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Archivio del Tag ‘bellezza’

  • Giovagnoli: oggi siamo tutti canadesi, al servizio della vita

    Scritto il 19/2/22 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    Grandi alberghi, a Roma, ora licenziano i dipendenti. Stanno chiudendo: saranno ricomprati a prezzo di saldo. E le bollette, le avete viste? Sono triplicate. Questo significa una sola cosa: uccidere le piccole imprese, il nostro tessuto produttivo. L’Italia è al centro di un progetto di predazione, oltre a essere un laboratorio sociale. Obiettivo: vedere fino a che punto è possibile rincoglionire e sottomettere le persone. Perché hanno scelto l’Italia? Perché ha un immenso potere erotico, e perché è uno dei paesi più analfabeti al mondo: andate a chiedere a un ragazzo quando ha letto l’ultimo libro, o se conosce qualche filosofo dell’Ottocento. In più siamo sottoposti al dominio clericale, che ci ha sempre imposto di sopportare tutto. Si veda il comportamento dell’attuale pontefice: dice che la situazione italiana va benissimo così com’è, e che sottoporsi al trattamento sanitario obbligatorio è “un atto d’amore”. E quindi ci siamo ridotti questo stato: ai limiti dell’umano, ormai.
    Fai un po’ troppo i capricci? Ti blocco il conto in banca. Vai alle manifestazioni? Ti sospendo l’assicurazione del camion, ti annullo i tuoi contratti commerciali. E’ quello che sta accadendo in Canada, che è sempre stato – storicamente – una patria delle libertà. Non sente ragioni, il governo di Ottawa: è irremovibile. La capitale è stata invasa da una marea umana, che si è sollevata pacificamente e ha paralizzato il paese. Bene: non possono dargliela vinta. Non possono permettersi di perdere, perché – se in Canada vincesse la protesta – ne seguirebbe un’onda d’urto. Oggi, il Canada è tutto il mondo: siamo tutti canadesi. Poi c’è l’Italia, certo: e il Canada è l’ombra dell’Italia. Anche da noi c’è un governo che non sente ragioni, che non prova emozioni, che perseguita i cittadini. Potrebbero arrivare, anche qui, a bloccare i conti correnti? Pensateci: se innanzitutto elimino il contante, per privarti dei tuoi soldi (i tuoi) mi basterà un semplice click.
    In Canada è già cominciata la corsa ai bancomat, e alcune grandi banche li hanno prontamente chiusi: proprio come in Grecia, anni fa. In fondo è il piano a cui doveva servire, fin dall’inizio, il lasciapassare verde: se non obbedisci ti tolgo quello che hai, come in Cina. Tutto il resto, peraltro, ce l’hanno già tolto: bar e ristoranti, alberghi. Ci hanno tolto i servizi, pagati anche da noi. E così i trasporti: pure quelli, pagati anche da noi. Attenti al Canada, dunque: stiamogli vicino. Sentiamoci come loro, come quei “guerrieri” canadesi contro cui oggi si scatenano i rastrellamenti delle truppe speciali antisommossa. I canadesi stanno lottando per la loro nazione, certo; ma, al tempo stesso, sanno che stanno rendendo un servizio a tutto il mondo: così come lo stiamo facendo noi, che in Italia non abbiamo obbedito alle imposizioni. Noi stiamo difendendo il nostro territorio e il futuro dei nostri figli. Ma stiamo prestando un servizio all’intera umanità: perché quello che parte da questi paesi finirà per dilagare ovunque.
    Penso agli studenti contro il Green Pass, che in tutta Italia ormai si stanno facendo sentire, facendo manifestazioni e occupando le scuole: la loro causa è magistrale. Stanno crescendo, in termini di consapevolezza e di amore. Ringrazio Giuseppe Cruciani: in televisione ha difeso la causa dei ragazzi che non possono più prendere l’autobus o frequentare la palestra. E intanto, in mezzo a questa crisi bruciante, osserviamo la Spagna: ha rimosso ogni restrizione e sta puntualmente registrando un boom di prenotazioni turistiche. Credete che il nostro governo non sappia cosa sta facendo? Credete che non si renda conto dei danni che sta provocando? Pensate che disprezzo ha per gli italiani: arriva al punto da creare delle condizioni che costringono i nostri connazionali a vivere le vacanze all’estero, perché qui non è più possibile. Vi rendete conto dei soggetti con cui abbiamo a che fare?
    Penso al Pd, che si dichiara di sinistra e quindi teoricamente in difesa dei più poveri. A loro dico: siete ridicoli. Cosa racconterete, a ottobre, quando inizierà la campagna elettorale? Con che faccia andrete nelle piazze? E a dire che cosa? Idem i 5 Stelle, i voltagabbana per eccellenza: con che faccia ripeteranno che “uno vale uno”? E la Lega, che si proclama a favore degli italiani? Ha votato due volte l’approvazione del Green Pass, così come Forza Italia. E la Meloni, che cosa ha fatto? Che schifo, ragazzi. Che deserto. Mi sono appena sentito con Stefano Puzzer: condividiamo la necessità che si crei una grande alleanza, basata su una precisa consapevolezza. Oggi è facile, creare una nuova piattaforma: dentro, però, ci devono essere persone che abbiano fatto un salto, altrimenti si rischia di ripetere le illusioni vissute con i 5 Stelle. Apprezzo Mauro Scardovelli, che resta un punto di riferimento per molti di noi: aveva organizzato un convegno limitando l’accesso ai soli possessori di “Super Green Pass”, ma in poche ore si è accorto dell’errore e ha annullato il convegno.
    E’ stato un gesto fantastico, simbolico: una sorta di prova. I grandi devono superare delle prove, e lui ha chiesto scusa: questo mi è piaciuto, è un gesto di umanità. Io sono due anni che subisco ogni genere di vessazione, e nessuno mi ha mai chiesto scusa. Solo da persone che sono come noi possiamo sentirci dire “scusa”. Visto che ha fatto questo grande gesto, Mauro merita di continuare la sua opera: ovvero, unire le persone. Quello che ci aspetta, adesso, è una totale resistenza: stiamo fermi, ancora. Se non hanno raso al suolo tutto quello che potevano, è perché siamo stati fermi. Questo stare fermi continua a fortificarci. Ci logorano, ci scoraggiano; perdiamo il lavoro, abbiamo tutti contro. Ma siamo diventati, letteralmente, quei mattoni con i quali adesso si può davvero costruire qualcosa. Oggi siamo stabili, non ci muoviamo più di fronte a nulla. Certo, è stato un grande lavoro. Quindi dobbiamo continuare con questa resistenza, cercando anche di renderla più bella e più sopportabile possibile, più interessante, più proficua. E intanto dobbiamo prepararci, perché quello che abbiamo subito non si ripeta più, in futuro.
    Bisogna costruire qualcosa che ci permetta di promuovere persone con precisi requisiti, persone che abbiano superato queste prove, per poter entrare nei centri decisionali. Non si può pensare di continuare a vivere solo di riflesso. La politica va fatta in due modi: servono persone adatte nei posti giusti, e serve – all’esterno – quello che stiamo facendo noi, adesso. Noi condizioniamo già gli eventi, pur non avendo un solo uomo, un solo deputato, un solo ministro che sia dalla nostra parte. Pensate cosa significa poter contare su persone fidate, che – in questo tempo – si siano dimostrate all’altezza. A questo è servito, questo periodo così duro: in tanti hanno pensato a fare cassa; altri invece si sono messi in luce, dimostrandosi in grado di potersi assumere una vera responsabilità. Non cadranno dal cielo, gli esseri immacolati: sono già tra noi, quelli che hanno meritato la nostra fiducia.
    Pensate a uno come Come, uno come Salvini: è adesso, in questi due anni, che abbiamo visto chi sono, veramente. Dall’altra parte, invece, abbiamo visto persone che si sono sacrificate: hanno dato il proprio tempo, a volte anche la propria vita. Ecco gli esami che contano, quelli veri. Quando anch’io dovrò scegliere delle persone, le sceglierò qui, in mezzo a noi: quelle che hanno dimostrato di saper superare queste prove. Oggi ci servono esseri dotati di profonda umanità: perché queste crisi non le superi con il “dottorone”, le superi con l’umanità. Non è più nemmeno una battaglia economica e politica: è una battaglia spirituale. Quindi dobbiamo lavorare anche per ricucire il divario tra credenti e non credenti, tra cristiani e non cristiani, tra giovani e anziani. In questo momento siamo dei sarti, armati di un filo d’oro per unire le persone: unendoci si è più forti, e si appronta uno strumento che in futuro sarà prezioso, per affrontare quello che ci aspetta.
    Pensate: a ottobre matura il vitalizio, per i parlamentari; fino ad allora non muoveranno il culo dalla poltrona. Dopo, però, cominceranno ad agitarsi. Già oggi c’è una mezza crisi di governo: Draghi (che sta lassù, e non si capisce a chi appartenga) avverte i partiti: o votate compatti, o non si va avanti. Pensate come si scanneranno, in autunno, quando saremo in piena campagna elettorale. E lì noi dovremo essere pronti, e avere una presenza ferma: altrimenti vivremo sempre il riflesso del gioco degli altri. Intanto, abbiamo sotto gli occhi i numeri del disastro. Il settore alberghiero sconta un calo dell’80%. Piangono gli esercenti, che avevano pensato di cavarsela nonostante le restrizioni, incuranti del fatto che, se danneggi una parte dell’umanità, poi il danno si ripercuote su tutta l’umanità. Oggi, l’Anac spiega che sono già 500 le sale cinematografiche che, in Italia, sono state costrette a chiudere. Bisogna che il governo intervenga, dice l’Anac. No, dico io: dovevate svegliarvi prima, ragazzi.
    Non è intelligente continuare ad appellarsi al governo, pur sapendo che è proprio questo governo ad aver generato il disastro: non puoi chiedere al piromane di spegnere l’incendio, o al ladro di sventare la rapina. Se gli esercenti, le loro associazioni di categoria, si fossero rivolte agli italiani, anziché al governo, chiedendo “vi sembra giusto limitare l’accesso ai negozi ai soli possessori di Green Pass, costringendoci così a perdere una quota degli incassi?”, forse gli italiani avrebbero risposto che no, non era affatto giusto. Allora, forse, il governo avrebbe preso una posizione più ragionevole. E invece: hanno continuato a dare fiducia, forza, al potere. Sembra di assistere a uno spettacolo dove c’è qualcuno che ha addomesticato e incantato l’umanità. Molta gente non sa più nemmeno cosa dire, non sa spiegare perché si è ridotta a vivere così, in un paese dove chiudono 500 cinema, mentre la Spagna si prepara a vivere un boom turistico impressionante. Ma sono in tanti, comunque, i cittadini che si sono ribellati alla persecuzione: fanno riunioni carbonare e tengono vivo questo spirito. Anche tra chi ha ceduto al ricatto, ormai, molti si dicono pentiti: si sentono presi per il sedere.
    Questo movimento intestino, sotterraneo, si manifesta anche in luoghi dove sembrava che niente si muovesse: si muove qualcosa anche nel mio paese, Carpegna, sulle montagne delle Marche. Vedete, in questo periodo stiamo approcciando la primavera. E in primavera esce ciò che è rimasto vivo sotto la terra. Noi, certo, siamo stati sommersi. Hanno voluto seppellirci, ma hanno dovuto fare i conti col fatto che noi eravamo dei semi. Vi dico questo: la mattina, quando vi alzate, pensate alla cosa più bella che potete fare. E ricordatevi che siete degli eroi, dei guerrieri di luce: state sopravvivendo alla più grossa persecuzione che potessimo incontrare. Restiamo qui – fermi – al servizio della vita. Ormai siamo arrivati quasi oltre noi stessi, siamo saliti un po’ più in su. Cos’abbiamo, a cuore? Il nostro tornaconto? No di certo: quello è già stato totalmente consegnato al fuoco. Siamo al servizio di qualcosa di più alto. Vi abbraccio forte. Siamo arrivati liberi, su questa Terra; liberi torneremo a casa. Con tutto l’amore che posso: sentitevi belli, sempre.
    (Michele Giovagnoli, dal video trasmesso su Facebook il 18 febbraio 2022).

