Archivio del Tag ‘Banca dei Regolamenti Internazionali’
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Bizzi: fine dell’Operazione Corona, a partire dal 12 aprile
Contrordine, cari concittadini: niente più lockdown a Pasqua. Il clamoroso dietrofront di Angela Merkel, che si è scusata coi tedeschi («è stato un mio errore»), secondo Nicola Bizzi conferma quanto annunciato da lui stesso nelle scorse settimane. Ovvero: «Entro una data precisa – il 12 aprile – dovrà essere avviata, in modo vistoso, la de-escalation dell’emergenza Covid». Lo afferma lo storico fiorentino, editore di Aurora Boreale e co-autore del saggio “Operazione Corona, colpo di Stato globale”, nella trasmissione web-streaming “L’orizzonte degli eventi”, il 25 marzo. Una conferma l’ha offerta Gioele Magaldi, poche ore prima, nella diretta su YouTube “Massoneria On Air” condotta da Fabio Frabetti di “Border Nights” sul tema del Grande Reset enunciato a Davos. «Non è certo casuale – ha sottolineato Magaldi – la data del 1° Maggio, serata in cui il Movimento Roosevelt compirà una “passeggiata” a Roma, in piazza Campo dei Fiori sotto la statua di Giordano Bruno, per festeggiare – ci auguriamo – anche la fine del coprifuoco». Magaldi lo definisce «una misura di guerra, vergognosamente adottata in tempo di pace per alimentare in modo subdolo il clima di “terrore sanitario” che si è impossessato del paese a partire dal primo folle lockdown varato nella primavera 2020 da Giuseppe Conte».Colpo di Stato globale? Esattamente, risponde Bizzi. Che cita uno degli autori di “Operazione Corona”, l’esperto finanziario Andrea Cecchi. «Nell’autunno 2019 – riassume Cecchi – il sistema stava letteralmente per esplodere, a causa della crisi dei Repo, le compensazioni interbancarie: la bolla finanziaria (derivati e titoli di Stato) era tale, che tutte le banche rischiavano di saltare per aria, da un giorno all’altro, non essendovi più liquidità per sostenere il debito speculativo a catena». Unica possibile soluzione: l’emissione “oceanica” di miliardi, da parte delle banche centrali: un evento senza precedenti, nella storia. Seriva però un alibi altrettanto “storico”: per esempio una crisi mondiale pilotata, innescabile solo attraverso una pandemia. Cecchi mette in fila due momenti fondamentali: a giugno 2019, la Banca dei Regolamenti Internazionali (Bri) lanciò l’allarme sistemico. Tradotto: sta per crollare l’intero sistema finanziario del pianeta. A ottobre, ecco l’Event 201: viene effettuata la spettacolare simulazione di un evento pandemico capace di paralizzare il mondo, causato da un virus altamente contagioso ma a bassa letalità.Poco dopo, ecco il coronavirus di Wuhan e il lockdown della Cina: per la prima volta nella storia, i cittadini vengono tutti rinchiusi in casa. «Obiettivo immediato dell’operazione: abbattere la domanda e in particolare la richiesta di prestiti. A questo serviva il blocco dell’economia – sostiene Cecchi – in attesa che poi si passasse alla fase due, cioè l’emissione di fiumi di denaro (da parte delle banche centrali) con l’alibi della crisi pandemica». Come dire: non possiamo più lesinare la moneta, dobbiamo “produrla” – a costo zero – senza limiti, e subito. Fece scalpore, in questo senso, l’intervento di Mario Draghi sul “Financial Times” a marzo 2020: agire «come in guerra», inondando di soldi gli Stati, le aziende e le famiglie. Un compito interpretato con tempestività, in Europa, da Christine Lagarde: la Bce ha smentito la sua stessa storia, tenendo in piedi paesi come l’Italia con l’acquisto di Btp per decine di miliardi di euro, senza più badare ai guardiani (tedeschi) dell’austerity. Tutto bene? Sì, se questo serviva a evitare il peggio. Il risvolto è meno nobile, secondo questa lettura: l’intera operazione di monetazione straordinaria sarebbe servita in primis a salvare la finanza, usando come alibi una “pandemia” gonfiata ad arte.E adesso chi si sta adoperando per “sgonfiarla”, a partire dal 12 aprile 2021? Dice Nicola Bizzi: sono esattamente quei soggetti finanziari che ormai si sentono al sicuro: la grande paura del virus, infatti, non “serve” più. Bizzi fa un nome di enorme peso (i Rothschild) e ricorda – sul piano visibile, geopolitico -il ruolo decisivo giocato dalla Russia di Putin: col suo vaccino Sputnik («che è un antinfluenzale») ha di fatto “smontato” il teatro politico-mediatico del terrore, portandosi dietro oltre metà del mondo, dall’India al Sudamerica. «La stessa Cina, che è stata utilizzata per far partire “l’Operazione Corona”, cioè l’epidemia di Wuhan, il grande terrore e la pratica sistematica del lockdown, adesso non vede l’ora di chiudere la partita». Bizzi ricorda il ruolo dell’Italia di Conte: «E’ stato il primo paese occidentale ad applicare la ricetta della dittatura cinese, facendo da apripista per gli altri Stati democratici».Nicola Bizzi vede la mano di Putin anche nella resistenza della Bielorussia, il cui presidente (Alexandr Lukashenko) denunciò di aver subito pressioni dall’Oms e dal Fmi, con offerte miliardarie, per fare il lockdown «come in Italia». In Russia, l’emergenza è finita da tempo: abolito ogni obbligo di distanziamento. «E attenti, la campagna vaccinale sta per essere smobilitata: è clamoroso che i grandi media si siano permessi apertamente di parlare delle reazioni avverse causate dal “vaccino” AstraZeneca, e paesi come la Polonia stanno già sbaraccando i loro centri vaccinali». Per Bizzi, si tratta di un copione preciso: «A fine 2020, nel grande potere, la cordata vincente (finanziaria) ha imposto ai “falchi” di Big Pharma la seguente soluzione: entro il 12 aprile 2021 si sarebbero impegnati a rendere visibile la retromarcia. Per “premio”, non sarebbero stati processati per i loro crimini». Ed è quanto sta avvenendo, assicura Bizzi: «Se davvero il “partito del lockdown” farà dietrofront da metà aprile, non ci sarà nessun Processo di Norimberga per l’abominio che è stato appena commesso, su scala planetaria».Inquietante, sotto questo aspetto, il voltafaccia dell’ex regina d’Europa: la Merkel ha prima annunciato il più severo dei lockdown in occasione delle festività pasquali, e poi – poche ore dopo – si è rimangiata tutto, chiedendo scusa ai tedeschi. E’ l’indizio più evidente del clamoroso terremoto di cui parla Bizzi? «Diciamo che si tratta di ipotesi ben circostanziate, fondate su informazioni precise che provengono dal mondo dell’intelligence, e non solo». Aggiunge Bizzi: da settimane, le agenzie di rating – megafono di Wall Street – annunciano la fine dell’emergenza pandemica entro aprile, con la forte ripresa di settori come il turismo e l’immobiliare. In questa gigantesca farsa – dice Bizzi – i “non-vaccini” in distribuzione (preparati genici sperimentali) verranno usati dal mainstream per giustificare l’allentamento delle restrizioni e la loro veloce scomparsa. In questa partita, più finanziaria che sanitaria – chiosa Bizzi – si era inserito anche un progetto allucinante, quello di chi mirava al “depopolamento” del pianeta attraverso l’inoculo di sostanze pericolose: ma quel progetto è tecnicamente fallito, per nostra fortuna. «Un consiglio? Intanto, evitare quei “vaccini”, che veri vaccini non sono». Se il quadro sarà confermato, del Covid non sentiremo parlare più: doveva servire essenzialmente a stampare miliardi? Bene: missione compiuta.Contrordine, cari concittadini: niente più lockdown a Pasqua. Il clamoroso dietrofront di Angela Merkel, che si è scusata coi tedeschi («è stato un mio errore»), secondo Nicola Bizzi conferma quanto annunciato da lui stesso nelle scorse settimane. Ovvero: «Entro una data precisa – il 12 aprile – dovrà essere avviata, in modo vistoso, la de-escalation dell’emergenza Covid». Lo afferma lo storico fiorentino, editore di Aurora Boreale e co-autore del saggio “Operazione Corona, colpo di Stato globale”, nella trasmissione web-streaming “L’orizzonte degli eventi“, il 25 marzo. Una conferma l’ha offerta Gioele Magaldi, poche ore prima, nella diretta su YouTube “Massoneria On Air” condotta da Fabio Frabetti di “Border Nights” sul tema del Grande Reset enunciato a Davos. «Non è certo casuale – ha sottolineato Magaldi – la data del 1° Maggio, serata in cui il Movimento Roosevelt compirà una “passeggiata” a Roma, in piazza Campo dei Fiori sotto la statua di Giordano Bruno, per festeggiare – ci auguriamo – anche la fine del coprifuoco». Magaldi lo definisce «una misura di guerra, vergognosamente adottata in tempo di pace per alimentare in modo subdolo il clima di “terrore sanitario” che si è impossessato del paese a partire dal primo folle lockdown varato nella primavera 2020 da Giuseppe Conte».
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Il virus perfetto: stop all’economia, per salvare la finanza
In uno sforzo puramente teorico, nel cercare di dare un senso a quello che è accaduto e quello che sta accadendo, possiamo cercare di unire alcuni punti per arrivare ad avere un immagine e di concludere un ragionamento credibile. Ricostruiamo sommariamente le tappe. 2008 – Crisi dei mutui subprime: un eccesso di debito causa il collasso del sistema finanziario. Il problema non viene risolto, anzi, si decide di affrontarlo con nuovo debito in misura monumentale, rimandando le conseguenze e amplificandone la pericolosità. Seguono dieci anni di tassi a zero e crescita del debito incontrollata che non riescono a dare impulso all’economia. I tassi a zero e le emissioni monetarie finiscono nella finanza iper-speculativa. Chiunque si può indebitare per comprare azioni e scommettere nel mondo dei derivati. La bolla si gonfia in modo preoccupante. Settembre 2019 – La cuccagna sembra finire da un momento all’altro: la Banca Regolamenti Internazionali lancia l’allarme: qui scoppia tutto. Il 18 ottobre 2019 a New York andava in scena l’Event 201. I big del mondo si riuniscono per una simulazione che nel giro di poche settimane sarebbe diventata reale: le prove generali di un’epidemia di un nuovo coronavirus zoonotico trasmesso dai pipistrelli ai maiali alle persone.Il 20 gennaio 2020, gli stessi vertici delle nazioni e dei maggiori centri di potere si riuniscono nuovamente a Davos e, molto probabilmente, i capi di Stato e tutti i media ricevono il protocollo di azione su come comportarsi, tutti insieme, per le misure che tutti noi abbiamo dovuto subire, nostro malgrado. Fase finale: i militari vengono dispiegati sui territori, le libertà individuali vengono praticamente azzerate. L’economia viene congelata e le banche centrali, all’unisono, con la Federal Reserve in capofila, iniziano la creazione monetaria più insensata della storia del mondo, iniettando liquidità creata dal nulla direttamente nei conti reciproci con le banche commerciali, nelle grandi corporation, nei gestori dei fondi e anche direttamente al Tesoro, continuando a comprare titoli di Stato. Nel pieno della crisi economica dovuta alle misure adottate per il Covid, viene scatenata anche una guerra civile interna agli Stati Uniti sfruttando e fomentando l’odio razziale. Nel caos generalizzato, con gli Stati Uniti non più uniti, ma divisi come non mai, la Cina sembra uscire trionfante; e questo fa veramente presagire un disegno della fine di un’epoca, quella americana, e l’inizio di un nuovo mondo dominato dalla Cina.A questo punto abbiamo possiamo dire di avere quindi un disegno molto verosimile, che inizia con un problema economico globale estremamente drammatico che bisogna affrontare in modo urgente e concertato. Il mondo globalizzato si riunisce e si accorda su come gestire questa situazione. Cercherò adesso di dare un senso alle misure adottate, piene di contraddizioni, che risultano incomprensibili a tante persone di buon senso che hanno cercato di ragionare sul perché di misure così drastiche e spesso anche addirittura folli e scellerate. Per capire bene l’importanza che ha il mondo finanziario sul mondo reale, bisognerebbe avere un’educazione almeno basilare di come funzionano le banche, il denaro, i commerci, i mercati valutari, le compensazioni tra banche, mercati e nazioni, gli arbitraggi e il sistema bancario ombra, con la realtà intricatissima del mondo dei derivati e dei derivati Otc. Comunque, già aver visto e capito il film “Una Poltrona per Due” dà un’dea di come funzioni il sistema. In modo molto semplice, bisogna sapere che il mondo è tutto collegato. Non c’è niente che possa avvenire in una parte del mondo senza avere ripercussioni da un’altra parte.Quando si creano degli squilibri, bisogna intervenire per aggiustarli. Quando gli squilibri sono talmente giganteschi da compromettere l’esistenza stessa del mondo economico che conosciamo, allora le misure da adottare assumeranno una dimensione proporzionale al problema. Come abbiamo visto al punto 3, nel settembre 2019 stava per esplodere l’intero sistema economico. La Banca Regolamenti Internazionali ha lanciato l’allarme, e i paesi del mondo – tutti avviluppati l’un l’altro in un abbraccio economico controparte – hanno accettato, tutti insieme, di adottare le misure