il Papa “si dimetta”, come un amministratore delegato qualsiasi, e gli azionisti di maggioranza possano nominare un nuovo “chief executive officer” della Chiesa cattolica apostolica romana, sensibile ai loro interessi».Ratzinger “licenziato” dalla Casa Bianca? «Durante la folle amministrazione di Barack Hussein Obama, periodo durante cui l’oligarchia euro-atlantica si è manifestata in tutte le sue forme, dal terrorismo islamico all’immigrazione selvaggia, dagli assalti finanziari alle guerre per procura alla Russia – continua Dezzani nel suo blog – abbiamo assistito a tutto: comprese le dimissioni di Benedetto XVI, le prime da oltre 600 anni (l’ultimo pontefice ad abdicare fu Gregorio XII nel 1415), e alla nascita di un ruolo, quello di “pontefix emeritus”, sinora mai attribuito ad un Vicario di Cristo vivente». L’interruzione del pontificato di Joseph Ratzinger, seguita dal conclave del marzo 2013 che elegge l’argentino Jorge Mario Bergoglio, è una vera e propria “rivoluzione”: «Ad un pontefice “conservatore” come Benedetto XVI ne succede uno “progressista” come Francesco, a un difensore dell’ortodossia cattolica succede un modernista che vuole “rinnovare” la dottrina millenaria della Chiesa». Non solo: «Ad un Papa che aveva ribadito l’inconciliabilità tra Chiesa Cattolica e massoneria ne subentra uno che è in fortissimo odore di libera muratoria».E ad un pontefice «sicuro che solo nella Chiesa di Cristo c’è la salvezza» segue «un paladino dell’ecumenismo», talmente ardito da dichiarare ad Eugenio Scalfari nel 2013: «Non esiste un Dio cattolico, esiste Dio». Per Dezzani, il fondatore della “Repubblica”, «ben introdotto negli ambienti “illuminati” nostrani ed internazionali», in effetti «è un’ottima cartina di tornasole per afferrare il mutamento in seno alla Chiesa», strettamente sorvegliato dall’élite di potere. Si passa dall’editoriale “Da Pacelli a Ratzinger, la lunga crisi della Chiesa” del maggio 2012, dove Scalfari ragiona a distanza sul pontificato “lezioso” di Ratzinger, rinfacciandogli una scarsa apertura alla modernità, a Lutero ed all’ecumenismo, al dialogo tête-à-tête del novembre 2016, dove Scalfari discetta amabilmente con Bergoglio di “meticciato universale”, «tema tanto caro alla massoneria», interprete del sincretismo culturale che è alla base della modernità stessa, alla cui creazione proprio il network libero-muratorio contribuì, a partire dal ‘700.Federico Dezzani si concentra su Bergoglio, che considera «la versione petrina di Barack Obama», al punto che «si potrebbe sostenere che sia stato il presidente americano ad installare il gesuita ai vertici della Chiesa»? Sarebbe un’affermazione «soltanto verosimile», precisa, visto che «sono gli stessi ambienti che hanno appoggiato Barack Obama (e che avevano investito tutto su Hillary Clinton nelle ultime elezioni) ad aver preparato il terreno su cui è germogliato il pontificato di Bergoglio». In altre parole, è il milieu «della finanza angloamericana, di George Soros e dell’establishment anglofono liberal». Se si riflette sugli ultimi tre anni di pontificato, continua Dezzani, l’azione del Papa sembra infatti ricalcata sull’amministrazione democratica. Obama si fa il paladino della lotta al surriscaldamento globale, culminata col Trattato di Parigi del dicembre 2015? Bergoglio risponde con l’enciclica ambientalista “Laudato si”. Obama «ed i suoi ascari europei, Merkel e Renzi in testa», incentivano l’immigrazione di massa? Bergoglio «ne fornisce la copertura religiosa, finendo col dedicare la maggior parte del pontificato al tema». Ancora: Obama legalizza i matrimoni omosessuali? «Bergoglio si spende al massimo