Archivio del Tag ‘Bradley Manning’
-
Guai a chi parla: l’arresto di Assange minaccia i giornalisti
L’immagine di Julian Assange trascinato fuori dall’ambasciata ecuadoriana a Londra è un emblema dei tempi. Il potere contro il diritto. La forza contro la legge. L’indecenza contro il coraggio. Sei poliziotti hanno malmenato un giornalista malato, con gli occhi che si contraevano alla prima luce naturale dopo quasi sette anni. Che questo oltraggio si sia verificato nel cuore di Londra, nella terra della Magna Carta, dovrebbe far vergognare e arrabbiare tutti quelli che temono per la “democrazia”. Assange è un rifugiato politico protetto dal diritto internazionale, che gode del diritto di asilo secondo una precisa convenzione di cui la Gran Bretagna è firmataria. Le Nazioni Unite lo hanno chiarito nella sentenza del loro Working Group sulla detenzione arbitraria. Ma al diavolo. Che i criminali vadano avanti. Diretta dai semi-fascisti della Washington di Trump, in combutta con l’ecuadoriano Lenin Moreno, un ebreo latinoamericano bugiardo che cerca di nascondere il suo regime marcio, l’élite britannica ha abbandonato il suo ultimo mito imperiale: quello dell’equità e della giustizia. Immaginate Tony Blair trascinato fuori dalla sua casa da diversi milioni di sterline in Connaught Square, a Londra, in manette, pronto per la spedizione all’Aia. Secondo le regole di Norimberga, il “massimo crimine” di Blair è la morte di un milione di iracheni. Il crimine di Assange è il giornalismo: chiamare in causa i responsabili, esporre le loro bugie ed emancipare il popolo in tutto il mondo attraverso la verità.L’arresto scioccante di Assange porta con sé un avvertimento per tutti coloro che, come scrisse Oscar Wilde, «seminano il seme del malcontento [senza il quale] non ci sarebbe alcun progresso verso la civiltà». L’avvertimento è esplicito nei confronti dei giornalisti. Quello che è successo al fondatore ed editore di WikiLeaks può capitare a voi su un giornale, in uno studio televisivo, alla radio, quando fate un podcast. Il principale persecutore mediatico di Assange, il “Guardian”, un collaboratore dello Stato segreto, questa settimana ha dimostrato il suo nervosismo con un editoriale che ha raggiunto vette finora inviolate di subdola astuzia. Il “Guardian” ha sfruttato il lavoro di Assange e WikiLeaks in quello che il suo precedente direttore chiamava «il più grande scoop degli ultimi 30 anni». Il giornale ha decantato le rivelazioni di WikiLeaks e ha rivendicato i riconoscimenti e le ricchezze che gliene sono derivate. Senza che un solo penny sia andato a Julian Assange o a WikiLeaks, un libro pubblicato dal “Guardian” ha portato poi a un fruttoso film di Hollywood. Gli autori del libro, Luke Harding e David Leigh, hanno abusato della loro fonte rivelando la password segreta che Assange aveva dato in confidenza al giornale, il quale avrebbe dovuto proteggere un file digitale contenente documenti trapelati dell’ambasciata Usa.Mentre Assange era intrappolato nell’ambasciata ecuadoriana, Harding ha raggiunto la polizia che stava là fuori e ha gongolato sul suo blog, dicendo che «Scotland Yard potrebbe essere quello che ride per ultimo». Da allora il “Guardian” ha pubblicato una serie di falsità su Assange, non ultimo una dichiarazione poi smentita che un gruppo di russi e l’uomo di Trump, Paul Manafort, avevano fatto visita ad Assange nell’ambasciata. Gli incontri non sono mai avvenuti; era falso. Il tono ora è cambiato. «Il caso Assange è una intricata questione morale», commenta il giornale. «Lui (Assange) crede nella pubblicazione di cose che non si dovrebbero pubblicare… Ma ha sempre gettato luce su cose che non avrebbero mai dovuto essere nascoste». Queste “cose” sono la verità sul sistema omicida con cui l’America conduce le sue guerre coloniali, le menzogne del Foreign Office britannico sulla privazione dei diritti delle persone vulnerabili, come gli Chagos Islanders, l’esposizione di Hillary Clinton come sostenitrice e beneficiaria dello jihadismo in Medio Oriente, la