Archivio del Tag ‘Anselmo Del Duca’
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Stati Generali solo per evitare il voto e blindare il Quirinale
Avviso a Conte, direttamente dal Quirinale: non cerchi di menare il can per l’aia, col teatrino degli Stati Generali, solo per prendere tempo ed evitare la resa dei conti delle elezioni. «Più chiaro di così, Sergio Mattarella non poteva essere: la riflessione avviata in questi giorni deve saper arrivare a risultati concreti», scrive Anselmo Del Duca sul “Sussidiario”, commentando le parole di Mattarella pronunciate nelle stesse ore in cui si avviava l’assise di Villa Pamphili. Parole che «possono avere un’unica lettura», ovvero: «Il Quirinale teme di trovarsi davanti a tanto fumo e a niente arrosto». E per chi avesse dubbi sull’interpretazione del pensiero del presidente della Repubblica, Del Duca invita a riflettere sulla richiesta «che l’impegno sia corale, autentico, aperto», e che «abbia lo sguardo rivolto al futuro, e non a effimeri interessi personali o di parte, a rendite di posizione, a stasi o rinunzie frutto di timore». Senza dubbio, scrive Del Duca, a Giuseppe Conte sono fischiate le orecchie: «È lui il primo destinatario del richiamo, anche se non l’unico, perché di certo c’era anche un invito all’opposizione a non sottrarsi al confronto, sotto forma di auspicio alla partecipazione. Al contrario, la richiesta di dialogo e ascolto era senza dubbio rivolta al premier di un governo che sinora, alla minoranza, non ha concesso assolutamente nulla».Ma ancor prima dei contenuti, secondo Del Duca, il discrimine è il fattore tempo: «Mattarella teme che quella “attesa esigente” che sente nel paese vada delusa. In troppi vedono negli Stati Generali un artificio per prendere tempo». Per quale ragione? «Due, essenzialmente». La prima, scrive sempre Del Duca, consiste nel cercare di allungare la vita del governo «mettendo una quantità esagerata di carne al fuoco, partorendo (con calma) un programma enciclopedico, un libro dei sogni tanto vasto quanto irrealizzabile». E allungando il brodo «si ottiene l’altro effetto, chiudere ogni finestra a possibili crisi di governo che possano scivolare verso il voto». Fantapolitica? «Tirarla per le lunghe adesso, nel definire il piano di rilancio del paese, ha l’effetto di chiudere l’ipotetica finestra elettorale di settembre, guarda caso – annota Del Duca – quella che con grande ritardo il centrodestra ha provato a reclamare, per la verità con poca convinzione e senza serie carte in mano per ottenerla». Il 20 e 21 settembre (la data è ormai pressoché certa) non si voterà quindi per il rinnovo del Parlamento, ma per sei consigli regionali, più un migliaio di comuni, e soprattutto per il referendum confermativo della riforma costituzionale che prevede il taglio del numero dei parlamentari.Dando per scontata una larga affermazione del Sì, si apre quindi una fase di adeguamento della legge elettorale ai nuovi numeri, 400 deputati e 200 senatori. «Vanno come minimo ridisegnati i collegi elettorali, ma la maggioranza è intenzionata a riprendere in mano la riscrittura sostanziale del Rosatellum». Secondo Del Duca «potrebbe esserci addirittura un’accelerazione intorno al “Brescellum”, dal nome del presidente della commissione Affari Costituzionali, il pentastellato Giuseppe Brescia, su cui la maggioranza aveva trovato un’intesa politica alla vigilia del lockdown». Si andrebbe nella direzione di un sistema proporzionale con sbarramento nazionale al 5% e senza coalizioni. «Un sistema che sembra fatto su misura per sbarrare la strada a una vittoria al centrodestra, che resta saldamente in testa secondo tutti i sondaggi, con almeno sei punti di vantaggio sull’area di governo». Numeri larghi, che il Rosatellum potrebbe trasformare in una comoda maggioranza parlamentare. E poco conta – aggiunge Del Duca – che sia in corso dentro questo schieramento una cospicua redistribuzione dei consensi fra Lega e Fratelli d’Italia.La fase di riscrittura della legge elettorale, fra dibattito parlamentare e definizione dei collegi, potrebbe per mesi rendere impossibile il ricorso alle urne, rendendo di fatto ineluttabile la prosecuzione dell’esperienza di governo giallorossa. «La data chiave a quel punto diventa il 3 agosto 2021, quando comincerà l’ultimo semestre della