Archivio del Tag ‘cavi’
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Covid, sapevano tutto: potere di vita o di morte su di noi
Avrebbero potuto proteggerci dalla pandemia e non l’hanno fatto: perché? Già il fatto che non ci abbiano protetto è una notizia. I grandi media ci hanno raccontato che il coronavirus è stato uno tsunami che ci ha preso alla sprovvista, e per questo motivo non avevamo difese. Io invece ho scoperto altro, facendomi domande: e non capisco perché gli altri giornalisti non se le siano poste, in questi mesi. Noi viviamo in un mondo in cui il bene più prezioso che esista è il possesso delle informazioni che riguardano il nostro futuro. Vale in ogni ambito: politico, sociale, di sicurezza, meteorlogico, economico-finanziario. Tutti i soggetti investono enormi risorse per capire in anticipo che cosa accadrà, e quindi agire di conseguenza. Questo è il mondo del XXI secolo: è fatto così. Quindi trovavo assurdo che, in un mondo del genere, nessuno avesse nemmeno provato a prevedere l’arrivo di un virus. Ho fatto ricerche anche banali, consultando fonti ufficiali: quelle prodotte dai governi, dagli istituti di ricerca, dalle organizzazioni internazionali. E così ho scoperto che il coronavirus è stato l’evento più annunciato del XXI secolo, il più previsto. Allora, se tutti lo sapevano (tutti quelli che dovevano saperlo), è possibile che non ce ne sia stato uno che abbia mosso un dito per cercare di proteggerci? Non uno che abbia avvertito la popolazione mondiale, tutti noi, dell’arrivo di questo virus, per trovare il modo di proteggerci prima ancora che arrivasse.
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American Moon: davvero saremmo andati sulla Luna?
“American Moon”, ovvero: ci siamo stati davvero, sulla Luna? E’ la domanda a cui cerca di rispondere Massimo Mazzucco, con l’atteso documentario – appena uscito, acquistabile on-line su “Luogo Comune – che indaga sul mitico “allunaggio” televisivo, in mondovisione, andato in onda a reti unificate il 20 luglio 1969. A metter piede per la prima volta sul satellite sarebbe stato Neil Armstrong, comandante della missione Apollo 11, accompagnato da Buzz Aldrin, mentre un terzo astronauta, Michael Collins, controllava il modulo di comando Columbia. “American Moon” parla della storia dei viaggi lunari a partire dagli anni ’60, spiega Stefania Nicoletti sul blog “Petali di Loto”, condotto insieme a Paolo Franceschetti. «In particolare viene esaminata la veridicità del primo sbarco sulla Luna, ma viene anche descritto il contesto storico e politico in cui nacque e si sviluppò il progetto delle missioni Apollo». Mazzucco analizza le argomentazioni a favore degli allunaggi e quelle contrarie, esaminando video e fotografie, dettagli tecnici, i tanti incidenti e le contraddizioni, i misteriosi silenzi degli astronauti, assai reticenti sull’impresa che li ha consegnati alla storia. L’autore fornisce anche prove inedite. La conclusione? E’ praticamente impossibile credere che quelle immagini siano state davvero girate sulla Luna.Innanzitutto, Mazzucco inquadra il il contesto storico che ha portato al primo allunaggio. Il 18 settembre 1963, il presidente Kennedy espone al direttore della Nasa, James Webb, i suoi dubbi sulle missioni lunari. «A me sembra una montagna di soldi per andare sulla Luna, quando possiamo scoprire scientificamente, con gli strumenti, quasi tutto quello che ci interessa». E aggiunge: «Mandare un uomo sulla Luna è soltanto un numero da circo che non vale tutti quei miliardi di dollari». Parole molto chiare, considerando soprattutto il fatto che a pronunciarle è il presidente degli Stati Uniti. Soltanto due giorni dopo, continua Stefania Nicoletti, sempre nel contesto della guerra fredda tra Usa e Urss, in un discorso all’Onu lo stesso Jfk fa un appello alla collaborazione con i sovietici: chiede che i russi – i primi a mandare un uomo nello spazio, Yurij Gagarin – collaborino con l’America, per una spedizione congiunta sulla Luna. Il capo dell’Urss, Nikita Khrushev, risponde picche. E dive: vedremo cosa riusciranno a combinare gli americani. «In seguito, l’impressione è che Kennedy sia quasi costretto a proseguire nell’impresa e che, pur essendo scettico, non possa rifiutarsi di andare avanti». E il 22 novembre 1963, come sappiamo, viene ucciso a Dallas.«Nel frattempo i russi continuarono ad addestrare i propri astronauti e a portare avanti un programma segreto per andare sulla Luna». Ma nel gennaio 1966, Sergej Korolev, responsabile del programma spaziale sovietico, muore improvvisamente durante un banale intervento chirurgico. Aveva lanciato il primo satellite, lo Sputnik, e aveva messo in orbita Gagarin. Korolev aveva concepito l’intero programma spaziale sovietico, ed era l’unico in grado di mandare avanti la controparte russa del programma americano Apollo. «Una morte assai strana, che causò confusione e disagi nell’agenzia sovietica. Infatti in seguito il programma spaziale russo, dopo diversi incidenti e fallimenti, subì un arresto». Nell’autunno 1965, il generale Samuel Phillips, direttore del progetto Apollo, presentò ai suoi