descrizione dettagliata da parte degli ambasciatori americani su come riuscire a rovesciare i governi in Siria e in Venezuela, e molto altro ancora. È tutto disponibile sul sito WikiLeaks.Il “Guardian” è comprensibilmente nervoso. La polizia segreta ha già visitato il giornale e ha chiesto e ottenuto la distruzione rituale di un disco rigido. Su questo, il giornale ha il documento della richiesta. Nel 1983, un funzionario del Foreign Office, Sarah Tisdall, fece trapelare alcuni documenti del governo britannico che mostravano quando sarebbero arrivate in Europa le armi nucleari Cruise americane. Il “Guardian” fu inondato di elogi. Quando un’ingiunzione del tribunale chiese di conoscere la fonte, non è stato il direttore a farsi arrestare in nome del fondamentale principio di proteggere la sua fonte, ma la Tisdall è stata tradita, perseguita e ha scontato sei mesi in carcere. Se Assange viene estradato in America per aver pubblicato ciò che il “Guardian” definisce “cose” veritiere, cosa impedisce che lo segua l’attuale direttore, Katherine Viner, o il precedente direttore, Alan Rusbridger, o il prolifico propagandista Luke Harding? Che cosa deve impedire [che lo seguano] i direttori del “New York Times” e del “Washington Post”, che hanno anche loro pubblicato pezzi di quella verità che ha avuto origine da WikiLeaks, e il direttore di “El Pais” in Spagna, e “Der Spiegel” in Germania e del “Sydney Morning Herald” in Australia? L’elenco è lungo.David McCraw, legale del “New York Times”, ha scritto: «Penso che l’azione penale [contro Assange] sarebbe un pessimo precedente per gli editori… a quanto posso capire, egli si trova in qualche modo nella stessa posizione di un editore classico e sarebbe molto difficile da un punto di vista legale distinguere tra il “New York Times” e WikiLeaks». Anche se i giornalisti che hanno pubblicato i documenti trapelati da WikiLeaks non sono stati convocati da un gran giurì americano, l’intimidazione di Julian Assange e Chelsea Manning sarà sufficiente. Il vero giornalismo viene criminalizzato da delinquenti alla luce del sole. Il dissenso è diventato una debolezza. In Australia, l’attuale governo filo-americano sta perseguendo due informatori che hanno rivelato che delle spie di Canberra hanno installato microspie nella sala delle riunioni del nuovo governo di Timor Est, con il preciso scopo di sottrarre con l’inganno alla piccola e povera nazione la sua giusta quota di petrolio e le risorse di gas nel mare di Timor. Il loro processo si terrà in segreto. Il primo ministro australiano, Scott Morrison, è tristemente famoso per aver contribuito alla creazione di campi di concentramento per rifugiati nelle isole del Pacifico di Nauru e Manus, dove i bambini si feriscono e si suicidano. Nel 2014, Morrison ha proposto campi di detenzione di massa per 30.000 persone.Il vero giornalismo è il nemico di queste disgrazie. Una decina di anni fa, il ministero della difesa a Londra ha prodotto un documento segreto che descriveva le tre «principali minacce» all’ordine pubblico: terroristi, spie russe e giornalisti investigativi. Questi ultimi erano considerati la minaccia più grave. Il documento è stato debitamente divulgato da WikiLeaks, che lo ha pubblicato. «Non avevamo scelta», mi ha detto Assange. «È molto semplice: le persone hanno il diritto di sapere e il diritto di mettere in discussione e sfidare il potere: questa è la vera democrazia». Cosa succederebbe se Assange e Manning ed altri sull’onda – se ce ne fossero altri – fossero messi a tacere e «il diritto di conoscere, mettere in discussione e sfidare» fosse eliminato? Negli anni ’70 incontrai Leni Reifenstahl, intima amica di Adolf Hitler, i cui film contribuirono a lanciare l’incantesimo nazista sulla Germania. Mi disse che il messaggio nei suoi film, la propaganda, non dipendeva da «ordini dall’alto», ma da quello che lei chiamava la «vuota sottomissione» del pubblico. «Questa vuota sottomissione include la borghesia liberale e istruita?», le chiesi. «Certamente», disse lei, «specialmente l’intellighenzia… Quando le persone non si pongono più domande serie, diventano sottomesse e malleabili. Tutto può succedere». Ed è successo. Il resto, avrebbe potuto aggiungere, è storia.