prescritte. La prescrizione è molto semplice: bisogna congelare l’economia. Perché bisogna congelare l’economia? Adesso ve lo spiego. È molto semplice. In un mondo super-indebitato, dove i debiti sorreggono le scommesse nel mondo finanziario, dove le scommesse si basano sul fatto che i tassi siano vicini o pari a zero, non si può far sì che i tassi d’interesse possano salire. Se i tassi salgono, diminuisce il valore del nominale dato a garanzia e si innesca la reazione a catena delle “margin call”. Questo evento sarebbe cataclismico per le banche, gli hedge fund, i fondi pensione e tutto il mercato dei titoli di Stato.Per disinnescare la reazione a catena, l’unico sistema possibile è quello di iniettarci dentro la tutta la liquidità necessaria. In un mondo in cui la gente fa fatica ad arrivare a fine mese, è difficile giustificare la semplicità con cui una banca centrale digita dei bit sul pc e crea soldi in modo illimitato. Se la gente capisse questa cosa direbbe: se è così facile, perché non dà i soldi direttamente a noi? Questo modo di ragionare mette in luce la grande ingenuità delle persone. La gente crede che le decisioni dei potenti vangano prese per il bene delle persone, mentre quella è l’ultima delle loro preoccupazioni. Le decisioni vengono prese per conservare la solidità della piramide di potere. Il potere, avendo tutti bisogno di soldi per sopravvivere, è ben saldo nelle mani di chi detiene il monopolio del creare i soldi, ovvero le banche, che sono un cartello. Lo slogan “andrà tutto bene”, messo sulla bocca dei fessi in tutto il mondo, voleva dire: andrà bene a noi, non a voi, poveri imbecilli! L’economia è stata quindi congelata per un semplicissimo motivo: per consentire alle banche centrali di creare migliaia di miliardi di nuovo debito e non creare inflazione (l’inflazione danneggia il creditore – la banca – e favorisce il debitore, quindi non deve accadere).Si pensa erroneamente che l’inflazione sia l’aumento dei prezzi, ma l’aumento dei prezzi è soltanto la conseguenza dell’inflazione. Inflazione vuol dire espansione: l’espansione della massa monetaria. Se le banche creano nuovi trilioni di dollari, inflazionano l’economia di nuova moneta disponibile. Se questa moneta inizia a circolare, ad esempio se c’è esuberanza economica, allora si crea inflazione, in modo proporzionale alla massa di nuova moneta messa in circolo. Quando questo accade, le banche hanno un solo modo per intervenire: alzare i tassi per drenare la liquidità. Ma adesso questo è impossibile, perché se si alzano i tassi si innesca l’esplosione delle “margin call” sui Repo e scoppia tutto. L’unica altra opzione per creare liquidità e impedire che circoli è quella di bloccare l’economia, guadagnando tempo prezioso per intervenire là dove ci sono le falle, cercando di tapparle una ad una gettandoci sopra palate di soldi.Ecco la verità di tutta questa triste vicenda, dove ci hanno raccontato di tutto tranne che il vero nocciolo della questione è il nocciolo economico; come sempre. Come in tutte le guerre e in tutte le cose che accadono: l’incipit è sempre economico. Tutto risulta di più facile comprensione, una volta preso atto che le persone, nel mondo, sono gestite come un gregge di pecore. Ci fanno fare quello che torna utile a loro. Le persone che ce lo impongono, i governanti visibili e le teste parlanti della Tv sono solo i cani da pastore. I mandriani sono le banche, proprietarie dei soldi e quindi di tutto il resto. Il sistema economico globale è basato sul debito, e per sua natura genera squilibri che con il tempo divengono esponenziali. Un modo di intervento diffuso era quello di organizzare guerre e dare origine a quello che Schumpeter definì “distruzione creativa”. Adesso è più difficile fare le guerre, perché mancano gli ideali; e i giovani, col fisico da Nintendo, non sono più adatti.Allora è stata scelta una strategia più trasversale: quella della minaccia di un virus invisibile, con cui tutti gli Stati sono obbligati a combattere, indebolendosi e indebitandosi. Sul campo di battaglia restano aziende, controllo delle risorse, devastazione; e il potere si consolida in sempre meno mani. Non sono mancati neanche i militari sul campo, a dare credibilità a tutta la messa in scena, mentre i media all’unisono ripetevano come un disco rotto: siamo in guerra contro il virus. È tutto collegato. E il collante che unisce tutto è il denaro. Siamo tutti dentro al gioco. Come un grande gioco del Monopoli. Quando giochiamo a Monopoli, sappiamo benissimo che i soldi che usiamo sono finti. Quello che ha valore sono le nostre emozioni che nascono durante lo svolgimento, mentre giochiamo. Imprevisti, probabilità, case, alberghi, ferrovie. Sono le nostre emozioni a dare valore a tutto ciò. Quella è la moneta autentica con cui paghiamo per stare al gioco.(Andrea Cecchi, “E’ tutto collegato”, dal blog di Cecchi del 7 agosto 2020).In uno sforzo puramente teorico, nel cercare di dare un senso a quello che è accaduto e quello che sta accadendo, possiamo cercare di unire alcuni punti per arrivare ad avere un immagine e di concludere un ragionamento credibile. Ricostruiamo sommariamente le tappe. 2008 – Crisi dei mutui subprime: un eccesso di debito causa il collasso del sistema finanziario. Il problema non viene risolto, anzi, si decide di affrontarlo con nuovo debito in misura monumentale, rimandando le conseguenze e amplificandone la pericolosità. Seguono dieci anni di tassi a zero e crescita del debito incontrollata che non riescono a dare impulso all’economia. I tassi a zero e le emissioni monetarie finiscono nella finanza iper-speculativa. Chiunque si può indebitare per comprare azioni e scommettere nel mondo dei derivati. La bolla si gonfia in modo preoccupante. Settembre 2019 – La cuccagna sembra finire da un momento all’altro: la Banca Regolamenti Internazionali lancia l’allarme: qui scoppia tutto. Il 18 ottobre 2019 a New York andava in scena l’Event 201. I big del mondo si riuniscono per una simulazione che nel giro di poche settimane sarebbe diventata reale: le prove generali di un’epidemia di un nuovo coronavirus zoonotico trasmesso dai pipistrelli ai maiali alle persone.
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Finanziarizzare la paura: dietro a Greta 118 trilioni di dollari
Che affarone, Greta Thunberg: Goldman Sacks ha appena sfornato il primo indice globale dei titoli ambientali di alto livello quotati a Wall Street, indice condiviso da tutte le maggiori banche d’affari «per attirare fondi d’investimento e sistemi pensionistici statali». Anche Tino Oldani, su “Italia Oggi”, prende nota dell’inchiesta di un veterano dell’indagine geopolitica come William Engdahl, rinomato analista statunitense e autore di bestseller sulle “guerre del petrolio”. Dirompente, il reportage sul business-Greta che Engdall ha pubblicato sul newsmagazine canadese “Global Research”, diretto dall’economista Michel Chossudovsky. «Il fallimento della conferenza Cop 25 di Madrid sul clima non deve stupire più di tanto», premette Oldani su “Italia Oggi”. «Ormai, dietro le divisioni tra gli Stati non ci sono soltanto le profonde divergenze di interessi sul divieto progressivo dei combustibili fossili, ma anche il proliferare sul web di studi contrari al mainstream mediatico sulla cosiddetta emergenza climatica». Proprio alla vigilia del vertice di Madrid, ha fatto irruzione su “Global Research” l’indagine di Engdhal, che dall’alto dei suoi 75 anni, «citando nomi e fatti precisi», espone la sua tesi clamorosa. Eccola: «La grande finanza mondiale, alleata per l’occasione con l’Onu e l’Unione Europea, si starebbe servendo in modo cinico di Greta Thunberg come icona mediatica per creare allarmismo sul riscaldamento climatico provocato dall’uomo».Global warming di origine antropica? Solo fake news, per Engdhal, diffuse a tappeto in modo globale con uno scopo preciso: «Innescare di conseguenza il business più redditizio dei prossimi decenni, il cosiddetto Green New Deal, la rivoluzione dell’economia verde». Il tutto, sintetizza Oldani, con un piano di investimenti per oltre 100 trilioni di dollari, da raccogliere con massicce emissioni di obbligazioni speculative. Ovvero: «Fondi da riversare, mediante il credito, sulle nuove imprese climatiche, anche a prescindere dal loro effettivo valore e know-how». Tutto questo, ovviamente, «a scapito dei settori dell’economia “colpevoli” di inquinare, e con duri sacrifici per milioni di lavoratori e consumatori, ma enormi profitti per gli istituti finanziari che hanno sposato questo business». Oldani riassume bene il vasto studio di Engdall. Sono due gli uomini chiave di questa “agenda verde mondiale”: il banchiere inglese Mark Carney, 54 anni, capo della Banca d’Inghilterra, e l’ex vicepresidente Usa Al Gore, 71 anni, vice di Bill Clinton (1993-2001), da sempre ambientalista, oggi ricco presidente del gruppo Generation Investment, impegnato negli investimenti a lungo termine sulla sostenibilità ambientale.Carney, sostiene Engdhal, è stato «la mente finanziaria dell’intero progetto mondiale». Nel dicembre 2015, il Financial Stability Board della Banca dei Regolamenti Internazionali (Bri), presieduto da Carney, ha creato una task force sulla divulgazione finanziaria legata al clima (Tcfd) per «consigliare investitori, finanziatori e assicurazioni sui rischi legati al clima». Nel 2016 questa task force si è attivata: è composta da 31 banchieri nominati dalla Bri e presieduta dal finanziere Michael Bloomberg, ora in corsa per le primarie Usa con i democratici. Insieme alla City of London Corporation e al governo del Regno Unito, ha avviato la Green Finance Initiative, con la missione di pilotare trilioni di dollari in investimenti verdi. «Tra i primi ad aderire, il principe Carlo, futuro re d’Inghilterra, che insieme alla Bank of England e alla City of London ha promosso i Green Bonds». Cosa sono? Si tratta di «strumenti finanziari verdi», studiati per «reindirizzare piani pensionistici e fondi comuni d’investimento verso progetti verdi». In pratica, aggiunge Oldani citando Engdall, «la task force ideata da Carney costituisce la cabina di regia e include i rappresentanti dei maggiori operatori finanziari del pianeta». Ci sono tutti: da Jp Morgan a BlackRock, «uno dei più grandi gestori di patrimoni del mondo».Questa ricostruzione di Engdhal, precisa sempre Oldani, trova conferma nel libro bianco “Strategia di finanza verde”, pubblicato nel luglio scorso da Philip Hammond, ex premier britannico, dove si afferma che l’iniziativa «supportata da Carney e presieduta da Bloomberg» è stata «approvata da istituzioni che rappresentano 118 trilioni di dollari di attività a livello globale». Il piano, sostiene l’analista Usa, consiste nella finanziarizzazione dell’intera economia mondiale «usando la paura di uno scenario da fine di mondo per raggiungere obiettivi arbitrari come le emissioni zero di gas serra». Più avanti si legge: «Gli eventi assumono una svolta cinica quando ci troviamo di fronte ad attivisti climatici molto popolari e fortemente promossi, come Greta Thunberg o la 29enne Alexandra Ocasio-Cortez di New York e il loro Green New Deal». Chiarisce Engdahl: «Per quanto sinceri possano essere questi attivisti, c’è una macchina finanziaria ben oliata dietro la loro promozione a scopo di lucro». In altre parole: con la scusa del “green”, a centinaia di milioni di persone verranno proposti prodotti finanziari che di “verde” non hanno nulla. A questo, sostiene Engdahl, servirà la faccia pulita dell’inconsapevole Greta Thunberg.Che affarone, Greta Thunberg: Goldman Sacks ha appena sfornato il primo indice globale dei titoli ambientali di alto livello quotati a Wall Street, indice condiviso da tutte le maggiori banche d’affari «per attirare fondi d’investimento e sistemi pensionistici statali». Anche Tino Oldani, su “Italia Oggi“, prende nota dell’inchiesta di un veterano dell’indagine geopolitica come William Engdahl, rinomato analista statunitense e autore di bestseller sulle “guerre del petrolio”. Dirompente, il reportage sul business-Greta che Engdall ha pubblicato sul newsmagazine canadese “Global Research”, diretto dall’economista Michel Chossudovsky. «Il fallimento della conferenza Cop 25 di Madrid sul clima non deve stupire più di tanto», premette Oldani su “Italia Oggi”. «Ormai, dietro le divisioni tra gli Stati non ci sono soltanto le profonde divergenze di interessi sul divieto progressivo dei combustibili fossili, ma anche il proliferare sul web di studi contrari al mainstream mediatico sulla cosiddetta emergenza climatica». Proprio alla vigilia del vertice di Madrid, ha fatto irruzione su “Global Research” l’indagine di Engdhal, che dall’alto dei suoi 75 anni, «citando nomi e fatti precisi», espone la sua tesi clamorosa. Eccola: «La grande finanza mondiale, alleata per l’occasione con l’Onu e l’Unione Europea, si starebbe servendo in modo cinico di Greta Thunberg come icona mediatica per creare allarmismo sul riscaldamento climatico provocato dall’uomo».