presidenza Mattarella, quel “semestre bianco”, in cui il Capo dello Stato perde il potere di sciogliere le Camere». A questo Parlamento, con gli equilibri del 2018, «toccherebbe quindi eleggere nel gennaio 2022 il futuro inquilino del Quirinale, con il centrodestra ininfluente». Un doppio risultato, quindi, a tutto danno dell’opposizione: «Sbarrare la strada tanto di Palazzo Chigi, quanto del Quirinale, forse per un lungo periodo, forse per sempre». Basta poco, osserva Del Duca: «Basta perdere ancora un po’ di tempo, mentre l’Italia attende decisioni urgenti su una ripartenza che non può aspettare».Avviso a Conte, direttamente dal Quirinale: non cerchi di menare il can per l’aia, col teatrino degli Stati Generali, solo per prendere tempo ed evitare la resa dei conti delle elezioni. «Più chiaro di così, Sergio Mattarella non poteva essere: la riflessione avviata in questi giorni deve saper arrivare a risultati concreti», scrive Anselmo Del Duca sul “Sussidiario“, commentando le parole di Mattarella pronunciate nelle stesse ore in cui si avviava l’assise di Villa Pamphili. Parole che «possono avere un’unica lettura», ovvero: «Il Quirinale teme di trovarsi davanti a tanto fumo e a niente arrosto». E per chi avesse dubbi sull’interpretazione del pensiero del presidente della Repubblica, Del Duca invita a riflettere sulla richiesta «che l’impegno sia corale, autentico, aperto», e che «abbia lo sguardo rivolto al futuro, e non a effimeri interessi personali o di parte, a rendite di posizione, a stasi o rinunzie frutto di timore». Senza dubbio, scrive Del Duca, a Giuseppe Conte sono fischiate le orecchie: «È lui il primo destinatario del richiamo, anche se non l’unico, perché di certo c’era anche un invito all’opposizione a non sottrarsi al confronto, sotto forma di auspicio alla partecipazione. Al contrario, la richiesta di dialogo e ascolto era senza dubbio rivolta al premier di un governo che sinora, alla minoranza, non ha concesso assolutamente nulla».
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Mattarella esaudirà Renzi-Grillo (Ue) o gli Usa, cioè Salvini?
Singolare coincidenza: nel momento esatto in cui in Senato Matteo Renzi “randellava” Salvini e lanciava segnali ai 5 Stelle, Nicola Zingaretti dettava alle agenzie una nota pesantissima contro Giuseppe Conte, accusandolo di aver taciuto per quindici mesi davanti alle “sgrammaticature istituzionali” del suo ministro dell’interno. Ma attenzione: Sergio Mattarella non si lascerà trasformare in “ostaggio” del Pd, sostiene Anselmo Del Duca sul “Sussidiario”, commentando l’evoluzione della crisi di governo aperta formalmente il 20 agosto con l’annuncio delle dimissioni di Conte, che ha rimesso il mandato al presidente della Repubblica dopo lo scontro a distanza con Salvini, deluso dai grillini. Per i 5 Stelle proprio da Conte bisogna ripartire, mentre per il segretario del Pd evidentemente no. Eppure – scrive Del Duca – il premier uscente ha fatto di tutto per accreditarsi come leader moderato in grado di guidare un nuovo esecutivo “giallorosso”. «È di tutta evidenza che il punto critico che deciderà l’esito della crisi è dentro il Pd, con Renzi fautore di quell’accordo con il M5S che silurò quindici mesi fa, e Zingaretti gelido sostenitore dell’opportunità del ritorno al voto».Bruciato Conte, secondo Del Duca resta impensabile che i 5 Stelle accettino un premier gradito al Pd. E se nell’assegnare l’incarico Mattarella si prenderà qualche giorno «sarà solo per consentire all’attuale premier di partecipare venerdì e sabato al G7 di Biarritz», da dimissionario, ma non ancora del tutto fuori gioco. «In ogni caso, il punto critico che determinerà l’esito della crisi appare il confronto dentro il Pd, con i renziani nettamente in vantaggio sul piano comunicativo, della narrazione di questa nuova convergenza come utile e necessaria per il bene del paese. Il favore della grande stampa a questo schema appare evidente». L’unico schema alternativo al “governo giallorosso” in grado di evitare le urne sarebbe quello di una ricomposizione in extremis di una convergenza fra 5 Stelle e Lega, «che in astratto non si può escludere, ma che non potrebbe vedere Salvini nella compagine di governo e – di conseguenza – neppure Luigi Di Maio». I segnali in questa direzione – dice Del Duca – non