Archivio del Tag ‘cannabis terapeutica’
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Salvini santifica la Thatcher, cioè la nonna dell’Ue-horror
Due icone contrapposte e inconciliabili, Margaret Thatcher ed Enrico Berlinguer, si affacciano sul pratone leghista di Pontida. Le ha evocate Matteo Salvini, nel rituale bagno di folla in cui – edizione 2019, post-Papeete – ha cercato di farsi “perdonare” per la perdita del governo, che gli è stato sfilato di mano dagli stessi poteri che gli avevano impedito di ampliare il deficit, abbattere la tassazione, dare il via libera all’autonomia regionale del Nord-Est. Sacro e profano: è ancora una volta “Maria” a introdurre l’orazione civile del Capitano crociato, che prova a scommettere sulle imminenti regionali – Umbria ed Emilia – lanciando anche la minaccia dei referendum (in primis, legge elettorale maggioritaria) come strumento di una riscossa che evidentemente non vede alle porte. La paura è indovinabile: restare all’angolo, scaricato infine dal “popolo” leghista. Scontato l’esilio mediatico, dopo tanta sovraesposizione. Scontata anche la rabbia dei militanti verso il mainstream giornalistico e disinformatore, braccio armato dello “Stato parallelo” che governa l’Italia per conto di Bruxelles, grazie al Pd e ora anche ai grillini, caricati a forza da Grillo sul carrozzone franco-tedesco di Ursula von der Leyen.Anche se non lo sanno, i leghisti di Pontida si comportano come i NoTav degli esordi, diffidenti verso la stampa, ostili alle istituzioni centrali come qualsiasi gruppetto di antagonisti: invitano Mattarella ad “andare a quel paese”, coprono di insulti Gad Lerner, rifilano un pugno a una telecamera di “Repubblica”. A eccedere in animosità non sono i giovinastri dei centri sociali demonizzati da Salvini, ma pensionati e casalinghe (come tanti NoTav, appunto), tutti esasperati dallo sconcio in mondovisione del ripugnante Conte-bis rifilato come punizione biblica alla larghissima maggioranza degli italiani. Di Salvini alla fine i leghisti approvano tutto: l’esibizione dei bambini “strappati” (da proteggere dagli abusi del sistema-Bibbiano), l’esposizione delle donne candidate alle regionali a Perugia e Bologna, i neo-leghisti sardi e campani. Virulento l’attacco sul fisco, da campagna elettorale permanente: Flat Tax secca, aliquota unica al 15%. Toni lontanissimi dalla prudenza governativa del Salvini ministro, irridente verso le “letterine” di Juncker ma poi anche troppo silenzioso di fronte all’umiliazione rimediata di fronte alla richiesta di espansione del deficit.«Mai con la sinistra», tuona Salvini, come se ancora esistesse una sinistra italiana, schierata coi lavoratori: una bandiera comoda da sventolare, in un senso o nell’altro, solo per fare cassa. Specie se si distingue tra l’attuale Pd e “i comunisti di una volta, persone serie”, a partire dal Berlinguer santificato a Pontida (emblema di abnegazione trasparente alla causa degli ultimi, salvo poi convincere gli operai ad accettare l’austerità come destino, la piena sottomissione sociale). Suscita inquietudine il richiamo a Oriana Fallaci, eletta come maestra di pensiero “da studiare nelle scuole”, come se la grande giornalista – evocando lo “scontro di civiltà” con l’Islam – non avesse preso una madornale cantonata, non vedendo cosa c’era davvero (e chi c’era, dalle parti della Casa Bianca) dietro la strage mostruosa dell’11 Settembre. Il Salvini di Pontida prende lucciole per lanterne anche su un altro cavallo di battaglia della propaganda più stantia del tradizionalismo provinciale italiano – la droga – senza distinguere tra narcotraffico, mafia e cannabis terapeutica.Il colmo, il Salvini post-ministeriale lo raggiunge elevando la peggior governante europea del dopoguerra, Margaret Thatcher, al rango di regina della politica: il faro del sovranista Salvini è dunque la madrina del cancro neoliberista che ha sventrato le nazioni europee, demolendo dalle fondamenta la legittimità democratica e la missione civile dello Stato sociale? Frastornati dal cocente tradimento subito a Roma, i leghisti si stringono comprensibilmente attorno al loro leader: capiscono che non aveva alternative, non poteva far altro che “staccare la spina” e tornare in campo dall’esterno, come outsider, ma con alle spalle una vastissima quota di elettorato. Di fronte ai leghisti di Pontida, Salvini potrà anche magnificare la Thatcher (detestata dagli inglesi, che hanno impiegato decenni a dimenticarla). Agli altri italiani, non leghisti ma delusi dai 5 Stelle e stomacati dal Pd, Salvini farà bene a spiegare perché allora ce l’ha tanto con i Thatcher italiani, come Monti e Fornero, che si sono limitati ad applicare alla lettera le feroci ricette della Strega del Nord, la loro grande maestra. E’ sicuro, Salvini, di sapere davvero cosa vuol fare da grande?(Giorgio Cattaneo, “Salvini santifica la Thatcher, cioè il neoliberismo dell’Europa-horror”, dal blog del Movimento Roosevelt del 16 settembre 2019).Due icone contrapposte e inconciliabili, Margaret Thatcher ed Enrico Berlinguer, si affacciano sul pratone leghista di Pontida. Le ha evocate Matteo Salvini, nel rituale bagno di folla in cui – edizione 2019, post-Papeete – ha cercato di farsi “perdonare” per la perdita del governo, che gli è stato sfilato di mano dagli stessi poteri che gli avevano impedito di ampliare il deficit, abbattere la tassazione, dare il via libera all’autonomia regionale del Nord-Est. Sacro e profano: è ancora una volta “Maria” a introdurre l’orazione civile del Capitano crociato, che prova a scommettere sulle imminenti regionali – Umbria ed Emilia – lanciando anche la minaccia dei referendum (in primis, legge elettorale maggioritaria) come strumento di una riscossa che evidentemente non vede alle porte. La paura è indovinabile: restare all’angolo, scaricato infine dal “popolo” leghista. Scontato l’esilio mediatico, dopo tanta sovraesposizione. Scontata anche la rabbia dei militanti verso il mainstream giornalistico e disinformatore, braccio armato dello “Stato parallelo” che governa l’Italia per conto di Bruxelles, grazie al Pd e ora anche ai grillini, caricati a forza da Grillo sul carrozzone franco-tedesco di Ursula von der Leyen.
