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Archivio del Tag ‘Chiesa’

  • Dezzani: Bergoglio scelto dal superclan Usa oggi perdente

    Scritto il 30/11/16 • nella Categoria: idee • (6)

    Ratzinger “deposto” da un complotto gestito dai servizi segreti anglosassoni, con anche la collaborazione di Gianroberto Casaleggio. Obiettivo: insediare in Vaticano l’attuale pontefice “modernista”. Un piano del massimo potere, gestito da personaggi come George Soros e ora messo in pericolo dalla vittoria di Trump. Lo sostiene Federico Dezzani, che evoca “padrini occulti” dietro al pontificato di Bergoglio, di cui profetizza l’imminente fine. Nonostante il flop del Giubileo e «il sostanziale fallimento dell’Anno Santo», Papa Francesco oggi accelera la svolta modernista: crea nuovi cardinali a lui fedeli e concede a tutti i sacerdoti la facoltà di assolvere l’aborto. «Forse Bergoglio ha fretta, perché sa che il contesto internazionale che lo ha portato sul Soglio Petrino si è dissolto con l’elezione di Donald Trump», scrive Dezzani, secondo cui furono «l’amministrazione Obama e George Soros» a introdurre il gesuita argentino, «in forte odore di massoneria», dentro le Mura Leonine. Bergoglio? Sarebbe «la versione petrina di Barack Hussein Obama», in coerenza col “cesaropapismo”, grazie al quale il potere civile estende la propria competenza al campo religioso, così da plasmare la dottrina «secondo le esigenze del potere temporale».
    Una pratica bizantina, ancora viva nell’Occidente moderno? Senz’altro: «La Chiesa di Roma subisce, dalla notte dei tempi, gli influssi del mondo esterno: re francesi, imperatori tedeschi, generali corsi e dittatori italiani hanno sempre cercato di ritagliarsi una Chiesa su misura». Dopo il 1945, il Vaticano è stato «inglobato come il resto dell’Europa Occidentale nell’impero angloamericano», subendone l’influenza politica, economica e ideologica: «Quanto avviene alla Casa Bianca, presto o tardi, si ripercuote dentro le Mura Leonine». Se poi il potere temporale si sente particolarmente forte e ha fretta di imporre la propria agenda alla Chiesa cattolica, «indebolita da decenni di secolarizzazione della società e in preda ad una profonda crisi d’identità», a quel punto – sostiene Dezzani – spinge più a fondo la “modernizzazione” dello Stato pontificio «cosicché il Papa “si dimetta”, come un amministratore delegato qualsiasi, e gli azionisti di maggioranza possano nominare un nuovo “chief executive officer” della Chiesa cattolica apostolica romana, sensibile ai loro interessi».
    Ratzinger “licenziato” dalla Casa Bianca? «Durante la folle amministrazione di Barack Hussein Obama, periodo durante cui l’oligarchia euro-atlantica si è manifestata in tutte le sue forme, dal terrorismo islamico all’immigrazione selvaggia, dagli assalti finanziari alle guerre per procura alla Russia – continua Dezzani nel suo blog – abbiamo assistito a tutto: comprese le dimissioni di Benedetto XVI, le prime da oltre 600 anni (l’ultimo pontefice ad abdicare fu Gregorio XII nel 1415), e alla nascita di un ruolo, quello di “pontefix emeritus”, sinora mai attribuito ad un Vicario di Cristo vivente». L’interruzione del pontificato di Joseph Ratzinger, seguita dal conclave del marzo 2013 che elegge l’argentino Jorge Mario Bergoglio, è una vera e propria “rivoluzione”: «Ad un pontefice “conservatore” come Benedetto XVI ne succede uno “progressista” come Francesco, a un difensore dell’ortodossia cattolica succede un modernista che vuole “rinnovare” la dottrina millenaria della Chiesa». Non solo: «Ad un Papa che aveva ribadito l’inconciliabilità tra Chiesa Cattolica e massoneria ne subentra uno che è in fortissimo odore di libera muratoria».
    E ad un pontefice «sicuro che solo nella Chiesa di Cristo c’è la salvezza» segue «un paladino dell’ecumenismo», talmente ardito da dichiarare ad Eugenio Scalfari nel 2013: «Non esiste un Dio cattolico, esiste Dio». Per Dezzani, il fondatore della “Repubblica”, «ben introdotto negli ambienti “illuminati” nostrani ed internazionali», in effetti «è un’ottima cartina di tornasole per afferrare il mutamento in seno alla Chiesa», strettamente sorvegliato dall’élite di potere. Si passa dall’editoriale “Da Pacelli a Ratzinger, la lunga crisi della Chiesa” del maggio 2012, dove Scalfari ragiona a distanza sul pontificato “lezioso” di Ratzinger, rinfacciandogli una scarsa apertura alla modernità, a Lutero ed all’ecumenismo, al dialogo tête-à-tête del novembre 2016, dove Scalfari discetta amabilmente con Bergoglio di “meticciato universale”, «tema tanto caro alla massoneria», interprete del sincretismo culturale che è alla base della modernità stessa, alla cui creazione proprio il network libero-muratorio contribuì, a partire dal ‘700.
    Federico Dezzani si concentra su Bergoglio, che considera «la versione petrina di Barack Obama», al punto che «si potrebbe sostenere che sia stato il presidente americano ad installare il gesuita ai vertici della Chiesa»? Sarebbe un’affermazione «soltanto verosimile», precisa, visto che «sono gli stessi ambienti che hanno appoggiato Barack Obama (e che avevano investito tutto su Hillary Clinton nelle ultime elezioni) ad aver preparato il terreno su cui è germogliato il pontificato di Bergoglio». In altre parole, è il milieu «della finanza angloamericana, di George Soros e dell’establishment anglofono liberal». Se si riflette sugli ultimi tre anni di pontificato, continua Dezzani, l’azione del Papa sembra infatti ricalcata sull’amministrazione democratica. Obama si fa il paladino della lotta al surriscaldamento globale, culminata col Trattato di Parigi del dicembre 2015? Bergoglio risponde con l’enciclica ambientalista “Laudato si”. Obama «ed i suoi ascari europei, Merkel e Renzi in testa», incentivano l’immigrazione di massa? Bergoglio «ne fornisce la copertura religiosa, finendo col dedicare la maggior parte del pontificato al tema». Ancora: Obama legalizza i matrimoni omosessuali? «Bergoglio si spende al massimo affinché il Sinodo sulla famiglia del 2014 si spinga in questa direzione».
    Gli “automatismi” continuano, estendendosi anche al welfare. La Casa Bianca vara una discussa riforma sanitaria che incentiva l’uso di farmaci abortivi? «Bergoglio allarga all’intera platea di sacerdoti, anziché ai soli vescovi, la facoltà di assolvere dall’aborto». Ma è possibile «insediare in Vaticano» un pontefice «in perfetta sintonia con l’amministrazione democratica di Obama» e, sopratutto, «espressione degli interessi retrostanti», che Dezzani definisce «massonici-finanziari»? E’ il tema della ricostruzione di Dezzani, che parte dalla “resa” di Ratzinger. Se si vuole attuare un “regime change”, il primo passo è «sbarazzarsi della vecchia gerarchia». Dinamica classica, «già vista in Italia con Tangentopoli, che spazzò via la vecchia classe dirigente italiana spianando la strada ai governi “europeisti” di Amato e Prodi». In Germania, la Tangentopoli tedesca «decapitò la Cdu e favorì l’emergere della semi-sconosciuta Angela Merkel». A Firenze, lo scandalo urbanistico sull’area Castello «eliminò l’assessore-sceriffo Graziano Cioni e avviò la scalata al potere di Matteo Renzi». O ancora, in Brasile, dove «lo scandalo Petrobas ha causato la caduta di Dilma Rousseff e la nomina a presidente del massone Michel Temer».
    Stesso schema, sempre: «Accuse di corruzione (fondate o non), illazioni infamanti, minacce, sinistre allusioni, carcerazioni preventive, battage della stampa, false testimonianze, omicidi: qualsiasi mezzo è impiegato per “scalzare” i vecchi vertici indesiderati». In Vaticano, nel mirino finirono «Ratzinger e il suo seguito di cardinali conservatori, da defenestrare a qualsiasi costo per l’avvento di un pontefice modernista». Ed ecco, puntale, lo scandalo “Vatileaks”, cioè lo smottamento – lungamente incubato – che ha condotto al ritiro di Ratzinger. L’analisi di Dezzani parte dagli Usa. Aprile 2009: Obama è insediato alla Casa Bianca da appena tre mesi «e con lui quell’oligarchia liberal decisa a sbarazzarsi di Benedetto XVI». In Italia esce “Vaticano SpA”, il libro di Gianluigi Nuzzi che “grazie all’accesso, quasi casuale, a un archivio sterminato di documenti ufficiali, spiega per la prima volta il ruolo dello Ior nella Prima e nella Seconda Repubblica”. Ovvero: «Mafia, massoneria, Vaticano e parti deviate dello Stato sono il mix di questo bestseller che apre la campagna di fango e intimidazione contro Ratzinger».
    L’autore, secondo Dezzani, «è uno dei pochi giornalisti italiani ad essere in stretti rapporti con il solitamente schivo Gianroberto Casaleggio: Nuzzi ottiene nel 2013 dal guru del M5S una lunga intervista e, tre anni dopo, partecipa alle sue esequie a Milano». Nuzzi è una prestigiosa “penna” del “Giornale”, di “Libero” e del “Corriere della Sera”: è lecito supporre che «confezioni “Vaticano SpA” e il successivo bestseller “Vatileaks”, avvalendosi delle fonti passategli dagli stessi ambienti che si nascondo dietro Gianroberto Casaleggio ed il M5S»? Ipotetici, veri manovratori: «I servizi atlantici e, in particolare, quelli britannici che storicamente vivono in simbiosi con la massoneria». Il biennio 2010-2011 vede Ratzinger «assalito da ogni lato dalle inchieste sulla pedofilia, il tallone d’Achille della Chiesa cattolica su cui l’oligarchia atlantica può colpire con facilità», infliggendo ingenti danni. “Scandalo pedofilia, il 2010 è stato l’annus horribilis della Chiesa cattolica” scrive nel gennaio 2011 il “Fatto Quotidiano”.
    È lo stesso periodo in cui l’argentino Luis Moreno Ocampo, primo procuratore capo della Corte Penale Internazionale ed ex-consulente della Banca Mondiale, valuta se accusare il pontefice Ratzinger di crimini contro l’umanità, imputandogli i “delitti commessi contro milioni di bambini nelle mani di preti e suore ed orchestrati dal Papa”. Poi arriva il 2012, ancora con gli americani in prima linea. Lo rivela Wikileaks, svelando l’esistenza di un documento «indispensabile per capire le trame che portano alla caduta di Ratzinger». È il febbraio 2012 quando John Podesta, futuro capo della campagna di Hillary, scrive a Sandy Newman un’email intitolata: “Opening for a Catholic Spring? just musing…” ossia: “Preparare una Primavera cattolica? Qualche riflessione…”. Già allora, Podesta era «un papavero dell’establishment liberal», capo di gabinetto della Casa Bianca ai tempi di Bill Clinton, nonché fondatore del think-tank “Center for American Progress”, «di cui uno dei principali donatori è lo speculatore George Soros». E Sandy Newman? Creatore di potenti think-tanks progressisti (“Voices for Progress”, “Project Vote!”, “Fight Crime: Invest in Kids”) in cui si fece le ossa, fresco di dottorato, il giovane Obama.
    Scrive Newman: «Ci deve essere una Primavera cattolica, in cui i cattolici stessi chiedano la fine di una “dittatura dell’età media” e l’inizio di un po’ di democrazia e di rispetto per la parità di genere». E Podesta: «Abbiamo creato “Cattolici in Alleanza per il Bene Comune” per organizzare per un momento come questo, ma non ha ancora la leadership per farlo. Come la maggior parte dei movimenti di “primavera”, penso che questo dovrà avvenire dal basso verso l’alto». Lo scambio di email hacketrato ora da Wikileaks, aggiunge Dezzani, si inserisce perfettamente nel contesto degli ambienti anglosassoni liberal, «gli stessi dove si discute da anni della necessità di un Concilio Vaticano III che apra a omosessuali, aborto e contraccezione». Il mondo ha bisogno di un nuovo Concilio Vaticano, scrive nel 2010 un membro del “Center for American Progress”, che parla apertamente di una “primavera cattolica” «che ponga fine alla dittatura medioevale della Chiesa, sulla falsariga della “primavera araba” che ha appena sconquassato il Medio Oriente».
    Di lì a poche settimane, continua Dezzani, «parte infatti la manovra a tenaglia che nell’arco di una decina di mesi porterà alla clamorose dimissioni di Benedetto XVI: è il cosiddetto “Vatileaks”, una furiosa campagna mediatica che attaccando su più fronti (Ior, abusi sessuali, lotte di palazzo, la controversa gestione della Segreteria di Stato da parte del cardinale Bertone) infligge il colpo di grazia al già traballante pontificato del conservatore Ratzinger, dipinto come “troppo debole per guidare la Chiesa”». L’intero scandalo, insiste Dezzani, poggia sulla fuga di notizie, «un’attività che dalla notte dei tempi è svolta dai servizi segreti». Notizie «trafugate» sono quelle che consentono a Nuzzi di confezionare il secondo bestseller, il libro-terremoto che esce nel maggio 2012: “Sua Santità. Le carte segrete di Benedetto XVI”, poi tradotto in inglese dalla Casaleggio Associati con l’emblematico titolo “Ratzinger was afraid: The secret documents, the money and the scandals that overwhelmed the pope”.
    Chi è la fonte di Nuzzi, il cosiddetto “corvo”? «Come nel più banale dei racconti gialli, è il maggiordomo, quel Paolo Gabriele che funge da capro espiatorio per una macchinazione ben più complessa», sostiene Dezzani. Notizie “trafugate” sarebbero anche quelle che compaiono sul “Fatto Quotidiano”, utili a dimostrare che lo Ior, gestito da Ettore Gotti Tedeschi, per il giornale di Travaglio «non ha alcuna intenzione di attuare gli impegni assunti in sede europea per aderire agli standard del Comitato per la valutazione di misure contro il riciclaggio di capitali», né di «permettere alle autorità antiriciclaggio vaticane e italiane di guardare cosa è accaduto nei conti dello Ior prima dell’aprile 2011». Gotti Tedeschi, ricorda Dezzani, verrà brutalmente licenziato dallo Ior il 25 maggio, lo stesso giorno dell’arresto del maggiordomo Gabriele, «così da alimentare il sospetto che i “corvi” siano ovunque, anche ai vertici dello Ior, Gotti Tedeschi compreso».
    Notizie “trafugate”, infine, sarebbero anche gli stralci pubblicati da Concita De Gregorio su “La Repubblica” e da Ignazio Ingrao su “Panorama” nel febbraio 2013, «estrapolati da un presunto dossier segreto e concernenti una fantomatica “lobby omosessuale in Vaticano”: sarebbe la gravità di questo documento, secondo le ricostruzione della stampa, ad aver convinto Ratzinger alle dimissioni». Si arriva così all’11 febbraio 2013: durante un concistoro per la canonizzazione di alcuni santi, Benedetto XVI, visibilmente affaticato, comunica in latino la clamorosa rinuncia al Soglio Pontificio. «Fu costretto alle dimissioni sotto ricatto? Era effettivamente spaventato?». Ratzinger smentisce nel modo più netto. Di recente ha ribadito che «non si è trattato di una ritirata sotto la pressione degli eventi o di una fuga per l’incapacità di farvi fronte». E ha aggiunto: «Nessuno ha cercato di ricattarmi».
    L’11 febbraio 2013, Ratzinger aveva affermato di «non essere più sicuro delle sue forze nell’esercizio del ministero petrino». Lo si può capire: era «fiaccato da tre anni di attacchi mediatici, piegato dallo scandalo “Vatileaks”». Così, l’anziano teologo – 86 anni – ha scelto le dimissioni. Tutto calcolato? «Le disgrazie del “conservatore” Ratzinger ed il massiccio cannoneggiamento che ha indebolito i settori della Chiesa a lui fedeli, spianano così la strada ad un Papa modernista, che attui quella “Primavera cattolica” tanto agognata dall’establishment angloamericano», scrive Dezzani. «Il Conclave del marzo 2013 (durante cui, secondo il giornalista Antonio Socci, si verificano gravi irregolarità che avrebbero potuto e dovuto invalidarne l’esito), sceglie così come vescovo di Roma l’argentino Jorge Mario Bergoglio: primo gesuita a varcare il soglio pontificio, dai trascorsi un po’ ambigui ai tempi della dittatura argentina». Duro il giudizio di Dezzani: «La ricattabilità è un tratto saliente dei burattini atlantici, da Angela Merkel a Matteo Renzi». Inoltre, il nuovo vescovo di Roma «è salutato con gioia dalla massoneria argentina, da quella italiana e dalla potente loggia ebraica del B’nai B’rith, che presenzia al suo insediamento».
    Lo stesso Bergoglio è un libero muratore? «Più di un elemento di carattere dottrinario, dal diniego che “Dio sia cattolico” all’ossessivo accento sull’ecumenismo, fanno supporre di sì», sostiene Dezzani. «Ma è soprattutto l’amministrazione democratica di Barack Obama e quella cricca di banchieri liberal ed anglofoni che la sostengono, a rallegrarsi per il nuovo papa». Bergoglio è il pontefice che «attua nel limite del possibile quella “Primavera Cattolica” tanto agognata (matrimoni omosessuali, aborto e contraccezione)». E’ il Papa che «sposa la causa ambientalista», che «fornisce una base ideologica all’immigrazione indiscriminata», che «sdogana Lutero e la riforma protestante». Ancora: è il pontefice che «sostanzialmente tace sulla pulizia etnica in Medio Oriente ai danni dei cristiani per mano di quell’Isis, dietro cui si nascondono quegli stessi poteri (Usa, Gb e Israele) che lo hanno introdotto dentro le Mura Leonine». È anche il primo Papa ad avere l’onore di parlare al Congresso degli Stati Uniti durante la visita del settembre 2015, prodigandosi per «sedare i malumori nel mondo cattolico americano contro la riforma sanitaria Obamacare».
    L’ultimo clamoroso intervento di Bergoglio a favore dell’establishment atlantico, continua Dezzani, risale al febbraio 2016, quando il pontefice etichettò come “non cristiana” la politica anti-immigrazione di Donald Trump. Un «incauto intervento», che per Dezzani rivela «il desiderio di sdebitarsi con quel mondo cui il pontefice argentino deve tutto», ma c’era anche «la volontà di mettere al riparo la sua opera di “modernizzazione” della Chiesa». La vittoria di Hillary Clinton, cioè della candidata di George Soros e dell’oligarchia euro-atlantica, «era infatti la conditio sine qua non perché la “Primavera Cattolica” di Bergoglio potesse continuare». Al contrario, «la sua sconfitta ha smantellato quel contesto geopolitico su cui Bergoglio ha edificato la traballante riforma progressista della Chiesa», sostiene sempre Dezzani. «Come François Hollande, come Angela Merkel e come Matteo Renzi, Jorge Mario Bergoglio, benché vescovo di Roma, oggi non è altro che il residuato di un’epoca archiviata». Dezzani lo considera «un figurante senza più copione, fermo sul palco, ammutolito ed estraniato, in attesa che cali il sipario».
    «Ultimo sussulto», da parte di Bergoglio, per «blindare la sua opera», il conferimento a tutti i sacerdoti della facoltà di assolvere dal peccato dell’aborto. A ciò si aggiunge «una terza infornata di cardinali (più di un terzo del collegio cardinalizio è ora formato da prelati a lui fedeli), così da imprimere un connotato “liberal” anche al futuro della Chiesa di Roma». Ma, per Dezzani, «è ormai troppo tardi», perché «la ribellione dentro la Chiesa alla sua “Primavera Cattolica” è iniziata». Quattro cardinali hanno di recente sollevato gravi contestazioni al documento “Amoris Laetitiae”, con cui Bergoglio ha chiuso i lavori del Sinodo sulla Famiglia, «contestazioni cui il pontefice non ha ancora risposto». E soprattutto: «Alla Casa Bianca non c’è più nessuno a proteggerlo. Anzi, c’è un presidente in pectore che, forte del voto della maggioranza dei cattolici americani, ne gradirebbe forse le dimissioni sulla falsariga di Benedetto XVI». Un’analisi buia, estrema e sconcertante. In premessa, Dezzani la definisce “verosimile”. Poi però la sottoscrive senza più incertezze: per Bergoglio, dice, «la fine si avvicina».

