Archivio del Tag ‘Banca Etica’
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Baranes: rassegnatevi, l’Italia chiude e regala pure l’Eni
Spezzeremo le reni allo Stato, e ci stiamo riuscendo. Come? Con le “riforme”, «qualunque esse siano», e con le privatizzazioni, «il nuovo mantra di media e politica», un mainstream allineato all’ideologia neoliberista del pensiero unico: i servizi pubblici sono un peso, l’unico attore abilitato è il mercato. Matteo Renzi è solo l’ultimo esponente di una lunga serie di persuasori occulti, e non importa se la strada che annuncia è fallimentare in partenza – per lo Stato, non per certo per i compratori, dai quali Palazzo Chigi spera di rastrellare 10-12 miliardi, cioè una goccia nel mare degli oltre 2.000 miliardi del debito pubblico anch’esso “privatizzato”, affidato alla lotteria della speculazione finanziaria, vulnerabile dall’epoca del divorzio tra Tesoro e Bankitalia gestito da Ciampi. Debito ora denominato in euro, moneta tecnicamente “straniera” cui il governo non può avere libero accesso. E oggi, avverte Andrea Baranes, la grande privatizzazione avviene in un momento in cui l’acquirente prenota pezzi di Italia a prezzi di realizzo, comprando solo i migliori asset: quindi «è chiaramente lo Stato», cioè i cittadini, «a perdere, non “valorizzando” ma svendendo le proprie partecipazioni».Persino in termini meramente finanziari l’operazione è difficile da capire, scrive Baranes in un post su “Comune.info”, pensando al boccone più grosso, quello dell’Eni, che «da anni, senza eccezioni, distribuisce un dividendo sulle azioni superiore al 5%». Visto che «l’Italia sul suo debito pubblico paga in media il 4% di interessi», è evidente che lo Stato «incasserebbe di più tenendosi azioni che danno più del 5% e continuando a pagare un debito al 4% invece di vendere azioni Eni per diminuire il debito». Tutto questo, peraltro, è poca cosa rispetto alla posta in gioco: «Uscire dalla crisi attuale necessita tra le altre cose di un piano industriale, energetico, occupazionale, una riconversione ecologica dell’economia». Quindi, è mai possibile che «per il governo l’unica “politica” industriale consista non solo nel non dare alcun indirizzo in economia ma addirittura nel vendere – o svendere – le proprie principali partecipazioni a soggetti interessati unicamente alla massimizzazione del proprio ritorno finanziario?».La storia si ripete identica, dopo Telecom, Ilva e Alitalia. Grazie a un certo Mario Draghi, «in pochi anni in Italia abbiamo privatizzato il 100% del sistema bancario – caso più unico che raro su scala globale – per ritrovarci i conti correnti tra i più cari d’Europa, enormi difficoltà di accesso al credito per le piccole imprese e crediti deteriorati o in sofferenza, che stanno strangolando lo stesso sistema bancario», scrive Baranes. «Per uscirne, come nel caso dell’Alitalia, la soluzione prospettata è una “bad bank”: dopo avere privatizzato i profitti, socializziamo le perdite e ripartiamo». Così, «non solo non si impara dagli errori del passato, ma non è nemmeno ipotizzabile un dibattito “laico” su pro e contro delle privatizzazioni: si va avanti a testa bassa, con una fede ideologica che rasenta il fanatismo, aprendo ulteriori spazi ai “mercati” e agli interessi privati». Nessuna sorpresa, comunque: Renzi è in contatto con Tony Blair, advisor strategico della Jp Morgan, la grande banca d’affari che pensa che l’Italia debba sbarazzarsi del suo patrimonio, a cominciare dalla Costituzione. E il ministro Padoan proviene dal Fmi e dall’Ocse, santuari della teologia neoliberista privatizzatrice.Il livello locale non fa eccezione: Roma pensa di cedere pure le sue azioni