(John Pilger, “L’arresto di Assange è un avvertimento della storia”, dal blog di Pilger del 13 aprile 2019; articolo tradotto e ripreso da “Voci dall’Estero”).L’immagine di Julian Assange trascinato fuori dall’ambasciata ecuadoriana a Londra è un emblema dei tempi. Il potere contro il diritto. La forza contro la legge. L’indecenza contro il coraggio. Sei poliziotti hanno malmenato un giornalista malato, con gli occhi che si contraevano alla prima luce naturale dopo quasi sette anni. Che questo oltraggio si sia verificato nel cuore di Londra, nella terra della Magna Carta, dovrebbe far vergognare e arrabbiare tutti quelli che temono per la “democrazia”. Assange è un rifugiato politico protetto dal diritto internazionale, che gode del diritto di asilo secondo una precisa convenzione di cui la Gran Bretagna è firmataria. Le Nazioni Unite lo hanno chiarito nella sentenza del loro Working Group sulla detenzione arbitraria. Ma al diavolo. Che i criminali vadano avanti. Diretta dai semi-fascisti della Washington di Trump, in combutta con l’ecuadoriano Lenin Moreno, un ebreo latinoamericano bugiardo che cerca di nascondere il suo regime marcio, l’élite britannica ha abbandonato il suo ultimo mito imperiale: quello dell’equità e della giustizia. Immaginate Tony Blair trascinato fuori dalla sua casa da diversi milioni di sterline in Connaught Square, a Londra, in manette, pronto per la spedizione all’Aia. Secondo le regole di Norimberga, il “massimo crimine” di Blair è la morte di un milione di iracheni. Il crimine di Assange è il giornalismo: chiamare in causa i responsabili, esporre le loro bugie ed emancipare il popolo in tutto il mondo attraverso la verità.
-
Vietato svelare la verità: con Assange muore il giornalismo
La data – 11 aprile 2019 – vivrà nell’infamia negli annali dei “valori” occidentali e della “libertà di espressione”. L’immagine è desolata. Un giornalista ed editore ammanettato è stato trascinato fuori con la forza dall’interno di un’ambasciata, mentre stringeva un libro di Gore Vidal sulla storia dello Stato di sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Il meccanismo è brutale. Il co-fondatore di WikiLeaks, Julian Assange, è stato arrestato perché gli Stati Uniti lo pretendevano dal governo britannico dei Tory, che per parte sua ha sostenuto di non aver fatto pressione sull’Ecuador per revocare l’asilo ad Assange. Gli Stati Uniti cancellano magicamente i problemi finanziari dell’Ecuador, ordinando al Fmi di rilasciare un provvidenziale prestito di 4,2 miliardi di dollari. Subito dopo, i diplomatici ecuadoriani “invitano” la polizia metropolitana di Londra a entrare nella loro ambasciata per arrestare il loro ospite di lungo termine. Andiamo al sodo. Julian Assange non è un cittadino statunitense, bensì australiano. WikiLeaks non è un’organizzazione di media basata negli Stati Uniti. Se il governo Usa dovesse ottenere che Assange sia estradato, processato e incarcerato, legittimerebbe il suo diritto di perseguire chiunque, comunque, ovunque, in qualsiasi momento. Chiamatelo l’Uccisione del Giornalismo.Il caso del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti (Doj) contro Assange è fragile, nel migliore dei casi. Tutto ha a che fare essenzialmente con la pubblicazione di informazioni classificate nel 2010: 90mila file militari in Afghanistan, 400mila file sull’Iraq e 250mila cablogrammi diplomatici diffusi su gran parte del pianeta. Assange è accusato di aver aiutato Chelsea Manning, l’ex analista dell’intelligence statunitense, ad ottenere questi documenti. Ma la faccenda diventa più complicata. È anche presumibilmente colpevole di “incoraggiare” Manning a raccogliere più informazioni. Non c’è altro modo di interpretarla. Ciò equivale, senza più alcuna esclusione di colpi, alla criminalizzazione totale della pratica giornalistica. Per il momento, Assange