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L’Iran: perché noi sciiti detestiamo l’Occidente, che ci odia
L’uccisione con un drone del maggiore generale Qāsem Soleymānī da parte degli Stati Uniti, insieme ad un fiume di cruciali ramificazioni geopolitiche, porta ancora una volta al centro dell’attenzione una verità abbastanza scomoda: l’incapacità congenita delle cosiddette élite statunitensi anche solo di tentare di comprendere lo Sciismo, e la sua costante demonizzazione, avvilente non solo per gli Sciiti ma anche per i governi guidati dagli Sciiti. Washington aveva iniziato la Lunga Guerra ancor prima che il concetto fosse reso popolare dal Pentagono nel 2001, subito dopo l’11 settembre: è la Lunga Guerra contro l’Iran. Era iniziata nel 1953, con il colpo di Stato contro il governo democraticamente eletto di Mosaddegh, sostituito dalla dittatura dello Shah. L’intero processo aveva raggiunto l’apice più di 40 anni, fa quando la Rivoluzione Islamica aveva messo fine ai bei vecchi tempi della Guerra Fredda, epoca in cui lo Scià ricopriva il ruolo di “gendarme privilegiato del Golfo (Persico)” americano. Comunque, tutto questo va ben oltre la geopolitica. Non c’è assolutamente alcun modo, per chiunque, di riuscire a cogliere le complessità e il favore popolare dello Sciismo senza prima una seria ricerca accademica, integrata da visite a siti sacri selezionati in tutto il sud-ovest asiatico: Najaf, Karbala, Mashhad, Qom e il santuario di Sayyida Zeinab vicino a Damasco.Personalmente, ho percorso questa strada della conoscenza fin dalla fine degli anni ’90 e sono ancora solo uno umile studente. Nello spirito di un primo approccio, per iniziare un dibattito informato Est-Ovest su un importante problema culturale, in Occidente totalmente accantonato o affogato in uno tsunami di propaganda, ho chiesto a tre validissimi studiosi quali fossero le loro prime impressioni. Questi sono: il professor Mohammad Marandi, dell’Università di Teheran, esperto di orientalismo; Arash Najaf-Zadeh, che scrive sotto lo pseudonimo di Blake Archer Williams ed è esperto di teologia sciita, e la coltissima principessa Vittoria Alliata, siciliana, tra le migliori islamiste italiane e autrice, tra le altre cose, di libri come l’incantevole “Harem”, che descrive in dettaglio i suoi viaggi in terra araba. Due settimane fa sono stato ospite della principessa Vittoria a Villa Valguarnera in Sicilia. C’eravamo immersi in una lunga ed avvincente discussione geopolitica, in cui uno dei temi chiave era stato lo scontro Usa-Iran, solo poche ore prima che un attacco di droni all’aeroporto di Baghdad uccidesse i due principali combattenti sciiti nella vera guerra al terrorismo dell’Isis/Daesh e di al-Qaeda/al-Nusra: il maggiore generale iraniano Qāsem Soleymānī e l’iracheno Hashd al-Shaabi, il braccio destro di Abu Mahdi al-Muhandis.Il professor Marandi fornisce una spiegazione sintetica: «L’odio irrazionale americano nei confronti dello Sciismo deriva dalla sua forte propensione a resistere all’ingiustizia: la storia di Karbala e Imam Hussein e lo sforzo sciita nel proteggere e difendere gli oppressi e lottare contro l’oppressore. Questo è qualcosa che gli Stati Uniti e le potenze egemoniche occidentali non riescono assolutamente a tollerare». Blake Archer Williams mi ha inviato una risposta che ho pubblicato come pezzo originale. Questo passaggio, che sviluppa il concetto di sacralità, sottolinea chiaramente l’abisso che separa il concetto sciita di martirio dal relativismo culturale occidentale: «Non c’è niente di più glorioso, per un musulmano, che raggiungere il martirio mentre combatte nel nome di Dio. Il generale Qāsem Soleymānī ha combattuto per molti anni con l’obiettivo di risvegliare il popolo iracheno e indurlo a riprendere nelle proprie mani il timone del destino del paese. Il voto del Parlamento iracheno ha dimostrato che il suo obiettivo è stato raggiunto. Il