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Bidone Gialloverde, elezioni-farsa: e ora gli oligarchi ridono
Ma non dovevano aprire il fuoco contro i padroni del rigore europeo? Quello almeno era l’impegno di Salvini, consapevole della necessità di liberarsi della camicia di forza di Bruxelles. Di Maio invece aveva spiccato un volo pindarico: avremo di tutto, aveva promesso, ma senza spiegare come, con che soldi. Frode, incapacità, destino cinico e baro? Semplice gatekeeping all’italiana? Presa per i fondelli dell’elettorato? Rivisto al ralenty, l’inglorioso tramonto gialloverde è sbrodolato di Nutella salviniana, caviale russo, vaniloquio grillino. Difficile capire chi l’abbia vinta, la gara al ribasso verso il nulla: il Salvini che a parole rivendicava la Flat Tax o il Di Maio che, aggiungendo chiacchiere a chiacchiere, elargiva il suo reddito di cittadinanza teoricamente quasi universale? Man bassa di voti, un anno fa: i leghisti al Nord, i grillini al Sud. Bifronte come Giano, il Bidone Gialloverde. Ci erano cascati, gli italiani? Eccome: l’estate scorsa, il “governo del cambiamento” volava sulle ali di un consenso mai visto, né in Italia né nel resto d’Europa.Parlavano da soli gli applausi rovesciati addosso a Salvini e Di Maio dal popolo di Genova sulle macerie del Viadotto Morandi, prima che si sapesse che i super-incassatori dei pedaggi italiani, da mungere attraverso Autostrade, non erano i Benetton ma i veri padroni di Atlantia, gli americani di BlackRock. E addio “nazionalizzazione” dannunziana dell’italica rete autostradale, infrastruttura strategica costruita grazie all’uso intelligente del debito pubblico. Poi, va da sé, “il seguito è una vergogna”, come cantava Edoardo Bennato. Il peccato originale? Il cedimento sul deficit, l’addio alla cassaforte: Paolo Savona che si defila, silurato da Mattarella per la gioia di Visco, Draghi e tutti gli altri euro-strozzini che in questi decenni hanno spolpato il Belpaese, facendolo a pezzi per svenderlo agli amici degli amici. Questo significava il “niet” della Commissione: non avrete i soldi per fare quello che avevate promesso. Reazioni: nessuna. Faremo tutto ugualmente, hanno detto (barando) i bidonisti gialloverdi, sapendo perfettamente che – da quel momento – il “governo del cambiamento” era finito, clinicamente morto.Potevano protestare, insorgere? Dovevano farlo: godevano della fiducia del paese. Un fatto che aveva del miracoloso, in sé, visto il curriculum dell’Italia. Prima l’attacco al cuore del sistema, con la Prima Repubblica messa in ginocchio per via giudiziaria di fronte alle forche caudine del Trattato di Maastricht. Poi l’avvento del finto bipolarismo tra Berlusconi e Prodi, tra le “cene eleganti” di Arcore e la presidenza della Commissione Europea, passando per la Goldman Sachs. Quindi la macelleria di Monti, l’anestesia del falso medico Renzi, il pallore dei maggiordomi Letta e Gentiloni. Un establishment esausto, ridotto a banchettare sui resti di industrie e banche largamente cedute a mani straniere, grazie a governi-fantoccio appaltati a piccoli yesman. Poi sono arrivati loro, i giustizieri. Due aziende distinte: quella grillina senza idee, ma con la fedina immacolata. L’altra, la ditta leghista, con trascorsi non esattamente esaltanti, ma rigenerata da una leadership teoricamente sovraneggiante.Da come s’erano messe le cose, in autunno, c’era da sperare che i biscazzieri gialloverdi facessero fronte comune, affondando il colpo – Davide contro Golia – in modo spettacolare, magari presentandosi uniti alle elezioni europee per spiegare che le ragioni dell’Italia non sono diverse da quelle degli altri paesi, se ci si mette dalla parte del popolo e contro l’élite abusiva, privata, che domina le istituzioni pubbliche. Ma niente da fare. I due sparring partner, il leghista e il grillino, non hanno fatto altro che allenare i muscoli dei campioni, gli oligarchi, che almeno su una cosa si erano sbagliati: per un attimo, avevano pensato che Salvini e Di Maio facessero sul serio. Poi, quando li hanno visti azzannarsi tra loro ogni giorno, hanno capito di che pasta fosse, il Bidone Gialloverde. Gli hanno rubato il portafoglio, e l’hanno passata liscia: anziché coi ladri, Salvini se l’è presa coi migranti africani e coi negozietti di cannabis light. Di Maio, al solito, l’ha superato in capacità acrobatica: prima ha lisciato il pelo ai Gilet Gialli massacrati fa Macron, poi s’è genuflesso di fronte alla socia tedesca di Macron, e infine ha contribuito in modo decisivo all’elezione di Ursula von der Leyen, candidata della Merkel alla guida della Commissione Ue.Ora il film è finito, ma l’alternativa è il vuoto. Sfidando il ridicolo, Matteo Salvini – armato di crocifisso – dopo aver azzoppato l’ex socio ora tenta di proporre se stesso come salvatore della patria, sperando che gli italiani abbiano la memoria così corta da non ricordare chi era, Salvini, un anno fa, cosa diceva, cosa prometteva e cosa non ha mai neppure lontanamente provato a fare, in questi lunghi mesi in cui, insieme all’altro sparring partner, ha perso in giro gli elettori. Crede davvero, il leghista, che fare da valletto (l’ennesimo) ai