    Ratzinger “deposto” da un complotto gestito dai servizi segreti anglosassoni, con anche la collaborazione di Gianroberto Casaleggio. Obiettivo: insediare in Vaticano l’attuale pontefice “modernista”. Un piano del massimo potere, gestito da personaggi come George Soros e ora messo in pericolo dalla vittoria di Trump. Lo sostiene Federico Dezzani, che evoca “padrini occulti” dietro al pontificato di Bergoglio, di cui profetizza l’imminente declino. Nonostante il flop del Giubileo e «il sostanziale fallimento dell’Anno Santo», Papa Francesco oggi accelera la svolta modernista: crea nuovi cardinali a lui fedeli e concede a tutti i sacerdoti la facoltà di assolvere l’aborto. «Forse Bergoglio ha fretta, perché sa che il contesto internazionale che lo ha portato sul Soglio Petrino si è dissolto con l’elezione di Donald Trump», scrive Dezzani, secondo cui furono «l’amministrazione Obama e George Soros» a introdurre il gesuita argentino, «in forte odore di massoneria», dentro le Mura Leonine. Bergoglio? Sarebbe «la versione petrina di Barack Hussein Obama», in coerenza col “cesaropapismo”, grazie al quale il potere civile estende la propria competenza al campo religioso, così da plasmare la dottrina «secondo le esigenze del potere temporale».

  • Strana morte del Papa ‘antifascista’. Il suo medico? Petacci

    Scritto il 27/11/16 • nella Categoria: segnalazioni • (2)

    Tutti si ricorderanno di Papa Giovanni Paolo I, al secolo Albino Luciani, «che occupa il soglio pontificio per soli 33 giorni (magari il numero vi dice qualcosa…) prima di morire improvvisamente, il 29 settembre 1978, secondo la versione ufficiale, per un infarto miocardico». La verità è probabilmente ben diversa, scrive Marcus Mason sul blog “Lo Sciacallo”: il nuovo Papa aveva in testa di realizzare una sorta di “grande repulisti” all’interno del voluminoso apparato burocratico ecclesiastico, eliminando «corruzione e malaffare all’interno delle Mura Leonine». Nel mirino, «alcuni esponenti di rilievo della finanza vaticana». Probabile quindi che «si sia deciso di uscire dall’imbarazzo risolvendo il problema alla base: mettendo Luciani in condizioni di non nuocere». Ma attenzione: quarant’anni prima, c’era stato un altro pontefice «la cui dipartita dà ancora adito a più di un dubbio: si tratta di Achille Ratti, salito al soglio col nome di Pio XI». La sua “colpa”? Non piaceva a Mussolini e men che meno a Hitler: il pontefice si stava preparando a una dichiarazione clamorosa contro l’adozione delle leggi razziali che sancirono il genocidio degli ebrei anche in Italia.
    Ratti nasce a Desio, nel milanese, il 31 maggio 1857, ricorda lo “Sciacallo”. Si dedica alla carriera religiosa a partire dal 1867, quando inizia a frequentare il seminario di Seveso e successivamente quello di Monza, fino ad entrare nell’ordine terziario francescano nel ‘74. Viene ordinato sacerdote a Roma nel dicembre ‘79 dal cardinale La Valletta. Si occupa di istruzione, prima come prefetto della Biblioteca Ambrosiana di Milano e in seguito come insegnante, fino al suo ingresso nell’élite ecclesiastica negli anni ‘90 del XIX secolo. Arriva ad ottenere, sotto Benedetto XV, il prestigioso incarico di prefetto della Biblioteca Vaticana. Dopo una serie di incarichi diplomatici all’estero (anche “visitatore apostolico” in Polonia), viene nominato nel 1921 arcivescovo di Milano, dove fonda l’Università Cattolica del Sacro Cuore. Alla morte di Benedetto XV, è eletto nuovo pontefice. Una volta in carica, Ratti si adopera per dirimere la cosiddetta “questione romana”, cioè l’ostilità tra Italia e Vaticano, ancora irrisolta dai tempi di Porta Pia. Il Papa «si mostra in più di un’occasione in contrasto con i provvedimenti del regime fascista», ma poi cambia posizione nel 1929, anno in cui, l’11 febbraio, Stato italiano e Chiesa Cattolica firmano i celeberrimi Patti Lateranensi, «in cui a quest’ultima vengono concessi privilegi economici e gestionali spropositati».
    Da lì in poi, continua Mason, la Chiesa si mostra quasi totalmente in linea con la politica mussoliniana, «non proferendo parole sulle atrocità italiane nelle colonie nordafricane, né sull’azzeramento delle libertà di pensiero e di stampa in patria». Poi però le cose si complicano in seguito all’alleanza organica col nazismo: «L’atteggiamento ambiguo di Ratti non può proseguire a partire dal 1938 quando l’Italia, su imbeccata di Hitler, promulga le aberranti leggi razziali», scrive Mason. «Pio XI, che mai ha avuto in simpatia il dittatore nazista (nel maggio 1938, quando Hitler era venuto in visita in Italia, non aveva voluto incontrarlo), individua nella cerimonia per il decennale dei Patti Lateranensi, che si sarebbe tenuta l’11 febbraio 1939, il momento giusto per pronunciare un forte discorso». Secondo Bianca Penco, una dirigente dell’epoca della Fuci, la Federazione Universitaria Cattolica Italiana, il pontefice «avrebbe condannato apertamente la deriva politica che Mussolini aveva intrapreso, evidenziando una violazione palese degli stessi Patti che l’Italia si era impegnata ad onorare, oltre alla denuncia delle persecuzioni antisemite e anticristiane ormai dilaganti in Germania».
    E’ superfluo rimarcare quale enorme danno d’immagine tutto ciò avrebbe rappresentato per il Duce e per lo stesso Hitler, sottolinea Mason. Ma, del resto, Pio XI non avrebbe mai pronunciato quel discorso: nella notte del 10 febbraio, secondo la versione ufficiale, viene colpito da un attacco cardiaco e muore. «Casualmente», frattanto, il cardinale segretario di Stato, Eugenio Pacelli (il futuro Papa, Pio XII) «fa distruggere le copie esistenti del discorso in questione». I conti tornano, sostiene Mason, anche perché l’operato di Pacelli come pontefice durante la Seconda Guerra Mondiale è sotto accusa da settant’anni, «tacciato di viltà, ignavia e connivenza nei confronti delle atrocità che venivano compiute». Va da sé che, «alla luce di questi fatti, la morte fulminea di Pio XI si circonda di un’aura di mistero». E dunque: «Se davvero è stato ucciso, chi può aver commesso il delitto?». In un suo memoriale, nel 1972 il cardinale Eugène Tisserant scrive, a proposito di Ratti: «Lo hanno eliminato, lo hanno assassinato». E individua il presunto colpevole nel medico personale del Papa, Saverio Petacci, nientemeno che il padre di Claretta, l’appassionata amante del Duce che poi morirà fucilata insieme a lui nel ‘45. «Un’incredibile coincidenza, naturalmente».
    Ma c’è di più: la donna, continua Mason, era solita annotare su un diario la cronaca delle sue giornate più importanti. Ma la pagina inerente al 5 febbraio 1939 è incompleta. Termina con la frase: «Legge i biglietti e si inquieta per una cosa che segna… Poi dice: questi sanno…».
    Silenzio fino al 12 febbraio, quando il diario prosegue senza però fare il minimo accenno ai fatti in questione. C’è solo una frase del Duce, che annuncia a Claretta che si recherà alle esequie di Ratti in compagnia della moglie. «Ci pare lapalissiano che alcune pagine scottanti del diario della Petacci siano state fatte scientemente sparire», scrive Mason. Pagine in cui, «forse si trovava la prova del fatto che quella di Pio XI fu una morte su commissione». Certezze? Nessuna. Dubbì, però, sì. E tanti. «Chissà, forse un giorno scopriremo questo grande cimitero dei libri dove sono conservate le risposte ai grandi misteri della storia; e tra le “Guerre di Yahweh” e la versione integrale della “Steganographia” di Tritemio, magari troveremo le pagine del diario di una giovane donna italiana».

    Tutti si ricorderanno di Papa Giovanni Paolo I, al secolo Albino Luciani, «che occupa il soglio pontificio per soli 33 giorni (magari il numero vi dice qualcosa…) prima di morire improvvisamente, il 29 settembre 1978, secondo la versione ufficiale, per un infarto miocardico». La verità è probabilmente ben diversa, scrive Marcus Mason sul blog “Lo Sciacallo”: il nuovo Papa aveva in testa di realizzare una sorta di “grande repulisti” all’interno del voluminoso apparato burocratico ecclesiastico, eliminando «corruzione e malaffare all’interno delle Mura Leonine». Nel mirino, «alcuni esponenti di rilievo della finanza vaticana». Probabile quindi che «si sia deciso di uscire dall’imbarazzo risolvendo il problema alla base: mettendo Luciani in condizioni di non nuocere». Ma attenzione: quarant’anni prima, c’era stato un altro pontefice «la cui dipartita dà ancora adito a più di un dubbio: si tratta di Achille Ratti, salito al soglio col nome di Pio XI». La sua “colpa”? Non piaceva a Mussolini e men che meno a Hitler: il pontefice si stava preparando a una dichiarazione clamorosa contro l’adozione delle leggi razziali che sancirono il genocidio degli ebrei anche in Italia.