    Grandi alberghi, a Roma, ora licenziano i dipendenti. Stanno chiudendo: saranno ricomprati a prezzo di saldo. E le bollette, le avete viste? Sono triplicate. Questo significa una sola cosa: uccidere le piccole imprese, il nostro tessuto produttivo. L’Italia è al centro di un progetto di predazione, oltre a essere un laboratorio sociale. Obiettivo: vedere fino a che punto è possibile rincoglionire e sottomettere le persone. Perché hanno scelto l’Italia? Perché ha un immenso potere erotico, e perché è uno dei paesi più analfabeti al mondo: andate a chiedere a un ragazzo quando ha letto l’ultimo libro, o se conosce qualche filosofo dell’Ottocento. In più siamo sottoposti al dominio clericale, che ci ha sempre imposto di sopportare tutto. Si veda il comportamento dell’attuale pontefice: dice che la situazione italiana va benissimo così com’è, e che sottoporsi al trattamento sanitario obbligatorio è “un atto d’amore”. E quindi ci siamo ridotti in questo stato: ai limiti dell’umano, ormai.

  • Siamo noi, i veri protagonisti di questo tempo decisivo

    Scritto il 18/11/21 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    Il nostro “stare fermi” per 21 giorni, a partire dall’11 dicembre, basterà per chiudere questa storia? Sicuramente no. Però quei 21 giorni di inattività e di festa sono inspensabili, fondamentali. Quand’è che finalmente arriveremo a chiuderla, questa faccenda? Quando si sarà raggiunto un livello di maturazione, nelle persone, tale da creare un terreno che non potrà più ospitare questo tipo di situazione. Questa operazione – stare fermi – ci sta facendo crescere. Noi stiamo crescendo, letteralmente, alla velocità della luce: stiamo crescendo nella luce, dentro i fotoni che stanno arrivando dal Sole, carichi di informazioni. E questo tempo ha proprio questa funzione: farci crescere. Inesorabilmente cresciamo, ci trasformiamo. Giorno dopo giorno, diventiamo più veri. Più puliti, più raffinati. Prova a guardarti: com’eri, quattro mesi fa? Come reagivi, di fronte a certe situazioni? Che idea avevi, del mondo? E poi prova a guardarti adesso. Ecco: noti che sei cambiato, ti sei raffinato. E questo ti ha portato a ospitare, dentro di te, uno stato totalmente nuovo.
    Nei nostri incontri quotidiani, e anche nel vivere la pressione a cui siamo sottoposti, stiamo facendo come il carbone: lentamente, il carbone si trasforma in diamante. Il diamante è carbone, sottoposto a pressioni particolari. E allora assume forme differenti: si cristallizza. E noi stiamo facendo la stessa cosa. Per loro, questa pressione ormai è inevitabile: se la allentano, gli crolla tutto addosso. Per noi invece è funzionale, perché ci sta trasformando: giorno dopo giorno, ci sta facendo diventare più belli. Migliori, più forti. Giorno dopo giorno, conquistiamo l’arte della fermezza. E riscopriamo quando è bello stare insieme alla gente della propria specie. Quanto ci è mancata, la spiritualità, in momenti così particolari come quello del Natale? Giorno dopo giorno scopriamo quanta fame abbiamo, di vivere gesti che portino del bene a qualcun altro. Giorno dopo giorno ci stiamo raffinando: le nostre cellule cambiano.
    Ognuna di queste giornate induce delle mutazioni genetiche. E ci stiamo accordando su note sempre più alte. Fino a un punto in cui la nostra consapevolezza – il nostro stato, la nostra vibrazione – sarà talmente alta, che non sarà più possibile che, su questo suolo, succedano certe cose. Quand’è che, “di là”, salteranno per aria? Quando noi avremo cambiato l’atmosfera che c’è, in questo pianeta: il suo stato. Il progetto ostile è mondiale, non esistono zone-rifugio. Quindi siamo condannati a “scappare dentro noi stessi”. E ciò rende speciale questo tempo: rende speciali tutte quelle cose che, fino a un po’ di tempo fa, ci facevano sentire “diversi” e “sbagliati”. La bellezza che ho incontrato, nel vivere, è che questo tempo sta dando senso a tutto quello che era successo prima: questo tempo giustifica tutte le sofferenze che ho vissuto in precedenza. Perché io sono nato per questo tempo. E’ il tempo della mia fioritura, della tua. E’ il tempo in cui darò i frutti migliori del mio albero, e così anche tu.
    Sapere di cosa si soffre aiuta a soffrire meno? Siamo andati già oltre: questo stato di cose che stiamo vivendo, il sentirsi orfani e clandestini, si sta trasformando in una visione: riusciamo a vedere da dove siamo arrivati. Ricordiamo cos’eravamo, quali bilanci avevano fatto. Avevamo degli ideali, per i quali all’inizio ci deridevano. Un po’ alla volta, invece, queste cose sono diventate una integrità, dentro di noi. Si sono cristallizzate e sono diventate delle colonne. E tutte queste colonne hanno accolto poi un abbraccio, da parte della volta celeste, fino a diventare un tempio. Noi siamo proprio delle colonne, che fanno sì che la Terra e il Cielo diventino un tempio: e siamo noi a sostenerlo. L’essere umano consapevole, l’essere “solare”, è la colonna di un tempio, che ha per base il cuore di questo pianeta e ha per volta la volta celeste. Non appena ne abbiamo individuato il senso, questo tempo diventa bellissimo.
    Dici: sto soffrendo, non posso più andare nemmeno al ristorante? Però tutto questo ha un senso, perché stai “portando il nuovo”. E pensi: è normale, che non mi vogliano più, là, perché io ho una frequenza più alta. E’ normale, sto portando una realtà nuova. E loro mi stanno semplicemente dicendo: guarda, questa realtà (vecchia) non fa più per te. E io la sto vedendo, questa cosa. Vedo tutto l’iter che ho fatto, quindi individuo tutte le cause: e c’è una logica, che ci fa sentire i veri protagonisti di questo tempo. Esseri umani, uomini e donne che hanno scelto di far arrivare, su questo pianeta, una frequenza diversa. Siamo tutti “angeli”, portatori di novità. Il peso che sentivamo era quello delle ali chiuse. Quando ci incontriamo, quando stiamo insieme, provo una leggerezza che non avevo mai provato. Me ne rendo conto: mi unisco alle ali degli altri, alla loro leggerezza.
    Noi uniamo delle leggerezze, degli entusiasmi, della luce. E questo ci consegna al tempo – realmente – da imperatori, da imperatrici. Abbiamo già vinto, perché la vittoria era arrivare integri, sin qui. Non ci hanno cambiato, non hanno cambiato il nostro progetto animico. Volevamo esseri fedeli ai nostri valori, e ci siamo riusciti. Volevano essere fedeli a quella frequenza, e l’abbiamo mantenuta. E’ questa, la grande vittoria. Possono cacciarti da una piazza, possono multarti, possono proibirti di accedere a spazi, di prendere un treno. Ma oltre quella soglia non possono andare. Da lì in avanti c’è tutto il tuo mondo, che per loro è irraggiungibile. E questo mondo ha la facoltà di avvolgere il vecchio, e di chiuderlo. Guardiamo quanti siamo, ascoltiamoci. Non siamo prossimi ad un termine. Al contrario, siamo partiti: noi siamo, letteralmente, l’inizio. E quindi le cose possono solo migliorare, per noi.
    (Michele Giovagnoli, estratti dal video-intervento su Facebook il 16 novembre 2021).

    Il nostro “stare fermi” per 21 giorni, a partire dall’11 dicembre, basterà per chiudere questa storia? Sicuramente no. Però quei 21 giorni di inattività e di festa sono indispensabili, fondamentali. Quand’è che finalmente arriveremo a chiuderla, questa faccenda? Quando si sarà raggiunto un livello di maturazione, nelle persone, tale da creare un terreno che non potrà più ospitare questo tipo di situazione. Questa operazione – stare fermi – ci sta facendo crescere. Noi stiamo crescendo, letteralmente, alla velocità della luce: stiamo crescendo nella luce, dentro i fotoni che stanno arrivando dal Sole, carichi di informazioni. E questo tempo ha proprio questa funzione: farci crescere. Inesorabilmente cresciamo, ci trasformiamo. Giorno dopo giorno, diventiamo più veri. Più puliti, più raffinati. Prova a guardarti: com’eri, quattro mesi fa? Come reagivi, di fronte a certe situazioni? Che idea avevi, del mondo? E poi prova a guardarti adesso. Ecco: noti che sei cambiato, ti sei raffinato. E questo ti ha portato a ospitare, dentro di te, uno stato totalmente nuovo.

  • Eccoci, finalmente: ora comincia la grande diserzione

    Scritto il 14/10/21 • nella Categoria: idee • (1)

    Le grandi rivoluzioni, si dice, sono sempre state progettate, innescate e dirette da formidabili élite avanguardistiche. Vero, ma poi che fine han fatto, quei rivolgimenti? Quanto alle élite, oggi sembra disastrosamente crollato il loro prestigio: persino l’oceanico astensionismo che ha rimpicciolito le ultime elezioni italiane (amministrative, per giunta: tradizionalmente partecipate) suona come una campana a morto, per chi è solito utilizzare pedine locali. Sembra un avviso rivolto non solo al super-governo del Tecnocrate, ma in fondo anche alle possibilità dell’intera politica liberale, democratica, completamente svuotata. L’arena è ormai percepita come corrotta, infiltrata, devitalizzata: nemica, addirittura. Manipolata proprio dai mediocri, impresentabili terminali di quelle stesse élite che oggi esternano il loro delirio globalista a vocazione totalitaria. Lo fanno senza più nemmeno nascondersi, dichiarando in modo esplicito i loro obiettivi apertamente zootecnici. Imperativi categorici e funesti, monotoni e minacciosi: magari inventano emergenze e pandemie, mettendo in croce i sistemi sanitari con artifici criminosi.