voraci squaletti del Tav gli possa valere grandiosi trionfi? Seriamente si illude che il 34% rimediato alle europee, tornata in cui ha votato solo un italiano su due, si possa trasformare in un’apoteosi, nelle elezioni anticipate che ora pretende? Matteo Renzi riuscì a cadere faccia terra dall’alto del suo 40%, e anche lui per un test elettorale non dovuto, personalmente imposto al paese. Storie sinistramente parallele, quelle dei due Matteo, nella bassa marea in cui la navicella italiana continua a languire, con le vele flosce, senza che sia in vista nessun alito di vento.La campagna elettorale prossima ventura – trita continuazione di quella in corso da mesi – vedrà i bidonisti ex gialloverdi recitare una farsa penosa e cattiva, da commedianti falliti. Ripeteranno sensazionali stupidaggini, tentando di convincere il pubblico che il problema è solo italiano – è tutta colpa di Di Maio, anzi di Salvini – come se Di Maio e Salvini avessero davvero potuto fare quello che volevano. Da loro sentiremo di tutto, tranne la verità. Il grottesco sta nel fatto che questi due signori si rivolgeranno agli italiani come se niente fosse, come se non sapessero quali poteri – nella migliore delle ipotesi – li hanno sabotati fin dall’inizio. Ma gli italiani oggi si interrogano anche sull’altra ipotesi, la peggiore: non sarà che quei poteri li hanno guidati da subito, a partire dall’esordio, prima gonfiandoli e poi sgonfiandoli, i simpatici bidonisti gialloverdi? Lega e 5 Stelle non si libereranno del marchio che ormai li squalifica: avevano impegnato l’onore dell’Italia, di fronte all’Europa, in una promessa di liberazione democratica. Se si maneggiano parole come giustizia, trasparenza e soprattutto sovranità, la gente rischia di prenderti sul serio. Quando poi scopre che era solo un bluff, ti presenta il conto. L’unica certezza, di fronte al cadavere del Bidone Gialloverde, è che la politica italiana è da ricostruire da zero. Con tanti saluti all’increscioso acrobata grillino e allo sceriffo balneare padano, travestito da poliziotto e illuminato dalla Madonna di Medjugorje.(Giorgio Cattaneo, “Bidone Gialloverde: ridono gli oligarchi ma non gli italiani, costretti a subire elezioni-farsa”, dal blog del Movimento Roosevelt del 10 agosto 2019).Ma non dovevano aprire il fuoco contro i padroni del rigore europeo? Quello almeno era l’impegno di Salvini, consapevole della necessità di liberarsi della camicia di forza di Bruxelles. Di Maio invece aveva spiccato un volo pindarico: avremo di tutto, aveva promesso, ma senza spiegare come, con che soldi. Frode, incapacità, destino cinico e baro? Semplice gatekeeping all’italiana? Presa per i fondelli dell’elettorato? Rivisto al ralenty, l’inglorioso tramonto gialloverde è sbrodolato di Nutella salviniana, caviale russo, vaniloquio grillino. Difficile capire chi l’abbia vinta, la gara al ribasso verso il nulla: il Salvini che a parole rivendicava la Flat Tax o il Di Maio che, aggiungendo chiacchiere a chiacchiere, elargiva il suo reddito di cittadinanza teoricamente quasi universale? Man bassa di voti, un anno fa: i leghisti al Nord, i grillini al Sud. Bifronte come Giano, il Bidone Gialloverde. Ci erano cascati, gli italiani? Eccome: l’estate scorsa, il “governo del cambiamento” volava sulle ali di un consenso mai visto, né in Italia né nel resto d’Europa.
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Sul Tav, suicidio gialloverde: sembra Salvini, ma è Fantozzi
L’Italia “subisce ancora”, come Fantozzi: non bastava l’umiliazione sul deficit, ora si aggiunge anche il fardello del Tav Torino-Lione, massimo emblema della malapolitica nazionale al pari del surreale Ponte sullo Stretto. Capolinea gialloverde: era l’ultima diga possibile, ed è crollata. La Grande Opera Inutile – se mai si farà, al di là delle vuote ciance spadellate in Senato dal Partito Unico dello Spreco (Lega e Pd, Forza Italia e Fratelli d’Italia) – sarà ricordata come il triste mausoleo dei 5 Stelle, il movimento che doveva cambiare tutto e non ha cambiato niente, tranne se stesso. Dietrofront su tutta la linea: Tap e Ilva, obbligo vaccinale, trivelle petrolifere nell’Adriatico. Restava la trincea simbolica della valle di Susa, fortemente identitaria per i pentastellati, dai tempi in cui Beppe Grillo e Dario Fo (2005, un secolo fa) giuravano che mai avrebbe trionfato il sopruso, violento e mafioso, imposto al territorio per una ferrovia-doppione completamente inutile, se non per le tasche dei pochissimi “signori dei cantieri” coinvolti nella cordata trentennale per un’infrastruttura che i francesi valuteranno solo nel 2038 per capire se sarà il caso di costruirlo davvero, quel maledetto binario morto. Ai 5 Stelle restava la possibilità di un atto finalmente dignitoso: dimettersi. Ma non l’hanno fatto. Resta in sella il loro ex alleato, Salvini. Ma fino a quando?Braccato da magistrati e Ong, fanatici pro-migranti e giornalisti a caccia di inesistenti fondi neri dalla Russia, oggi il capetto della Lega sembra il padre-padrone del Belpaese – ma ha meno voti di quanti ne avesse Renzi, prima di sparire dalla scena. Salvini non ha esitato a suicidare i 5 Stelle (e quindi