Archivio del Tag ‘Canton Ticino’
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Foa: terrorismo contro Lega e 5 Stelle, cioè contro gli italiani
Dobbiamo avere fiducia, nel nuovo governo con 5 Stelle e Lega? Be’, se ascoltiamo i telegiornali e leggiamo i giornali la risposta è no: vi stanno terrorizzando, vi stanno dicendo che sarà una catastrofe, che violiamo tuti i patti europei, che è una sciagura, che sono irresponsabili. Io vi dico: no, tutto questo è sbagliato. Bisogna avere fiducia, in questo governo, per una ragione molto semplice: io ho ammirato il modo in cui le due delegazioni si sono incontrate, in cui per giorni – avendo poco tempo a disposizione – si sono sedute in modo responsabile e costruttivo al tavolo delle trattative, per arrivare a una “quadra” tra due programmi che erano molto diversi su molti punti. E ci sono riusciti: hanno anteposto il disegno di un programma credibile alla ricerca spasmodica delle poltrone, come hanno sempre fatto i politici fino ad oggi (ed è quello che la gente rimproverava alla casta). Ebbene, Lega e 5 Stelle hanno dato prova di un approccio diverso alla politica. E soprattutto, hanno dimostrato che si possono tentare delle nuove strade per risolvere i problemi che stanno più a cuore ai cittadini.Infatti, cosa ci dicono? Vogliono rilanciare l’economia, vogliono dare più attenzione alle piccole e medie imprese, vogliono risolvere i problemi della sicurezza, vogliono dare una speranza a chi è senza lavoro, vogliono proteggere le pensioni, vogliono cercare di anteporre l’interesse nazionale a interessi sovranazionali che non sempre sono legittimi, e soprattutto che non sempre sono davvero nell’interesse degli italiani. Ce la faranno? Non lo so, lo vedremo. Ma dovremo dar loro cinque anni di tempo per provarci, mentre quel che sta avvenendo, secondo me, è molto grave. Stanno cercando di creare un clima di terrore verso questo governo. E’ un’operazione che non mi sorprende, visto che queste operazioni le conosco da tanto tempo, ma a cui non bisogna dare troppo retta. Bisogna dire: lasciamoli lavorare, giudichiamoli sui fatti, e non sul pregiudizio.(Marcello Foa, video-editoriale pubblicato sul blog “Il Cuore del Mondo” ospitato dal “Giornale” il 19 maggio 2018. Già caporedattore con Indro Montanelli, Foa è una delle voci più libere e autorevoli dell’attuale giornalismo italiano. Ha collaborato anche con la Rai e con la Bbc. A capo di TiMedia, gruppo editoriale del Canton Ticino nella Svizzera italiana, ha fondato con Stephan Russ-Mohl l’Osservatorio Europeo di Giornalismo. Docente universitario in Svizzera, è vicepresidente dell’associazione culturale “Asimmetrie” diretta dall’economista Alberto Bagnai, ora eletto senatore con la Lega. Nel 2018 è uscita una versione aggiornata del fortunatissimo saggio “Gli stregoni della notizia”, edito da Guerini, il cui Foa denuncia il sistema mediatico attuale, prigioniero di schemi ricorrenti di manipolazione, “fake news” e “post-verità”).Dobbiamo avere fiducia, nel nuovo governo con 5 Stelle e Lega? Be’, se ascoltiamo i telegiornali e leggiamo i giornali la risposta è no: vi stanno terrorizzando, vi stanno dicendo che sarà una catastrofe, che violiamo tuti i patti europei, che è una sciagura, che sono irresponsabili. Io vi dico: no, tutto questo è sbagliato. Bisogna avere fiducia, in questo governo, per una ragione molto semplice: io ho ammirato il modo in cui le due delegazioni si sono incontrate, in cui per giorni – avendo poco tempo a disposizione – si sono sedute in modo responsabile e costruttivo al tavolo delle trattative, per arrivare a una “quadra” tra due programmi che erano molto diversi su molti punti. E ci sono riusciti: hanno anteposto il disegno di un programma credibile alla ricerca spasmodica delle poltrone, come hanno sempre fatto i politici fino ad oggi (ed è quello che la gente rimproverava alla casta). Ebbene, Lega e 5 Stelle hanno dato prova di un approccio diverso alla politica. E soprattutto, hanno dimostrato che si possono tentare delle nuove strade per risolvere i problemi che stanno più a cuore ai cittadini.