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Altro che clima: Greta Thunberg vale 100 trilioni di dollari
Seriamente: Greta Thunberg vale 100 trilioni di dollari. Lo afferma William Engdahl, analista geopolitico e docente di rischio strategico. Laureatosi a Princeton, Engdahl è autore di bestseller su temi come le guerre del petrolio, e scrive in esclusiva “New Eastern Outlook”. Su “Global Research”, il newsmagazine dell’economista canadese Michel Chossudovsky, Engdahl aggiorna la mappa del mostruoso business planetario che sta dietro alla ragazzina svedese, usata per creare allarmismo attorno al surriscaldamento climatico, “venduto” come prodotto umano. Passo successivo: innescare il business del secolo, il cosiddetto Green New Deal, pilotato dal gotha finanza mondiale. Il piano: riversare trilioni di dollari «verso investimenti in società “climatiche” spesso senza valore». Nel 2013, dopo anni di attenta preparazione, una società immobiliare svedese, Vasakronan, ha emesso il primo “Green Bond” aziendale. Ne sono seguiti altri, promossi da Apple, Sncf e la principale banca francese, Crédit Agricole. Nel novembre 2013 la Tesla Energy ha emesso il primo sistema di sicurezza “solare”. «Oggi, secondo una cosa chiamata Climate Bonds Initiative, oltre 500 miliardi di dollari in quelle obbligazioni verdi sono eccezionali. I creatori dell’idea obbligazionaria – scrive Engdahl – affermano che il loro obiettivo è quello di conquistare una quota importante dei 45 trilioni di dollari di attività gestite a livello globale che hanno preso l’impegno nominale di investire in progetti “climatici”».Bonnie Prince Charles, futuro “monarca” del Regno Unito, insieme a Bank of England e City of London ha promosso “strumenti finanziari verdi”, guidati da Green Bonds, «per reindirizzare piani pensionistici e fondi comuni di investimento verso progetti verdi». Un attore chiave nel collegamento delle istituzioni finanziarie mondiali con l’agenda verde è Mark Carney, capo uscente della Banca d’Inghilterra. Nel dicembre 2015, il Financial Stability Board della Bank for International Settlements, presieduto poi da Carney, ha creato la task force sulla divulgazione finanziaria legata al clima (Tcfd), per consigliare «investitori, finanziatori e assicurazioni sui rischi legati al clima». Nel 2016, continua Engdahl, il Tcfd (insieme alla City of London Corporation e al governo del Regno Unito) ha avviato la Green Finance Initiative, con l’obiettivo di incanalare trilioni di dollari in investimenti “verdi”. I banchieri centrali dell’Fsb hanno nominato 31 persone per formare il Tcfd. Presieduta dal miliardario Michael Bloomberg, la cabina di regia include le persone chiave dei maggiori operatori finanziari del pianeta. Ci sono tutti: da Jp Morgan a BlackRock, uno dei più grandi gestori patrimoniali al mondo.Nell’elenco giganteggiano Barclays e Hsbc, la banca Londra-Hong Kong (multata ripetutamente per riciclaggio di droga e altri fondi neri), Swiss Re (la seconda assicurazione più grande al mondo), la banca cinese Icvc, Tata Steel, Eni, Dow Chemical, il gigante minerario Bhp Billington e David Blood di Al Gore’s Generation Investment. «In effetti sembra che le volpi stiano scrivendo le regole per il nuovo Green Hen House», annota Engdahl. «Carney, della Bank of England, è stato anche un attore chiave negli sforzi per rendere la City di Londra il centro finanziario della Green Finance globale». Philip Hammond, già cancelliere britannico, nel luglio 2019 ha pubblicato un Libro bianco, “Strategia di finanza verde: trasformare la finanza per un futuro più verde”. Il documento afferma: «Una delle iniziative più influenti da far emergere è il Financial Stability Board Task Force del settore privato sulle comunicazioni finanziarie legate al clima (Tcfd), supportato da Mark Carney e presieduto da Michael Bloomberg. Ciò è stato approvato dalle istituzioni che rappresentano 118 trilioni di attività a livello globale». Il piano, spiega Engdahl, consiste nella finanziarizzazione dell’intera economia mondiale «usando la paura di uno scenario da fine del mondo per raggiungere obiettivi arbitrari come “emissioni zero di gas serra”».L’onnipresente regina di Wall Street, Goldman Sachs, che ha generato tra gli altri Mario Draghi e lo stesso Carney, ha appena svelato il primo indice globale di titoli ambientali di alto livello, fatto insieme al Cdp con sede a Londra, finanziato insieme a investitori come Hsbc, Jp Morgan, Bank of America, Merrill Lynch, American International Group e il fondo State Street. Il nuovo indice borsistico, denominato Cdp Environment Ew e Cdp Eurozone Ew, «mira ad attirare fondi di investimento, sistemi pensionistici statali come Calpers (il sistema pensionistico dei dipendenti pubblici della California) e Calstrs (il sistema pensionistico degli insegnanti dello Stato della California) con un combinato di 600 miliardi di attività, da investire in obiettivi scelti con cura. Le società più votate nell’indice includono Alphabet, che possiede Google, Microsoft, Ing Group, Diageo, Philips, Danone e la stessa Goldman Sachs. «A questo punto – continua Engdahl – gli eventi assumono una svolta cinica quando ci troviamo di fronte ad attivisti climatici molto popolari e fortemente promossi come la svedese Greta Thunberg o la 29enne Alexandria Ocasio-Cortez di New York e il loro Green New Deal. Per quanto sinceri possano essere questi attivisti, c’è una macchina finanziaria ben oliata dietro la loro promozione a scopo di lucro».Greta Thunberg, continua Engdahl, «fa parte di una rete ben collegata legata all’organizzazione di Al Gore», che viene «commercializzata in modo cinico e professionale e utilizzata da agenzie come le Nazioni Unite, la Commissione Europea e gli interessi finanziari dietro l’attuale agenda sul clima». Ricercatrice e attivista climatica canadese, Cory Morningstar documenta come in azione «una rete ben collegata ad Al Gore», definito «investitore e profittatore del clima enormemente ricco», presidente del gruppo Generation Investment. Il partner di Gore, David Blood, ex funzionario di Goldman Sachs, è membro del Tcfd creato dalla Banca dei Regolamenti Internazionali. «Greta Thunberg, insieme alla sua amica diciassettenne americana Jamie Margolin, è stata elencata come “consulente speciale per giovani e fiduciario” della Ong svedese “We Don’t Have Time”, fondata dal suo Ceo Ingmar Rentzhog». Rentzhog è membro dei leader dell’Organizzazione per la Realtà Climatica di Al Gore, e fa parte della task force per la politica climatica europea. È stato “addestrato” nel marzo 2017 da Al Gore a Denver e di nuovo nel giugno 2018 a Berlino. Il Progetto per la Realtà Climatica di Al Gore è partner di “We Don’t Have Time”.«I legami tra i più grandi gruppi finanziari del mondo, le banche centrali e le società globali all’attuale spinta a una strategia climatica radicale per abbandonare l’economia dei combustibili fossili a favore di un’economia verde vaga e inspiegabile, a quanto pare, valgono assai più della genuina preoccupazione di rendere il nostro pianeta un ambiente pulito e sano in cui vivere». Piuttosto, scrive Engdahl, quello degli “amici” di Greta è un programma di business intimamente legato all’Agenda 2030 dell’Onu, vocata all’economia “sostenibile” («e allo sviluppo letteralmente di trilioni di dollari di nuova ricchezza per le banche globali e i giganti finanziari»). Nel febbraio 2019, Jean-Claude Juncker accolse Greta alla Commissione Europea, fingendo di impegnarsi per il clima sulla scorta della denuncia della ragazzina. In realtà, spiega Engdahl, le «centinaia di miliardi di euro per combattere i cambiamenti climatici nei prossimi 10 anni» erano già in cantiere: decisione presa in collaborazione con la Banca Mondiale un anno prima, il 26 settembre 2018, al vertice di One Planet con le fondazioni di Bloomberg. Greta serviva solo come paravento etico per il business finanziario che usa il “green” per rastrellare fondi e lanciare prodotti speculativi.Il 17 ottobre 2018, aggiunge Engdahl, Juncker ha firmato un memorandum d’intesa con Breakthrough Energy-Europe, in cui i partner «avranno accesso preferenziale a qualsiasi finanziamento». Nel club figurano Richard Branson di Virgin Air, Bill Gates, Jack Ma di Alibaba, Mark Zuckerberg di Facebook, Ray Dalio di Bridgewater. Ancora: Julian Robertson (Tiger Management) e poi David Rubenstein (Carlyle Group), nonché George Soros e il giapponese Masayoshi Son (Softbank). Avverte Engdahl: «Quando le multinazionali più influenti, i maggiori investitori istituzionali del mondo tra cui BlackRock e Goldman Sachs, le Nazioni Unite, la Banca Mondiale, la Banca d’Inghilterra e altre banche centrali della Bri si schierano dietro il finanziamento di una cosiddetta “agenda verde”, è tempo di guardare dietro la superficie delle campagne degli attivisti del clima». Quello che emerge è il tentativo di riorganizzare la finanza mondiale usando il clima come pretesto. Allarme: vogliono «cercare di convincere la gente comune a compiere sacrifici indicibili per “salvare il pianeta”». Già nel 2010, il capo dell’Ipcc, il gruppo intergovernativo dell’Onu sui cambiamenti climatici, Otmar Edenhofer, ammetteva: «Bisogna dire chiaramente che ridistribuiamo di fatto la ricchezza del mondo in base alla politica climatica». Parole esplicite: «Bisogna liberarsi dall’illusione che la politica internazionale sul clima sia una politica ambientale. Questo non ha quasi più nulla a che fare con la politica ambientale, con problemi come la deforestazione o il buco dell’ozono». Soldi, prima di tutto. Capito, gretini?Seriamente: Greta Thunberg vale 100 trilioni di dollari. Lo afferma William Engdahl, analista geopolitico e docente di rischio strategico. Laureatosi a Princeton, Engdahl è autore di bestseller su temi come le guerre del petrolio, e scrive in esclusiva su “New Eastern Outlook”. Su “Global Research“, il newsmagazine dell’economista canadese Michel Chossudovsky, Engdahl aggiorna la mappa del mostruoso business planetario che sta dietro alla ragazzina svedese, usata per creare allarmismo attorno al surriscaldamento climatico, “venduto” come prodotto umano. Passo successivo: innescare il business del secolo, il cosiddetto Green New Deal, pilotato dal gotha finanza mondiale. Il piano: riversare trilioni di dollari «verso investimenti in società “climatiche” spesso senza valore». Nel 2013, dopo anni di attenta preparazione, una società immobiliare svedese, Vasakronan, ha emesso il primo “Green Bond” aziendale. Ne sono seguiti altri, promossi da Apple, Sncf e la principale banca francese, Crédit Agricole. Nel novembre 2013 la Tesla Energy ha emesso il primo sistema di sicurezza “solare”. «Oggi, secondo una cosa chiamata Climate Bonds Initiative, oltre 500 miliardi di dollari in quelle obbligazioni verdi sono eccezionali. I creatori dell’idea obbligazionaria – scrive Engdahl – affermano che il loro obiettivo è quello di conquistare una quota importante dei 45 trilioni di dollari di attività gestite a livello globale che hanno preso l’impegno nominale di investire in progetti “climatici”».
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Magaldi: tifo Draghi al governo, così saprete chi è davvero
Sobrio, elegante, impeccabile, sempre misurato. Decisamente un profilo “british”, quello di Mario Draghi, «presentato dai media – complici o insipienti – come il nume tutelare dell’Italia in Europa». Falso? Eccome: «Mario Draghi è il principale artefice dell’austerity neoliberista che ha varato la post-democrazia, devastando le nostre economie a cominciare da quella italiana. Per questo, se mai finisse a Palazzo Chigi al posto di Conte, sarei il primo a brindare: alla guida di un governo tecnico, inevitabilmente “lacrime e sangue” come quello di Monti, il “fratello” Draghi sarebbe costretto a gettare la maschera, mostrando finalmente agli italiani il suo vero volto». Parola di Gioele Magaldi, massone progressista e quindi fiero avversario del “controiniziato” Draghi, che si laureò con una tesi – incredibile ma vero – sull’insostenibilità economica di un’eventuale moneta unica europea. Ora è l’imperatore dell’Eurozona. Com’è stato possibile, un simile voltafaccia, considerando che Draghi fu allievo dell’insigne economista keynesiano Federico Caffè? «Semplice: ragioni umanissime di convenienza». Tradotto: soldi e potere, incarichi. Una carriera folgorante.«Anche Bruno Amoroso, da poco scomparso, era stato allievo di Caffè. Ma, a differenza di Draghi, è rimasto fedele al maestro, per tutta la vita, come docente universitario. E così l’altro illustre allievo di Caffè, Nino Galloni, che in più si è impegnato anche nel Movimento Roosevelt», per debellare il cancro neoliberista «che sta strangolando le economie e svuotando le democrazie». Magaldi, che del Movimento Roosevelt è il presidente-fondatore, ha fornito un inedito ritratto del vero Draghi nel bestseller “Massoni”, uscito nel 2014 per Chiarelettere. Attingendo a centinaia di documenti riservati, il saggio rivela che il nostro Super-Mario milita in ben 5 superlogge sovranazionali: le famose Ur-Lodges, che secondo Magaldi reggono i destini del pianeta, “sovragestendo” finanza e governi. In tutto sono 36 potentissime organizzazioni: rimaste invisibili per decenni, fino all’uscita del libro. Quelle in cui milita il “venerabile” Draghi, peraltro, rappresentano l’estrema destra del potere mondiale, a cominciare dalla “Three Eyes” di Kissinger, Rockefeller e Brzezinski che – utilizzando la Trilaterale – nel 1975 lanciò l’attacco finale ai diritti sindacali con il saggio “La crisi della democrazia” affidato a Huntington, Crozier e Watanuki. La tesi: troppa democrazia fa male.Dottrina prontamente applicata, pochi anni dopo, da Reagan e Thatcher: tagliare lo Stato, scatenando la giungla senza regole del mercato globale. A seguire, negli anni ‘90, comparve la post-sinistra riformista, incaricata di smantellare quel che restava dei diritti sociali. Pietra miliare: lo storico gesto di Bill Clinton, che dopo lo scandalo Lewinsky abolì il Glass-Steagall Act, cioè la norma – istituita da Roosevelt mezzo secolo prima – che metteva il credito ordinario al riparo dalla lotteria di Wall Street. A ruota, fu l’inglese Tony Blair (l’uomo che si inventò le “armi di distruzione di massa” di Saddam) a spiegare alla sinistra europea che doveva tradire se stessa, adottando il dogma neoliberista. Qualcosa di orribile, intanto, si era già messo in moto anche in Italia, sotto i colpi di Tangentopoli. Nino Galloni era stato chiamato da Andreotti come super-consulente, per limitare i danni che il Trattato di Maastricht avrebbe inferto all’Italia. «Fu lo stesso cancelliere Kohl – ricorda Galloni – a chiedere il mio allontanamento: tutelando l’Italia, ostacolavo le mire della Germania, che aveva accettato di entrare nell’Eurozona, su richiesta della Francia, solo in cambio della deindustrializzazione forzata del nostro paese, massimo concorrente della manifattura tedesca».E dov’era, in quegli anni fatidici, l’altro allievo del professor Caffè? Al ministero del Tesoro. E il 2 giugno 1992, a pochi giorni dalla morte di Giovanni Falcone, Mario Draghi salì a bordo del panfilo Britannia ormeggiato a Civitavecchia, dove il gotha della finanza mondiale stava