  • Giovagnoli: voi, Signori del Dolore, e il fratello De Donno

    Scritto il 31/7/21 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    E’ ora di cominciare a parlare chiaro: esistono tre soggetti in campo, oggi. Ci sono quelli brutti e cattivi, veramente diversi da noi. Conducono il gioco da millenni: hanno cambiato uniformi e casacche, ma sono sempre loro, e non fanno parte della nostra vita. Saranno i primi a uscire di scena, gli artefici del grande progetto criminale: sono esseri che non sentono. Il loro cuore pompa sangue, ma muove pochissime emozioni, e solo di un certo tipo; emette una frequenza fredda; ha delle punte di cuore, a livello di chakra, che sono veramente agli albori di quella che è l’umanità, e non hanno la facoltà di connettersi con gli altri. Sono esseri che non possono muoversi in quarta dimensione: non provano sentimento, non possono sposare il piano del cuore (che ti sposta, ti scaraventa letteralmente nel passato e nel futuro, ti concede tutta la dotazione dell’arte magica; ti permette di unire le cose, di far vibrare cuori, di far crescere entusiasmi, di far atterrare cose che tu stai creando in un piano parallelo, andando a canalizzare flussi energetici per poi materializzarli, manifestarli).
    Quella è l’arte del mago: colui che opera in una dimensione parallela, ed è qui solo per far arrivare quello che ha appena finito di creare. Loro invece non hanno questa facoltà, quindi non possono sentire il tuo dolore; sentono soltanto la frequenza che emetti, quando stai male, e di quella si nutrono. Niente di più: non hanno capacità empatica, la tua sofferenza non li sposta di un millimetro; avvertono soltanto la frequenza fredda che emetti, che è la cosa più importante che vogliono, perché è la forma di nutrimento energetico più alta della quale si alimentano. Poi esiste l’umanità, che oggi è divisa letteralmente in due parti, a livello vibrazionale. C’è un’umanità che sta là, e vive lo sconvolgimento odierno come un fenomeno del tutto normale. E’ un’umanità che confida nella normalità, che la auspica, che difende la normalità. E’ quell’umanità che conserva il Mercurio Inferiore, cioè quella forza che mantiene le cose ferme. E’ un’umanità che non ha capacità di salire di livello. Bene: quell’umanità rappresenta il nostro passato. Non sono né brutti né cattivi: solo, rappresentano semplicemente il nostro passato. Noi siamo stati come loro.
    Quell’umanità confida nel più forte, vuole che il più forte detti le regole, vuole che manifesti forza. Vuole che il più forte mantenga questo livello vibrazionale. Questa umanità, che è il secondo soggetto del grande gioco che viviamo adesso, è l’esercito più grosso (inconsapevole) al servizio del primo soggetto. Questa umanità va compresa: e non è difficile, per te, comprenderla. E’ composta da tanti “te” di tante generazioni fa: eri così, eravamo così. Molti di noi lo sono stati fino a ieri mattina, o fino all’anno scorso. Questi individui vanno ascoltati, osservati, sentiti: loro sono così. Poi c’è il terzo soggetto, che siamo noi. Noi siamo gli esseri solari: siamo il luogo dove la scheggia di sole (l’avanguardia) trova posto, per materializzarsi. E per “scheggia di sole” intendo: necessità di amarci, di prenderci cura di noi e degli altri, di rompere qualunque confine; di vivere nella concordia, nella condivisione della conoscenza e dell’entusiasmo. Noi siamo quelli che hanno la possibilità di far atterrare un livello vibrazionale nuovo, che si contrappone totalmente a quello che su questa Terra è stato creato (e il primo soggetto sta facendo di tutto, per mantenerlo lì).
    Uno dei più grossi doni che possiamo concederci è la facoltà di scegliere: ed è proprio quello che non ci stanno dando. Tralasciando per ora il primo soggetto (governi, finanza, stampa), intendo aprire la più profonda forma di compassione nei confronti del secondo soggetto: non mi scontrerò più con nessuno. Non muoverò più un grammo di energia, per contrastare chi mi contesta e magari mi augura di morire di fare (in questo, il nostro “passato” è veramente fantastico!). Contrastarli sarebbe un gesto inutile e controproducente: farebbe del male a noi e a loro. Quella parte di umanità non merita il dolore provocato da noi. Ha già una sofferenza, quella che ha scelto di vivere: non dobbiamo, anche noi, dargli modo di soffrire. Quindi, di fronte a loro, io mi pongo come di fronte al mio passato. Li guardo e mi dico: io sono stato quelli là, tanti anni fa. Questa è una grande forma di alchimia, sapete. Ed è un alchimista, che vi parla: appartengo alla stirpe di Giordano Bruno, e quelli come me conoscono le circolazioni energetiche.
    Abbiamo codici: non cadere nell’inganno della rabbia, un’energia che tu stai sprecando; anzi, te la stai scagliando contro. Chi non ha provato rabbia, davanti a una notizia come la scomparsa del nostro fratello Giuseppe De Donno? Chi non ha pensato, in quel momento, di “mangiarne crudo” qualcuno? Ma a parlare era la parte vecchia, quella del passato, la parte inutile. Quell’energia lì, dallo stomaco – da quell’impulso di volontà marziale – dev’essere trasferita al di sopra, cambiata, trasmutata. Quel piombo deve diventare oro, deve arrivare nel cuore. Devo provare compassione, per questa cosa: devono comprendere che cosa significa. Perché quello che sta succedendo non è il preludio alla grande tragedia: ci stanno apparecchiando il tavolo per la festa. E questa festa ha un costo, e dev’essere un costo di tutti. Trasformiamo la rabbia in compassione, non sprechiamo più un grammo di energia.
    Farci provare rabbia è una strategia del primo soggetto. Non vedete quanti giornalisti stupidi e mediocri ci fanno infuriare, perché offendono la nostra intelligenza? Offendono la nostra sensibilità, la nostra etica, la nostra bellezza, e sporcano anche l’aria che respiriamo. Lo fanno apposta: perché sanno che adesso noi abbiamo una forza, stiamo assorbendo e manifestando. E se loro ci tolgono energia con la rabbia, noi manifestiamo di meno. Non farti fregare, gioca contro: approfitta della stupidità del male. E’ un assist: il male fa sempre un assist, alla persona di conoscenza. Mi mandi tutta questa rabbia? Vuol dire che mi stai mandando energia. E io quest’energia la trasformo, e la faccio diventare qualcosa di potente. Perché la compassione, la padronanza di ciò che si sta sentendo, è una delle arti più grosse che abbiamo. Quindi, verso di loro non muoverò più rabbia: lascerò che mi insultino, che vivano il loro lamento. Lasciarli lamentare significa rispettare la loro scelta. E soprattutto, per noi, significa fortificarci.
    Per tanti anni, dall’adolescenza, abbiamo sentito che questo spazio era stretto, per noi. Non serviva tutta la nostra intelligenza, il nostro cuore, la nostra capacità creativa. Non serivano, per vivere una vita come questa. Anche tu te ne sei accorto, da subito, ma allora non erano ancora maturi i tempi: e allora abbiamo bruciato tutte le nostre età, un po’ alla volta. Siamo stati i diversi, facendo finta di essere come loro, tradendo la nostra spontaneità e mettendo a tacere il grande bambino che abbiamo dentro. E invece adesso è tempo di farlo uscire, il bambino: è un tempo meraviglioso, questo. Abbiamo la possibilità di esistere, di dichiararci: facciamo un outing d’amore, finalmente. Noi siamo così: per noi è più importante sapere che stiamo bene in due, anziché pensare di stare bene anche se tu crepi. Siamo il nuovo, il sole inteso come energia siderale che si materializza da altre dimensioni. E’ la forza più grossa che abbiamo.
    E in questa generazione, il sole sta spazzando via tutta la cloaca di falsi idoli, dalle religioni alle grandi guide. Li riconoscete anche adesso, facilmente: hanno sempre e solo parlato. Adesso invece è il tempo delle opere, e loro non parlano più. Io mi curo di me. E innamorandomi di me, mi innamoro di tutti voi. Per decenni mi sono innamorato solo di una donna, in un dialogo a due. Ora invece siamo entrati in una fase in cui ci stiamo innamorando reciprocamente. E non è più un amore che si muove da un partner all’altro: ci stiamo innamorando del nostro essere speciali, dell’essere qui. Ci guardiamo negli occhi e sappiamo che stiamo custodendo un segreto. Stiamo per partorire una cosa che non è mai stata partorita, su questa Terra. Abbiamo tutti bisogno gli uni degli altri. Quindi in questo periodo dobbiamo stare uniti e solidali, dobbiamo aiutarci. E uniti anche nel creare strumenti perché queste cose possano circolare: l’amore è un torrente in piena, che aspetta solo di diventare fiume.
    Quanto al primo soggetto, cioè i brutti e cattivi, adesso porto pazienza per un po’. Perché non li convinci spiegandogli che stai soffrendo: quello non si piegano di fronte a niente. Come si sono comportati, con Giuseppe De Donno, che aveva guarito 58 pazienti su 58? Non si sono fatti scrupoli: lo hanno hanno umiliato. Con quella sua cura, avrebbe spazzato via anche la possibilità di ricorrere ai vaccini sperimentali. Non si fanno scrupoli: quindi bisogna fronteggiarli parlando la loro lingua. Non so se mi senti, tu che appartieni al primo gruppo. Io ti vedo, e ti sento freddo. Chi ti parla ha un cuore pieno di lava. Pieno di fuoco, pieno d’amore. Ascolta: sta arrivando qualcosa, su questa Terra. E fra poco, molto poco, quando noi tutti avremo sigillato la più grande alleanza che l’umanità abbia mai sigillato, noi verremo da te, a parlare la tua lingua. Tu hai sistemi finanziari, hai costruito un mondo che si muove sul denaro, sul possesso, sul dolore, sull’avidità, sulla sterilità. E tutto questo si regge su questo filo virtuale, che tu hai creato, che chiami potere sul debole e forza sul povero. Bene, veniamo da te a parlare la tua stessa lingua.
    Tra poco, quando avremo caricato tutta la forza che ci serve, inizieremo delle campagne mirate proprio su di te. E verremo a colpire proprio te, parlando la tua stessa lingua. Hai un’azienda alla quale tieni tanto? Bene, ci sono 15-20 milioni di persone che te la boicottano dall’oggi al domani. Hai qualcuno dei tuoi ragazzotti che viene in Tv a insultare fratelli come il nostro dottor Giuseppe De Donno? Bene: noi abbiamo un pool di avvocati che, appena muovi la bocca, ti riempiono di querele. Ve lo ricordate quello là, che ha detto che dovevamo restare chiusi in casa “come sorci”, agli arresti domiciliari? Ecco: non abbiamo ancora fatto niente, ma gli è già arrivato un esposto da una realtà come il Codacons, che ha chiesto che venga espulso dall’Ordine dei Medici. Tra breve i nostri legali interverranno ogni qualvolta qualcuno mancherà anche solo di rispetto a quelli come noi. Ci serve solo un po’ di tempo. Usiamolo bene: ogni volta che stringiamo un abbraccio, carichiamo questo grande “cannone d’amore” che stiamo puntando verso il vecchio. Impatterete contro il nostro muro d’amore. E lì, forse, imparerete qualcosa di nuovo.
    (Michele Giovagnoli, dal messaggio “Un’unmanità nuova”, sulla pagina Facebook di Giovagnoli, 28 luglio 2021. Alchimista e saggista, Giovanoli anima la community “Essere Solare”, che in breve tempo ha aggregato 1.500 persone in tutta Italia).

    E’ ora di cominciare a parlare chiaro: esistono tre soggetti in campo, oggi. Ci sono quelli brutti e cattivi, veramente diversi da noi. Conducono il gioco da millenni: hanno cambiato uniformi e casacche, ma sono sempre loro, e non fanno parte della nostra vita. Saranno i primi a uscire di scena, gli artefici del grande progetto criminale: sono esseri che non sentono. Il loro cuore pompa sangue, ma muove pochissime emozioni, e solo di un certo tipo; emette una frequenza fredda; ha delle punte di cuore, a livello di chakra, che sono veramente agli albori di quella che è l’umanità, e non hanno la facoltà di connettersi con gli altri. Sono esseri che non possono muoversi in quarta dimensione: non provano sentimento, non possono sposare il piano del cuore (che ti sposta, ti scaraventa letteralmente nel passato e nel futuro, ti concede tutta la dotazione dell’arte magica; ti permette di unire le cose, di far vibrare cuori, di far crescere entusiasmi, di far atterrare cose che tu stai creando in un piano parallelo, andando a canalizzare flussi energetici per poi materializzarli, manifestarli).

  • Pandemia di felicità, nel mondo più bello e libero di sempre

    Scritto il 07/5/21 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    Vi piaceva Bob Dylan? Ora godetevi Fedez. Tifavate per Berlinguer? Be’, potete consolarvi con Speranza. Vi irrita Salvini? Niente paura, arrivano le Sardine. Avevate detto no al nucleare, invocando una ricoversione glocal, pacifista, solidale e green, come quella immaginata da Alex Langer? Non c’è che l’imbarazzo della scelta: da Greta a Soros, da Bill Gates a Elon Musk. Avevate palpitato per Thomas Sankara, cioè per la sovranità africana? Coraggio: ci sono le flotte delle Ong per raccogliere in mare chi scappa, dall’Africa schiava. Qualcosa stona e non torna? Troppi soldi in ballo, troppe frottole? Sentite puzza di imbroglio? Avvertite al collo qualcosa che assomiglia a un cappio? E allora siete i soliti incorreggibili pessimisti, complottisti, negazionisti, sovranisti e, per buon peso, anche fascisti, dunque ignoranti e rozzi, sgradevoli e volgari, sicuramente anche omofobi. Poveri sciocchi: il mondo è bellissimo, spensierato e libero. Non è mai stato più felice di così.
    Se avete l’impressione che la democrazia sia stata semplicemente digitalizzata, siete fuori strada: la democrazia siete voi. Lo s’è visto benissimo nelle ultime presidenziali americane, stravinte regolarmente dal candidato più accattivante di tutti i tempi: un uomo dal carisma travolgente, osannato dalle masse grazie anche al suo curriculum di specchiato filantropo, da sempre dedito al sacrificio altruistico, alla causa della pace nel mondo, alla santificazione dell’onestà. Uno vale uno, trillava in Italia il penultimo dei profeti nazionali, quello che è riuscito a ribaltare anche le leggi della fisica e della chimica, mettendo insieme prodigiosamente il fuoco e l’acqua, la merda e il risotto, i sogni volatili e i ceppi di piombo alle caviglie. Un mago dai poteri illimitati, capace di fondere alchemicamente – in un unico abbraccio, strepitoso – gli amati alfieri del Pd, gli ostrogoti leghisti e l’adorato Cavaliere, dopo aver regalato alla comunità italiana il miglior primo ministo della sua storia, regnante nel corso dell’indimenticabile, meraviglioso 2020.
    Tutto, del resto, procede per il meglio. Da quando è stata universalmente decretata la ormai celebre pandemia di felicità, gli esseri umani fanno a gara per brillare in intelligenza, senso critico e civile convivenza, sottoponendosi volontariamente a meravigliose innovazioni. La Dad e lo smart working, il lockdown e le zone rosse, il coprifuoco, l’asporto e il delivery in luogo delle retrive frequentazioni di bar e ristoranti. E’ stata riscoperta la bellezza della reclusione domestica, mentre i pass vaccinali scoraggiano finalmente attività riprovevoli come il turismo, insieme ad altre turpi abitudini (il cinema, il teatro, i concerti, gli aperitivi, le imprudenti passeggiate all’aria aperta, i pericolosi contatti umani). S’è scoperto quant’è bello respirare male, con il volto coperto da un bavaglio. E com’è entusiasmante non poter più lavorare, non poter più circolare, non poter più vivere come prima. E’ molto bello, non avere più notizie vere dai giornali e dalla televisione. E’ bello, poter contare sempre su qualcuno che ti spiega cosa puoi dire e cosa no, cosa puoi pensare e cosa no. Ed è consolante, sapere di doversi vaccinare per sempre: che scemi siamo stati, a non averci pensato prima.