superiori un rapporto che denunciava senza mezzi termini lo stato di confusione e di arretramento del programma lunare. «Dopo 4 anni e mezzo e a poco più di un anno dal primo lancio spaziale – scrive Phillips – vi sono ancora significativi problemi tecnici e incognite che riguardano: le capacità del sistema elettrico, la propulsione secondaria, l’integrità strutturale, l’incremento del peso».Tutti problemi ancora da risolvere. «Cosette da niente, insomma. E sottolineiamo il fatto che a parlare è il direttore stesso del programma Apollo», annota Stefania Nicoletti. «Invece di risolversi, i problemi denunciati da Phillips continuavano ad aumentare: pezzi costruiti e installati male, cavi elettrici fragili e forse rotti, perdite di carburante dappertutto nel sistema, difficoltà con l’equipaggiamento e con le procedure, incidenti e scarsi standard di sicurezza, mancanza di coordinamento fra le persone in posizione di responsabilità, mancanza di comunicazione praticamente fra tutti. Tutte queste cose furono denunciate nel gennaio 1967 da Thomas Baron, un addetto alle verifiche della North American, la società appaltatrice». Proprio in questo contesto di problemi e di approssimazioni si arriva al famoso incidente del 27 gennaio 1967. «Durante una simulazione a terra di Apollo 1, tre astronauti furono bruciati vivi sulla rampa di lancio, all’interno della capsula che avrebbe dovuto portarli nello spazio tre settimane dopo». Poco prima di morire, l’astronauta Virgil Grissom si è lamentato per il malfunzionamento delle comunicazioni fra la capsula e la torre di controllo: «Come faremo ad andare sulla Luna se non riusciamo nemmeno a parlare fra tre edifici?».A questo punto, continua Nicoletti, il programma cominciò ad andare sempre più in crisi. Secondo il direttore della Nasa, Webb (colui che nell’incontro con Kennedy del ’63 si dimostrava entusiasta e ottimista), le possibilità di andare sulla Luna diminuivano di anno in anno, anziché aumentare. Nell’ottobre 1968 Webb lasciò la Nasa, pochi mesi prima della missione Apollo 8. «Strano che un uomo che aveva dedicato la sua vita alle missioni spaziali e che era stato a capo della Nasa negli anni cruciali del programma Apollo, improvvisamente decida di dimettersi, a un passo dalla sua realizzazione». Non solo: all’inizio del 1968 si era già dimesso il vicedirettore dell’agenzia spaziale Usa, Robert Seamans. E quattro giorni dopo le dimissioni di Webb, anche l’astronauta Walter Schirra annuncia le proprie dimissioni e si ritira a vita privata. «Molto strano anche in questo caso che un astronauta che faceva parte dei leggendari Mercury 7 lasci la Nasa pochi mesi prima del primo sbarco sulla Luna, che sarebbe stato una consacrazione, per lui».Sono tanti, poi, gli elementi che non quadrano nella versione ufficiale degli allunaggi, secondo il documentario di Mazzucco. «Le famose “rocce lunari”, che si disse fossero di composizione diversa da quella terrestre, è probabile che in realtà siano meteoriti recuperati in Antartide. Casualmente Werner von Braun, insieme ad altri membri della Nasa, visitò proprio l’Antartide in una spedizione nel 1967 alla ricerca di meteoriti provenienti dalla Luna. Inoltre, molte di queste rocce lunari riportate dagli astronauti di Apollo risultarono essere false o modificate». In occasione del Google Lunar X Prize, un premio assegnato da Google alla prima organizzazione privata che riuscirà a mandare una sonda sulla Luna trasmettendo le immagini in diretta, la Nasa chiede di disporre una “no-fly zone” per «preservare storicamente» i luoghi di allunaggio delle missioni Apollo. «I partecipanti al concorso hanno improvvisamente deciso di ritirarsi, rinunciando così anche al premio di 4 milioni di dollari».Altro scoglio, le Fasce di Van Allen: avvolgono e proteggono l’atmosfera terrestre, «sono radioattive ed è impossibile superarle». Lo stesso scopritore, il fisico statunitense James Van Allen, metteva in guardia dalla pericolosità loro delle radiazioni. «Poi però, quando arrivò il momento dei lanci sulla Luna, il problema della radioattività scomparve: la Nasa disse che le radiazioni a cui sono stati sottoposti gli astronauti erano “trascurabili”». Altrri dubbi sorgono osservando il modulo lunare Lem, piccola navetta spaziale progettata per portare gli astronauti sulla superficie della Luna. «Sembra un modellino in scala gigante: all’esterno sono ben visibili tubi d’acciaio e fogli di cartapesta, tenuti insieme con del semplice scotch appiccicato un po’ dappertutto. Non si capisce come si sia potuti andare sulla Luna con uno strumento costruito in modo così approssimativo. Ed è costato oltre 2 miliardi di dollari dell’epoca, che equivalgono ad oltre 21 miliardi di dollari in valuta attuale». I progetti originali del Lem non esistono più: la ditta costruttrice li ha buttati, ufficialmente perché «occupavano troppo spazio». Quindi, dei documenti così importanti sarebbero stati eliminati come se fossero scarti di magazzino.Molto strani anche i video in cui si vede la partenza del razzo dalla superficie lunare: «Non c’è la fiamma sotto al motore», inoltre «il motore non produce