l’esecutivo gialloverde) negando ai grillini la possibilità di tentare di salvare la faccia almeno di fronte ai loro elettori, con la mozione di bandiera – solo dimostrativa – contro l’affare-vergogna del Tav. Ma niente: ora il leghista inscena una resa dei conti basata sulle poltrone, con la minaccia delle elezioni anticipate. Cade il governo Conte? Sai che tragedia, per il popolo italiano. Non mosse un dito, Fantozzi-Salvini, quando Mattarella sbarrò a Paolo Savona le porte del ministero dell’economia. E Savona doveva essere il cervello dell’operazione gialloverde, che prevedeva di impiegare l’Italia come ariete per sfondare il muro infame del rigore europeo, basato sulla teologia ordoliberista dello Stato minimo, ricattato dallo spread, alla mercé degli “investitori” privati che manovrano tutto, dalle agenzie di rating ai loro burattini della Bce e della Commissione Ue. Dov’era, il guerriero Salvini? A combattere sul fronte dei porti, bloccando lo sbarco di poche decine di africani. Grande cinema: perfetto, per distrarre il pubblico dai fallimenti fantozziani del governo.Bravo, Salvini, a spedire in Parlamento due economisti-contro come Borghi e Bagnai, di fede keynesiana. Meno bravo, poi, a relegarli al ruolo di belle statuine, mentre l’indegno sostituto di Savona – Giovanni Tria – si genufletteva a Bruxelles per poi tornare a casa senza l’ok per il deficit strategico su cui contava il governo per risollevare l’economia. E dov’era, il formidabile Salvini, quando l’italico giustizialismo faceva cadere la testa di Armando Siri, solo indagato? Il sottosegretario era il regista della Flat Tax, massimo punto di forza elettorale della Lega: gambizzato e travolto, archiviato insieme alla giusta battaglia (solo verbale, a questo punto) per abbattere la pressione fiscale. Il “capitano” aveva di meglio da fare: tipo accorrere alla festa della sacra famiglia tradizionalista, agitare il rosario e baciare il crocifisso nei comizi, perseguitare i negozietti di cannabis terapeutica nel paese dove la cocacina si compra ai giardinetti e dove la droga illegale può costare la vita a un carabiniere nel centro di Roma, massacrato a coltellate. Non si è fatto mancare niente, lo sceriffo padano: vestito da poliziotto, si è spinto (come tutti gli altri, prima di lui) anche nel piccolo tunnel geognostico di Chiomonte, sette chilometri in sette anni, l’unico cantiere Tav finora aperto, ma solo come opera accessoria. Del tunnel vero, quello per il treno – 57 chilometri – non è stato scavato neppure un metro.Non ci lasciano governare, ammise tempo fa il neo-deputato grillino Pino Cabras, denunciando il ruolo del Deep State (ministeri, Quirinale, Bankitalia-Bce) nel frenare qualsiasi istanza di cambiamento. Tutto vero, purtroppo. E come hanno reagito, i nostri eroi? Sparandosi addosso l’un l’altro. Ha cominciato Di Maio, terrorizzato dal crollo elettorale dei 5 Stelle. Salvini gli ha risposto da par suo, cioè affondando i grillini proprio sull’oscena Torino-Lione. Chi ci rimette, in tutto questo? Facile: gli italiani. Governo in pieno marasma: Conte cerca di sopravvivere al naufragio smarcandosi da Di Maio, la cui sorte sembra segnata (sarà probabilmente rottamato dai proprietari del “moVimento”, Grillo e Casaleggio). Fine del “governo del cambiamento”, dunque? Anche fosse, chi se ne accorgerebbe? Cos’hanno cambiato, Lega e 5 Stelle, in un anno di chiacchiere? Oggi, gli elettori grillini sanno che Di Maio e soci hanno tradito tutte le loro promesse. Ma quanto impiegheranno, gli elettori della Lega, a capire che nella loro parrocchia la canzone è la stessa? Cosa ha fatto, capitan Salvini, per dimostrare – coi fatti, di fronte all’Ue – di non essere la reincarnazione (politica, ma altrettanto patetica) del ragionier Fantozzi?L’Italia “subisce ancora”, come Fantozzi: non bastava l’umiliazione sul deficit, ora si aggiunge anche il fardello del Tav Torino-Lione, massimo emblema della malapolitica nazionale al pari del surreale Ponte sullo Stretto. Capolinea gialloverde: era l’ultima diga possibile, ed è crollata. La Grande Opera Inutile – se mai si farà, al di là delle vuote ciance spadellate in Senato dal Partito Unico dello Spreco (Lega e Pd, Forza Italia e Fratelli d’Italia) – sarà ricordata come il triste mausoleo dei 5 Stelle, il movimento che doveva cambiare tutto e non ha cambiato niente, tranne se stesso. Dietrofront su tutta la linea: Tap e Ilva, obbligo vaccinale, trivelle petrolifere nell’Adriatico. Restava la trincea simbolica della valle di Susa, fortemente identitaria per i pentastellati, dai tempi in cui Beppe Grillo e Dario Fo (2005, un secolo fa) giuravano che mai avrebbe trionfato il sopruso, violento e mafioso, imposto al territorio per una ferrovia-doppione completamente inutile, se non per le tasche dei pochissimi “signori dei cantieri” coinvolti nella cordata trentennale per un’infrastruttura che i francesi valuteranno solo nel 2038 (per capire se sarà il caso di costruirlo davvero, quel maledetto binario morto). Ai 5 Stelle restava la possibilità di un atto finalmente dignitoso: dimettersi. Ma non l’hanno fatto. Resta in sella il loro ex alleato, Salvini. Fino a quando?
