LIBRE

associazione di idee
  • idee
  • LIBRE friends
  • LIBRE news
  • Recensioni
  • segnalazioni

Archivio del Tag ‘Chiesa’

  • Il coraggio di Imposimato, in quest’Italia senza giustizia

    Scritto il 03/1/18 • nella Categoria: segnalazioni • (7)

    «Un paese si salva dalla rovina solo se tutti i cittadini vivono in una condizione di dignità». E’ il testamento spirituale di Ferdinando Imposimato, alto magistrato e uomo libero, senza paura di affrontare il vero potere: nell’Italia politica delle anime morte ha attaccato il decreto Lorenzin sui vaccini, ha denunciato il ruolo della mafia nella rete ferroviaria Tav e ha accusato la cupola Gladio-Bilderberg per il caso Moro, evento simbolo della strategia della tensione che manipolò le Brigate Rosse per azzoppare il paese. E’ arrivato a minacciare di trascinare gli Stati Uniti al Tribunale dell’Aja, per aver deliberatamente ignorato i preparativi terroristici del maxi-attentato dell’11 Settembre, che poi ha proiettato la “guerra americana” in mezzo mondo. Già presidente onorario aggiunto della Suprema Corte di Cassazione, Imposimato – spentosi a Roma il 2 gennaio all’età di 81 anni – non amava i giri di parole. «Ormai sappiamo tutto della strategia del terrore», disse, presentando il recente saggio “La repubblica delle stragi impunite”. Quella strategia «fu attuata dalla struttura Gladio (Stay Behind) in supporto ai servizi segreti (non deviati) italiani. Serviva a scoraggiare l’instaurarsi di governi di sinistra ed era orchestrata dalla Cia».

  • Bogre, il martirio dei Catari che nessuno vuole ricordare

    Scritto il 24/12/17 • nella Categoria: segnalazioni • (3)

    «Lo sterminio dei càtari? Non ci risulta». E’ una coltre di piombo quella che continua a velare la verità storica sulla devastante persecuzione che annientò la più importante eresia del medioevo europeo. Una strage di massa oscurata dall’oblio e dal negazionismo, al più minimizzata dal riduzionismo della più recente pubblicistica cattolica, in interventi come quelli di Vittorio Messori e di altre personalità contigue al Vaticano. Estrarre memoria da quella remota vicenda resta un’impresa titanica: ed è la missione di Fredo Valla, regista di cultura occitana, impegnato nella produzione del documentario “Bogre”. Un viaggio sulle tracce dell’eresia dualistica che attorno all’anno Mille si affacciò a Bisanzio per poi propagarsi in Macedonia e Bulgaria, fino ad attestarsi in Bosnia Erzegovina per poi migrare in Lombardia, in Nord Europa e infine nella regione mediterranea e pirenaica oggi francese, l’Occitania: un sub-continente esteso dalle Alpi all’Atlantico, allora accomunato dalla lingua d’Oc. Il termine “bogre”, spiega Valla, non indica semplicemente un abitante della Bulgaria: così era in antico, ma poi in occitano ha assunto il significato di persona infida, che maschera la verità. «Attorno al XII secolo, “bogre” divenne un insulto diretto ai càtari d’Occitania, colpevoli di una religione non ortodossa, simile per dottrina a un altro grande movimento eretico europeo, quello dei bogomili bulgari».
    Catarismo e Bogomilismo, riassume il regista, reduce dalle prime riprese condotte in Bulgaria, «sono la testimonianza storica di un medioevo tutt’altro che buio e immobile come spesso viene rappresentato: le idee viaggiavano da un capo all’altro dell’Europa, dai Balcani ai Pirenei, dall’Italia centro-settentrionale alla Bosnia». Proprio in Bulgaria, la troupe ha filmato i luoghi dell’eresia bogomila e raccolto le testimonianze dei più grandi esperti: «Abbiamo incontrato storici, filologi, archeologi. È stata la prima tappa, la seconda sarà in Occitania francese e poi seguiranno l’Italia centro-settentrionale, la Bosnia e Istanbul». La ricognizione filmica in Occitania rappresenta il cuore del documentario: «Qui la vittoria della Chiesa di Roma, delle armi dei crociati e dell’Inquisizione sui càtari, pose fine a un’idea di Dio che si voleva fedele alle origini, che predicava la pace, sosteneva l’eguaglianza sociale e – cosa inaudita a quei tempi – la parità uomo-donna». Fu lo sterminio di un mondo, aggiunge Valla, che ora promette di far entare gli spettatori «nella quotidianità dell’essere càtari e bogomili in quegli anni». All’eresia non aderirono solo i servi e i contadini che si opponevano all’alto clero, ma anche i feudatari e le classi mercantili e colte delle città.
    «Sono tante le famiglie di alto lignaggio che abbracciarono la novità della dottrina càtara: a Firenze – spiega l’autore di “Bogre” – erano càtari personaggi che tutti conosciamo, come Farinata degli Uberti, il poeta Guido Cavalcanti e, secondo studi recenti, lo stesso Dante Alighieri». Eppure, nonostante il suo evidente ruolo storico, il Catarismo spesso viene considerato un fenomeno marginale. Innumerevoli documenti e tradizioni svelano i rapporti dottrinali e umani che unirono i dualisti dell’Est Europa a quelli dell’Ovest: «L’episodio che rappresenta al meglio il mondo di “Bogre” è il concilio càtaro che si tenne nel 1167 a Saint-Felix de Caraman, presso Tolosa: un concilio a cui parteciparono rappresentanti delle varie comunità càtare occitane e italiane (le comunità di Tolosa, Carcassonne, Albi e Aran, più Marco di Lombardia per l’Italia) e che vide tra gli invitati il bogomilo Nicetas, che trasmise lo Spirito Santo attraverso l’unico sacramento riconosciuto dai càtari, il “consolamentum”». È innegabile che tra i due movimenti religiosi ci fosse non solo un’affinità, ma rapporti  tutt’altro che sporadici. Entrambi condividevano una teologia drasticamente alternativa a quella cattolica: per càtari e bogomili, il mondo materiale era il frutto di una “creazione dannata”, operata dal Dio Straniero, alla quale il Padre Celeste (signore del cielo, ma non onnipotente) non aveva potuto opporsi.
    Può sembrare un espediente teologico: scagionare “Dio” dalla responsabilità del male presente nel mondo. Ma il sincretismo gnostico e proto-cristiano dei càtari ricorda da vicino la grande religione largamente diffusa nell’area mediorientale fino all’anno zero, quella dei Magi “venuti dall’Oriente” ad adorare il neonato di Betlemme. Era l’antica religione di Zoroastro, il mazdeismo, risalente al 1400 avanti Cristo, che aveva abolito i sacrifici animali (i càtari poi saranno addirittura vegetariani) e aveva aperto il sacerdozio alle donne (accanto ai Perfetti, il Catarismo ordinerà le Perfette). I Buoni Uomini, o Buoni Cristiani, erano casti e “francescani”, nonviolenti, contrari alla proprietà privata. La prima strage di massa, nel 1028, fu ordinata, suo malgrado, dal vescovo milanese Ariberto d’Intimiano, che interrogò i “bulgari” catturati a Monforte d’Alba, nelle Langhe: bruciateci pure, rispose il loro portavoce, così torneremo più velocemente al Padre Celeste. Il loro motto (“Noi non siamo del mondo, e il mondo non è nostro”) ricalca quello dei Sufi, con cui strinse un sodalizio Francesco d’Assisi. “Nel mondo, ma non del mondo; nulla possedendo, da nulla essendo posseduti”, è infatti il credo dei mistici islamici, da cui derivano i Dervisci Rotanti.
    In piena “new age”, avverte una studiosa rigorosa come Lidia Flöss, autrice di importanti ricerche sull’argomento, il Catarismo è stato anche strumentalizzato, in modo superficiale, in funzione anti-cattolica. Uno dei massimi storici europei del fenomeno, il francese René Weis, interpreta l’adesione a quell’eresia come il bisogno del credente medievale di tornare agli ideali evangelici, in un’epoca dominata dal potere ecclesiastico, spesso corrotto. Fu lo stesso Bernardo di Chiaravalle a condurre una storica missione in Occitania: lo stile di vita dei càtari è esemplare, riferì al Papa il futuro San Bernardo, auspicando che il clero cattolico abbandonasse lussi e privilegi. Il pontefice non era dello stesso avviso: Innocenzo III bandì addirittura una crociata, in terra europea, per stroncare un’eresia che – attraverso l’adesione della classe dirigente, l’aristocrazia e la nascente borghesia artigianale e mercantile – metteva in pericolo il potere del Papato. Fonti storiche citate da Weis parlano addirittura di mezzo milione di morti, fra Crociata Albigese e Inquisizione. La tragedia scoppiò nel 1209, quando la cittadina rivierasca di Béziers, in Linguadoca, si oppose al diktat dei crociati: volevano che Béziers consegnasse loro i 200 eretici riparati fra le mura. Di fronte al rifiuto dei consoli, l’abate Arnaud Amaury – capo spirituale della crociata – reagì nel modo più spietato: «Uccideteli tutti, Dio riconoscerà i suoi».
    La tradizione storiografica parla di migliaia di vittime. Lo choc per lo sterminio dell’intera popolazione di Béziers spinse il potente Re d’Aragona, Pietro II, a scendere in battaglia a fianco del conte di Tolosa, che difendeva – di fatto – la libertà di culto nelle terre occitane. Pietro II perse la vita nel 1213 combattendo cavallerescamente nella battaglia di Muret, ma la crociata devastò la regione fino al 1229. Si arrese Tolosa, ma non i suoi alleati: i cavalieri “faidits”, messi al bando, si rifugiarono nei castelli di montagna sui Pirenei, per proteggere gli eretici in fuga. Nel 1244, dopo nove mesi di assedio, cadde la fortezza di Montségur. L’ultima notte prima della resa, donne e soldati vollero ricevere il “consolamentum”, il battesimo càtaro, ben sapendo cosa li avrebbe attesi, l’indomani: furono 220 le persone arse vive nella spianata ai piedi del castrum, in quello che ancora oggi porta il nome di “Prat dels Cremats”. I càtari? Un fantasma scomodo: erano nullatenenti, vivevano di carità. Non veneravano nessun libro sacro: per loro, l’Antico Testamento (con la sua “terra promessa”) era opera del Dio Straniero. Non avevano neppure chiese, né templi: irriducibilmente anarchici, rifiutavano qualsiasi struttura organizzata. La comunità càtara, pur articolata in diocesi, non disponeva di beni materiali.
    Il Catarismo aborriva la dimensione materiale del vivere, ripudiando la materia come “prigione dello spirito”: riparlarne oggi forse non è casuale, nel momento in cui è la stessa fisica a diffidare della percezione spazio-temporale, mentre la comunità scientifica rivaluta l’esegesi non teologica dei cosiddetti testi sacri. Lo stesso Mauro Biglino, che traduce la Bibbia alla lettera «scoprendo che in quelle pagine non c’è nessun Dio», ricorda che il “format” cattolico (con i suoi dogmi) si affermò soltanto nel 325 dopo Cristo, per il volere politico dell’imperatore Costantino, «a spese di tutti gli altri Cristianesimi dell’epoca, che erano decine, a partire da quelli gnostici». In quella corrente si colloca certamente il Catarismo, che invoca la divinità “celeste” con queste parole: «Facci conoscere ciò che Tu conosci». Per i càtari, il vero Graal è, appunto, la conoscenza, al quale il credente può aspirare in modo autonomo, senza alcuna mediazione sacerdotale. Di fatto, il Catarismo nega alla religione il ruolo di struttura sociale al servizio del potere politico: i Buoni Cristiani proibivano di giurare, in un’epoca in cui proprio sul giuramento si fondava l’investitura feudale, e non riconoscevano alcuna legittimazione alle autorità terrene, né ai confini tra le nazioni.
    L’atteso lavoro cinematografico di Fredo Valla si basa su fonti storiche e dati d’archivio, nonché su consulenze autorevoli come quella di Maria Soresina e del Centro Ivan Dujčev di Sofia, una delle più importanti istituzioni accademiche bulgare, senza dimenticare il Cirdoc, la Mediateca Occitana di Béziers e l’Istituto Internazionale Lorenzo de’ Medici di Firenze. Il documentario sarà completato grazie al contributo fondamentale del crowdfunding: anche una piccola donazione può essere importante, per una produzione che accanto a Valla (autore e regista) vede impegnati Andrea Fantino ed Elia Lombardo (fotografia, suono, montaggio) con Ines Cavalcanti della Chambra d’Oc (produzione). «Abbiamo deciso di lanciare questa campagna di crowdfunding per condividere il nostro lavoro di ricerca e continuarlo in Occitania, dove nasce la parola “bogre”, e dove in fondo nasce il nostro film documentario». Proprio l’attuale Midi francese sarà la tappa più importante del viaggio. «Abbiamo intenzione di mantenere un metodo di lavoro attento alla storiografia e ai documenti più attendibili», assicura il regista. «Vogliamo che la storia di “Bogre” contribuisca alla storia dei “bogre”, di chi quel nome se l’è trovato appiccicato come un insulto dal momento in cui ha scelto una fede diversa da quella dominante». Una storia di idee che camminano, e che lottano per non essere dimenticate.

    «Lo sterminio dei càtari? Non ci risulta». E’ una coltre di piombo quella che continua a velare la verità storica sulla devastante persecuzione che annientò la più importante eresia del medioevo europeo. Una strage di massa oscurata dall’oblio e dal negazionismo, al più minimizzata dal riduzionismo della pubblicistica cattolica, in interventi come quelli di Vittorio Messori e di altre personalità contigue al Vaticano. Estrarre memoria da quella remota vicenda resta un’impresa titanica: ed è la missione di Fredo Valla, regista di cultura occitana, impegnato nella produzione del documentario “Bogre”. Un viaggio sulle tracce dell’eresia dualistica che attorno all’anno Mille si affacciò a Bisanzio per poi propagarsi in Macedonia e Bulgaria, fino ad attestarsi in Bosnia Erzegovina per poi migrare in Lombardia, in Nord Europa e infine nella regione mediterranea e pirenaica oggi francese, l’Occitania: un sub-continente esteso dalle Alpi all’Atlantico, allora cementato dalla lingua d’Oc. Il termine “bogre”, spiega Valla, non indica semplicemente un abitante della Bulgaria: così era in antico, ma poi in occitano ha assunto il significato di persona infida, che maschera la verità. «Attorno al XII secolo, “bogre” divenne un insulto diretto ai càtari d’Occitania, colpevoli di una religione non ortodossa, simile per dottrina a un altro grande movimento eretico europeo, quello dei bogomili bulgari».