è accusato di “cospirazione volta a commettere intrusioni informatiche”. L’accusa sostiene che Assange ha aiutato Manning a decifrare una password memorizzata sui computer del Pentagono collegati al Secret Internet Protocol Network (SiprNet). Nei registri delle chat del marzo 2010 ottenuti dal governo Usa, Manning parla con qualcuno chiamato alternativamente “Ox” e “associazione di stampa”. Il Doj è convinto che questo interlocutore sia Assange. Ma devono dimostrarlo definitivamente.Manning e questa persona, presumibilmente Assange, si sono impegnati in “discussioni”. «Durante uno scambio, Manning disse ad Assange che ‘dopo questo upload, è tutto quello che mi è rimasto’. Al che Assange rispose: ‘degli occhi curiosi non sono mai rimasti all’asciutto nel corso della mia esperienza’». Tutto questo non regge. I grandi media privati statunitensi pubblicano regolarmente fughe illegali di informazioni classificate. Manning offrì i documenti che aveva già scaricato sia al “New York Times” che al “Washington Post” – e fu respinto. Solo allora si avvicinò a Wikileaks. L’accusa secondo cui Assange abbia cercato di aiutare a decifrare la password di un computer è in giro dal 2010. Il Dipartimento di Giustizia sotto Obama ha rifiutato di avallarla, consapevole di ciò che significherebbe in termini di potenziale messa al bando del giornalismo investigativo. Non c’è da stupirsi che i media privati statunitensi, spogliati di uno scoop della massima importanza, abbiano successivamente iniziato a denunciare WikiLeaks come agente russo.Il grande Daniel “Pentagon Papers” Ellsberg aveva già avvertito nel 2017: «Obama ha aperto la campagna legale contro la stampa andando alle radici dei rapporti investigativi sulla sicurezza nazionale – le fonti – e Trump andrà dietro agli stessi raccoglitori/giardinieri (e i loro capi, gli editori). Per cambiare metafora, un’accusa ad Assange è il “primo uso” dell’opzione nucleare contro la protezione che il Primo Emendamento assicura alla stampa libera». Le attuali accuse del Dipartimento di Giustizia – essenzialmente il furto di una password del computer – sono appena l’inizio della valanga. Almeno per ora, la pubblicazione non è un crimine. Eppure, qualora sia estradato, Assange potrebbe essere accusato anche di ulteriori cospirazioni e persino della violazione della Legge sullo Spionaggio del 1917. Quantunque debba ancora chiedere il consenso di Londra per avanzare ulteriori accuse, al Dipartimento di Giustizia non mancano gli avvocati in grado di applicare sofismi per evocare un crimine dal nulla.Jennifer Robinson, l’abilissimo avvocato di Assange, ha giustamente sottolineato che il suo arresto è «un problema di libertà di parola» perché «riguarda i modi in cui i giornalisti possono comunicare con le loro fonti». L’inestimabile Ray McGovern, che conosce una o due cose sulla comunità di spionaggio degli Stati Uniti, ha evocato un requiem del quarto potere. Il contesto completo dell’arresto di Assange viene alla luce una volta esaminato che risulta conseguente al fatto che Chelsea Manning ha trascorso un mese in isolamento in una prigione della Virginia per aver rifiutato di denunciare Assange di fronte a un gran giurì. Non c’è dubbio che la tattica del Dipartimento di Giustizia sia quella di spezzare Manning con ogni mezzo disponibile. Ecco cosa dice la squadra legale di Manning: «L’atto d’accusa contro Julian Assange, dissigillato oggi, è stato ottenuto un anno prima che Chelsea comparisse davanti al Gran Giurì e si fosse rifiutato di rendere testimonianza. Il fatto che questa incriminazione sia esistita da oltre un anno sottolinea quanto la squadra legale di Chelsea e la stessa Chelsea hanno detto da quando è stata emessa una citazione per comparire di fronte ad un Gran Giurì federale nel distretto orientale della Virginia: che convincere Chelsea a testimoniare avrebbe duplicato le prove già in possesso del Gran Giurì e questo non era necessario affinché gli avvocati statunitensi ottenessero un’accusa contro Assange.»La palla è ora presso