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Che gioia scoprire che Obama legge le mie email (e le tue)
Qualche giorno fa ho presenziato a un incontro insolito per gli standard italiani: una conferenza pubblica con il capo dei servizi segreti svizzero Markus Seiler. A Bellinzona, senza particolari misure di sicurezza, con la consueta semplicità elvetica, introdotto dal direttore del Dipartimento delle Istituzioni, Norman Gobbi (il ministro degli interni ticinese, tradotto nel gergo italiano). Serata interessante, pacata nei toni, durante la quale Seiler ha dichiarato, testuale: «Oggi l’80% delle email fanno una rapida tappa a Washington e a Londra dove vengono copiate e archiviate. Solo le email criptate o protette da particolari misure di sicurezza sfuggono a questo gigantesco setaccio». Seiler si è ovviamente ben guardato dall’esprimere valutazioni politiche, però il tono del suo intervento era chiaro. Era come se chiedesse al pubblico presente: a voi va bene? Non sono un diplomatico ma un giornalista. E posso permettermi di rispondere. No, non va bene.Mi fa molto piacere che il presidente Obama si interessi alla mia vita privata e professionale, coinvolgendo il premier britannico Cameron, ma non è accettabile che tutti i miei messaggi, come i tuoi, caro lettore, siano copiati istantaneamente e memorizzati in un gigantesco database. In questi giorni sto rileggendo, a distanza di trent’anni, “1984” di Orwell e pagina dopo pagina rabbrividisco: alcune delle misure di controllo sociale del Grande Fratello, immaginate dal grande scrittore inglese, oggi sono realtà. Schedare tutto quel che viene scritto da un cittadino, mappare la sua rete di contatti (sanno a chi scrivo le email, sanno quali sono i miei amici su Facebook, hanno accesso alla mia agenda telefonica tramite WhatsUp) era il sogno di qualunque dittatore, da Hitler a Stalin a Mao; ora è diventata realtà per mano di una potenza che fino a ieri era il baluardo contro la dittatura e ora, con il pretesto della lotta al terrorismo, si sta trasformando in un invasivo inquisitore.E’ un gioco da ragazzi affinare la ricerca nel database e mappare fino a “targetizzare” ognuno di noi. I dati selezionati e affinati possono essere usati per fini impropri o politici da parte di un paese che non dimostra più grande considerazione per lo Stato di diritto, né in patria né fuori. Snowden, l’agente della Nsa che ha svelato la gigantesca rete di spionaggio dell’intelligence americana, ci aveva avvertiti. Ora il capo dei servizi segreti svizzero Markus Seiler conferma l’esistenza di una silenziosa, sistematica violazione della libertà e della sovranità di tutti gli Stati. Altro che Isis. La vera minaccia è altrove. Ci stanno portando via tutto, con la silenziosa compiacenza di masse che nemmeno si rendono conto del pericolo e del regresso di civiltà. State all’erta. Il Grande Fratello è proprio lì nel vostro computer. E un giorno tutto quel che scrivete potrà essere usato contro di voi. Rilancio la domanda: va bene così?(Marcello Foa, “Che gioia sapere che Obama spia le mie email, e anche le tue”, dal blog di Foa su “Il Giornale” del 22 febbraio 2015).Qualche giorno fa ho presenziato a un incontro insolito per gli standard italiani: una conferenza pubblica con il capo dei servizi segreti svizzero Markus Seiler. A Bellinzona, senza particolari misure di sicurezza, con la consueta semplicità elvetica, introdotto dal direttore del Dipartimento delle Istituzioni, Norman Gobbi (il ministro degli interni ticinese, tradotto nel gergo italiano). Serata interessante, pacata nei toni, durante la quale Seiler ha dichiarato, testuale: «Oggi l’80% delle email fanno una rapida tappa a Washington e a Londra dove vengono copiate e archiviate. Solo le email criptate o protette da particolari misure di sicurezza sfuggono a questo gigantesco setaccio». Seiler si è ovviamente ben guardato dall’esprimere valutazioni politiche, però il tono del suo intervento era chiaro. Era come se chiedesse al pubblico presente: a voi va bene? Non sono un diplomatico ma un giornalista. E posso permettermi di rispondere. No, non va bene.