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Magaldi: politica tribale, a fari spenti nella notte dell’Europa
Dove saremmo, oggi, se Zingaretti avesse imparato la lezione de “La notte della sinistra”, il lucidissimo saggio di Federico Rampini che spiega come proprio il centrosinistra abbia tradito i più deboli? E dove sarebbe lo stesso Di Maio, se avesse varato un vero reddito di cittadinanza, anziché distribuire (a pochi) quella penosa “tessera annonaria della povertà”, che gli stessi beneficiari si vergognano a esibire? Quanto a Salvini: è sicuro di sapere che farsene, dello squillante successo appena ottenuto alle europee? «Il 34% è un gran risultato, ma Renzi superò addirittura il 40%. Poi sparì dalla scena, in un attimo. E oggi tutto si muove ancora più in fretta». Il problema? «La politica è in preda a scontri di tipo tribale, fondati solo sull’appartenenza al proprio clan». Così si viaggia a fari spenti, lacerati e divisi, in un’Europa ancor meno amica dell’Italia: Ppe e Pse dovranno ricorrere a formazioni ultra-euriste (i liberali dell’Alde o i Verdi, neoliberisti pure loro) per neutralizzare la crescita, comunque insufficiente, dei cosiddetti sovranisti. Secondo Gioele Magaldi ci rimetterà l’Italia, tutta intera, grazie a partiti finora capaci solo di scannarsi, insultarsi e demonizzarsi a vicenda. Terranno conto, dunque, del duro monito che viene dalle consultazioni europee del 26 maggio?Per il presidente del Movimento Roosevelt, in campagna elettorale le forze in campo hanno dato una pessima prova di sé: il Pd ha puntato tutto sulla grottesca criminalizzazione della Lega, nemmeno fosse una reincarnazione del fascismo mussoliniano. Salvini, dal canto suo – persa la partita con Bruxelles sul deficit – se l’è presa coi negozietti di cannabis terapeutica, schierandosi coi più retrivi tradizionalisti (contro le famiglie gay) e agitando rosari e crocefissi nei comizi. «Per non parlare di Di Maio, la cui inadeguatezza come leader si è dimostrata lampante», dice Magaldi, in video-chat su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. Bel tomo, il portavoce dei grillini: prima flirta a Parigi coi Gilet Gialli irritando Macron, poi s’inchina alla Merkel (che proprio con Macron ha firmato il Trattato di Aquisgrana, celebrando lo strapotere nazionalistico dell’asse franco-tedesco, in barba allo spirito dell’Ue). Ma peggio: dall’alto dell’attuale 17% (un abisso: 6 milioni di voti persi per strada, in un anno), Di Maio «sarà contento dell’ipocrita crociata discriminatoria intrapresa contro i massoni», fingendo di non sapere che il governo gialloverde pullula di “grembiulini”. «E sarà contento di aver affossato Armando Siri, oggetto per ora di un semplice avviso di garanzia, facendo passare la Lega per una sorta di sentina del malaffare e agitando una pretesa moralità politica che, evidentemente, per i 5 Stelle viene prima della legge, della giustizia amministrata dallo Stato di diritto».Nella prima conferenza stampa post-elettorale, «irrisoria e propagandistica», Matteo Salvini ha fornito «un’irreale valutazione delle forze in campo in Europa». Poi in seconda battuta si è corretto, annunciando un impegno frontale sull’emergenza economica. Ma attenzione, avverte Magaldi: «Non è la prima volta che Salvini dice cose interessanti e poi, alla prova dei fatti, tutto si risolve in nulla». Il leader della Lega ha comunque annunciato di voler sfoderare in campo economico la stessa grinta finora esibita solo sul tema-immigrazione. Vuole dare un ruolo di rilievo a personaggi come Bagnai e Borghi, allo stesso Siri (Flat Tax) e ad Antonio Maria Rinaldi. La promessa: l’economia dev’essere al centro delle preoccupazioni della Lega nel governo italiano, guardando all’Europa. «Magari fosse così», commenta Magaldi. «Queste cose, comunque, le dovrebbero dire tutti, anche il Pd. Come sistema-paese, tutti dovrebbero essere più coesi nel rappresentare le esigenze del popolo italiano e del nostro territorio, che ha bisogno di ingenti investimenti per rilanciare l’occupazione. Tutto ciò accadrebbe, se davvero in Europa ci si preoccupasse della disoccupazione, del benessere dei popoli e della diminuzione delle disuguaglianze. Così non è stato, e così non è».Sulla carta, aggiunge Magaldi, le dichiarazioni di Salvini sono molto interessanti: «Sembra quasi che abbia ascoltato ciò che alla Lega andiamo dicendo da mesi, in pubblico e in privato. Cioè: a fare la differenza non sono gli atteggiamenti truci e smargiassi, ma l’impegno sui temi economici. E ripeto, vale anche per il Pd: non c’è speranza, per questo paese, senza un cambio di paradigma politico-economico». Se il neoliberismo resterà al potere – più tagli, più tasse – non cambierà proprio nulla, a Bruxelles. «Se però il Pse e lo stesso Pd ripartissero da Olof Palme, gigante della socialdemocrazia europea, rompendo con la “terza via” inaugurata dai vari Blair e Clinton, che ha prodotto solo rovine, allora persino il partito di Zingaretti avrebbe la chance di tornare a interpretare le esigenze di quel “popolo della sinistra” di cui parla benissimo il libro di Rampini, che racconta – senza sconti – quello che è stato il suicidio del centrosinistra mondiale, rispetto alla rappresentanza degli interessi degli ultimi. E’ ovvio che poi gli ultimi cerchino di essere rappresentati politicamente altrove, magari dai cosiddetti populisti». Ma il consenso non è per sempre, neppure in quel caso: lo racconta alla perfezione il crollo dei 5 Stelle, che in soli 12 mesi hanno dimezzato i loro voti. Motivo: «Il reddito di cittadinanza si è rivelato una presa in giro».Secondo Magaldi, un vero reddito universale – 500 euro a tutti, senza condizioni (con l’unico obbligo di spenderli, quei soldi) – sarebbe perfettamente sostenibile, perché farebbe volare i consumi, risollevando l’economia. I 5 Stelle pagano oggi in modo catastrofico la loro ambiguità, e sono anche riusciti a sabotare l’altro provvedimento anti-crisi – la Flat Tax – “gambizzando” il suo inventore, Armando Siri. Il Pd zingarettiano, dal canto suo, non ha ancora prounciato una sola parola di autocritica sull’infame tradimento della Seconda Repubblica, in cui il centosinistra – fino a Renzi e Gentiloni – ha svenduto i diritti sociali, dopo aver persino sostenuto il governo Monti e l’inserimento del pareggio di bilancio nella Costituzione. Comodo, oggi, lamentarsi del successo di Salvini. Il quale, peraltro, non è ancora andato oltre i proclami, in materia economica. Cambierà qualcosa, dopo l’inutile bagarre elettorale delle europee? Solo ad un patto, dice Magaldi: che cessi la guerra per bande, di stampo tribale, che oppone i diversi partiti con toni più calcistici che politici. Sono soltanto alibi, per evitare di affrontare il vero problema: se non trovano il coraggio di sfidare il falso dogma del rigore, ancora di casa a Bruxelles, questi partiti consegneranno il paese al declino, alla rassegnazione più desolata di fronte a una crisi che sembra eterna.Dove saremmo, oggi, se Zingaretti avesse imparato la lezione de “La notte della sinistra”, il lucidissimo saggio di Federico Rampini che spiega come proprio il centrosinistra abbia tradito i più deboli? E dove sarebbe lo stesso Di Maio, se avesse varato un vero reddito di cittadinanza, anziché distribuire (a pochi) quella penosa “tessera annonaria della povertà”, che gli stessi beneficiari si vergognano a esibire? Quanto a Salvini: è sicuro di sapere che farsene, dello squillante successo appena ottenuto alle europee? «Il 34% è un gran risultato, ma Renzi superò addirittura il 40%. Poi sparì dalla scena, in un attimo. E oggi tutto si muove ancora più in fretta». Il problema? «La politica è in preda a scontri di tipo tribale, fondati solo sull’appartenenza al proprio clan». Così si viaggia a fari spenti, lacerati e divisi, in un’Europa ancor meno amica dell’Italia: Ppe e Pse dovranno ricorrere a formazioni ultra-euriste (i liberali dell’Alde o i Verdi, neoliberisti pure loro) per neutralizzare la crescita, comunque insufficiente, dei cosiddetti sovranisti. Secondo Gioele Magaldi ci rimetterà l’Italia, tutta intera, grazie a partiti finora capaci solo di scannarsi, insultarsi e demonizzarsi a vicenda. Terranno conto, dunque, del duro monito che viene dalle consultazioni europee del 26 maggio?