un tribunale del Regno Unito. Assange rimarrà indubbiamente in prigione per alcuni mesi per evitare la cauzione mentre procede l’estradizione secondo il dossier statunitense. Il Dipartimento di Giustizia ha verosimilmente discusso con Londra su come un giudice “adatto” possa fornire il risultato desiderato. Assange è un editore. Di suo non ha fatto trapelare assolutamente nulla. Anche il “New York Times” e il “Guardian” hanno pubblicato ciò che Manning aveva scoperto. “Collateral Murder”, tra le decine di migliaia di prove, dovrebbe essere sempre in prima linea nell’intera discussione: si tratta di crimini di guerra commessi in Afghanistan e in Iraq. Quindi non c’è da meravigliarsi che lo Stato Profondo americano non perdonerà mai Manning e Assange, benché il “New York Times”, in un altro lampante esempio di due pesi e due misure, potrebbe ottenere un lasciapassare. Il dramma alla fine avrà bisogno di essere chiuso nell’Eastern District della Virginia perché la sicurezza nazionale e l’apparato dell’intelligence hanno lavorato per anni a questa sceneggiatura, a tempo pieno.In qualità di direttore della Cia, Mike Pompeo è andato dritto al punto: «È tempo di chiamare Wikileaks per quello che è realmente: un servizio di intelligence ostile non statale spesso favorito da attori statali come la Russia». Quel che di fatto equivale a una dichiarazione di guerra sottolinea quanto in realtà sia pericoloso Wikileaks, per il solo fatto di aver praticato del giornalismo investigativo. Le attuali accuse del Dipartimento di Giustizia non hanno assolutamente nulla a che fare con l’ormai demistificato Russiagate. Ma aspettatevi che il successivo calcio politico sia roboante. Il campo di Trump al momento è diviso. Assange è sia un eroe pop che combatte contro la palude dello Stato Profondo, sia un umile scagnozzo del Cremlino. Allo stesso tempo, Joe Manchin, un senatore democratico del Sud, gioisce, stando agli atti, come un proprietario di una piantagione del diciannovesimo secolo, sul fatto che Assange sia ora “nostra proprietà”. La strategia democratica sarà quella di usare Assange per arrivare a Trump. E poi c’è l’Unione Europea, di cui alla fine la Gran Bretagna potrebbe non far parte, più tardi piuttosto che più presto. L’Unione Europea sarà molto vigile sul fatto che Assange venga estradato nell’“America di Trump”, poiché lo Stato Profondo si assicura che i giornalisti di tutto il mondo abbiano effettivamente il diritto: di rimanere sempre in silenzio.(Pepe Escobar, “Hai il diritto di rimanere sempre in silenzio”, da “Asia Times” del 13 aprile 2019; articolo tradotto da Costantino Ceoldo per “Megachip”).La data – 11 aprile 2019 – vivrà nell’infamia negli annali dei “valori” occidentali e della “libertà di espressione”. L’immagine è desolata. Un giornalista ed editore ammanettato è stato trascinato fuori con la forza dall’interno di un’ambasciata, mentre stringeva un libro di Gore Vidal sulla storia dello Stato di sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Il meccanismo è brutale. Il co-fondatore di WikiLeaks, Julian Assange, è stato arrestato perché gli Stati Uniti lo pretendevano dal governo britannico dei Tory, che per parte sua ha sostenuto di non aver fatto pressione sull’Ecuador per revocare l’asilo ad Assange. Gli Stati Uniti cancellano magicamente i problemi finanziari dell’Ecuador, ordinando al Fmi di rilasciare un provvidenziale prestito di 4,2 miliardi di dollari. Subito dopo, i diplomatici ecuadoriani “invitano” la polizia metropolitana di Londra a entrare nella loro ambasciata per arrestare il loro ospite di lungo termine. Andiamo al sodo. Julian Assange non è un cittadino statunitense, bensì australiano. WikiLeaks non è un’organizzazione di media basata negli Stati Uniti. Se il governo Usa dovesse ottenere che Assange sia estradato, processato e incarcerato, legittimerebbe il suo diritto di perseguire chiunque, comunque, ovunque, in qualsiasi momento. Chiamatelo l’Uccisione del Giornalismo.
-
Chi ha coperto Assange, e perché ha smesso di proteggerlo?