rumore», ma in compenso «si sente ad alto volume la musica di un registratore portatile azionato da uno degli astronauti».In più, ufficialmente, la Nasa ha “perso” i nastri originali del primo passo sulla Luna di Armstrong. O meglio, quei nastri non si trovano più: «Uno dei documenti più importanti della storia dell’umanità, che dovrebbe essere custodito in modo perfetto, semplicemente “non si trova”, e la Nasa lo confessa candidamente». Tra le altre stranezze dell’affare-Luna, spicca la luce che si vede nelle foto: «Sembra un’illuminazione artificiale in uno studio, più che la luce del sole. Anche le ombre prodotte dagli astronauti e dagli oggetti sono tipiche della presenza di luce artificiale e non del sole». E ancora: «In alcuni video si vedono gli astronauti che cadono e si rialzano in maniera non naturale e anche un po’ goffa, come se fossero legati a dei fili che li fanno muovere per simulare l’assenza di gravità. E in effetti in alcuni fotogrammi sembra proprio di vedere i riflessi dei cavi d’acciaio a cui sarebbero appesi gli astronauti».Da segnalare, infine, il comportamento degli astronauti: «Al ritorno dalla prima missione Apollo, in conferenza stampa, i tre astronauti sono tesi, cupi, tristi», annota Stefania Nicoletti. «Danno risposte imbarazzanti e non ricordano cose importanti che gli vengono chieste. Sembrano sconvolti e obbligati a stare lì e a recitare un copione controvoglia». Eppure, in teoria, sono appena tornati dalla missione più emozionante della loro vita: uno degli eventi più importanti della storia dell’umanità. Tre eroi, quindi, che però si affrettano a dire addio alle missioni spaziali, cambiando mestiere: «I primi tre astronauti che sbarcarono sulla Luna, invece di perseguire una carriera di successo ai vertici della Nasa come ci si aspetterebbe, decisero improvvisamente di abbandonare l’agenzia spaziale poco dopo la loro missione. Tutti e tre si licenziano dalla Nasa». Neil Armstrong scompare dalla scena e si ritira a vita privata: «Va a vivere in campagna, decide di non concedere più interviste, diventa schivo e inavvicinabile». Peggio: «Si rifiuta di partecipare alla cerimonia per la conclusione delle missioni Apollo. Proprio Armstrong, l’astronauta più importante di tutti».E il suo collega Buzz Aldrin? «Cadde in depressione e mise in guardia i giovani dal mestiere di astronauta e dalle possibili delusioni», ricorda Stefania Nicoletti. Aldrin esortò gli esordienti a prepararsi al peggio, perché «le cose potrebbero non andare come previsto», disse. E aggiunse:: «La gente ci considera degli eroi, ma la verità è che la Luna ci ha distrutti». Durante una cerimonia alla presenza dell’allora presidente Bill Clinton, Armstrong pronunciò una frase ambigua e misteriosa, parlando della necessità di «rimuovere uno degli strati che proteggono la verità». In seguito, Armstrong si rifiutò di partecipare alle celebrazioni del quarantennale delle missioni Apollo. «Interpellati da un giornalista, Armstrong e gli altri due astronauti di Apollo 11 si rifiutano di giurare sulla Bibbia di essere stati veramente sulla Luna. Il loro comportamento è piuttosto sospetto e le reazioni appaiono esagerate», sottolinea Stefania Nicoletti, ricordando che in America «una testimonianza giurata in video può essere portata in tribunale contro la persona che ha fatto questo giuramento». Il documentario di Mazzucco, quindi, fornisce «un quadro a nostro avviso piuttosto chiaro, che confuta alcune delle più famose argomentazioni proposte dai cosiddetti “debunkers”, ovvero coloro che dedicano il loro lavoro a smontare le teorie alternative». Dopo aver visto “American Moon”, come credere ancora che siamo davvero andati sulla Luna?“American Moon”, ovvero: ci siamo stati davvero, sulla Luna? E’ la domanda a cui cerca di rispondere Massimo Mazzucco, con l’atteso documentario – appena uscito, acquistabile on-line su “Luogo Comune” – che indaga sul mitico “allunaggio” televisivo, in mondovisione, andato in onda a reti unificate il 20 luglio 1969. A metter piede per la prima volta sul satellite sarebbe stato Neil Armstrong, comandante della missione Apollo 11, accompagnato da Buzz Aldrin, mentre un terzo astronauta, Michael Collins, controllava il modulo di comando Columbia. “American Moon” parla della storia dei viaggi lunari a partire dagli anni ’60, spiega Stefania Nicoletti sul blog “Petali di Loto”, condotto insieme a Paolo Franceschetti. «In particolare viene esaminata la veridicità del primo sbarco sulla Luna, ma viene anche descritto il contesto storico e politico in cui nacque e si sviluppò il progetto delle missioni Apollo». Mazzucco analizza le argomentazioni a favore degli allunaggi e quelle contrarie, esaminando video e fotografie, dettagli tecnici, i tanti incidenti e le contraddizioni, dai dubbi di Kennedy alle invalicabili Fasce di Van Allen che avvolgono la Terra. E poi i misteriosi silenzi degli astronauti, assai reticenti sull’impresa che li avrebbe consegnati alla storia. L’autore fornisce anche prove inedite. La conclusione? E’ praticamente impossibile credere che quelle immagini siano state davvero girate sulla Luna.