in Banca Etica e pensa a disfarsi del Teatro Valle «per restituirlo ai romani», dopo che il teatro – sostenuto dai 6.000 cittadini della fondazione “Teatro Valle Bene Comune” – in questi tre anni ha ospitato migliaia di spettatori. «Una gestione aperta, pubblica e partecipata diventa escludente dei cittadini», prende nota Baranes, pensando al sindaco Marino. «La privatizzazione è l’unica strada per aprire al pubblico». Le forze politiche sono tutte impegnate nel coro di condanna del deficit, interpretato come una sorta di malattia: nessuno ricorda che il debito è esattamente la “ragione sociale” dello Stato, lo strumento per assicurare servizi (compresi quelli culturali) senza i quali lo stesso settore privato dell’economia va in sofferenza e alla fine soccombe, dopo aver bruciato i risparmi, di fronte alla concorrenza. Oggi la concorrenza è globalizzata, straniera, tedesca e non solo: l’Italia in rottamazione saluta anche la gloriosa Indesit, emblema di un’epoca perduta – fatta anche di sprechi e veleni, ma soprattutto di benessere per tutto il sistema. Oggi, semplicemente, l’Italia chiude. Svendendo – con Renzi – anche i gioielli pubblici come l’Eni, tra gli applausi del mainstream e il silenzio degli elettori, metà dei quali hanno peraltro votato per il liquidatore di Firenze.Spezzeremo le reni allo Stato, e ci stiamo riuscendo. Come? Con le “riforme”, «qualunque esse siano», e con le privatizzazioni, «il nuovo mantra di media e politica», un mainstream allineato all’ideologia neoliberista del pensiero unico: i servizi pubblici sono un peso, l’unico attore abilitato è il mercato. Matteo Renzi è solo l’ultimo esponente di una lunga serie di persuasori occulti, e non importa se la strada che annuncia è fallimentare in partenza – per lo Stato, non per certo per i compratori, dai quali Palazzo Chigi spera di rastrellare 10-12 miliardi, cioè una goccia nel mare degli oltre 2.000 miliardi del debito pubblico anch’esso “privatizzato”, affidato alla lotteria della speculazione finanziaria, vulnerabile dall’epoca del divorzio tra Tesoro e Bankitalia gestito da Ciampi. Debito ora denominato in euro, moneta tecnicamente “straniera” cui il governo non può avere libero accesso. E oggi, avverte Andrea Baranes, la grande privatizzazione avviene in un momento in cui l’acquirente prenota pezzi di Italia a prezzi di realizzo, comprando solo i migliori asset: quindi «è chiaramente lo Stato», cioè i cittadini, «a perdere, non “valorizzando” ma svendendo le proprie partecipazioni».
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Via le banche dalla Cdp, quei soldi sono il nostro futuro
Il 14 giugno del 2011 oltre 26 milioni di italiani dichiarano che l’acqua non deve sottostare alle leggi del mercato, chiedendone una gestione pubblica e partecipata. A due anni di distanza poco o nulla è stato fatto. Il ritornello è sempre lo stesso: non ci sono i soldi. La crisi colpisce, dobbiamo accettare sacrifici e piani di austerità per rimettere in sesto i conti pubblici. Ma è proprio vero che i soldi non ci sono? La Cassa Depositi e Prestiti è l’ente che raccoglie il risparmio di milioni di italiani tramite i libretti di risparmio e i buoni fruttiferi delle Poste Italiane. Una raccolta che supera i 230 miliardi di euro, con una liquidità di oltre 140 miliardi. Per decenni la Cassa, sotto il diretto controllo del ministero del Tesoro, ha avuto il compito principale di sostenere gli enti locali per investimenti di lungo periodo, in particolare tramite prestiti a condizioni favorevoli rispetto ai tassi di mercato.
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Sarà Natale solo per i ricchi: e Monti voleva salvare l’Italia?