progettando il saccheggio del Belpaese, ormai indifeso, crollato sotto i colpi dell’azione demolitrice di Mani Pulite. Da quel momento, Draghi dimenticò per sempre Federico Caffè. Dal suo ministero, diresse la più spietata campagna di privatizzazioni mai condotta in Europa. Anni dopo, Massimo D’Alema – altro massone neoconservatore, esponente della “terza via” che prese il posto della sinistra – si vantò di aver trasformato Palazzo Chigi in una “merchant bank”, realizzando il record europeo delle privatizzazioni. Anche per questo, oggi, l’Italia è in bolletta. Un capolavoro della massoneria neoaristocratica, avviato dallo storico divorzio fra il Tesoro e Bankitalia e completato dall’avvento dell’euro, moneta affidata in esclusiva al potere privatistico della Bce, al di sopra dei governi. Da allora, crisi su crisi. Ed è proprio sulle macerie dell’Italia – recessione, disoccupazione, precarietà crescente, erosione dei risparmi, fuga dei capitali e fine di ogni sicurezza – che il giovane Draghi è diventato Super-Mario. Più l’Italia affondava, più il suo potere cresceva.Un’ascesa irresistibile: prima advisor della Goldman Sachs, la banca più speculativa del pianeta, poi governatore della Banca d’Italia e infine presidente della Bce, passando per la potentissima Banca dei Regolamenti Internazionali (e per il Financial Stability Board, per la Banca Mondiale e per l’Adb, la Banca Asiatica di Sviluppo). Ora, a novembre, Draghi dovrà lasciare l’Eurotower di Francoforte. Il suo primo obiettivo? Sostituire Christine Lagarde, alla guida del Fmi. Meta ambiziosa ma difficile da conquistare. E così, c’è chi preme perché Super-Mario si impegni in Italia, “normalizzando” l’unico governo europeo che abbia osato sfidare – almeno a parole – i diktat di Bruxelles. Magaldi conferma: «La massoneria reazionaria, a cui appartiene, sta premendo su Draghi perché ripeta l’esperienza di Monti. Ma Draghi punta al Quirinale, dopo Mattarella. E sa benissimo che governare il paese oggi, mentre la crisi economica si sta aggravando in modo vertiginoso, sarebbe un pessimo viatico per la presidenza della Repubblica».Retroscena gustosi, quelli offerti da Magaldi in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. «Draghi non è sprovveduto come Monti, il cui ego smisurato lo portò a credere che fossero sinceri i giornali che lo elogiavano: arrivò infatti a creare una propria formazione politica, “Scelta Civica”, contro il parere dei suoi due grandi sponsor, Napolitano e Draghi». Il piano iniziale era diverso: Monti doveva continuare a sembrare un tecnico super partes, per poi puntare al Colle. Invece non resistette alla tentazione di gettarsi nella mischia, con esiti elettorali ben miseri. Un uomo bruciato: oggi detestato come premier-macellaio, e in più bollato come politico fallito. «Proprio per questo, il ben più accorto Draghi farà di tutto per evitare di finire a Palazzo Chigi: sa perfettamente che la situazione italiana peggiorerà in modo disastroso». Dettaglio: perché è stato Berlusconi a fare apertamente il nome di Draghi come possibile premier, dopo Conte, ben sapendo che fu proprio Super-Mario (insieme a Napolitano) a detronizzarlo in modo brutale, nel 2011? «Solo per un motivo ingenuamente inconfessabile», spiega Magaldi: «Berlusconi spera ancora che Draghi lo introduca finalmente nell’élite massonica internazionale, da cui è finora rimasto escluso. E in questo, Berlusconi rivela un candore infantile quasi commovente».Certo, il Cavaliere sa esattamente chi sia, il “venerabile” Draghi, vero e proprio pezzo da novanta nella più esclusiva aristocrazia supermassonica mondiale, tra i santuari dell’ultra-destra economica. Nella “Three Eyes” è in compagnia dell’anziano Kissinger e dello stesso Napolitano, del greco Antonis Samaras, di Madeleine Albright e Condoleezza Rice, nonché degli italiani Gianfelice Rocca, Marta Dassù, Giuseppe Recchi, Enrico Tommaso Cucchiani, Carlo Secchi, Federica Guidi. Nella “Compass Star-Rose / Rosa Stella Ventorum”, Draghi incontra personaggi come l’ex premier francese Manuel Valls e gli italiani Massimo D’Alema, Vittorio Grilli e Pier Carlo Padoan. Nella “Edmund Burke”, con Draghi, siedono Blair e gli ex ministri Fabrizio Saccomanni e Domenico Siniscalco, insieme a Matteo Arpe e soprattutto Ignazio Visco, governatore di Bankitalia. In altre parole: il potere, quello vero. Draghi milita anche nella superloggia “Der Ring” insieme al terribile Wolfgang Schäuble, a Jean-Claude Trichet (già a capo della Bce), a Jens Weidmann della Bundesbank. Poi c’è la quinta Ur-Lodge di Super-Mario, la “Pan-Europa”, dove svettano Nicolas Sarkozy e la stessa Lagarde, lo spagnolo Mariano Rajoy e il portoghese José Manuel Barroso, il finlandese Olli Rehn (e un bel po’ di italiani: da Padoan a D’Alema, da Alfredo Ambrosetti a Emma Marcegaglia).Altro da aggiungere? Certo: il Gruppo dei Trenta. Teoricamente, stando a Wikipedia, è solo «un’organizzazione internazionale di finanzieri e accademici che si occupa di approfondire questioni economiche e finanziarie esaminando le conseguenze delle decisioni prese nei settori pubblico e privato». Tra i “filantropi” del Group of Thirty, insieme a Super-Mario, siedono lo stesso Trichet insieme al falco neoliberista Paul Volcker (alla Fed con Reagan) e a Timothy Geithner, il ministro di Obama che “graziò” Wall Street dopo il crack del 2008. Ci sono anche Mervyn King, a capo della Bank of England fino al 2013, Larry Summers (mente neoliberista di Clinton) e persino Kenneth Rogoff, il professore di Harvard che si coprì di ridicolo con la teoria della mitica “austerity espansiva” (più taglio, più l’economia cresce), rivelatasi poi basata – oltre che sulla menzogna – anche su calcoli statistici comicamente errati. Questa è l’olimpica tribuna da cui Mario Draghi, l’uomo più potente d’Europa, ha potuto infliggere alla Grecia il calvario del rigore che ha sventrato il paese, determinando la “strage dei neonati”, morti per assenza di cure sanitarie a causa della crisi, come ammesso dallo stesso Federico Fubini, vicedirettore del “Corriere della Sera”.Una Norimberga per i crimini economici, che poi diventano massacri sociali? Impensabile: «Il presidente della Bce, da statuto, gode di assoluta impunità: non è perseguibile», spiega Magaldi, che in passato ha ripetutamente accusato Draghi per il disastro del Montepaschi, inclusa la tragica morte di David Rossi, dirigente della banca senese precipitato da una finestra del suo ufficio. Il problema, a monte? Omessa vigilanza, sostiene Magaldi, da parte di Bankitalia, nel momento in cui a Mps fu “ordinato” di procedere con manovre spericolate, proibitive per la banca. Draghi, all’epoca, era il governatore della Banca d’Italia. E la funzionaria che avrebbe dovuto proteggere il Monte dei Paschi, Anna Maria Tarantola, è stata poi “premiata” da Monti, con un incarico dirigenziale alla Rai. Sta davvero per tornare in cartellone il teatro dell’orrore dei governi “tecnici”, incaricati di devastare l’Italia con un’overdose di austerità? Teoricamente possibile, vista la bancarotta politica dei gialloverdi, che avevano promesso di rovesciare il tavolo europeo mettendo fine all’impostura del rigore presentato come ricetta salvifica per l’economia. Il peccato originale? Aver rinunciato a Paolo Savona al ministero dell’economia, subendo il “niet” di Mattarella «ispirato direttamente da Draghi attraverso l’altro suo terminale italiano, Ignazio Visco di Bankitalia».Senza più Savona, la vertenza con Bruxelles è finita prima di cominciare: non è stato difficile convincere Giovanni Tria a rinunciare al 2,4% di deficit. Una catastrofe: «L’Italia – sostiene Magaldi – doveva battere i pugni per rivendicare un deficit ben maggiore, anche superiore al tetto del 3% sancito arbitrariamente da Maastricht». Cosa sarebbe cambiato? «Un deficit di almeno il 4% avrebbe rilanciato economia e lavoro facendo crescere il Pil, e quindi riducendo l’incidenza del debito pubblico». Ma peggio: «Il governo Conte – aggiunge Magaldi – non ha neppure preso il considerazione la proposta di Nino Galloni per l’emissione di moneta statale parallela, non a debito, consentita dal Trattato di Lisbona: liquidità a costo zero, che avrebbe permesso di risollevare subito le sorti dell’occupazione». Risultato: gli indicatori economici – come prevedibile – crollano. E i gialloverdi non trovano di meglio che farsi la guerra, per tentare di salvarsi la faccia alla vigilia delle europee. Il peggiore in campo? «Di Maio, che ha preteso lo scalpo di Armando Siri: non un uomo a caso, ma l’ispiratore della Flat Tax (che proprio ora stava mettendo a punto, come misura destinata a restituire un po’ di ossigeno al paese)».Certo, non ne azzecca più una neppure Salvini: «Anziché combattere per l’Italia a Bruxelles, il leader della Lega se la prende coi negozi di cannabis terapeutica», inventandosi campagne demenziali. Mala tempora currunt. Cosa aspettarsi? «Il regalo più bello – dice Magaldi – sarebbe proprio ritrovarsi Draghi a Palazzo Chigi: finalmente gli italiani capirebbero chi è davvero, Super-Mario, e di che pasta è fatto il neoliberismo finto-europeista che ha costantemente peggiorato le condizioni del paese». Draghi o meno, sarebbe comunque una catastrofe: «Se il Movimento 5 Stelle accetterà di sostenere un governo di tecnocrati – ragiona Magaldi – completerà l’opera di auto-demolizione alla quale si sta dedicando da tempo». Facile profezia: i voti grillini sarebbero azzerati. «Se poi l’eventuale governo tecnico fosse sostenuto dai 5 Stelle insieme a Forza Italia e al Pd di Zingaretti, in una grande ammucchiata, saremmo alle comiche finali». Rovescio della medaglia: «Non si salverebbe nessuno». Tabula rasa della politica italiana: fine degli equivoci, via i partiti-zavorra. Non riuscirebbero a giustificare lo sfacelo: tagli sanguinosi, crollo ulteriore del potere d’acquisto, tosatura delle pensioni. E magari pure una patrimoniale sulla casa.Uno scenario da incubo, ma non esattamente fantapolitico: perché – senza l’iniezione di un deficit robusto – la situazione dei conti pubblici sta peggiorando, insieme all’economia, come volevasi dimostrare. E non siamo più nel 2011: la società italiana si è impoverita in modo vistoso. Tanto peggio, tanto meglio? In un certo senso, sostiene Magaldi, sarà proprio la drammatica durezza dell’evidenza ad aprire finalmente gli occhi degli italiani: mettete Draghi a Palazzo Chigi, e la tempesta arriverà prima. Magaldi resta ostinatamente ottimista. «Per smantellare il sistema neoliberista – dice – bisogna partire dall’Europa. E in Europa, l’unico paese in cui questo può accadere è proprio l’Italia». La massoneria progressista, aggiunge Magaldi, aveva giocato in prima battuta la carta francese, con Hollande. «Ma il presidente socialista si è lasciato intimidire: doveva rompere col rigore, invece poi si è allineato alla Merkel». Alle ultime elezioni, la piramide ordoliberista – in cui proprio Draghi ha un ruolo preminente – ai francesi ha proposto Macron, diretta emanazione dei superpoteri opachi e reazionari. Problema: «Gli è opposto la sola Marine Le Pen, che – dato il suo impianto ideologico preoccupante – è lo sfidante che chiunque vorrebbe, perché votato alla sconfitta».Come agisce, il circuito massonico progressista di cui parla Magaldi, e nel quale milita? Anche con iniziative clamorose: «La rivolta dei Gilet Gialli è stata progettata dalla massoneria progressista per ostacolare Macron e, soprattutto, aiutare – a distanza – il governo gialloverde alle prese con la disputa con Bruxelles sul deficit. Ma a Roma se la sono fatta sotto: il segnale l’hanno colto, ma non hanno osato approfittarne». E se la Francia resta tuttora politicamente bloccata – coi Gilet Gialli che demoliscono il consenso di Macron ma non si traducono in un’alternativa elettorale – non resta che il Belpaese, per ritentare di “smontare” l’europeismo di facciata che sta trasformando la Disunione Europea in un campo di battaglia tra governi che si combattono l’un l’altro. Se un super-eurocrate come Draghi arrivasse davvero a Palazzo Chigi, insiste Magaldi, tutto si chiarirebbe più velocemente. Per esempio: com’è possibile subire i diktat di una cupola tecnocratica, asservita a interessi privati, non legittimata neppure da una Costituzione democratica? In altre parole: «Perché mai votare, alle europee del 26 maggio, già sapendo che non sarà l’Europarlamento a eleggere la Commissione?». E poi: «Perché accettare, ancora, che un paese come l’Italia sprofondi nella crisi perché non ha potuto fare gli investimenti necessari, mediante il deficit?». E inoltre: «Chi l’ha detto che l’euro debba essere gestito in eterno dai banchieri della Bce, al di sopra dei governi democraticamente eletti?».Sono i temi sui quali lavora il Movimento Roosevelt. Obiettivo: demolire le menzogne del dogma neoliberista, truccate da scienza economica, in nome delle quali l’ex quinta potenza industriale del mondo è oggi ridotta a mendicare prestiti. «Serve una rivoluzione culturale profonda, che smascheri definitivamente la narrazione bugiarda del neoliberismo, tuttora contrabbandata dai grandi media». Super-Mario a capo del governo? «Sarebbe un regalo fantastico: tutti, finalmente, capirebbero da che parte stare». E se i 5 Stelle sembrano avviarsi verso la più incresciosa delle auto-rottamazioni, la stella di Salvini si sta rapidamente oscurando: il solo caso Siri, sondaggi alla mano, sembra aver già messo fine ai sogni di gloria della Lega. «Viviamo tempi imprevedibili, tutto è in rapida evoluzione: nel giro di pochi mesi, Renzi è passato dal 40% all’irrilevanza assoluta». Magaldi propone una data simbolica, quella della Presa della Bastiglia: il 14 luglio, a Roma – annuncia – nascerà ufficialmente il “Partito che serve all’Italia”. Missione: «Restituire agli italiani la perduta sovranità democratica, dopo il tramonto delle speranze suscitate dai gialloverdi». Attenzione: tutti stanno guardando all’Italia, anche se forse gli italiani non se ne sono accorti. E’ come se sapessero, amici e nemici, che l’euro-imbroglio potrebbe essere “smontato” proprio dal Belpaese.Sobrio, elegante, impeccabile, sempre misurato. Decisamente un profilo “british”, quello di Mario Draghi, «presentato dai media – complici o insipienti – come il nume tutelare dell’Italia in Europa». Falso? Eccome: «Mario Draghi è il principale artefice dell’austerity neoliberista che ha varato la post-democrazia, devastando le nostre economie a cominciare da quella italiana. Per questo, se mai finisse a Palazzo Chigi al posto di Conte, sarei il primo a brindare: alla guida di un governo tecnico, inevitabilmente “lacrime e sangue” come quello di Monti, il “fratello” Draghi sarebbe costretto a gettare la maschera, mostrando finalmente agli italiani il suo vero volto». Parola di Gioele Magaldi, massone progressista e quindi fiero avversario del “controiniziato” Draghi, che si laureò con una tesi – incredibile ma vero – sull’insostenibilità economica di un’eventuale moneta unica europea. Ora è l’imperatore dell’Eurozona. Com’è stato possibile, un simile voltafaccia, considerando che Draghi fu allievo dell’insigne economista keynesiano Federico Caffè? «Semplice: ragioni umanissime di convenienza». Tradotto: soldi e potere, incarichi. Una carriera folgorante.