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Mattei: siamo merce da macello, controllata via smartphone
Negli ultimi tre o quattro anni sono stati installati, soltanto nella parte occidentale del mondo, quindi nel nord globale, circa un miliardo e quattrocentomila sensori per l’Internet delle cose. Gran parte dei quali sono costruiti nei muri delle case, nei nuovi televisori – in tutti gli apparecchi elettronici che comperiamo – e nelle automobili. Parte di questi sensori, che sono invece fissi, sono inseriti negli spazi pubblici e sono quelli con i quali i nostri meccanismi elettronici si collegano senza che noi lo sappiamo. Queste cose vengono chiamate “Smart”, nel senso che noi sentiamo parlare costantemente di “Smart City”, “Smart Card”, eccetera. Tutte le volte in cui si sente la parola “Smart” io penso sempre che gli “Smart” siano loro e i cretini siamo noi. Qui la situazione sta diventando davvero molto preoccupante. C’è in costruzione un gigantesco dispositivo (e qui proprio la parola “dispositivo” studiata da Foucault è direttamente utilizzabile per parlare dei dispositivi elettronici che noi compriamo). Un gigantesco dispositivo di controllo sociale di tutti quanti, che viene ovviamente sperimentato per fare un passo in avanti in modo da rendere in qualche modo l’umanità coerente con la nuova frontiera.Parliamo della frontiera di tanto tempo fa, del saccheggio coloniale e così via. Quella era la frontiera della modernità. Con la modernità si scoprono le Americhe, nelle Americhe si sperimenta tutto ciò che non si poteva fare all’interno del nostro continente europeo. Perché non si poteva fare? Perché la tradizione lo impediva. La tradizione giuridica impediva la sperimentazione di ideologie proprietarie come quelle di Locke, che presupponevano la tabula rasa, un’idea di un vuoto che viene colmato attraverso delle istituzioni giuridiche fortemente semplificate. Fra le quali due capisaldi della modernità che sono la proprietà privata assoluta, il dominio dispotico di cui hanno parlato i giuristi da un lato e la sovranità dello Stato. Che sono i due poli organizzativi intorno ai quali noi abbiamo costruito le categorie giuridiche e politiche della modernità: il pubblico e il privato. Oggi la frontiera non è più una frontiera fisica, non abbiamo più le scoperte di Magellano, di Amerigo Vespucci o di Cristoforo Colombo, ma chiaramente è una frontiera di tipo informatico. Quella che Floridi aveva chiamato qualche anno fa “l’Infosfera”.Questa frontiera di tipo informatico condivide con la frontiera fisica, la frontiera dell’inizio della modernità, una caratteristica fondamentale, che ha reso il capitalismo da essa completamente dipendente: oggi è impensabile immaginare il capitalismo nella forma attuale – quindi dei rapporti di produzione capitalistici globali – senza la mediazione della rete di Internet. Se voi pensate alla vostra vita quotidiana, vi rendete conto perfettamente che nulla oggi può funzionare se non mediato dalla rete. Quando andavo a comprare un biglietto del treno, per andare a trovare i miei amici in età giovanile, c’era un signore che me lo faceva a mano. Certo, io sono molto anziano, però oggi se arrivi in stazione e il computer è giù, tu il biglietto non lo compri e il treno non lo prendi. Perché la sostituzione della macchina all’umano, in queste operazioni anche molto semplici come quella di fare un biglietto, è tale per cui semplicemente non è più possibile farne a meno. Se estendete tutto questo al mercato finanziario, alle banche, a tutto quanto, vi rendete perfettamente conto che chi può accedere al Master Switch (come è stato chiamato in un famosissimo libro molto importante di un signore che si chiama Tim Wu, professore della Columbia University), che sarebbe l’interruttore centrale, è colui che in realtà può disattivare il capitalismo.In questa frontiera si sperimentano molte cose. La frontiera dell’Infosfera è una frontiera dalla quale il capitalismo è dipendente e che dev’essere naturalmente tutelata in un modo assolutamente molto forte. Tramite che cosa? Tramite la costruzione di una serie di tabù, di una serie di ideologie, di una serie di convinzioni generalizzate che non si possono mettere in discussione. Faccio un esempio molto semplice. Quando a noi arriva un messaggio di posta elettronica, di solito sotto c’è scritto: “Non stampare questa email, mantieni l’ambiente salubre”. Questo è una sorta di messaggio criptico per cui sostanzialmente la posta elettronica sarebbe, dal punto di vista ecologico, un modo di comunicare totalmente sostenibile, mentre stampare la carta e spedire la lettera non lo sarebbe. Il messaggio che passa è che la rete Internet vive in una sorta di empireo astratto assolutamente pulito (adesso si parla di nuvole, no?). In realtà la rete Internet è fatta, fisicamente, dall’hardware: sono dei giganteschi cavi, estremamente grossi, che passano sotto i mari. Sono una serie di server potentissimi che consumano una quantità spaventosa di energia e che semplicemente nessuno sa dove siano. Si sa vagamente che sono collocati nella zona dell’Occidente degli Stati Uniti, tra la parte – diciamo – nord della Stato della California, dello Stato di Washington e dell’Oregon. Si pensa che pezzi siano nel Canada, ma non v’è certezza. Una delle tesi più accreditate è che il famoso Master Switch, cioè il server centrale, quello davvero importante, stia in un sottomarino nucleare al largo di Seattle.Tutto questo si va a schiantare contro quello che è la nostra impronta ecologica. L’impronta ecologica giusta è 1, ma oggi l’impronta ecologica globale è 1.4 e 1.5, il che significa che tutti gli anni verso luglio-agosto siamo nel cosiddetto Overshoot Day, vale a dire il giorno nel quale abbiamo finito di consumare le risorse che sono teoricamente riproducibili e incominciamo a consumare delle risorse che non saranno mai più riprodotte. 