  • Crivella, sindaco-vescovo di Rio: il Brasile diverrà teocrazia

    Scritto il 20/11/16 • nella Categoria: segnalazioni • (Commenti disabilitati)

    Marcelo Crivella, 59 anni, pastore pentecostale e vescovo della Chiesa Universale del Regno di Dio, è il nuovo primo cittadino di Rio de Janeiro, seconda città carioca dopo San Paolo. Difensore della teoria creazionista e ultraconservatore, parla tranquillamente di teocrazia per il Brasile: sono a rischio i diritti civili e la secolarizzazione del maggior paese sudamericano, secondo Giacomo Russo Spena. «Alla notizia della vittoria, è esplosa la festa nella Chiesa evangelica di Rio de Janeiro: “È il trionfo di Dio”, hanno urlato i fedeli». Al ballottaggio, Crivella ha sconfitto con il 59% dei consensi Marcelo Freixo, esponente di sinistra del Psol, il “Partito Socialismo e Libertà”. «Mi prenderò cura del popolo e sotto il mio governo finalmente si proteggerà la famiglia», ha annunciato a caldo Crivella, che ha promesso di migliorare i servizi e contrastare la corruzione dilagante, che fa esplodere il malcontento nel Brasile post-olimpionico, soprattutto tra le fasce sociali più deboli: «È tra le classi lavoratrici che il suo partito ha intercettato la maggioranza dei voti: la classe media e i poveri hanno espresso infatti la propria preferenza per il partito repubblicano brasiliano (Prb), forza fondata nel 2002 dallo stesso Crivella».
    Secondo “El Pais”, la vittoria di Crivella e del suo Prb, il braccio politico della Chiesa, è stata trainata dall’elettorato evangelico, che rappresenta un terzo dei quasi 4,9 milioni di elettori, oltre agli elettori più poveri e meno istruiti. Gli evangelici sono rappresentati anche in Parlamento con 80 esponenti (il 14% in più rispetto alla scorsa legislatura), a dimostrazione della loro crescita. Ma chi è Marcello Crivella? A leggere il suo curriculum, scrive Russo Spena su “Micromega”, siamo di fronte a una clamorosa svolta religiosa che, in prospettiva, può mettere a repentaglio la stessa laicità del Brasile. Ingegnere, senatore dal 2002 e cantante gospel, il nuovo sindaco di Rio parla tranquillamente di teocrazia per il paese carioca ed è vescovo della Chiesa Universale del Regno di Dio. Ha sempre fatto della religione un perno centrale della sua vita e per anni ha vissuto in Africa per missioni di evangelizzazione delle tribù locali. Nel 1999 ha redatto un libro pubblicato in inglese con il titolo “Mutis, Sangomas e Nyanga: tradizione o stregoneria”, che comprende anche fotografie in cui l’allora giovane Crivella esegue rituali di esorcismo in paesi come Kenya e Sud Africa.
    «Nel testo i gay sono condannati per la loro “condotta maligna”, l’aborto viene considerato un abominio e le altre religioni sono etichettate come “demoniache”». Inoltre, continua Russo Spena, si accusano la Chiesa cattolica e l’induismo per “il sacrificio di bambini”. «L’omosessualità è il male supremo, concetto ribadito più volte durante la sua campagna elettorale a Rio». Crivella, tra l’altro, è nipote di Edir Macedo, fondatore della chiesa pentecostale Igreja Universal do Reino do Deus, «un impero miliardario e punta di diamante per l’avanzata dei neopentecostali nella politica brasiliana». Lo zio possiede un canale televisivo importante, “Record”. «E grazie anche all’influenza dei media, in Brasile è in corso una forte processo di evangelizzazione. Nell’era della crisi economica e del discredito dei politici (dopo l’impeachment col quale è stata incastrata la ex presidente Dilma Rousself), il paese è stato travolto da un’onda conservatrice». L’ideale conservatore, osserva  il blog “Terradamerica.com”, «ha le sue radici nel dovere morale di resistere all’insicurezza», come sostiene Rogério Baptistini, professore di sociologia dell’Università Presbiteriana Mackenzie.
    Anche lo storico Boris Fausto, in un’intervista rilasciata alla rivista “Veja”, afferma che un fenomeno (la crescita evangelica) alimenta l’altro (l’onda conservatrice). «L’espansione di queste chiese – si legge su “Terraamerica.com” – favorisce un discorso conservatore a causa di alcuni dei principi che esse sostengono, come il veto al matrimonio omosessuale e il divieto di aborto. I pastori non intervengono nel vuoto: questo discorso trova eco in una tendenza conservatrice già latente nella società brasiliana». L’epicentro di influenza politica evangelica «non è più a livello globale gli Stati Uniti, ma il Brasile», rivela sul “Wall Street Journal” Andrew Chesnut, professore di religione presso la Virginia Commonwealth University, il quale sottolinea come il censimento del 2010 ha mostrato che il numero di brasiliani evangelici sia più che raddoppiato, con vaste aree della popolazione convertite in massa. «Da anni l’avanzata è inarrestabile. Una guerra di proselitismo nella quale le chiese di culto evangelico brasiliane raccolgono successi incredibili dal punto di vista del numero di fedeli, delle donazioni, ottenendo anche l’elezione di politici di area». Lo stesso Prb, la forza di Crivella, ha registrato una grande crescita: se nel 2008 aveva 54 sindaci, oggi ne ha 105, più oltre 1.600 assessori. E contende lo scranno di primo cittadino in altre cinque città nel prossimo ballottaggio. Per Russo Spena, i diritti civili in Brasile sono a rischio, «più di quanto si possa pensare».

    Marcelo Crivella, 59 anni, pastore pentecostale e vescovo della Chiesa Universale del Regno di Dio, è il nuovo primo cittadino di Rio de Janeiro, seconda città carioca dopo San Paolo. Difensore della teoria creazionista e ultraconservatore, parla tranquillamente di teocrazia per il Brasile: sono a rischio i diritti civili e la secolarizzazione del maggior paese sudamericano, secondo Giacomo Russo Spena. «Alla notizia della vittoria, è esplosa la festa nella Chiesa evangelica di Rio de Janeiro: “È il trionfo di Dio”, hanno urlato i fedeli». Al ballottaggio, Crivella ha sconfitto con il 59% dei consensi Marcelo Freixo, esponente di sinistra del Psol, il “Partito Socialismo e Libertà”. «Mi prenderò cura del popolo e sotto il mio governo finalmente si proteggerà la famiglia», ha annunciato a caldo Crivella, che ha promesso di migliorare i servizi e contrastare la corruzione dilagante, che fa esplodere il malcontento nel Brasile post-olimpionico, soprattutto tra le fasce sociali più deboli: «È tra le classi lavoratrici che il suo partito ha intercettato la maggioranza dei voti: la classe media e i poveri hanno espresso infatti la propria preferenza per il partito repubblicano brasiliano (Prb), forza fondata nel 2002 dallo stesso Crivella».

  • Noi, i Buoni: da Berlinguer a Renzi, tra santità e salvezza

    Scritto il 05/11/16 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    Quando Occhetto annunciò, nella sorpresa generale, che aveva deciso di cambiar nome al partito, il politologo Aldo Giannuli, allora esponente dell’estrema sinistra, esternò le sue perplessità «a un amico militante più che ortodosso del Pci e che, con uguale ortodossia aderiva alla nuova linea». L’amico, ricorda Giannuli, proruppe in un “Ma tu allora non sei anti-Pci, tu sei anti-Noi!”. E ricordò una battuta di “Cuore”, l’allora supplemento satirico dell’“Unità”, nella quale Montanelli diceva in un telegramma: “Confermato il suffisso anti, per il seguito aspettiamo il nuovo nome del partito”. «Dunque – dice oggi Giannuli – c’era un “noi” che prescindeva dall’identità comunista e che le era sottostante», un “noi” che «poteva chiamarsi in qualsiasi altro modo ma che restava uguale a se stesso». Il Pci era in pieno mutamento ideologico, dalla connotazione “comunista” sempre meno certa; «Ma, che quell’identità fosse diventata una sorta di giacca intercambiabile con tanta indifferenza, era cosa tale da sorprendere anche chi, come me, aveva sempre dubitato dell’identità comunista del Pci». Eppure, proprio da lì si può leggere la parabola che porta fino al Pd renziano, sostenuta in modo fideistico dai discepoli del “noi”, la strana chiesa.
    La cosa era sconcertante, continua Giannuli ripensando allo “strappo” di Occhetto, perché il Pci era il partito con la più radicata ed esibita identità ideologica, unico con scuole di partito, diffusissime riviste ideologiche e frequentissime liturgie celebrative del comunismo sovietico: almeno sino al 1981 era regolarmente celebrata la ricorrenza rivoluzionaria del 7 novembre. Com’era possibile che tutto questo si dissolvesse come un gelato a ferragosto? «Ben presto si capì che, con la sua tradizionale disciplina, il popolo comunista avrebbe ratificato a larga maggioranza la svolta. Questo era possibile solo ad una condizione: che sotto la “pelle” comunista ci fosse un’altra identità, quella sì, davvero radicata». Anche se ci fu la scissione di Rifondazione Comunista (e quella, silenziosa, di centinaia di migliaia di iscritti che non rinnovarono la tessera senza però aderire a nessun’altra formazione politica), nel complesso la maggioranza degli iscritti seguì disciplinatamente il gruppo dirigente. In nome di cosa? «Mi posi il problema di capire a quale “noi” si stava rivolgendo Occhetto – continua Giannuli – quando esortò tutti gli iscritti a non temere la svolta perché “sarebbero rimasti gli stessi di sempre”».
    Certo, il Pci aveva assorbito settori delle più diverse culture politiche (socialisti riformisti e massimalisti, cattolici, liberali, azionisti, persino anarchici o sinistra fascista) amalgamando tutto in una base ideologica genericamente “socialista”, ma non si trattava di quello: a essere determinante «non era l’irrompere di culture politiche altre che, per anni, avevano covato sotto la cenere comunista», perché, se così fosse stato, «avremmo assistito ad una esplosione, una diaspora». Invece, «si trattava di un flusso ordinatissimo: le sezioni cambiavano la targa all’ingresso con la massima naturalezza, gli iscritti si adattavano rapidamente al nuovo linguaggio e ai nuovi simboli», e la routine – le feste, il tesseramento – riprendeva come se nulla fosse. Il cambio di nome era solo «un astutissimo espediente tattico per superare la conventio ad excludendum e andare finalmente al governo», pensò qualcuno. «Ma la maggioranza capì perfettamente che non si trattava solo di questo e fu ben lieta di togliersi di dosso quel nome troppo pesante da portare». Quello che reggeva tutto, sottolinea Giannuli, «era quel “noi” che cercavo di identificare».
    Cos’era, in realtà, quell’ostentata allusione a un’identità collettiva? «Ben presto capii che era il frutto del racconto che il partito aveva fatto della sua storia: il “popolo comunista” era l’unica vera sinistra possibile, la parte migliore del paese, quella immune da scandali e corruzione e caricata di una “missione storica”, quella di “salvare l’Italia”», scrive oggi Giannuli. «L’identità comunista era stata funzionale a questo disegno ma, almeno dal 1956 (se non dal 1944) non corrispondeva ad un particolare indirizzo ideologico». Lo dimostra il fatto che, a un certo punto, scomparve dallo statuto il riferimento al marxismo: «Insomma, non era affatto indispensabile essere comunisti per aderire al Pci». D’altra parte, prosegue il politologo, «la leggenda del “comunismo italiano” diverso da tutti gli altri (in parte vera ma in parte no) venne ripetuta all’infinito, sino a cancellare tanto la radice comunista quanto anche solo quella socialista, lasciando solo il senso di appartenenza ad un soggetto che si sentiva chiamato a “salvare l’Italia” perché diverso e migliore di tutti gli altri italiani (la “diversità comunista” di Berlinguer, ricordate?), anche se la perdita della cultura di origine faceva sì che non si sapesse più da cosa si dovesse salvare il paese e come». Voilà: «La nuova identità era nuda ideologicamente, nutrita solo da una autocelebrazione ormai priva di senso. Era la “chiesa”, che è santa anche quando ha perso memoria delle sue origini e del messaggio evangelico da cui era sorta».

    Quando Occhetto annunciò, nella sorpresa generale, che aveva deciso di cambiar nome al partito, il politologo Aldo Giannuli, allora esponente dell’estrema sinistra, esternò le sue perplessità «a un amico militante più che ortodosso del Pci e che, con uguale ortodossia aderiva alla nuova linea». L’amico, ricorda Giannuli, proruppe in un “Ma tu allora non sei anti-Pci, tu sei anti-Noi!”. E ricordò una battuta di “Cuore”, l’allora supplemento satirico dell’“Unità”, nella quale Montanelli diceva in un telegramma: “Confermato il suffisso anti, per il seguito aspettiamo il nuovo nome del partito”. «Dunque – dice oggi Giannuli – c’era un “noi” che prescindeva dall’identità comunista e che le era sottostante», un “noi” che «poteva chiamarsi in qualsiasi altro modo ma che restava uguale a se stesso». Il Pci era in pieno mutamento ideologico, dalla connotazione “comunista” sempre meno certa; «Ma, che quell’identità fosse diventata una sorta di giacca intercambiabile con tanta indifferenza, era cosa tale da sorprendere anche chi, come me, aveva sempre dubitato dell’identità comunista del Pci». Eppure, proprio da lì si può leggere la parabola che porta fino al Pd renziano, sostenuta in modo fideistico dai discepoli del “noi”, la strana chiesa.

  • Carpeoro: a colpire Palermo non sarà la mafia, ma l’Isis-P1

    Scritto il 25/10/16 • nella Categoria: segnalazioni • (Commenti disabilitati)