suo corpo ci è stato portato via, ma il suo spirito è stato amplificato mille volte e il suo martirio ha fatto sì che i frammenti della sua luce benedetta arrivassero ai cuori e alle menti di ogni uomo, donna e bambino mussulmano, immunizzandoli dal mortifero cancro dei relativisti culturali del diabolico Novus Ordo Seclorum».Un punto da chiarire: Novus Ordo Seclorum, o Saeculorum, significa “nuovo ordine dei secoli” e deriva da un famoso poema di Virgilio che, nel medioevo, era considerato dai cristiani la profezia della venuta di Cristo. Su questo punto, Williams ha risposto che «mentre questo significato etimologico della frase è vero e rimane valido, la frase era stata usata da George Bush figlio per caratterizzare la cabala globalista del Nuovo Ordine Mondiale, ed è questo il senso che è attualmente predominante». La principessa Vittoria preferirebbe centrare il dibattito sull’indiscutibile atteggiamento americano nei confronti del Wahhabismo: «Non credo che tutto ciò abbia a che fare con l’odiare o l’ignorare lo Sciismo. Dopotutto, l’Aga Khan è molto ben integrato nella sicurezza degli Stati Uniti, una sorta di Dalai Lama del mondo islamico. Credo che l’influenza satanica derivi dal Wahhabismo e dai reali sauditi, che, per tutti i Sunniti del mondo, sono molto più eretici degli Sciiti, ma che, per i governanti statunitensi, sono l’unico contatto con l’Islam. I sauditi hanno dapprima finanziato la maggior parte degli omicidi e delle guerre della Fratellanza Islamica, poi le altre forme di Salafismo, tutte incentrate su una base wahhabita».Quindi, continua la principessa Vittoria, «non proverei tanto a spiegare lo Sciismo, quanto il Wahhabismo e le sue devastanti conseguenze: ha dato origine a tutte le forme di estremismo, al revisionismo, all’ateismo, alla distruzione dei santuari e dei leader Sufi in tutto il mondo islamico. E ovviamente, il Wahhabismo è molto vicino al Sionismo. Ci sono anche ricercatori che hanno prodotto documenti secondo cui Casa Saud sarebbe una tribù Dunmeh di ebrei convertiti e scacciati da Medina dal Profeta, dopo che avevano tentato di ucciderlo, nonostante avessero firmato un trattato di pace». La principessa Vittoria sottolinea anche il fatto che «la Rivoluzione Iraniana e i gruppi sciiti in Medio Oriente sono oggi l’unica forza di successo in grado di resistere agli Stati Uniti, e questo li fa odiare più degli altri. Ma solo dopo che tutti gli altri avversari sunniti sono stati eliminati, uccisi, terrorizzati (basti pensare all’Algeria, ma ci sono dozzine di altri esempi) o corrotti. Questa ovviamente non è solo la mia opinione, ma quella della maggior parte degli islamologi di oggi».Essendo al corrente delle ampie conoscenze di Williams sulla teologia sciita e della sua padronanza della filosofia occidentale, l’ho spinto, letteralmente, a “cercare la giugulare”. E mi ha risposto: «La domanda sul perché i politici americani non siano in grado di comprendere l’Islam sciita (o l’Islam in generale) è semplice: lo sfrenato capitalismo neoliberista ingenera l’oligarchia, e gli oligarchi ‘selezionano’ i candidati che rappresentano i loro interessi prima ancora che vengano ‘eletti’ dalle masse ignoranti. Eccezioni populiste come Trump, di tanto in tanto, filtrano tra le maglie della rete (o non ci riescono, come nel caso di Ross Perot, che si era ritirato sotto coercizione), ma anche Trump è stato poi messo sotto controllo dagli oligarchi attraverso minacce di impeachment, ecc. Quindi, il ruolo dei politici nelle democrazie non sembra essere quello di cercare di capirci qualcosa, ma, semplicemente, quello di portare a termine l’agenda delle élite che li controllano». “L’attacco alla giugulare” di Williams è un saggio lungo e complesso che mi piacerebbe pubblicare per intero solo quando il nostro dibattito si sarà approfondito, insieme a possibili confutazioni.Per riassumerlo, Williams delinea e discute le