Archivio del Tag ‘Carlo Pelanda’
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Pelanda: aggirare la Germania, con soldi in arrivo dagli Usa
Miliardi pronto uso, tramite la Bce di Christine Lagarde. Ma con il debito ridimensionato nel solo modo possibile: tramite l’aiuto della Fed, la banca centrale statunitense. Secondo l’economista Carlo Pelanda, intervistato da Federico Ferraù per il “Sussidiario”, è questo il piano che Mario Draghi tiene nel cassetto, per evitare che la crisi sia peggio del coronavirus. L’Unione Europea appare disarmata e divisa, riassume Ferraù: divisa, perché senza unità di intenti; disarmata, perché lo statuto della Bce non le concede la flessibilità e gli strumenti di cui è dotata la Federal Reserve. Eppure una strada ci saebbe, in due mosse. La prima: «Cercare la garanzia europea di ultima istanza dove il voto è a maggioranza e non vincolato dall’unanimità: la Bce». La seconda: «Assorbire dentro il bilancio della Bce il debito di emergenza che non può essere ripagato», sapendo però che la Germania dirà di no. «La via d’uscita? Un patto con la Fed è inevitabile». Premessa: Ursula von der Leyen rifiuta i coronabond, invocati da Italia, Spagna e Francia. La Germania pone il veto – dice Pelanda – perché teme che gli elettori tedeschi non capirebbero. Meglio aggirarli, tramite la Bce: «Se questa compra debiti in modo illimitato, allora gli Stati potranno fare più debito d’emergenza». Una strada «subottimale», dice l’economista, «per avere soldi e allo stesso tempo non spaccare l’Ue».Sull’espansione del bilancio Bce – dice Pelanda – la Germania, pur contraria, non si opporrà oltre misura. «Anche perché il suo elettorato, come tutti gli altri, non riuscirà a capire le tecnicalità, lasciando al governo uno spazio diplomatico: prendete i soldi dove posso nasconderlo agli elettori tedeschi. Per questo – aggiunge il professore – trovo da dilettanti la richiesta delle nazioni mediterranee di forzare l’impossibile». Intanto, però – sottolinea Ferraù – la nostra economia è entrata in un tunnel. «Decine di imprenditori mi telefonano disperati», racconta Pelanda. «Se il mio cliente tedesco riapre il 14 aprile e io non posso rifornirlo – mi dice uno dei leader mondiali di componentistica avanzata – i tedeschi acquisteranno dai cinesi. Quindi, oltre al problema di cassa d’emergenza, c’è il rischio strutturale di perdita di fette di mercato». La ricetta? «Far ripartire i settori produttivi dove è possibile rendere sicuro il processo, anche perché la ripresa avverrà in presenza del rischio residuo di contagio». Secondo Pelanda, all’Ue si può chiedere solo di allentare il Patto di Stabilità (come già ottenuto) e di lasciare aperti i confini per il commercio.«Altro – dice Pelanda – una Ue che non esiste non può fare, a parte restituire all’Italia (in forma di investimenti e garanzie) i soldi che l’Italia ha già versato ai fondi». L’attenzione, semmai, va indirizzata alla Bce. «Quei 750 miliardi di Qe, estendibili, lanciato senza preoccuparsi delle “capital keys” sono una cosa seria. Metà di quello che poteva, la Bce lo ha fatto». E l’altra metà qual è? «Cominciare a pensare come assorbire, dentro il bilancio della Bce, il debito di emergenza che non può essere ripagato». Se invece