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Ma Greta è antica come Malthus, l’infelice profeta dell’élite
Siamo stati “creati” da antiche divinità o invece “fabbricati” dagli Elohim biblici come Yahvè, dunque “clonati” da entità forse extraterrestri? L’unica certezza è che, intanto, siamo qui a giocarcela: sta a noi provare a raddrizzare il mondo, anzitutto cercando di scoprire come ci siamo capitati. La teoria dell’evoluzione? Non spiega tutto, neppure quella. Ma viene usata nel modo peggiore, da chi ha rimpiazzato la Bibbia con Darwin per instaurare una nuova dominazione, quella del forte che prevale sul debole, con l’alibi della selezione naturale. Bisogna che qualcuno lo spieghi, alla giovanissima attivista svedese Greta Thunberg, trasformata in icona planetaria della mobilitazione culturale contro il cambiamento climatico, presentato come calamitoso prodotto delle sole, irresponsabili attività umane. Tutto comincia alla fine del ‘700 con l’economista e demografo inglese Thomas Robert Malthus: nel suo “Saggio sul principio della popolazione e i suoi effetti sullo sviluppo futuro della società”, Malthus sostiene che l’incremento demografico produrrà penuria di cibo, dato che l’umanità – questa la sua tesi – cresce più in fretta della disponibilità di alimenti. Vero o falso?Rigido pastore anglicano, Malthus raccomandava il controllo delle nascite, mediante il ricorso alla “castità”. Oggi la popolazione mondiale è esplosa: siamo sette miliardi e mezzo, eppure buttiamo via il 43% del cibo e dei beni che produciamo. Non siamo mai stati così ricchi, eppure ci stiamo impoverendo. Cosa manca? Non le risorse, ma la loro ragionevole distribuzione, se è vero che 800 milioni di persone soffrono la fame. Malthus non poteva sospettare che saremmo stati così abili nel rivoluzionare i mezzi di produzione con la tecnologia, riducendo in modo impensabile il consumo proporzionale delle materie prime. Dieci anni fa, l’allarmismo ecologista evocava l’incubo del “picco del petrolio”, di cui non si parla più dopo che sono stati scoperti immensi giacimenti. Scienziati russi sostengono che il petrolio non sia affatto una risorsa non rinnovabile, ma che si generi costantemente in tempi rapidi. Carlo Rubbia, Premio Nobel per la Fisica, avverte che la Terra negli ultimi anni si sta addirittura raffreddando. Quanto alla CO2, responsabile solo in minima parte dell’effetto serra, Rubbia propone di risolvere il problema attingendo alla nuovissima tecnologia che permette di usare il gas naturale a impatto zero, senza alcun residuo di anidride carbonica.La verità più scomoda di tutte, spiega l’economista Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt, è che nel secolo scorso siamo definitivamente usciti dal paradigma della scarsità: al punto da svincolare la moneta dalla zavorra del “gold standard”, il valore dell’oro – metallo prezioso perché raro – imposto come limite per evitare l’inflazione, cioè l’eccesso di valuta circolante rispetto alla quantità di merci disponibili. «Si assaltavano i forni perché mancava il pane, non essendovi abbastanza grano. Scenari oggi impensabili, impossibili – dice Galloni, su “ByoBlu” – perché la scarsità è stata storicamente sconfitta». Tranne che per un aspetto: la moneta. E’ detenuta da pochi, ed elargita col contagocce per nutrire l’usura finanziaria, da cui derivano le attuali sofferenze sociali. Ecco il punto, sottolinea Gioele Magaldi, che del Movimento Roosevelt è il presidente: è sempre meglio pesare con cautela le parole di chi predica sciagure imminenti. Non che l’atmosfera terrestre non sia fortemente alterata, o che quella dell’ecologia non sia una reale emergenza. Ma siamo sicuri che la soluzione sia proprio il freno ai consumi (cioè il taglio del welfare e del benessere diffuso) anziché invece, anche qui, l’acceleratore esponenziale della tecnologia, che poi è quello che ci ha permesso – in barba a Malthus – di crescere dieci volte tanto, imparando a produrre a bassissimo costo quantità immense di beni e merci, che infatti finiamo per gettare nella spazzatura?Beninteso, sappiamo perfettamente che le risorse dell’ecosistema-Terra non sono illimitate, precisa Magaldi, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. Ma siamo certi che sia davvero la piccola Greta a doverci spiegare dove stia, esattamente, il punto di non ritorno, ammesso che esista? Un consiglio: la problematica ecologica, a partire dall’inquinamento generato dalle fonti energetiche “sporche” come il petrolio e il carbone, è materia complessa: «Forse è il caso di adottare un approccio un po’ più serio». Le manifestazioni di massa? «Fa piacere vedere l’impegno di tanti giovani». Ma il punto è un altro: c’è qualche proposta precisa, sul tappeto, che non sia la decrescita infelice del 99% dell’umanità, a fronte dell’imperterrita super-crescita (felicissima) dell’élite planetaria che ha innescato tutti i nostri disastrosi squilibri, sociali e ambientali, fino a imbarcare disperati su carrette del mare verso le nostre coste? Tutti migranti che poi scoprono, amaramente, che in Italia e in Europa oggi si vive molto peggio di vent’anni fa, essendo scomparsa la mobilità sociale su cui era basata la grande prosperità di un intero continente, alimentata anche dalla scandalosa razzia coloniale a spese della stessa Africa.Quello che Greta non sa, probabilmente, è che il baby-retropensiero di cui è imbevuta non è attuale, è addirittura antico. Un presupposto ideologico completamente sbagliato, smentito nel modo più clamoroso già nell’800 dal filosofo statunitense Ralph Waldo Emerson, che scrisse: «Affermando che le bocche si moltiplicano geometricamente e il cibo solo aritmeticamente, Malthus dimenticò che la mente umana era anch’essa un fattore nell’economia politica, e che i crescenti bisogni della società sarebbero stati soddisfatti da un crescente potere di invenzione». E’ per questo, in fondo, che siamo ancora qui, e che siamo così tanti. Vogliamo dichiararci sconfitti? Tornare indietro, come propone Greta? Il dibattito è vasto: persino l’invincibile Impero Romano un bel giorno crollò, ricorda Giuletto Chiesa, autore di saggi spesso basati sulle previsioni catastrofistiche dell’influente Club di Roma. Siamo sicuramente a un bivio, sostiene anche Magaldi: ma il problema non è se crescere o decrescere. Seriamente: siamo stati noi, negli ultimi decenni, a decidere le sorti del mondo? Ci siamo espressi con dei referendum per approvare questa globalizzazione forsennata e per mettere in piedi l’attuale, orrenda Disunione Europea? No, certo. E allora perché saltare l’ostacolo, fingendo di poter incidere sul destino climatico della Terra, senza prima essere riusciti a ristabilire innanzitutto la democrazia a casa nostra, dove persino i bilanci vengono imposti dalle “divinità” di Bruxelles, che nessuno ha mai eletto?Spiegate a Greta che il darwinismo sociale, quello che spinge il povero alla rassegnazione di fronte al potere “fisiologico” del ricco, è il più grande veleno mentale che sia stato immesso nella nostra società neoliberista, sintetizza Magaldi, che propone un antidoto chiamato John Maynard Keynes. Era il maggiore economista del ‘900, e ispirò il New Deal con il quale Roosevelt tirò fuori l’America dalla Grande Depressione, facendone la superpotenza mondiale che conosciamo. Come riuscì nella storica impresa? Tagliando le unghie alle banche speculative, padrone della “scarsità di moneta”, e spingendo lo Stato a investire fiumi di dollari, a deficit, per creare lavoro. Dai tempi di Nixon, la moneta – svincolata dall’oro – è tecnicamente illimitata, virtualmente a costo zero. Ma nel 1999 fu il “progressista” Bill Clinton a restituire a Wall Street l’antico potere, abrogando il Glass-Steagall Act, cioè la legge con la quale Roosevelt aveva separato le banche d’affari da quelle al servizio dell’economia reale. Da allora, è esplosa la follia finanziaria: secondo la Banca dei Regolamenti Internazionali, il debito finanziario (titoli tossici) è 54 volte il Pil mondiale. E facciamo le pulci all’Italia perché il suo debito pubblico è 1,3 volte il suo prodotto interno lordo?C’è scienza, in questo delirio. E ha un nome odioso: si chiama dominio. Ha idea, la piccola Greta, di come uscirne? O pensa che, schioccando le dita e cantando “Bella Ciao” in inglese, gli ex cittadini (e ora sudditi, italiani e non) possano davvero cambiare di una virgola il futuro del pianeta, addirittura nella certezza teologica che persino il clima – mutato più volte, catastroficamente, dall’età della pietra – dipenda davvero al 100% dalla demenziale comunità umana? Gioele Magaldi non teme neppure di misurarsi con la parola consumismo, distinguendo: perché mai condannare quello dei poveri, fingendo che non esista quello dei ricchissimi? Inoltre: se fin qui ci ha sospinto l’innovazione, per quale motivo dovremmo escludere che la tecnologia possa arginare sensibilmente anche i guai dell’effetto serra? Lo dicono economisti autorevoli: continuiamo a chiamare “rifiuti” quelle che sono risorse riciclabili. Il problema? L’economia circolare è abbondanza, distrugge l’idea di scarsità di moneta con cui il potere ci incatena tuttora. Ma Malthus sta per perdere un’altra volta, di fronte all’avvento della rivoluzione cibernetica: anziché strapparci i capelli perché i robot cancelleranno vecchi mestieri, dice Magaldi, perché non pensare che avremo più tempo per inventare nuovi lavori, meno pesanti e ripetitivi? A una condizione: prima, bisogna tornare sovrani. E non sarà una passeggiata. Ma non si scappa: senza la riconquista della democrazia, potremo solo intonare “Bella Ciao” insieme a Greta.Siamo stati “creati” da antiche divinità o invece “fabbricati” dagli Elohim biblici come Yahvè, dunque “clonati” da entità forse extraterrestri? L’unica certezza è che, intanto, siamo qui a giocarcela: sta a noi provare a raddrizzare il mondo, anzitutto cercando di scoprire come ci siamo capitati. La teoria dell’evoluzione? Non spiega tutto, neppure quella. Ma viene usata nel modo peggiore, da chi ha rimpiazzato la Bibbia con Darwin per instaurare una nuova dominazione, quella del forte che prevale sul debole, con l’alibi della selezione naturale. Bisogna che qualcuno lo spieghi, alla giovanissima attivista svedese Greta Thunberg, trasformata in icona planetaria della mobilitazione culturale contro il cambiamento climatico, presentato come calamitoso prodotto delle sole, irresponsabili attività umane. Tutto comincia alla fine del ‘700 con l’economista e demografo inglese Thomas Robert Malthus: nel suo “Saggio sul principio della popolazione e i suoi effetti sullo sviluppo futuro della società”, sostiene infatti che l’incremento demografico produrrà penuria di cibo, dato che l’umanità – questa la sua tesi – cresce più in fretta della disponibilità di alimenti. Vero o falso?
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Globalisti privatizzatori, questa catastrofe è il loro piano
Cos’è il globalismo, e perché esiste? E’ ormai noto da decenni che la spinta alla globalizzazione è un preciso piano coltivato da un’élite di finanzieri internazionali, banchieri centrali, leader politici e think-tanks esclusivi. «Spesso nelle loro pubblicazioni ammettono apertamente il loro obiettivo di globalizzazione totale, forse nella convinzione che le persone semplici e non istruite in ogni caso non le leggeranno mai», scrive Brandon Smith su “Zero Hedge”. Carroll Quigley, mentore di Bill Clinton, viene spesso citato per le sue ammissioni: «I poteri del capitalismo finanziario avevano un obiettivo di ampia portata, niente di meno che creare un sistema mondiale di controllo finanziario in mani private, in grado di dominare il sistema politico di ciascun paese e l’economia del mondo intero». Un sistema che «doveva essere controllato in maniera feudale dalle banche centrali del mondo, che avrebbero agito di concerto, con accordi segreti». Il vertice del sistema «doveva essere la Banca dei Regolamenti Internazionali a Basilea, in Svizzera, una banca privata posseduta e controllata dalle banche centrali mondiali che sono esse stesse imprese private».Ciascuna banca centrale, continua Quigley, cerca di dominare il governo del proprio paese «grazie alla capacità di controllare i prestiti del Tesoro, di manipolare gli scambi con l’estero, di influire sull’attività economica del paese e influenzare i politici disposti a collaborare, ricompensandoli poi economicamente nel mondo degli affari». Si pensi alle classiche “porte girevoli” tra politica e grandi banche d’affari. «Le persone che stanno dietro all’obiettivo di imporre la globalizzazione – scrive Smith in un post ripreso da “Voci dall’Estero” – sono legate da una particolare ideologia, quasi un culto religioso, in cui immaginano un ordine mondiale come viene descritto nella “Repubblica” di Platone. Credono di essere stati “prescelti” – dal fato, dal destino o dalla genetica – per dominarci tutti come dei re-filosofi. Pensano di essere quanto di più intelligente e capace l’umanità abbia da offrire e di poter creare dal nulla, con poteri semi-divini, il caos e l’ordine, e così poter plasmare la società a loro piacimento».Questa mentalità appare evidente nel sistema globale: «La gestione delle banche centrali non è altro che un meccanismo per intrappolare le nazioni in debiti, svalutazioni valutarie e, in ultima analisi, schiavitù, attraverso l’estorsione economica diffusa». Obiettivo ultimo delle banche centrali, «scatenare delle crisi finanziarie di portata storica, che possono poi essere usate dalle élite come leva per promuovere la completa centralizzazione globale come unica soluzione possibile». Questo processo di destabilizzazione delle economie e delle società, continua Smith, non viene neppure controllato dai presidenti delle varie banche centrali: in realtà è pilotato da istituzioni globali ancor più centralizzate come il Fondo Monetario Internazionale e la stessa Bank of International Settlements, come spiegato in interessanti articoli come “Ruling The World Of Money”, pubblicato da “Harpers Magazine”. Se ne deduce che la campagna per un “nuovo ordine mondiale” non è esattamente un progetto umanitario: «Innumerevoli persone odieranno il nuovo ordine mondiale, e moriranno protestando contro di esso».L’élite mette in conto «almeno una generazione di malcontenti, molti dei quali saranno persone buone e di valore», stando alle parole dello scrittore britannico Herbert George Welles, laburista e profeta del “Nuovo ordine mondiale” (il primo a coniare l’espressione, che titola una sua opera del 1940). «In breve, la “casa dell’ordine mondiale” dovrà essere costruita dal basso verso l’alto anziché dall’alto verso il basso. Sembrerà una grande “rumorosa, esplosiva confusione”, per usare la famosa descrizione della realtà di William James, ma alla fine un lento assedio della sovranità nazionale, che la eroda pezzo per pezzo, risulterà più efficace del vecchio sistema dell’assalto frontale», scrive nel 1974 Richard Gardner, membro della Commissione Trilaterale, su “Issue of Foreign Affairs”. Precisa un altro campione dell’élite globalista, Henry Kissinger, al “World Action Council” del 1994: «Il Nuovo Ordine Mondiale non può realizzarsi senza la partecipazione degli Stati Uniti, visto che siamo il suo membro più importante. Certo, ci sarà un Nuovo Ordine Mondiale, e imporrà agli Stati Uniti di cambiare le proprie percezioni».Mentre alcuni considerano la globalizzazione una “evoluzione naturale” del libero mercato o l’inevitabile sbocco del progresso economico, «la verità è che la spiegazione più semplice (alla luce delle evidenze disponibili) è che la globalizzazione è una guerra aperta condotta contro l’ideale dei popoli sovrani e delle nazioni», scrive Brandon Smith. «E’ una guerriglia, o una guerra di quarta generazione, intrapresa da un piccolo gruppo di élite contro tutti gli altri». Un elemento significativo di questa guerra, aggiunge, riguarda la demolizione dei confini delle nazioni, degli Stati e persino di città e villaggi, come delimitazioni di comunità solidali e identitarie: «Non ci piace essere costretti ad associarci a persone o a gruppi che non hanno i nostri stessi valori». Le culture «innalzano i confini perché, francamente, i popoli hanno il diritto di controllare coloro che desiderano aderire alla comunità e condividerne gli intenti», rifiutando «altri gruppi di persone e di ideologie che per noi risultano distruttive». Curiosamente, invece, i globalisti «sosterranno che, rifiutandoci di associarci con coloro che potrebbero distruggere i nostri valori, siamo noi che violiamo i loro diritti. Vedete come funziona?».I globalisti «sfruttano la parola “isolazionismo” per infangare i sostenitori della sovranità agli occhi della pubblica opinione», e invece «non bisogna vergognarsi dell’isolamento quando principi quali la libertà di parola e di espressione o il diritto all’autodifesa vengono messi in discussione». Inoltre, «non c’è nulla di sbagliato nell’isolare un modello economico prospero da altri modelli insoddisfacenti», anche perché, al contrario, «imporre a un’economia di mercato libero decentralizzato di adottare un’amministrazione feudale attraverso un governo e una banca centralizzati finirà per distruggere il modello». Così come «importare milioni di persone con differenti valori per rinvigorire una nazione» non è altro che «una ricetta per il disastro». In un mondo senza barriere, continua Smith, si potrà solo eliminare una cultura per sostituirla con un’altra: «Questo è quello che vogliono ottenere i globalisti. E’ lo scopo vero dietro le politiche delle “frontiere aperte” e della globalizzazione – annichilire il confronto delle idee, così che l’umanità finisca col pensare di non avere altra opzione all’infuori della