mancano, «soprattutto dal lato leghista», mentre i 5 Stelle in Senato hanno espresso rabbia nei confronti dell’ex alleato, che li ha appena scaricati.Alla fine sarà Mattarella a dover operare una scelta, anche se «non farà nulla per imporre una soluzione piuttosto che un’altra», sostiene Del Duca. Anzi, se i renziani si attendono che dal capo dello Stato possa venire l’invito a farsi carico del governo con i 5 Stelle in nome di un interesse superiore, «la delusione è dietro l’angolo: certi interventi che si son visti con Scalfaro e Napolitano ben difficilmente saranno replicati dall’attuale inquilino del Quirinale». C’è da sperarci, visto che proprio Mattarella – per la gioia di Draghi, tramite Ignazio Visco di Bankitalia – nel 2018 fu il primo frenare il governo gialloverde, privandolo della spinta di Paolo Savona, che avrebbe radicalmente reimpostato le linee economiche aprendo una vertenza a testa alta con Bruxelles. Savona avrebbe cercato di sottrarre il paese alla sudditanza dai cosiddetti “mercati”, pilotati dai poteri forti dell’Ue. Se invece sta per compiersi l’ennesimo “scippo” di democrazia, col partito più votato costretto all’opposizione, non ne manca il corollario: oltre al grottesco attivismo di Renzi e all’indegno voltafaccia del suo alleato Beppe Grillo, parlano da sole le esternazioni dei grillini in Senato il 20 agosto: camionate di odio contro Salvini, accuse ridicole (assenteismo) e silenzio di tomba sull’infinita serie di tradimenti dell’elettorato e fallimenti governativi di cui si sono resi responsabili i pentastellati.Nell’inevitabile foga polemica della parlamentarizzazione della crisi, si rischiano di perdere di viste le linee di fondo che l’hanno innescata, ovvero l’attacco concentrico dell’establishment ai danni dell’ingombrante leader della Lega, il politico più amato dagli italiani. Assediato dalla magistratura anche sul caposaldo della sua politica di bandiera – lo stop all’accoglienza illimitata e demenziale dei migranti – Salvini si è visto recapitare una richiesta mostruosa, quasi 50 milioni di euro da “restituire” allo Stato, per rimediare all’antico ammanco (infinitamente inferiore) addebitato alla Lega di Bossi. Da lì la spedizione esplorativa di Gianluca Savoini a Mosca, in cerca – si dice – di aiuti finanziari russi per consentire alla Lega di sopravvivere come partito e quindi svolgere regolare attività politica? Salvini, sostiene Gianfranco Carpeoro, non aveva alternative: sapeva che, se non avesse aperto il divorzio politico (ben motivato, peraltro, dall’imbarazzante latitanza governativa dei grillini) entro fine anno sarebbe finito in trappola, costretto in un modo o nell’altro alle dimissioni. Ora la palla è nel campo di Mattarella: sarà “passata” a Renzi e Grillo, allineati al rigore di Bruxelles come conferma il voto a Ursula von der Leyen, o invece la parola sarà restituita agli elettori, come – sostiene Giulio Sapelli – in fondo chiedono gli Usa, che restano vicini a Salvini, unica carta europea teoricamente disponibile per limitare, domani, lo strapotere dell’oligarchia reazionaria e post-democratica europea?Singolare coincidenza: nel momento esatto in cui in Senato Matteo Renzi “randellava” Salvini e lanciava segnali ai 5 Stelle, Nicola Zingaretti dettava alle agenzie una nota pesantissima contro Giuseppe Conte, accusandolo di aver taciuto per quindici mesi davanti alle “sgrammaticature istituzionali” del suo ministro dell’interno. Ma attenzione: Sergio Mattarella non si lascerà trasformare in “ostaggio” del Pd, sostiene Anselmo Del Duca sul “Sussidiario”, commentando l’evoluzione della crisi di governo aperta formalmente il 20 agosto con l’annuncio delle dimissioni di Conte, che ha rimesso il mandato al presidente della Repubblica dopo lo scontro a distanza con Salvini, deluso dai grillini. Per i 5 Stelle proprio da Conte bisogna ripartire, mentre per il segretario del Pd evidentemente no. Eppure – scrive Del Duca – il premier uscente ha fatto di tutto per accreditarsi come leader moderato in grado di guidare un nuovo esecutivo “giallorosso”. «È di tutta evidenza che il punto critico che deciderà l’esito della crisi è dentro il Pd, con Renzi fautore di quell’accordo con il M5S che silurò quindici mesi fa, e Zingaretti gelido sostenitore dell’opportunità del ritorno al voto».