  • La Chiesa e Naldi, grandi sponsor (impuniti) del fascismo

    Scritto il 17/12/17 • nella Categoria: Recensioni • (23)

    Il fascismo capovolto e appeso a testa in giù a piazzale Loreto, la monarchia ripudiata e sostituita dalla repubblica, la massoneria a lungo esiliata e costretta a defilarsi, dopo aver – di fatto – costruito dalle fondamenta il paese, l’Italia unita. L’unico dei grandi sponsor del Duce, uscito indenne dal Ventennio? Il Vaticano: è il vero vincitore della partita, protagonista di una lunghissima opera sotterranea di riconquista del potere temporale, perduto con l’Unità d’Italia e poi la Breccia di Porta Pia. Un lavoro paziente, sotterraneo, dal Patto Gentiloni – con i cattolici nuovamente autorizzati a candidarsi (coi liberali giolittiani) – fino ai Patti Lateranensi firmati con Mussolini, e la messa al bando delle logge massoniche. Decisiva, la Chiesa, anche nella caduta del dittatore suo alleato: fu il Vaticano a informare i nazisti che Mussolini aveva segretamente concertato col Gran Consiglio la sua teatrale destituzione, per instaurare a Salò la Rsi, un’entità non più così generosa con il clero. Caduto il Duce, la “reconquista” cattolica del potere fu completa: nel ‘45 era già pronto il format politico della Dc, con lo stesso leader – De Gasperi – che dopo Sturzo aveva guidato i cattolici sotto la dittatura. «Un piano sapiente, cinico e spregiudicato. Realizzato con il contributo decisivo di un autentico genio del male, Filippo Naldi, l’uomo dei poteri forti».
    Ai microfoni di “Forme d’Onda”, Gianfranco Carpeoro mette a fuoco il ritratto dell’ex direttore del “Resto del Carlino”, che emerge dalle pagine del suo saggio “Il compasso, il fascio e la mitra”, ancora fresco di stampa. Fin dall’inizio, alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, il grande potere mette gli occhi sul focoso socialista di Predappio, a cui sta stretta la direzione dell’“Avanti”. Mussolini passa dal neutralismo all’interventismo, dal socialismo al fascismo, dal più violento anticlericalismo alla capitolazione dei Patti Lateranensi. E, mentre dichiara guerra alla massoneria – prima come dirigente del Psi, poi come Duce del fascismo – chiede segretamente di essere affiliato alla libera muratoria. «Mussolini non era avido di denaro, ma di potere», sostiene Carpeoro, «ed era privo di qualsiasi coerenza: poteva cambiare radicalmente idea, su tutto». Dietro la maschera era in fondo malleabile, maneggevole: l’uomo ideale, dunque, per il grande potere. Che, attraverso Naldi, si fa avanti: con i soldi dell’Eridania e dell’Ansaldo gli offre di aprire un suo quotidiano, il “Popolo d’Italia”, da cui lanciare il nuovo soggetto politico, progettato per arrestare l’onda rossa del socialismo.
    Naldi, massone della Gran Loggia, è anche l’uomo di fiducia del Re. Come emissario degli inglesi, procura a Mussolini uno stipendio da agente britannico. Poi gli trova altri soldi, quelli per il giornale. Quindi lo aiuta a organizzare la Marcia su Roma, garantendo il non-intervento dell’esercito regio. E’ sempre Naldi a organizzare il delitto Matteotti, quando il leader socialista sta per far scoppiare uno scandalo senza precedenti: a Londra, Matteotti (massone) ha scoperto che il sovrano Vittorio Emanuele III è socio della compagnia petrolifera statunitense Sinclair Oil, a cui Roma ha concesso condizioni di esclusivo privilegio, esentasse, nella gestione del greggio italiano. «Con una perfidia incredibile – dice Carpero – Naldi fa in modo che a uccidere Matteotti siano suoi “confratelli” massoni, agli ordini di Amerigo Dumini». Naldi subisce un “processo massonico”, ma riesce a passarla liscia con una manovra spericolata: minaccia una rumorosa scissione nella Gran Loggia, che all’epoca i dignitari dell’obbedienza – riparati a Parigi, dopo l’ostracismo mussoliniano – non possono permettersi di subire, pena il rischio di essere espulsi dalla Francia.
    «La scelta dei sicari massoni per Matteotti è perfidamente acutissima», rileva Carpeoro: «Serve a creare una rottura definitiva tra Mussolini le obbedienze massoniche italiane, Grande Oriente e Gran Loggia, che lo avevano aiutato a dar vita al fascismo nella sua prima versione, il masso-fascismo, ancora anticlericale». Ma non è tutto. Dall’estero, dove è riparato dopo il delitto (lavora a Parigi, consulente della Banca Rothschild) Naldi riesce persino a incidere sui Patti Lateranensi: a insaputa di Mussolini, fa in modo che i due personaggi incarcati della trattativa, l’emissario governativo e l’esponente della curia romana, siano addirittura cugini. Infine, Naldi torna in campo per liquidare il Duce: è lui a informare il Re che Mussolini vorrebbe soppiantare la monarchia per instaurare una repubblica, e a spiegare al Vaticano che la Rsi avrebbe connotati socialisti e non più clericali, come invece il catto-fascismo degli anni Trenta. «La cosa impressionante di quest’uomo, la sua geniale grandezza – dice Carpeoro – emerge nell’intervista che realizzò Sergio Zavoli per la Rai a un Naldi ormai ottantenne, ricco e sereno, totalmente impunito: parla di Mussolini minimizzando, in modo curiale, il suo ruolo decisivo nei passaggi cruciali del Ventennio».
    Il libro di Carpeoro nasce da archivi massonici del Rito Scozzese italiano, di cui l’autore è stato “sovrano gran maestro”. Carte da cui emerge, per la prima volta, il ruolo diretto del Re nell’affare Sinclair Oil: era noto che una tangente, «probabilmente all’insaputa del Duce», era stata percepita da Arnaldo Mussolini, fratello del dittatore. Ma nessuno aveva ancora rivelato che al sovrano era andata una fetta ben maggiore della torta: una partecipazione azionaria nella società, controllata da John Davison Rockefeller. Se ne deduce che Naldi non liquidò Matteotti per la sua denuncia sui brogli elettorali fascisti, ma per proteggere il Re dallo scandalo petrolifero. «Fu sempre lui, vent’anni dopo, a organizzare la fuga del Savoia a Napoli». Un uomo invisibile ma onnipresente: come il vero potere, che fabbricò il fascismo e utilizzò Mussolini prima di sbarazzarsene, lasciando che al suo posto tornasse l’altro grande potere, quello che nel 1945 – attraverso la Dc – tornò a impadronirsi dell’Italia, il paese che aveva perduto cent’anni prima sotto la spinta della massoneria risorgimentale.
    (Il libro: Giovanni Francesco Carpeoro, “Il compasso, il fascio e la mitra”, Uno Editori, 141 pagine, euro 12,90).

    Il fascismo capovolto e appeso a testa in giù a piazzale Loreto, la monarchia ripudiata e sostituita dalla repubblica, la massoneria a lungo esiliata e costretta a defilarsi, dopo aver – di fatto – costruito dalle fondamenta il paese, l’Italia unita. L’unico dei grandi sponsor del Duce, uscito indenne dal Ventennio? Il Vaticano: è il vero vincitore della partita, protagonista di una lunghissima opera sotterranea di riconquista del potere temporale, perduto con l’Unità d’Italia e poi la Breccia di Porta Pia. Un lavoro paziente, sotterraneo, dal Patto Gentiloni – con i cattolici nuovamente autorizzati a candidarsi (coi liberali giolittiani) – fino ai Patti Lateranensi firmati con Mussolini, e la messa al bando delle logge massoniche. Decisiva, la Chiesa, anche nella caduta del dittatore suo alleato: fu il Vaticano a informare i nazisti che Mussolini aveva segretamente concertato col Gran Consiglio la sua teatrale destituzione, per instaurare a Salò la Rsi, un’entità non più così generosa con il clero. Caduto il Duce, la “reconquista” cattolica del potere fu completa: nel ‘45 era già pronto il format politico della Dc, con lo stesso leader – De Gasperi – che dopo Sturzo aveva guidato i cattolici sotto la dittatura. «Un piano sapiente, cinico e spregiudicato. Realizzato con il contributo decisivo di un autentico genio del male, Filippo Naldi, l’uomo dei poteri forti».

  • Delitto Matteotti: vero mandante il Re, socio dei petrolieri

    Scritto il 20/11/17 • nella Categoria: segnalazioni • (8)

    Non fu Mussolini il vero mandante del delitto Matteotti, ma il Re: Vittorio Emanuele III decretò la morte del parlamentare socialista Giacomo Matteotti, assassinato a Roma il 10 giugno 1924 dalla squadraccia fascista capeggiata da Amerigo Dumini. Lo afferma Gianfranco Carpeoro, nel suo nuovissimo saggio “Il compasso, il fascio e la mitra”, che ricostruisce – sulla base di archivi inediti – il vero ruolo dei due massimi sponsor occulti del fascismo, la massoneria e il Vaticano. Due poteri che “coltivarono” un regime che forse mostrò il suo vero volto, per la prima volta, proprio con l’omicidio Matteotti. Il leader socialista, si disse per decenni, fu punito per il suo straordinario coraggio: il 30 maggio 1924 denunciò alla Camera i brogli e le intimidazioni che avevano permesso ai fascisti di vincere le elezioni, il 6 aprile. Solo in questi ultimi anni è progressivamente emerso l’altro movente, più segreto: la maxi-tangente pagata al governo italiano dalla società petrolifera Sinclair Oil, per lo sfruttamento del greggio in Emilia e in Sicilia. Lo stesso Matteotti, dopo un viaggio a Londra, aveva scoperto la verità e stava per renderla pubblica. Lo scandalo avrebbe travolto il neonato regime, dato che risultava implicato anche Arnaldo Mussolini, fratello del Duce. Ma quello era solo il “primo livello” della tangente: perché il maggiore beneficiario dell’affare non sarebbe stato Mussolini, bensì il Re.
    Era lui, Vittorio Emanuele III, il vero dominus del business petrolifero, e quindi anche del delitto Matteotti. A gettare nuova luce sul “peccato originale” del fascismo sono le carte dell’obbedienza massonica di Piazza del Gesù, il Rito Scozzese italiano, di cui lo stesso Carpeoro è stato “sovrano gran maestro”. «Attenzione: lo stesso Matteotti era un 33° grado del Rito Scozzese», premette l’autore, presentando alcune anticipazioni del libro nel corso della diretta web-streaming “Carpeoro Racconta”, condotta da Fabio Frabetti di “Border Nights”. Massone Matteotti, e massoni i “fratelli” inglesi che lo informarono dell’affare Sinclair Oil, spiegandogli – carte alla mano – che a intascare il grosso della colossale tangente petrolifera (addirittura una ingente quota azionaria della compagnia) non sarebbe stato il Duce, ma direttamente il numero uno di casa Savoia. A indagare sul ruolo occulto della massoneria all’origine del fascismo è anche il recente saggio “Mussolini e gli Illuminati”, del giovane Enrico Montermini, suffragato da un politologo del calibro di Giorgio Galli.
    Montermini ricostruisce il ruolo delle società segrete nell’affermazione del fascismo “antemarcia”, a partire dalla manifestazione di piazza San Sepolcro, fino al macabro epilogo di piazzale Loreto, dove il cadavere del Duce viene simbolicamente “capovolto”, appeso a testa in giù, dopo esser stato fotografato con in mano uno scettro (come l’Imperatore dei tarocchi) e poi un ramo di acacia, inequivocabile “firma” massonica. Carpeoro conferma: prima di concorrerre ad abbattere il Duce, «la massoneria ha certamente appoggiato il primo fascismo, anche perché era Mussolini stesso a presentarsi come “vero socialista”». Poi, come sappiamo, il dittatore – mai iniziato alla libera muratoria – arrivò a mettere al bando le logge, in ossequio agli accordi di potere con il Vaticano che avrebbero portato ai Patti Lateranensi. C’era stato un piccolo precedente antimassonico del Duce, quando ancora era un dirigente socialista: impegnò il partito a escludere i massoni dai propri ranghi. «Ma era solo una ritorsione: Mussolini aveva ripetutamente chiesto di essere accolto, nella massoneria, ma non era stato accettato».
    Un’anomalia episodica, quell’improvvisa allergia socialista per i grembiulini: «E’ stata proprio la massoneria a partorire il socialismo», sostiene Carpeoro: «Anche all’epoca del fascismo, erano massoni i maggiori esponenti del partito socialista, a cominciare dal leader storico, Filippo Turati». Autore di accurati studi sui Rosacroce, leggendaria confraternita iniziatica, Carpeoro spiega che furono proprio i manifesti rosacrociani – come la “Fama Fraternitatis” del 1614 – a delineare l’orizzonte sociale egualitario (la fine dei privilegi di casta) che peraltro si riverbera in opere altrettanto “rosacrociane” del periodo, come “Utopia” di Thomas More, “La nuova Atlantide” di Francis Bacon e “La città del sole” di Tommaso Campanella. La stessa “Fama Fraternitatis” accenna, per la prima volta, a un mondo senza più la proprietà privata né i confini tra le nazioni: sono gli albori del futuro internazionalismo socialista, che riflette le sue luci persino nel primissimo fascismo delle origini, quello di piazza San Sepolcro, tenuto a battesimo dal Grande Oriente d’Italia (Domizio Torrigiani) e poi anche da Piazza del Gesù, il cui gran maestro era Raoul Palermi – ma il vero capo del Rito Scozzese, ipotizza lo stesso Montermini, probabilmente era il sovrano in persona, Vittorio Emanuele III.
    Di origine scozzese è la stessa famiglia Sinclair: gli antenati dei petrolieri coinvolti nell’affare costato la vita a Matteotti, racconta Carpeoro, in qualità di eminenti rappresentanti del network rosacrociano britannico, alla fine del ‘700 avrebbero fatto segretamente tradurre nel Regno Unito le spoglie del “confratello” Mozart, ufficialmente sepolto in una fosse comune in Austria. Ma, a parte i Sinclair – passati dalla musica al petrolio – il saggio di Carpeoro ricostruisce i passaggi cruciali (e occulti) all’origine del fascismo, mettendo a fuoco il ruolo della massoneria, e non solo. Se Montermini accende i riflettori sulle società segrete che allevarono il regime fascista, Carpeoro segnala il ruolo dell’altro grande potere, antagonista della massoneria eppure suo “socio in affari” durante il ventennio: il Vaticano. Entrambi i centri potere, quello massonico e quello cattolico, puntarono su Mussolini e cercarono di pilotarlo. E il Duce, «peraltro già a libro paga dei servizi segreti inglesi, nonché collaboratore dell’intelligence statunitense e di quella francese», tentò a sua volta di destreggiarsi, ritagliandosi una sua autonomia: «Si passò così dal masso-fascismo iniziale al catto-fascismo seguente», quello dei Patti Lateranensi.
    Figura cruciale e onnipresente, in quegli anni di precario equilibrio, il massone Filippo Naldi, che Carpeoro definisce «il Licio Gelli dell’epoca», capace di passare con disinvoltura da un tavolo all’altro, uscendone sempre indenne e traendone il massimo vantaggio personale. Carpeoro ricorda una celebre intervista televisiva all’anziano Naldi, a cura del grande Sergio Zavoli: «Riuscì a ottenere quell’intervista perché era massone anche Zavoli», rivela Carpeoro, che ricostruisce un altro momento decisivo della parabola del Duce, la destituzione del 25 luglio ‘43: «Era un piano progettato dallo stesso Mussolini, che voleva farsi arrestare per poi uscire dall’alleanza con Hitler, instaurando a Salò una vera repubblica di orientamento socialista». Ma fu tradito, Mussolini, proprio dall’uomo-ombra della massoneria (e della monarchia), che svelò gli intenti del Duce alla segreteria pontificia. A sua volta, la diplomazia vaticana si rivolse prontamente ai nazisti: temenva che a Salò potesse davvero nascere una repubblica anticlericale.
    “Il fascio, il compasso e la mitra” getta luce sui retroscena più oscuri del ventennio mussoliniano, rivelando il peso dei due superpoteri – massoneria e Vaticano – nelle decisioni del governo Mussolini. Anche la monarchia giocò le sue carte, comprese quelle (coperte) su cui aveva messo le mani Giacomo Matteotti. «Io il mio discorso l’ho fatto, ora voi preparate il discorso funebre per me», disse il deputato ai colleghi socialisti, in aula, consapevole che gli sarebbe costata carissima la sua clamorosa denuncia sui brogli elettorali. «Se il fascismo è stato un’associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere», rispose Mussolini, mesi dopo, di fronte alle proteste per l’insabbiamento delle indagini sull’omicidio. Ma non si trattò solo di una denuncia politica sulla regolarità delle elezioni del ‘24: il primo a rivelarlo, alla fine degli anni ‘80, è stato un ricercatore fiorentino, Paolo Paoletti, dopo aver scovato negli archivi di Washington una lettera in cui Dumini, il capo del commando omicida, rivela che Matteotti fu ucciso soprattutto per impedirgli di mettere in piazza lo scandalo petrolifero, che coinvolgeva Arnaldo Mussolini.
    Poche settimane prima del delitto, proprio alla Sinclair Oil (John Davison Rockefeller), il governo italiano aveva concesso l’esclusiva per la ricerca e lo sfruttamento per 50 anni di tutti i giacimenti petroliferi presenti in Emilia e in Sicilia. La compagnia aveva ottenuto condizioni di esclusivo vantaggio, tra cui l’esenzione da imposte. Per questo Matteotti doveva essere ucciso: aveva saputo della super-tangente. Tesi confermata dallo storico Mauro Canali nel ‘97 e poi da un ex dirigente Eni, Benito Li Vigni, nel saggio “Le guerre del petrolio” uscito nel 2004. All’inizio degli anni Venti, in Italia, l’80% del fabbisogno di idrocarburi era garantito dalla Standard Oil, tramite la “Società Italo-Americana pel Petrolio”, mentre la restante quota era fornita dalla filiale italiana della Royal Dutch Shell. Secondo Canali, la Standard Oil avrebbe stipulato un accordo sottobanco con la Sinclair Oil, delegando ad essa un’operazione strategica: bloccare la temuta espansione del Regno Unito sul mercato italiano. Guardando al Medio Oriente, a Londra faceva gola la posizione geografica dell’Italia, nel cuore del Mediterraneo: perfetta, per il trasporto del greggio. Per questo gli inglesi avevano sviluppato progetti con l’Italia, anche l’impianto di una raffineria, al punto da preoccupare gli Usa – che a quel punto risposero mettendo in campo la Sinclair Oil, a suon di dollari pagati sottobanco.
    Lo stesso Canali documenta come a intascare una maxi-rata dell’affare Sinclair fu Filippo Filippelli, un personaggio molto influente, legato ad Arnaldo Mussolini e fondatore del “Corriere Italiano”, giornale a cui – fra l’altro – era stato intestato il noleggio dell’auto con cui venne prelevato Matteotti. Gli accordi con la Sinclair Oil furono stipulati il 29 aprile del ‘24: sempre in cambio di cospicue mazzette, la compagnia ottenne dall’Italia la garanzia che nessun ente petrolifero statale avrebbe intrapreso trivellazioni nel deserto libico. All’accordo, Londra reagì a modo suo: tramite politici laburisti, rivelò a Matteotti i veri termini dell’accordo. Lo stesso Canali conferma che il leader socialista acquisì le carte che provavano la corruzione del governo italiano. Dopo l’omicidio, il “Daily Herald” accusò apertamente Arnaldo Mussolini di essere tra i politici destinatari di una tangente di 30 milioni di lire pagata dalla Sinclair Oil per ottenere la concessione. Sulla rivista “English Life” venne pubblicato (postumo) un articolo dello stesso Matteotti, in cui il deputato affermava di avere la certezza che vi era stata corruzione tra la Sinclair Oil e alcuni esponenti del governo.
    Tutto giusto? Sì, ma è una verità incompleta, spiega Carpeoro: perché finora le ricostruzioni sul delitto Matteotti non hanno inquadrato il principale colpevole, il Re d’Italia. «Mettendo a disposizione i killer, Mussolini ha fatto un favore innanzitutto alla monarchia», afferma Carpeoro, nel colloquio in streaming su YouTube con Fabio Frabetti. «Matteotti aveva fiutato che sull’Italia, tramite il fascismo, stavano mettendo le mani determinati poteri, in particolare petroliferi – uno su tutti, quello della Siclair Oil». Il leader socialista, continua Carpeoro, «andò a Londra con regolari referenze massoniche e venne accolto con tutti gli onori da una loggia inglese». Loggia che gli mise a disposizione una documentazione decisiva, che gli permise di scoprire «che la Sinclair Oil aveva dato delle quote azionarie a Vittorio Emanuele III». Tornò in patria di corsa, per far scoppiare lo scandalo. «E guardacaso, venne assassinato proprio al ritorno da quel viaggio quasi clandestino». Il regista dell’assassinio? «E’ colui che affittò le auto a noleggio e si fece dare da Mussolini i manovali del delitto: il massone Filippo Naldi, rappresentante degli interessi della Sinclair Oil in Italia ma, soprattutto, fedelissimo del Re».
    Lui, l’uomo-ombra: «E’ vero che Naldi aiutò Mussolini a uscire dal Psi e gli finanziò il “Popolo d’Italia”, ma sempre e soltanto per conto di poteri forti che volevano che in Italia rimanesse la monarchia e ci fosse sempre un certo tipo di regime». Tant’è vero che i soldi per finanziare il “Popolo d’Italia”, oltre a quelli della Sinclair Oil, sono quelli di Eridania (colosso mondiale dello zucchero) e di Ansaldo, leader dell’acciaio. «Sono i soldi che creano il fascismo, ma lo creano per mantenere un preciso assetto politico rispetto a forze che rischiavano di metterlo in discussione, come i socialisti e i repubblicani». Baricentro del potere, la monarchia. Clamorosa, la rivelazione di Carpeoro: sua maestà in persona era addirittura diventato socio della Sinclair, mentre il governo Mussolini si apprestava a favorire la compagnia. E da dove ricava, Carpeoro, le sue esplosive informazioni? Ovvio: dagli stessi archivi (massonici) ai quali, nel 1924, ebbe accesso l’eroe socialista Giacomo Matteotti, massone del 33° grado del Rito Scozzese.