religione delle élite». Lo scopo ultimo dei globalisti «non è di controllare i governi», che sono solo uno strumento, bensì «ottenere un’influenza psicologica totale», onde conquistare definitivamente «il consenso delle masse».Le élite sostengono che la loro idea di una singola cultura mondiale è il pilastro fondamentale dell’umanità, e che non c’è più alcun bisogno di confini perché nessun principio è più importante di questo. «Fino a quando i confini, come concetto, continuano a esistere, ci può sempre essere la possibilità di separare ideali diversi che competono con la filosofia globalizzatrice: questo non è accettabile per le élite». Oggi, con l’affermarsi dei movimenti anti-globalisti, la tesi portata avanti dal mainstream è che i “populisti” (conservatori) rappresentano una classe spregevole e ignorante, sono elementi pericolosi che minacciano “la pace e la prosperità” provenienti dalle sapienti mani globaliste. Ancora una volta, Carrol Quigley predice questa propaganda con decenni di anticipo, quando discute la necessità di “rimanere all’interno del sistema” per cambiarlo, anziché combattere contro di esso, e parla della «classe medio-bassa» definendola «spina dorsale del fascismo del futuro». E spiega: «I membri del partito nazista in Germania venivano per lo più da questa classe», alla quale associa «i movimenti di centro-destra» degli Stati Uniti.I globalisti, continua Smith, hanno avuto mano libera sulla maggior parte dei governi mondiali per almeno un secolo, se non di più. «A seguito della loro influenza, abbiamo avuto due guerre mondiali, la Grande Depressione, la Grande Recessione che non è ancora finita, troppi conflitti regionali e genocidi perché possano essere contati, e la sistematica oppressione dei liberi imprenditori, degli inventori e delle idee, al punto che soffriamo ormai di stagnazione sociale e finanziaria». Curioso: «I globalisti sono rimasti al potere a lungo, ma la colpa delle numerose crisi avvenute negli ultimi 100 anni viene data all’esistenza dei confini». I campioni della libertà «vengono definiti inqualificabili populisti e fascisti», mentre i globalisti si sottraggono a ogni accusa. «Non esiste uno straccio di prova che confermi l’idea che la globalizzazione, l’interdipendenza e la centralizzazione funzionino davvero», insiste Smith. Per capirlo, «basta esaminare l’incubo economico e migratorio presente nell’Ue». Quindi, i globalisti «sosterranno che il mondo non è abbastanza centralizzato», cioè diranno che «ci vuole più globalizzazione, non meno, per risolvere i problemi del mondo».Nel frattempo, «i principi della sovranità devono essere demonizzati storicamente». Intollerabile, infatti, la stessa esistenza di diverse culture: «Per le generazioni future deve essere psicologicamente associata al male». Vogliono un mondo in cui «il principio di sovranità sia considerato così aberrante, così razzista, così violento e insidioso che chiunque si vergognerebbe di averlo sostenuto». E’ una vera «prigione mentale», ed è «il luogo dove i globalisti vogliono portarci». Ribellarsi? Per Smith, è possibile solo col volontariato, costruendo «una spinta verso la decentralizzazione, la localizzazione, l’indipendenza e la vera produzione». Meglio i confini, se lasciano l’individuo «libero di partecipare a qualsiasi gruppo sociale che desidera o che crede migliore per lui», nell’ambito di una società «non costretta ad associazioni forzate». Ma Smith non è ottimista: «Questo sforzo richiederebbe enormi sacrifici e una battaglia che probabilmente durerebbe per una generazione». L’unica sicurezza è nera: «Posso solo mostrare che il mondo dominato dai globalisti in cui viviamo oggi è chiaramente destinato alla catastrofe. Potremo discutere su cosa fare dopo solo quando avremo tolto la testa dalla ghigliottina».Cos’è il globalismo, e perché esiste? E’ ormai noto da decenni che la spinta alla globalizzazione è un preciso piano coltivato da un’élite di finanzieri internazionali, banchieri centrali, leader politici e think-tanks esclusivi. «Spesso nelle loro pubblicazioni ammettono apertamente il loro obiettivo di globalizzazione totale, forse nella convinzione che le persone semplici e non istruite in ogni caso non le leggeranno mai», scrive Brandon Smith su “Zero Hedge”. Carroll Quigley, mentore di Bill Clinton, viene spesso citato per le sue ammissioni: «I poteri del capitalismo finanziario avevano un obiettivo di ampia portata, niente di meno che creare un sistema mondiale di controllo finanziario in mani private, in grado di dominare il sistema politico di ciascun paese e l’economia del mondo intero». Un sistema che «doveva essere controllato in maniera feudale dalle banche centrali del mondo, che avrebbero agito di concerto, con accordi segreti». Il vertice del sistema «doveva essere la Banca dei Regolamenti Internazionali a Basilea, in Svizzera, una banca privata posseduta e controllata dalle banche centrali mondiali che sono esse stesse imprese private».
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Mai sprecare una bella crisi: ecco cos’hanno in mente
“Draghi vuole un Nuovo Ordine Mondiale che i populisti ameranno odiare”: così “Bloomberg” all’indomani del Brexit. «Mai sprecare una bella crisi, e il Brexit lo è», scrive Maurizio Blondet: «I globalizzatori sono dunque all’attacco: mentre gli europeisti (che sembrano essere la cosca perdente) cercano di cavalcare la crisi per instaurare “più Europa”, Draghi e complici puntano al Nuovo Ordine Mondiale. Ciò sarà venduto al pubblico come “necessario coordinamento fra le banche centrali”, in seguito ad un collasso finanziario globale che è stato già (deliberatamente?) innescato». Per “Bloomberg”, oggi le banche centrali sono ancora «governate da leggi concepite in patria, che richiedono loro di perseguire certi scopi, a volte espliciti, in genere legati all’inflazione e alla disoccupazione». Per di più, «devono rispondere ai legislatori nazionali, eletti». Il che è un guaio per i banchieri globali, commenta Blondet sul suo blog. Ecco perché, ora, «gli obbiettivi a breve termine dovrebbero essere sostituiti dagli obbiettivi globali». E cioè: più recessione e più disoccupazione. «La crisi ci farà cadere dalla padella dell’euro alla brace della moneta globale governata contro gli interessi dei popoli».Brandon Smith, economista e blogger, sostiene che il Brexit sia stato un evento artificiale, per preparare deliberatamente il prossimo collasso, che indurrà tutti – media e i governi – a «implorare il governo unico mondiale». Idea non peregrina, continua Blondet: come se l’uscita del Regno Unito dalla Ue sia stata voluta da Buckingham Palace «per posizionare la City come centrale globale di negoziazione dello yuan». La valuta cinese, infatti, «farà parte del paniere di monete che costituirà la moneta globale digitale, una volta tramontato il dollaro». Pechino s’è affrettata ad esprimere il proposito di collaborare, con la sua Asian Infrastructure Investment Bank (Aiib), con la Banca Mondiale? E’ la prova, per Smith, che «i cinesi non hanno mai avuto l’intenzione di fare di fare della Aiib un contro-Fmi», dato che «i cinesi lavorano con i globalizzatori, non contro di essi». Sta cambiando tutto. Anche per questo, oggi, Tony Blair viene scaricato come criminale di guerra 12 anni dopo l’Iraq. «Allo stesso modo, l’Unione Europea viene abbandonata come un guscio vuoto». Persino Schaeuble dice: se alcuni Stati membri vogliono perseguire le loro politiche al di fuori delle istituzioni europee, che lo facciano pure. «Una Ue ridotta ad accordi fra governi, adesso gli va benissimo».«Se il progetto è quello indicato da Bloomberg – salto nella globalizzazione totalitaria – si capisce anche l’imprevista pugnalata di Draghi al Montepaschi, a cui ha richiesto, ordinato, di liberarsi di 10 miliardi di crediti inesigibili: certo con ciò ha precipitato il fallimento della banca (del Pd), e magari il collasso del sistema bancario italiano, il più fragile, e non può non averlo fatto apposta», scrive Blondet. «Con ciò ha decretato anche la disfatta di Matteo Renzi. Deliberatamente ha pugnalato alla schiena il giovine rottamatore, come già fece con il vecchio Berlusconi». Come Blair, Juncker e Schulz, «simili personaggi non servono più», se l’Ue si sbriciola in favore della globalizzazione definitiva. «Anche Matteo Renzi sarà dato in pasto alle folle inferocite, e ai suoi sicari di partito», con un’Italia precipitata «nel collasso del suo sistema bancario senza un governo funzionante, e magari – il che è lo stesso – con un governo grillino eletto a furor di popolo». “Mai sprecare una bella crisi”. Meglio aggravarla, piuttosto che alleviarla – così sospetta Brandon Smith. «Non a caso Soros continua a dire che sta per arrivare la catastrofe. Non a caso il Fondo Monetario e la Banca dei Regolamenti Internazionali hanno “lanciato l’allarme” prevedendo un crash colossale nel 2016». Previsioni di crisi difficilmente sballate, «perché sono loro che pongono le condizioni perché esplodano».“Draghi vuole un Nuovo Ordine Mondiale che i populisti ameranno odiare”: così “Bloomberg” all’indomani del Brexit. «Mai sprecare una bella crisi, e il Brexit lo è», scrive Maurizio Blondet: «I globalizzatori sono dunque all’attacco: mentre gli europeisti (che sembrano essere la cosca perdente) cercano di cavalcare la crisi per instaurare “più Europa”, Draghi e complici puntano al Nuovo Ordine Mondiale. Ciò sarà venduto al pubblico come “necessario coordinamento fra le banche centrali”, in seguito ad un collasso finanziario globale che è stato già (deliberatamente?) innescato». Per “Bloomberg”, oggi le banche centrali sono ancora «governate da leggi concepite in patria, che richiedono loro di perseguire certi scopi, a volte espliciti, in genere legati all’inflazione e alla disoccupazione». Per di più, «devono rispondere ai legislatori nazionali, eletti». Il che è un guaio per i banchieri globali, commenta Blondet sul suo blog. Ecco perché, ora, «gli obbiettivi a breve termine dovrebbero essere sostituiti dagli obbiettivi globali». E cioè: più recessione e più disoccupazione. «La crisi ci farà cadere dalla padella dell’euro alla brace della moneta globale governata contro gli interessi dei popoli».
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Sciopero sociale, liberare lo Stato dalla mafia neoliberista
I dati economici per l’Italia e le proiezioni degli organi specializzati non lasciano dubbi: la recessione continuerà, le riforme di Renzi faranno cilecca, la situazione a breve si farà pericolosa. Gli interessi costituiti, la casta europeista e austerofila, si attrezzano per fronteggiare una possibile situazione prerivoluzionaria mediante una riforma del Parlamento e della legge elettorale che metta tutto nelle mani dei segretari di pochi grandi partiti politici, e in particolare si consolida l’asse neoliberista Renzi-Berlusconi. Andiamo infatti verso uno scenario di fallimento delle promesse renziane, di forte peggioramento economico, di dirompenti tensioni sociali, con un Parlamento ultra-maggioritario neoliberista che assicurerà, sì, la maggioranza a un governo fedele al modello economico in via di costruzione, ma che non rappresenterà la popolazione, anzi sarà in palese contrapposizione agli interessi di questa, e dovrà ricorrere alla repressione, legittimandola con i numeri in aula e con l’appoggio dell’“Europa”, e alla bisogna perfezionandola con l’arrivo della Trojka e dell’Eurogendfor.L’etica finanziaria del rigore e della virtuosità, incarnata dall’Ue, è un’etica per i creditori renditieri, per gli usurai, per i produttori monopolisti di moneta e credito. Storicamente, l’inflazione del primo del secondo dopoguerra, assieme alle politiche di spesa pubblica a sostegno della crescita economica, alla forte crescita dei redditi nazionali e all’effetto redistributivo di questa combinazione, è ciò che aveva sostanzialmente ridotto i loro privilegi economici. Essi ora si prendono la rivincita imponendo un modello che antepone a tutto la salvaguardia delle rendite anzi la loro rivincita, attraverso l’imposizione di condizioni opposte a quelle del secondo dopoguerra, cioè stagnazione, spostamento di ampie quote dei redditi dal lavoro alle rendite, concentrazione dei redditi e dei capitali nelle mani di cerchie sempre più ristrette, crescita della quota della spesa pubblica che i paesi subalterni, come l’Italia, devono destinare al pagamento degli interessi sul loro debito pubblico.La popolazione generale viene posta dai mass media e dalle istituzioni in condizione di conoscere solo la vulgata economica sottesa a questo modello economico e di dimenticare, in quanto ai meno giovani, e di non apprendere, in quanto ai meno vecchi, che è possibile, è esistito e ha funzionato un modello economico diverso, in cui il denaro veniva prodotto e speso per assicurare occupazione e sviluppo, in cui le banche centrali assicuravano l’acquisto dei titoli pubblici a un tasso sostenibile escludendo la possibilità di default, e che in questo modello i disavanzi interni ed esteri nonché i debiti pubblici erano molto più sostenibili di quanto lo sono ora nel sistema della virtuosità per usurai, sicché i governi e i parlamenti avevano la capacità di elaborare e decidere politiche economiche e sociali anziché farsele dettare dai mercati. E le persone avevano la possibilità di fare programmi di vita – cosa che in fondo è lo scopo non solo dell’economia ma della stessa esistenza dello Stato.La popolazione generale italiana, se tiene la testa dentro alla “realtà” che le è permesso conoscere, cioè dentro il predetto modello di economia virtuosa per usurari e renditieri marca Maastricht, può davvero pensare che il rimedio alle sofferenze che sta vivendo consista nel rinegoziare i parametri per spuntare qualche punto percentuale di flessibilità, di spesa a deficit in più, come promettono vari statisti-contaballe, oppure l’immissione di qualche centinaia di miliardi da parte della Bce che, come in passato, finirebbero alle banche per chiudere i loro buchi sommersi o per gonfiare nuove bolle speculativa, come sempre avvenuto durante questa “crisi”. L’unico rimedio effettivo sarebbe la sostituzione di quel modello con altri, che ho descritto anche in questo blog.Un’opposizione sociale vera e realistica dovrebbe puntare apertamente a questo rovesciamento di modello, non a negoziati per ottenere qualche concessione. che per forza di cose sarebbe presto revocata. E dovrebbe lottare con la coscienza che i tagli di salari, occupazione, garanzie, servizi sono stati intenzionalmente introdotti dalle istituzioni nazionali e sovranazionali come strumento per garantire e rafforzare le posizioni di una classe di renditieri finanziari, di monopolisti del credito; e che quindi si tratta di fare, con i mezzi necessari, se disponibili, una lotta di classe diretta a rovesciare un ordinamento economico-giuridico e a riprendersi i poteri pubblici, governativi, istituzionali, togliendoli a un preciso avversario di classe, per darli alla generalità dei cittadini. È probabile che la rottura dell’equilibrio, dell’omeostasi di questo attuale sistema, sia alle porte, determinata dalla continua contrazione del reddito nazionale, che rende insostenibile il servizio dei debiti pubblici e privati, quindi tende a far saltare il sistema bancario.Se a questo punto i poteri forti decidono di mettere le mani nei conti correnti della gente e confiscare il risparmio per puntellare le banche e i conti pubblici, questa può essere la scintilla che coalizza le forze euro-scettiche e trasforma gli “scioperi sociali” della Fiom (novembre 2014), e in cui già si nota il ritorno di una coscienza e di una rabbia di classe, in un’attuazione di reale sovranità popolare di contro alla irreale rappresentanza di un Parlamento di nominati e ultramaggioritario. Anche perché tale opzione di bail-in a carico dei risparmiatori farebbe capire a molti che il sistema di governance globale creato intorno al Fmi, alla Fed, alla Bce, al Mes, alla Banca dei Regolamenti internazionali, alla Commissione, ha proprio la funzione di scaricare su lavoratori, pensionati, risparmiatori, cittadini, i danni causati dalle attività di azzardo e dalle truffe finanziarie di quella stessa classe internazionale che dirige le predette istituzioni sovranazionali. Un simile rovesciamento dal basso del modello socioeconomico non è possibile su scala nazionale, bensì solo su scala almeno continentale. Ed è improbabile che parta dagli italiani, che sono storicamente incapaci di simili imprese.(Marco Della Luna, “Sciopero sociale e rovesciamento del modello neoliberista”, dal blog di Della Luna del 16 novembre 2014).I dati economici per l’Italia e le proiezioni degli organi specializzati non lasciano dubbi: la recessione continuerà, le riforme di Renzi faranno cilecca, la situazione a breve si farà pericolosa. Gli interessi costituiti, la casta europeista e austerofila, si attrezzano per fronteggiare una possibile situazione prerivoluzionaria mediante una riforma del Parlamento e della legge elettorale che metta tutto nelle mani dei segretari di pochi grandi partiti politici, e in particolare si consolida l’asse neoliberista Renzi-Berlusconi. Andiamo infatti verso uno scenario di fallimento delle promesse renziane, di forte peggioramento economico, di dirompenti tensioni sociali, con un Parlamento ultra-maggioritario neoliberista che assicurerà, sì, la maggioranza a un governo fedele al modello economico in via di costruzione, ma che non rappresenterà la popolazione, anzi sarà in palese contrapposizione agli interessi di questa, e dovrà ricorrere alla repressione, legittimandola con i numeri in aula e con l’appoggio dell’“Europa”, e alla bisogna perfezionandola con l’arrivo della Trojka e dell’Eurogendfor.