    Se smarrisci la tua missione, poi ti riduci a essere un mero strumento di potere. Fino a mettere in atto il terrorismo, oggi travestito da “fondamentalismo islamico”. Ma, al di là degli esecutori, gli organizzatori risiedono nell’intelligence. Che a sua volta risponde a personaggi del massimo potere, interamente massonico. E’ la tesi del recentissimo libro “Dalla massoneria al terrorismo”, nel quale Gianfranco Carpeoro – già gran maestro della loggia “Serenissima”, del rito scozzese, nonché studioso di Giordano Bruno e grande esperto di simbologia – affronta il tema cruciale dell’attualità di oggi: la politica di rigore dell’élite finanziaria, imposta anche “con le cattive”, cioè gli attentati, per rispondere a una logica di puro dominio e sottomissione di Stati e popoli. Charlie Hebdo, Batalclan, Bruxelles, Nizza. Le stesse “firme”, leggibili da chi conosce il linguaggio esoterico, consentono di risalire ai veri mandanti. Che, secondo Carpeoro, oggi colpiscono con crescente ferocia perché stanno iniziando ad avere paura di perdere il loro potere, da quando settori dell’élite – lo si vede negli Usa, con l’appoggio alla candidatura Sanders – si sono sfilati dal super-vertice globalizzatore, in preda al delirio di onnipotenza e ormai pronto a tutto: forse anche a colpire l’Italia, a Palermo.
    Tempo fa, Carpeoro aveva avvertito del possibile pericolo per il nostro paese, legato a una data particolare, il 10 agosto: «Dovete sapere che Federico II ebbe un ruolo di protettore dell’Islam, visto che fu protagonista dell’unica crociata che finì con degli accordi riguardanti la restituzione pacifica di Gerusalemme ai cristiani», racconta Carpeoro a Marcus Mason, che l’ha intervistato per il blog “Lo Sciacallo”. L’imperatore-esoterista, però, subito dopo la pace per Gersusalemme avviò una persecuzione violentissima contro gli islamici siciliani, sterminandoli: «Questa persecuzione culminò il 10 agosto del 1222, quando catturò i capi, lo sceicco e i due figli, decapitandoli in piazza a Palermo». L’autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo” conferma i suoi timori: «Prima o poi, qualcosa combineranno». Lo dice la logica, se si interpreta in chiave simbolica il corredo di informazioni attorno agli attentati in Francia e in Belgio, a partire dal massacro di Nizza il 14 luglio, data “sacra” per la massoneria progressista, vero “bersaglio” (tra gli altri) degli organizzatori dell’attentato. Poi la strage del Bataclan attuata il 13 novembre, giorno in cui i Templari messi al bando nel 1308 riuscirono a lasciare Parigi riparando in Scozia, dove contribuirono a fondare la massoneria moderna. E il doppio attacco a Bruxelles contro aeroporto e metropolitana, come a sottolineare il motto “così in cielo, come in terra”.
    Quanto a Charlie Hebdo, parla la cronaca: indagini “seppellite” dal governo Hollande con l’imposizione del segreto militare dopo la scoperta, da parte della magistratura, della strana triangolazione che collegava il commando “jihadista” ai servizi segreti parigini, attraverso il trafficante belga che fornì loro le armi. Meccanismo che Carpeoro, nel suo libro, chiama “sovragestione”: esponenti del massimo potere utilizzano settori dell’intelligence per reclutare, all’occorrenza, anche dei kamikaze, a volte completamente all’oscuro del piano, a differenza di quanto avviene nella mafia, dove almeno è possibile risalire ai mandanti, una volta catturati i killer. «E’ Cosa Nostra che ha copiato il metodo. Se uno si va a studiare come agiva Cosa Nostra, può notare che gli anelli superiori li conoscevano. La caratteristica di questo protocollo dell’intelligence, invece, è quella che gli anelli bassi non conoscono nemmeno l’esistenza degli anelli superiori. Questi bombaroli si fanno esplodere senza conoscere i vertici che dirigono questo tipo di operazioni. Molti sono convinti di agire come autonomi».
    “Sovragestione” non è sempre sinonimo di terrorismo: si tratta di una modalità di potere che collega elementi in apparenza lontani. Come Enrico Cuccia, ad esempio, a torto ritenuto  «portabandiera della finanza laica», quando invece era di fede templarista: «Mediobanca era organizzata in capitoli templari e il Consiglio d’amministrazione era composto da 13 membri», racconta Carpeoro allo “Sciacallo”. Il gran capo «presenziava alle riunioni secondo una ritualità templare. Io sono in possesso della lettera che Cuccia scrisse a Romiti quando quest’ultimo fu inquisito, e vi posso assicurare che è una lettera templare al 100%». Il suo braccio destro, Raffaele Mattioli, contribuì alla ricostruzione dell’abbazia di Chiaravalle, alle porte di Milano, e chiese di esservi sepolto, «unico laico in un cimitero di frati». Nella lapide «è sdraiato con le mani incrociate, vestito da templare, con tanto di squadra e compasso». Templari, come quelli a cui ammiccherebbero gli “architetti” della strage del Bataclan? Cristiani “eretici”, nella doppia veste di monaci e guerrieri – allora, certo. Ma oggi?
    «La gente dà poco peso ai simboli e ai miti», premette Carpeoro nell’intervista. «Nel medioevo spesso venivano raffigurati dei draghi: ciò non significa che bisogna credere ai draghi, ma ai dinosauri sì. Questo significa che le leggende e i miti hanno le loro radici da un archetipo, e l’archetipo è una storia vera, reale. Il ricercatore saggio sa decifrare questi simboli fino a coglierne il vero significato, senza fermarsi a un’analisi superficiale». Il suo libro parte dalla spiegazione di questi simboli, dei riti, e poi si snoda indagando la parabola di potere del network massonico, di cui Carpeoro non fa più parte. «La massoneria e la Chiesa cattolica raggiungono insieme l’apogeo: l’apogeo della Chiesa viene raggiunto nel medioevo con la costruzione delle grandi cattedrali, tramite la manovalanza dei massoni». Poi, le due entità parallele si ritrovano su fronti opposti, perché «la Chiesa diventa potere: cessa di essere conoscenza e potere, abbracciando unicamente il secondo». Lo dimostra la stessa soppressione dell’ordine dei Templari. «D’altro canto, la massoneria comincia a mettere in discussione i dogmi, rendendo per questo fragile la costruzione della Chiesa cattolica, che in quegli anni si fondava sul dogma».
    Quello che ai più sfugge spesso – ma ora, libri come quello di Carpeoro contribuiscono a recuperare il gap di informazione – è il nesso profondissimo che lega il vertice del massimo potere ai simulacri della simbologia esoterica medievale. Dinamiche sempre parallele, che coinvolgono sia il mondo massonico che quello cattolico, ad esempio attraverso l’Opus Dei. «Lo scontro nacque perché la massoneria decise di prendere le difese dello gnosticismo: da quel momento la Chiesa comincia a scomunicare. E la massoneria diventa anticlericale, sbagliando, nella stessa misura in cui la Chiesa si proclamava antimassonica». Poi, però, ci fu una storica saldatura, a cominciare dal livello finanziario, come dimostrano le vicende di Calvi, Sindona e Gelli – su quest’ultimo, Carpeoro si sofferma a lungo, rivelando il ruolo della P2 nei tentativi di golpe di Italia, “sovragestiti” da una struttura-ombra che l’autore chiama P1. Grande burattinaio, un super-massone come il politologo statunitense Michael Ledeen, prima legato a Craxi e poi al suo demolitore, Di Pietro (oggi, si dice, a Matteo Renzi ma anche al grillino Luigi Di Maio). Già ai tempi di Craxi, ricorda Carpeoro, la “sovragestione” affondò le mani nella strategia della tensione, fino al caso Moro, nel quale Ledeen fu direttamente coinvolto, introdotto al Viminale come super-consulente di Cossiga.
    Terrorismo e mondo arabo, già allora. Nel mirino, Craxi: amico dei palestinesi (che cercò di finanziare, anche attraverso Gelli) e poi di Moro, che tentò di salvare. Tutto inutile, la “sovragestione” aveva deciso altrimenti: Bettino in esilio ad Hammamet, Moro ucciso. E oggi? L’Italia gode ancora di una «protezione speciale da parte dell’Islam», dice Carpeoro. C’è chi ricorda del Conto Protezione, istituito in Svizzera da Craxi per sostenere Arafat. «Perciò l’Italia ha un po’ di benemerenza nei confronti degli islamici. E’ vero che esiste la sovragestione, ma anche questa non può non tener conto che gli italiani non sono odiati dagli arabi. Non come i francesi». Certo, «abbiamo la macchia della Libia, ma è pur vero che è una macchia sbiadita, a differenza del colonialismo francese e di quello che hanno fatto poi gli americani: pensate che Sarkozy ha voluto la morte di Gheddafi perché erano soci e aveva paura che questi potesse parlare». Quindi, «escluso il Vaticano, dove l’Isis ha minacciato di colpire, a meno di clamorosi scenari politici, se l’Italia non parteciperà ai giochi francesi e americani difficilmente verrà colpita». Se invece gli strateghi della “sovragestione” sceglieranno di devastare il nostro paese, Carpeoro scommette che gli stragisti vorranno «invocare una motivazione strumentalmente forte, come i fatti di Palermo del 1222», il fatidico 10 agosto.
    (Il libro: Gianfranco Carpeoro, “Dalla massoneria al terrorismo”, sottotitolo “Come alcune logge massoniche sono divenute deviate e come con i servizi segreti vogliono controllare il mondo”, Uno Editori, 189 pagine, 13 euro).

    Se smarrisci la tua missione, poi ti riduci a essere un mero strumento di potere. Fino a mettere in atto il terrorismo, oggi travestito da “fondamentalismo islamico”. Ma, al di là degli esecutori, gli organizzatori risiedono nell’intelligence. Che a sua volta risponde a personaggi del massimo potere, interamente massonico. E’ la tesi del recentissimo libro “Dalla massoneria al terrorismo”, nel quale Gianfranco Carpeoro – già gran maestro della loggia “Serenissima”, del rito scozzese, nonché studioso di Giordano Bruno e grande esperto di simbologia – affronta il tema cruciale dell’attualità di oggi: la politica di rigore dell’élite finanziaria, imposta anche “con le cattive”, cioè gli attentati, per rispondere a una logica di puro dominio e sottomissione di Stati e popoli. Charlie Hebdo, Batalclan, Bruxelles, Nizza. Le stesse “firme”, leggibili da chi conosce il linguaggio esoterico, consentono di risalire ai veri mandanti. Che, secondo Carpeoro, oggi colpiscono con crescente ferocia perché stanno iniziando ad avere paura di perdere il loro potere, da quando settori dell’élite – lo si vede negli Usa, con l’appoggio alla candidatura Sanders – si sono sfilati dal super-vertice globalizzatore, in preda al delirio di onnipotenza e ormai pronto a tutto: forse anche a colpire l’Italia, a Palermo.

  • Formica: Renzi asfaltato dai No, poi deciderà il Vaticano

    Scritto il 14/10/16 • nella Categoria: idee • (3)

    «Il referendum sarà una bomba, sarà come quello sulla Repubblica. Scaverà nel tempo e porrà il problema della post-democrazia dei partiti: senza democrazia o con più democrazia?». Domanda lancinante, e Rino Formica non ha dubbi: vincerà il No. Il socialista più volte ministro, uomo dalle celeberrime definizioni fulminanti («la politica è sangue e merda») è presidente onorario del comitato dei “socialisti per il No”. «La contro-riforma Renzi-Boschi rende irreversibile l’effetto disastroso dell’erosione del principio di rigidità costituzionale», dichiara a Daniela Preziosi che l’ha intervistato per il “Manifesto”. Il rischio: si torna allo Statuto Albertino, «una costituzione flessibile, che poteva essere modificata con legge ordinaria e che consentì di cambiare la forma di Stato, tant’è che con lo Statuto Albertino morì lo Stato liberale e s’impose il fascismo». La contro-riforma renziana punta a demolire le «norme valoriali» della Carta, che «vincola i governi all’equità nella distribuzione, a una politica fiscale progressiva». Formica non ha dubbi: vincerà il No, data «la somma delle difficoltà del paese». Ma non ci sarà il caos, come paventa Confindustria: dopo Renzi «ci sarà un governatore papalino».
    La “grandezza” della Chiesa starebbe nell’intercambiabilità dei personaggi: «Quello che viene dopo non è mai in continuità con quello di prima perché è la scelta ad hoc per il tempo», dice Formica, nell’intervista ripresa da “Dagospia”. E Renzi? «Viene da un mondo minore, di periferia. I toscani sono, senza offesa, i napoletani del centro-nord. Sono imbroglioni, mercanti e banchieri, massoni e cattolici, guelfi e ghibellini». Quanto ai laici, «devono avere l’intelligenza di usare la risorsa di recupero di fiato che offre la Chiesa». Per recuperare consenso in vista del referendum, domanda Daniela Preziosi, Renzi farà una finanziaria elettorale? «Alla storia degli elettori che si vendono per una mancia credo poco», risponde l’ex ministro. Sicché il Pd cambierà gestione, in caso di sconfitta renziana? «Bersani oggi rappresenta l’area degli ingiustamente umiliati. E come diceva Che Guevara, gli umiliati sono una forza indomabile», sostiene Formica. «Ma la vittoria del No aprirà la riorganizzazione di tutto il sistema politico. Tutta la realtà umiliata nel Pd e soprattutto quella, grande, stomacata. Che è la realtà vera dei 5 Stelle. Gli stomacati di tutto il sistema, e anche della sinistra larga».
    Per ora però questa sinistra larga è una galassia dispersa, divisa e rissosa, osserva il “Manifesto”. Ma per Formica non è un problema: «Il No sarà una sveglia. Non un fulmine ma un suono di campane. Gli ufficiali si vedranno sul campo». E il Renzi che ora parla di Ponte sullo Stretto non fa venire in mente Berlusconi o Craxi? «Ma no, Craxi era inorganico ai poteri costituiti. Renzi invece sceglie disinvoltamente tutti i giorni un potere da accattivarsi. Non ha il senso dello Stato, è un premier che va a dire “caro Pietro” al presidente di un’azienda che è in causa con lo Stato. Ormai crede di essere un Re Sole. Perché chi non è intelligente va a Palazzo Chigi ed è preso dalle vertigini dell’altezza. Perché tutti fanno capo lì, tutti vogliono qualcosa. E siccome lui non è in condizione di selezionare, sceglie secondo le convenienze. Oggi con i sindacati è finita, poi ha bisogno del consenso, allora riapre la Sala Verde. Poi la richiuderà». Renzi passerà come è passato Berlusconi, che oggi ha ottant’anni? «Berlusconi è stato un traghettatore dalla politica dogmatica alla politica fru-fru dello spettacolo. Ma era uno spettacolo simpatico. Quello di oggi, invece – chiosa Formica – è uno spettacolo triste perché è sfacciatamente sprezzante nei confronti degli imbrogliati. Ma certo Berlusconi è il padre di Renzi, un figlio venuto male, un monello di strada».

    «Il referendum sarà una bomba, sarà come quello sulla Repubblica. Scaverà nel tempo e porrà il problema della post-democrazia dei partiti: senza democrazia o con più democrazia?». Domanda lancinante, e Rino Formica non ha dubbi: vincerà il No. Il socialista più volte ministro, uomo dalle celeberrime definizioni fulminanti («la politica è sangue e merda») è presidente onorario del comitato dei “socialisti per il No”. «La contro-riforma Renzi-Boschi rende irreversibile l’effetto disastroso dell’erosione del principio di rigidità costituzionale», dichiara a Daniela Preziosi che l’ha intervistato per il “Manifesto”. Il rischio: si torna allo Statuto Albertino, «una costituzione flessibile, che poteva essere modificata con legge ordinaria e che consentì di cambiare la forma di Stato, tant’è che con lo Statuto Albertino morì lo Stato liberale e s’impose il fascismo». La contro-riforma renziana punta a demolire le «norme valoriali» della Carta, che «vincola i governi all’equità nella distribuzione, a una politica fiscale progressiva». Formica non ha dubbi: vincerà il No, data «la somma delle difficoltà del paese». Ma non ci sarà il caos, come paventa Confindustria: dopo Renzi «ci sarà un governatore papalino».