affinché il Sinodo sulla famiglia del 2014 si spinga in questa direzione».Gli “automatismi” continuano, estendendosi anche al welfare. La Casa Bianca vara una discussa riforma sanitaria che incentiva l’uso di farmaci abortivi? «Bergoglio allarga all’intera platea di sacerdoti, anziché ai soli vescovi, la facoltà di assolvere dall’aborto». Ma è possibile «insediare in Vaticano» un pontefice «in perfetta sintonia con l’amministrazione democratica di Obama» e, sopratutto, «espressione degli interessi retrostanti», che Dezzani definisce «massonici-finanziari»? E’ il tema della ricostruzione di Dezzani, che parte dalla “resa” di Ratzinger. Se si vuole attuare un “regime change”, il primo passo è «sbarazzarsi della vecchia gerarchia». Dinamica classica, «già vista in Italia con Tangentopoli, che spazzò via la vecchia classe dirigente italiana spianando la strada ai governi “europeisti” di Amato e Prodi». In Germania, la Tangentopoli tedesca «decapitò la Cdu e favorì l’emergere della semi-sconosciuta Angela Merkel». A Firenze, lo scandalo urbanistico sull’area Castello «eliminò l’assessore-sceriffo Graziano Cioni e avviò la scalata al potere di Matteo Renzi». O ancora, in Brasile, dove «lo scandalo Petrobas ha causato la caduta di Dilma Rousseff e la nomina a presidente del massone Michel Temer».Stesso schema, sempre: «Accuse di corruzione (fondate o non), illazioni infamanti, minacce, sinistre allusioni, carcerazioni preventive, battage della stampa, false testimonianze, omicidi: qualsiasi mezzo è impiegato per “scalzare” i vecchi vertici indesiderati». In Vaticano, nel mirino finirono «Ratzinger e il suo seguito di cardinali conservatori, da defenestrare a qualsiasi costo per l’avvento di un pontefice modernista». Ed ecco, puntale, lo scandalo “Vatileaks”, cioè lo smottamento – lungamente incubato – che ha condotto al ritiro di Ratzinger. L’analisi di Dezzani parte dagli Usa. Aprile 2009: Obama è insediato alla Casa Bianca da appena tre mesi «e con lui quell’oligarchia liberal decisa a sbarazzarsi di Benedetto XVI». In Italia esce “Vaticano SpA”, il libro di Gianluigi Nuzzi che “grazie all’accesso, quasi casuale, a un archivio sterminato di documenti ufficiali, spiega per la prima volta il ruolo dello Ior nella Prima e nella Seconda Repubblica”. Ovvero: «Mafia, massoneria, Vaticano e parti deviate dello Stato sono il mix di questo bestseller che apre la campagna di fango e intimidazione contro Ratzinger».L’autore, secondo Dezzani, «è uno dei pochi giornalisti italiani ad essere in stretti rapporti con il solitamente schivo Gianroberto Casaleggio: Nuzzi ottiene nel 2013 dal guru del M5S una lunga intervista e, tre anni dopo, partecipa alle sue esequie a Milano». Nuzzi è una prestigiosa “penna” del “Giornale”, di “Libero” e del “Corriere della Sera”: è lecito supporre che «confezioni “Vaticano SpA” e il successivo bestseller “Vatileaks”, avvalendosi delle fonti passategli dagli stessi ambienti che si nascondo dietro Gianroberto Casaleggio ed il M5S»? Ipotetici, veri manovratori: «I servizi atlantici e, in particolare, quelli britannici che storicamente vivono in simbiosi con la massoneria». Il biennio 2010-2011 vede Ratzinger «assalito da ogni lato dalle inchieste sulla pedofilia, il tallone d’Achille della Chiesa cattolica su cui l’oligarchia atlantica può colpire con facilità», infliggendo ingenti danni. “Scandalo pedofilia, il 2010 è stato l’annus horribilis della Chiesa cattolica” scrive nel gennaio 2011 il “Fatto Quotidiano”.