    Non fu Mussolini il vero mandante del delitto Matteotti, ma il Re: Vittorio Emanuele III decretò la morte del parlamentare socialista Giacomo Matteotti, assassinato a Roma il 10 giugno 1924 dalla squadraccia fascista capeggiata da Amerigo Dumini. Lo afferma Gianfranco Carpeoro, nel suo nuovissimo saggio “Il compasso, il fascio e la mitra”, che ricostruisce – sulla base di archivi inediti – il vero ruolo dei due massimi sponsor occulti del fascismo, la massoneria e il Vaticano. Due poteri che “coltivarono” un regime che forse mostrò il suo vero volto, per la prima volta, proprio con l’omicidio Matteotti. Il leader socialista, si disse per decenni, fu punito per il suo straordinario coraggio: il 30 maggio 1924 denunciò alla Camera i brogli e le intimidazioni che avevano permesso ai fascisti di vincere le elezioni, il 6 aprile. Solo in questi ultimi anni è progressivamente emerso l’altro movente, più segreto: la maxi-tangente pagata al governo italiano dalla società petrolifera Sinclair Oil, per lo sfruttamento del greggio in Emilia e in Sicilia. Lo stesso Matteotti, dopo un viaggio a Londra, aveva scoperto la verità e stava per renderla pubblica. Lo scandalo avrebbe travolto il neonato regime, dato che risultava implicato anche Arnaldo Mussolini, fratello del Duce. Ma quello era solo il “primo livello” della tangente: perché il maggiore beneficiario dell’affare non sarebbe stato Mussolini, bensì il Re.

  • Dieudonné e le reti dell’orrore: bambini uccisi dai potenti

    Scritto il 12/11/17 • nella Categoria: segnalazioni • (15)

    Fate tacere quel comico: svela l’esistenza di reti di pedofili satanisti dietro i massimi vertici del potere. E’ il caso del controverso Dieudonné, nome completo M’bala M’bala, umorista francese di origine camerunense, balzato anche in Italia agli onori delle cronache per il suo presunto antisemitismo dopo la strage di Charlie Hebdo. Mesi prima era finito nelle indagini della magistratura francese, che aveva ordinato il boicottaggio del suo spettacolo “Il muro” nei teatri delle più importanti città. Durante lo show, scrive Federica Francesconi sul blog “La strage degli innocenti”, Dieudonné «denunciava apertamente le reti dei pedofili che agiscono in Francia indisturbate grazie alle coperture della classe dirigente del paese». Dopo la circolare emanata dal ministero dell’interno, che imponeva lo stop allo spettacolo che il comico avrebbe dovuto recitare in tutta la Francia, i teatri transalpini gli hanno revocato uno dopo l’altro il permesso andare in scena. «Alcuni movimenti e gruppi hanno denunciato l’intervento delle autorità francesi come un vero e proprio attacco alla libertà di espressione sancita dalla Costituzione». A preoccupare i censori erano «le rivelazioni che Dieudonné aveva fatto durante i suoi show satirici sull’esistenza in territorio francese di radicate e pericolosissime reti pedofile».
    Non è difficile mettere fuori gioco Dieudonné, che è «dichiaratamente antisemita». La stessa Francesconi premette: «Non condivido tutto quello che il comico sostiene sugli ebrei». Ma il punto è un altro: la questione non riguarda “gli ebrei”, o meglio i sionisti, ma i bambini. Spesso sequestrati, violati e abusati. Torturati, e infine “sacrificati”. «Durante i suoi spettacoli il comico francese ha parlato più volte dei bambini che vengono violati durante disgustosi rituali sessuali praticati dai “grandi” di questo mondo», avverte la blogger. Per cui, «vi è il legittimo sospetto che questa possa essere la vera ragione dell’interdizione dei suoi spettacoli». In particolare, Dieudonné si è occupato del caso dei fratelli Roche: un caso di malagiustizia che in anni recenti ha suscitato molto clamore in Francia e ha fatto venire allo scoperto le strette connessioni tra pedofilia e magistratura deviata. I due fratelli, Charles-Louis e Diane Roche, hanno denunciato il coinvolgimento di politici e magistrati francesi in pratiche pedofile “controiniziatiche”, a cui pare fosse legato anche il loro padre, il magistrato di Tolosa Pierre Roche. La rivelazione: il potere di una magistratura “nera”, incaricata di insabbiare le indagini e proteggere gli “orchi”, tutti insospettabili.
    Poco prima di morire di cancro, l’uomo aveva confidato ai figli il terribile segreto che per anni aveva custodito: l’esistenza di una costola deviata della magistratura, «il cui obiettivo segreto è di insabbiare tutte le inchieste e le indagini che provano l’esistenza delle reti pedocriminali e che tentano di fare luce sulle coperture istituzionali di cui i pedofili godono». Bingo: nel suo spettacolo, Dieudonné aveva ospitato uno dei due fratelli, Charles-Louis, «che ha potuto esprimersi liberamente in una sorta di monologo durante il quale ha denunciato i loschi traffici di cui è a conoscenza e in cui pare fosse implicato anche il padre». Il comico ha bollato senza mezzi termini le reti pedofile dell’orrore, definendole «reti sataniste», a capo delle quali vi sarebbe un «gruppo segreto», meglio conosciuto come «élite mondialista». Che cosa ha rivelato di così destabilizzante per i poteri occulti il figlio del defunto magistrato Pierre Roche? Durante lo spettacolo di Dieudonné, «Charles-Louis ha testimoniato sulle confessioni fattegli dal padre che riguardavano i crimini di cui si era macchiato durante l’esercizio della sua carica».
    In particolare, in punto di morte, Pierre Roche avrebbe «rivelato al figlio di aver partecipato a delle orge nella regione di Tolosa, in compagnia di altre personalità francesi altolocate». Durante queste orge «i partecipanti abusavano di prostitute, di vagabondi rapiti per strada e di bambini». Attenzione: erano «orge che finivano sempre con l’uccisione rituale delle piccole vittime, dopo averle sottoposte a ogni tipo di tortura». Federica Francesconi definisce quelle atroci serate «cerimonie controiniziatiche». Un’allusione precisa: viene chiamato “contro-iniziato” un soggetto che abbia ricevuto un’iniziazione esoterica (per esempio massonica) e che poi faccia un uso distorto, capolvolto, delle conoscenze che gli sono state trasmesse. Per la massoneria democratico-progressista sono “contro-iniziati” gli uomini del massimo potere, aderenti a superlogge internazionali che nei fatti rinnegano gli ideali della stessa tradizione massonica (libertà, uguaglianza, fratellanza) per “pervertire” in senso neo-oligarchico l’ordine mondiale, retto da una casta più o meno occulta di super-potenti, assolutamente reazionari, contrari cioè ai diritti, al benessere e al progresso del 99% della popolazione.
    Per alcuni di essi si tratta di una vera e propria forma di religione, scrive Gianfranco Carpeoro nel saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, in cui illustra la dottrina ottocentesca del marchese Saint-Yves d’Alveidre: in base alla teoria della “sinarchia”, l’élite (“illuminata” per auto-elezione) ha il diritto-dovere di governare le masse, visto che il popolo – rozzo e ignorante – non avrebbe gli strumenti per decidere da sé. In altre parole, la democrazia è una bestemmia. E proprio allo svuotamento sostanziale della democrazia si è dedicata l’élite eurocratica, che secondo Dieudonné è anche rigorosamente pedofila. Uccidere un bambino mediante un sacrificio rituale significa “uccidere” il futuro che non ti piace, quello degli altri, al tempo stesso propiziando il tuo: lo sostiene Giuseppe Genna, tra le pagine del romanzo “Nel nome di Ishmael” che svela una realtà abominevole: quella dell’omicidio “rituale” dei bambini, abusati dai pedofili, come viatico “magico” per sanguinosi attentati politici organizzati dall’oligarchia tramite settori deviati dei servizi segreti. Un incubo, simile a quello descritto da Charles-Louis Roche nello spettacolo di Dieudonné. E quelle orge francesi, dice il figlio del giudice, erano quasi sempre filmate, «verosimilmente per ricattare a vita i partecipanti», ne deduce la Francesconi.
    «I partecipanti alle serate orgiastiche erano tutti membri della massoneria deviata francese la quale, tramite i filmati, teneva sotto scacco i suoi affiliati per obbligarli a lasciarsi manovrare nell’esercizio dei rispettivi ruoli pubblici», aggiunge la blogger. «La testimonianza dei due fratelli Roche è molto importante perché per la prima volta, tramite i suoi figli, un notabile, uno dei membri di questi gruppi occulti che governano i sistemi istituzionali di quasi tutti gli Stati, viola il voto di segretezza e omertà a cui è obbligato per rivelare al mondo i segreti inconfessabili dell’élite satanista». La terribile ricostruzione è proposta anche da un documentario su Dieudonné ripreso da YouTube. Il documento conferma che Charles-Louis Roche ha approfittato dell’ospitalità del comico per rendere pubblica la testimonianza del genitore, e quindi denunciare l’esisternza delle «reti dell’orrore» delle quali  padre, magistrato di alto grado, è stato membro, prima di morire. O meglio: «Prima di essere assassinato», si afferma, sostenendo che il giurista non sarebbe morto in modo naturale. E dai media «silenzio totale», visto che gli organi di stampa «eseguono gli ordini».
    Secondo Charles Louis-Roche, l’ideologia del gruppo cui aveva appartenuto il padre «consiste in un progetto culturale, a cominciare dalla legge, dalla morale e dalla discendenza che ha come scopo la violazione, la tortura e la morte di bambini di età compresa tra i pochi mesi di vita e i 10 anni». Ne parla anche la sorella, Diane Roche: «Reti pedofile, sataniste e mafiose all’interno delle quali dei bambini vengono filmati e contemporaneamente torturati, violati e uccisi». Nello spettacolo di Dieudonné, Charles-Louis Roche ha dichiarato che il padre gli aveva rivelato che a tali reti pedofile «appartengono esponenti del mondo della politica, gli editori, la finanza, i medici». Quali sono le attività di questi circoli? «Consistono nell’organizzare serate estreme, alcune delle vere e proprie rappresentazioni teatrali, che sono di due tipi». Il primo tipo consiste in una “storia della pesca di Cristo”, forse un rituale controiniziatico: «Per festeggiare la Natura, la serata degenera nel sadomasochismo e nel consumo di stupefancenti, che servono per aumentare il piacere dei partecipanti e che costituiscono un doppio premio». Vengono utilizzate anche prostitute e ragazze provenienti da famiglie disagiate: «Sono le candidate ideali per sparire senza lasciare traccia».
    E chi sarebbero i protettori di queste reti pedofile? Charles-Louis Roche elenca i nomi di 71 magistrati francesi attualmente in carica: li definisce «corrotti» e sostiene che facciano «esattamente ciò che il potere politico ordina loro di fare». Dentro a queste reti esisterebbe un metodo comune di dissuasione, per evitare che troppe verità scomode vengano divulgate. «Questo metodo – denuncia il documentario – consiste nell’ostacolare e nel ricorrere a minacce molto dissuasive per ridurre al silenzio grandi uomini come Dieudonné, il belga Marc Vervloesem ed altri, che hanno rivelato alcune verità e che quindi costituiscono per questi mostri, questi assassini di bambini, un pericolo». Costoro avrebbero «minacciato di rapire i figli di Dieudonné, che ha contribuito a denunciare queste reti pedofile sataniche». Aggiungono gli autori del video: «Sono perfettamente al corrente che Dieudonné conosce l’esistenza di queste reti pedofile, che ha contribuito a denunciare». Si parla di personaggi potentissimi e protetti da impunità assoluta: «Sono coloro che attualmente detengono il potere sulla Terra». Le chiavi del potere, per loro, sarebbero «l’adorazione di Moloch, una delle rappresentazioni di Lucifero simboleggiato da un gufo o da una civetta», nonché il più prosaico «controllo privato della moneta».
    «Secondo i loro precetti satanici – continuano i documentaristi francesi – l’adorazione del diavolo deve manifestarsi attraverso rituali e cerimonie che coinvolgono bambini, rituali che si rivelano alla presenza di alcuni simboli che li rappresentano». Il filmato accusa in particolare un prestigioso avvocato di origine ebraica, Alain Jacubowicz, che avrebbe minacciato Dieudonné, invitandolo (sinistramente) a «ridere bene con i suoi figli». Jacubowicz è il presidente della Licra, la Lega antirazzista francese, specializzata nella lotta contro l’antisemitismo, che «ha fatto di Dieudonné il bersaglio preferito di una diffamazione mediatica imbastita per screditare il comico e le sue denunce pubbliche contro i poteri occulti», scrive Federica Francesconi. «Jacubowicz è anche colui che ha difeso il B’nai B’rith e il Concistoro israelita durante i processi “Barbie”, “Touvier” e “Papon”, criminali e torturatori nazisti che durante la Seconda Guerra Mondiale si resero responsabili dell’uccisione di migliaia di ebrei». Il B’nai B’rith è un’associazione ebraica di stampo massonico, mentre il Concistoro israelita è l’istituzione rappresentativa degli ebrei di Francia.
    Quindi Jacubowicz è uno dei massini rappresentanti della comunità ebraica francese, «ma non un personaggio esattamente limpido se, come denunciato da Dieudonné, in un’aula del tribunale, davanti a decine di persone, ha minacciato di nuocere ai suoi figli pronunciando quell’inequivocabile frase dal sapore satanista», aggiunge Francesconi: “ridere bene coi propri figli” può essere un’allusione ai riti infernali di chi “ride” uccidendo bambini? «Ma si sa: a certi personaggi è permesso dire di tutto», aggiunge Francesconi. Certi big «godono dell’immunità pressoché integrale della magistratura», quindi non temono che il loro prestigio sociale possano essere scalfito. «E’ curioso che pochi mesi prima della strage del presunto commando jihadista contro la redazione di Charlie Ebdo, in Francia un disegnatore satirico, Plantu, sia stato assolto in un processo che lo vedeva accusato di incitamento all’odio religioso e alla violenza», aggiunge la blogger, dopo aver disegnato in una vignetta l’allora pontefice Benedetto XVI nell’atto di sodomizzare un bambino. Palntu era stato assolto: quella vignetta «era soltanto una denuncia dell’omertà e del silenzio dei vertici ecclesiastici sul fenomeno sommerso della pedofilia nella Chiesa», e non già un atto di accusa indiscriminato contro tutti i cattolici. «Peccato che la stessa libertà di espressione non venga riconosciuta anche a Dieudonné, forse perché, a differenza di Plantu, punta il dito contro l’onnipotente e tentacolare comunità ebraica? A voi la risposta».