  • Sesso e potere, la virilità di Cristo. E il Natale ha 5000 anni

    Scritto il 28/8/16 • nella Categoria: idee • (4)

    Di Salvatori se ne contano tanti: e sono tutto maschi e virili, come Cristo. E’ la tesi “blasfema” di un eminente intellettuale come Francesco Saba Sardi, scomparso nel 2012, autore di decine di libri tra cui “Il Natale ha 5000 anni”, messo all’indice dal Vaticano. Chi è, dunque, e come “nasce” un dio? Perché la Chiesa nega la sessualità del messia? In un’intervista a Sonia Fossi per la rivista “Hera”, Saba Sardi spiega la sua visione della religione intesa solo come sistema di potere sui popoli. Triestino, spregiatore dei dogmi, Saba Sardi ha tradotto in sei lingue alcuni tra i più grandi scrittori dell’800 e del ‘900, pubblicando oltre 40 libri su temi che spaziano dalla narrativa alla saggistica, dalla poesia ai viaggi. E’ considerato una delle menti più prestigiose del XX secolo, riconosciuto dal Quirinale tra le maggiori autorità intellettuali italiane. “Il Natale ha 5000 anni” racconta la vicenda della nascita e della diffusione del Natale cristiano, illuminando le radici della religiosità in un momento storico di nascente integralismo. Con l’avvento del neolitico, 12.000 anni fa, la nostra civiltà diventa stanziale grazie alla scoperta dell’agricoltura. Per gestire la terra e il lavoro nasce la guerra. E per motivare la guerra viene “inventata” la religione.
    Nasce così l’attuale sistema di potere, che in un suo saggio del 2004 Saba Sardi chiama “dominio”. Temi anticipati da “Il Natale ha 5000 anni”, volume popolato di vicende e personaggi che, prendendoci per mano, ci fanno percorrere il cammino dell’uomo: «Dodicimila anni fa l’umanità dell’Eurasia ha inventato le divinità», riassume Sonia Fossi nell’intervista ripresa dal blog di Gianfranco Carpeoro. Ma è nella crisi generale di 5000 anni fa che Francesco Saba Sardi individua «il sorgere della necessità di speranza che porta l’uomo a desiderare la comparsa del Salvatore, del redentore capace di ricondurci alla fratellanza dei primordi». E così, «la speranza nei Figli del Cielo apparsi in maniera straordinaria, uscendo da grotte, rocce o nascendo da madri vergini, si diffonde per millenni lungo tutti i territori eurasiatici». Sicchè, il Cristianesimo «è solo uno dei Natali dei Figli del Cielo». Ma chi è questa volta il Figlio del Cielo? Sempre lo stesso di 5000 anni fa? E cosa rappresenta per noi oggi la religione, la fede, la credenza in entità sovrumane?
    “Il Natale ha 5000” anni viene pubblicato per la prima volta nel 1958 per essere poi ritirato dalle librerie. La pubblicazione del 2007 dell’editore Bevivino è in realtà la seconda edizione, precisa Sonia Fossi. Cosa accadde nel 1958? «Nel ’58 il mio libro fu accolto molto bene dal pubblico e molto male dalla “Civiltà Cattolica”». La rivista dei gesuiti, allora diretta da padre Enrico Rosa, «dedicò un intero numero, ben 25 pagine, alla confutazione della tesi esposta nel mio libro, confutazione a cura di padre Rosa». Che cosa ha fatto e cosa può ancora fare paura del suo libro? «Varie cose. Ad esempio, ha fatto paura il fatto che io affermassi che il Cristianesimo è un mitema: ma il mito non è bugia». Il mito è un’affermazione che sorge spontaneamente, spiega Saba Sardi. «Il Natale è un mito che sorge nell’impero eurasiatico quando nell’età neolitica l’umanità passa dal nomadismo alla stanzialità. La società stanziale inventò l’agricoltura, l’allevamento di bestiame, il maschilismo e il potere. La necessità di una società organizzata richiese l’istituzione di una gerarchia che veniva ordinata soprattutto dal cielo con l’idea della divinità».
    Su quali elementi – domanda la giornalista – basò la sua confutazione padre Rosa? «La mia tesi è inconfutabile», risponde lo studioso. «Padre Rosa basò la sua confutazione sul fatto che Gesù è una realtà storica e non una figura mitica. Ma anche se Gesù fosse una realtà storica questo non avrebbe nessuna importanza, perché fu Paolo di Tarso il fondatore del Cristianesimo e non Cristo». Il Cristianesimo nasce e si diffonde seguendo vari rami, varie tesi come ad esempio la gnostica, per poi arrivare alle edizioni Paoline, e gli scritti di Paolo di Tarso diventano la base su cui si fonda il cattolicesimo per come noi oggi lo conosciamo. Come interpretare questo percorso? «E’ chiaro che quando è giunto il momento di scegliere tra i vari rami del Cristianesimo si è pensato di scegliere il Dio monoteista che più conveniva a chi in quel momento gestiva il potere, in questo caso l’imperatore Costantino. Insomma, Paolo di Tarso è stato un autore che ha trovato nell’imperatore Costantino un formidabile editore». Quindi l’imperatore Costantino potendo scegliere tra diversi autori decide di editare Paolo di Tarso? «Sì, e da quel momento il Cristianesimo sostituisce la Trinità Capitolina formata da Giove, Marte ed Ercole. Bisogna sottolineare il fatto che le figure e le qualità degli Dei Capitolini non soddisfacevano più gli intellettuali romani dell’epoca. Costantino unificò l’impero donando al popolo romano un Figlio del Cielo, monoteista e nato da un Dio sensibile e più raffinato degli Dei a cui i romani erano abituati fino ad allora».
    La narrazione cristica ha però avuto un’immensa fortuna: perchè? «La grande forza del Cristo, così come per tutti gli Apparsi, per tutti i Figli del Cielo, consiste soprattutto nell’essere maschio», spiega Saba Sardi. «La gerarchia è maschile. Il potere maschile, il Tyrannos (in lingua turca e in latino: il pene duro), il Tiranno». Attenzione: «Nessun potere può affermarsi se non è incarnato; così, il potere si materializza in una parte del corpo». Al che, «sesso e potere diventano tutt’uno». Si badi: «Non c’è mai stata un’Apparsa. Mai una donna venuta a rivelare il Nuovo Mondo, a promettere l’Età dell’Oro». Da quando sono stati inventati gli Dei, le Dee, le Ninfe, le Valchirie – aggiunge Saba Sardi – sono sempre «al servizio del Signore degli Dei, il Grande Maschio». Il potere è maschio in una civiltà dominata dai maschi, osserva Sonia Fossi. Ma se l’umanità avesse camminato sulla scia dell’energia femminile, questo avrebbe fatto differenza nella nostra evoluzione? «Moltissima differenza. Il potere non è donna. La donna è madre. Nella nebulosità dei nostri ricordi ancestrali si è persa l’idea delle Dee che si auto-generavano senza il ricorso dell’inseminazione maschile come la Madre Terra, metafora del suolo che risorge continuamente da se stesso. Nell’età neolitica la donna venne “domesticata”, ridotta alla condizione di inferiorità e sudditanza».
    «Il Neolitico è stata una tragedia per l’umanità», insiste Saba Sardi. «L’invenzione della stanzialità, nel tempo ha cambiato tutto: il modo di mangiare, la concezione dello spazio. Abbiamo cessato di divertirci. Andare a caccia è divertente, il selvaggio si diverte. Zappare non è divertente come non è divertente fare l’impiegato. Abbiamo cessato di divertirci e abbiamo inventato la guerra. La parola ha cessato di essere spontanea: non è la parola che inventa il mondo, ma sono gli oggetti che iniziano a imporre le parole». Il suo libro percorre la storia dei Figli del Cielo, dei mitema. Quali elementi uniscono queste figure al Cristo? «Come abbiamo già detto la maschilità», risponde l’autore. «Il fatto che devono affrontare dei pericoli: ad esempio, il Dio egizio Amon Ra – il Sole – deve affrontare il pericolo della notte, come il Cristo deve affrontare il buio, il Diavolo. Il fatto è che sono Apparsi, il Natale è Apparso. Non è sempre necessaria una madre vergine, ma una nascita straordinaria: Mitra nasce da una roccia. Poi, l’Apparso trionfa nell’aldiquà o nell’aldilà; quello che conta è il trionfo attuale o futuro, dopo aver “rinominato” il mondo non più con la parola spontanea, ma come conseguenza dell’essersi impadronito del mondo». In altre parole, attraverso l’evocazione della divinità, «il potere consiste nel darci il pensiero, che è parola».
    Tutti i profeti raccontano del ritorno dell’Età dell’Oro, scrive la Fossi, anche se ognuno chiama questo tempo che ci attende con le proprie parole: cosa rappresenta questa visione? «Nostalgia e speranza», dice Saba Sardi. «Speranza che ritorni il tempo felice. Il tempo in cui non si consumava la propria vita lavorando, perché cacciare o raccogliere delle radici nei boschi non è un lavoro». Ed ecco il nostro tempo: «La civiltà per come l’abbiamo costruita ora è un disastro. Abbiamo distrutto la natura, abbiamo ucciso noi stessi». Tornare indietro? «E come? Tornando alla caccia? E’ più probabile che ci penserà la Terra stessa a ripulire l’uomo. L’Apocalisse è la fine del mondo per ricominciare. L’Età dell’Oro è apocalittica. Ci sarà un’epoca di felicità futura perché la nostalgia e la speranza sono tutt’uno. Tutti gli Apparsi, tutti i Figli del Cielo parlano di questo momento, tutti».
    Quindi, figure simili a Cristo esistono almeno da 5000 anni. «Nel Neolitico avviene la rivoluzione razionale, la ratio: il cognito prende il posto del mitema e sostituisce la poesis, l’invenzione, la poesia che è immediatezza e spontaneità, è ciò che sopravvive ancora nei bambini». Quindi le informazioni le abbiamo, ma a causa della nostra razionalità non riusciamo ad utilizzarle? «No, non riusciamo. Tutte le informazioni da cui siamo invasi nella nostra società sono composte da due parti: la prima è costituita da dogmi. Dogma è la fede e l’affermazione fideistica non ha nulla a che fare con la razionalità. La seconda parte dell’informazione è composta dalla giustificazione, la riprova. Il Vaticano, ad esempio, informa utilizzando la razionalità dell’informazione religiosa». Ratzinger ha detto di continuo che il Cristianesimo è razionale. «I preti non fanno altro che dare dimostrazione di Dio e delle sue manifestazioni hanno bisogno della riprova». Mentre la scienza «parte da ipotesi che debbono essere provate», la religione «al posto delle ipotesi mette delle certezze aprioristiche», cioè «dogmi che non possono essere smentiti perché smentire i dogmi significa essere degli eretici».
    La storia dell’uomo è comunque piena di eretici, di uomini che hanno tentato con tutte le loro forze di smentire questi dogmi. Gente come Giordano Bruno, disposta a pagare con la vita. Oggi, domanda Sonia Fossi, un Giordano Bruno che tipo di opposizione incontrerebbe? «Incontrerebbe un padre Rosa che gli darebbe pubblicamente del bugiardo», risponde Saba Sardi. Ma la Chiesa «è in contraddizione con se stessa: ad esempio, dichiara Cristo una realtà storica, quindi non nega l’incarnazione, ma dell’incarnazione nega la sessualità». Infatti, “Il Natale ha 5000 anni” mostra le immagini di antichi dipinti in cui la sessualità di Cristo non viene negata, ma mostrata. Quei dipinti «sono esistiti fino al Concilio di Trento», poi sono stati occultati. «Il Concilio di Trento è da considerarsi l’antirinascimento», sostiene lo studioso. La copertina del libro sotto accusa, ad esempio, mostra la “Sacra Famiglia” di Hans Baldung Grien, datata 1511. «L’immagine che ha suscitato, a più riprese, scandalo, mostra il Bambino Gesù sottoposto a manipolazioni genitali. A toccarlo è la nonna, sant’Anna, mentre il bambino tende una mano al mento della madre, Maria, e l’altra scopre l’orecchio dal quale è entrato il Verbo».
    Da cattolici e protestanti «si è cercato in vari modi di spiegare, o meglio esorcizzare, l’atto erroneamente considerato un gesto di libertà senza precedenti nell’arte cristiana, ma le erezioni di Gesù sono illustrate da una folla di dipinti rinascimentali», afferma Saba Sardi. «In più di un dipinto l’erezione è talmente palese da aver indotto più volte i censori a mascherarla con pennellate o drappeggi, quando non si è arrivati a distruggere i dipinti “incriminati”». Eppure, aggiunge lo studioso, «la virilità di Gesù è una componente fondamentalissima nella concezione cristiana». Sicchè, «negare questa evidenza, negare la sessualità del Cristo, equivale a negare l’Ensarcosi, l’incarnazione del Figlio del Cielo, e dunque a negare il dogma stesso del Dio-uomo; questo equivale dunque a pronunciare una bestemmia».
    Visto che l’esistenza stessa di questi dipinti testimonia il fatto che la Chiesa non ha da sempre negato la sessualità di Cristo – ragiona Sonia Fossi – come siamo arrivati alla negazione? Nel Cristianesimo, Saba Sardi distingue tre fasi: nella prima, la fase Agostiniana, «Dio è Padre, severo e unilaterale: concede la grazia ai suoi figli ma chi non è nelle sue grazie va all’inferno». La seconda è la fase del Rinascimento: «In questa fase Dio Padre viene sostituito dal figlio, che ha ha doti di spontaneità e umanità, ed è davvero di carne e sangue». Poi arriva il Concilio di Trento, che apre la terza fase del Cristianesimo, in cui si torna alla figura del Padre severo e indiscutibile. «Naturalmente un residuo del Dio che si incarna nel Figlio, della fase rinascimentale, ha continuato a sopravvivere resistendo fino a Giovanni XXIII, ma adesso si sta tornando a Pio IX, al Sillabo. Perché la concezione dell’uomo che può e deve scegliere è impossibile da conciliare per la Chiesa, quindi si torna al Sillabo: così si pensa, così si parla, così si scrive». La poesis è pericolosa, conclude Saba Sardi: «Il poeta è pericoloso perché non rispetta i dettami del potere, quindi, tutti devono essere ridotti al comune denominatore: il Sillabo e i suoi derivati. I giornali sono il Sillabo, la produttività è il Sillabo. Il poeta è la negazione del Sillabo».

    Di Salvatori se ne contano tanti: e sono tutti maschi e virili, come Cristo. E’ la tesi “blasfema” di un eminente intellettuale come Francesco Saba Sardi, scomparso nel 2012, autore di decine di libri tra cui “Il Natale ha 5000 anni”, messo all’indice dal Vaticano. Chi è, dunque, e come “nasce” un dio? Perché la Chiesa nega la sessualità del messia? In un’intervista a Sonia Fossi per la rivista “Hera”, Saba Sardi spiega la sua visione della religione intesa solo come sistema di potere sui popoli. Triestino, spregiatore dei dogmi, Saba Sardi ha tradotto in sei lingue alcuni tra i più grandi scrittori dell’800 e del ‘900, pubblicando oltre 40 libri su temi che spaziano dalla narrativa alla saggistica, dalla poesia ai viaggi. E’ considerato una delle menti più prestigiose del XX secolo, riconosciuto dal Quirinale tra le maggiori autorità intellettuali italiane. “Il Natale ha 5000 anni” racconta la vicenda della nascita e della diffusione del Natale cristiano, illuminando le radici della religiosità in un momento storico di nascente integralismo. Con l’avvento del neolitico, 12.000 anni fa, la nostra civiltà diventa stanziale grazie alla scoperta dell’agricoltura. Per gestire la terra e il lavoro nasce la guerra. E per motivare la guerra viene “inventata” la religione.