È lo stesso periodo in cui l’argentino Luis Moreno Ocampo, primo procuratore capo della Corte Penale Internazionale ed ex-consulente della Banca Mondiale, valuta se accusare il pontefice Ratzinger di crimini contro l’umanità, imputandogli i “delitti commessi contro milioni di bambini nelle mani di preti e suore ed orchestrati dal Papa”. Poi arriva il 2012, ancora con gli americani in prima linea. Lo rivela Wikileaks, svelando l’esistenza di un documento «indispensabile per capire le trame che portano alla caduta di Ratzinger». È il febbraio 2012 quando John Podesta, futuro capo della campagna di Hillary, scrive a Sandy Newman un’email intitolata: “Opening for a Catholic Spring? just musing…” ossia: “Preparare una Primavera cattolica? Qualche riflessione…”. Già allora, Podesta era «un papavero dell’establishment liberal», capo di gabinetto della Casa Bianca ai tempi di Bill Clinton, nonché fondatore del think-tank “Center for American Progress”, «di cui uno dei principali donatori è lo speculatore George Soros». E Sandy Newman? Creatore di potenti think-tanks progressisti (“Voices for Progress”, “Project Vote!”, “Fight Crime: Invest in Kids”) in cui si fece le ossa, fresco di dottorato, il giovane Obama.Scrive Newman: «Ci deve essere una Primavera cattolica, in cui i cattolici stessi chiedano la fine di una “dittatura dell’età media” e l’inizio di un po’ di democrazia e di rispetto per la parità di genere». E Podesta: «Abbiamo creato “Cattolici in Alleanza per il Bene Comune” per organizzare per un momento come questo, ma non ha ancora la leadership per farlo. Come la maggior parte dei movimenti di “primavera”, penso che questo dovrà avvenire dal basso verso l’alto». Lo scambio di email hacketrato ora da Wikileaks, aggiunge Dezzani, si inserisce perfettamente nel contesto degli ambienti anglosassoni liberal, «gli stessi dove si discute da anni della necessità di un Concilio Vaticano III che apra a omosessuali, aborto e contraccezione». Il mondo ha bisogno di un nuovo Concilio Vaticano, scrive nel 2010 un membro del “Center for American Progress”, che parla apertamente di una “primavera cattolica” «che ponga fine alla dittatura medioevale della Chiesa, sulla falsariga della “primavera araba” che ha appena sconquassato il Medio Oriente».Di lì a poche settimane, continua Dezzani, «parte infatti la manovra a tenaglia che nell’arco di una decina di mesi porterà alla clamorose dimissioni di Benedetto XVI: è il cosiddetto “Vatileaks”, una furiosa campagna mediatica che attaccando su più fronti (Ior, abusi sessuali, lotte di palazzo, la controversa gestione della Segreteria di Stato da parte del cardinale Bertone) infligge il colpo di grazia al già traballante pontificato del conservatore Ratzinger, dipinto come “troppo debole per guidare la Chiesa”». L’intero scandalo, insiste Dezzani, poggia sulla fuga di notizie, «un’attività che dalla notte dei tempi è svolta dai servizi segreti». Notizie «trafugate» sono quelle che consentono a Nuzzi di confezionare il secondo bestseller, il libro-terremoto che esce nel maggio 2012: “Sua Santità. Le carte segrete di Benedetto XVI”, poi tradotto in inglese dalla Casaleggio Associati con l’emblematico titolo “Ratzinger was afraid: The secret documents, the money and the scandals that overwhelmed the pope”.Chi è la fonte di Nuzzi, il cosiddetto “corvo”? «Come nel più banale dei racconti gialli, è il maggiordomo, quel Paolo Gabriele che funge da capro espiatorio per una macchinazione ben più complessa», sostiene Dezzani. Notizie “trafugate” sarebbero anche quelle che compaiono sul “Fatto Quotidiano”, utili a dimostrare che lo Ior, gestito da Ettore Gotti Tedeschi, per il giornale di Travaglio «non ha alcuna intenzione di attuare gli impegni assunti in sede europea per aderire agli standard del Comitato per la