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L’Italia ha perso. Tomaiuolo: Salvini sarà ignorato dall’Ue
La vera notizia è che l’Italia ha perso: dopo il voto del 26 maggio, anziché migliorare, la situazione a Bruxelles sarà ancora peggiore, per noi. Lo afferma Roberto Tomaiuolo, sulla pagina Facebook del Movimento Roosevelt. «Leggendo i commenti italiani dall’estero (mi trovo per lavoro per un paio di settimane in Germania) mi sembra sempre di più di vivere su Marte», scrive Tomaiuolo, che spiega: «Il nuovo Parlamento Europeo eleggerà palesemente un esecutivo ancor più europeista dei precedenti, visto che ci sarà inevitabilmente Alde nella nuova maggioranza». E quelli che in Germania sono i veri vincitori di questa consultazione, i Verdi, che pur non dovrebbero entrare in maggioranza, sono super-europeisti («e leggo sulla stampa italiana neo-salviniana l’opposto: ridicoli!»). Aggiunge Tomaiuolo: il fronte anti-Ue cresce, ma di poco – e solo grazie alla Lega. «Salvini e Orban, pur indiscussi trionfatori a casa, saranno emarginati in Europa». E l’Italia? «Sarà semplicemente ignorata». Sempre secondo Tomaiuolo, «chi crede che il “battere i pugni” o le scarpe sul tavolo “à la Chruščëv”, minacciare veti o sforamenti servirà a qualcosa, si inganna». Motivo? «Il tempo lavora contro l’Italia». Agli altri «basterà non far niente e attendere sulla riva del fiume il (nostro, purtroppo) cadavere. Ma questo, facile previsione, è esattamente ciò che avverrà».Una previsione elementare: «L’imminente disastro economico necessiterà di un colpevole da additare all’italico elettore, quindi – scrive ancora Tomaiuolo – mi aspetto ogni tipo di proposta creativa (che sanno perfettamente di poter fare, perché non passerà) e per un po’ questa strategia funzionerà». Secondo l’analista, il panorama europeo «è cambiato all’opposto di quanto sperava Salvini». Altro che “cambiamento”: «In Italia vedremo presto le ripercussioni nei grillini, che sempre più non si capisce chi siano, ma comunicano il nulla sotto vuoto spinto». L’elettorato ieri grillino è transitato in massa verso Salvini e in parte anche in direzione del Pd, che ha clamorosamente sorpassato – in modo netto – le truppe sgangherate di Di Maio. «Per fortuna vediamo il tramonto finale di Berlusconi (o almeno si spera)». Altro dettaglio significativo, l’affluenza elettorale: nel resto d’Europa è in crescita, mentre in Italia (in controtendenza) è in calo: troppi elettori, evidentemente, non si sentono adeguatamente rappresentati. «In Germania – chiosa Tomaiuolo – ho notato una grossa spinta europeista, in particolare in forma ambientalista e in particolare fra i giovani: non solo nelle urne, si nota ovunque».Non che mancassero, alla vigilia, le avvisaglie della tendenza emersa poi alle urne: la “carica” dei cosiddetti sovranisti sarebbe stata percepibile, ma non determinante. Risultato: il sistema di potere di Bruxelles avrebbe ulteriormente serrato i ranghi, e i numeri ora lo confermano. Quello italiano è stato finora l’unico governo “all’opposizione” di Bruxelles, ma non ha osato imporsi: ha ceduto persino sul modestissimo incremento del deficit inizialmente proposto. Di fronte a questo fallimento – e con la crisi econonica e sociale che si sta aggravando – Di Maio non ha trovato di meglio che attaccare Salvini a testa bassa, col campagne sleali come quella per ottenere le dimissioni di Armando Siri, l’inventore della Flat Tax all’italiana. Dal canto suo, il leader della Lega ha ripiegato a sua volta su obiettivi risibili, come la mini-crociata contro i negozi di cannabis terapeutica. Per ora Salvini ha vinto, come previsto, la partita interna (e il costo della sconfitta, per Di Maio, ha assunto dimensioni catastrofiche). Il dato di fondo è che l’Italia non è riuscita a cambiare la politica di austerity presidiata dai signori di Bruxelles. E gli esiti elettorali annunciano che non riuscirà a farlo neppure domani. Anzi: la struttura di potere Ue potrebbe farsi ancora più arcigna. E coi 5 Stelle “asfaltati” da Salvini, potrebbe affacciarsi su Palazzo Chigi il fantasma di Mario Draghi.La vera notizia è che l’Italia ha perso: dopo il voto del 26 maggio, anziché migliorare, la situazione a Bruxelles sarà ancora peggiore, per noi. Lo afferma Roberto Tomaiuolo, sulla pagina Facebook del Movimento Roosevelt. «Leggendo i commenti italiani dall’estero (mi trovo per lavoro per un paio di settimane in Germania) mi sembra sempre di più di vivere su Marte», scrive Tomaiuolo, che spiega: «Il nuovo Parlamento Europeo eleggerà palesemente un esecutivo ancor più europeista dei precedenti, visto che ci sarà inevitabilmente Alde nella nuova maggioranza». E quelli che in Germania sono i veri vincitori di questa consultazione, i Verdi, che pur non dovrebbero entrare in maggioranza, sono super-europeisti («e leggo sulla stampa italiana neo-salviniana l’opposto: ridicoli!»). Aggiunge Tomaiuolo: il fronte anti-Ue cresce, ma di poco – e solo grazie alla Lega. «Salvini e Orban, pur indiscussi trionfatori a casa, saranno emarginati in Europa». E l’Italia? «Sarà semplicemente ignorata». Sempre secondo Tomaiuolo, «chi crede che il “battere i pugni” o le scarpe sul tavolo “à la Chruščëv”, minacciare veti o sforamenti servirà a qualcosa, si inganna». Motivo? «Il tempo lavora contro l’Italia». Agli altri «basterà non far niente e attendere sulla riva del fiume il (nostro, purtroppo) cadavere. Ma questo, facile previsione, è esattamente ciò che avverrà».