    Vi piaceva Mick Jagger? Ora godetevi Fedez. Tifavate per Berlinguer? Be’, potete consolarvi con Speranza. Vi irrita Salvini? Niente paura, arrivano le Sardine. Avevate detto no al nucleare, invocando una ricoversione glocal, pacifista, solidale e green, come quella immaginata da Alex Langer? Non c’è che l’imbarazzo della scelta: da Greta a Soros, da Bill Gates a Elon Musk. Avevate palpitato per Thomas Sankara, cioè per la sovranità africana? Coraggio: ci sono le flotte delle Ong per raccogliere in mare chi scappa, dall’Africa schiava. Qualcosa stona e non torna? Troppi soldi in ballo, troppe frottole? Sentite puzza di imbroglio? Avvertite al collo qualcosa che assomiglia a un cappio? E allora siete i soliti incorreggibili pessimisti, complottisti, negazionisti, sovranisti e, per buon peso, anche fascisti, dunque ignoranti e rozzi, sgradevoli e volgari, sicuramente anche omofobi. Poveri sciocchi: il mondo è bellissimo, spensierato e libero. Non è mai stato più felice di così.

  • Cercano vittime: il rock degli Area 51 contro l’inferno 2020

    Scritto il 18/12/20 • nella Categoria: Recensioni • (Commenti disabilitati)

    «Cercano anime, cercano vite senza senso: cercano vittime». L’onda nera del 2020 finisce per infrangersi anche contro chi non vuole lasciarsi «trasportare a bassa quota», e avverte: «Tieniti forte, stringi i denti». Loro si tengono forte alle chitarre, alla tastiere e alla batteria, sfornando un piccolo capolavoro prog-rock che si concede tutta la nostalgia possibile per i fasti italiani della Pfm, delle Orme, del Banco del Mutuo Soccorso. “Vento” è il titolo dell’Ep del combat-group torinese chiamato Area 51, che sa ruggire con una freschezza invidiabile, senza paura di affrontare gli arabeschi struggenti dell’epica pura. La chitarra di Silvio Fasano non ha nulla da inviare a quella della leggendaria “Velasquez” di Vecchioni (”Elisir”, 1976), a sua volta ispirata alla mitica “Cortez the killer”, del miglior Neil Young. Trascinante la regia di Giulio Romiti (tastiere), assistito da Paolo Noce al basso, con la batteria di Daniele Veroli che all’occorrenza sa passeggiare con disinvoltura tra i riverberi gioiosamente fragorosi del grunge, zona Sonic Youth e Nirvana. Un’altalena di emozioni in chiaroscuro, mai leziosa, senza pause: una nave pirata, condotta da capitani coraggiosi in vena di avvertimenti: «Cercano anime da consumare senza pietà: e se ti distrai, fanno centro».
    Quattro brani, quattro gemme: testi di Romiti e Fasano (più Marco Gaviani). Sempre autorevole e coinvolgente il vocalist, Dennis Savoja Lucchitta. “Bassa quota”, “Vento”, “Cuore di carta” e “Genesi” compongono un quadrante perfetto, da cui guardare il mare tempestoso dell’Annus Horribilis che finalmente sta per essere archiviato, al termine di uno sterminato cimitero di lutti, catastrofi e menzogne. Noi non ci stiamo, è come se dicessero i marinai nella burrasca. Unico imperativo: non tremare. «Vai più veloce che puoi, non avere paura», anche perché «cuore di carta non sente la vita che chiama». Testi danzanti, senza mezze misure: «Il destino è una strada, non smarrire la tua», ben sapendo che «l’inverno darà il suo cielo all’estate». Slanci e abissi, sapienti sospensioni e rincorse, nutrite di profondità: è proprio il mare in tempesta il gran maestro della navigazione. Puoi lasciarti atterrire dalla sua furia o invece cavalcarla come fanno i veri cavalieri, dando fiato all’infinita potenza di quello che, anche nelle canzoni, si chiama amore. La nuda forza della verità, da sciogliere in purezza dentro l’infinito, in cerca di una bellezza inesauribile e invincibile: il sentimento dell’immortalità da conquistare combattendo, riscattando, risvegliando, perdonando e risorgendo come fa la Terra dopo ogni cataclisma.
    Nel mirino, la nave pirata inquadra «questo mondo ladro e spento», pieno di anime «da consumare all’eternità». Una drammatica caccia all’uomo, sulle acque scure in cui naviga a vista il vascello battezzato Area 51 tanti anni fa, con intatta la sua bussola: solcare i flutti tempestosi sapendo che vanno affrontati, che ogni esitazione può essere fatale. Le mosse dei nemici sono ormai visibili: «Cercano anime a bassa quota, a fuoco lento». Lucida la fotografia della moltitudine che sta «camminando sui carboni ardenti», in questa specie di inaspettato inferno. Senza scomodare Dante o lo gnosticismo riesumato dal dualismo medievale eretico, quello che denunciava il Dio Straniero, è sorprendente ascoltare – in una bella salsa pop, capace di snellezza e leggerezza – una sorta di sermone contro la prigionia mentale, specialità del Re del Mondo e di tutti gli stregoni che maneggiano la nuova apocalisse psico-sanitaria come orizzonte di deprivazione, fabbrica d’incubi e terrori innominabili.
    «Sale il vento, soffia il tempo»: i marinai filano dritti, tra le fauci minacciose di acque nere, sapendo che l’unica vera sciagura dell’umanità è solo la sua paura. Sentirlo dire – meglio, cantare – fa un bell’effetto, proprio alla fine dello stramaledetto duemilaventi. Punti di vista, naturalmente: magari c’era proprio bisogno di tutto questo, dell’immenso sfacelo, per aprire finalmente gli occhi? Non spetta ai musicisti, la risposta. Loro presidiano la zona d’ombra da cui poi rinasce sempre il sole. Attingono al mistero del risorgere, vi si affidano con sfrontata sicurezza: ti prendono per mano, a suon di note. Così li puoi vedere andare, senza sbandamenti, verso la genesi alchemica che poi è il cuore del rigenerarsi, del conoscere, del nascere di nuovo. Sapendo che la forza – la tua, quella del sole – non ti abbandonerà.
    (Giorgio Cattaneo, 18 dicembre 2020. Il ricavato dell’Ep “Vento” servirà a sostenere la Onlus “Il cerchio delle abilità”. Info: sul sito ufficiale degli Area 51 e sulla loro pagina Facebook).

    «Cercano anime, cercano vite senza senso: cercano vittime». L’onda nera del 2020 finisce per infrangersi anche contro chi non vuole lasciarsi «trasportare a bassa quota», e avverte: «Tieniti forte, stringi i denti». Loro si tengono forte alle chitarre, alla tastiere e alla batteria, sfornando un piccolo capolavoro prog-rock che si concede tutta la nostalgia possibile per i fasti italiani della Pfm, delle Orme, del Banco del Mutuo Soccorso. “Vento” è il titolo dell’Ep del combat-group torinese chiamato Area 51, che sa ruggire con una freschezza invidiabile, senza paura di affrontare gli arabeschi struggenti dell’epica pura. La chitarra di Silvio Fasano non ha nulla da inviare a quella della leggendaria “Velasquez” di Vecchioni (”Elisir”, 1976), a sua volta ispirata alla mitica “Cortez the killer”, del miglior Neil Young. Trascinante la regia di Giulio Romiti (tastiere), assistito da Paolo Noce al basso, con la batteria di Daniele Veroli che all’occorrenza sa passeggiare con disinvoltura tra i riverberi gioiosamente fragorosi del grunge, zona Sonic Youth e Nirvana. Un’altalena di emozioni in chiaroscuro, mai leziosa, senza pause: una nave pirata, condotta da capitani coraggiosi in vena di avvertimenti: «Cercano anime da consumare senza pietà: e se ti distrai, fanno centro».

  • Dittatura: nella religione sanitaria, la mascherina è il burka

    Scritto il 17/9/20 • nella Categoria: idee • (1)

    Da sei mesi siamo entrati nell’era globale della mascherina e non sappiamo quando ne usciremo. Siamo in pieno conflitto etico, epico ed estetico sul suo uso e il suo rifiuto. La contesa va al di là delle ragioni sanitarie e riguarda un modo di intendere la vita e i rapporti umani; è diventata infatti una questione politica, simbolica e ideologica. La battaglia per il suo uso o il suo rifiuto, nel nome della sicurezza o della libertà, lo scontro tra chi dice di non voler rischiare la salute e chi invece non vuol perdere la faccia, ha assunto ormai toni ideologici che vanno al di là della profilassi, dell’effettiva efficacia della mascherina e dei rischi di contagio. Per dirla con Giorgio Gaber la mascherina è di sinistra, il viso scoperto è di destra. Abbiamo sentito in questi mesi accusare di negazionismo irresponsabile e di fasciosovranismo smascherato coloro che ostentavano il rifiuto della mascherina. Trump, Bolsonaro, Johnson e da noi Salvini, Briatore, Sgarbi. In effetti nell’atteggiamento ribelle verso le mascherine c’è qualcosa d’intrepido e temerario che ricorda gli arditi e i fascisti, dal me ne frego al “vivi pericolosamente”; e c’è pure qualcosa di libertario e liberista che rifiuta lacci e lacciuoli, regole e bavagli.
    Un atteggiamento che in sintesi potremmo definire fascio-libertario. Il superuomo nietzscheano può accettare il distanziamento sociale, e perfino auspicarlo, anche se detesta l’imposizione; ma la mascherina no, è una schiavitù umiliante, una coercizione all’uniformità. Ma perché non cogliere pure sull’altro versante l’ideologia serpeggiante che unisce gli apologeti della mascherina, e il suo forte significato simbolico e metaforico, al di là del suo uso sanitario e della sua effettiva utilità? Per molti fautori della mascherina si tratta di qualcosa di più che una semplice profilassi; quasi un bisogno inconscio, una coperta di Linus, un istinto di gregge, il retaggio di un’ideologia. La mascherina è una livella ugualitaria e uniformatrice, la protesi della paura che accomuna la popolazione in semilibertà vigilata; la mascherina sfigura i volti e cancella le differenze in una specie di comunismo facciale, anche se esalta gli occhi e nasconde le brutture; genera isolamento pur restando in una prospettiva ospedaliero-collettivista, rende più difficile la comunicazione, evoca il bavaglio e la museruola, ha qualcosa di inevitabilmente angoscioso e orwelliano.
    Lo spettacolo di folle in mascherina sarà confortante per il senso civico-sanitario ma è deprimente, ha qualcosa di umanità addomesticata e impaurita, ridotta a silenzio e servitù dal terrore della malattia e dal relativo terrorismo sanitario. Ma non solo. Il politically correct è la mascherina ideologica per non vedere in faccia la realtà e non farsi contagiare dalla verità nuda e cruda. Quando non vuoi chiamare le persone, le cose, i comportamenti col loro vero nome ma li mascheri in un linguaggio paludato; quando correggi la realtà, la natura, la storia e l’esperienza con i canoni dell’ipocrisia e della rettificazione; quando copri le statue e i simboli della civiltà e della storia patria, nascondi i crocifissi, per non urtare la suscettibilità di qualcuno cosa fai se non costringere il mondo a indossare la mascherina? Se per tutelare le donne e i gay, i migranti e i rom, i disabili e i neri, devi mascherare il linguaggio, la vita reale, i rapporti umani, le forme espressive cosa fai se non calare una gigantesca mascherina sul mondo? Non conta più il mondo ma la sua rappresentazione, non il volto ma la maschera. Viviamo nel tempo mascherato.
    La mascherina è inevitabilmente associata al totalitarismo sanitario imposto nei mesi scorsi, con le sue restrizioni della libertà più elementari e dei diritti primari: la prigionia domestica, il coprifuoco e la segregazione precauzionale. La mascherina è come una prigione portatile, la gabbia da asporto o la prosecuzione del domicilio coatto con altri mezzi. Sul piano geoetnico la mascherina evoca altri mondi diversi dal nostro, italiano, europeo e occidentale; cancella la bellezza sfacciata dei volti che è stata la gloria della nostra arte figurativa, i ritratti, i sentimenti che si leggono in viso, l’umanità dei volti. Anche se persona in origine significa maschera, da noi la maschera ha una connotazione negativa o al più grottesca. Mascherato è il rapinatore, il killer o il carnevale. S’incappucciano gli ordini esoterici, le confraternite religiose.
    La mascherina è in uso nelle popolazioni asiatiche, i bavagli profilattici dei cinesi in fila e le protezioni sanitarie dei giapponesi da raffreddori e inquinamento. Ma evoca soprattutto i veli imposti dall’Islam alle donne, dal chador al burka. La mascherina è il burka della salute, perché la nostra è ormai una religione sanitaria. Il nuovo comandamento è ricordati di sanificare le feste. Poi c’è la realtà. Al di là della contesa simbolica e ideologica di cui è stata caricata la mascherina vale l’utilità pratica di indossarla, magari il minimo indispensabile, evitandola laddove siamo soli, nelle nostre auto o all’aperto, lontani da ogni assembramento. E cercando di ridurre al minimo il tempo di permanenza in luoghi o situazioni che la richiedono. Perché la mascherina non la sopportiamo, fisicamente e psicologicamente, ce ne vogliamo liberare il più presto possibile, e rifiutiamo l’ipotesi inquietante che il nostro futuro sia quello di vivere mascherati, in seguito a un osceno baratto, dopo quello tra convivialità e salute: la pelle in cambio della faccia.
    (Marcello Veneziani, “L’ideologia mascherata e il burka della salute”, dal numero 38 di “Panorama”, settembre 2020).