dobbiamo ripagarlo, anche con formule diluite nel tempo, «uccidiamo la ripresa, rischiando che il dopo-crisi sia peggiore della crisi epidemica». È quello che Mario Draghi ha evocato nel suo ultimo intervento, sul “Financial Times”. «Senza sterilizzazione o cancellazione parziale del debito – conferma Pelanda – gli Stati non avrebbero più spazio, nella loro politica fiscale, per fare investimenti a sostegno di economia e famiglie». Dunque non basta stampare moneta, «bisogna anche annullare una parte del debito». E come? Attraverso gli Usa: «Siccome il dare facoltà di de-debitazione alla Bce non riuscirà mai a passare, la Fed, con statuto immensamente più flessibile, è destinata a diventare il vero prestatore di ultima istanza anche per l’Eurozona».La convergenza, spiega il professore, avverrebbe «con un trattato commerciale che integri i due mercati, al punto che non possano avere oscillazioni valutarie. Sarebbe la soluzione – via bypass – del problema tedesco». Che è drammatico: «I politici tedeschi capiscono la situazione, non sono sprovveduti. Alle obiezioni sul gap di garanzia di ultima istanza nell’Eurozona rispondono disperati che, se ci diamo una Fed europea, l’elettorato li destabilizza, spaccandosi tra un’estrema destra e un’estrema sinistra. In effetti – aggiunge Pelanda – l’elettorato tedesco è provinciale e non capisce. Inoltre non ha ancora assorbito la sostituzione del marco con l’euro. Bisogna tenerne conto». L’unica possibilità, sostiene Pelanda, è quella di continuare ad avere una Bce incompleta, aggirando il problema mediante un accordo di mercato con gli Usa, modello Ttip. «Questa è la la soluzione, e andrebbe bene a entrambi. Sarebbe l’aggregato economico, finanziario e militare più forte del pianeta. Inoltre, al dollaro conviene avere l’euro come moneta ancillare per mantenere lo status di riferimento mondiale».Miliardi pronto uso, tramite la Bce di Christine Lagarde. Ma con il debito ridimensionato nel solo modo possibile: tramite l’aiuto della Fed, la banca centrale statunitense. Secondo l’economista Carlo Pelanda, intervistato da Federico Ferraù per il “Sussidiario“, è questo il piano che Mario Draghi tiene nel cassetto, per evitare che la crisi sia peggio del coronavirus. L’Unione Europea appare disarmata e divisa, riassume Ferraù: divisa, perché senza unità di intenti; disarmata, perché lo statuto della Bce non le concede la flessibilità e gli strumenti di cui è dotata la Federal Reserve. Eppure una strada ci saebbe, in due mosse. La prima: «Cercare la garanzia europea di ultima istanza dove il voto è a maggioranza e non vincolato dall’unanimità: la Bce». La seconda: «Assorbire dentro il bilancio della Bce il debito di emergenza che non può essere ripagato», sapendo però che la Germania dirà di no. «La via d’uscita? Un patto con la Fed è inevitabile». Premessa: Ursula von der Leyen rifiuta i coronabond, invocati da Italia, Spagna e Francia. La Germania pone il veto – dice Pelanda – perché teme che gli elettori tedeschi non capirebbero. Meglio aggirarli, tramite la Bce: «Se questa compra debiti in modo illimitato, allora gli Stati potranno fare più debito d’emergenza». Una strada «subottimale», dice l’economista, «per avere soldi e allo stesso tempo non spaccare l’Ue».