    Fate tacere quel comico: svela l’esistenza di reti di pedofili satanisti dietro i massimi vertici del potere. E’ il caso del controverso Dieudonné, nome completo M’bala M’bala, umorista francese di origine camerunense, balzato anche in Italia agli onori delle cronache per il suo presunto antisemitismo dopo la strage di Charlie Hebdo. Mesi prima era finito nelle indagini della magistratura francese, che aveva ordinato il boicottaggio del suo spettacolo “Il muro” nei teatri delle più importanti città. Durante lo show, scrive Federica Francesconi sul blog “La strage degli innocenti”, Dieudonné «denunciava apertamente le reti dei pedofili che agiscono in Francia indisturbate grazie alle coperture della classe dirigente del paese». Dopo la circolare emanata dal ministero dell’interno, che imponeva lo stop allo spettacolo che il comico avrebbe dovuto recitare in tutta la Francia, i teatri transalpini gli hanno revocato uno dopo l’altro il permesso andare in scena. «Alcuni movimenti e gruppi hanno denunciato l’intervento delle autorità francesi come un vero e proprio attacco alla libertà di espressione sancita dalla Costituzione». A preoccupare i censori erano «le rivelazioni che Dieudonné aveva fatto durante i suoi show satirici sull’esistenza in territorio francese di radicate e pericolosissime reti pedofile».

  • Crisi e terrore, ma il Nuovo Ordine Mondiale lo farà la Cina

    Scritto il 28/10/17 • nella Categoria: idee • (12)

    Il nuovo ordine mondiale? Lo farà la Cina. «Non è solo il maggior creditore degli Usa, ma nel breve tempo di un decennio si è contraddistinta per l’assalto alle roccaforti del capitalismo statunitense e per una nuova forma di colonizzazione africana». Il destino della Cina sembra quindi sfuggire allo storico braccio di ferro di Washington e Mosca: «Nell’espansionismo cinese c’è infatti l’impronta di una nuova classe dirigente, tecnocratica e pragmatica, silenziosa e lungimirante». La Cina diventerà egemone perché, oltre alla capacità di azione, ha sufficienti risorse interne per conquistare il potere globale. A tutto ciò si aggiunge che i cinesi hanno la volontà e la capacità «di controllare i flussi di investimenti con cui raggiungere i propri obiettivi». La studiosa torinese Enrica Perucchietti, autrice di saggi come “L’altra faccia di Obama”, “Utero in affitto” e “False flag, sotto falsa bandiera”, oggi segnala un dossier del Club di Roma: “2052. Scenari globali per i prossimi quarant’anni”. Quaranta ricercatori coordinati da Jorgen Randers provano a delineare il futuro globale: la Cina sarà il leader mondiale entro trent’anni. Diverrà «la forza trainante del pianeta», superando in tal mondo i due blocchi storici che competono per la supremazia globale, Usa e Russia.
    «Il destino profetizzato dai consulenti del Club di Roma è stato previsto anche da altri ricercatori, che hanno puntato in particolare sulla forza economica e finanziaria della Cina che negli ultimi anni si sta accaparrando le risorse naturali, dall’energia ai minerali, dalle foreste alle derrate agricole, insidiando così le zone d’influenza che appartenevano all’Occidente», afferma Enrica Perucchietti in un’intervista su “Letture.org” in occasione dell’uscita dell’edizione aggiornata dal saggio “Governo globale, la storia segreta del nuovo ordine mondiale” (Arianna), scritto insime a Gianluca Marletta. «Credo che nonostante gli sforzi dell’imperialismo mondialista di portare avanti i propri progetti, nel giro di qualche anno lo scettro passerà di mano e probabilmente il centro del potere si sposterà in Cina», ribadisce la Perucchietti, pur ammettendo che le variabili imprevedibili sono comunque molte, «così come sono da prendere in considerazione delle anomalie che si sono registrate come l’elezione Trump e la Brexit, che sono state evidentemente sottostimate». Tuttavia, come segnala lo stesso Paolo Barnard, colpisce l’arma segreta di Pechino: il suo “capitalismo di Stato” con moneta sovrana mette il governo al riparo dallo strapotere della finanza mondialista non allineata agli oligarchi del partito unico.
    La riflessione sul futuro “cinese” del mondo conclude un’analisi che la giornalista affronta partendo dallo studio del Nwo, inizialmente liquidato come fiaba cospirazionista. «Oggi la sensazione che sia in atto un progetto di mondialismo (seguente alla globalizzazione delle merci) è comunemente accettato: pensiamo per esempio a Henry Kissinger che ha dato un’opera dal titolo altisonante come “World Order”». Sempre più politici, ministri, capi di Stato e pontefici, aggiunge Perucchietti, negli ultimi decenni hanno parlato pubblicamente dell’esigenza di costituire un “nuovo ordine mondiale”. Lei e Marletta, nel libro, ricostruiscono la storia (documentata) di questo progetto, e le tappe che arrivano fino a noi. «Al di là delle confusioni generate dalla cultura web, lungi dall’essere il delirio di una manciata di paranoici, il nuovo ordine mondiale è al contrario un argomento serissimo, che merita di essere indagato». L’elezione di Trump? «Ha illuso alcuni di poter condurre a una battuta d’arresto del progetto mondialista, ma nei mesi abbiamo assistito a una “normalizzazione” del neo-presidente e l’anacronistico ritorno alla guerra fredda, che ha portato anche alla comparsa di un nuovo nemico sullo scacchiere geopolitico, la Corea del Nord».
    Se Pyongyang è solo l’ultimo apparente “nemico pubblico” da gettare in pasto alla società per distrarla dalla crisi e «compattarla rispetto a una emergenza esterna», visto che ormai «la Russia non poteva più rispecchiare quel ruolo, dato che la figura di Putin desta sempre maggior consenso o comunque meno diffidenza», posto che un conflitto contro la Corea del Nord «sarebbe non solo inutile, ma svantaggioso e pericoloso», dato che «non apporterebbe nemmeno benefici da un punto di vista geopolitico», vale la pena inquadrare anche questo capitolo («solo teatrale», anche secondo Gioele Magaldi) come parte dello stesso copione mondialista che sta tenendo in scacco il pianeta da ormai moltissimo tempo. Per comprendere che cosa sia il nuovo ordine mondiale, secondo Enrica Perucchietti, è necessario ricostruire le tappe storiche che hanno portato, attraverso i secoli, allo sviluppo dell’ideologia globalista, riscoprendone le radici e i presupposti filosofici, spirituali e teologici. «L’ideologia del Nwo, infatti, attinge la sua linfa vitale da un preciso contesto storico, identificabile con il mondo protestante dei secoli XVII e XVIII. È a partire dall’Inghilterra protestante che l’idea di una Nuova Era di “trasformazione del mondo”, di un progetto prima utopistico e poi politico di “rinnovamento” dell’umanità trova adesione, sostegno e suoi primi “profeti”».
    Un progetto, rileva la giornalista, che è nato inizialmente come contraltare all’universalismo della nemica Chiesa cattolica e dell’Impero Asburgico e fusosi, successivamente, con analoghe correnti fiorite nello stesso periodo in Nord Europa. L’ideologia mondialista ha recepito e rielaborato nei secoli anche altri tipi di influssi: sull’originario substrato protestante-anglosassone, infatti, si innestano successivamente almeno altre due correnti politico-spirituali: l’ideologia universalistica di matrice massonica (su cui si innestano alcune derive occultistiche) e un certo neo-messianismo di matrice sionista. «Queste correnti così diverse tra loro troveranno una convergenza fondata sull’elitismo di chi (gli Usa in primis) si sente in diritto e in dovere di promuovere anche con la forza il proprio imperialismo e assoggettare il resto del mondo ai propri interessi». L’autrice respinge la tesi del Grande Complotto Universale: è storicamente indimostrabile e serve solo a screditare chi indaga seriamente sul mondialismo. Però, «se è impossibile affermare l’esistenza di una “continuità programmatica” nello sviluppo del Nwo, è legittimo tuttavia parlare di un’evidente continuità ideale che lega, attraverso i decenni e persino i secoli, una serie di “forze” e “poteri” in una complicità di interessi e di azioni».
    Non esiste un Grande Complotto unico, monolitico? «Esiste però una dottrina di base e una “confluenza di interessi” che spingono verso la costituzione del mondialismo, così come esistono i suoi profeti e “architetti” che ne hanno scritto e parlato anche pubblicamente». Ovvero: «Dalla rete inestricabile dei poteri occulti, delle logge e delle sette, dei potentati economici e dei gruppi di pressione impegnati da tempo a promuovere il progetto del nuovo ordine mondiale, emergono con una frequenza non casuale, nomi, realtà e concreti gruppi di potere che nel nostro “Governo Globale” definivamo il “volto visibile del Nwo” di cui trattiamo ampiamente nella prima parte del saggio». Il progetto mondialista? «Nasce in ambito anglosassone ed è quindi naturale che esso abbia avuto, nella potenza degli Stati Uniti e dell’Inghilterra, il perno della sua potenza (a cui si è aggiunto, a partire dal secondo dopoguerra, il fattore geopolitico costituito dallo Stato di Israele). Quando parliamo del potere di queste nazioni, tuttavia, ci riferiamo a certe strutture di potere che rimangono invariate nel tempo». Nel suo saggio “Massoni, società a responsabilità illimitata”, Magaldi le chiama Ur-Lodges, superlogge: sarebbero la chiave segreta del back-office del potere mondiale, ormai esteso anche alla Cina nel disegno condiviso della globalizzazione autoritaria.
    Fatte salve le differenze che contraddistinguono le diverse correnti, osserva Perucchietti, esistono alcune costanti fondamentali alla base del progetto mondialista, e alcuni interessi specifici: per esempio, l’aspirazione a costituire una res-pubblica universale e sovranazionale controllata più o meno direttamente da un’autoselezionata élite. «Quindi la creazione di un governo elitario, di pochi». Inoltre, si registra «la diffusione o imposizione di un pensiero omologato, tendente a dissolvere le identità e le particolarità culturali, politiche e religiose in una sorta di pensiero unico globale». Il progetto di costituzione di un mondo nuovo, infatti, richiede anche «un uomo nuovo, che sia omologato e omologabile, facilmente controllabile», magari anche attraverso l’ideologia gender, di cui la Perucchietti ha parlato in libri come “La fabbrica della manipolazione” e “Unisex”. A cascata, pesano «la conseguente lotta contro le “identità forti” difficilmente omologabili alla cultura mondialista e l’abbattimento dei valori tradizionali». Non solo: ci sono anche «censura e psicoreato, ossia il controllo della comunicazione, dei mass media ma anche delle menti e dell’espressione dei cittadini, di cui la recente battaglia contro le “fake news” è un lampante esempio».
    E’ all’opera una strategia d’azione che privilegia «l’utilizzo strumentale della politica (una sorta di vera e propria criptopolitica basata su ricatti e complotti per lo più sotterranei)», di cui – come vetta dell’iceberg – abbiamo vaghe notizie, attraverso sigle come la Trilaterale o il Bilderberg, cenacoli «i cui membri si riuniscono a porte chiuse per discutere del destino dell’umanità». Alcuni aspetti ideologici restano imprescindibili, «come il neomalthusianesimo che considera l’eccesso delle nascite nelle classi povere come un problema per la qualità di vita». E infatti «gli architetti del Nwo sono ossessionati dal contenimento/riduzione della popolazione». Nell’immaginario collettivo, il Nwo «ha finito per identificarsi con il potere dei colossi bancari e delle multinazionali che ne sono, per certi versi, l’espressione più visibile». E non è tutto: c’è anche «una visione prometeica e luciferina che convoglia nel Transumanesimo e nelle sue applicazioni cibernetiche, virtuali e tecnologiche: l’idea di fondo è che l’uomo può farsi Dio e abbattere la natura, arrivando a derive post-umane finora impensabili». Nel frattempo, le masse occidentali (e mediorientali, manipolate anch’esse) possono “godersi” l’orrore del terrorismo, una macchina infernale che genera paura, «e la paura è un potente strumento di controllo».
    Riflette Enrica Perucchietti: «Manipolando le persone in fase di shock, sull’ondata emotiva degli eventi, è possibile introdurre misure liberticide fino a quel momento impensabili, lasciando credere ai cittadini che i provvedimenti scelti siano per il loro bene e la loro sicurezza». Terrorismo ed estremismo «vengono sfruttati abilmente, evocati quotidianamente, politicizzati per poterne sfruttare l’ondata d’urto emotiva». Citando Orwell, la sensazione è che la “guerra al terrore” sia stata concepita come perenne per «poter mantenere intatta la struttura della società» e introdurre uno Stato di polizia. «La guerra non deve cioè aver fine, ma deve servire per poter legittimare misure estreme». Per questo, aggiunge l’analista, «non si può distruggere Al-Qaeda senza pensare che spunti un altro pericolo, Isis o altra organizzazione terroristica che sia». E il terrore «doveva finire per divampare anche in Europa», perché «si stava affievolendo la tolleranza del popolo ad accettare sacrifici per “esportare” la democrazia in paesi lontani». Sicché, «l’unico modo per poterlo spingere a continuare a oliare la macchina da guerra era far assaggiare all’Occidente quel genere di “paura” che noi italiani conosciamo bene: gli anni di piombo».
    Gli artefici del mondialismo, conclude Perucchietti, «hanno sfruttato con cura occasioni tragiche e non si sono fatti problemi a inscenare od ordire attentati, o comunque a strumentalizzarli per creare i presupposti per poi poter raccogliere e sfruttare delle opportunità calcolate con cura». In questo contesto «rientrano anche le cosiddette “false flag”», ovvero le operazioni “sotto falsa bandiera” come quelle che hanno funestato la Francia con sinistra, cronometrica precisione. Lo rileva Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, secondo cui – nella Francia che ha imposto il silenzio alle indagini su Charlie Hebdo (segreto militare, dopo la scoperta del possibile ruolo dell’intelligence nell’armamento del commando), l’opaco neo-terrorismo ha colpito Nizza il 14 luglio, giorno “sacro” per i massoni progressisti anti-oligarchici, e Parigi il 13 novembre (Bataclan), nell’anniversario di una giornata infausta per i Templari perseguitati nel ‘300, a cui evidentemente i mandanti dell’Isis, mondialisti e atlantici, vorrebbero richiamarsi, firmando il loro sanguinoso delirio. Dove finiremo, di questo passo? A Pechino, risponde Enrica Perucchietti: sarà probabilmente a Cina a mandare in fumo i giochi “illuminati” dell’élite nera, insediando sul trono del pianeta – diversamente mondializzato, ma sempre senza democrazia – da una futura élite “gialla”.