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Die Zeit: Obama non ci conviene, molto meglio la Russia
Non ci conviene seguire Obama nella sua sfida a Putin, molto meglio – per noi europei – cercare una partnership stabile con la Russia. Lo afferma, clamorosamente, il settimanale tedesco “Die Zeit”, di orientamento liberale. Il più autorevole giornale tedesco fa parlare Chris Luenen, direttore del programma geopolitico del “Global Policy Institute” di Londra, che propone all’Ue di smetterla di sottomettersi alla strategia Usa e imparare piuttosto a difendere i propri interessi, specialità nella quale «l’Europa è stata debole da sempre». Luenen constata che l’Unione Europea segue la strategia unilaterale di Washington, trascurando i propri bisogni, che raccomanderebbero a Bruxelles di allearsi più strettamente con la Russia. Il giornale cita la dottrina dell’ex consigliere per la sicurezza nazionale Zbigniew Brzezinski, che già nel ‘97 definiva l’Europa «irrinunicabile testa di ponte geopolitica» degli Usa, spiegando: con il controllo sull’Ucraina – i suoi 52 millioni di abitanti, importanti risorse naturali e l’accesso al Mar Nero – la Russia «otterrebbe automaticamente i mezzi per diventare un impero potente di estensione euro-asiatica».Per Chris Luenen, «sarebbe abbastanza facile assicurare gli interessi occidentali in fatto di energia e sicurezza tramite la costruzione di un partenariato con la Russia (e con l’Iran), pittosto che che continuare a mirare a sottomettere la Russia agli interessi e alle strutture occidentali». Come riferisce il newmagazine “Sinistra.Ch”, espressione della sinistra svizzera ticinese, sullo “Zeit” l’editorialista sostiene che «la decisione di allargare la zona di influsso occidentale verso Est, tramite una progressiva espansione dell’Ue e della Nato» è praticamente «il più grave errore strategico dell’Occidente sin dalla fine della guerra fredda». Solitamente, aggiunge la rivista elvetica, “Die Zeit” «difende concetti e posizioni che sono rappresentati anche nell’establishment della politica tedesca». Finora, nel conflitto dell’Ucrania, il settimane si era allineato nel giustificare «il regime golpista di Kiev», attaccando la Russia di Putin e i russi d’Ucraina, definiti “separatisti”. Se oggi invece quel giornale ribalta la sua posizione, significa che «siamo di fronte senza dubbio a qualcosa di sensazionale».Niente però di così inatteso, in fondo, secondo “Sinistra.Ch”: «Importanti settori dell’industria tedesca, infatti, si sono nettamente opposti alla tendenza di seguire ciecamente il diktat di Obama, relativo alle sanzioni economiche contro la Russia». E il recente affare di spionaggio da parte della Nsa «si rivolge non a caso in prima linea contro la Germania», colpendo anche la sfera privata della cancelliera Merkel. Inoltre, in Germania, «la tendenza fortemente anti-russa dei media tedeschi viene fortemente contestata dai lettori: da mesi, i blogger si rivoltano in massa contro le direttive informative delle maggiori redazioni». La maggior parte dei commenti dei lettori contestano la politica occidentale. Per moltissimi di loro, quindi, l’apertura dello “Zeit” è «un vero raggio di luce nell’oscurità». Per Massimiliano Ay, segretario del partito comunista della Svizzera italiana, la crisi ucraina «si è scatenata per la esplicita volontà degli Usa di bloccare il rifornimento energetico russo all’Europa, inchiodando così in modo ancora più vincolante il vecchio continente al petrolio e al gas nordamericano: un passo necessario per evitare lo sviluppo dell’asse Berlino-Mosca-Pechino che potrebbe accerchiare Washington». Che ora lo sostenga anche “Die Zeit”, lascia sperare che Berlino potrebbe tentare di frenare la pericolosa guerra fredda di Obama.Non ci conviene seguire Obama nella sua sfida a Putin, molto meglio – per noi europei – cercare una partnership stabile con la Russia. Lo afferma, clamorosamente, il settimanale tedesco “Die Zeit”, di orientamento liberale. Il più autorevole giornale tedesco fa parlare Chris Luenen, direttore del programma geopolitico del “Global Policy Institute” di Londra, che propone all’Ue di smetterla di sottomettersi alla strategia Usa e imparare piuttosto a difendere i propri interessi, specialità nella quale «l’Europa è stata debole da sempre». Luenen constata che l’Unione Europea segue la strategia unilaterale di Washington, trascurando i propri bisogni, che raccomanderebbero a Bruxelles di allearsi più strettamente con la Russia. Il giornale cita la dottrina dell’ex consigliere per la sicurezza nazionale Zbigniew Brzezinski, che già nel ‘97 definiva l’Europa «irrinunicabile testa di ponte geopolitica» degli Usa, spiegando: con il controllo sull’Ucraina – i suoi 52 millioni di abitanti, importanti risorse naturali e l’accesso al Mar Nero – la Russia «otterrebbe automaticamente i mezzi per diventare un impero potente di estensione euro-asiatica».