Quella di Julian Assange, fondatore di Wikileaks, è una vicenda interamente circondata di ambiguità: non credo che l’unica fonte di Assange sia stato quel povero soldatino che poi si è assunte tutte le responsabilità (Bradley Manning, oggi Chelsea Manning dopo il cambio di sesso: soldato che rivelò ad Assange le atrocità commesse dall’esercito Usa in Iraq, ndr). Non credo che Assange abbia potuto avere copertura per tutti questi anni solo perché era simpatico al leader dell’Ecuador, Rafael Correa. E’ tutto molto opaco, per cui: dare una medaglia o denigrare Assange è impossibile. Ci sono troppe cose non chiare, che non conosciamo. Assange ha avuto coperture importanti, quindi ha svolto collaborazioni importanti. Queste coperture sono venute meno, e non sappiamo né come le ha avute, né da chi, né perché sono venute meno. Per questo motivo, chiunque esprima un giudizio in questa situazione, secondo me, è una persona avventata.Diffondere notizie riservate e potenzialmente lesive della sicurezza nazionale in America è un reato, e anche in Italia. Non è vero che si possa pubblicare tutto. Poi le notizie, quando se ne entra in possesso in modo illecito, non possono essere pubblicate: se entro in possesso di notizie – anche vere – ma in modo illecito, e le pubblico, vado in galera. Esempio: è un reato se do una notizia che i terroristi possono utilizzare, o se scrivo che è stato creato un centro speciale e segreto presso il ministero della difesa. Se poi intercetti illegalmente Berlusconi e quindi pubblichi quello che hai registrato a casa sua, vai in galera anche per quello che hai pubblicato. Non me la sento di difendere Assange come un eroe dell’informazione. Assange ha acquisito notizie corrompendo un militare, perché di questo si tratta, e già lì siamo su un terreno minato. Per questo merita l’arresto? Ha corrotto un militare: e la corruzione è un reato, anche se il militare ha detto di avergli passato liberamente quelle notizie.Senza di lui, tante cose non le avremmo sapute? Ma non è che, per sapere delle cose, io devo per forza smontare lo Stato. E se vanno in galera anche persone comuni, non capisco perché non ci possano andare anche i giornalisti, se commettono reati. Per me Assange ha corrotto un militare, il che è molto grave. Massimo Mazzucco trova strano che Julian Assange, nonostante le sue vastissime fonti, non abbia mai detto niente a proposito dell’11 Settembre? E’ anomalo, dice Mazzucco, che da Wikileaks non sia mai uscita un’indiscrezione sull’attentato alle Torri Gemelle? Come dicevo, infatti, tutta la vicenda di Assange – umana, personale, professionale e quindi anche giudiziaria – è completamente nelle nebbie: per questo, ripeto, non me la sento di fare affermazioni nette.(Gianfranco Carpeoro, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti di “Border Nights” nella diretta web-streaming “Carpeoro Racconta”, su YouTube, il 13 aprile 2019. Analista e saggista con alle spalle decenni di attività come avvocato, Carpeoro – massone di alto grado, fuoriuscito dalla massoneria – è un esperto di analisi geopolitica: nel saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, uscito nel 2016 per i tipi di Revoluzione, accusa la componente massonica deviata dell’intelligence occidentale di aver “firmato” gli attentati degli anni scorsi, affidati in Europa a manovalanza jihadista targata Isis).Quella di Julian Assange, fondatore di Wikileaks, è una vicenda interamente circondata di ambiguità: non credo che l’unica fonte di Assange sia stato quel povero soldatino che poi si è assunte tutte le responsabilità (Bradley Manning, oggi Chelsea Manning dopo il cambio di sesso: soldato che rivelò ad Assange le atrocità commesse dall’esercito Usa in Iraq, ndr). Non credo che Assange abbia potuto avere copertura per tutti questi anni solo perché era simpatico al leader dell’Ecuador, Rafael Correa. E’ tutto molto opaco, per cui: dare una medaglia o denigrare Assange è impossibile. Ci sono troppe cose non chiare, che non conosciamo. Assange ha avuto coperture importanti, quindi ha svolto collaborazioni importanti. Queste coperture sono venute meno, e non sappiamo né come le ha avute, né da chi, né perché sono venute meno. Per questo motivo, chiunque esprima un giudizio in questa situazione, secondo me, è una persona avventata.