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Pelanda: il Quirinale guida il governo verso la resa all’Ue
Il rischio di recessione dipende da una contrazione della domanda globale che ha colpito l’export e da una crisi di fiducia sull’Italia che ha ridotto gli investimenti esterni e interni quando il governo ha esplicitato una linea de-sviluppista e assistenzialista finanziata in extradeficit, nonché una violazione aggressiva delle regole europee. Ora il governo sta cercando di evitare la procedura di infrazione da parte dell’Ue che peggiorerebbe la situazione compromettendo il sistema del credito a imprese e famiglie, causa certa di ostacolo alla crescita-ripresa. Forse è meglio dire che il Quirinale ha preso in mano, dietro le quinte, la materia, cercando un compromesso tra requisiti di ordine economico euroconvergenti e progetto politico eurodivergente della maggioranza. Tecnicamente, si tratta di ridurre dai 7 ai 10 miliardi il finanziamento in deficit del progetto di bilancio per portare il deficit proiettivo stesso sotto il 2%, dal 2,4% annunciato, e di allocare le risorse più sul lato degli investimenti e degli stimoli fiscali e meno sulla spesa assistenziale per rendere credibile almeno un minimo potenziale di crescita che non faccia peggiorare il rapporto debito/Pil nel 2019 e quindi permetta di evitare la procedura di infrazione Ue.Non sarà facile, perché ciò implica un’inversione imbarazzante dei leader della maggioranza dai loro linguaggi che disprezzano i “numerini” e antagonizzano l’Ue. Ma il Quirinale sembra aiutarli, guidando Conte e Tria nel negoziato con la Commissione, ad arrendersi senza perdere la faccia. Bene che vada, comunque, la politica economica risultante comporterà stagnazione. Pertanto l’inversione della tendenza recessiva nel 2019 dipende dalla ripresa della domanda globale, cioè dell’export. La tregua nella guerra dei dazi concordata tra America e Cina sabato sera fa tornare un certo ottimismo che, se produttiva di un accordo pur nel confronto geopolitico duraturo tra le due potenze, stimolerà nuovamente gli investimenti. Altrettanto importante per l’industria italiana è l’accordo tra America e Germania, di cui è fornitrice, per evitare dazi sull’export europeo. Trump vuole un trattato di libero scambio simmetrico e bilaterale con l’Ue che, però, mette in grave difficoltà il modello protezionista europeo. Questo è un motivo in più di riconvergenza rapida dell’Italia con l’Ue allo scopo di contribuire a un compromesso con l’America, interesse vitale per Roma e Berlino, ma che Parigi non vuole.(Carlo Pelanda, “Così il Quirinale guida il governo verso la resa all’Ue”, da “Il Sussidiario” del 2 dicembre 2018. Politico ed economista, Pelanda è specializzato in studi strategici e scenari internazionali ed economici. Insegna scienze politiche e relazioni internazionali alla University of Georgia di Athens, ed è co-direttore di Globis (Centro per gli studi globali) presso la medesima università. In Italia è editorialista de “Il Foglio”, “Libero”, “La Verità”, “L’Arena” e “Il Sussidiario”. Fa parte della Fondazione Italia-Usa. In campo politico, si legge nel suo profilo su Wikipedia, Pelanda è portatore dell’ideologia liberista, «ma con la consapevolezza che la libertà è conseguenza di un investimento di qualificazione della società e va organizzata entro istituzioni che la difendano». In generale, propugna l’idea di “nuovo progresso” basato sulla fiducia che tecnologia e conoscenza siano i risolutori più potenti dei problemi della condizione umana. Fin dal 2007, con il saggio “La grande alleanza”, ha avvertito che è ormai in via di esaurimento il sistema di governo mondiale centrato sul predominio degli Stati Uniti, sul dollaro e sui criteri occidentali nelle istituzioni internazionali. Pelanda propone «un nuovo soggetto di governance globale che non sia il G-20, o analogo tavolo di potenze troppo diluito, ma un’alleanza tra le democrazie fondata sulla convergenza euroamericana»).Il rischio di recessione dipende da una contrazione della domanda globale che ha colpito l’export e da una crisi di fiducia sull’Italia che ha ridotto gli investimenti esterni e interni quando il governo ha esplicitato una linea de-sviluppista e assistenzialista finanziata in extradeficit, nonché una violazione aggressiva delle regole europee. Ora il governo sta cercando di evitare la procedura di infrazione da parte dell’Ue che peggiorerebbe la situazione compromettendo il sistema del credito a imprese e famiglie, causa certa di ostacolo alla crescita-ripresa. Forse è meglio dire che il Quirinale ha preso in mano, dietro le quinte, la materia, cercando un compromesso tra requisiti di ordine economico euroconvergenti e progetto politico eurodivergente della maggioranza. Tecnicamente, si tratta di ridurre dai 7 ai 10 miliardi il finanziamento in deficit del progetto di bilancio per portare il deficit proiettivo stesso sotto il 2%, dal 2,4% annunciato, e di allocare le risorse più sul lato degli investimenti e degli stimoli fiscali e meno sulla spesa assistenziale per rendere credibile almeno un minimo potenziale di crescita che non faccia peggiorare il rapporto debito/Pil nel 2019 e quindi permetta di evitare la procedura di infrazione Ue.