due principali tendenze della filosofia occidentale: i dogmatici contrapposti agli scettici. Spiega come «la santa trinità del mondo antico fosse, in effetti, la seconda ondata dei dogmatici che cercavano di salvare le città-Stato della Grecia e, più in generale, il mondo greco dalla decadenza dei sofisti», approfondisce il concetto di “terza ondata di scetticismo” che era iniziata con il Rinascimento e aveva raggiunto il culmine nel 17° secolo con Montaigne e Cartesio, e poi traccia connessioni «con l’Islam sciita e l’incapacità dell’Occidente di comprenderlo». E questo lo porta al “nocciolo della questione”: «Una terza opzione e un terzo flusso intellettuale su e al di sopra dei dogmatici e degli scettici: questa è la posizione degli studiosi di religione sciiti tradizionali (non quelli di indirizzo filosofico)». Ora confrontatelo con l’ultimo sforzo degli scettici, «come ammette lo stesso Cartesio quando parla del ’demone’ che gli era apparso in sogno e che lo aveva indotto a scrivere il “Discorso sul metodo” (1637) e “Meditazioni sulla prima filosofia” (1641).L’Occidente si sta ancora riprendendo dal colpo, e sembra che abbia deciso di mettere da parte i trampoli della ragione e dei sensi (che Kant aveva cercato invano di conciliare, rendendo le cose mille volte peggiori, più contorte e circonvolute) e voglia sguazzare in quella forma auto-congratulativa di irrazionalismo nota come postmodernismo, che dovrebbe essere giustamente chiamato ultra-modernismo o iper-modernismo, dal momento che non è meno radicato nella ‘svolta soggettiva’ cartesiana e nella ‘rivoluzione copernicana’ kantiana di quanto non lo fossero i primi moderni e i moderni veri e propri». Per riassumere un accostamento piuttosto complesso, «tutto ciò significa che le due civiltà hanno due visioni completamente diverse di quello che dovrebbe essere l’ordine mondiale. L’Iran crede che l’ordine del mondo dovrebbe essere quello che è sempre stato e che attualmente è nella realtà, che ci piaccia o no o che crediamo, o meno, nella realtà (come alcuni in Occidente non fanno). E l’Occidente secolarizzato crede in un nuovo ordine mondiale (contrapposto ad un ordine mondiale o divino). E quindi non è tanto uno scontro di civiltà quanto uno scontro di sacro contro profano, con gli elementi profani di entrambe le civiltà schierati contro le forze sacre di entrambe le civiltà. È lo scontro del sacro ordine di giustizia con l’ordine profano dello sfruttamento dell’uomo da parte dei suoi simili; [è lo scontro] della profanazione della giustizia di Dio per il beneficio (a breve termine o di questo mondo) dei ribelli rispetto alla giustizia di Dio».Williams fornisce un esempio concreto per illustrare questi concetti astratti: «Il problema è che anche se tutti sanno che lo sfruttamento del Terzo Mondo nel 19° e nel 20° secolo da parte delle potenze occidentali era stato ingiusto e immorale, questo stesso sfruttamento continua ancora oggi. Il persistere di questa vergognosa ingiustizia è la ragione principale delle differenze esistenti tra Iran e Stati Uniti, che continueranno inevitabilmente finché gli Stati Uniti insisteranno nelle loro politiche di sfruttamento e fintanto che continueranno a proteggere i loro governi di occupazione, che riescono a sopravvivere contro la schiacciante volontà dei loro cittadini solo grazie alla ingombrante presenza delle forze statunitensi che li sostengono affinché possano continuare a servire gli interessi americani piuttosto che quelli delle loro popolazioni. È una guerra spirituale per il trionfo della giustizia e dell’autonomia nel Terzo Mondo. L’Occidente può continuare ad apparire bello ai propri occhi perché controlla tutta la messa in scena (del discorso mondiale), ma la sua immagine reale è evidente a tutti, anche se l’Occidente continua a vedersi come il Dorian Gray del romanzo di Oscar Wilde: una persona giovane e bella i cui peccati si riflettevano solo nel suo ritratto. Così, il ritratto riflette la realtà che il Terzo Mondo vede ogni giorno, mentre il Dorian Gray occidentale si vede come viene rappresentato dalla Cnn, dalla Bbc e dal “New York Times”».