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Abruzzo, Caporetto 5 Stelle: più vicina la fine del governo
«Nel decennale del tragico terremoto dell’Aquila parte dall’Abruzzo un terremoto di altro genere, meno cruento, ma destinato a far sentire le proprie onde sussultorie sino a Roma». Lo scrive Anselmo Del Duca sul “Sussidiario”, di fronte al risultato delle regionali in Abruzzo: vittoria del centrodestra e tracollo dei 5 Stelle, che vedono dimezzare il 40% ottenuto alle politiche meno di un anno fa. Quello che ha più colpito chi ha potuto osservare l’andamento del consenso attraverso i sondaggi – osserva Del Duca – è stato il progressivo indebolimento dei grillini, rimontati persino dal Pd. «La batosta grillina appare ancora più evidente di fronte a un’ottima tenuta del centrodestra unito, che stravince con un candidato targato Fratelli d’Italia», Marco Marsilio, ma soprattutto «grazie a una Lega straripante». Per la maggioranza gialloverde «non ci poteva essere un campanello d’allarme più rumoroso». Nell’immediato è probabile che non succeda nulla, aggiunge Del Duca, anche perché Salvini si è affrettato a spiegare che a Roma non cambia nulla. «Ma fra due settimane, se il trend abruzzese dovesse essere confermato nelle elezioni regionali della Sardegna, allora davvero si potrebbero aprire scenari imprevedibili».Secondo il “Sussidiario”, la sconfitta in Abruzzo potrebbe avviare la resa dei conti dentro il Movimento 5 Stelle, con Di Maio sul banco degli imputati. «E una seconda solenne sconfitta in terra sarda potrebbe costituire per la sua leadership il colpo di grazia». Del resto, annota Del Duca, l’elenco dei fronti caldi per i grillini si allunga giorno dopo giorno: la Tav, la Francia e da ultimi la polemica di Di Battista contro Napolitano e quella contro la Banca d’Italia. «Per di più, solo in quest’ultimo caso si è registrata una perfetta identità di vedute con l’alleato leghista. Per il resto la distanza è siderale». Si pensi alla crisi venezuelana, all’autonomia delle Regioni del Nord, alla legittima difesa o all’autorizzazione a procedere contro Salvini per il caso Diciotti. «Unica speranza di invertire il trend, il reddito di cittadinanza». Il Movimento 5 Stelle «vive con apprensione l’isolamento crescente che verifica intorno a sé, compreso il crescente pressing del Quirinale, che ormai non perdona passi falsi. «Alla Lega, al contrario, si rivolgono in tanti, ad esempio sindacati e imprenditori, come l’unica forza ragionevole, in grado di stoppare le leggerezze di un governo giudicato del tutto inadeguato».Finora, prosegue Del Duca, il rapporto personale fra Salvini e Di Maio ha puntellato il traballante governo Conte. Presto però potrebbe non bastare, «se l’ala dura dei grillini dovesse pretendere di più». Allo stesso modo, Salvini «potrebbe non riuscire più a resistere alle sirene di chi gli chiede di staccare la spina». Per prendere una decisione sul futuro il tempo stringe: a fine maggio ci sono le europee, ma soprattutto – in prospettiva – si preannuncia «una legge di bilancio drammatica, con la necessità di trovare una cifra enorme, 23 miliardi, solo per evitare l’aumento automatico dell’Iva». Sarà quindi una manovra “lacrime e sangue”, «di quelle che si possono fare solo in una fase immediatamente successiva a un turno elettorale, non subito prima». Secondo Del Duca, infatti, “zoppica” l’ipotesi che questo governo possa arrivare a fine anno, e poi portare il paese alle elezioni a inizio 2020. Mattarella si convincerà che il voto è il male minore per il paese? «Dall’Abruzzo però potrebbe davvero essere partita una valanga in grado di travolgere l’esecutivo gialloverde».