    Da sei mesi siamo entrati nell’era globale della mascherina e non sappiamo quando ne usciremo. Siamo in pieno conflitto etico, epico ed estetico sul suo uso e il suo rifiuto. La contesa va al di là delle ragioni sanitarie e riguarda un modo di intendere la vita e i rapporti umani; è diventata infatti una questione politica, simbolica e ideologica. La battaglia per il suo uso o il suo rifiuto, nel nome della sicurezza o della libertà, lo scontro tra chi dice di non voler rischiare la salute e chi invece non vuol perdere la faccia, ha assunto ormai toni ideologici che vanno al di là della profilassi, dell’effettiva efficacia della mascherina e dei rischi di contagio. Per dirla con Giorgio Gaber la mascherina è di sinistra, il viso scoperto è di destra. Abbiamo sentito in questi mesi accusare di negazionismo irresponsabile e di fasciosovranismo smascherato coloro che ostentavano il rifiuto della mascherina. Trump, Bolsonaro, Johnson e da noi Salvini, Briatore, Sgarbi. In effetti nell’atteggiamento ribelle verso le mascherine c’è qualcosa d’intrepido e temerario che ricorda gli arditi e i fascisti, dal me ne frego al “vivi pericolosamente”; e c’è pure qualcosa di libertario e liberista che rifiuta lacci e lacciuoli, regole e bavagli.

  • Paltrinieri: l’Italia risorga, sarà lei a battere il Deep State

    Scritto il 10/8/20 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    «Altro che paese a rischio, l’Italia è una corazzata. Come ben detto da Banca d’Italia, fra denaro, titoli e asset fisici, il popolo italiano (non le banche) detiene 10.000 miliardi di euro di risparmi, 4 volte tanto il famigerato debito pubblico. Gli altri paesi sono messi al contrario: debito pubblico più basso ma cittadini super-indebitati. Quindi, per distruggerla bisogna portarla a uno stato di impoverimento pari a quello in cui, durante il regime fascista, la gente andava a donare le fedi per la patria. E l’unica maniera per contrastare questo disegno è rifondare tutto sulla base dell’unico collante esistente, lo spirito cattolico». Non usa mezze misure, Flavio Robert Paltrinieri, italoamericano, una vita da imprenditore e a capo di diverse società nel mondo e anche parte della task-force internazionale che vuole far rinascere la Democrazia Cristiana come una nuova Dc. E ci rivela la malattia e la cura, ovvero il disegno in atto da parte del cosiddetto Deep State e la maniera per smontarlo. Soprattutto, ci rivela che non sono gli Usa il simbolo del mondo libero che va distrutto, ma l’Italia. Ma cos’è, esattamente, il Deep State? E quando è iniziato lo strapotere della finanza internazionale?

  • Ma gli italiani hanno vissuto al di sotto delle loro possibilità

    Scritto il 11/7/20 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    Uno dei vantaggi del mio lavoro è quello di girare spesso per le grandi città internazionali e di passarci anche diversi giorni, costretto a documentarmi e ad usare i servizi pubblici per risparmiare. Inoltre, caso vuole che alcune città ormai le abbia visitate più e più volte. E’ per questo che posso dire con assoluta serenità che il luogo comune per il quale  “l’Italia è il paese più bello del mondo” è il più veritiero che ci sia. Non c’entrano un tubo i ricordi personali, gli affetti, l’istinto e il cordone ombelicale: l’Italia è oggettivamente il paese più bello del mondo, e chi sostiene il contrario è perchè ne ha una conoscenza molto superficiale. Gi stranieri non si permetterebbero mai di dirlo; la stragrande maggioranza lo sa benissimo che il loro luogo d’origine, rispetto all’Italia, è una cloaca, e per quanto nazionalisti possano essere, mai sentirete dire che l’Italia non è bella. Sono appena tornato da Napoli, città che molti italiani e molti stranieri considerano un immondezzaio invivibile. C’ero stato almeno altre 6 volte. Il turismo del Golfo è quasi tutto straniero: i media hanno detto agli italiani che Napoli è pericolosa, che ti stuprano, che ti scippano coi motorini, che ti imbrogliano di sicuro e che è piena di immondizia. Dunque, al massimo ci si va con la gita della scuola, protetti da professori e touring operator, come fosse una crociera sul Nilo.
    Da adulti, con i bambini piccoli al seguito, invece, ci vanno quasi esclusivamente americani, inglesi, spagnoli (e chissà come mai). La realtà è che a Napoli sembra di essere dentro un film, e che ogni cosa è di una bellezza irripetibile. La mia guida alla città sotterranea – Francesco – quasi aveva le lacrime agli occhi mentre spiegava come i napoletani di tremila anni fa avessero costruito la città scavando nel tufo fino a 40 metri di profondità e portando blocchi di quintali in superficie, morendo a centinaia, salendo e scendendo nelle viscere della terra senza alcuna sicurezza. Ai Campi Flegrei, a Pompei, al castello del Maschio Angioino, dopo i racconti delle guide, ti dispiace di non essere napoletano. Ti sembra quasi di doverli invidiare. E sono tutte guide che raccontano aneddoti personali, fanno battute, uno si è messo anche a cantare. Al British, al Louvre, al Museo di Sissy, invece, sono solo capaci (al triplo del costo) di rifilarti una fottuta, impersonale e noiosissima audioguida coi numeretti da pigiare. E ho preso Napoli ad esempio solo perchè l’ho appena visitata e perchè viene dipinta sempre malissimo; ma cosa si potrebbe dire del resto d’Italia? Non basterebbero tutti i blog del mondo.
    A cosa è dovuta questa bellezza? Il paesaggio naturale, senza dubbio, ma allora anche la Grecia o la Spagna o la Tunisia dovrebbero essere così. E invece non lo sono manco per niente. La Tunisia o la Francia stanno all’Italia come una busta di fave sta a Belen Rodriguez, pur avendo anch’esse paesaggi naturali di pari dignità. Non è solo una questione di paesaggio, ma è soprattutto una questione di storia, di lavoro impiegato e di tanta ricchezza prodotta in questi secoli di civiltà e di fatiche dei nostri progenitori. Ancora oggi, la Pompei degli scavi archeologici è una città dalla struttura intelligente, molto più di tante cittadine – anche nuove – realizzate in giro per il mondo e invivibili per posizione e rete viaria. Come mai gli italiani avevano ponti, acquedotti, ville mastodontiche, fontane e strutture termali migliaia di anni fa, quando nel resto del mondo non c’era un emerito cazzo? Perchè erano ricchi… Non c’è un’altra risposta. Erano mediamente molto più ricchi e più colti di tutte le altre civiltà, anche di quella greca, per il semplice fatto che quella italiana durò molto più a lungo, se consideriamo – dopo i fasti dell’Impero Romano – anche il dominio mondiale della Chiesa, il Rinascimento e Venezia.
    Ancora oggi, dopo essere diventati colonia americana e dopo che ci hanno affamati, gli altri Stati non riescono a raggiungere un tale grado di bellezza. Il che, se pensiamo all’evoluzione tecnologica che c’è stata, ha davvero dell’incredibile. Eppure ci raccontano, con riferimento agli ultimi 50 anni, che solo per il fatto di avere un lavoro, un mutuo per la casa e la pensione, noi italiani “siamo vissuti al di sopra delle nostre possibilità”. Ma è vero proprio l’opposto: la civiltà più ricca del mondo, con le sue bellezze naturali, agricole, produttive e monumentali, ha permesso ai suoi cittadini solo un lavoro dipendente malpagato e una pensione. Questo significa vivere al di sotto delle proprie possibilità, e non al di sopra. Oggigiorno, il paese che al mondo offre la ricchezza maggiore ai suoi cittadini è la Svizzera. Parliamoci molto chiaramente: in Svizzera ci sono 4 mucche e 3 galline, e non necessariamente in quest’ordine. Ci sono scomode montagne e le città hanno edifici e monumenti risibili, rispetto ai nostri. Il successo della Svizzera è dovuto a 3 cose: sono democratici nel senso “greco” del termine (le decisioni le prendono assieme a livello locale: nemmeno in condominio puoi entrare, se il resto dei condomini ti giudica sfavorevolmente); sono fuori dall’Unione Europea; conoscono la finanza.
    Sul punto 1 e 3 arrancheremo sempre, ma il punto 2 sarebbe così facile da risolvere a nostro favore. Tornando però al tema, mi rendo conto che l’esempio “turistico” può apparire limitante: vogliamo allora passare all’agricoltura italiana? L’Italia è lo 0,5% della superficie del mondo, con 14 milioni di ettari coltivati su 800 milioni. Eppure rappresenta, senza se e senza ma, l’eccellenza dell’agroalimentare nel mondo. E’ l’unico luogo al mondo dove l’incontro tra i venti del mare dal Sud e quelli delle montagne del Nord produce un microclima unico. Abbiamo 7.000 specie di flora vascolare e di vegetali mangiabili (il secondo paese al mondo ne ha solo la metà, 3.300); abbiamo 58.000 specie animali (il secondo paese al mondo ne ha 20.000); abbiamo 1.200 vitigni autoctoni (il secondo ne ha 222), abbiamo 533 cultivar di ulivi (il secondo paese al mondo ne ha 70). E si potrebbe andare avanti. Però, per lo scemo del villaggio, viviamo “al di sopra delle nostre possibilità”. Vado avanti? Vado avanti. L’Italia è la seconda manifattura d’Europa. Con una moneta, l’euro, che è unica solo per lo schifo che fa, riusciamo comunque ad essere saldamente sul podio a fronte della concorrenza di altri 27 paesi. Come dite? La Germania produce di più?
    Già, i tedeschi ci battono, ma c’è un particolare che solo malafede e ignoranza possono trascurare: i tedeschi sono 80 milioni, mentre gli italiani 60. Detto diversamente, se proporzionassimo la produzione al numero di abitanti, anche in questo settore (dopo aver preso merda nel turismo e nell’agricoltura) i tedeschi mangerebbero la polvere. Chiudo con parole non mie, ma di Gianluca Baldini, parole sante che non posso che sottoscrivere come fossero mie: «A dispetto della retorica pro-austerità che ha accolto la narrazione distorta della storia degli ultimi anni, noi non abbiamo affatto vissuto “al di sopra delle nostre possibilità”, né in termini individuali, né considerando le finanze dello Stato. Questo mantra, tornato in auge dopo un’intervista rilasciata da Angela Merkel nel 2012 a “Bbc news” che apostrofava i Piigs come spendaccioni, trova spesso conforto nella fallace lettura della dinamica del debito pubblico esploso negli anni ’80 e viene condita con l’aneddotica abituale che descrive l’Italia come paese dei balocchi, in cui falsi invalidi, evasori totali e dipendenti pubblici nullafacenti vivono allegramente alle spalle della collettività».
    «L’Italia è stata ed è ancora oggi il paese con il più elevato livello di risparmio privato, tanto in termini monetari quanto sotto forma di patrimonio immobiliare. Tra i big players europei è il paese con il più basso debito privato e anzi, se escludiamo i paesi dell’ex Urss, possiamo dire che l’Italia è in assoluto il paese col più basso debito privato d’Europa e dunque dell’Occidente industrializzato. Se consideriamo questi dati e forniamo una lettura oggettiva alla dinamica del debito degli anni ’80, che è cresciuto per la componente interessi e non già per un aumento della spesa pubblica, e a ciò aggiungiamo che siamo il paese che da ormai 25 anni circa registra le migliori performance sui conti pubblici realizzando sistematicamente avanzi primari, possiamo concludere che siamo evidentemente l’unico paese che ha davvero vissuto al di sotto delle proprie possibilità. Il nostro risparmio privato basterebbe per pagare 5 volte il debito pubblico e 2,5 volte il debito complessivo (cioè pubblico+privato). Non credo esista un altro paese al mondo così affidabile da questo punto di vista».
    (Massimo Bordin, “Gli italiani hanno vissuto al di sotto delle loro possibilità”, da “Micidial” del 30 giugno 2020).