1.4 è una pessima impronta ecologica! Ma la cosa ancor peggiore è che i luoghi che vengono indicati da tutti come i più avanzati del mondo, la famosa Silicon Valley, dove ci si va a fotografare se si diventa primi ministri, da Twitter a Cupertino, a Palo Alto, a Mellow Yellow Party, i famosi posti della famosa Silicon Valley, ebbene l’impronta ecologica della Silicon Valley è 6. Il che significa che se tutto il mondo vivesse e si sviluppasse per poter diventare come ci dicono che potremmo diventare, cioè come la Silicon Valley («Crescete in modo tecnologicamente avanzato», e noi importiamo questo modello di sviluppo), ci vorrebbero sei pianeti per poter mantenere tutti quanti questo tenore di vita. Il che significa che se l’impronta ecologica è di appena 1.4, è solo perché dal Burkina Faso, all’India alla stessa Cina, l’impronta ecologica è molto più bassa rispetto a quella che è l’impronta ecologica dell’Occidente ricco. D’accordo?La Cina ha un’impronta ecologica di più della metà rispetto a quella degli Stati Uniti, anche se viene normalmente indicata come il posto in cui tutti inquinano e fanno delle cose tremende! E quella pro-capite è doppia negli Stati Uniti. Se poi ci stupiamo dei flussi migratori, delle situazioni drammatiche che si verificano, questo dipende semplicemente dal fatto che l’equilibrio globale è fortemente sbilanciato dal punto di vista dei consumi. Nessuno dei temi, compreso quello della Costituzione, può essere affrontato senza un’analisi seria dello stato del capitalismo attuale. Perché altrimenti noi ci mettiamo a ragionare di categorie astratte e non capiamo le condizioni materiali nell’ambito delle quali l’umanità si trova a vivere. E quali sono le possibilità, i rischi legati alla costruzione di questi dispositivi? Esempio molto semplice: gli untori. «Teniamo fuori i bambini che possono contagiare tutti gli altri». Che cosa significa? Che le mamme di questi bambini sono dei cattivi cittadini perché non investono sufficientemente in precauzione rispetto agli altri. Si costruisce un modello moralistico contro quelle mamme, e questo modello moralistico rende utilizzabile una sorta di implementazione diffusa di un ordine giuridico assolutamente contrario al precetto della Costituzione stessa.La Costituzione prevede che non si possano imporre trattamenti sanitari obbligatori se non in casi assolutamente particolari, ed è chiaro che una vaccinazione a tutto raggio, fatta per tutti quanti, non rientra in quelle categorie di eccezionalità che giustificano il trattamento sanitario obbligatorio. Questo lo capisce chiunque. Allora, il punto vero è che oggi quella sperimentazione che viene fatta in Italia, per poi estendere i vaccini in tutto il mondo, io credo che venga fatta anche per sperimentare una futura possibile frontiera. Che è quella di rendere l’Internet delle cose sempre più inevitabile. In altre parole, se ci fate caso, quando vi comprate un telefonino di questa generazione ultima, non potete più togliere la batteria. Vi sarete chiesti: perché non si può più togliere la batteria? Perché togliendo la batteria ci si può disconnettere. Non la puoi togliere fisicamente! E certo, potresti smontare il telefono, ma guardate che se voi comprate un telefonino di ultima generazione e lo accendete – questo vale per la vostra televisione o per qualunque oggetto Smart – prima di poterlo utilizzare dovete premere una serie di pulsanti sui quali c’è scritto: “I agree. I agree. I agree”. E voi che cosa accettate, naturalmente senza leggerlo? Tu hai accettato in quel momento una serie di cose che non accetteresti mai rispetto a una tua normale proprietà.Per esempio hai accettato il fatto che non lo potrai portare a riparare da chi ti pare, ma dovrai portarlo a riparare soltanto da quello che ti indica il venditore. Hai accettato il fatto che non potrai hackerare, manipolare la tua proprietà per renderla più compatibile con un altro sistema operativo, perché se lo fai commetti un reato! Hai accettato semplicemente una giurisdizione all’interno della quale tutta una serie di comportamenti, che sono comportamenti totalmente normali rispetto a un proprio oggetto, sono in realtà rilevanti dal punto di vista penale. Hai in più accettato anche il fatto di togliere di mezzo ogni giurisdizione, cioè che utilizzando questo strumento e scaricando qualsiasi tipo di App, implicitamente non puoi più andare in una giurisdizione – sia straordinaria che amministrativa – a far causa a uno qualsiasi di questi provider cui hai venduto i tuoi dati. Facebook ha un miliardo e mezzo di utenti. È tanta gente! I nostri giornalisti ci dicono che si tratta della più grande nazione del mondo. Quel miliardo e mezzo di persone hanno accettato il sistema di risoluzione delle controversie tra l’utente e Facebook stesso, ma indovinate quante volte nella storia di Facebook lo hanno utilizzato? Sessantaquattro!Vale a dire che è stato completamente tolto di mezzo qualsiasi strumento di accesso alla giurisdizione ordinaria. E anche quella speciale, che ti viene offerta come giurisdizione privata, non viene semplicemente utilizzata mai. Cosa significa questo? Significa che nella frontiera dell’Infosfera possiamo fare a meno del giurista! La presenza del diritto non è più necessaria per costruire la struttura portante del capitalismo. Il giurista e il diritto sono stati sostituiti dai