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Magaldi: Salvini abbaia ma non morde, proprio come l’Italia
Povera patria, cantava Battiato, ai tempi in cui il radar stava per inquadrare lo sfacelo di Tangentopoli e i rottami delle auto di Falcone e Borsellino, mentre su RaiTre i vari Ghezzi e Guglielmi scavavano tra le macerie civili nella vana speranza di rintracciare qualcosa che potesse somigliare a un umanesimo post-comunista. Nel frattempo – lontano dagli occhi, e dal cuore – l’altra sinistra, quella di potere, si accingeva a svendere segretamente l’Italia, impiccandola al “vincolo esterno” di Maastricht che l’avrebbe ridotta a colonia minore, docile preda dell’asse franco-tedesco. Quasi trent’anni dopo, sostituiti gli attori, il copione ripropone la stessa canzone. Povera patria, e povero Salvini: ridotto a farsi applaudire da un antagonista da salotto come Diego Fusaro per la ridicola crociata contro la cannabis light, dopo aver lisciato il pelo, a Verona, ai cultori dell’archeologia familistica pre-moderna, reazionaria, ottusamente tradizionalista. «Non ne azzecca più una, il leader della Lega». E dove sarebbe la notizia? Perché mai dovrebbero interessarci, le avvisaglie di declino che sfiorano il Capitano? Semplice: perché è stato l’unico, in questi anni, a mettere a fuoco il problema del paese, il vero avversario. Ma il suo attuale smarrimento fotografa alla perfezione la fragilità del sistema-Italia di fronte all’ostacolo – sempre lo stesso – che condanna la penisola alla depressione sociale ed economica.Non si smuove di un millimetro l’impero abusivo di Bruxelles, dominato da lobbisti travestiti da statisti. L’altra notizia è che la situazione sta peggiorando a vista d’occhio. E il governo gialloverde non sa che pesci pigliare, non avendo osato sfidare gli oligarchi tenendo duro almeno sulla richiesta di deficit. Povero Salvini, comunque: tacciato di xenofobia, pur essendo stato l’unico a far eleggere un senatore di origine africana. Lo hanno anche accusato di fascismo per il libro pubblicato dall’editrice vicina a CasaPound, sfrontatamente cacciata dal Salone del Libro di Torino – strano posto, dove si fa la guerra (elettorale) a un’azienda, anziché eventualmente lasciar procedere i magistrati (nel caso, per apologia di fascismo) contro la discutibile sortita verbale, individuale, di uno dei suoi responsabili. E a proposito di Torino: quante volte il Salone dell’Ipocrisia ha ospitato editori e autori dichiaratamente comunisti, quindi teoricamente altrettanto ostili, sulla carta, all’orizzonte culturale e antropologico della democrazia liberale? Ne ha per tutti, Gioele Magaldi, nell’osservare il caos che domina la vigilia delle europee: «Elezioni perfettamente inutili», sostiene il presidente del Movimento Roosevelt, che annuncia che diserterà le urne. Motivo: impossibile sperare in un voto utile. Tutto resterà come prima, nelle mani del neoliberismo di regime incarnato da Ppe e Pse.Da una parte c’è il mostruoso e grottesco Juncker, che – in spregio di qualsiasi etica e decenza democratica – già annuncia che “i populisti” saranno tenuti lontani dai ruoli-chiave, a prescindere dal risultato della consultazione. All’ombra di Juncker siede l’altrettanto imbarazzante Moscovici, il “signor no” del deficit italiano, in conferenza stampa con l’ectoplasmatico Gentiloni, alter ego dell’impalpabile Zingaretti. A loro va bene così: con l’Italia che “subisce ancora”, come Fantozzi, votata – per una assurda maledizione – a non crescere, a restare sottomessa e depressa, a non guarire mai. Ma chi fronteggia l’impostura? In campo ci sono (rumorosamente) soltanto loro, i cosiddetti sovranisti, cioè la pessima compagnia che si è scelto Matteo Salvini: «I primi a opporsi all’Italia quando chiedeva più deficit sono stati proprio Polonia e Ungheria, gli alleati teorici della Lega», fa notare Magaldi, che nel bestseller “Massoni” ha disegnato la mappa segreta del potere mondialista, interamente massonico, che ha progettato questa globalizzazione senza diritti che stiamo tutti scontando, italiani senza lavoro e giovani senza futuro, aziende sull’orlo del fallimento, professionisti costretti a mendicare pagamenti che non arrivano mai.Sovranismo contro globalismo? Falsa dicotomia, checché ne pensi l’ex ideologo grillino Paolo Becchi: non contano le dimensioni del sistema, le sue frontiere, ma le modalità di gestione – democratiche oppure oligarchiche, progressiste o conservatrici (alzi la mano chi vorrebbe vivere nella Corea del Nord, paese teoricamente ultra-sovranista). E il nostro Salvini? S’è perso per strada, prima ancora di cominciare: «Abbaia, ma non morde», dice Magaldi. In questo, ricorda sinistramente l’altro Matteo, il Renzi che – a parole – sembrava sul punto di resuscitare l’Italia, opponendosi agli abusi della subdola tecnocrazia europea. In un attimo, è passato dal 40% agli scantinati della politica, tra gli ex. Potrebbe succedere anche al condottiero leghista: l’imboscata sleale di Di Maio e Conte – decapitare Armando Siri, per offrire una stampella moralistica ai 5 Stelle in pieno panico pre-elettorale – è già costata un 6% di consensi, alla Lega, almeno stando ai sondaggi. Su Siri, Magaldi è indignato: il sottosegretario doveva restare al suo posto, essendo solo indagato. «Salvini doveva difenderlo a oltranza. E invece cosa ha fatto? Al solito: ha abbaiato, minacciando sfracelli, ma poi ha ingoiato il rospo anche stavolta, incassando una sconfitta bruciante». Un guerriero di latta, il cui consenso si sta mostrando pericolosamente effimero e friabile.