  • Dante e i Templari fiorentini, fino a John Fitzgerald Kennedy

    Scritto il 15/8/16 • nella Categoria: Recensioni • (Commenti disabilitati)

    In un libro edito da Aurora Boreale, “Firenze, città santa dei Templari”, Luca Monti scrive che Dante Alighieri fu il Gran Maestro segreto dei Templari dopo Jacques De Molay. «La storia dei Templari è molto diversa da quella che viene descritta dagli storici tradizionali», spiega Monti, intervistato da Paolo Franceschetti. «Quando io mi occupo della storia non me ne occupo con gli strumenti tradizionali, cioè con i libri e i materiali scritti da storici, perché questi sono materiali scritti da uomini, quindi con criteri limitati; io parto invece dai simboli, che sono universali a tutte le latitudini. Da questo punto di vista i simboli usati dai Templari ci dicono molto, e ci dice molto anche il modo in cui Dante scriveva, che era di tipo esoterico. Già questo quindi offre le prime basi di partenza per l’interpretazione della Divina Commedia e ci dà delle precise indicazioni sul suo valore». Tutto, aggiunge Monti è basato su determinati numeri: 3 cantiche, e 3 è il numero della perfezione; 33 canti, e 33 è il massimo grado della massoneria, il massimo grado sapienziale. Ricorre spesso il numero 13: Dante mette nelle varie cantiche diversi gruppi di 13; 13 i dannati a cui Dante chiede il nome, 13 quelli cui non chiede il nome, 13 i dannati che si fanno riconoscere senza che venga loro chiesto il nome, eccetera.
    «Abbiamo poi indizi che dicono che Dante era un templare», prosegue Monti, nell’intervista pubblicata sul blog di Franceschetti. Esiste una moneta conservata in un museo di Vienna, in cui viene attribuito a Dante il grado di Cavaliere Kadosh, uno dei cavalierati più segreti all’interno dei Templari. «Attorno a sé lui aveva creato un circolo che ufficialmente si occupava di poesie d’amore, ma in realtà era un circolo segreto di matrice esoterica. L’ultima guida di Dante poi è San Bernardo, che è il creatore della regola templare». I manoscritti originali di Dante, ufficialmente, non esistono, osserva Franceschetti: non abbiamo una sua firma autografa, un suo manoscritto, nulla. Esiste qualcuno che li ha? «Per quello che posso immaginare sì, ci sono – risponde Monti – ma non sono consultabili e credo siano negli Stati Uniti, custoditi dai Templari di oggi. C’è ad esempio un certo Filippo Mazzei che è stato uno dei firmatari della Costituzione americana ed era un fiorentino di una famiglia templare molto importante. I legami quindi tra Templari e Usa sono molto stretti, perché a partire dal 1200 ormai l’Europa divenne scomoda per i Templari e quello che potevano fu portato negli Usa».
    Questi documenti, continua Monti, «non vengono divulgati perché da secoli ci sono battaglie all’interno del movimento templare tra coloro che sono chiamati “passatisti”, che hanno una visione pura del mondo iniziatico, e i “modernisti”, che sono la componente più nera». Nella Divina Commedia non esiste un solo cenno alla moglie di Dante, Gemma Donati, e così pure nelle altre opere. Corso Donati, Forese Donati e Piccarda Donati sono parenti di Gemma e vengono nominati, aggiunge Franceschetti – ma perché mai la moglie? Cosa ci hanno taciuto del personaggio di Dante? E’ possibile che sia un’opera collettiva e Dante sia un personaggio romanzato? «No, credo proprio di no. Credo sia tutta farina del sacco di una persona», dice Monti. «Dante divenne maestro templare controvoglia. Il vero maestro doveva essere Brunetto Latini, ma non se la sentì e per questo fu posto all’Inferno, per punirlo simbolicamente del suo rifiuto. Quanto a Gemma, potrebbe simboleggiare la “gemma gnostica” e non essere un personaggio vero e proprio. Probabile fosse quindi uno pseudonimo».
    E Dante cosa faceva nei periodi bui della sua biografia? «Si dedicò a ripristinare l’Ordine templare che ormai era quasi finito», racconta Luca Monti. «Non è escluso che sia stato in Medio Oriente per incontrare i Sufi, con cui ebbe rapporti molto stretti. Lo stesso Federico II provò a mettere insieme la cavalleria cristiana e islamica e addirittura quella mongola; lui infatti temporeggiava nell’intraprendere la crociata voluta dal Papa di allora, perché cercava questo accordo tra Islam e Cristianesimo esoterico». Altra domanda: Castel Del Monte, in Puglia, era il luogo dove fu custodito il Graal dai Templari? «E’ plausibile. Occorre vedere quale Graal, perché ce n’erano tre. Il contenitore del sangue di Cristo, il balsamario e quello dell’ultima cena». E che dire di due personaggi fondamentali della Divina Commedia, San Bernardo e Beatrice? «Beatrice è l’obiettivo cui devono tendere i Templari, perché simbolicamente rappresenta la gnosi, la “sofìa”, la conoscenza suprema. Per questo la troviamo nel Paradiso, perché non deve essere contaminata da energie basse». Quanto a San Bernardo, «non è solo chi ha scritto la regola, ma è colui che ha plasmato esotericamente i Templari». E i cavalieri del Tempio «non nascono certo per difendere i pellegrini in Terrasanta: in 9 infatti potevano fare ben poco». La loro vera missione: «Trovare degli oggetti esotericamente importanti». Nel tempio di Gerusalemme «cercarono l’Arca dell’Alleanza, la testa di San Giovanni Battista e molto altro».
    In chiave inziatica, aggiunge Franceschetti, com’è che l’esoterista Dante “vede” Inferno, Purgatorio e Paradiso? «Secondo me li ha visitati davvero», risponde Monti, «nel senso che con un “viaggio astrale” probabilmente lui ha effettuato questo percorso, e probabilmente è stato il “viaggio astrale” più interessante della storia dell’umanità», nientemeno. Con l’espressione “viaggio astrale” si può intendere “esperienza extracorporea”, nota anche con le sigle Obe o anche Oobe (dall’inglese “out of body experience”), che per Wikipedia sta a indicare «tutte quelle esperienze, la cui interpretazione rimane controversa, nelle quali una persona percepisce di “uscire” dal proprio corpo fisico, cioè di proiettare la propria coscienza oltre i confini corporei». Sempre per Wikipedia, circa una persona su dieci ritiene di aver avuto qualche volta nella vita una di queste esperienze. «Più stringatamente», il termine «sta a indicare quella sensazione che taluni provano come se stessero fluttuando all’esterno del proprio corpo e, in taluni casi, percependo la presenza del proprio corpo da un punto esterno ad esso».
    In genere – prosegue Franceschetti, cambiando argomento – gli iniziati condivisono tra loro il cosiddetto “segreto iniziatico”, e proprio per questo motivo «non parlano di Dante svelandone i principali segreti». Luca Monti invece perché ne parla? Non è vincolato al “segreto iniziatico”, pure essendo “Gran Priore del Sacro Ordine Equestre Ecumenico Templare”? «Personalmente – spiega l’autore del libro sul templarismo fiorentino – credo sia il momento di divulgare il più possibile, e che il “segreto iniziatico” debba essere molto ridimensionato». E aggiunge: «Credo anzi che la missione del vero iniziato, oggi, in cui i tempi sono molto cambiati, debba addirittura essere capovolta rispetto al passato, cioè essere quella di cercare di innalzare il livello sapienziale delle masse, per quanto possibile, buttando sempre più sassolini per permettere a chi vuole di fare delle ricerche». Sicché, Franceschetti ne approfitta: «Dante – dice – parla spesso di un “cinquecentodieci e quinque”, 515, che libererà l’umanità». Che cos’è? Cosa rappresenta? «E cosa rappresenta il 666? Teniamo conto che nella Divina Commedia le profezie dantesche sono tutte collocate, con precisione matematica, a 515 o 666 versi di distanza l’una dall’altra».
    «Io penso che questo 515 arriverà verso il 2020», risponde Monti. «Ma questo numero rappresenta anche la riunificazione; noi siamo tutti in potenza parti di Dio, particelle divine, e il 515 rappresenta la riunione di noi stessi col divino. Il 666 invece è il numero della Bestia dell’Apocalisse, ma ricordiamoci anche che l’Apocalisse è la Rivelazione». Altro quesito: se Dante fu il successore segreto di Jacques De Molay, l’ultimo leader dei Templari arso sul rogo, chi fu il successore di Dante? Sorpresa: per Luca Monti, il successore dell’Alighieri-templare fu «Gherarduccio dei Gherardini, antenato di John Fitzgerald Kennedy. Ecco perché questo legame tra Dante e i Templari». Sul tema, Monti sta scrivendo un libro, “Dal rogo all’ermellino”, ovvero «la trasformazione dei Templari dalla clandestinità all’affermazione di nuovi ordini». E i Catari, sterminati tra 1200 e 1300 dal Vaticano prima con la Crociata Albigese e poi con l’istituzione dell’Inquisizione, come incrociano la loro storia “eretica” con Dante e i Templari? «Catari e Templari sono fratelli – sostiene Monti – nel senso che condividevano una stessa visione gnostica della spiritualità; solo che i Templari non potevano esternarlo ufficialmente come i Catari, essendo formalmente riconosciuti dalla Chiesa». Ma non è tutto, perché «il legame spirituale dei Templari va oltre il Catarismo e oltre il Sufismo», basti pensare che «San Bernardo era un druido e anche quella è, quindi, una direzione spirituale da percorrere». Templari e Fedeli d’Amore? Stessa cosa, a Firenze: «I Fedeli d’Amore, quindi il gruppo di Cavalcanti e Brunetto Latini, erano i veritici templari, perché quello di “Fedele d’Amore” è il grado più alto dei Templari».
    (Il libro: Luca Monti, “Firenze, città santa dei Templari”, Aurora Boreale editore, 80 pagine, 12 euro).

    In un libro edito da Aurora Boreale, “Firenze, città santa dei Templari”, Luca Monti scrive che Dante Alighieri fu il Gran Maestro segreto dei Templari dopo Jacques De Molay. «La storia dei Templari è molto diversa da quella che viene descritta dagli storici tradizionali», spiega Monti, intervistato da Paolo Franceschetti. «Quando io mi occupo della storia non me ne occupo con gli strumenti tradizionali, cioè con i libri e i materiali scritti da storici, perché questi sono materiali scritti da uomini, quindi con criteri limitati; io parto invece dai simboli, che sono universali a tutte le latitudini. Da questo punto di vista i simboli usati dai Templari ci dicono molto, e ci dice molto anche il modo in cui Dante scriveva, che era di tipo esoterico. Già questo quindi offre le prime basi di partenza per l’interpretazione della Divina Commedia e ci dà delle precise indicazioni sul suo valore». Tutto, aggiunge Monti è basato su determinati numeri: 3 cantiche, e 3 è il numero della perfezione; 33 canti, e 33 è il massimo grado della massoneria, il massimo grado sapienziale. Ricorre spesso il numero 13: Dante mette nelle varie cantiche diversi gruppi di 13; 13 i dannati a cui Dante chiede il nome, 13 quelli cui non chiede il nome, 13 i dannati che si fanno riconoscere senza che venga loro chiesto il nome, eccetera.

  • L’aristocrazia nera che si nasconde dietro ai presidenti Usa

    Scritto il 12/5/16 • nella Categoria: Recensioni • (8)

    L’aristocrazia nera, ovvero: storia occulta dell’élite che da secoli controlla la guerra, il culto, la cultura e l’economia. E’ il teama dell’ultima indagine di Riccardo Tristano Tuis, saggista e musicista. Punto di partenza: quali sono le origini della cosiddetta aristocrazia nera? Che cosa si nasconde dietro ai simboli, l’araldica e le gesta di certi casati nobiliari? Che rapporto hanno con il potere? «Nel corso dei secoli – scrive Tuis – i simboli e le religioni si sono trasformati in diábolos, strumenti d’inganno per separare anziché essere impiegati nella loro funzione naturale di unità (symbolon)», all’insegna del “divide et impera”, che «è stata da sempre la regina delle strategie finalizzata al mantenimento del potere dell’aristocrazia nera sul territorio». Poche famiglie, da sempre, controllano la nostra vita. «Le radici della sanguinaria storia dell’aristocrazia nera, che nel tempo prende le sembianze delle famiglie di banchieri europei legate alla Chiesa e ad alcune specifiche casate reali eurasiatiche, vanno cercate al di fuori dell’Europa, in popoli noti come Kazari, Sarmati e Sadducei che a un certo punto conversero all’interno di un gruppo noto come Ashkenaziti, mascherandosi come ebrei ortodossi o paladini della Cristianità, raggiungendo le più alte cariche in tutta Europa».
    Queste famiglie – scrive Uno Editori – iniziarono a spartirsi gli Stati europei, dando così vita a faide interne come quella dei guelfi e dei ghibellini e a uno scontro diretto con tutti i loro oppositori, fino a giungere all’attuale costituzione di un Nuovo Ordine Mondiale con il suo occulto controllo globale attraverso una rete di organi sovranazionali, congregazioni religiose, corporazioni economiche e di comunicazione di massa». L’autore mostra inoltre alcuni dei più intimi segreti di questa oscura élite, smascherando l’intricata rete che lega le religioni con i movimenti spirituali e le società segrete con la politica e i servizi segreti. L’opera presenta come chiave di lettura il cosiddetto “criptosimbolismo” – ossia lo studio del simbolo nei suoi diversi livelli di significato e la sua applicazione occulta nella società – e di come sia stato praticato da una élite originariamente proveniente dai “Popoli del mare” che colonizzarono le aree in cui si fondarono la civiltà fenicia, del Mar Nero, della Valle dell’Indo, nonché quelle sumera, cinese, egizia e mesoamericana, per poi diversificarsi nei ceppi sarmato-sadduceo che diedero i natali all’élite sacerdotale del Tempio della Palestina e dei cavalieri nomadi degli Urali, da cui ebbero a loro volta origine le casate europee.
    «Questa élite ha rappresentato la casta sacerdotale, guerriera e mercantile del tessuto sociale ove si infiltrava e ha sempre detenuto il potere religioso, militare e finanziario e dunque politico fin dai tempi della Sumeria e dell’antico Egitto», continua l’ediore. «Solo negli ultimi secoli il suo potere si è esteso al punto che, per proteggersi, si è dovuta celare sotto falsi nomi e mansioni, senza così esporsi all’attenzione delle masse, tranne nel caso dei reali inglesi che sono pubblicamente a capo dello Stato e della Chiesa anglicana, caso che si ripresenta anche in Norvegia e Andorra». L’aristocrazia nera, infatti, «fa di tutto per mantenere nascoste le sue oscure origini e le sue trame per manipolare la storia: troppo spesso i tiranni o dittatori che muoiono ghigliottinati, fucilati o per mano della folla sono in realtà solo dei burattini, teleguidati dai veri governanti che si nascondono dietro di loro». Attraverso il Sacro Romano Impero, sostiene Tuis, questa élite occulta conquistò l’Europa e alcune aree limitrofe, poi con le Repubbliche marinare si espanse nel Mediterraneo ed esplorò nuove aree di colonizzazione, infine con l’Impero britannico raggiunse tutti e cinque i continenti che, attualmente, sono per la maggior parte posti sotto il protettorato militare degli Stati Uniti d’America.
    «Se gli Stati Uniti sono divenuti il braccio armato dell’aristocrazia nera, restano al momento ancora Roma e Londra le due capitali del loro potere». Spiegazione: «Roma è la caput mundi del culto in tutte le sue diversificazioni, mentre Londra è la stanza dei bottoni in cui si controlla il mondo attraverso l’ingegneria sociale, l’alta finanza e il signoraggio bancario». Quella dei grandi banchieri internazionali, che stampano moneta privata e la vendono agli Stati, «è la secolare truffa che ha permesso ad alcune specifiche famiglie di acquisire i mercati, i monopoli, le Repubbliche e monarchie infiltrandosi nelle casate europee al punto da sostituirsi a buona parte di esse». L’autore mostra come le famiglie di banchieri europei, legate alla Chiesa e ad alcune specifiche casate reali, non siano realmente europee ma provengano invece da alcune popolazioni asiatiche. «Tutti i presidenti degli Stati Uniti d’America provengono dalla schiatta dei Plantageneti, nello specifico da Re Giovanni d’Inghilterra». E la casata dei Plantageneti «è in realtà una ramificazione guelfa di quella che è stata la potente e stratificata casata europea, l’aristocrazia nera per eccellenza:
    i Welfen».
    (Il libro: Riccardo Tristano Tuis, “L’aristocrazia nera. La storia occulta dell’elite che da secoli controlla la guerra, il culto, la cultura e l’economia”, Uno Editori, 350 pagine, euro 16,70).