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Fuga in Svizzera, lontano dal crollo del made in Italy
Aumento del costo del lavoro, bassa competitività del made in Italy e prezzi alle stelle per l’energia, i più alti dell’Unione Europea insieme a Cipro. Si salvi chi può: è il motto degli imprenditori italiani travolti dalla deinstrustrializzazione, dall’eccessiva burocrazia e dal basso livello d’investimenti in ricerca e sviluppo. A monte, il terremoto finanziario aggravato dall’Eurozona. Dal 2007 a oggi, osserva Loretta Napoleoni, la produzione industriale italiana è crollata del 20%. «Di fronte alla nave che affonda, chi sa nuotare si getta in acqua per raggiungere la terraferma: è quello che hanno cercato di fare le 682 imprese che hanno risposto all’invito del sindaco di Chiasso, per partecipare a un incontro sulla possibilità di trasferirsi in Svizzera». Tutto ciò succede mentre due colossi italiani come Telecom e Alitalia (e presto anche sezioni di Finmeccanica) vengono svenduti sul mercato internazionale ai partner-concorrenti stranieri, rispettivamente Telefonica ed Air France-Klm. Sono le ultime firme di una lunga lista – dalla Ducati alla Plasmon fino alla Fiat, ormai in rotta verso gli Usa – a diventare di proprietà straniera.«Con la pressione fiscale più alta in Europa, costi di produzione astronomici ed una burocrazia da terzo mondo, lavorare bene in Italia ed essere competitivi non è più possibile», scrive la Napoleoni in un post ripreso da “Megachip”. In Svizzera invece la situazione è diametralmente opposta: l’Iva è ancora ferma all’8%, la pressione fiscale media sulle imprese è del 17,1%, quella complessiva è meno della metà del 68,3% imposto alle aziende italiane. Chi investe a Chiasso, come in tutto il Ticino, e assume lavoratori locali, ha la possibilità di ottenere rimborsi sugli oneri sociali. Infine, chi punta in settori innovativi come quelli tecnologici, ha la possibilità di ottenere aiuti sugli investimenti. «La deindustrializzazione colpisce tutte le imprese ed è frutto, per le piccole, della pessima gestione dell’economia». Sulle grandi aziende pesa anche la pessima conduzione manageriale, «da parte di individui scelti dai politici egualmente incompetenti».E’ il caso di Alitalia: nel 2008 i francesi offrirono 6,5 miliardi di euro per gli investimenti necessari a far ripartire l’impresa in cambio del pacchetto di maggioranza dell’azienda, ma Berlusconi – allora in campagna elettorale – disse di no e guidò l’Operazione Fenice, alla quale parteciparono alcuni suoi “accoliti”, industriali e manager, con lo scopo di far rimanere italiana la storica compagnia di bandiera. «Risultato: oggi l’Alitalia trasporta circa 25 milioni di passeggeri, meno di un quarto di quelli di Lufthansa e meno di un terzo di quelli della compagnia low cost Ryanair e del gruppo franco-olandese Air France-Klm. Un disastro!». Lo Stato italiano, continua Napoleoni, ha buttato quattro miliardi di euro per sanare il fallimento dell’Alitalia, e la cordata di imprenditori capitanata da Roberto Colaninno e Intesa Sanpaolo ha perso un altro milione. Le leggi ad hoc varate dal governo Berlusconi sulla chiusura del mercato, col divieto d’intervento per l’Antitrust sulle tratte monopolistiche detenute dalla nuova Alitalia, non hanno funzionato. «Il destino triste dell’industria italiana è segnato dall’inettitudine della sua classe politica». Così, per molti, «trasferirsi in Svizzera è l’unica alternativa al declino».Nel 1992, dopo la storica svalutazione competitiva della lira, Mario Draghi – allora direttore generale del Tesoro – ha guidato i primi “saldi all’italiana” sul mercato internazionale: multinazionali angloamericane, ma anche francesi e svizzere, sono piombate in Italia per “fare shopping”, in cerca di società da comprare a poco prezzo, specie nel settore agroalimentare e in quello della meccanica di precisione. La Nestlé, per esempio, ha comprato l’Italgel per 680 miliardi di lire, contro una valutazione di 750. Anche i giganti italiani, però, hanno guadagnano dallo smembramento del patrimonio nazionale: il gruppo Benetton, ricorda