programmatori che riescono a introdurre dei processi che fondano le basi di transazioni economiche al di fuori di qualsiasi possibilità di controllo da parte dei giuristi. Voi mi direte: «Ma che bella cosa, perché i giuristi ci stanno molto antipatici!», e io sono anche d’accordo, da un certo punto di vista, perché purtroppo li frequento molto. Però il punto è che mentre nella storia tutte le rivoluzioni fin qui hanno sempre cercato di togliersi dai piedi i giuristi, ma non ci sono mai riuscite perché prima o dopo la loro presenza era necessaria per costruire le basi di una società organizzata fondata sullo scambio, oggi per la prima volta è possibile. Il che significa che mentre prima il capitalismo doveva in qualche modo sopportare i pistolotti dei giuristi che gli dicevano: «Ma guarda che ci sono anche gli standard di decenza, ci sono i diritti umani fondamentali, non si possono imporre vaccini obbligatori, non si possono fare una serie di cose senza ragionevolezza», perché quel ceto era un ceto in qualche modo indispensabile per la funzione primaria da cumulo capitalistico, oggi che quel ceto non serve più.Anche le nostre prediche sono destinate a rimanere, come diceva il buon Bob Dylan, Blowin’in the Wind. Sono destinate a rimanere completamente inascoltate, per un semplice fatto: che incentivo hanno ad ascoltare Ugo Mattei che gli fa il predicozzo, se poi non ne hanno bisogno per poter estrarre valore nei rapporti economici commerciali utilizzando le sue dottrine sul contratto sulla proprietà? Semplicemente se lo tolgono dai piedi nell’uno e nell’altro settore. Questa è una sperimentazione che per ora sta avvenendo in frontiera, nell’Infosfera, ma che sempre più rapidamente – io prevedo – arriverà anche nella madrepatria, nel mondo off-line – come oggi si chiama – perché quelle sperimentazioni lì vengono fatte in quel luogo e poi dopo ricadono anche nella nostra vita quotidiana. Proprio come le sperimentazioni di saccheggio nell’America Latina, soprattutto nel Nord America, sono ricadute nella strutturazione del capitalismo della madrepatria. Questo è un punto di una certa gravità, perché né tu né un altro miliardo di persone adesso potete più togliere la batteria: c’è il diritto penale che presiede alla vostra ubbidienza rispetto a quello che avete accettato.E questo è gravissimo, perché nel momento in cui tutti noi, dal primo all’ultimo, commettiamo dei reati senza saperlo, perché premiamo dei pulsanti, noi tutti, dal primo all’ultimo, possiamo essere inquisiti per quello che abbiamo fatto. E quindi noi, dal primo all’ultimo, possiamo finire nei guai proprio come è successo ad Aaron Swartz negli Stati Uniti d’America. Quanti di voi hanno sentito parlare di Aaron Swartz? Era un ragazzo che all’età di 12 anni era un genio informatico, un genio che aveva preso una sua consapevolezza politica. A 12 anni aveva fatto il Coding per il famoso programma, quello di Lawrence Lassie per i CoPilot, quindi insomma era un personaggio di grandissimo livello. A un certo punto capisce l’importanza di questi discorsi e pubblica un piccolo manifesto che si chiama “Guerilla Open Access Manifesto”. Pubblica questa cosa e comincia a dire che l’unico modo di mantenere la società come una società di liberi e non una società di schiavi è quella di rendere la cultura accessibile a tutti. Siccome era un genio e sapeva fare queste cose, penetra nella notte negli archivi del Mit, il Massachusetts Institute of Technology, e scarica tutte le collezioni di Jstor, che è il più grande collettore di dati scientifici che ci siano nel mondo, e le rende pubbliche. Ok?Fa questa operazione di guerriglia per rendere accessibile questa informazione sulla base di una consapevolezza politica impressionante, perché nel Guerrilla Manifesto c’è tutto un ragionamento sul fatto dello iato tra i paesi ricchi e i paesi poveri, sulla cultura e di come deve essere in qualche modo accessibile, distribuita. Insomma, un personaggio di grande spessore nonostante la giovane età. Viene ovviamente preso di mira dall’Fbi e nonostante ottenga un accordo con Jstor per uscire dalla cosa – io conoscevo bene il suo avvocato che mi ha raccontato tutto – distrutto dai conti che ha dovuto pagare, tra avvocati e altre spese, all’età di 26 anni si è suicidato. C’è un bellissimo documentario che ne racconta la storia, si chiama “Killswitch”, vale la pena di vederlo perché è esattamente la storia di come in frontiera la partita si svolga tutta fra programmatori, così come una volta il giurista critico era visto come il peggior nemico del capitalismo stesso. Pashukanis viene ammazzato dallo stesso Stalin perché aveva introdotto una riflessione critica sul diritto che dava fastidio a chiunque volesse costruire delle strutture di sovranità. Quindi era sostanzialmente demonizzato perché conoscitore del segreto iniziatico. Stessa cosa successa per Aaron Swartz.Quindi questa è una partita molto importante. Che cosa impedirà un domani di far uscire una legge che, per ragioni di sicurezza e per lotta contro il terrorismo, ci obblighi a introdurci con una piccola iniezione un microchip sottocutaneo che si collega automaticamente con i vari sensori che ci sono nel mondo? Assolutamente nulla! Dal punto di vista tecnico è già totalmente possibile – ci sono già state sperimentazioni sull’introduzione di particelle talmente piccole che possono essere sostanzialmente iniettate sotto cute. Poi mi dicono che sono un “Conspiracy theorist”, che è il modo di dire di qualcuno che cerca di pensare criticamente: gli dicono che fa la “Conspiracy theory“, ma la verità vera è che oggi la tecnologia – se non oggi fra 3 