Dopo un anno di cura Monti, il malato Italia sta molto peggio. E il Professore rimedia un bel 4 in pagella. A giudicarlo è Fabio Salviato, fondatore di Banca Etica. Siamo in regime di «decrescita infelice», dice Salviato, «mentre la “decrescita felice” avrebbe potuto generare circuiti virtuosi», capaci di garantire «milioni di nuovi posti di lavoro». Come spiega Maurizio Pallante, teorico italiano della decrescita (cioè: taglio degli sprechi e aumento del lavoro utile), sono enormi i margini economici assicurati da settori strategici come l’energia pulita, la riconversione ecologica del patrimonio edilizio e la gestione dei rifiuti basata sull’industria del recupero e del riciclo della materie prime. A un anno dall’insediamento del super-tecnocrate della Bocconi, riflette Salviato, i media restano morbidi: riconoscono a Monti di aver risollevato l’immagine internazionale dell’Italia. Ma a che prezzo? Come dire: l’operazione è riuscita, ma il paziente è morto.
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Soliles: donazioni e microcredito per difendersi dalla crisi
Disoccupati meno soli di fronte alla crisi, grazie a un’idea forte: scommettere sulle proprie capacità e creare nuovi servizi, aziende sociali, economia quotidiana e piccole iniziative salva-famiglie. Lo sportello si chiama Soliles, “solidarietà all’impresa e al lavoro etico e sociale”. Missione: raccoglie fondi per sostenere persone in difficoltà, da affiancare e trasformare in operatori attivi e fiduciosi: «Quest’anno – spiega Giovanni Acquati, tra i fondatori della finanza etica italiana – abbiamo seguito decine di immigrati nella loro ricerca di credito». Strumento operativo: l’associazione Mairi, che garantisce mutuo aiuto tra immigrati residenti in Italia. Ultimo impegno di Soliles: il progetto di sviluppo locale “Pl’in”, ovvero “prendi l’iniziativa”: «Lo stiamo proponendo in tutta Italia, specie in Sardegna, per affrontare in maniera innovativa la crescente disoccupazione».
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Non coi miei soldi: la rivoluzione etica comincia in banca
Come Banca crediamo sia arrivato il tempo in cui ognuno, come cittadino, risparmiatore, lavoratore, pensionato e consumatore, debba fare la propria parte e debba prendere coscienza che l’utilizzo del proprio denaro ha conseguenze dirette sul futuro suo, dei suoi simili e dei suoi figli. E’ alla luce di queste scelte e della forza di oltre 36.000 soci, che Banca Etica ha la legittimità di ribadire con forza che accanto al modello finanziario dominante esiste un’alternativa che funziona e che interroga il mondo dell’economia sull’urgenza di un cambiamento profondo. Ogni cittadino è parte integrante del sistema economico e finanziario: lavora, percepisce un reddito, risparmia, investe, acquista titoli di stato, quote di fondi di investimento, deposita liquidità su conti di risparmio, sottoscrive polizze assicurative.
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Banca Etica: ora basta, la crisi la paghi chi l’ha creata
Dopo la crisi finanziaria del 2007-2008 gli Stati sono intervenuti per salvare le banche trasferendo l’eccesso di debiti dai grandi soggetti finanziari al pubblico. Ora come cittadini siamo chiamati a “stringere la cinghia” e accettare misure di austerità e tagli alla spesa sociale, al welfare, ai diritti mentre stiamo ancora aspettando regole condivise per limitare lo strapotere della finanza. La speculazione è ripartita a pieno ritmo e le lobby finanziarie lavorano per diluire o bloccare qualsiasi tentativo di riforma o regolamentazione. La politica sembra totalmente succube dei mercati finanziari. In Italia la finanza detta i tempi della manovra di bilancio e ne fissa i contenuti.
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Banche armate: ecco chi finanzia l’orrore della guerra
Il conflitto israelo-palestinese, le lotte tribali in Africa centrale, la guerra perpetua in Ossezia e in Cecenia, la ribellione delle Tigri Tamil in Sri Lanka e del popolo Karen in Birmania e ancora il Chiapas, Haiti, corno d’Africa, l’isola di Timor e tantissimi altri. Queste sono solo alcune delle guerre in essere all’alba del 2011. Sono molte decine e sarebbe impossibile analizzare una per una le ragioni e le modalità dei conflitti e comunque non è di questo che vogliamo parlare. Apparentemente si tratta di situazioni che tutti noi italiani, noi occidentali, sentiamo lontane.