-
Vendetta: ora Assange potrà morire, estradato negli Usa
«Viviamo in un mondo capovolto: chi lavora per la libertà di parola e il libero giornalismo finisce in galera, chi si macchia di crimini di guerra resta a piede libero». Così lo sceneggiatore Paolo Mosca commenta, su Facebook, l’arresto a Londra di Julian Assange. Uno dei principali motivi per cui Assange è stato arrestato, scrive Mosca, dirigente del Movimento Roosevelt, è il video conosciuto come “Collateral murder”: elicotteri americani uccidono civili iracheni, a Baghdad, sparando nel mucchio. Nessuno di quegli assassini è stato condannato, aggiunge Mosca. In galera ci è finito solo Bradley Manning (oggi Chelsea Manning), cioè l’allora militare Usa che aveva poi inviato il video a Wikileaks, sottolinea Gianluca Ferrara sul “Fatto Quotidiano”, secondo cui «Assange andrebbe premiato, non arrestato». Se ora il governo italiano lo abbandonerà al suo destino, afferma il grillino Alessandro Di Battista, «non ci sarà differenza con gli scendiletto Usa che ci hanno governato negli ultimi trent’anni». Il solo a mobilitarsi per Assange, negli ultimi mesi, era stato Paolo Barnard, protagonista di un lunghissimo sit-it sotto le finestre del “prigioniero”, a Londra, durante le festività natalizie. Unica ammissione ottenuta da Barnard, quella di un giornalista del “Guardian”, Damien Gayle: «Sono stato in ansia a “twittarti”, ma dovevo farlo», gli scrisse Gayle, «perché la libertà di dissenso dovrebbe essere l’anima stessa del mio giornale. Spero non mi licenzino».Barnard era solo quanto Assange, davanti all’ambasciata ecuadoriana che da 7 anni ospitava il fondatore di Wikileaks, fermato con accuse pretestuose (ipotetico tentativo di stupro, in Svezia). Dapprima trattato come rifugiato politico dall’Ecuador di Rafael Correa, ultimamente era stato ridotto a ostaggio, nella sede diplomatica londinese del paese centramericano, nel frattempo “normalizzato” dal neo-presidente Lenin Moreno, riallineatosi agli Usa che ora pretendono l’estradizione di Assange. Su “Pandora Tv”, Giulietto Chiesa ha buon gioco nel ricordare che il “ribaltamento del mondo” cui allude Paolo Mosca si specchia ormai anche tra i “whistleblower”: un tempo erano i dissidenti dell’Urss a scappare in Occidente, mentre oggi l’eroe Edward Snowden vive a Mosca, protetto da Putin, dopo aver sollevato lo scandalo mondiale dello spionaggio di massa gestito dalla Nsa, mentre Assange finisce in carcere per aver messo in mostra la brutalità “imperiale” del potere militare americano e in particolare la spregiudicatezza criminale di Hillary Clinton. Pino Cabras, deputato pentastellato, sottolinea il coraggio del giornalista australiano: «Attraverso la sua azione ha svelato le condotte illegali o minacciose di organi istituzionali e potentissime lobby».Di fatto, Wikileaks «ha consentito alla democrazia contemporanea di superare i limiti e le chiusure del giornalismo tradizionale nonché le timidezze dei parlamenti nel correggere i comportamenti opachi di vari governi». Citando una presa di posizione dei 5 Stelle alla Camera, Cabras ricorda che Assange ha dato coraggio alla pratica del “whistleblowing” e dell’obiezione di coscienza fino a farla riconoscere nelle leggi e nei codici etici a tutti i livelli. «Come Movimento 5 Stelle – dicono i parlamentari grillini – abbiamo sentito sin dall’inizio dell’avventura di Wikileaks un interesse per una pratica che valorizzava il controllo dal basso e la democratizzazione dell’informazione nell’ambito di una rivoluzione tecnologica con un grande potenziale di liberazione per individui e popoli. Per questo motivo – aggiungono – riteniamo che debbano essere fatti tutti i possibili passi affinché a Julian Assange sia riconosciuto il valore e il rango politico del suo attivismo, da sempre minacciato con ogni mezzo, che sia salvaguardata la sua incolumità e che non ci siano forzature politiche nelle procedure a cui sarà sottoposto».La figura di Assange, ricorda Alfonso Bianchi sulla “Stampa”, è diventata sempre più quella di un perseguitato per la libertà di espressione. E in tanti, da semplici cittadini a personalità pubbliche, gli hanno espresso solidarietà al punto da candidarlo al Nobel per la Pace. Nel frattempo le accuse contro di lui in Svezia sono cominciate a cadere, prima nel 2015 quella per molestie sessuali e poi due anni dopo anche quella per stupro. Ma su Assange continuava a restare in vigore la richiesta d’arresto britannica per il fatto che si era rifiutato di consegnarsi spontaneamente. Assange ha sempre temuto di essere estradato negli Usa, dove ora Donald Trump lo accusa di aver