valutazione di misure contro il riciclaggio di capitali», né di «permettere alle autorità antiriciclaggio vaticane e italiane di guardare cosa è accaduto nei conti dello Ior prima dell’aprile 2011». Gotti Tedeschi, ricorda Dezzani, verrà brutalmente licenziato dallo Ior il 25 maggio, lo stesso giorno dell’arresto del maggiordomo Gabriele, «così da alimentare il sospetto che i “corvi” siano ovunque, anche ai vertici dello Ior, Gotti Tedeschi compreso».Notizie “trafugate”, infine, sarebbero anche gli stralci pubblicati da Concita De Gregorio su “La Repubblica” e da Ignazio Ingrao su “Panorama” nel febbraio 2013, «estrapolati da un presunto dossier segreto e concernenti una fantomatica “lobby omosessuale in Vaticano”: sarebbe la gravità di questo documento, secondo le ricostruzione della stampa, ad aver convinto Ratzinger alle dimissioni». Si arriva così all’11 febbraio 2013: durante un concistoro per la canonizzazione di alcuni santi, Benedetto XVI, visibilmente affaticato, comunica in latino la clamorosa rinuncia al Soglio Pontificio. «Fu costretto alle dimissioni sotto ricatto? Era effettivamente spaventato?». Ratzinger smentisce nel modo più netto. Di recente ha ribadito che «non si è trattato di una ritirata sotto la pressione degli eventi o di una fuga per l’incapacità di farvi fronte». E ha aggiunto: «Nessuno ha cercato di ricattarmi».L’11 febbraio 2013, Ratzinger aveva affermato di «non essere più sicuro delle sue forze nell’esercizio del ministero petrino». Lo si può capire: era «fiaccato da tre anni di attacchi mediatici, piegato dallo scandalo “Vatileaks”». Così, l’anziano teologo – 86 anni – ha scelto le dimissioni. Tutto calcolato? «Le disgrazie del “conservatore” Ratzinger ed il massiccio cannoneggiamento che ha indebolito i settori della Chiesa a lui fedeli, spianano così la strada ad un Papa modernista, che attui quella “Primavera cattolica” tanto agognata dall’establishment angloamericano», scrive Dezzani. «Il Conclave del marzo 2013 (durante cui, secondo il giornalista Antonio Socci, si verificano gravi irregolarità che avrebbero potuto e dovuto invalidarne l’esito), sceglie così come vescovo di Roma l’argentino Jorge Mario Bergoglio: primo gesuita a varcare il soglio pontificio, dai trascorsi un po’ ambigui ai tempi della dittatura argentina». Duro il giudizio di Dezzani: «La ricattabilità è un tratto saliente dei burattini atlantici, da Angela Merkel a Matteo Renzi». Inoltre, il nuovo vescovo di Roma «è salutato con gioia dalla massoneria argentina, da quella italiana e dalla potente loggia ebraica del B’nai B’rith, che presenzia al suo insediamento».Lo stesso Bergoglio è un libero muratore? «Più di un elemento di carattere dottrinario, dal diniego che “Dio sia cattolico” all’ossessivo accento sull’ecumenismo, fanno supporre di sì», sostiene Dezzani. «Ma è soprattutto l’amministrazione democratica di Barack Obama e quella cricca di banchieri liberal ed anglofoni che la sostengono, a rallegrarsi per il nuovo papa». Bergoglio è il pontefice che «attua nel limite del possibile quella “Primavera Cattolica” tanto agognata (matrimoni omosessuali, aborto e contraccezione)». E’ il Papa che «sposa la causa ambientalista», che «fornisce una base ideologica all’immigrazione indiscriminata», che «sdogana Lutero e la riforma protestante». Ancora: è il pontefice che «sostanzialmente tace sulla pulizia etnica in Medio Oriente ai danni dei cristiani per mano di quell’Isis, dietro cui si nascondono quegli stessi poteri (Usa, Gb e Israele) che lo hanno introdotto dentro le Mura Leonine». È anche il primo Papa ad avere l’onore di parlare al Congresso degli Stati Uniti durante la visita