«Nel decennale del tragico terremoto dell’Aquila parte dall’Abruzzo un terremoto di altro genere, meno cruento, ma destinato a far sentire le proprie onde sussultorie sino a Roma». Lo scrive Anselmo Del Duca sul “Sussidiario”, di fronte al risultato delle regionali in Abruzzo: vittoria del centrodestra e tracollo dei 5 Stelle, che vedono dimezzare il 40% ottenuto alle politiche meno di un anno fa. Quello che ha più colpito chi ha potuto osservare l’andamento del consenso attraverso i sondaggi – osserva Del Duca – è stato il progressivo indebolimento dei grillini, rimontati persino dal Pd. «La batosta grillina appare ancora più evidente di fronte a un’ottima tenuta del centrodestra unito, che stravince con un candidato targato Fratelli d’Italia», Marco Marsilio, ma soprattutto «grazie a una Lega straripante». Per la maggioranza gialloverde «non ci poteva essere un campanello d’allarme più rumoroso». Nell’immediato è probabile che non succeda nulla, aggiunge Del Duca, anche perché Salvini si è affrettato a spiegare che a Roma non cambia nulla. «Ma fra due settimane, se il trend abruzzese dovesse essere confermato nelle elezioni regionali della Sardegna, allora davvero si potrebbero aprire scenari imprevedibili».
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Il governo Tria-Draghi-Mattarella spaventa Lega e 5 Stelle
Il grosso dello scontro sulle nomine sembra ormai alle spalle del governo, ma sembra anche poter rappresentare solo l’antipasto di quel che potrà accadere in autunno. Ci sono tutti gli ingredienti perché la legge di bilancio si trasformi nella “madre di tutte le battaglie” per il governo Conte, scrive sul “Sussidiario” Anselmo Del Duca, che vede avvicinarsi una battaglia decisiva, del tipo “o la va, o la spacca”, per la vita o la morte dell’esecutivo gialloverde. I due partiti che formano la maggioranza, ragiona Del Duca, hanno la stessa necessità, e cioè dare concretezza alle loro promesse elettorali qualificanti: per il Movimento 5 Stelle il reddito di cittadinanza, per la Lega la Flat Tax e la revisione alla radice della legge Fornero sulle pensioni. «Nessuno dei due, nemmeno il Carroccio che vola nei sondaggi, può immaginare di tornare alle urne con il carniere del tutto vuoto: sarebbe una sconfitta su tutta la linea difficile da spiegare agli elettori». I maggiori ostacoli? Un “tridente” temibile, formato dall’asse politico che lega Sergio Mattarella a Mario Draghi, completato dall’enigmatico e finora ultra-prudente mininistro dell’economia Giovanni Tria, piazzato in quel dicastero dopo il clamoroso veto opposto da Mattarella a Paolo Savona.Il problema dei problemi, rileva Del Duca, è che – con l’attuale assetto del bilancio, allineato ai vincoli di Bruxelles – non ci sono abbastanza soldi per finanziare reddito di base, tagli alle tasse e pensioni più dignitose. Secondo l’analista del “Sussidiario”, non sarà facile trovare un equilibrio che consenta a 5 Stelle e Lega di poter dare segnali positivi, almeno parziali, al proprio elettorato. «Nel mirino è il titolare dell’economia, Giovanni Tria, cui spetterà di sicuro l’ingrato compito di trasformarsi nel “signor no” della spesa pubblica». Tanti i segnali già emersi in questa direzione: «Sono soprattutto i grillini ad adombrare un Tria nemico, arcigno guardiano dei conti pubblici, in nome e per conto di Mario Draghi, e con la benedizione del Quirinale». Il ministro, dal cantro suo, ha preparato la trincea per la battaglia che lo aspetta proprio nello scontro di questi giorni sulle nomine: «In cambio del via libera a Francesco Palermo alla guida della Cassa Depositi e Prestiti ha incassato la blindatura del dicastero di via XX Settembre con la nomina di Alessandro Rivera alla direzione generale del Tesoro, che si affianca alla permanenza di Daniele Franco alla Ragioneria generale dello Stato».In