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Temo una rivolta, perché guadagno mille volte più di voi
«Probabilmente non mi conoscete, ma come voi sono uno degli 0,1%, un fiero capitalista. Ho fondato, co-fondato e finanziato più di 30 società di ogni genere, da cose piccole come il night club con cui ho cominciato a vent’anni, a giganti come Amazon.com di cui sono stato il primo investitore esterno. Poi ho fondato aQuantitative, una società di pubblicità su Internet che nel 2007 è stata venduta a Microsoft per 6,4 miliardi di dollari. In contanti. Insieme ad amici possediamo una nostra banca. Racconto tutto questo per dimostrarvi che per molti versi non sono molto diverso da voi. Come voi ho una visione ampia degli affari e del capitalismo. E come voi sono stato oscenamente ricompensato per il mio successo, con una vita che gli altri 99,9% di americani non possono nemmeno immaginare. Molteplici case, aereo personale, ecc». Comincia così una sorprendente lettera aperta, pubblicata qualche giorno fa dal sofisticato “Politico.com” e rilanciata da siti di economia & politica come “Business Insider” e “Zero Hedge”, ogni volta con un gran numero di lettori e apprezzamenti.Una lettera che è anche una analisi/denuncia del livello estremo raggiunto dalla disuguaglianza nell’odierno capitalismo. E un avviso: così non può continuare. Arriveranno i forconi, contro di noi. Nick Hanauer, 55 anni, nonni immigrati dalla Germania di Hitler, è un classico uomo d’affari americano, uno che si è fatto da sé. Americano anche nel piglio con cui si esprime. «Nel 1992 a Seattle vendevo cuscini fabbricati dall’impresa della mia famiglia a negozi in giro per il paese e Internet era una goffa novità alla quale ci si collegava a 300 baud. Ma già allora mi sono accorto abbastanza rapidamente che molti grandi magazzini miei clienti erano condannati. Ho capito che non appena Internet fosse diventata abbastanza veloce e affidabile – e quel tempo non era così lontano – tutti si sarebbero buttati a comprare on line come pazzi. Realizzare questo, vedere oltre l’orizzonte un po’ più in fretta di tanti altri, è stata la parte strategica del mio successo. La parte fortunata è stata invece l’avere un paio di amici, entrambi di grande talento, anche loro intrigati dalle potenzialità della rete. Uno è un tizio di cui non avrete certo sentito parlare, Jeff Tauber, l’altro era Jeff Bezos (il fondatore di Amazon ndr). Ero così eccitato dal potenziale del web che ho detto ai due Jeff che volevo investire in qualsiasi cosa avessero deciso di lanciare».«Il secondo Jeff – Bezos – mi chiamò per primo, e lo aiutai a sottoscrivere la sua piccola libreria start up. L’altro Jeff partì con un negozio on line chiamato Cybershop, ma quando la fiducia nelle vendite via Internet era ancora bassa; era troppo presto per la sua idea, la gente non era ancora pronta ad acquistare on line cose costose senza vederle di persona (a differenza di oggetti semplici come i libri, la cui qualità non cambia – questa è stata la carta vincente di Bezos). Cybershop non è andato lontano, è stato uno dei tanti fallimenti di imprese dot-com. Amazon è andato meglio. E io ora possiedo un maxi-yacht. Ma lasciatemi essere franco. Non sono la persona più intelligente che avete conosciuto, o quello capace di lavorare più sodo. Ero uno studente mediocre, non sono un tecnico – non so ho mai saputo scrivere una riga di software. Quel che mi è servito, credo, è una certa propensione al rischio e un’intuizione su quel che accadrà in futuro. Intuire dove le cose stanno andando è l’essenza dell’imprenditorialità. E cosa vedo oggi nel nostro futuro? Vedo dei forconi».«Mentre persone come voi e me prosperano oltre i sogni di ogni plutocrate nella storia, il resto del paese – il 99,9% – resta molto indietro e arretra. Il divario fra quelli che hanno e quelli che non hanno peggiora sempre di più. Nel 1980 l’1% in cima alla piramide controllava l’8% del reddito nazionale degli Stati Uniti. Il 50% più in basso si divideva il 18% delle ricchezze. Oggi l’1% più ricco si divide il 20%, e il 50% della popolazione solo il 12%. Ma il problema non è la disuguaglianza in sé, qualche misura è intrinseca a ogni economia capitalista che funzioni. Il problema è che la disuguaglianza è a livelli storicamente mai visti e peggiora di giorno in giorno. Il nostro paese sta diventando una società sempre meno capitalista e sempre più una società feudale. A meno che le nostre politiche non cambino drammaticamente, la classe media scomparirà, e torneremo indietro alla Francia del 18° secolo. Prima della Rivoluzione. Così ho un messaggio per i miei colleghi oscenamente ricchi, per tutti coloro che vivono nelle bolle dei nostri mondi circondati da cancellate: svegliatevi, gente. Non durerà. Se non si fa qualcosa per sanare le clamorose diseguaglianze in questa economia, i forconi ci saranno addosso».«Nessuna società può tollerare una tale disparità. Non ci sono esempi nella storia in cui si sia verificata una tale accumulazione di ricchezza e i forconi non siano arrivati. Dove c’è una società altamente disuguale o c’è uno Stato di polizia, o un’insurrezione. Non ci sono altre possibilità. Il punto non è se, ma quando. Molti di voi pensano che siamo speciali perché “questa è l’America”, pensiamo di essere immuni alla forze che hanno dato vita alla Primavera Araba o alle Rivoluzioni in Francia e in Russia. Molti fra i colleghi dello 0,1% sfuggono questo argomento, molti mi prendono per matto, altri vedono un ragazzino povero con un iPhone e pensano che l’ineguaglianza sia una finzione. Vivete nel mondo dei sogni, vi dico. Volete credere che se ci sarà qualche segnale di destabilizzazione, ci sarà tempo per reagire e organizzarsi. Ma non funziona così, come sa qualsiasi studente di storia. Le rivoluzioni, come le bancarotte, si manifestano per gradi e poi precipitano di colpo. Un giorno uno si dà fuoco e improvvisamente la gente è in strada, prima che ci si renda conto il paese brucia. E non c’è tempo per salire sul nostro Gulfstream e scappare in Nuova Zelanda. Succede così. E se l’ineguaglianza peggiorerà, succederà».Sembrano le parole dei ragazzi di “Occupy Wall Street”, movimento che pare scomparso nel nulla. Ma il nostro capitalista niente affatto pentito non parla così per paura quanto per interesse. Del paese, della società, ma anche degli stessi ultraricchi dello 0,1%, a quanto cerca di dimostrare nell’analisi che segue. La cui tesi si può riassumere nel titolo dato al post da “Business Insider” (foto di persone in fila negli anni ’30 della Grande Depressione): “Spiacenti, gente, ma i ricchi non creano occupazione”. Hanauer se la prende con il punto di vista “ortodosso” dell’economia politica, e ne smonta alcuni presupposti di fondo: «Sono i ricchi che creano occupazione? Falso. E’ come dire che il seme crea l’albero: magari ne è il presupposto, ma provate a piantare un seme su Marte o nel Sahara. Senza terra buona, acqua, nutrienti non spunterà nulla e il seme morirà. La retorica per cui l’America è grande per via di uomini come me e Steve Jobs è finzione. Se entrambi fossimo nati in Somalia o in Congo saremmo rimasti a vendere frutta all’angolo della strada».L’economia non è un’astrazione, ma un ecosistema complesso di persone reali fra loro interdipendenti. Se i lavoratori hanno più denaro, le imprese hanno più clienti e hanno bisogno di più impiegati. A creare posti di lavoro in ultima istanza sono i clienti, i consumatori, vale a dire la classe media. Non sono i ricchi, come vuole uno dei luoghi comuni dell’economia ortodossa, non sono gli imprenditori, che pure sono una parte importante del processo. La classe media è stata la causa, non la conseguenza, della prosperità goduta nel passato dagli Usa. Alzare il salario minimo costa posti di lavoro, per la legge della domanda e dell’offerta? Falso. Lo aveva ben capito Henry Ford che nel 1914 raddoppiò la paga ai suoi operai (a 5 dollari al giorno, equivalenti a 120 di oggi) affinché potessero permettersi di comprare le auto che producevano. Lo ha capito la città di Seattle, che ha alzato per legge il salario minimo a 15 dollari l’ora da 9 – che era già il 30% in più della media Usa. Risultato: Seattle è con San Francisco la città col tasso di occupazione più alto negli Usa, ed è in assoluto la città che cresce di più.Il problema con la nostra economia – chiosa “Business Insider” – è che quella che una volta era la nostra potente classe media è stata lasciata impoverire da decenni di tagli ai costi e salari stagnanti, e oggi porta a casa una quota molto minore di 30 anni fa, mentre gente come Hanauer e i suoi amici dell’1% si accaparravano fette sempre maggiori di ricchezza, anche dopo la crisi del 2008. Dal 2009 al 2012 il 95% dei guadagni è andato all’1% mentre il 99% è rimasto al palo. Negli ultimi tre decenni i compensi per i Ceo (amministratori delegati, direttori generali, alti dirigenti) sono cresciuti 127 volte più rapidamente di quelli di altre categorie. Dal 1950 il rapporto tra la paga di un Ceo e quella di un lavoratore è aumentato del 1.000%: i Ceo guadagnavano 30 volte il salario medio, oggi il loro stipendio vale 500 volte il secondo. E nessuno ha eliminato i propri alti dirigenti senior, li ha esternalizzati in Cina o ha automatizzato il loro lavoro. Al contrario, ce ne sono molti più di prima.Intanto la classe media veniva falcidiata da politiche fiscali favorevoli all’1%, dalla globalizzazione e da miglioramenti tecnologici senza controlli. Ma veniva strozzata anche dalla nostra ossessione per il profitto a breve termine, dall’ethos prevalente nel mondo degli affari per cui gli impiegati sono visti come “un costo” e le società tengono i loro salari più bassi possibile. E’ un bene per l’economia che i ricchi siano sempre più ricchi? Falso. Il punto è che la classe media spende quasi tutto quello che guadagna, e questa spesa diventa ricavo per società avviate, finanziate o possedute da persone come Hanauer. Ma oggi, con i salari bassi come mai grazie all’avidità e alle corte vedute dell’1%, la classe media non è più in grado di farlo, e ciò si ritorce contro l’economia reale e gli stessi imprenditori. In America infatti i più ricchi – imprenditori, investitori e società – oggi hanno così tanto denaro da non riuscire a spenderlo. Così, invece di ri-pomparlo nell’economia creando guadagni e salari, quel denaro resta in conti di investimento.«Io guadagno all’anno 1.000 volte l’americano medio, ma non compro mille volte più roba. La mia famiglia negli ultimi anni ha comprato tre automobili, non 3.000. Io ho acquistato qualche paio di pantaloni e qualche camicia all’anno, come molti altri americani. Ho comprato due paia dei migliori pantaloni di lana, quelli che il mio partner Mike chiama “pantaloni da manager”. Ma non avrei potuto acquistarne 1.000. Invece ho messo via il mio denaro extra là dove non fa molto bene al paese». Se i 9 milioni di dollari di Hanauer in più dei 10 milioni di guadagni annuali fossero andati a 9.000 famiglie invece che a lui, sarebbero stati pompati di nuovo nell’economia attraverso il consumo. E avrebbero creato più occupazione. Invece stanno nei conti bancari di Hanauer o investiti in società che non hanno abbastanza clienti potenziali a cui vendere. Hanauer stima che se la maggior parte delle famiglie americane portasse a casa la stessa quota di reddito nazionale di 30 anni fa, ogni famiglia avrebbe altri 10.000 dollari di reddito da spendere.Con famiglie più ricche, lo Stato potrebbe davvero diventare più snello, risparmiando su assistenza pubblica, cure mediche gratuite, buoni pasto (oggi fruiti da 44 milioni di cittadini). E anche i più ricchi se ne gioverebbero. Il messaggio finale: «Cari 1%, molti dei nostri compatrioti cominciano a credere che il problema sia il capitalismo in sé. Non sono d’accordo, e credo non lo siate neppure voi. Ma il capitalismo lasciato senza controlli tende alla concentrazione e al collasso. Ecco perché gli investimenti nella classe media funzionano, e i tagli delle tasse ai ricchi invece no. Bilanciare il potere dei lavoratori con quello dei miliardari alzando il salario minimo non è male per il capitalismo, è uno strumento indispensabile per rendere il capitalismo stabile e sostenibile», conclude Hanauer (all’inizio invero esortava a prendere esempio dalle riforme di Franklyn Delano Roosevelt, un po’ più ampie di così). «O possiamo star seduti, non fare nulla e goderci i nostri yacht. Aspettando i forconi».L’analisi di Hanauer riguarda anche l’Italia? Sì, per tre motivi. Perché le disuguaglianze ci sono anche da noi, sia pure meno accentuate che negli Usa; perché le tendenze in America si riflettono altrove, a cominciare dall’Europa; perché, al di là delle riforme indispensabili al nostro paese fermo da decenni, l’economia italiana fa parte del sistema economico globale. Un sistema che fra debiti enormi e disoccupazione vertiginosa non sta affatto bene, come oggi ricorda la Banca dei Regolamenti Internazionali, mentre un rapporto della Banca Mondiale invita esplicitamente a prepararsi per la prossima crisi. Hanauer parla sicuramente nell’interesse dell’economia reale, dei cittadini e delle imprese piccole e medie. Ma alle banche e alle grandi corporations i luoghi comuni dell’ortodossia vanno benissimo. Finanza e multinazionali, compresi i costruttori di armamenti, i colossi dell’high-tech, i giganti della farmaceutica o del web hanno clienti globali, si tratti dell’1% del pianeta (dove addirittura 85 iper-ricchi – non 8.500, né 850, proprio 85 – detengono tanta ricchezza quanta ne possiede la metà della popolazione della Terra) o della classe media che a livello planetario comunque emerge fra varie contraddizioni. E multinazionali e banche & finanza hanno anche le lobby più potenti capaci di “convincere” i politici a fare leggi e norme a loro più favorevoli. Non resta che attendere i forconi, allora, o aspettare la prossima crisi?(Maria Grazia Bruzzone, “Svegliatevi plutocrati, i forconi ci saranno addosso”, da “La Stampa” del 4 luglio 2014).«Probabilmente non mi conoscete, ma come voi sono uno degli 0,1%, un fiero capitalista. Ho fondato, co-fondato e finanziato più di 30 società di ogni genere, da cose piccole come il night club con cui ho cominciato a vent’anni, a giganti come Amazon.com di cui sono stato il primo investitore esterno. Poi ho fondato aQuantitative, una società di pubblicità su Internet che nel 2007 è stata venduta a Microsoft per 6,4 miliardi di dollari. In contanti. Insieme ad amici possediamo una nostra banca. Racconto tutto questo per dimostrarvi che per molti versi non sono molto diverso da voi. Come voi ho una visione ampia degli affari e del capitalismo. E come voi sono stato oscenamente ricompensato per il mio successo, con una vita che gli altri 99,9% di americani non possono nemmeno immaginare. Molteplici case, aereo personale, ecc». Comincia così una sorprendente lettera aperta, pubblicata qualche giorno fa dal sofisticato “Politico.com” e rilanciata da siti di economia & politica come “Business Insider” e “Zero Hedge”, ogni volta con un gran numero di lettori e apprezzamenti.