    L’aristocrazia nera, ovvero: storia occulta dell’élite che da secoli controlla la guerra, il culto, la cultura e l’economia. E’ il teama dell’ultima indagine di Riccardo Tristano Tuis, saggista e musicista. Punto di partenza: quali sono le origini della cosiddetta aristocrazia nera? Che cosa si nasconde dietro ai simboli, l’araldica e le gesta di certi casati nobiliari? Che rapporto hanno con il potere? «Nel corso dei secoli – scrive Tuis – i simboli e le religioni si sono trasformati in diábolos, strumenti d’inganno per separare anziché essere impiegati nella loro funzione naturale di unità (symbolon)», all’insegna del “divide et impera”, che «è stata da sempre la regina delle strategie finalizzata al mantenimento del potere dell’aristocrazia nera sul territorio». Poche famiglie, da sempre, controllano la nostra vita. «Le radici della sanguinaria storia dell’aristocrazia nera, che nel tempo prende le sembianze delle famiglie di banchieri europei legate alla Chiesa e ad alcune specifiche casate reali eurasiatiche, vanno cercate al di fuori dell’Europa, in popoli noti come Kazari, Sarmati e Sadducei che a un certo punto conversero all’interno di un gruppo noto come Ashkenaziti, mascherandosi come ebrei ortodossi o paladini della Cristianità, raggiungendo le più alte cariche in tutta Europa».

  • Rodotà: contro il regime, ci resta l’arma dei referendum

    Scritto il 04/4/16 • nella Categoria: idee • (5)

    Il fastidio di Matteo Renzi questa volta non è per qualche singolo oppositore ma è direttamente per uno strumento costituzionale. Renzi ce l’ha con i referendum, e dice che sono inutili, perché sa che oltre agli effetti concreti sulle norme, quando sono promossi dal basso verso l’alto, dai cittadini o dalle regioni, e non sono plebiscitari come quello che avremo sulla riforma costituzionale, i referendum producono ricomposizione sociale. Ed è invece sulla disgregazione della società che il presidente del Consiglio ha impostato la sua strategia di governo, come dimostra la politica dei bonus, che dà qualcosa a ognuno – il bonus ai giovani, il bonus ai poliziotti, il bonus ai professori – e non a tutti. E con l’attacco frontale ai referendum, cercando ogni modo per non attuarli, come nel caso dell’acqua pubblica, o dicendo che non bisogna andare a votare, come sulle trivellazioni, Renzi prosegue sulla strada della passivizzazione dei cittadini. Che è una strada che percorriamo da anni. Si diceva che i cittadini sono ormai carne da sondaggio, ma è un’espressione vecchia. Ora sono carne da tweet o da slide.
    I referendum possono essere inutili, si aggirano, si ignorano? Ma non è certo colpa dei cittadini. È il governo, e il Parlamento, che dovrebbero lavorare per dare attuazione a quanto indicato dalle consultazioni. Ma non succede, con effetti pericolosi: e non solo per lo strumento referendario. Perché il ridursi degli spazi di partecipazione istituzionale produce reazioni extra istituzionali: quando si demonizza il referendum, che sia proposto da una raccolta firme o dalle regioni non cambia, si sta dicendo ai cittadini che è inutile rivolgersi alle istituzioni e alla politica. Quello sull’acqua pubblica è un referendum che ha bloccato un processo di privatizzazione ma che si sta cercando di tradire. Senza peraltro preoccuparsi di farlo in maniera smaccata. Scandaloso, ad esempio, è l’articolo 25 del decreto Madia sui servizi pubblici che prevede “l’adeguatezza della remunerazione del capitale investito”, usando esattamente le parole cancellate dal voto sul secondo quesito referendario. È palese l’illegalità costituzionale. Nel 2012 la Corte Costituzionale aveva già dichiarato illegittime le norme che riproducono norme abrogate con il referendum.
    Oggi si dice con superficialità: il voto non ha escluso la via di una gestione privata. Ma quello che il voto ha stabilito è però che quella privata non può essere la via preferenziale, come stabiliva il decreto Ronchi, con Berlusconi, e come vuole stabilire nuovamente il governo Renzi, sempre con il decreto Madia e con l’emendamento che ha riscritto la legge in discussione in Parlamento, che originariamente riprendeva quella di iniziativa popolare. L’indicazione che si fa finta di non vedere è che la gestione dell’acqua deve essere in via prioritaria pubblica, pur nelle forme variamente partecipate, e slegata da logiche di mercato. L’argomento del governo è che il pubblico produce inefficienza e non ha le risorse per i necessari investimenti sulla rete? Ancora una volta è la dimostrazione che si vuole ignorare l’esito referendario: l’argomentazione usata è la stessa di cinque anni fa, come se non ci fosse stato il dibattito.
    E, esattamente come quando si discusse all’epoca, si dice che la gestione pubblica è giocoforza pessima, rimuovendo che i luoghi dove la gestione dell’acqua è migliore sono invece Milano e Napoli, dove è completamente pubblica. Il dialogo è ritenuto pericoloso. Ma il discorso sui beni comuni si sta svolgendo in tutto il mondo ed è un percorso opposto a quello che si vorrebbe imporre in Italia, dove le multiutility vogliono impedire che si avvii. Se si leggessero i libri, se ne troverebbero di scritti con particolare attenzione alle modalità di gestione, senza inconsapevolezza né ideologia. Anche l’uso plebiscitario del prossimo referendum costituzionale sembra indicare una crisi dello strumento. Indica invece l’uso congiunturale che si è ormai soliti fare delle istituzioni. Il referendum viene usato quando fa comodo, quando può essere utilizzato per misurare il consenso del leader, mentre nelle altre occasioni se ne parla male. Invece il referendum – così come lo ha voluto il costituente, che ha escluso i plebisciti perché consapevole dei rischi – è proprio quello dal basso, promosso dai cittadini o da almeno cinque regioni. Ed è quello che rivitalizza la democrazia e la politica.
    Intorno ai referendum si determina una ricomposizione sociale, di cui c’è molto bisogno, visto che ultimamente è stata favorita invece la frammentazione sociale, considerando superflui, ad esempio, i corpi intermedi. La scelta di invitare a disertare le urne referendarie fa il paio con le riforme costituzionali ed elettorali volute da Matteo Renzi? Mi pare evidente. Anche se a voler legger bene la riforma Boschi c’è persino una contraddizione rispetto a quello che è l’atteggiamento di Renzi, che invita all’astensione scommettendo sul mancato raggiungimento del quorum, con una furbizia che prima di lui hanno usato in tanti, dalla Chiesa a Craxi. La riforma invece modifica i requisiti per la validità dei referendum proprio per scoraggiare il gioco dell’astensione. C’è più modernità nei referendum, in questo sulle trivelle e in quelli che avremo nel prossimo anno, per cui si stanno raccogliendo le firme, dal Jobs Act alla scuola, che in tutta la riforma Boschi. Che è anzi una riforma conservatrice, che accentra il potere. Innumerevoli politologi hanno studiato il progressivo accrescimento del potere esecutivo e si sono chiesti come ricostruire gli equilibri costituzionali, come organizzare la politica e le istituzioni nell’era della sfiducia. Una delle principali risposte è quella dei referendum, che riportano il potere nelle mani del cittadino, fosse anche come legislatore negativo.
    (Stefano Rodotà, dichiarazioni rilasciate a Luca Sappino per l’intervista “Referendum, che fastidio i cittadini”, pubblicata da “L’Espresso” e ripresa da “Micromega” il 30 marzo 2016).

    Il fastidio di Matteo Renzi questa volta non è per qualche singolo oppositore ma è direttamente per uno strumento costituzionale. Renzi ce l’ha con i referendum, e dice che sono inutili, perché sa che oltre agli effetti concreti sulle norme, quando sono promossi dal basso verso l’alto, dai cittadini o dalle regioni, e non sono plebiscitari come quello che avremo sulla riforma costituzionale, i referendum producono ricomposizione sociale. Ed è invece sulla disgregazione della società che il presidente del Consiglio ha impostato la sua strategia di governo, come dimostra la politica dei bonus, che dà qualcosa a ognuno – il bonus ai giovani, il bonus ai poliziotti, il bonus ai professori – e non a tutti. E con l’attacco frontale ai referendum, cercando ogni modo per non attuarli, come nel caso dell’acqua pubblica, o dicendo che non bisogna andare a votare, come sulle trivellazioni, Renzi prosegue sulla strada della passivizzazione dei cittadini. Che è una strada che percorriamo da anni. Si diceva che i cittadini sono ormai carne da sondaggio, ma è un’espressione vecchia. Ora sono carne da tweet o da slide.

  • Padroni stranieri per l’Italia, un paese creato per obbedire

    Scritto il 02/3/16 • nella Categoria: idee • (10)

    L’inefficienza e la corruzione del sistema-Italia derivano dalla collocazione subalterna e asservita dell’Italia nella gerarchia delle potenze, quindi non è possibile curarle dall’interno dell’Italia, con mezzi politici o giudiziari o di altro genere. Promesse di questo genere sono pertanto mendaci o sciocche. Il dibattito politico e culturale resta sterile e impotente proprio perché non tematizza questa condizione giuridica internazionale di sudditanza dell’Italia, compresi i trattati e i protocolli riservati che sanciscono questa sua condizione, nonché il rapporto tra tale sua condizione da un lato e la sua decadenza dall’altro. L’Italia, dall’alto medioevo in poi, non è mai stata indipendente (tolta Venezia e qualche altra città), ma è stata assoggettata a potenze e interessi esterni; questa sua posizione è stata consolidata dai secoli, è divenuta uno dei principi cardine del diritto internazionale; i suoi governanti sono sostanzialmente al servizio di questi interessi e potenze: ottengono e mantengono la poltrona in quanto obbediscono un padrone esterno, e in cambio possono fare i loro comodi all’interno a spese dei cittadini (del resto, lo Stato unitario italiano nasce per interesse e intervento di Londra e Parigi).
    Ahi serva Italia! I rari tentativi di ribellione e di difesa di interessi nazionali sono stati repressi con ogni mezzo, compreso l’omicidio (vedi il caso di Enrico Mattei) e il downrating (vedi il caso Berlusconi). Questa condizione millenaria di asservimento allo straniero, in particolare il fatto che i governanti italiani rispondono a interessi stranieri piuttosto che a interessi nazionali (tolti quelli forti, cioè la Chiesa e le mafie), impedisce il nascere di una coscienza nazionale, di una visione politica di lungo termine e di una classe politica con adeguata competenza: avendo la funzione di trasferire risorse dagli italiani a potentati stranieri, la classe dirigente italiana necessariamente è composta di ladri professionali con mentalità di ladri e compari tra loro. Infatti è connotata, complessivamente, da incapacità, nepotismo, corruzione, abuso, servilismo. Il suo orizzonte operativo è di breve o brevissimo termine. Non si cura di programmare. Vive e ruba alla giornata. Ogni governo fantoccio è un governo di ladri.
    La popolazione percepisce queste caratteristiche del potere, e si adegua, ricorrendo all’arrangiarsi, al clientelismo, all’evasione fiscale, etc. Da qui derivano il basso senso civico e la sfiducia verso le leggi e la loro abituale trasgressione, da parte delle istituzioni prima ancora che dei cittadini. Il pesce puzza dalla testa. La decadenza di un siffatto sistema-paese è geneticamente predeterminata. Gli esempi di scelte eseguite da governi e presidenti italiani su ordine straniero e contro gli interessi nazionali sono abbondanti e macroscopici. Ne citerò alcuni che mi paiono particolarmente significativi:
    - L’adesione a tre successivi sistemi di blocco dei tassi di cambio, di cui l’ultimo si chiama “euro”, tutti molto dannosi per l’Italia e molto vantaggiosi per i paesi del Nord Europa; i primi due sono già saltati dopo aver cagionato disastri. Tutti ci hanno inflitto deindustrializzazione e indebitamento, apportando per contro sviluppo e attivo commerciale ai paesi forti. Tutti hanno aumentato il divario rispetto a questi paesi, sotto la promessa di ridurlo.
    - L’accettazione di scelte europee in materie monetarie, bancarie e fiscali che consentono ai paesi forti di violare le regole a cui invece deve sottostare l’Italia – vedi il sistema bancario tedesco, cui è concesso di usare leve multiple di quelle italiane e di ricevere aiuti di Stato – congiuntamente al fatto che all’economia italiana viene negato l’uso di strumenti finanziari che invece sono disponibili ai paesi forti dell’Ue, i quali quindi possono fare shopping e concorrenza sleale nei confronti dell’Italia, lo si sente!
    - La partecipazione alla guerra contro la Libia, imposta via Quirinale a Berlusconi poco dopo la conclusione di un trattato di pace vantaggioso per l’Italia, e voluta nell’interesse di Regno Unito e Francia, a danno dall’Italia, che, per effetto della guerra, ha perso quote di risorse petrolifere a favore di quei due paesi, e inoltre si ritrova l’Isis a soli 80 km e un flusso disastroso di migranti.
    - L’imposizione, sempre via Quirinale, come premier di Monti, che ha irrimediabilmente spezzato le gambe all’economia nazionale soprattutto dove competitiva con quella tedesca, e ha trasferito decine di miliardi spremuti dagli italiani mediante tasse folli per assicurare a banchieri tedeschi e francesi i profitti delle loro speculazioni criminali in Spagna e Grecia.
    - La demenziale adozione del principio di pareggio di bilancio in periodo di recessione, che automaticamente determina la rarefazione monetaria (perché per realizzare un avanzo primario il governo estrae dal paese più soldi di quanti ne reimmetta, svuotandolo di liquidità), quindi insolvenze, licenziamenti, morie aziendali e avvitamento recessivo.
    - La irragionevole adozione del bail-in, cioè del principio che, se una banca va male (di solito perché i suoi gestori hanno mangiato), anziché farla salvare dalla banca centrale a costo zero e punire i colpevoli, le perdite si scaricheranno su azionisti, obbligazionisti e risparmiatori – principio che mina alla base la fiducia nelle banche stesse e le rende tutte più deboli, perché adesso chi vuole investire nel capitale azionario di una banca o nelle sue obbligazioni sa che rischia di più, e richiederà tassi più alti.
    Queste cose non sono novità dell’Europa Unita, ma la prosecuzione del trattamento già riservato all’Italia a Versailles nel 1919. Alla conferenza di Versailles, che definiva i nuovi assetti alla fine della Prima Guerra Mondiale spartendo tra i vincitori territori e colonie dei vinti, il premier francese Georges Clemenceau, soffrendo di prostatite e vedendo il premier italiano, Vittorio Emanuele Orlando, piangere spesso e a dirotto, disse: «Ah, magari potessi urinare così copiosamente come Orlando piange!». Perché Orlando piangeva tanto? Perché il governo italiano, nel 1915, aveva deciso di partecipare alla guerra, che sarebbe costata un alto prezzo di morti, feriti e spese, allo scopo, sancito dal Trattato di Londra del medesimo anno, di far salire di grado l’Italia, di farla equiparare alle nazioni di prima classe; ma, al contrario, l’Italia fu trattata male da Usa, Gran Bretagna e Francia in termini di dazi per le sue esportazioni, e fu esclusa dalla spartizione delle colonie tedesche e dei territori tolti all’Impero Ottomano, cioè fu esclusa da importanti fonti di materie prime nonché sbocchi per la sua sovrappopolazione, e rimase una paese di seconda classe.
    Anzi, divenne un paese di terza classe, perché gli Usa, usciti dalla Grande Guerra come grandi creditori dell’Europa, in quel dopoguerra assunsero l’egemonia mondiale, spingendo nella seconda classe le vecchie potenze europee, e in terza il Belapaese. La Seconda Guerra Mondiale, col successivo piano Marshall e con l’europeismo, ha radicalizzato questa scomoda posizione di sub-subalternità di questo paese, che deve piegarsi agli interessi di due livelli di paesi padroni, e restare militarmente occupato dagli Usa anche dopo la fine della minaccia “comunista”. All’interno dell’Italia, ancora più sottomessi e sfruttati sono Veneti e Lombardi, che devono cedere buona parte del loro reddito per sostenere il meridione e Roma. Emigrare è quindi la scelta razionale più adatta per chi può farlo.
    Ps: l’Italia attuale non è una colonia: non ne ha le caratteristiche giuridiche e funzionali perché nessuna potenza straniera si assume la responsabilità di governarla direttamente né manda coloni. Essa è bensì oggetto di imperialismo, che impone governi fantocci e politiche di suo vantaggio, mantenendola inefficiente come sistema-paese. Per funzionare, un paese strutturalmente inefficiente come l’Italia (Meridione inguaribilmente arretrato, mentalità parassitaria, burocrazia e partitocrazia marce, livello scientifico e culturale basso, popolazione vecchia) avrebbe bisogno di quello che aveva prima dell’Euro e prima del 1981, ossia di molta liquidità e molti investimenti pubblici a basso costo: è come un motore vecchio che brucia molto olio: bisogna rabboccarlo continuamente, altrimenti grippa.
    (Marco Della Luna, “Italia, subalternità e corruzione”, dal blog di Della Luna del 20 febbraio 2016).