    Il nuovo ordine mondiale? Lo farà la Cina. «Non è solo il maggior creditore degli Usa, ma nel breve tempo di un decennio si è contraddistinta per l’assalto alle roccaforti del capitalismo statunitense e per una nuova forma di colonizzazione africana». Il destino della Cina sembra quindi sfuggire allo storico braccio di ferro di Washington e Mosca: «Nell’espansionismo cinese c’è infatti l’impronta di una nuova classe dirigente, tecnocratica e pragmatica, silenziosa e lungimirante». La Cina diventerà egemone perché, oltre alla capacità di azione, ha sufficienti risorse interne per conquistare il potere globale. A tutto ciò si aggiunge che i cinesi hanno la volontà e la capacità «di controllare i flussi di investimenti con cui raggiungere i propri obiettivi». La studiosa torinese Enrica Perucchietti, autrice di saggi come “L’altra faccia di Obama”, “Utero in affitto” e “False flag, sotto falsa bandiera”, oggi segnala un dossier del Club di Roma: “2052. Scenari globali per i prossimi quarant’anni”. Quaranta ricercatori coordinati da Jorgen Randers provano a delineare il futuro globale: la Cina sarà il leader mondiale entro trent’anni. Diverrà «la forza trainante del pianeta», superando in tal mondo i due blocchi storici che competono per la supremazia globale, Usa e Russia.

  • Carte false: così nascosero la storia della Papessa Giovanna

    Scritto il 15/10/17 • nella Categoria: Recensioni • (6)

    «E’ per evitare equivoci sul sesso del Papa che fu introdotta la sedia “gestatoria”, la speciale poltrona per la cerimonia di incoronazione del nuovo pontefice, con un foro nel sedile attraverso cui uno o due diaconi, con le mani, dovevano verificare la presenza degli attributi maschili», ricorda l’agenzia di stampa “Adn Kronos”. La formula di annuncio, in latino: “Habet duo testiculos et bene pendentes”. Questa curiosa consuetudine «fu introdotta nel medioevo, quando la Chiesa decise di porre fine alle dicerie sulla Papessa Giovanna, una giovane donna originaria di Magonza, salita al soglio di Pietro dopo aver ingannato la corte papale sul suo reale stato anagrafico». Ma è veramente esistita, la Papessa femmina? Non per Wikipedia, che propende ancora per la “leggenda”: «La Papessa Giovanna sarebbe stata l’unica figura di Papa donna, che avrebbe regnato sulla Chiesa con il nome di Giovanni VIII dall’853 all’855. È considerata dagli storici alla stregua di un mito o di una leggenda medievale». Poi, nel 2011, lo storico Pietro Ratto scova un volume avventurosamente custodito, che svela che la cronologia vaticana ha “taroccato” due secoli interi, proprio per cancellare – a posteriori – la storia imbarazzante della Papessa, fattasi passare per Papa. Ratto scrive la sua scoperta in un saggio, “Le pagine strappate”, lo invia a grandi editori e si sente rispondere così: «Ma lei non tiene alla sua famiglia?».
    Il libro è uscito, ma è stato accolto dal silenzio più assoluto.  «Ho capito che avevo toccato un potere davvero forte, oltre ogni immaginazione», afferma Ratto in un’intervista. Nel sito “In-Contro Storia” premette: «La storia che i professori insegnano a scuola è quella che a loro volta hanno imparato». Tutto scorre senza intoppi e senza dubbi: «In pochi si chiedono se ciò che viene raccontato sia effettivamente accaduto, e le perplessità che eventualmente insorgono vengono presto soffocate». Chi davvero cerca la verità la può trovare, aggiunge Ratto, «ma solo a patto di stravolgere le proprie conoscenze, mantenendosi aperto a sempre nuove prove, a sempre nuovi elementi di studio». Il suo libro, “Le pagine strappate”, descrive passo dopo passo «l’affascinante analisi di un testo del Quattrocento sfuggito alla censura del Concilio di Trento». Un’analisi che Ratto definisce «onesta, appassionante e appassionata, che incredibilmente svela i trucchi della Chiesa per rimuovere la vicenda storica della Papessa Giovanna, restituendoci uno scorcio di realtà da tempo rimossa».
    Per il blog storico “Sguardo sul Medioevo”, il saggio di Ratto è «altamente convincente», dal momento che l’autore «riesce quantomeno a dimostrare che la censura selvaggia della Chiesa abbia davvero nascosto una presunta Papessa». L’originalità de “Le pagine strappate”, rileva “SoloLibri.net”, «sta proprio nel modo di in cui l’autore ha scelto di esporre i risultati di una ricerca storica – basata su dati verificati, su notti insonni, su confronti, calcoli, date, fonti antiche – rendendola accessibile ed invitante, senza banalizzarla ma accrescendone invece il fascino, anche per chi non mastica storia quotidianamente». Wikipedia, che non è aggiornata sul libro di Ratto e quindi alla storia della Papessa non crede, ricorda però che la vicenda «ottenne in Occidente un qualche grado di plausibilità a causa di elementi intriganti contenuti nella storia». Il primo a raccontare questa storia per iscritto, nel 1240, fu il cronista domenicano Giovanni di Metz, ripreso pochi anni dopo dal confratello Martino Polono. Chi era, Giovanna? Secondo la narrazione, scrive Wikipedia, si trattava di una donna inglese, educata a Magonza: «Per mezzo dei suoi convincenti e ingannevoli travestimenti in abiti maschili, riuscì a farsi monaco con il nome di Johannes Anglicus per poi salire al soglio pontificio, alla morte di Papa Leone IV (17 luglio 855), con il nome di Giovanni VIII».
    Sembra che la Papessa non praticasse l’astinenza sessuale, aggiunge Wikipedia. Così, Giovanna rimase incinta «di uno dei suoi tanti amanti». Durante la solenne processione di Pasqua, nella quale il Papa tornava al Laterano dopo aver celebrato messa in San Pietro, mentre il corteo papale era nei pressi della basilica di San Clemente, la folla entusiasta si strinse attorno al cavallo che portava il Pontefice. «Il cavallo del Papa, impaurito, reagì violentemente, provocando a “Papa Giovanni” un travaglio prematuro». Scopertone il segreto, la Papessa Giovanna «fu fatta trascinare per i piedi da un cavallo, attraverso le strade di Roma, e lapidata a morte dalla folla inferocita nei pressi di Ripa Grande». Fu poi sepolta «nella strada dove la sua vera identità era stata svelata, tra San Giovanni in Laterano e San Pietro in Vaticano». In altre versioni, Giovanna sarebbe morta subito, al momento del parto; oppure, una volta scoperta, rinchiusa in un convento. Pietro Ratto, però, racconta un’altra storia. Che comincia, per lui, nel novembre del 2011. Via web ha appena conosciuto un personaggio misterioso, protetto dall’anonimato, che l’autore chima “l’Erudito”. Vive in una baita in montagna, isolata, immersa nella natura. Un giacimento di archivi preziosi: incunaboli, pergamene, manoscritti antichissimi. Anche un originale del Decamerone di Boccaccio. E poi Machiavelli, Mazzarino e Guicciardini, tutti «in preziosissime, inestimabili edizioni originali», per non parlare delle pergamene del Trecento, dei documenti longobardi.
    «Tra le tante meraviglie – racconta Ratto – l’Erudito collezionista mi spalanca davanti agli occhi, sornione, un testo del Quattrocento. Un’opera di un illustre storico della Chiesa, in un’edizione miracolosamente sfuggita all’inesorabile censura del Concilio di Trento, che strategicamente l’anziano collezionista apre sul tavolo in un punto preciso, proprio là dove un anonimo segnalibro si nascondeva da chissà quanti anni. Gli domanda: «La conosce la storia della Papessa Giovanna?». Ma certo, la famosa favola. Al che, “l’Erudito” storce il naso: «Non gli piace ch’io liquidi frettolosamente come leggenda quello che considera un evento storico a tutti gli effetti». L’anziano bibliofilo non aggiunge nient’altro, «ma il suo sguardo beffardo è un invito alla lettura, allo studio, una volta tornato a casa». Giorni e notti di lavoro febbrile, in cui Ratto passa dallo scetticismo all’euforia. «Gli occhi bruciano, a suon di leggere e rileggere», contando «giorni, mesi, anni, tra l’855 ed il 1100». “L’Erudito” gli procura alcune edizioni successive dell’opera, quelle opportunamente rivedute e corrette dagli inquisitori, quelle che gli storici conoscono a menadito. «E man mano che procedo, man mano che conto, mi accorgo del trucco», scrive Ratto.
    «La Papessa, evidentemente, è esistita davvero, dato che la Chiesa è ricorsa ad un complesso processo di falsificazione di date e nomi di Pontefici relativi ai duecento anni successivi per occultare e rimuovere dalla storia un periodo esattamente corrispondente al lasso di tempo in cui, secondo gli storici medievali, si sarebbe verificato il suo pontificato», afferma lo studioso. «Le pagine che mi trovo di fronte e radiografo per settimane ne sono la prova». Da qui nasce il libro, “Le pagine strappate”, che «narra di questa mia entusiasmante ricerca, le cui tappe vengono raccontate come in un romanzo ma meticolosamente spiegate e dimostrate, come in un saggio storico». E’ un libro che parla di un altro libro, “Delle vite dei Pontefici”, scritto dal celebre storico rinascimentale Bartolomeo Sacchi, detto il Platina. Attenzione: l’edizione che Ratto si ritrova tra le mani è quella originale del 1552, tradotta in volgare e sfuggita ai censori. E’ ben diversa, dunque, da quella “ripulita” che poi è giunta agli storici. Così, la ricerca dello studioso «si trasforma in un autentico scoop, per quanto la scabrosità della scoperta abbia indotto gli “studiosi” e la stampa più o meno specializzata a non divulgarla».
    «Comincia così la mia analisi comparata nei confronti di questa antica copia, confrontata con l’edizione in latino del 1562 e con quella in volgare del 1650, colpite invece da una progressiva censura ecclesiastica», spiega Ratto. «Tutte e tre le copie sono, naturalmente, presenti nella collezione dell’anziano collezionista. Dal confronto delle tre edizioni risalgo pian piano alle ragionevoli prove dell’esistenza della Papessa ed agli evidentissimi trucchi con cui i suoi due anni di pontificato potrebbero essere stati cancellati dalla Storia, ricorrendo a complesse correzioni di date e nomi di pontefici relativi ai due secoli successivi». Tanto per cominciare, il Platina era il direttore della Biblioteca Vaticana. Un illustre umanista, che ha dedicato la sua storia dei Papi a Sisto IV, pontefice da cui è molto apprezzato e che gli ha conferito quell’importante ruolo. Nonostante ciò, il Platina riporta la vicenda della Papessa, citando il cronista medievale Martino Polono, «senza smentirla o liquidarla come pura leggenda e senza venir attaccato dalla Chiesa».
    Secondo l’edizione del 1552, al momento della sua elezione la Papessa (di cui si raccontano particolari della vita fino al suo parto avvenuto in strada durante una processione), assume il nome di Giovanni VIII. Così, la numerazione dei Papi omonimi continua poi per tutta la serie fino all’ultimo, il predecessore di Martino V, che viene chiamato Giovanni XXIV. Nelle altre due edizioni analizzate, che tendono a considerare la Papessa una “fabula”, Giovanni VIII è colui che nell’edizione del 1552 è Giovanni IX, e il diretto predecessore di Martino V compare come Giovanni XXIII, antipapa. «Questa circostanza è importante: come avrebbe potuto uno storico famoso come il Platina, infatti, sbagliare il numerale di un Papa regnante sessant’anni prima, senza venir pubblicamente smentito e deriso? Sarebbe un po’ come se uno studioso attuale chiamasse Montini “Paolo VII”». Aggiunge Ratto: dall’analisi delle correzioni apportate nelle edizioni del 1562, e soprattutto del 1650, si rafforza l’ipotesi che le complesse motivazioni normalmente addotte per giustificare la celebre “Questio Paparum Joannum”, il rebus che ha assillato gli storici (nel conteggio di tutti i Papi Giovanni, infatti, mancherebbero due pontefici) non avrebbero in realtà nessun fondamento, «a parte l’esigenza di occultare il pontificato della Papessa».
    Autore dell’occultamento: il revisore Onofrio Panvinio, «vero e proprio braccio armato della censura ecclesiastica». Un potente burocrate vaticano, «in grado di risistemare il conteggio dei Giovanni con autentici “giochi di prestigio”». Come quando, nell’edizione del 1650, Panvinio «sostiene improvvisamente di essere in possesso di non meglio precisate “brevi apostoliche”, in virtù delle quali “i Giovanni che noi chiamiamo 21, 22 e 23 si dovrebbero chiamare 20, 21 e 22”. Per Ratto sono «trucchetti, questi, smascherabili proprio grazie al confronto con l’edizione incensurata». Infine, tramite un complesso conteggio condotto in parallelo sulle copie del 1552 e del 1650, relativo a tutti i pontificati a partire da quello del successore di Leone IV – che per la prima edizione è (la Papessa) Giovanni VIII mentre nella seconda è Benedetto III – Piero Ratto rileva «un evidente processo di correzione di centinaia di date di elezione o di morte di pontefici, nonché di nomi e di numerali». Una manipolazione bella e buona, per «assottigliare progressivamente la differenza tra la versione del Platina e quella della Chiesa ufficiale, fino al definitivo riallineamento delle due cronologie, raggiunto con la consacrazione di Benedetto IX, verificatasi nel dicembre 1032».
    Wikipedia riconosce che in molti hanno accostato la carta della Papessa, uno degli “arcani maggiori” dei tarocchi, alla figura della Papessa Giovanna. E cita un romanzo sulla vicenda, “La Papessa Giovanna” del greco Emmanouil Roidis, uscito nel 1865, poi tradotto nel 1954 dall’inglese Lawrence Durrell, col titolo “The Curious History of Pope Joan”. Più recente il romanzo dell’autrice statunitense Donna Woolfolk “Cross Pope Joan” (1996), da cui è stato tratto nel 2009 il film “La papessa”. Ma Wikipedia non cita il saggio di Ratto neppure nella (vasta) bibliografia sulla controversa vicenda. «Ciò che davvero potrebbe aver spinto la Chiesa del Cinquecento a cancellare la vicenda di Giovanna – osserva Ratto – sarebbe stato unicamente l’insopportabile scandalo di una “foemina” sul soglio di Pietro». Da notare, infine, «l’importante e inconfutabile prova» che il saggio fornisce relativamente alla presenza del busto di Giovanna tra quelli degli altri pontefici, «ben visibile nel duomo di Siena ancora alla fine del XVI secolo». In un’opera del 1595, scritta proprio per smentire la “favola” di Giovanna, un giurista cattolico rinascimentale si lamentò a gran voce della presenza di quel busto a Siena e ne richiese l’immediata rimozione. «Un elemento molto importante, questo, dato che fino ad oggi anche questa particolare circostanza è sempre stata liquidata come l’ennesima falsità collegata alla “fabula” e messa in circolazione dai soliti “eretici” protestanti».
    (Il libro: Pietro Ratto, “Le pagine strappate”, Elmi’s World, 112 pagine, 12 euro).

    «E’ per evitare equivoci sul sesso del Papa che fu introdotta la sedia “gestatoria”, la speciale poltrona per la cerimonia di incoronazione del nuovo pontefice, con un foro nel sedile attraverso cui uno o due diaconi, con le mani, dovevano verificare la presenza degli attributi maschili», ricorda l’agenzia di stampa “Adn Kronos”. La formula di annuncio, in latino: “Habet duo testiculos et bene pendentes”. Questa curiosa consuetudine «fu introdotta nel medioevo, quando la Chiesa decise di porre fine alle dicerie sulla Papessa Giovanna, una giovane donna originaria di Magonza, salita al soglio di Pietro dopo aver ingannato la corte papale sul suo reale stato anagrafico». Ma è veramente esistita, la Papessa femmina? Non per Wikipedia, che propende ancora per la “leggenda”: «La Papessa Giovanna sarebbe stata l’unica figura di Papa donna, che avrebbe regnato sulla Chiesa con il nome di Giovanni VIII dall’853 all’855. È considerata dagli storici alla stregua di un mito o di una leggenda medievale». Poi, nel 2011, lo storico Pietro Ratto scova un volume avventurosamente custodito, che svela che la cronologia vaticana ha “taroccato” due secoli interi, proprio per cancellare – a posteriori – la storia imbarazzante della Papessa, fattasi passare per Papa. Ratto scrive la sua scoperta in un saggio, “Le pagine strappate”, lo invia a grandi editori e si sente rispondere così: «Ma lei non tiene alla sua famiglia?».