anni, 5 anni, 8 anni, ma in un tempo molto vicino – consentirà cose di questo genere in modo assolutamente banale. Perché sono già totalmente possibili. Oggi il mio telefono, che è di un livello medio-scarso, è già molto più potente del top di gamma dell’Apple computer nel 2005. L’accelerazione tecnologica legata alla cosiddetta Legge di Moore, fa sì che oggi noi abbiamo un telefonino di livello medio-basso molto più potente del top di gamma non di 30 anni fa, ma di quattro, cinque, otto anni fa. Io credo che la questione della tecnologia debba essere affrontata in modo molto serio, perché ha trasformato profondamente i nostri sistemi politici portando alla sparizione totale della famosa contrapposizione fra pubblico e privato, sulla quale abbiamo costruito la civiltà liberale che ci governa, o comunque la civiltà moderna.Quando Barack Obama fu eletto presidente degli Stati Uniti, io dissi: «Secondo me Obama è come Gorbaciov». Gorbaciov era stato l’ultimo dei comunisti all’interno del sistema sovietico, che aveva cercato di trasformare dall’interno senza riuscirci. Barack Obama è stato l’ultimo degli americani a provare a trasformare il sistema liberale dall’interno, a provarci secondo diciamo le possibilità concrete di farlo, che erano assai limitate perché non era un uomo particolarmente coraggioso. L’esito è stato da un lato la rivoluzione che ha portato a Putin, dall’altro Donald Trump, e poi questo modello di governo che stiamo vedendo ovunque, da Modi in India, alle trasformazioni del partito comunista cinese. Ovunque si sono istituite delle Costituzioni tecno-fasciste. In altre parole delle Costituzioni, delle strutturazioni che si sono liberate completamente dal vecchio controllo, dalla vecchia dicotomia pubblico/privato. Oggi nel consiglio di amministrazione di Facebook, delle cinque grandi corporation di grandi gruppi farmaceutici, siedono tanto dei rappresentanti del capitale quanto dei rappresentanti del Dipartimento di Stato, della Cia all’Fbi. Perché non c’è più sostanzialmente nessuna separazione, e non può più esserci.Chi è il proprietario di queste grandi strutture dentro Internet? Chi mantiene quei cavi? Chi ha le chiavi per entrare ad aggiustare quel Master Server? Chi è che fa gli investimenti per migliorarlo? Semplicemente non lo sappiamo. Io sarò un ricercatore ignorante, zuccone e asino, ma sono tre anni che provo a trovare dei lavori scientifici seri sull’hardware, sulla parte hard della rete Internet, e non si trova assolutamente niente. Non c’è un paper scientifico che affronti dal punto di vista teorico quella che è la questione della proprietà delle infrastrutture materiali che governano l’Infosfera. Questo è un buco nelle nostre conoscenze estremamente pericoloso. Allora, se così stanno le cose, io credo che noi non possiamo trovare soluzioni che si facciano carico dei problemi, così come essi si verificano a questo livello di sviluppo tecnologico, all’interno delle vecchie strutture dell’ordinamento costituito. Noi non possiamo immaginare che possano essere i legislatori ordinari dei paesi del mondo, siano essi i paesi deboli e semiperiferici come il nostro, ma siano anche i grandi blocchi avanzati, a riuscire a mettere sotto controllo il potere economico così come è venuto a svilupparsi oggi. I rapporti di forza tra privato e pubblico sono drammaticamente cambiati.Il Leviatano un tempo era un signore pubblico, contro il quale avevamo costruito il diritto costituzionale liberale, per proteggere l’individuo vivo, la proprietà privata, la privacy, la nostra entità o la persona rispetto alle potenziali deviazioni del potere concentrato. Oggi le cose non stanno più così. Oggi non è più il privato a essere più debole del pubblico e a necessitare della tutela nei confronti del pubblico stesso, ma è il pubblico, sono questi sistemi burocratici che sono stati talmente colonizzati dal capitale privato, per cui nessuna delle scelte che vengono fatte può essere più considerata una scelta politica. Ma voi pensate che sia stata davvero la Lorenzin a decidere questa cosa dei vaccini? Ma stiamo scherzando? E pensate davvero che siano state le istituzioni europee sulla base di qualche think-tank di alto livello? Ma scherzate proprio? Sono stati i consigli di amministrazione di due, tre, quattro grosse multinazionali, che erano le stesse che ai tempi della mucca pazza – ogni tanto vengono costruite queste situazioni d’emergenza – avevano creato le condizioni per poter operare delle “estrazioni” – come dire – molto importanti.Perché per la mucca pazza in Italia avevamo comprato una quantità di vaccini, che poi abbiamo buttato via, impressionante! Milionate di vaccini! Avremmo finanziato la ricerca nei beni comuni, nel territorio e tutto quel che volevamo, ma c’è stato l’allarme mucca pazza, no? Adesso si è capito – come spesso avviene – che il momento di estrazione e di accumulo originario, quello che il vecchio Marx chiamava l’“Accumulazione Primitiva” non è un momento specifico (le Torri Gemelle, e allora dichiaro la guerra). No! Semplicemente si tratta di un modello permanente di strutturazione della società che consente a questi processi di andare avanti in modo lineare sempre in quella particolare direzione. Allora, come si risponde a questo? Io credo che prima di tutto bisogna avere l’umiltà di provare a capire questi processi. E provare a capire questi processi non è facile perché ti oppongono: «Ma tu, Mattei, sei un giurista. Che ne capisci di informatica? Tu, sociologo, che ne capisci di medicina? La medicina e l’informatica non sono democratiche, no?».Esattamente questo è il punto! Si sente la necessità