    L’inefficienza e la corruzione del sistema-Italia derivano dalla collocazione subalterna e asservita dell’Italia nella gerarchia delle potenze, quindi non è possibile curarle dall’interno dell’Italia, con mezzi politici o giudiziari o di altro genere. Promesse di questo genere sono pertanto mendaci o sciocche. Il dibattito politico e culturale resta sterile e impotente proprio perché non tematizza questa condizione giuridica internazionale di sudditanza dell’Italia, compresi i trattati e i protocolli riservati che sanciscono questa sua condizione, nonché il rapporto tra tale sua condizione da un lato e la sua decadenza dall’altro. L’Italia, dall’alto medioevo in poi, non è mai stata indipendente (tolta Venezia e qualche altra città), ma è stata assoggettata a potenze e interessi esterni; questa sua posizione è stata consolidata dai secoli, è divenuta uno dei principi cardine del diritto internazionale; i suoi governanti sono sostanzialmente al servizio di questi interessi e potenze: ottengono e mantengono la poltrona in quanto obbediscono un padrone esterno, e in cambio possono fare i loro comodi all’interno a spese dei cittadini (del resto, lo Stato unitario italiano nasce per interesse e intervento di Londra e Parigi).

  • Katherine Frisk: il Diavolo veste Prada e siede in Vaticano

    Scritto il 18/2/16 • nella Categoria: idee • (20)

    Il Vaticano è il prototipo di un’entità fascio-corporativa. Non risponde né paga le tasse a nessuno. I suoi vescovi e i suoi sacerdoti hanno l’immunità diplomatica in tutto il mondo. Ha le sue ambasciate e possiede più beni immobili di qualsiasi altra entità del pianeta. Non ha mai avuto a che fare con Dio, Gesù o il cristianesimo …. ma con il potere, il controllo e la ‘moda’. Il Vaticano ha rilevanti partecipazioni in tutte le più grandi aziende multinazionali, come ad esempio la Lockheed-Martin e la Bank of America. Ma chi e che cosa è davvero il Vaticano? Cosa si nasconde dietro agli ‘uomini eletti’ [i Papi] che calzano scarpe rosse fatte da Prada (il Diavolo veste Prada)? Una fra le più grandi reti pedofile presenti sul pianeta, un’industria attiva nel riciclaggio del denaro e nella gestione del commercio illegale dei farmaci e delle armi. Il Vaticano è una ‘copertura’ per la ‘nobiltà nera’ d’Europa, per i banchieri sionisti e per la setta wahhabita controllata dalla famiglia reale saudita.
    Non crede nella democrazia e certamente non nelle strutture democratiche di una Repubblica. Sostiene il monopolio, la tirannia politica, l’egemonia e le strutture di tipo gerarchico. I suoi Tribunali sono delle ordalie [il ‘giudizio di Dio’] e non dei luoghi dove i testimoni, sotto la propria responsabilità, possono parlare liberamente. Negli ultimi 1.000 anni il Vaticano si è sempre posto l’obiettivo di fagocitare la Russia, che invece è rimasta cristiano-ortodossa – a dispetto dell’invasione comunista finanziata dai banchieri di Wall Street – e non ha ceduto alla dittatura del Papa né alla sua pretesa di possedere tutto il pianeta, con tutti i suoi corpi e tutte le sue anime. Una Chiesa Apostolica basata su tutti i suoi dodici discepoli – e non del solo Pietro, che è l’unica persona che la Bibbia considera al livello di Satana – è più in linea con il concetto di Federazione di Stati, di Repubblica e di democrazia.
    Gli spagnoli, ai tempi dell’Inquisizione e dell’ascesa dei Gesuiti, hanno esplorato e colonizzato il Nuovo Mondo, in particolare il Sud America. Nel 20° secolo, in tutto il Continente, abbiamo regolarmente assistito alla soppressione della volontà popolare per mezzo delle violente dittature fasciste, con la ‘mano nascosta’ della Cia, forzata dal Vaticano, a svolgere un ruolo di primo piano. C’è ancora chi sta cercando di divorarsi la Russia – oggi come negli ultimi 1.000 anni – ma c’è anche chi ha preferito trasferirsi, poco a poco, nei paesi del Sud America, portando con sé le sue ricchezze. Queste persone hanno anche generato – utilizzando le ampie risorse del Vaticano – un Nuovo Ordine Mondiale, prototipo del fascismo corporativo, sotto l’egida degli accordi per il Tpp [Trans Pacific Partnership] e per il Ttip [Transatlantic Trade and Investment Partnership]. Il Vaticano, che una volta era il loro ‘pane-e-burro’, si è ora ampliato trasformandosi in quello che è conosciuto come il ‘Vampire Squid’. Una piovra costituita da multinazionali i cui tentacoli abbracciano tutto il mondo.
    Sotto il regime del Tpp e del Ttip le multinazionali diventeranno esse stesse, analogamente al Vaticano, una specie di Stato, con i loro Tribunali segreti, le loro immunità diplomatiche ed il loro status di aziende esentasse. Avranno gli stessi diritti e gli stessi poteri dei governi. Potranno anche citarli in giudizio per le perdite di reddito conseguenza di Leggi da loro emanate sulla remunerazione del lavoro, sulla sanità e sull’ambiente …. in realtà su qualsiasi Legge governativa che le multinazionali vedessero come un ostacolo alla loro redditività. La Nobiltà Nera, i Gesuiti, gli Illuminati ed i Banchieri Sionisti cambieranno come camaleonti … anzi, lo hanno già fatto. Sono diventati gli Amministratori Delegati delle multinazionali e si sono liberati con successo degli stati-nazione, dei troni sui quali una volta erano seduti, degli altari che una volta servivano come sacerdoti ed infine delle Banche Centrali che un tempo controllavano. Scusate ragazzi, ma il cavallo è già scappato dalla stalla.
    Negli ultimi 500 anni hanno rubato tutto l’oro che potevano e l’hanno immagazzinato in impianti privati di cui non si sa nulla, lasciando i paesi di tutto il mondo con ‘sistemi bancari centrali’ ormai pressoché defunti, in bancarotta. Il Vaticano diventerà una ‘chiesa povera’ semplicemente perché tutta la sua ricchezza ha già da tempo lasciato l’Italia, insieme a tutto l’oro che era nelle sue catacombe, alle sue opere d’arte e alla sua biblioteca. Oggi, tutto ciò che si vede in Vaticano è una replica. Il ‘vero potere’ del Vaticano ha da tempo lasciato libero l’edificio. Ora siede nei Consigli d’Amministrazione, traccia e pianifica la piena attuazione del Tpp e del Ttip e, se incontra delle difficoltà lungo la strada, scatena ‘rivoluzioni colorate’, tsunami, terremoti e siccità, per convincere le varie nazioni a rientrare nei ranghi. Si tratta, fra l’altro, di crimini contro l’umanità che dovrebbero essere affrontati in un ‘Tribunale di Diritto Internazionale’. I suoi responsabili dovrebbero essere indagati, processati e condannati.
    Avendo fallito in almeno tre occasioni di prendersi la Russia – Napoleone e le due Guerre Mondiali, ma anche la guerra in Ucraina del 2014 e i patetici tentativi degli anni ’90, attuati attraverso delle guerre economiche – [il vero potere] ha ora deciso di scaricare l’Europa nel suo complesso, per approdare nei più salubri climi del sud del mondo. E, come al solito, farà in modo che tutto questo sembri colpa di qualcun altro. In ogni caso è questo il loro piano. Da qui il finanziamento di Soros ai ‘profughi’ diretti in Europa e la promessa fatta ai wahabiti [sauditi] che la fallita invasione [a suo tempo tentata] dall’Impero Ottomano potrà ora aver luogo. I musulmani saranno chiamati invasori, colonizzatori … e saranno la causa principale della distruzione della società europea per come la conosciamo. Ma le cose potrebbero risultare del tutto diverse da come [il vero potere] se le aspetta.
    Per gli europei la soluzione migliore, se vogliono sopravvivere, è di chiudere le frontiere, rifiutare di firmare il Ttip e poi andare verso Est unendosi all’Aiib [Asian Infrastructure Investment Bank] e ai Brics. Si tratta di un ‘caval donato’, non stiano a ‘guardare in bocca’. Dovrebbe tenere la Monsanto fuori dall’Europa e rimandare i ‘profughi’ da Soros con un biglietto di sola andata! Egli è così ricco che potrà senz’altro accoglierli, nutrirli e vestirli. Egli li ha finanziati, in primo luogo, perché potessero andare in Europa …. ed allora rimandateglieli indietro. Dopo secoli di tirannia del Vaticano gli europei diventeranno liberi. Dite ciao alla Nobiltà Nera, ai Gesuiti ed ai banchieri sionisti perché stanno imbarcandosi su aerei diretti in Sud America. Vi siete liberati di loro. Mille anni di persone inviate al rogo sono stati veramente troppi. Papa Francesco ha fondamentalmente chiuso bottega e il Vaticano è ormai un guscio vuoto. Lui non calza scarpe Prada e sta dando una rappresentazione del ruolo che contrasta con quella di Papa Benedetto, che sedeva su un Wc dal coperchio d’oro. Ma il suo è solo fumo negli occhi, baby!
    Polonia, Ungheria, Austria, Repubblica Ceca e Slovacchia si sono già svegliate. Si muovono verso Est ed hanno gettato nella discarica le politiche di Bruxelles. Questi paesi sono stanchi di essere usati ed abusati, di essere scaraventati in mezzo a guerre che hanno attraversato e distrutto il Continente, mentre coloro che le hanno istigate se ne vanno via con le tasche piene, dopo aver devastato le popolazioni. L’Ungheria, nella sua saggezza, ha bruciato i campi Ogm della Monsanto e ha sradicato questa multinazionale dal paese. Seguirà presto il resto dell’Europa. L’Ucraina Orientale diventerà uno Stato indipendente. La Polonia e l’Ungheria reclameranno quello che originariamente era il loro territorio e la giunta nazi-sionista di Kiev resterà isolata in un piccolo Stato. Chi è che ha bisogno di quei mostri? Il mondo intero, nel 2014, ha visto i loro barbari stupri, le loro ruberie ed i loro saccheggi. La Germania andrà presto verso Est, così come la Francia.
    Per quanto riguarda la Spagna, il paese è ancora legato al Sud America da un cordone ombelicale, analogamente alla Nobiltà Nera e a quello che una volta era il Vaticano, ma ora solo il grande ‘Vampire Squid’. Chissà come andrà a finire? La Turchia sta scavandosi la tomba con le proprie mani, minacciando la Russia nel nord della Siria. Dovesse persistere, il paese sarà suddiviso tra Armeni, Curdi e Cristiani Ortodossi d’Occidente. Quello che sarà lasciato alla Turchia sarà solo un territorio di lieve entità. Mi aspetto anche che Costantinopoli e la Basilica di Santa Sofia siano restituite alla Grecia, paese cui appartengono. E così l’Apocalisse sarà compiuta. Questo è quello che, a torto o a ragione, son riuscita a capire. Io sono solo una donna [nel senso di ‘essere umano’] e mi riservo di conseguenza il diritto di cambiare idea in qualsiasi momento. Il tempo dirà se ho avuto o meno ragione.
    (Katherine Frisk, “Il diavolo veste Prada – il fascismo, il Vaticano e il 21° secolo”, da “Veterans Today” del 23 gennaio 2016, tradotto da “Come Don Chisciotte).

    Il Vaticano è il prototipo di un’entità fascio-corporativa. Non risponde né paga le tasse a nessuno. I suoi vescovi e i suoi sacerdoti hanno l’immunità diplomatica in tutto il mondo. Ha le sue ambasciate e possiede più beni immobili di qualsiasi altra entità del pianeta. Non ha mai avuto a che fare con Dio, Gesù o il cristianesimo …. ma con il potere, il controllo e la ‘moda’. Il Vaticano ha rilevanti partecipazioni in tutte le più grandi aziende multinazionali, come ad esempio la Lockheed-Martin e la Bank of America. Ma chi e che cosa è davvero il Vaticano? Cosa si nasconde dietro agli ‘uomini eletti’ [i Papi] che calzano scarpe rosse fatte da Prada (il Diavolo veste Prada)? Una fra le più grandi reti pedofile presenti sul pianeta, un’industria attiva nel riciclaggio del denaro e nella gestione del commercio illegale dei farmaci e delle armi. Il Vaticano è una ‘copertura’ per la ‘nobiltà nera’ d’Europa, per i banchieri sionisti e per la setta wahhabita controllata dalla famiglia reale saudita.

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