  • Suicidio demografico: l’Europa perderà 1/3 dei suoi abitanti

    Scritto il 06/10/17 • nella Categoria: segnalazioni • (34)

    Civiltà fantasma globalizzata. In Giappone le scuole elementari chiudono, dato che il numero dei bambini è sceso a meno del 10% della popolazione. Il governo sta convertendo queste strutture in ospizi: il 40% della popolazione è di età superiore ai 65 anni. In Giappone, «la nazione più vecchia e più sterile del mondo», l’espressione “civiltà fantasma” è diventata ormai di uso comune, scrive Rosanna Spadini su “Come Don Chisciotte”. Secondo stime ufficiali, entro il 2040 la maggior parte delle città più piccole del paese vedrà un drammatico calo della popolazione, dal 30 al 50%. I consigli dei villaggi spariscono, insieme ai ristoranti: nel ‘90 erano 850.000, ora si sono ridotti a 350.000. «Le previsioni suggeriscono che in 15 anni il Giappone avrà 20 milioni di case vuote. È forse anche questo il futuro dell’Europa? Probabile, perché tra gli esperti di demografia c’è una tendenza a definire l’Europa il nuovo Giappone». Da parte sua, il paese del Sol Levante sta affrontando questa catastrofe demografica con le proprie risorse e vietando l’immigrazione musulmana. Ma «anche l’Europa sta subendo una sorta di suicidio demografico», che lo storico britannico Niail Ferguson definisce «la più grande riduzione sostenuta della popolazione europea dopo la peste nera del XIV secolo».
    Un segnale sintomatico del nuovo trend socioculturale, per esempio, secondo Spadini sta nel fatto che gli esponenti europei del grande esclusivo club globale, il G7, sono privi di figli: Angela Merkel, Theresa May, Paolo Gentiloni e Emmanuel Macron, cui aggiungiamo il primo ministro olandese Mark Rutte e il primo ministro gay del Lussemburgo, Xavier Bettel. I musulmani europei sembrano sognare di colmare questo vuoto? L’arcivescovo di Strasburgo, Luc Ravel, nominato da Papa Francesco lo scorso febbraio, ha di recente dichiarato che i fedeli musulmani sono ben consapevoli del fatto che la loro fertilità è tale che oggi chiamano “Grand Remplacement” il loro inserimento nella società europea. Quanto all’Italia, il Centro Machiavelli rileva che, se l’attuale tendenza dovesse continuare, «entro il 2065 la quota di immigrati di prima e seconda generazione supererà i 22 milioni di persone, ossia sarà più del 40% della popolazione totale». Il tasso di fertilità dell’Italia è inferiore della metà di quello che era nel 1964, spiega il centro studi, attraverso un dossier firmato da Daniele Scalea (“Come l’immigrazione sta cambiando la demografia italiana”).
    L’Europa (e l’Italia in particolare) stanno affrontando un periodo di flussi migratori in entrata senza precedenti, osserva Rosanna Spadini. «Ciò dipende in primis dalla concomitanza tra declino demografico europeo (dal 22% della popolazione mondiale nel 1950 al 7% nel 2050) ed esplosione demografica africana (dal 9% al 25% della popolazione mondiale in cento anni). Il tasso di natalità è sceso da 2,7 bambini per donna a appena 1,5 bambini per donna, un tasso ben al di sotto del minimo consentito per una rigenerazione sana della popolazione». Inoltre, aggiunge l’analista di “Come Don Chisciotte” citando una recente relazione di “Zerohedge”, si assiste a una maggiore omogeneità dell’immigrazione: le prime dieci nazionalità rappresentano oggi il 64% degli immigrati totali, mentre negli anni ‘70 erano appena il 13%. Tutto ciò non si discosta da quanto sta accadendo in diversi paesi dell’Europa occidentale. «Intorno al 2065 in Gran Bretagna l’etnia britannica dovrebbe perdere la maggioranza assoluta nel proprio paese. Oggi in Germania i minori di 5 anni sono al 36% figli di immigrati, lasciando presagire un grande mutamento nella composizione etnica della prossima generazione».
    A partire dal 2017, l’Italia ha registrato oltre 5 milioni di stranieri che vivono come residenti: «Una crescita del 25% rispetto al 2012 e un enorme 270% rispetto al 2002. All’epoca, gli stranieri costituivano solo il 2,38% della popolazione. Quindici anni dopo la percentuale è quasi triplicata fino all’8,33% della popolazione». Inoltre, la natalità degli immigrati è notevolmente superiore a quella degli italiani nativi: «Non è quindi sorprendente che le regioni italiane con i tassi di fertilità più alti non siano più nel sud, come è sempre accaduto, ma nel nord italiano e nella regione del Lazio, dove c’è una concentrazione maggiore di immigrati». In confronto, solo nel 2001 la percentuale degli stranieri che vivevano in Italia aveva  attraversato la soglia dell’1%, cosa che rivela la velocità e l’entità delle trasformazioni demografiche che si stanno verificando in Italia, un fenomeno senza precedenti. Un’ulteriore preoccupazione avanzata dalla relazione di Scalea è «l’elevata concentrazione delle popolazioni immigrate da pochi paesi d’origine, che spesso produce fenomeni di ghettizzazione».
    Lo scorso anno, in 13 dei 28 paesi membri dell’Unione Europea, il saldo tra nascite e decessi è stato negativo: senza i flussi migratori, le popolazioni di Germania e Italia dovrebbero diminuire rispettivamente del 18% e del 16%. «L’impatto della situazione demografica in caduta libera è più visibile nei paesi dell’ex blocco sovietico, come Polonia, Ungheria e Slovacchia, per distinguerli da quelli della cosiddetta “vecchia Europa”, come Francia e Germania». Questi paesi dell’Est, continua Spadini, sono ora quelli più esposti al fenomeno dello spopolamento e al «devastante crollo del tasso di natalità» che il giornalista e scrittore Mark Steym ha definito «il principale problema del nostro tempo». Alla fine del secolo, «l’Europa potrebbe ritrovarsi come colpita da una bomba al neutrone: gli edifici in piedi, ma senza bambini», si legge in “America Alone”, un pamphlet su crollo demografico, islamismo, sindrome di Stoccolma, solitudine americana e disastri del multiculturalismo. «Se gli occidentali vogliono godere delle benedizioni della vita in una società libera devono capire che la vita che abbiamo vissuto dal 1945 è stato un momento rarissimo nella storia dell’umanità».
    La distanza fra Usa ed Europa sta crescendo: «L’America è l’ultima nazione a sostenere un tasso di crescita riproduttivo, l’ultima grande società religiosa in Occidente, l’ultima a mantenere un esercito in grado di difenderla in qualunque parte del mondo e l’ultima a conservare una tradizione attiva di libertà individuale, incluso il diritto di portare armi». Per una popolazione stabile, si calcola che serva un tasso di crescita del 2,1%, cioè il tasso dell’America, contro l’1,38 dell’Europa, l’1,32 del Giappone e l’1,14 del Canada. A preoccupare sono, ancora, i giapponesi: «Non c’è precedente nella storia per questa crescita economica e crollo del capitale umano: per la prima volta, nel 2005 in Giappone ci sono state più morti che nascite». E’ un paese «di geriatri, senza immigrazione, né minoranze e senza desiderio di niente: solo invecchiare e affievolirsi». Per Steym, anche l’Europa alla fine del secolo sarà come un continente dopo lo scoppio di una bomba al neutrone: «Ci saranno ancora edifici in piedi, ma la popolazione sarà scomparsa. Il tedesco sarà parlato giusto da Hitler, Himmler e Göring durante la seratina di poker all’inferno».
    «Una parte del pianeta sta optando per il suicidio di fronte al surriscaldamento», aggiunge Steym. «L’Europa sarà semi-islamica nel carattere politico e culturale entro due generazioni, forse una. Nel XV secolo la Morte Nera fece fuori un terzo della popolazione. Nel XXI scomparirà per scelta. Stiamo assistendo alla lenta estinzione della civiltà in cui viviamo». Il “New York Times” si è chiesto perché «nonostante la popolazione diminuisca, i paesi dell’Europa orientale non vogliono accettare i migranti». Inoltre, gran parte dell’Europa orientale ha già vissuto l’esperienza dell’occupazione musulmana per centinaia di anni sotto l’Impero Ottomano, «e questi paesi sono tutti consapevoli che ciò potrebbe accadere di nuovo». Ma anche l’Africa sta esercitando pressioni sull’Europa, «come una bomba demografica a tempo». Per il nazionalista olandese Geert Wilders, «nei prossimi trent’anni l’Africa avrà un miliardo di persone in più, cioè il doppio della popolazione dell’intera Unione Europea». Al che, la pressione demografica sarà enorme: «Un terzo degli africani vuole spostarsi all’estero e molti vogliono venire in Europa. Lo scorso anno più di 180.000 persone sono partite dalla Libia a bordo di imbarcazioni fatiscenti. E questo è solo l’inizio».
    Secondo l’Unhcr, l’agenzia Onu per i rifugiati, solo al 2,65% dei migranti arrivati in Italia (4.808) è stato riconosciuto il diritto di asilo, «mentre 90.334 migranti non hanno chiesto l’asilo ma sono scomparsi nell’economia del mercato nero». Secondo il greco Dimitris Avramopoulos, responsabile per le migrazioni in seno alla Commissione Europea, «in questo periodo tre milioni di africani pianificano di entrare in Europa». Michael Moller, direttore dell’ufficio delle Nazioni Unite a Ginevra, avverte che il processo di migrazione «sta accelerando». I giovani hanno tutti i cellulari e possono vedere sul web che cosa sta succedendo in altre parti del mondo. «Infatti – annota Rosanna Spadini – possono vedere sui loro telefoni che, mentre meno del 3% degli immigrati dello scorso anno erano legittimi richiedenti asilo, quasi nessuno viene rispedito indietro», dal momento che i migranti «sono accolti con generosi benefici sociali, alloggi sovvenzionati e sistemi sanitari pubblici».
    Anche l’Europa orientale si sta assottigliando sempre più, e la demografia è diventata un problema per la sicurezza, aggiunge “Come Don Chisciotte”. «Diminuisce il numero delle persone che prestano servizio nell’esercito e operano nell’assistenza sociale: un tempo i paesi dell’Europa orientale temevano i carri armati sovietici, ora temono le culle vuote». Le Nazioni Unite stimano che nel 2016 l’Est Europa fosse abitata da circa 292 milioni di persone, 18 milioni in meno rispetto agli inizi degli anni Novanta. «Questa cifra equivale alla scomparsa dell’intera popolazione dei Paesi Bassi». Il “Financial Times” definisce la situazione est-europea come «la perdita più importante di popolazione della storia moderna». Neppure la Seconda Guerra Mondiale, con i suoi massacri, le deportazioni e i suoi esodi di massa, era giunta a tanto. Entro il 2050, la Romania perderà il 22% della sua popolazione, seguita da Moldavia (20%), Lettonia (19%), Lituania (17%), Croazia (16%) e Ungheria (16%). «Romania, Bulgaria e Ucraina sono i paesi in cui il calo demografico sarà più drastico. Si stima che nel 2050 la popolazione della Polonia conterà 32 milioni di abitanti rispetto ai 38 milioni attuali. Circa 200 scuole sono state chiuse».
    In Europa centrale, la proporzione della popolazione “over 65” è aumentata di un terzo tra il 1990 e il 2010, continua Spadini. La popolazione ungherese ha toccato il punto più basso degli ultimi cinquant’anni. Il numero degli abitanti è sceso dai 10 milioni e 709.000 del 1980 agli attuali 9 milioni e 986.000. «Nel 2050, in Ungheria, ci saranno 8 milioni di abitanti e uno su tre avrà più di 65 anni. L’Ungheria oggi ha un tasso di fecondità di 1,5 figli per donna. Se si esclude la popolazione Rom, questa cifra scende a 0,8, la più bassa del mondo, il motivo per il quale il premier Orbán ha annunciato nuove misure per risolvere la crisi demografica». In Bulgaria, addirittura, «tra il 2015 e il 2050 si registrerà il più veloce calo demografico del mondo». La popolazione bulgara è tra quelle che dovrebbero diminuire di oltre il 15%, insieme a Bosnia Erzegovina, Croazia, Ungheria, Giappone, Lettonia e Lituania, imsieme a Moldavia, Romania, Serbia e Ucraina. «Si stima che la popolazione bulgara, che ammonta a circa 7,15 milioni di abitanti, scenderà a 5,15 milioni entro 30 anni – un calo del 27,9% per cento».
    Secondo dati ufficiali, in Romania sono nati 178.000 bambini. «A titolo di confronto, nel 1990, il primo anno dopo la caduta del regime comunista, ci furono 315.000 nascite. Lo scorso anno in Croazia si sono registrate 32.000 nascite, un calo del 20% rispetto al 2015. Lo spopolamento della Croazia potrebbe portare alla perdita di 50.000 abitanti l’anno». Quando la Repubblica Ceca faceva ancora parte del blocco sovietico (come Cecoslovacchia), il suo tasso di fecondità era opportunamente prossimo al tasso di sostituzione (2,1%). «Oggi è il quinto paese più sterile del mondo». Analoga la situazione della Slovenia: ha il Pil pro capite più alto dell’Europa orientale, ma un tasso di fecondità molto basso. «Alla fine – conclude Rosanna Spadini su “Come Don Chisciotte” – l’immigrazione di massa probabilmente riempirà le culle vuote, ma poi anche l’Europa diventerà una “civiltà fantasma”». Sembra sia solo questione di tempo: «Uno strano tipo di suicidio programmato».

    Civiltà fantasma globalizzata. In Giappone le scuole elementari chiudono, dato che il numero dei bambini è sceso a meno del 10% della popolazione. Il governo sta convertendo queste strutture in ospizi: il 40% della popolazione è di età superiore ai 65 anni. In Giappone, «la nazione più vecchia e più sterile del mondo», l’espressione “civiltà fantasma” è diventata ormai di uso comune, scrive Rosanna Spadini su “Come Don Chisciotte”. Secondo stime ufficiali, entro il 2040 la maggior parte delle città più piccole del paese vedrà un drammatico calo della popolazione, dal 30 al 50%. I consigli dei villaggi spariscono, insieme ai ristoranti: nel ‘90 erano 850.000, ora si sono ridotti a 350.000. «Le previsioni suggeriscono che in 15 anni il Giappone avrà 20 milioni di case vuote. È forse anche questo il futuro dell’Europa? Probabile, perché tra gli esperti di demografia c’è una tendenza a definire l’Europa il nuovo Giappone». Da parte sua, il paese del Sol Levante sta affrontando questa catastrofe demografica con le proprie risorse e vietando l’immigrazione musulmana. Ma «anche l’Europa sta subendo una sorta di suicidio demografico», che lo storico britannico Niall Ferguson definisce «la più grande riduzione sostenuta della popolazione europea dopo la peste nera del XIV secolo».