    Uno dei vantaggi del mio lavoro è quello di girare spesso per le grandi città internazionali e di passarci anche diversi giorni, costretto a documentarmi e ad usare i servizi pubblici per risparmiare. Inoltre, caso vuole che alcune città ormai le abbia visitate più e più volte. E’ per questo che posso dire con assoluta serenità che il luogo comune per il quale  “l’Italia è il paese più bello del mondo” è il più veritiero che ci sia. Non c’entrano un tubo i ricordi personali, gli affetti, l’istinto e il cordone ombelicale: l’Italia è oggettivamente il paese più bello del mondo, e chi sostiene il contrario è perché ne ha una conoscenza molto superficiale. Gi stranieri non si permetterebbero mai di dirlo; la stragrande maggioranza lo sa benissimo che il loro luogo d’origine, rispetto all’Italia, è una cloaca, e per quanto nazionalisti possano essere, mai sentirete dire che l’Italia non è bella. Sono appena tornato da Napoli, città che molti italiani e molti stranieri considerano un immondezzaio invivibile. C’ero stato almeno altre 6 volte. Il turismo del Golfo è quasi tutto straniero: i media hanno detto agli italiani che Napoli è pericolosa, che ti stuprano, che ti scippano coi motorini, che ti imbrogliano di sicuro e che è piena di immondizia. Dunque, al massimo ci si va con la gita della scuola, protetti da professori e touring operator, come fosse una crociera sul Nilo.

  • Il disastro del lockdown e i valori dei poeti del vino italiano

    Scritto il 21/6/20 • nella Categoria: segnalazioni • (Commenti disabilitati)

    Per capire quanto in profondità abbia colpito, l’epocale coprifuoco “cinese” istituito dall’Italia di fronte alla comparsa del coronavirus, basta fare un giro tra le colline del vino: alla vigilia dell’estate erano una meta ambitissima del turismo internazionale, e adesso sono un deserto. Export bloccato e cantine con montagne di bottiglie rimaste invendute, winery desolatamente vuote e ristoranti con ai tavoli solo qualche italiano, regolarmente distanziato e costretto a indossare la mascherina. Vale anche per le Langhe, le colline di Pavese e Fenoglio che videro esplodere un clamoroso boom economico a partire dagli anni Novanta grazie ai cosiddetti Barolo Boys, i ragazzi che rivoluzionarono l’antico vino nobile dei Savoia mettendosi a vinificarlo alla francese, affinandolo in botte piccola. Dalle Langhe all’America il passo è stato brevissimo: in un amen, a Barolo e dintorni s’è cominciato a parlare soprattutto inglese, in mezzo a tedeschi e svizzeri, belgi e giapponesi. E’ fiorita una specie di Toscana, in un angolo di Piemonte che portava ancora i segni dell’atavica povertà contadina: persino Bob Dylan ha voluto partecipare ai concerti di “Collisioni”, in quell’isola di vigneti con attorno wine-tasting, cantine di design interrate e climatizzate, bed & breakfast e cucine di charme, wine-bar di stampo newyorkese. Una specie di Rinascimento cosmopolita, con tanto di università: la scuola superiore di scienze gastronomiche aperta a Pollenzo da Carlo Petrini, il fondatore di Slow Food.
    Tutto sta a rimboccarsi le maniche, ancora una volta? Lo assicura un genio del marketing come Oscar Farinetti, che in mezzo a quei vigneti è cresciuto. Ha ragione? Solo a metà: giusto attingere all’ottimismo della volontà, mobilitando risorse anche morali per fronteggiare una crisi paurosa, cercando di trasformarla in un’occasione per riconvertire l’economia, premiando il profilo anche ecologico del “food & wine”. Ma forse i conti sarebbe meglio farli con l’oste, cioè con il convitato di pietra della grande depressione: la  macroeconomia, questa sconosciuta. Se privatizzi il pianeta, appaltando la politica a piccoli mestieranti locali, puoi scordarti che lo Stato abbia il potere – aiutando, agevolando, detassando – di far decollare l’economia privata. Il visionario patron di Eataly – che ha fatto davvero moltissimo, per far brillare il sistema-Italia nel mondo, e pure in anni difficili – viene da una tradizione socialista: il padre partigiano, poi vicesindaco di Alba. L’Italia che seppe rimboccarsele davvero, le maniche, era quella del dopoguerra: miracolata dal Piano Marshall e poi trainata dall’economia mista alimentata dal colosso Iri, il più grande complesso industriale d’Europa. Un sistema smantellato in modo brutale prima con la “privatizzazione” del debito pubblico e poi con la svendita dei maggiori asset pubblici, strategici per il Made in Italy.
    Per un capriccio della storia, proprio nel periodo più buio per l’Italia – la grande precarizzazione, le delocalizzazioni selvagge, la folle austerity imposta dall’Ue – ha potuto fiorire, di colpo, il paradiso del vino. Anno dopo anno, i numeri di Vinitaly hanno stracciato ogni record, facendo volare l’intero sistema vinicolo italiano, dalla Val d’Aosta alla Sicilia, con fenomeni-mostro come il Prosecco e i suoi 800 milioni di bottiglie vendute in tutto il pianeta. La festa sembrava non dovesse finire mai, nelle colline piemontesi – Langhe, Monferrato – ora elevate al rango di patrimonio paesaggistico dell’umanità sotto la tutela delle Nazioni Unite, attraverso l’Unesco. Un volano formidabile: paesini fino a ieri sconosciuti, trasformati all’improvviso in mete internazionali, con un indotto virtuoso e declinato a livello “glocal”, all’insegna della valorizzazione dell’ambiente e della genuinità delle filiere corte. In questo piccolo paradiso, c’è un’area Unesco quasi altrettanto nota – il Roero, sulla riva sinistra del Tanaro proprio di fronte ad Alba e Barbaresco – che di bottiglie ne produce solo 8 milioni, cioè la centesima parte del potenziale di fuoco di Treviso e Valdobbiadene. Un mondo di artigiani: il loro passaporto per gli Stati Uniti si chiama Arneis, un bianco che tradizionalmente era il meno prestigioso, tra i vitigni coltivati su quelle colline.
    Nomi che hanno fatto storia, nel Piemonte vinicolo – Ceretto, Negro – hanno ripescato l’Arneis dall’oblio contadino, facendone un signor vino, modernissimo, a suo agio sulle migliori tavole di Tokyio e di Los Angeles. E anche l’Arneis – insieme al Barolo – ha contribuito a trasformare il periferico Piemonte, a lungo rassegnato a languire come entroterra dell’universo Fiat, in un attore di primissima grandezza, nel mondo (felicemente globalizzato, in questo caso) delle degustazioni per veri indenditori. Oggi, anche il sistema-Piemonte piange le amare lacrime del maledetto coronavirus: il Monferrato, patria della Barbera, sconta una contrazione delle vendite che viaggia attorno al 40%. Una specie di ecatombe, da cui non si sa come uscire: c’è chi propone addirittura di mandare al macero il vino invenduto per distillarlo e ricavarne alcol, così da recuperare almeno i costi di produzione. Se nelle Langhe del Barolo il grande silenzio della primavera 2020 resterà negli annali come immane sciagura memorabile, forse il piccolo Roero soffre meno: con la sua economia differenziata (agricoltura mista, tanta frutta), è meno dipendente dal turismo internazionale. «Però anche qui la batosta è stata forte: paragonabile alla grandine che, quarant’anni fa, avrebbe fatto saltare la vendemmia, facendoci perdere un anno intero di lavoro, e quindi di entrate vitali per la famiglia».
    A parlare è Sergio Marchisio, un autentico pioniere: il primo a spumantizzare l’Arneis, il primo a vinificare il Nebbiolo in anfora. Un’azienda modello, certificata biologica, e con un debole per la biodonamica di Rudolf Steiner. Missione: scommettere innanzitutto sul recupero della fertilità naturale del suolo. «Dopo dieci anni il risultato lo senti nel bicchiere, in termini di pienezza e ampiezza di profumi». La sua cantina, a Castellinaldo d’Alba, sembra uno scrigno di silenziosa energia alchemica: nel ventre della terra riposano anfore panciute, contrassegnate dall’effigie del benefico serpente che avvolge l’uovo primordiale. Impatto zero, pannelli fotovoltaici e verdissimi filari che avvolgono l’officina delle delizie. «Certo, la processione dei turisti venuti da lontano si è interrotta anche qui. Ma non per questo ci scoraggiamo: i nostri valori sono più grandi, più forti del coronavirus». A proposito di valori: se c’è qualcosa di eroico, nel sistema-vino che negli ultimi decenni ha tenuto alta nel mondo l’eccellenza italiana, è la sua capacità di offrire bellezza raffinata, worldwide, attingendo con notevole coraggio alla passione, tipica del miglior Made in Italy, nutrito di praticità artigiana. Il paese crollava – Pil, disoccupazione – e le cantine conquistavano il pianeta, imparando l’inglese e sbalordendo pubblico e critica.
    Una storia che per certi aspetti sembra dar ragione all’incrollabile ottimismo di Farinetti. E che oggi – di fronte alle macerie del lockdown, tra mercati che franano – fa capire quando può essere feroce questo disastro, che è risucito a spiazzare persino gli invincibili, appassionati guerrieri del grande vino italiano. «Personalmente – confessa Sergio Marchisio – a cambiare il mio modo di vivere e di pensare è stata una frase di Steiner: quella in cui invita a riflettere sul fatto che l’uomo, in fondo, è l’unico abitante del pianeta che riesce ad avvelenare il cibo di cui si nutre». Se è per questo, siamo riusciti ad avvelenare l’acqua, i terreni, i cieli. «Esatto. Ecco perché, se le viti hanno nostalgia del sole, anziché usare prodotti chimici le accontento con semplici micro-cristalli di quarzo, minerale specchiante che conserva in sé la memoria della luce e del calore». Filosofi e poeti, tra i filari? Un amico e collega di Marchisio – Paolo Carlo Ghislandi di Cascina I Carpini, maestro del Timorasso (super-bianco dei Colli Tortonesi) – sa che ai suoi filari piace ascoltare la musica classica: Rachmaninov, di preferenza. E cita una poetessa francese, Colette: «Nel regno vetegale, la vite è l’unica che rende intellegibile, all’uomo, il valore della terra». Quando saremo usciti dall’incubo che ci è piovuto addosso, sarà naturale ripensare a loro, i pensatori-contadini che, custodendo le loro verdissime colline, sembrano rinnovare una specie di promessa, prodigiosamente alchemica. Viene che il sospetto che non si tratti solo di vino: come se in qualche modo, in punta di piedi, lavorassero anche per l’armonia dell’universo.
    (Giorgio Cattaneo, 21 giugno 2020).