Loretta Napoleoni, si è aggiudicato per 470 miliardi Gs autogrill, che poi ha rivenduto ai francesi di Carrefour per 10 volte tanto. Cedute anche le grandi compagnie di servizi: privatizzata totalmente la Telecom, oggi fagocitata dalla Telefonica spagnola, e parzialmente l’Enel e l’Eni. Ma la svendita del made in Italy non ha portato, come era stato promesso, al miglioramento dei conti pubblici. Al contrario: ha contribuito al processo di deindustrializzazione che oggi preoccupa la Commissione Europea. Lo provano le cifre, conclude l’analista: «Nel 1994 il debito pubblico ammontava a 1.771.108 miliardi di lire, mentre il gettito generato dalle privatizzazioni per il triennio 1993-1995 fu di appena 27.000 miliardi, meno dell’1,5%».Aumento del costo del lavoro, bassa competitività del made in Italy e prezzi alle stelle per l’energia, i più alti dell’Unione Europea insieme a Cipro. Si salvi chi può: è il motto degli imprenditori italiani travolti dalla deinstrustrializzazione, dall’eccessiva burocrazia e dal basso livello d’investimenti in ricerca e sviluppo. A monte, il terremoto finanziario aggravato dall’Eurozona. Dal 2007 a oggi, osserva Loretta Napoleoni, la produzione industriale italiana è crollata del 20%. «Di fronte alla nave che affonda, chi sa nuotare si getta in acqua per raggiungere la terraferma: è quello che hanno cercato di fare le 682 imprese che hanno risposto all’invito del sindaco di Chiasso, per partecipare a un incontro sulla possibilità di trasferirsi in Svizzera». Tutto ciò succede mentre due colossi italiani come Telecom e Alitalia (e presto anche sezioni di Finmeccanica) vengono svenduti sul mercato internazionale ai partner-concorrenti stranieri, rispettivamente Telefonica ed Air France-Klm. Sono le ultime firme di una lunga lista – dalla Ducati alla Plasmon fino alla Fiat, ormai in rotta verso gli Usa – a diventare di proprietà straniera.
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Il ministro di ferro: contro i No-Tav, repressione europea
La rete è una miniera. Occorre tempo e pazienza, ma se si ha la fortuna di avere disponibili l’uno e l’altra si possono capire cose che a prima vista sfuggono. Per esempio che il vertice tra la Francia e l’Italia del 3 dicembre è stato ben altro che la firma dei dossier copia&incolla redatti dall’atelier vintage BessonVirano di quel che rimane (il buco) del sogno di mezzo secolo (scorso) Lyon-Torino. Appena un po’ più in là dei riflettori tutti accesi sui desiderata delle lobby bypartisan di banche e imprese, un giovane rampante in dieta punti e una non più giovanissima signora di taglia un po’ forte hanno siglato un impegno comune per la «lotta alla criminalità e al terrorismo, sicurezza stradale, normativa in materia di asilo e gestione dei flussi migratori». E – ancora pescando dal comunicato ufficiale – si apprende che «al termine del confronto è stata ribadita la comune volontà di rafforzare la collaborazione bilaterale in materia di sicurezza interna, a conferma dei già ottimi risultati raggiunti tra i due Paesi».
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Svizzera, campagna choc: via i “ratti” italiani
Una campagna pubblicitaria choc trasforma gli italiani (e i rumeni) in ratti che affondano i denti nel formaggio del Canton Ticino. Iniziata su Facebook, è finita su enormi cartelli pubblicitari lungo le strade. Mentre in Italia il premier invita Umberto Bossi a «comportarsi da ministro», evitando battute come quella sui romani “porci”, e il Quirinale interviene per sanzionare i simboli “padani” indebitamente comparsi nella scuola bresciana di Adro, la Svizzera di lingua italiana si affolla di minacciosi cartelloni xenofobi contro il lavoratori stranieri: Fabrizio, piastrellista di frontiera, è diventato un topo. Di chi è stata l’idea? Mistero.
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Cadavre Exquis di scena in Svizzera
Lo spettacolo “Cadavre Exquis”, co-prodotto da Libre e diretto da Pierre Byland, torna in scena: appuntamento il 18 ottobre a Verso (Canton Ticino, Svizzera), nel celebre Teatro Dimitri (info: www.cadavreexquis.it).