  • Messora: bei tempi, quando esisteva il Movimento 5 Stelle

    Scritto il 02/10/17 • nella Categoria: idee • (3)

    «C’era una volta il Movimento 5 Stelle». Era fatto «di cittadini che prendevano decisioni tutti insieme, dopo avere scartato migliaia di scelte alternative, valutate attentamente una per una». La televisione «era considerata complice del sistema e artefice del decadimento civico e culturale», e i sondaggi «erano l’antitesi della buona politica», nemici della democrazia diretta. All’indomani dell’investitura di Luigi Di Maio, il blogger Claudio Messora, fondatore di ByoBlu e già comunicatore dei pentastellati, intona il de profundis del movimento grillino. Bei tempi, quando «la demoagogia ripugnava tutti» e i protagonismi «erano il peccato originale, da cui era necessario pentirsi», sublimandolo «nella retorica del “cittadino portavoce”». Tutto era trasmesso in streaming, due mandati erano “due legislature” (e non dieci anni). Le cariche interne «ruotavano ogni tre mesi, tutte, così nessuno avrebbe potuto impadronirsi di una poltrona e diventare inamovibile. Tanto, un portavoce era solo un segnaposto della volontà degli attivisti certificati: era sostituibile».
    Le riunioni a porte chiuse? Atra «eresia blasfema, perché contrarie alla trasparenza»: per definizione «ponevano nelle mani di pochi il potere di elaborare strategie nascoste». Democrazia diretta e strategie di palazzo? «Incompatibili a priori». Il titolo di “onorevole”, poi, «era una macchia indelebile da cancellare con lunghi pellegrinaggi nei MeetUp di origine». All’epoca, il capo politico non esisteva ancora: non lo era neppure Beppe Grillo. C’erano solo due garanti, Grillo e Casaleggio, «lungimiranti fondatori, che tenevano a freno le derive individualistiche di ragazzi catapultati all’improvviso nelle stanze del potere senza i necessari anticorpi, omaggiati e riveriti dai media e dalle associazioni di interessi». Erano i tempi in cui Casaleggio rimetteva alla rete ogni decisione, e la rete talvolta votava perfino contro a quello che avrebbe voluto lui, come nel caso della depenalizzazione del reato di clandestinità, continua Messora. «Il rispetto degli attivisti era non solo formale, ma sostanziale, e questo si traduceva in referendum online dagli esiti mai scontati e presentati con completezza di informazione. Anche perché gli attivisti di una volta, quelli che si erano scorticati la pelle delle mani nel corso di interminabili banchetti al freddo e al gelo, non avrebbero mai e poi mai accettato niente di meno».
    Erano i tempi in cui Grillo girava senza scorta per le strade di Roma, perché lui poteva permetterselo e se ne vantava. Oggi invece Di Maio «ha bisogno di girare circondato dalla security». Bei tempi, appunto, quando il Movimento 5 Stelle «provava a declinare in politica il suo retroterra antieuropeista e sovranista, antielitario e fieramente populista», come rivendicato dallo stesso Casaleggio, «il genio comunicativo» che spesso «stravolgeva ogni aspettativa e ribaltava la prospettiva». E lo stesso Grillo «scendeva a Roma chiamando il popolo in piazza Montecitorio, e i politici scappavano dal palazzo come topi in fuga, mentre le acque si facevano agitate e rombavano minacciose, facendo tremare i muri delle aule». Quelli, continua Messora, erano i tempi in cui il Movimento 5 Stelle era diverso da tutte le altre forze del sistema, da Bersani ai mostri di Bruxelles, «il peggio degli europeisti banchieri, artefici dell’austerity come l’Alde, in cui i 5 Stelle Europa volevano confluire sotto la sapiente guida di europarlamentari stimati da Mario Monti e ormai dimentichi della logica dei portavoce, ma sempre più calati nei panni del perfetto manovratore di palazzo».
    Quei tempi sono finiti, scrive Messora. «Oggi il Movimento 5 Stelle è un partito. Si comporta da partito. Ha i riti di un partito. Accentra il potere, come un partito. Ha i suoi servi, i suoi yes-men, i suoi adoratori, i suoi fan, la sua terminologia, i suoi giornalisti, come un partito. Ha perfino il culto della personalità del capo». E’ finita la spinta propulsiva, la voglia di rottura, «la narrazione dirompente, la creazione di un linguaggio differente, motivante, sferzante, con i suoi neologismi dissacranti». Si è esaurita «la componente di attivismo disinteressato e un po’ ingenuo, l’esaltazione dell’uguaglianza», che aveva attratto «intellettuali anticonvenzionali che rappresentavano visioni diverse e inascoltate sulla società, sulle tematiche ambientali, sul futuro». Tutto questo non esiste più, dice Messora: il Movimento 5 Stelle ha compiuto la sua metamorfosi. «Dal bozzolo è uscito un leader (termine che un tempo avrebbe procurato inguaribili allergie e insopportabili pruriti)», il quale «ha vinto primarie senza rivali, con risultati bulgari, che in ossequio all’era dei reality show hanno tuttavia beneficiato di una suspence artificiale, con tanto di musica da nomination del Grande Fratello». Poco seria, la faccenda: i vertici avevano già scelto Di Maio da tempo, «quindi la cosa più ragionevole da fare (e più onesta) sarebbe stata per il garante prendersi la responsabilità di proporre Di Maio e sottoporre il suo nome a una ratifica referendaria sul blog, da parte degli attivisti». Sempre meglio che una (finta) vittoria, senza concorrenti.
    Nel sogno della diversità, i primi “grillini” ci avevano creduto «quando tutti gli altri li prendevano in giro». E avevano combattuto contro qualunque pregiudizio perché erano davvero affascinati «dalla purezza cristallina di un’idea coraggiosa e sfrontata», ed erano riusciti a coinvolgere con il loro disinteressato entusiasmo ben 9 milioni di elettori «che nulla sapevano dei Cinque Stelle», ma avevano «interiorizzato solo un grande, immenso vaffanculo». Alla fine di questa metamorfosi, ecco dunque un partito in pole position nei sondaggi: un partito leaderistico, «nato pescando nelle ideologie di sinistra, così come nel serbatoio di elettori delusi a destra», ma che ora – rinnegato Farage con la sua Brexit e sfatato il mito dell’accoglienza tout court dei rifugiati – si è «riposizionato con nonchalance al centro, lontano dagli estremi e in corsa per Palazzo Chigi con il beneplacito della Chiesa, del potere transazionale della Trilaterale (Monti, Napolitano & Co), delle lobby, dell’establishment americano in cui il Cinque Stelle è di casa, dei circoli europeisti di Bruxelles, della finanza internazionale e dei mercati, cui Di Maio si è appellato personalmente».
    Ma attenzione, continua Messora: è un partito che non ha segreterie né strutture dirigenziali, non ha correnti ma neppure regole, non ha tempi certi per sostituire il capo politico, che può decidere candidature ed espulsioni. Un partito ibrido, «dove tutti sono d’accordo perché gli altri per definizione sono già stati espulsi», e molti di quelli che avevano remore e hanno pensato per lungo tempo di esternarle «ora sorridono sul palco dietro a Luigi che abbraccia Beppe, come se fossero tutti una grande famiglia da Mulino Bianco». Ma dov’è la democrazia, cioè la facoltà di dissentire? «Poi il risultato sono primarie che assomigliano più a un sorteggio di Champions, dove in un girone da una parte c’è la Juventus e dall’altra tre squadrette dell’oratorio». Di certo, concede Messora, «non ci troviamo di fronte a una forza politica peggiore del Pd, di Forza Italia, della Lega e di tanti altri soggetti che da lungo tempo calcano il palcoscenico istituzionale».
    Magra consolazione: questo nuovo partito «non ha ancora avuto modo di fare i danni che i vecchi partiti hanno certamente e incontestabilmente apportato al tessuto sociale, produttivo ed economico del paese». E’ vero, il nuovo “partito” 5 Stelle non ha un solido programma alternativo. Però «non lo si può accusare di essere responsabile delle privatizzazioni, delle liberalizzazioni, delle cessioni di sovranità, della sottomissione ai mercati, della distruzione del tessuto produttivo e della domanda interna, della ratifica del pareggio di bilancio, del Fiscal Compact, del Mes». Tutte «disgrazie», aggiunge Messora, che il partito ora capeggiato da Di Maio «ha finora dimostrato di non avere compreso e alle quali non sembra intenzionato a porre rimedio». E questo è l’aspetto di gran lunga più preoccupante: gli ex “ribelli” pentastellati non si impegnano contro il vero nemico, nemmeno lo vedono. O fingono di non vederlo, che è ancora peggio.

    «C’era una volta il Movimento 5 Stelle». Era fatto «di cittadini che prendevano decisioni tutti insieme, dopo avere scartato migliaia di scelte alternative, valutate attentamente una per una». La televisione «era considerata complice del sistema e artefice del decadimento civico e culturale», e i sondaggi «erano l’antitesi della buona politica», nemici della democrazia diretta. All’indomani dell’investitura di Luigi Di Maio, il blogger Claudio Messora, fondatore di ByoBlu e già comunicatore dei pentastellati, intona il de profundis del movimento grillino. Bei tempi, quando «la demoagogia ripugnava tutti» e i protagonismi «erano il peccato originale, da cui era necessario pentirsi», sublimandolo «nella retorica del “cittadino portavoce”». Tutto era trasmesso in streaming, due mandati erano “due legislature” (e non dieci anni). Le cariche interne «ruotavano ogni tre mesi, tutte, così nessuno avrebbe potuto impadronirsi di una poltrona e diventare inamovibile. Tanto, un portavoce era solo un segnaposto della volontà degli attivisti certificati: era sostituibile».

  • Un milione gli Ufo finora avvistati. Perché gli Usa tacciono

    Scritto il 30/9/17 • nella Categoria: segnalazioni • (1)

    Sui grandi media non se ne parla mai, ma sono un milione gli Ufo avvistati nel mondo, negli ultimi 70 anni. E almeno il 20% degli avvistamenti – quindi, non meno di 200.000 – sono stati “validati” dall’intelligence militare di decine di paesi. Lo rivela il sociologo Roberto Pinotti, storico leader del Cun, Centro ufologico nazionale, riconosciuto dall’aeronautica militare. «Una realtà che il potere ufficiale continua a non ammettere, benché ne sia perfettamente a conoscenza». Il perché di questo decennale, imbarazzato silenzio? «Semplice: chi oggi detiene la leadership, nel mondo, dovrebbe ammettere la propria catastrofica inferiorità tecnologica di fronte a esseri infinitamente superiori», sostiene Pinotti in una recente conferenza, ripresa da “YouTube”. «Tutti sanno che gli alieni ci stanno monitorando», aggiunge. «Se avessero cattive intenzioni, avrebbero già annientato l’umanità». Si metteranno “ufficialmente” in contatto con noi? «Ma con chi potrebbero parlare? Con gli Usa, sempre in guerra col resto del mondo? Con i russi, i cinesi, gli indiani, gli europei? Meno improbabile, semmai, un contatto con autorità morali: il Dalai Lama non ha escluso questa eventualità, e la stessa Chiesa cattolica attribuisce un’importanza strategica al modernissimo osservatorio astronomico della Specola Vaticana di Mount Graham, in Arizona».
    “Res Inexplicata Volans”, è la definizione – in latino – con cui gli stimatissimi scienziati di Mount Graham, gesuiti, definiscono astronavi e dischi volanti. Fenomeno la cui osservazione ufficialmente documentata risale al 1947. Da allora, se ne sono occupati ininterrottamente i maggiori esperti militari, dall’aviazione statunitense fino alla Royal Air Force britannica, incluso il Kgb sovietico: «Proprio da Mosca, dopo il crollo dell’Urss – aggiunge Pinotti – abbiamo avuto accesso una mole veramente enorme di materiale top secret». Attualmente si contano oltre 12.000 dossier ufficiali dei militari statunitensi, mentre sono 1.700 quelli che la Francia ha raccolto dal 1977. La media si equivale ovunque: oltre il 20% degli avvistamenti resta puntualmente “inspiegato”. Sono circa 500, poi, i casi «tuttora senza una spiegazione certa», registrati in Italia dal Reparto Generale Sicurezza dell’aeronautica militare, istituito da Giulio Andreotti dopo i 2.000 avvistamenti sulla penisola verificatisi nel biennio 1978-79. Lo stesso Centro ufologico nazionale ha agli atti oltre 12.000 rapporti. «Nessuno ormai osa più dire che il fenomeno non è reale», conferma il Cun. Pinotti, già ufficiale dell’aeronautica nonché saggista di successo e giornalista aerospaziale, dispone di un archivio di oltre 8.000 fotografie. Tutte autentiche? Le falsificazioni accertate, assicura, non superano il 10%.
    Vladimiro Bibolotti, attuale presidente del Cun, sul “Fatto Quotidiano” ricorda che il 24 giugno 1947, esattamente 70 anni fa, il pilota civile americano Kenneth Arnold, mentre volava nei pressi del Monte Rainier nello Stato di Washington avvistò «una formazione di 9 oggetti volanti in fila indiana che sembravano saltellare come piattini sull’acqua». Oltre alla elevata velocità, quegli oggetti «avevano una forma particolare, semicircolare “come il tacco di una scarpa”». Ma per i giornalisti dell’epoca, attirò di più la versione di “piattini volanti”: quella colorita definizione, “flying saucer”, era destinata a diventare famosa, trasformandosi poi in “flying disc”. Solo tra il 1952 e il 1953 l’oggetto volante diventò Ufo, “Unidentified flying object”. La notizia dell’avvistamento, continua Bibolotti, non fu subito presa in seria considerazione, fino a quando – pochi giorni dopo – alcuni piloti militari avvistarono anche loro degli oggetti volanti comparabili con quelli osservati da Kenneth Arnold. Durante l’estate del ‘47 «furono moltissimi gli avvistamenti segnalati in ogni parte del territorio degli Stati Uniti, e cosa poco nota, furono scattate molte fotografie proprio da piloti militari». Così, anche grazie ai media, era nata l’ufologia.
    Già antiche cronache latine e medioevali, aggiunge il presidente del Cun, troviamo fenomeni celesti molto curiosi, dalle descrizioni simili e assimilabili alle moderne segnalazioni di fenomeni Ufo. E durante la Seconda Guerra Mondiale comparvero i cosiddetti “Foo Fighters”, «che volavano impunemente in mezzo alle formazioni degli alleati o dell’asse». Tuttavia, l’avvistamento del 24 giugno 1947 è considerato convenzionalmente come il “primo”. A distanza di 70 anni, il fenomeno Ufo continua ad appassionare. Come ebbe a dire un decennio fa l’allora presidente dell’Unione giornalisti aerospaziali italiani, il compianto Cesare Falessi: «Gli Ufo? Certo che esistono! Se per assurdo così non fosse, il vero scoop sarebbe scoprire in virtù di quale incredibile prodigio una questione inesistente continua a rimbalzare tuttora sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo, a distanza di sei decenni». Oggi, a dieci anni dalla scomparsa di Falessi, dopo che il fenomeno è stato a lungo negato dalle autorità, «si scopre che invece le varie agenzie governative, non ultima la Cia, investigarono meticolosamente e con un ingente budget a disposizione».
    A conferma di ciò, continua Bubolotti, c’è da poco stato il rilascio di ben 800.000 dossier, con oltre un milione di pagine a testimonianza dell’interesse per quelle manifestazioni tecnologiche così inconsuete. Come disse il presidente americano Harry Truman in una conferenza stampa televisiva per tranquillizzare l’opinione pubblica americana dopo il famoso sorvolo nel 1952 di alcuni oggetti sopra la Casa Bianca, «se mai tali oggetti fossero reali, non sarebbero stati costruiti da nessuna nazione della Terra». C’è chi ha trasformato questa ricerca «in atti di fanatismo religioso, minando la credibilità stessa del fenomeno», al pari degli scettici «che non hanno mai letto dossier di fonte militare», accusa il presidente del Cun. Depistatori, che hanno trasformato il tutto «in cattive interpretazioni di percezione o allucinazioni, dimenticando che persino noti astronomi d fama mondiale come Clyde Tombaugh, scopritore di Plutone, nonché piloti militari, scienziati e premi Nobel sono stati testimoni di avvistamenti di oggetti la cui natura tecnologica e intelligente esula dalle nostre capacità costruttive». Conferma il grande astrofisico Stephen Hawking: «Non siamo soli, nell’universo».
    A settant’anni dall’avvistamento di Kenneth Arnold, però, rimane ancora il ragionevole dubbio e il mistero che tali oggetti ci lasciano, sia come manifestazione tecnologica, sia come fenomeno sociologico che investe l’intera umanità, coclude Bubolotti. «Evidentemente, la vastità dell’universo e le nuove scoperte ci avvicinano a nuove prospettive e conoscenze paragonabili alla rivoluzione copernicana che scardinò l’idea che la Terra fosse al centro dell’universo». Forse, lo studio e la verifica della realtà degli “oggetti volanti non identificati”, «fenomeno oggettivamente non misurabile convenzionalmente, nonostante tracciati radar e filmati militari», alla fine «sconfesserebbe il modus operandi di scettici che, senza aver mai studiato carte e documenti, lapidariamente hanno liquidato la questione come inesistente». Storici precedenti smentiscono i negazionisti: è il caso delle meteoriti che «solamente nel 1794, dopo la caduta di molti esemplari a Siena, furono accettate come fenomeno reale, nonostante oltre 5.000 anni di osservazioni astronomiche».
    Roberto Pinotti è ancora più drastico: imputa agli Usa l’imposizione del “grande silenzio” sulla materia, perché «la superpotenza, in quanto tale, è quella che averebbe più da perdere, di fronte all’ammissione dell’esistenza di entità ben più potenti». Anche per questo, aggiunge, proprio gli Usa – tramite la fantascienza di Hollywood e le produzioni televisive appositamente finanziate – ha cercato di manipolare l’immaginario collettivo: un po’ per mettere gli Ufo in burletta, e un po’ per cominciare ad abituare la popolazione all’idea che, un bel giorno, l’evento destinato a terremotare la coscienza dell’umanità potrebbe davvero accadere, «come i militari sanno benissimo, dato che – anche in Italia – compilano accurati dossier», in parte trasferiti allo stesso Cun, redatti con precisione impressionante: caratteristiche del veicolo osservato, dimensioni, luminosità, rumore, tipo di volo. C’è di tutto, compresa la descrizione minuziosa di atterraggi. «Cito da fonte precisa, militare: membri dell’equipaggio, due. Altezza: un metro e trenta. Abbigliamento: tuta azzurra e casco bianco, con antenne».