    Per capire quanto in profondità abbia colpito, l’epocale coprifuoco “cinese” istituito dall’Italia di fronte alla comparsa del coronavirus, basta fare un giro tra le colline del vino: alla vigilia dell’estate erano una meta ambitissima del turismo internazionale, e adesso sono un deserto. Export bloccato e cantine con montagne di bottiglie rimaste invendute, winery desolatamente vuote e ristoranti con ai tavoli solo qualche italiano, regolarmente distanziato e costretto a indossare la mascherina. Vale anche per le Langhe, le colline di Pavese e Fenoglio che videro esplodere un clamoroso boom economico a partire dagli anni Novanta grazie ai cosiddetti Barolo Boys, i ragazzi che rivoluzionarono l’antico vino nobile dei Savoia mettendosi a vinificarlo alla francese, affinandolo in botte piccola. Dalle Langhe all’America il passo è stato brevissimo: in un amen, a Barolo e dintorni s’è cominciato a parlare soprattutto inglese, in mezzo a tedeschi e svizzeri, belgi e giapponesi. E’ fiorita una specie di Toscana, in un angolo di Piemonte che portava ancora i segni dell’atavica povertà contadina: persino Bob Dylan ha voluto partecipare ai concerti di “Collisioni”, in quell’isola di vigneti con attorno wine-tasting, cantine di design interrate e climatizzate, bed & breakfast e cucine di charme, wine-bar di stampo newyorkese. Una specie di Rinascimento cosmopolita, con tanto di università: la scuola superiore di scienze gastronomiche aperta a Pollenzo da Carlo Petrini, il fondatore di Slow Food.

  • Dylan, atto secondo: guerra al potere oscuro del Covid-19

    Scritto il 19/4/20 • nella Categoria: Recensioni • (3)

    «Ho un cuore rivelatore, come il signor Poe. Ho scheletri nei muri delle persone che conosci». Attenti: è Bob Dylan, che parla. A tre settimane da “Murder Most Foul”, che mette in relazione l’omicidio di John Kennedy con la minaccia del coronavirus (evocata nelle righe che accompagnano il brano, sul sito ufficiale del cantautore), il Premio Nobel 2016 per la Letteratura torna a farsi vivo, con la struggente “I Contain Multitudes”: altro giro, altro regalo. In soli 21 giorni, dopo otto anni di quasi-silenzio se non per bootleg sontuosi e cover di lusso, tra cui quelle dei brani di Frank Sinatra, il grande artista di Duluth scodella – gratis, sul web – una seconda strenna. E per lanciarla stavolta sceglie Twitter, il canale social preferito dal Donald Trump che ha appena dichiarato guerra all’Organizzazione Mondiale della Sanità. Un network opaco, che la Casa Bianca sospetta – per usare un eufemismo – di non aver vigilato sull’origine del male oscuro che sta devastando il pianeta. Una conferma esplosiva viene dal francese Luc Montagnier, altro Nobel (per la Medicina, avendo scoperto il virus che dà origine all’Aids): il Covid-19, dice, è sicuramente “scappato” da un laboratorio come quello di Wuhan, ben noto all’Oms. Il virus è stato “progettato”, ingegnerizzato: non è di origine naturale. L’hanno fabbricato proprio bene, dice Montagnier. Chi? Qualcuno che lavorava a un possibile vaccino anti-Hiv.
    In attesa che la comunità scientifica decodifichi la “bomba” lanciata dal luminare francese (secondo cui sarà la natura stessa, col tempo, a “disarmare” il Covid, rendendo completamente inutile qualsiasi vaccino), è Bob Dylan a occupare il centro della scena. Per sganciare la sua, di bomba, ha atteso la mezzanotte di venerdì 17 aprile. Sembra un rimando diretto a “Murder Most Foul”, in cui descrive Kennedy come “the king on the harp”, evocando il biblico Davide – sovrano predestinato, unico a “conoscere l’ora della mezzanotte” per l’apparire, appunto, di una presenza angelica intenta a suonare l’arpa. Un topos tipicamente rosacrociano, caro all’elusiva tradizione inziatica di cui faceva parte Freddie Mercury, dei Queen (gruppo citato nel brano). Valori guida: fede, speranza e carità – traducibili nello stesso tricolore italiano, e nelle “virtù teologali” cristiane. «Scendo all’incrocio dove morirono fede, speranza e carità», recita Dylan, pensando a Kennedy come a un David assassinato. Per inciso: il presidente della New Frontier era anche strettamente connesso alla tradizione templare, rivela Luca Monti, che spiega che un antenato di Kennedy (Gherarduccio dei Gherardini) ereditò da Dante Alighieri la guida segreta dell’Ordine del Tempio, dopo la morte sul rogo dell’ultimo gran maestro ufficiale, Jacques de Molay.
    Non solo: Kennedy faceva parte anche dell’antica comunità eleusina. Lo sostiene Nicola Bizzi, “eleusino” lui stesso, autore di una suggestiva ricostruzione (”Da Eleusi a Firenze”, Aurora Boreale) sul ruolo della leggendaria comunità misterica pre-cristiana nell’ispirazione culturale del Rinascimento italiano. “Da Eleusi a Washington” è invece il titolo del “sequel”, che Bizzi sta per dare alle stampe, nelle prossime settimane, per rivelare “le origini occulte e misteriche degli Stati Uniti d’America e il ruolo fondamentale di alcune famiglie iniziatiche eleusine nella scoperta e nella costruzione del nuovo mondo”. Kennedy, esoterismo, Dylan. C’è un nesso? Eccome: lo si potrà leggere nei prossimi mesi, nero su bianco, direttamente tra le pagine di “Globalizzazione e massoneria”, atto secondo del fragoroso “coming out” avviato da Gioele Magaldi con il dirompente saggio “Massoni”, uscito nel 2014. «Se qualcuno l’aveva intuito, posso confermarlo ufficialmente: Bob Dylan è un massone ultra-progressista che milita nel mio stesso circuito», dice Magaldi, già iniziato alla superloggia “Thomas Paine” e ora leader del Grande Oriente Democratico. Un’esternazione clamorosa, espressamente autorizzata. E un invito: «Leggete bene, tra le righe di “I Contain Multitudes”: attraverso il suo splendido contenuto poetico, il brano rappresenta la continuazione di “Murder Most Foul”», atto d’accusa contro un potere criminale che Dylan mette in relazione sia con l’omicidio Kennedy che con la minacciosa comparsa dell’oscuro coronavirus.
    «Berrò alla verità e alle cose che abbiamo detto», annuncia l’autore di “Blowin’ in the wind”: allusione frontale – a doppio taglio, nell’enigmatico stile dylaniano – alla comunità di voci che ora si sono decise a venire allo scoperto, denunciando dettagli indicibili, come se fossimo giunti a un punto in cui non è più possibile tacere. Trattandosi di Dylan, poeta e letterato finissimo, è il grande Edgar Allan Poe, massone anche lui, a fornirgli l’elegante uscita di sicurezza: gli “scheletri negli armadi” (anzi, nei “muri”) richiamano quelli di cui la “fratellanza bianca” saprebbe praticamente tutto, e che ora si appresta – a rate, inesorabilmente – a riesumare, uno dopo l’altro. Un avvertimento più che esplicito: «Ho un cuore rivelatore», come quello che – nella novella di Poe – rivelerà il crimine e quindi l’assassino. Siamo a questo? A quanto pare, sì. E se qualcuno ancora dubita dell’intento di Dylan e della sua appartenenza, “I Contain Multitudes” fornisce indizi eloquenti: «Vado dove tutte le cose perse vengono rimesse a nuovo», dichiara, facendo risuonare quel “radunare ciò che è sparso” che è uno degli obiettivi dichiarati del percorso iniziatico massonico. A proposito: si intitola “Bringing it all back home” (riportando tutto a casa) uno degli album più celebri di Dylan. Un programma – politico, e non solo – enunciato tra le righe già nel 1965, da “Mr. Tambourine Man”.
    Naturalmente non passa inosservata, un’uscita pubblica di Dylan, nemmeno tra le redazioni italiane, puntualissime nel rilevare i riferimenti squisitamente culturali di cui trabocca l’ultima creazione dylaniana. Spiega Carlo Moretti, su “Repubblica”: stavolta l’ispirazione viene da uno dei più grandi poeti americani, Walt Whitman, che nel poema “Song on myself”, considerato il centro della sua poetica e pubblicato nel 1855 nella raccolta “Leaves of Grass”, si domanda ad un certo punto: “Mi contraddico? Mi sto contraddicendo? Molto bene, allora io mi contraddico (sono ampio, contengo moltitudini)”. A un certo punto, aggiunge Moretti, Dylan si paragona a William Blake, nel cantare le stesse “songs of experience” (citando così «la raccolta di poesie che Blake pubblicò nel 1794, nella quale raccontava la perdita dell’innocenza e l’ingresso, insieme alla caduta, nell’età adulta»). Tra i giornali italiani, il “Messaggero” scorge «un omaggio a David Bowie», altro massone, facendo rimare “all the young dudes” con il titolo del celebre brano dell’artista inglese. Sul “Corriere della Sera”, lo scrittore Sandro Veronesi si emoziona: «L’ha rifatto. Tre settimane dopo “Murder Most Foul”, Bob Dylan ha pubblicato un’altra canzone inedita sul suo sito – cioè ce l’ha regalata». Beninteso: «E’ bellissima».
    «Come “Knocking on Heaven’s Door” – scrive l’autore di “Caos calmo” – anche “I Contain Multitudes” è una ballata classica, con strofe di 6 versi stretti a due a due da rime perfette, mesmeriche – ed è, sì, il secondo capitolo di un testamento». Infatti: «Se “Murder Most Foul” era la mareggiata che riporta a riva i frammenti della nostra civiltà naufragata, “I Contain Multitudes” è una struggente appendice al discorso che Dylan ha consegnato all’Accademia di Svezia nel luglio del 2017», dieci mesi dopo avere ricevuto il Premio Nobel per la Letteratura. «Una confessione (”I’m a man of contraddictions/ I’m a man of many moods/ I Contain Multitudes”); un ringraziamento a chi lo ha ispirato (Walt Whitman, citato direttamente nel titolo, ma anche Edgar Allan Poe, William Blake, Jack London); ma soprattutto è un inno incoercibile alla musica e alla bellezza – di oggi, di ieri e anche di domani». Impressionante, nel nuovo brano, l’archetipo della specularità: il tema esoterico dello specchio, direttamente evocato nel richiamo ad Amleto in “Murder Most Foul”, diventa l’architettura portante delle tante “moltitudini”, specchianti, in cui si riflette la voce di Dylan.
    Essere o non essere? Dopo Shakespeare, è stato un altro grande iniziato come Oscar Wilde a mettere al centro della scena proprio la funzione cruciale dello “speculum”, in un capolavoro come “Il ritratto di Dorian Gray”. E ora, davanti allo specchio compare Bob Dylan. «Oggi, domani e anche ieri», premette, come rianimando la testa girevole della statua di Giano, usata dai romani per ricordare che le “moltitudini” di cui siamo fatti possono anche essere lette in senso orizzontale, in uno scorrere di cronologie apparenti, in cui il tempo – la “divinità” che ci governa – esiste anche come nozione interiore. «Metà della mia anima, piccola, ti appartiene» (quella riflessa, che solo lo specchio può mostrarci: l’altra metà di noi). Lo specchio, cioè la complementarità degli opposti: «Io, reliquia, gioco con tutti i giovani». Oppure: «Tutte le belle cameriere e tutte le vecchie regine». Ancora: «Ti mostrerò il mio cuore. Ma non tutto, solo la parte odiosa». Non fa sconti, il Giano parlante: «Non ho scuse da presentare», precisa, già sapendo che il suo discorsetto potrebbe non piacere. A chi? Al «vecchio lupo avaro», lo spettro che ricompare a stretto giro (in “Murder Most Foul” era «l’uomo-lupo»). Con chi ce l’ha, Bob Dylan? «Combatto le faide di sangue», annuncia. C’è un potere abominevole, nel mirino?
    Certo colpiscono le concomitanze: Robert Kennedy Junior, altro massone progressista (figlio di Bob, nipote di John) ha appena caricato a testa bassa il quasi onnipotente Bill Gates («massone non certo progressista», secondo Magaldi), per la sua impazienza di lanciare sul mercato l’ipotetico super-vaccino contro il Covid, non ancora adeguatamente testato. Tant’è vero, accusa Kennedy, che Bill Gates pretende un’impunità assoluta: lo distribuirebbe solo se gli Stati gli garantissero di non fargli causa, nel caso qualcosa dovesse andare storto. Kennedy, Dylan, virus, massoni. Cos’è questo intreccio? Bob Dylan parla di «anelli sulle dita che luccicano e lampeggiano». E avverte: «Vado fino al limite, vado fino alla fine». Come dire: farete i conti anche con me? Farò la mia parte, per denunciare quello che so? In fondo, è quello che sta già facendo: sulla sua nave, omai, sventola la bandiera pirata. Uno studioso come Gianfranco Carpeoro, già a capo di un’antica obbedienza massonica “scozzese”, fa notare che a dare vita alla pirateria furono proprio i massoni libertari, delusi dalla monarchia britannica. «Pirati e corsari: l’Olonese, il Corsaro Nero, il Corsaro Rosso. Erano tutti massoni. Sempre ritratti nell’atto di nasconderlo, il tesoro: mai di riesumarlo. Messaggio: far sparire l’oro, ritenuto fonte di corruzione». Pirati guerriglieri, ribelli ante litteram? Dettagli in arrivo, nel libro che Carpeoro sta scrivendo. Nel frattempo, non resta che godersi il massonico pirata Dylan. Che infatti, a scanso di equivoci, ora canta: «Porto quattro pistole e due grandi coltelli».
    (Giorgio Cattaneo, 19 aprile 2020).