questa fase, aggiunge Del Duca, la Lega ha svolto con Giancarlo Giorgetti un ruolo sostanzialmente di mediazione, «ma non è che il Carroccio abbia il desiderio di fare esclusivamente il donatore di sangue». Il bilanciamento della nomina di Palermo, scrive Del Duca, potrebbe avvenire sulle Ferrovie, ma anche sulla presidenza della Rai. E non va trascurato il desiderio leghista di poter contare su un vicepresidente del Csm “amico”, come contraltare del ministro della giustizia pentastellato. «La partita delle nomine non è affatto chiusa, quindi, anzi è destinata a durare tutto l’autunno, in parallelo alla discussione della legge di bilancio». Il clima in cui avverrà lo ha descritto con crudezza lo stesso Di Maio: «C’è da lavorare nell’ottica di una legge che deve essere coraggiosa e non che tiri a campare». Il vicepremier grillino ha detto a chiare lettere che questo comporta anche l’avvio della ridiscussione dei parametri economici a livello europeo, anche perché faceva parte del programma sia della Lega che del Movimento 5 Stelle. «La prospettiva è quindi di un autunno caldo sul fronte parlamentare», sottolinea Del Duca: «Ce n’è abbastanza per far crescere il livello di ansia dalle parti del Quirinale».Delle prospettive dei prossimi mesi, aggiunge l’analista, si è parlato nel lungo colloquio (oltre un’ora) che a sorpresa il premier Conte ha avuto con il presidente della Repubblica. E’ a Conte, secondo Del Duca, che Mattarella guarda come «l’unico che può riuscire a tenere insieme le dispendiose richieste dei due partiti di governo e le necessità di tenere i conti pubblici in equilibrio». Il rischio di strappi è concreto, sottolinea il “Sussidiario”, e nel caso della Cassa Depositi e Prestiti ci si è andati vicino. «Giovanni Tria ha rischiato di fare la fine di Renato Ruggiero, ministro tecnico degli esteri del governo Berlusconi, costretto a lasciare per incompatibilità. Lo ha capito lo stesso Giorgetti, proconosole di Matteo Salvini in tutte le trattative sulle nomine: è bene non tirare troppo la corda, perché potrebbe spezzarsi per davvero». In altre parole: «Le dimissioni di Tria, se mai ci si dovesse arrivare, sarebbero un colpo davvero troppo duro da sopportare per il governo». E’ pur vero, però, che l’esecutivo gialloverde morirebbe, politicamente, solo se il “partito di Bruxelles” gli imponesse di ispirare al rigore anche la prossima finanziaria, costringendolo cioè a rinunciare al suo programma dichiaratamente anti-austerity.Il grosso dello scontro sulle nomine sembra ormai alle spalle del governo, ma sembra anche poter rappresentare solo l’antipasto di quel che potrà accadere in autunno. Ci sono tutti gli ingredienti perché la legge di bilancio si trasformi nella “madre di tutte le battaglie” per il governo Conte, scrive sul “Sussidiario” Anselmo Del Duca, che vede avvicinarsi una battaglia decisiva, del tipo “o la va, o la spacca”, per la vita o la morte dell’esecutivo gialloverde. I due partiti che formano la maggioranza, ragiona Del Duca, hanno la stessa necessità, e cioè dare concretezza alle loro promesse elettorali qualificanti: per il Movimento 5 Stelle il reddito di cittadinanza, per la Lega la Flat Tax e la revisione alla radice della legge Fornero sulle pensioni. «Nessuno dei due, nemmeno il Carroccio che vola nei sondaggi, può immaginare di tornare alle urne con il carniere del tutto vuoto: sarebbe una sconfitta su tutta la linea difficile da spiegare agli elettori». I maggiori ostacoli? Un “tridente” temibile, formato dall’asse politico che lega Sergio Mattarella a Mario Draghi, completato dall’enigmatico e finora ultra-prudente ministro dell’economia Giovanni Tria, piazzato in quel dicastero dopo il clamoroso veto opposto da Mattarella a Paolo Savona.