di una cultura che sia nuovamente una cultura di tipo olistico, una cultura di tipo interdisciplinare che sia capace una volta tanto di esercitare un controllo critico sulle cose che lo specialismo cerca di farci ingurgitare. Questo è un punto – secondo me – molto molto importante. La seconda cosa è capire che oggi noi come individui non contiamo più niente: non importa niente a nessuno di noi come individui. Noi siamo delle categorie merceologiche. Nel momento in cui qualcosa ci viene dato gratis, significa che noi siamo la merce. Quando qualcosa è gratis, il prodotto sei tu. Siamo categorie merceologiche che sono interessanti nel momento in cui veniamo raggruppati attraverso la forza computazionale, che sta aumentando in modo rapidissimo. Vi ricordate von Hayek? La teoria della conoscenza liberale qual era? Che il piano sovietico è destinato a perdere perché il libero mercato ha molte più informazioni di quante ne abbia il piano. Per cui i sovietici, non avendo il mercato libero che produce informazione, erano destinati al fallimento perché non si sapeva quanti stivali e quante scarpe col tacco lungo erano desiderati in quel momento, e quindi si producevano troppi stivali e troppo poche scarpe col tacco. E questo comportava l’impossibilità di far funzionare il piano.Oggi non è più così. Oggi la capacità computazionale crea una capacità pianificatoria molto più forte rispetto alla catalessi del mercato. Non c’è più – secondo me – un elemento per cui il potere diffuso possa imporsi rispetto al potere concentrato, nel momento in cui il potere concentrato mette sotto controllo la tecnologia ai livelli in cui la tecnologia è messa sotto controllo oggi. Il che significa che dobbiamo ripensare le stesse basi del dibattito teorico-filosofico che ci hanno accompagnati dalla modernità fino ad oggi. E’ un compito molto serio, molto molto importante e di cui però bisogna cominciare ad occuparsi. Bisogna che qualcuno abbia il coraggio di prendersi del buffone, ma andare a parlare di queste cose dove di queste cose bisogna parlare. Siccome non contiamo più come individui, ma come categoria merceologica, abbiamo la necessità di ricostruire istituzioni del collettivo. L’individuo è morto. L’individualismo basato sul diritto soggettivo assoluto è, come diceva Rosa Luxemburg a proposito della socialdemocrazia tedesca dell’epoca, un fetido cadavere, cioè qualcosa che non ha più senso di esistere perché oggi ci sono i collettivi che vanno ricostruiti.O ricostruiamo una situazione di collettivizzazione, anche di quelle persone che non accettano di essere merci da estrazione capitalistica, o ci siamo fatti riempire la testa di nozioni che ci depotenziano. Io sento dire che su alcune cose, i diritti civili liberisti sono più avanzati e quindi gli vogliamo dare spazio. Non si capisce che i diritti più importanti, come quelli sul nostro corpo, quelli sulla nostra identità sessuale, sono destinati a non servire assolutamente a nulla. Quindi ricostruire condizioni del senso comune, ricostruire solidarietà, ricostruire strutture di condivisione anche fondate sull’amore è secondo me molto importante, perché quello è il solo modo grazie al quale si può avere il coraggio di opporsi in modo radicale a delle leggi che sono leggi insostenibili, ingiuste e che creano obblighi collettivi di resistenza.(Ugo Mattei, “Perché non ti fanno più togliere la batteria dallo smartphone”, da “ByoBlu” del 26 novembre 2017. Il post è la trascrizione di un intervento di Mattei al convegno “Costituzione, comunità e diritti” tenutosi all’università di Torino il 19 novembre 2017. Giurista, Ugo Mattei è professore di diritto internazionale e comparato alla California University e docente di diritto privato nell’ateneo torinese).Negli ultimi tre o quattro anni sono stati installati, soltanto nella parte occidentale del mondo, quindi nel nord globale, circa un miliardo e quattrocentomila sensori per l’Internet delle cose. Gran parte dei quali sono costruiti nei muri delle case, nei nuovi televisori – in tutti gli apparecchi elettronici che comperiamo – e nelle automobili. Parte di questi sensori, che sono invece fissi, sono inseriti negli spazi pubblici e sono quelli con i quali i nostri meccanismi elettronici si collegano senza che noi lo sappiamo. Queste cose vengono chiamate “Smart”, nel senso che noi sentiamo parlare costantemente di “Smart City”, “Smart Card”, eccetera. Tutte le volte in cui si sente la parola “Smart” io penso sempre che gli “Smart” siano loro e i cretini siamo noi. Qui la situazione sta diventando davvero molto preoccupante. C’è in costruzione un gigantesco dispositivo (e qui proprio la parola “dispositivo” studiata da Foucault è direttamente utilizzabile per parlare dei dispositivi elettronici che noi compriamo). Un gigantesco dispositivo di controllo sociale di tutti quanti, che viene ovviamente sperimentato per fare un passo in avanti in modo da rendere in qualche modo l’umanità coerente con la nuova frontiera.
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Riciclare pneumatici, per costruire dighe e ponti
Argini, dighe e pareti di contenimento. Ma anche piattaforme per strutture pesanti, strade a tronchi, rampe per barche, sponde, barricate, rifugi. Tutto questo, grazie a un “nuovo” materiale di costruzione: non si tratta di cemento, ma di pneumatici. Proprio loro, i vecchi copertoni delle auto, possono diventare un ottimo elemento-base per costruzioni elastiche e resistenti, a prova di terremoto e alluvione. La scoperta viene dall’America, si chiama Tire Log: ne parla il newsmagazine ecologico “Terranauta”, in un servizio di Virginia Greco.