    «Ho un cuore rivelatore, come il signor Poe. Ho scheletri nei muri delle persone che conosci». Attenti: è Bob Dylan, che parla. A tre settimane da “Murder Most Foul”, che mette in relazione l’omicidio di John Kennedy con la minaccia del coronavirus (evocata nelle righe che accompagnano il brano, sul sito ufficiale del cantautore), il Premio Nobel 2016 per la Letteratura torna a farsi vivo, con la struggente “I Contain Multitudes“: altro giro, altro regalo. In soli 21 giorni, dopo otto anni di quasi-silenzio se non per bootleg sontuosi e cover di lusso, tra cui quelle dei brani di Frank Sinatra, il grande artista di Duluth scodella – gratis, sul web – una seconda strenna. E per lanciarla stavolta sceglie Twitter, il canale social preferito dal Donald Trump che ha appena dichiarato guerra all’Organizzazione Mondiale della Sanità. Un network opaco: la Casa Bianca sospetta – per usare un eufemismo – che non abbia vigilato sull’origine del male oscuro che sta devastando il pianeta. Una conferma esplosiva viene dal francese Luc Montagnier, altro Nobel (per la Medicina, avendo scoperto il virus che dà origine all’Aids): il SarsCov2, dice, è sicuramente “scappato” da un laboratorio come quello di Wuhan, ben noto all’Oms. Il virus è stato “progettato”, ingegnerizzato: non è di origine naturale. L’hanno fabbricato proprio bene, dice Montagnier. Chi? Qualcuno che lavorava a un possibile vaccino anti-Hiv.

  • Tutti in gara per aiutarci, anche Pornhub. Tranne la Chiesa

    Scritto il 23/3/20 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    Ragazzi, persino Pornhub ha donato denaro: ha deciso di dedicare gli incassi di una mensilità degli abbonamenti al sostegno di quelle realtà che cercano di fronteggiare l’emergenza coronavirus. Persino Pornhub, che è un sito porno: persino loro stanno raccogliendo soldi per chi si sta impegnando in quest’emergenza. La Chiesa cattolica, no. In alchimia è noto che, quando si alza la temperatura, in una reazione, le varie sostanze in un certo qual modo si distillano, quindi esaltano le loro identità. Immaginate quando si distilla un macerato, per farci dell’acquavite: si estraggono un po’ alla volta le varie sostanze, si separano; si aumentano certe combinazioni, e altre si separano. Al pari, in questo momento, la grande pressione che sta aumentando (lo vedete, c’è una grande pressione nell’aria) sta facendo evidenziare le caratteristiche di certi soggetti – un po’ di tutti, ma di alcuni in particolar modo. Ed ecco che, in questo momento, la Chiesa cattolica dichiara, palesa, rende evidente la sua identità. Getta la maschera, come non aveva mai fatto, in passato.
    Pensate: il Papa, tramite il dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale (notizia ben evidenziata dall’Ansa), ha donato centomila euro alla Caritas. Una cifra enorme, ragazzi: centomila euro – alla Caritas, che è uno strumento della compagine catto-cristiana. E’ praticamente un semplice giroconto. Di più invece ha fatto la Cei, la conferenza episcopale italiana, ma non di sua iniziativa: accogliendo una richiesta della fondazione Banco Alimentare Onlus ha deciso di “donare” (attenzione al termine) 500.000 euro dei soldi presi dall’8 per mille. Cioè: non si sono tolti niente. L’8 per mille è quel meccanismo furbo, attraverso il quale la Chiesa cattolica riesce a stillare qualcosa come sei, sette, otto miliardi di euro l’anno – e sono soldi nostri. Non hanno cavato una lira, ragazzi. Pensate: Berlusconi, 10 milioni di euro. Gli Agnelli, 10 milioni di euro. Caprotti, 10 milioni di euro. Lavazza, 10 milioni di euro. Persino la Campari (un milione di euro) ha donato più della Chiesa cattolica. L’Unione Buddista Italiana ha donato qualcosa come 3 milioni di euro. “Loro” invece si è sono limitati a girare una piccola parte dei soldi ricevuti dallo Stato italiano.
    Eppure stiamo parlando della Chiesa cattolica, cioè quella che può essere considerata la realtà più ricca al mondo. Anni fa pubblicai un testo, “La messa è finita”, nel quale spiego quanto sia falso e sbagliato associare alla Chiesa la figura di Gesù. Se è esistito (e chi lo sa?), Gesù ha lanciato un messaggio e fatto alcune cose; la Chiesa cattolica è ben altro. Giusto per farsi un’idea, si ritiene che ad oggi la Chiesa cattolica possieda il secondo più grande tesoro, in oro, al mondo, secondo solo a quello degli Stati Uniti (e si limita a dare centomila euro alla Caritas). Il patrimonio finanziario della Chiesa è immenso, e spazia da azioni presso i più importanti istituti finanziari: i Rothschild di Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti, la Banca Ambrose, il Crédit Suisse di Londra e Zurigo, la banca Morgan, la First National Bank e altre, e azioni in multinazionali come Shell, General Motors, Betlehem Steel, General Electric, International Business Machine e tante altre, che non vi sto a leggere. Aggiungiamo l’impressionante patrimonio immobiliare, le proprietà terriere, agricole e boschive (che in tutto il mondo raggiungono quote imbarazzanti) e tutte le opere d’arte.
    A tutti gli effetti, possiamo tranquillamente considerare la Chiesa cattolica come il maggior possessore di ricchezze materiali esistenti, e il Papa – in quanto amministratore – l’uomo più facoltoso del pianeta. Centomila euro alla Caritas, e cinquecentomila (sempre di soldi pubblici, presi col meccanismo dell’8 per mille) dati a sostegno, sulla base di richieste ricevute. Per il resto, non hanno fatto niente. E continuano a non fare niente. Ma c’è un dato ancora più grave, a mio avviso: invece di dare una mano, privandosi di un po’ di quei soldi accumulati nei secoli (quando rischiavi di essere bruciato, se non credevi nella Chiesa, e comunque dovevi cederle i tuoi beni), stanno addirittura approfittando di questo momento per dare forza ai loro strumenti. Per esempio: un simbolo fortissimo che la Chiesa cattolica utilizza è il crocifisso. La prima cosa che ha fatto, il Papa (gesto utilissimo, che infatti ha salvato milioni di vite), è stato andare a far visita al crocifisso che, si racconta, nel XVII secolo “ha fermato la peste”. La gente segregata in casa, e lui in giro per Roma (tranquillo, senza mascherina).
    Nosiglia, l’arcivescovo di Torino, ha addirittura esortato tutte le chiese e far suonare le campane all’unisono. Sempre nel mio libro mostro i risultati degli ultimi studi condotti dall’epigenetica: è per comprendere cos’è il suono delle campane, che effetto produce in noi, che tipo di ricordo attiva (grave e minaccioso, ndr). Quindi: invece di darci una mano, loro approfittano della situazione. E pensate: in questo periodo di crisi “Radio Maria”, l’unica radio che si sente in tutta Italia, persino nelle gallerie, grazie al più potente emettitore italiano, ha addirittura esortato a rafforzare le donazioni. E per farci cosa? Per tenersele per sé. Concludo: la storia dà sempre grandi lezioni, è una grande maestra. Basterebbe studiare la storia, per riuscire a far fronte al nostro presente in maniera molto più saggia. Quella che ci lascia questa volta è una lezione inesorabile, e il mio invito è quello di ricordarcela. Osserviamo la bellezza della natura, che sta riemergendo, essendosi abassati tutti i livelli di inquinamento: l’acqua che torna limpida a Venezia; i delfini che giocano nei porti; questa primavera con un’aria molto più leggera; questo silenzio nutrito solo da suoni armonici, dal canto degli uccellini, dal volo di qualche insetto.
    Ricordiamoci di questa bellezza, che stiamo vivendo. Ma ricordiamoci anche che in questa vicenda c’è un grande sconfitto. Hanno vinto in tanti: hanno vinto i medici, gli infermieri; hanno vinto le associazioni di volontariato; hanno vinto le forze dell’ordine; hanno vinto i sindaci, che si stanno impegnando in una maniera incredibile. Ha vinto la gente, che tira la cinghia e rimane in casa, e va avanti, e si inventa qualcosa per sopportare questo stato di stress che a volte è veramente difficile. Ha vinto la Cina, occorre dirlo: la Cina ha stravinto, in tutto questo; ha vinto con la sua tecnologia, con il suo modo di riuscire a gestire la situazione. Ha vinto la solidarietà, ha vinto l’impegno. Ha vinto l’inarrestabile processo evolutivo. Vince addirittura anche il governo italiano che, seppur strangolato nella morsa, nel ricatto monetario dell’euro e del debito, è riuscito comunque a trovare qualche soldo per la gente. L’unica sconfitta – per la sua inadeguatezza, l’incapacità e l’avarizia – è la Chiesa cattolica. L’unico vero sconfitto è il grande impero della Chiesa cattolica, al quale dedico questa ultima frase: persino una spremuta d’arancia, con la sua vitamina C, in questo momento è più utile di te.
    (Michele Giovagnoli, estratto del video-editoriale “La Chiesa non dà nulla, anzi…”, pubblicato il 20 marzo 2020 sul canale YouTube di “Border Nights”, su cui Giovagnoli conduce la rubrica settimanale “L’uomo che parla con gli alberi”. Naturalista e alchimista, Giovagnoli ha pubblicato saggi come “Alchimia selvatica” e “Impara a parlare con gli alberi”. Quest’anno ha avviato un’iniziativa formativa speciale, chiamata Accademia Genitore Albero. Il libro citato nel video, “La messa è finita” – 175 pagine, euro 12,90 – è stato pubblicato nel 2017 da UnoEditori).

    Ragazzi, persino Pornhub ha donato denaro: ha deciso di dedicare gli incassi di una mensilità degli abbonamenti al sostegno di quelle realtà che cercano di fronteggiare l’emergenza coronavirus. Persino Pornhub, che è un sito porno: persino loro stanno raccogliendo soldi per chi si sta impegnando in quest’emergenza. La Chiesa cattolica, no. In alchimia è noto che, quando si alza la temperatura, in una reazione, le varie sostanze in un certo qual modo si distillano, quindi esaltano le loro identità. Immaginate quando si distilla un macerato, per farci dell’acquavite: si estraggono un po’ alla volta le varie sostanze, si separano; si aumentano certe combinazioni, e altre si separano. Al pari, in questo momento, la grande pressione che sta aumentando (lo vedete, c’è una grande pressione nell’aria) sta facendo evidenziare le caratteristiche di certi soggetti – un po’ di tutti, ma di alcuni in particolar modo. Ed ecco che, in questo momento, la Chiesa cattolica dichiara, palesa, rende evidente la sua identità. Getta la maschera, come non aveva mai fatto, in passato.

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