    Sui grandi media non se ne parla mai, ma sono un milione gli Ufo avvistati nel mondo, negli ultimi 70 anni. E almeno il 20% degli avvistamenti – quindi, non meno di 200.000 – sono stati “validati” dall’intelligence militare di decine di paesi. Lo rivela il sociologo Roberto Pinotti, storico leader del Cun, Centro ufologico nazionale, riconosciuto dall’aeronautica militare. «Una realtà che il potere ufficiale continua a non ammettere, benché ne sia perfettamente a conoscenza». Il perché di questo decennale, imbarazzato silenzio? «Semplice: chi oggi detiene la leadership, nel mondo, dovrebbe ammettere la propria catastrofica inferiorità tecnologica di fronte a esseri infinitamente superiori», sostiene Pinotti in una recente conferenza, ripresa su “YouTube”. «Tutti sanno che gli alieni ci stanno monitorando», aggiunge. «Se avessero cattive intenzioni, avrebbero già annientato l’umanità». Si metteranno “ufficialmente” in contatto con noi? «Ma con chi potrebbero parlare? Con gli Usa, sempre in guerra col resto del mondo? Con i russi, i cinesi, gli indiani, gli europei? Meno improbabile, semmai, un contatto con autorità morali: il Dalai Lama non ha escluso questa eventualità, e la stessa Chiesa cattolica attribuisce un’importanza strategica al modernissimo osservatorio astronomico della Specola Vaticana di Mount Graham, in Arizona».

  • Cahill: abusi sui minori, 7 preti cattolici su 100 sono pedofili

    Scritto il 24/9/17 • nella Categoria: segnalazioni • (3)

    Bergoglio continua a blaterare a vuoto, senza mai supportare le proprie parole con azioni che siano degne di queste parole. Ieri si è scagliato nuovamente – a parole – contro il «terribile peccato» della pedofilia. «Lo scandalo dell’abuso sessuale – ha dichiarato Bergoglio – è una rovina terribile per tutta l’umanità, che colpisce tanti bambini, giovani e adulti vulnerabili in tutti i paesi e in tutte le società. Per la Chiesa è stata un’esperienza molto dolorosa. Sentiamo vergogna per gli abusi commessi da ministri consacrati, che dovrebbero essere i più degni di fiducia». E poi ha aggiunto: «La Chiesa ha affrontato questi crimini in ritardo e anche un solo abuso basta a condanna senza appello». E no, caro Bergoglio, è qui che ti sbagli. La Chiesa non ha affrontato proprio nulla, durante il tuo pontificato. Ha solo “preso atto” – a parole, nuovamente – che il problema esiste, ma non ha fatto assolutamente nulla per cercare di risolverlo. Bergoglio infatti, per affrontare il problema, non avrebbe trovato di meglio che «cercare di prendere più gente che lavori nella classificazione dei processi, persone che studiano i dossier». Come se i dossier già esistenti non fossero sufficienti a capire le dimensioni e la portata del problema.
    Se davvero il Papa fosse interessato a fare qualcosa per combattere la pedofilia del clero, invece di “assumere più gente che lavori alla classificazione dei processi” potrebbe leggersi, ad esempio, questo rapporto pubblicato la scorsa settimana dal Centre for Global Research dell’Università di Melbourne, intitolato “Child sexual abuse in the Catholic Church: an interpretive review of the literature and public inquiry reports”. Scritto da un ex-prete cattolico, Des Cahill, e dal teologo Peter Wilkinson, il rapporto giunge all’agghiacciante conclusione che ben il 7% dell’intero clero cattolico ha abusato di bambini, in una forma o nell’altra, fra il 1950 e il 2000. Provate a scaricare il rapporto completo, e soltanto a leggere l’indice degli argomenti vi si rizzeranno i capelli in testa. La ragione principale di questa sistematica «devianza collettiva» – secondo il rapporto – è la cultura repressiva del celibato, imposta al clero dall’attuale dottrina cattolica, mescolata allo spirito di omertà e di segretezza che regna da sempre all’interno delle istituzioni cattoliche, dove i preti si trovano a stretto contatto con una popolazione di alunni esclusivamente maschile.
    Una formula esplosiva – in altre parole – fin dalla sua concezione, dove la negazione delle normali pulsioni eterosessuali si accoppia con la vasta «disponibilità» di ragazzini di sesso esclusivamente maschile. Altro che “prendere più persone che lavorino nella classificazione dei processi”. Se Bergoglio vuole davvero affrontare il problema alla radice, deve cominciare a guardare alla stessa dottrina cattolica, che impone appunto il celibato in maniera mortificante e non motivata. Ricordiamo che ai tempi dei Vangeli i vescovi (preti) potevano sposarsi regolarmente. Il celibato venne introdotto solo dopo l’anno mille, per motivi tutt’altro che spirituali: si trattava di “proteggere” i beni della chiesa, che sarebbero altrimenti finiti “in mani laiche” – a causa delle pratiche di successione – se i preti avessero potuto sposarsi). Chissà perchè nella Chiesa protestante, dove i preti possono sposarsi regolarmente, non si sente mai parlare di casi di pedofilia?
    (Massimo Mazzucco, “Chiesa e pedofilia, una soluzione ci sarebbe”, dal blog “Luogo Comune” del 21 settembre 2017).

    Bergoglio continua a blaterare a vuoto, senza mai supportare le proprie parole con azioni che siano degne di queste parole. Ieri si è scagliato nuovamente – a parole – contro il «terribile peccato» della pedofilia. «Lo scandalo dell’abuso sessuale – ha dichiarato Bergoglio – è una rovina terribile per tutta l’umanità, che colpisce tanti bambini, giovani e adulti vulnerabili in tutti i paesi e in tutte le società. Per la Chiesa è stata un’esperienza molto dolorosa. Sentiamo vergogna per gli abusi commessi da ministri consacrati, che dovrebbero essere i più degni di fiducia». E poi ha aggiunto: «La Chiesa ha affrontato questi crimini in ritardo e anche un solo abuso basta a condanna senza appello». E no, caro Bergoglio, è qui che ti sbagli. La Chiesa non ha affrontato proprio nulla, durante il tuo pontificato. Ha solo “preso atto” – a parole, nuovamente – che il problema esiste, ma non ha fatto assolutamente nulla per cercare di risolverlo. Bergoglio infatti, per affrontare il problema, non avrebbe trovato di meglio che «cercare di prendere più gente che lavori nella classificazione dei processi, persone che studiano i dossier». Come se i dossier già esistenti non fossero sufficienti a capire le dimensioni e la portata del problema.

  • Carpeoro: ma il fascismo nacque da massoneria e Vaticano

    Scritto il 04/9/17 • nella Categoria: segnalazioni • (3)

    Attenti al lupo? Non lasciatevi ingannare: perché se il “lupo” è il fantasma storico del fascismo, a lanciare periodicamente l’allarme sul suo ipotetico, improbabile ritorno sono «faine e donnole», le stesse che quel “lupo” lo fabbricarono, cent’anni fa. Agitarne lo spettro, oggi? E’ comodo: in quel modo, “faine e donnole” «possono continuare indisturbate ad aggirarsi per i pollai». Fuor di merafora: i voraci mustelidi (le faine e le donnole, appunto) altro non sarebbero che la massoneria e il Vaticano, cioè i due veri genitori (occulti) del movimento politico reazionario fondato negli anni ‘20 dall’ex dirigente socialista Benito Mussolini. E’ la ricostruzione che Gianfranco Carpeoro affida al suo prossimo saggio, “Il compasso, il fascio e la mitra”, in uscita tra qualche mese. Retroscena in arrivo, documenti alla mano: furono le dirigenze massoniche e cattoliche a pianificare l’ascesa del fascismo, fino alla sua rimozione dopo il ventennio, per poi continuare – attraverso la sovragestione finanziaria del paese – a reggere i destini economici dell’Italia anche nel dopoguerra, sempre attraverso una tacita spartizione “bipartisan” del potere.
    «Il fascismo nasce da uno scontro folle, violentissimo e senza esclusione di colpi, tra la massoneria e il Vaticano», dichiara Carpeoro in diretta web-streaming con Fabio Frabetti di “Border Nights”. «Il fascismo nasce favorito dalla massoneria», ma poi si trasforma: «Da masso-fascismo diventa catto-fascismo», quindi «scarica la massoneria (la mette finanche fuorilegge) e si allea col Vaticano». E alla fine, il movimento fascista «viene tradito, e annullato, da queste due forze: massoneria e Vaticano». Il regista della reintroduzione del Vaticano nel sistema politico italiano? «E’ un signore che ha un nome evocativo: si chiama Gentiloni, è il nonno dell’attuale premier». Dopo la presa di Roma del 1870, ricorda il “Giornale”, Pio IX aveva decretato, con il “non expedit”, che i credenti italiani non partecipassero più alla politica. Decisione confermata dal successore, Leone XIII. Ma Pio X, pontefice dal 1903, aveva capito che il blocco non era ulteriormente sostenibile: «C’era da affrontare il “pericolo rosso”, ovvero i socialisti, e quindi occorreva accordarsi con i liberali, rappresentati dal capo del governo Giovanni Giolitti».
    Lo stesso Giolitti, continua il “Giornale”, aveva fatto una mossa da grande giocatore introducendo il suffragio universale maschile, per cui alle elezioni del 1913 gli aventi diritto al voto sarebbero passati da 3 a 8 milioni. «Lo Stato liberale rischiava grosso, ma anche la Chiesa: se il Papa avesse confermato il “non expedit”, il Parlamento poteva cadere in mano ai socialisti; per evitarlo, i cattolici avrebbero dovuto appoggiare i liberali. Quella di Giolitti fu una strategia vincente, però lo Stato laico finiva per ammettere implicitamente, dopo quasi mezzo secolo, che non era possibile governare l’Italia senza la Chiesa». Il tramite dell’accordo, raggiunto nel 1912, fu il conte Vincenzo Ottorino Gentiloni, dirigente dell’Azione Cattolica. Obiettivo del Vaticano: mobilitare gli elettori cattolici per «opporsi a ogni proposta di legge contro le istituzioni religiose», ma anche tutelare le scuole cattoliche, battersi per l’istruzione religiosa nelle scuole pubbliche, respingere qualsiasi legge divorzista. «Il “non expedit” venne tolto, e il patto venne applicato in 330 collegi su 508, tutti quelli dove c’era il pericolo che vincessero i socialisti».
    Quel patto, aggiunge il “Giornale”, doveva rimanere segreto. «Ma Gentiloni – che ci teneva a entrare nella storia, e infatti ci è entrato – rivelò sia le clausole sia il nome dei candidati che vi avevano aderito. Si scoprì così che molti erano massoni, ovvero nemici mortali della Chiesa, almeno in teoria». Nemici giurati, ma pronti a mettersi d’accordo per spartirsi il potere, sostiene Carpeoro, in un mondo dove – dietro le apparenze – si bada al sodo, e l’alleato di oggi può diventare l’avversario di domani. «I massoni, che favoriscono il fascismo – dichiara Carpeoro – sono gli stessi che poi lo vanno ad appendere a testa in giù, Mussolini». Pochi sanno che quando il Duce fu appeso a testa in giù, a piazzale Loreto, «c’era un’intera loggia del Grande Oriente d’Italia». Una loggia presente al gran completo, che pronunciò anche delle parole rituali, in quella macabra circostanza: «Non vi scordate che l’Appeso, nei tarocchi, è la carta derivante dal capovolgimento dell’Imperatore», sottolina Carpeoro, di cui pochi mesi fa è uscito in libreria il primo volume del saggio “Summa Symbolica”. Un libro edito da L’Età dell’Aquario, che rivela l’alfabeto – spesso arcano – dei simboli che ci circondano.
    “Faine e donnole, massoneria e Vaticano, fascismo e poi antifascismo: «Sotto questo profilo – continua Carpeoro – ci sono dei termini di continuità, perché poi anche la Repubblica nasce all’insegna di un patto, sia pure abbastanza belligerante, tra massoneria e Vaticano». Risvolti di una storia che vive di chiaroscuri: «La massoneria imparerà a infiltrarsi nel Vaticano e il Vaticano imparerà a infiltrarsi nella massoneria, però poi in realtà il sistema economico verrà garantito da Mediobanca, che è l’istituzione finanziaria massonica, e dalle istituzioni finanziarie vaticane, principalmente dalle cosiddette banche cattoliche, che poi confluiranno, in termini di collegamento, nel sistema Ior». Quindi, conclude lo studioso, c’è poco da fidarsi del ricorrente monito sul possibile ritorno del fascismo: «Fa parte del sistema di equilibrio-squilibrio tra i due veri sistemi organizzati», cioè la massoneria e il Vaticano. Sono loro il potere, quello autentico: e se ogni tanto riesumano lo spettro del fascismo, gridando “attenti al lupo”, è per poter continuare, «in quanto faine e donnole», ad «aggirarsi indisturbate per i pollai».

    Attenti al lupo? Non lasciatevi ingannare: perché se il “lupo” è il fantasma storico del fascismo, a lanciare periodicamente l’allarme sul suo ipotetico, improbabile ritorno sono «faine e donnole», le stesse che quel “lupo” lo fabbricarono, cent’anni fa. Agitarne lo spettro, oggi? E’ comodo: in quel modo, “faine e donnole” «possono continuare indisturbate ad aggirarsi per i pollai». Fuor di merafora: i voraci mustelidi (le faine e le donnole, appunto) altro non sarebbero che la massoneria e il Vaticano, cioè i due veri genitori (occulti) del movimento politico reazionario fondato negli anni ‘20 dall’ex dirigente socialista Benito Mussolini. E’ la ricostruzione che Gianfranco Carpeoro affida al suo prossimo saggio, “Il compasso, il fascio e la mitra”, in uscita tra qualche mese. Retroscena in arrivo, documenti alla mano: furono le dirigenze massoniche e cattoliche a pianificare l’ascesa del fascismo, fino alla sua rimozione dopo il ventennio, per poi continuare – attraverso la sovragestione finanziaria del paese – a reggere i destini economici dell’Italia anche nel dopoguerra, sempre attraverso una tacita spartizione “bipartisan” del potere.

  • Page 12 of 22
  • <
  • 1
  • ...
  • 7
  • 8
  • 9
  • 10
  • 11
  • 12
  • 13
  • 14
  • 15
  • 16
  • ...
  • 22
  • >

Libri

UNA VALLE IN FONDO AL VENTO

Pagine

  • Libreidee, redazione
  • Pubblicità su Libreidee.org

Archivi

Link

  • Border Nights
  • ByoBlu
  • Casa del Sole Tv
  • ControTv
  • Edizioni Aurora Boreale
  • Forme d'Onda
  • Luogocomune
  • Mazzoni News
  • Visione Tv

Tag Cloud

politica Europa finanza crisi potere storia democrazia Unione Europea media disinformazione Ue Germania Francia élite diritti elezioni mainstream banche rigore sovranità libertà lavoro tagli euro welfare Italia sistema Pd Gran Bretagna oligarchia debito pubblico Bce terrorismo tasse giustizia paura Russia neoliberismo industria Occidente pericolo Cina umanità globalizzazione disoccupazione sinistra movimento 5 stelle futuro verità diktat sicurezza cultura Stato popolo Costituzione televisione Bruxelles sanità austerity mondo