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Addio democrazia, Renzi e Silvio i manovali del piano
Le chiamano “riforme”, come fossero sinonimo di “migliorie”, secondo la vulgata mainstream accettata dai media come verità di fede. Ma sono soltanto le “indicazioni” – leggasi: diktat – che l’oligarchia euroatlantica da anni reitera all’Italia, a colpi di spread (Mario Monti) oppure confidando nell’appeal demiurgico di Renzi, che attraverso il ministro Padoan (Ocse) e con la collaborazione dell’immancabile “uomo di sinistra”, il ministro Poletti, propone la stessa cura-Monti spacciandola per innovazione entusiasmante. Tutto molto semplice: smantellare i punti cardine della Costituzione antifascista, quella che Jamie Dimon (Jp Morgan) ritiene obsoleta, perché tutela l’interesse pubblico di cittadini e lavoratori contro la legge del business. Quella che – con l’applicazione del Ttip, il Trattato Transatlantico voluto dai padroni di Obama e imposto a Renzi – farà sparire in tutta Europa le ultime garanzie di tutela su ambiente, salute, lavoro e sicurezza alimentare, liquidando la qualità del made in Italy. Logica traduzione: sbaraccare lo Stato di diritto e il “rischio” che possa essere governato dai cittadini tramite politici onesti e responsabili.Marco Travaglio lo chiama “il patto Renzi-Berlusconi”, individuandone la declinazione italiana di oggi, i suoi manovali. Ma è un “patto” che viene da lontano, a metà strada tra Wall Street, Bruxelles e Berlino. «Unendo i puntini delle varie riforme vaganti tra governo e Parlamento, costituzionali e ordinarie, ma anche di certe prassi quotidiane passate sotto silenzio per trasformarsi subito in precedenti pericolosi, come le continue interferenze del Quirinale nell’autonomia del Parlamento, della magistratura e della stampa, viene fuori un disegno che inquieta», scrive Travaglio sul “Fatto Quotidiano”. «Una democrazia verticale, cioè ben poco democratica: sconosciuta, anzi opposta ai principi ispiratori della Costituzione, fondata invece su un assetto orizzontale in ossequio alla separazione e all’equilibrio dei poteri». Svolta autoritaria: «All’insaputa del popolo italiano, mai consultato sulla riscrittura della Costituzione, e fors’anche di molti parlamentari ignoranti o distratti, il combinato disposto di leggi, decreti e prassi – di per sé all’apparenza innocue – rischia di costruire un sistema illiberale e piduista fondato sullo strapotere del più forte e sul depotenziamento degli organi di controllo e garanzia».Il pericolo, sintetizza Travaglio, è una «dittatura della maggioranza». Una “democratura”, come direbbe Giovanni Sartori, «a disposizione del primo “uomo solo al comando” che se ne impossessa, diventando intoccabile, incontrollabile, non contendibile, dunque invincibile». Unendo l’ultimo dei “puntini” – il più importante, anche se Travaglio lo sfuma, forse dandolo per scontato – si scopre che il cervello della manovra per liquidare la residua democrazia italiana non risiede a Roma, ad Arcore o a Firenze, ma nei centri di potere economico-finanziari e tecnocratici che negli ultimi trent’anni hanno logorato senza sosta i gangli vitali della fragile e sgangherata democrazia italiana, per assoggettarla a regole scritte altrove, nei santuari del neoliberismo: fine della sovranità nazionale, debito pubblico ostaggio della speculazione finanziaria, demonizzazione del deficit, taglio della spesa pubblica e del welfare, attacco ai salari, flessibilità e precarizzazione del lavoro (Jobs Act), massacro delle pensioni (riforma Fornero). Tutto questo è avvenuto grazie all’alibi del debito, in realtà esploso dopo il divorzio tra Bankitalia e Tesoro nel 1981, che privò di colpo il paese della possibilità di finanziare il deficit – cioè l’investimento pubblico – a costo zero.Da allora, tutti i “tecnici” al potere (in prima linea e nelle retrovie: Draghi, Ciampi, Amato, Andreatta, Prodi, Dini, Padoa Schioppa, Visco, Treu, Bassanini, Monti) hanno proseguito la missione: dire agli italiani che “bisogna” suicidare lo Stato, cioè spillare più soldi – in tasse – di quanti lo Stato non sia disposto a spendere per i cittadini. “Lo vuole l’Europa”, naturalmente, ovvero la Germania, interessata a sbarazzarsi della concorrenza industriale italiana, e lo vuole – da sempre – l’élite economica euroatlantica, insofferente alla relativa autonomia di paesi come l’Italia, capaci di sviluppare benessere diffuso (nonostante la casta corrotta dei politici) proprio grazie alla spesa pubblica strategica dello Stato, che finisce per fare concorrenza al “mercato”, ovvero ai signori delle multinazionali. Sono loro, i “padroni dell’universo”, gli unici a comandare oggi – a fare le leggi che contano – grazie alle lobby insediate a Bruxelles e a organismi sovranazionali pressoché onnipotenti, dal Wto alla Banca Mondiale, dal Fmi alla Bce, dal Bilderberg alla Banca dei Regolamenti Internazionali. Tutto il potere che conta è verticalizzato, nel sistema neo-feudale dell’euro, in mano a poche “menti raffinatissime” che vogliono la morte per fame dello Stato democratico e la impongono mediante rigore e austerity, Fiscal Compact, unione bancaria europea, pareggio di bilancio.Nella sua lunga analisi, Travaglio osserva la traduzione italiana del piano, affidato a Renzi e Berlusconi con la regia di Napolitano sin dai tempi di Monti (Goldman Sachs, Commissione Trilaterale) e Letta (Aspen, Bilderberg). Il fondatore del “Fatto” individua i punti-chiave della definitiva archiviazione della macchina democratica così come l’abbiamo conosciuta finora. La spaventosa legge elettorale, battezzata “Italicum”, che impedirebbe ai cittadini di eleggere i loro candidati. Il Senato, ridotto a comparsa della democrazia. La fine dell’opposizione, con l’emarginazione dei parlamentari scomodi nelle commissioni (il caso Mineo) e una riforma costituzionale che «disarma le minoranze, istituzionalizzando la “ghigliottina” calata dalla presidente Laura Boldrini contro il M5S che tentava di impedire la conversione in legge del decreto-regalo alle banche». E mentre vengono falciati i poteri di controllo, il capo dello Stato abdica al suo storico ruolo di garanzia per ripiegare su una «funzione gregaria del governo», se per eleggerlo basteranno 33 senatori, dopo che il premier – con la legge-truffa per le elezioni – disporrà «del 55% dei deputati da lui nominati».Chi andrà al governo con l’Italicum, continua Travaglio, controllerà anche la Corte Costituzionale, il Csm, i procuratori della Repubblica: un’ingerenza mai vista prima del potere esecutivo, che – con le nuove regole – metterà al guinzaglio il potere giudiziario, proprio come sognava di fare Licio Gelli. Su tutto, resta ovviamente in piedi l’immunità parlamentare anche per i neo-senatori “nominati”, cioè sindaci e consiglieri regionali: «Basterà che un consiglio regionale li nomini senatori, e nel tragitto dalla loro città a Roma verranno coperti dallo scudo impunitario, che impedirà ai magistrati di arrestarli, intercettarli e perquisirli senza l’ok di Palazzo Madama». Tutto questo proviene dal giovane Renzi: interessato a “rottamare” la democrazia, si guarda bene dal toccare le due leggi-vergogna sull’informazione, la Gasparri sulla televisione e la Frattini sul conflitto d’interessi, mentre i grandi giornali italiani restano in mano a editori impuri come «imprenditori, finanzieri, banchieri, palazzinari (per non parlare di veri o finti partiti, con milioni di fondi pubblici), perlopiù titolari di aziende assistite e/o in crisi e dunque ricattabili dal governo, anche per la continua necessità di sostegni pubblici». Non è strano, quindi, che non raccontino ciò che sta davvero accadendo.Addio, cittadini italiani: «Espropriati del diritto di scegliersi i parlamentari, scippati della sovranità nazionale (delegata a misteriose e imperscrutabili autorità europee), i cittadini non ancora rassegnati a godersi lo spettacolo di una destra e di una sinistra sempre più simili e complici, che fingono di combattersi solo in campagna elettorale, possono rifugiarsi in movimenti anti-sistema ancora troppo acerbi per proporsi come alternativa di governo (come il M5S); o inabissarsi nel non-voto (che sfiora ormai il 50%)». In teoria, la Costituzione prevede alcuni strumenti di democrazia diretta, come i referendum abrogativi: «Che però, prevedibilmente, saranno sempre più spesso bocciati dalla Consulta normalizzata». Restano le leggi d’iniziativa popolare, peraltro quasi mai discusse dal Parlamento, ma i “padri ricostituenti” hanno pensato anche a queste, «quintuplicando la soglia delle firme necessarie, da 50 a 250 mila. Casomai qualcuno s’illudesse ancora di vivere in una democrazia».Nella peggiore delle ipotesi, l’allarme di Travaglio sarà costretto a impallidire se il Trattato Transatlantico che avanza a porte chiuse fosse davvero approvato, come vogliono Obama e Renzi, entro la fine del 2015: i giudici italiani non avrebbero più nessun potere contro le pretese delle multinazionali, pronte a chiedere maxi-risarcimenti a Stati e governi che oseranno opporre leggi a tutela del territorio, dei lavoratori, delle persone. E se a qualcuno il “nuovo ordine” non starà bene, l’Unione Europea – ora guidata dall’impresentabile oligarca Juncker – sta già addestrando in gran segreto l’Eurogendfor, polizia militare antisommossa e multinazionale, incaricata di reprimere le proteste: a caricare i cortei italiani potranno essere agenti francesi e olandesi, poliziotti spagnoli e portoghesi. Entro due o tre anni, secondo i critici più pessimisti, la Costituzione italiana sarà ricordata soltanto sui libri di storia.Le chiamano “riforme”, come fossero sinonimo di “migliorie”, secondo la vulgata mainstream accettata dai media come verità di fede. Ma sono soltanto le “indicazioni” – leggasi: diktat – che l’oligarchia euroatlantica da anni reitera all’Italia, a colpi di spread (Mario Monti) oppure confidando nell’appeal demiurgico di Renzi, che attraverso il ministro Padoan (Ocse) e con la collaborazione dell’immancabile “uomo di sinistra”, il ministro Poletti (Lega Coop), propone la stessa cura-Monti spacciandola per innovazione entusiasmante. Tutto molto semplice: smantellare i punti cardine della Costituzione antifascista, quella che Jamie Dimon (Jp Morgan) ritiene obsoleta, perché tutela l’interesse pubblico di cittadini e lavoratori contro la legge del business. Quella che – con l’applicazione del Ttip, il Trattato Transatlantico voluto dai padroni di Obama e imposto a Renzi – farà sparire in tutta Europa le ultime garanzie di tutela su ambiente, salute, lavoro e sicurezza alimentare, liquidando la qualità del made in Italy. Logica traduzione: sbaraccare lo Stato di diritto e il “rischio” che possa essere governato dai cittadini tramite politici onesti che abbiano a cuore l’Italia.