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Abbiamo un sogno: facciamo vincere l’Italia, quella vera
I have a dream: un giorno l’Italia si sveglierà diversa e migliore, perché avrà finalmente riscoperto se stessa. Un paese reale che ha voglia di futuro, e non è rassegnato a subire per sempre lo spettacolo dell’ordinaria indecenza organizzato per mascherare la mediocrità di un potere impotente, incapace di opporsi al declino. C’è un’Italia che da tempo si è messa in cammino: in televisione non la si vede, ma sta combattendo ogni giorno porta a porta, casa per casa, per darsi coraggio e programmi, basati sulla civiltà della conoscenza: ecologia, ricerca, energia pulita, lavoro e diritti, dignità. Valori in campo nella vita quotidiana: perché non anche alle elezioni?
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La sinistra è morta: ha scambiato lo sviluppo per progresso
«Non c’è possibile progresso, nello sviluppo: la sinistra è morta perché non l’ha capito». Giulietto Chiesa è pessimista: «Il momento è drammatico, data la crisi globale del sistema e la caccia alle risorse: fra poco, qualcuno verrà a dirci che i beni come la benzina e l’acqua saranno razionati, a disposizione dei soli ricchi, armati fino ai denti. Non c’è tempo da perdere: dobbiamo farci sentire, scuotere l’opinione pubblica dal torpore televisivo». Correre ai ripari? Ma no: «L’unica prospettiva rivoluzionaria, oggi, è affrettare il collasso ormai imminente del sistema: prima crolla e meglio è», dice Massimo Fini, declinando l’invito lanciato a Torino da Maurizio Pallante: costruire un nuovo soggetto politico che si opponga al duopolio destra-sinistra, denunciando la “follia” della crescita e la “menzogna” dello sviluppo illimitato.
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Basta auto: produciamo energia per salvare Fiat e lavoro
Le soluzioni per disinnescare le tensioni sindacali, per creare nuovi posti di lavoro di qualità, per rilanciare la Fiat e, ancor più, per uscire dalla crisi economica esistono già e sono a portata di mano, è solo un problema di volontà politica. Il mercato dell’auto è ormai saturo: in Italia circolano oltre 35 milioni di vetture, è chiaro che il futuro della Fiat non può essere solo nell’auto, che, oltretutto, ha un elevato impatto ambientale e sociale (basti pensare agli incidenti stradali). Occorrono nuove idee, occorre diversificare e percorrere nuove strade.
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Spesa militare record, le banche e le bombe proibite
All’ottavo posto al mondo per spese militari, nel 2010 l’Italia si prepara a spendere oltre 23,5 miliardi di euro per la difesa. Sono i costi del nuovo esercito professionale, delle missioni all’estero e dei moderni armamenti come il caccia “stealth” F-35. E mentre l’Italia è divenuta il secondo produttore mondiale di armi, piazzando il proprio export militare alle spalle di quello degli Stati Uniti, un rapporto internazionale svela che il sistema bancario nazionale è coinvolto nel finanziamento della produzione di “cluster bombs”, malgrado l’Italia abbia sottoscritto l’accordo per la messa al bando delle micidiali bombe a grappolo, responsabili delle più efferate stragi di civili.
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Terra Futura, ripensare un’Italia eco-sostenibile
Rispondere alla crisi con la sostenibilità. E’ questo il filo conduttore di “Terra Futura”, la mostra-convegno internazionale delle buone pratiche, dal 29 al 31 maggio alla Fortezza da Basso di Firenze. Un calendario ricco di seminari, workshop, convegni, dossier e laboratori didattici, nonché la “Piazza della Chimica Verde”, un grande spazio espositivo dedicato ai nuovi materiali rinnovabili e rivoluzionari prodotti sostenibili. Tra i partner dell’iniziativa figurano Legambiente, Acli, Arci, Caritas italiana, Cisl, Fiera delle Utopie Concrete.