del settembre 2015, prodigandosi per «sedare i malumori nel mondo cattolico americano contro la riforma sanitaria Obamacare».L’ultimo clamoroso intervento di Bergoglio a favore dell’establishment atlantico, continua Dezzani, risale al febbraio 2016, quando il pontefice etichettò come “non cristiana” la politica anti-immigrazione di Donald Trump. Un «incauto intervento», che per Dezzani rivela «il desiderio di sdebitarsi con quel mondo cui il pontefice argentino deve tutto», ma c’era anche «la volontà di mettere al riparo la sua opera di “modernizzazione” della Chiesa». La vittoria di Hillary Clinton, cioè della candidata di George Soros e dell’oligarchia euro-atlantica, «era infatti la conditio sine qua non perché la “Primavera Cattolica” di Bergoglio potesse continuare». Al contrario, «la sua sconfitta ha smantellato quel contesto geopolitico su cui Bergoglio ha edificato la traballante riforma progressista della Chiesa», sostiene sempre Dezzani. «Come François Hollande, come Angela Merkel e come Matteo Renzi, Jorge Mario Bergoglio, benché vescovo di Roma, oggi non è altro che il residuato di un’epoca archiviata». Dezzani lo considera «un figurante senza più copione, fermo sul palco, ammutolito ed estraniato, in attesa che cali il sipario».«Ultimo sussulto», da parte di Bergoglio, per «blindare la sua opera», il conferimento a tutti i sacerdoti della facoltà di assolvere dal peccato dell’aborto. A ciò si aggiunge «una terza infornata di cardinali (più di un terzo del collegio cardinalizio è ora formato da prelati a lui fedeli), così da imprimere un connotato “liberal” anche al futuro della Chiesa di Roma». Ma, per Dezzani, «è ormai troppo tardi», perché «la ribellione dentro la Chiesa alla sua “Primavera Cattolica” è iniziata». Quattro cardinali hanno di recente sollevato gravi contestazioni al documento “Amoris Laetitiae”, con cui Bergoglio ha chiuso i lavori del Sinodo sulla Famiglia, «contestazioni cui il pontefice non ha ancora risposto». E soprattutto: «Alla Casa Bianca non c’è più nessuno a proteggerlo. Anzi, c’è un presidente in pectore che, forte del voto della maggioranza dei cattolici americani, ne gradirebbe forse le dimissioni sulla falsariga di Benedetto XVI». Un’analisi buia, estrema e sconcertante. In premessa, Dezzani la definisce “verosimile”. Poi però la sottoscrive senza più incertezze: per Bergoglio, dice, «la fine si avvicina».Ratzinger “deposto” da un complotto gestito dai servizi segreti anglosassoni, con anche la collaborazione di Gianroberto Casaleggio. Obiettivo: insediare in Vaticano l’attuale pontefice “modernista”. Un piano del massimo potere, gestito da personaggi come George Soros e ora messo in pericolo dalla vittoria di Trump. Lo sostiene Federico Dezzani, che evoca “padrini occulti” dietro al pontificato di Bergoglio, di cui profetizza l’imminente declino. Nonostante il flop del Giubileo e «il sostanziale fallimento dell’Anno Santo», Papa Francesco oggi accelera la svolta modernista: crea nuovi cardinali a lui fedeli e concede a tutti i sacerdoti la facoltà di assolvere l’aborto. «Forse Bergoglio ha fretta, perché sa che il contesto internazionale che lo ha portato sul Soglio Petrino si è dissolto con l’elezione di Donald Trump», scrive Dezzani, secondo cui furono «l’amministrazione Obama e George Soros» a introdurre il gesuita argentino, «in forte odore di massoneria», dentro le Mura Leonine. Bergoglio? Sarebbe «la versione petrina di Barack Hussein Obama», in coerenza col “cesaropapismo”, grazie al quale il potere civile estende la propria competenza al campo religioso, così da plasmare la dottrina «secondo le esigenze del potere temporale».