«Salvini sa benissimo che è Bruxelles, che dovrebbe mordere, e non i negozi di cannabis terapeutica: queste battaglie tragicomiche le lasci a Fusaro, e spenda meglio il suo tempo. Pensi all’Italia, alla crisi che sta azzannando il paese». Già, la grande crisi che tutti fingono di non vedere. Fino a ieri, se non altro, Salvini la indicava senza ipocrisie: è riuscito a piazzare al Senato un economista keynesiano come Alberto Bagnai. Dopodiché, nebbia in Val Padana. «Oltre ad aver ceduto di fronte al diktat di Bruxelles sul deficit, che avrebbe fatto crescere il Pil riducendo l’incidenza del debito – argomenta Magaldi – il governo gialloverde non ha neppure preso in considerazione la proposta che l’economista Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt, avanza da anni: creare moneta parallela, non a debito e perfettamente ammessa dal Trattato di Lisbona, per aggirare la scarsità artificiosa di liquidità che affligge l’Eurozona e creare quei posti di lavoro di cui l’Italia ha drammaticamente bisogno».Infrastrutture strategiche, servizi, welfare, sicurezza del territorio. Servono soldi, che però l’élite neo-feudale non vuole che si spendano: la fine della crisi sarebbe anche la fine dell’attuale potere oligarchico, basato sulla precarizzazione del lavoro. Il piano avanza da anni, implacabile: tagliare i viveri allo Stato per costringerlo ad alzare le tasse, comprimere i salari e colpire i consumi. Amputare il welfare significa spremere il paese, spingendolo a erodere i risparmi. Il cielo si chiude: rassegnazione. Meno opportunità, meno diritti. Le elezioni? Non contano: lo dice Juncker, spettrale tecnocrate al quale Fabio Fazio, sulla Rai, stende il tappeto rosso. Se la ride, l’oligarca del Lussemburgo (rinomato paradiso fiscale, per decenni), già sapendo che l’alleanza di piombo tra popolari e socialisti europei ridurrà le elezioni del 26 maggio a una lugubre barzelletta. Ci vuole ben altro, per rovesciare questi cialtroni: un programma rivoluzionario, radicale, che smonti le loro menzogne travestite da scienza economica e vendute al popolo bue come dogma di fede. Salvini, almeno lui, lo sa benissimo. Ed è per questo che è imperdonabile, oggi, il suo ostinarsi ad abbaiare – contro falsi obiettivi – senza mai decidersi a mordere davvero.(Il pensiero di Magaldi è sintetizzato in due interventi su YouTube, l’11 maggio in video-chat con Marco Moiso, vicepresidente del Movimento Roosevelt, e il 13 maggio con Fabio Frabetti, conduttore di “Border Nights”. Dopo il recente convegno di Londra sul New Deal rooseveltiano di cui avrebbe bisogno l’Europa, i temi esposti da Magaldi – come risolvere la crisi italiana, affrontando finalmente l’oligarchia di Bruxelles – saranno alla base dell’assemblea che il 14 luglio, a Roma, darà vita al “Partito che serve all’Italia”, laboratorio politico che si candida a smascherare le ipocrisie e la mancanza di coraggio della politica italiana di fronte alle reali cause del malessere del paese).Povera patria, cantava Battiato, ai tempi in cui il radar stava per inquadrare lo sfacelo di Tangentopoli e i rottami delle auto di Falcone e Borsellino, mentre su RaiTre i vari Ghezzi e Guglielmi scavavano tra le macerie civili nella vana speranza di rintracciare qualcosa che potesse somigliare a un umanesimo post-comunista. Nel frattempo – lontano dagli occhi, e dal cuore – l’altra sinistra, quella di potere, si accingeva a svendere segretamente l’Italia, impiccandola al “vincolo esterno” di Maastricht che l’avrebbe ridotta a colonia minore, docile preda dell’asse franco-tedesco. Quasi trent’anni dopo, sostituiti gli attori, il copione ripropone la stessa canzone. Povera patria, e povero Salvini: ridotto a farsi applaudire da un antagonista da salotto come Diego Fusaro per la ridicola crociata contro la cannabis light, dopo aver lisciato il pelo, a Verona, ai cultori dell’archeologia familistica pre-moderna, reazionaria, ottusamente tradizionalista. «Non ne azzecca più una, il leader della Lega». E dove sarebbe la notizia? Perché mai dovrebbero interessarci, le avvisaglie di declino che sfiorano il Capitano? Semplice: perché è stato l’unico, in questi anni, a mettere a fuoco il problema del paese, il vero avversario. Ma il suo attuale smarrimento fotografa alla perfezione la fragilità del sistema-Italia di fronte all’ostacolo – sempre lo stesso – che condanna la penisola alla depressione sociale ed economica.