pubblicato documenti riservati del governo, mettendo a rischio la sicurezza nazionale. Dopo il cambio di governo in Ecuador, la vita di Assange a Londra era diventata quella di un detenuto: fine dei contatti con l’esterno. Gli era stato anche interrotto il collegamento a Internet, con l’accusa di aver violato «un impegno scritto fatto al governo alla fine del 2017 di non rilasciare messaggi che avrebbero potuto interferire con altri Stati». A ottobre, ricorda sempre Bianchi sulla “Stampa”, il suo avvocato, Baltasar Garzon (cioè l’ex magistrato spagnolo anti-corruzione, già impegnato contro il dittatore cileno Pinochet) ha fatto causa al governo di Quito accusandolo di violare i «diritti e le libertà fondamentali» dell’uomo.Da allora le cose hanno continuato a precipitare fino all’ultimo colpo di scena: il ritiro dell’asilo politico, l’arresto e la conferma della richiesta di estradizione da parte degli Usa. «L’arresto di Julian Assange era prevedibile perché oramai tutte le voci fuori dal coro, tutti i personaggi che sfidano il pensiero unico sono inaccettabili e vanno eliminati», scrive Gianluca Ferrara sul “Fatto”. «A mio avviso – aggiunge – la “colpa” di Assange e della sua Wikileaks è quella di aver svelato quei poteri che proliferano dietro le quinte della politica estera e che puniscono chi si permette di rendere note le loro gesta. La “colpa” di Assange è quella di aver palesato ciò che si cela dietro la maschera che i mass media costruiscono». Ferrara rievoca la mattanza filmata da “Collateral murder” e resa pubblica il 12 luglio del 2007, con i due elicotteri Apache che sparano sui civili a Baghdad, accanendosi anche sui feriti, compresi i bambini. Tra le vittime della carneficina anche due cronisti della “Reuters”, Namir Noor Eldeen e Saeed Chmagh. Dall’elicottero, vedendo i corpi dilaniati, i militari statunitensi commentarono: «Guarda quei bastardi morti!».Come Manning e Snowden, dice Ferrara, uomini come Assange «ufficialmente possono aver violato delle leggi, ma hanno permesso di svelare nefandezze inquietanti». Assange andrebbe premiato, ribadisce Ferrara, «per il coraggio di aver denunciato quel Deep State, quel complesso di lobby che si celano dietro la facciata di Stati apparentemente democratici». Ora, Julian Assange – ospitato dall’ambascia dell’Ecuador dal 19 giugno 2012 – rischia il carcere duro e forse persino la vita, se venisse estradato negli Usa. Ci ha rivelato verità indicibili, rendendoci più consapevoli e quindi più liberi. Ma ora Julian Assange può crepare, scriveva a gennaio Paolo Barnard, senza che nessuno muova un dito per salvarlo: giornali, attivisti, intellettuali, politici, governi. Si è immolato per tutti, Assange, con le esplosive rivelazioni affidate a Wikilekas. Sperava di suscitare un’ondata di protesta capace di scuotere il potere. E immaginava che l’indignazione lo avrebbe protetto dalla vendetta dell’establishment. Ma si sbagliava: dopo essere stato costretto a «morire giorno per giorno», trattato come un ospite sempre più sgradito, ora è finito in manette senza che nessuno sia riuscito a salvarlo, esattamente come previsto da Barnard.«Viviamo in un mondo capovolto: chi lavora per la libertà di parola e il libero giornalismo finisce in galera, chi si macchia di crimini di guerra resta a piede libero». Così lo sceneggiatore Paolo Mosca commenta, su Facebook, l’arresto a Londra di Julian Assange. Uno dei principali motivi per cui Assange è stato arrestato, scrive Mosca, dirigente del Movimento Roosevelt, è il video conosciuto come “Collateral murder”: elicotteri americani uccidono civili iracheni, a Baghdad, sparando nel mucchio. Nessuno di quegli assassini è stato condannato, aggiunge Mosca. In galera ci è finito solo Bradley Manning (oggi Chelsea Manning), cioè l’allora militare Usa che aveva poi inviato il video a Wikileaks, sottolinea Gianluca Ferrara sul “Fatto Quotidiano”, secondo cui «Assange andrebbe premiato, non arrestato». Se ora il governo italiano lo abbandonerà al suo destino, afferma il grillino Alessandro Di Battista, «non ci sarà differenza con gli scendiletto Usa che ci hanno governato negli ultimi trent’anni». Il solo a mobilitarsi per Assange, negli ultimi mesi, era stato Paolo Barnard, protagonista di un lunghissimo sit-it sotto le finestre del “prigioniero”, a Londra, durante le festività natalizie. Unica ammissione ottenuta da Barnard, quella di un giornalista del “Guardian”, Damien Gayle: «Sono stato in ansia a “twittarti”, ma dovevo farlo», gli scrisse Gayle, «perché la libertà di dissenso dovrebbe essere l’anima stessa del mio giornale. Spero non mi licenzino».