«L’imperialismo dell’Occidente in Asia occidentale è di solito simboleggiato dalla guerra di Napoleone Bonaparte contro gli Ottomani in Egitto e in Siria (1798-1801). Sin dall’inizio del 19° secolo, l’Occidente ha succhiato la vena giugulare del corpo politico musulmano come un vero vampiro, mai sazio di sangue musulmano, che si rifiuta di lasciare il corpo. Dal 1979, l’Iran, che ha sempre avuto il ruolo di leader intellettuale del mondo islamico, si è ribellato per porre fine a questo oltraggio contro la legge e la volontà di Dio e contro ogni decenza. Si tratta quindi del processo di revisione di una visione falsa e distorta della realtà per ritornare a ciò che la realtà è e dovrebbe effettivamente essere: un ordine giusto. Ma questa revisione è ostacolata sia dal fatto che i vampiri controllano la rappresentazione della realtà, sia dall’inettitudine degli intellettuali musulmani e dalla loro incapacità di comprendere anche solo i rudimenti della storia del pensiero occidentale, nel suo periodo antico, medievale e moderno».C’è una possibilità di distruggere tutta questa messa in scena? Forse: «Quello che deve succedere è il passaggio dell’autocoscienza mondiale dal paradigma in cui le persone credono che un pazzo come Pompeo e un buffone come Trump rappresentino l’essenza della normalità, ad un paradigma in cui le persone vedano Pompeo e Trump solo come un paio di gangster che fanno tutto ciò che vogliono, non importa quanto disgustoso e depravato, in completa e totale impunità. E questo è un processo di revisione ed un processo di risveglio verso un nuovo e più alto stato di coscienza politica. È un processo di rigetto del paradigma dominante e di unione all’Asse della Resistenza, il cui leader militare era il generale martire Qāsem Soleymānī. Non da ultimo, [questo processo] comporta il rifiuto dell’assurdo concetto di verità relativa (ed anche della relatività del tempo e dello spazio, scusaci Einstein), l’abbandono dell’assurda e nichilista filosofia dell’umanesimo, e il risveglio alla realtà dell’esistenza di un Creatore e del suo ruolo di comando. Ma, ovviamente, questo è troppo per la mentalità moderna, così illuminata da sapere tutto». Eccoci qua. E questo è solo l’inizio. Commenti pro e contro sono i benvenuti. Date una voce a tutte le anime bene informate: il dibattito è aperto.(Pepe Escobar, “Le radici della demonizzazione dell’Islam sciita da parte dell’America”, da “Unz.com” del 17 gennaio 2020; articolo tradotto da Markus per “Come Don Chisciotte”).L’uccisione con un drone del maggiore generale Qāsem Soleymānī da parte degli Stati Uniti, insieme ad un fiume di cruciali ramificazioni geopolitiche, porta ancora una volta al centro dell’attenzione una verità abbastanza scomoda: l’incapacità congenita delle cosiddette élite statunitensi anche solo di tentare di comprendere lo Sciismo, e la sua costante demonizzazione, avvilente non solo per gli Sciiti ma anche per i governi guidati dagli Sciiti. Washington aveva iniziato la Lunga Guerra ancor prima che il concetto fosse reso popolare dal Pentagono nel 2001, subito dopo l’11 settembre: è la Lunga Guerra contro l’Iran. Era iniziata nel 1953, con il colpo di Stato contro il governo democraticamente eletto di Mosaddegh, sostituito dalla dittatura dello Shah. L’intero processo aveva raggiunto l’apice più di 40 anni, fa quando la Rivoluzione Islamica aveva messo fine ai bei vecchi tempi della Guerra Fredda, epoca in cui lo Scià ricopriva il ruolo di “gendarme privilegiato del Golfo (Persico)” americano. Comunque, tutto questo va ben oltre la geopolitica. Non c’è assolutamente alcun modo, per chiunque, di riuscire a cogliere le complessità e il favore popolare dello Sciismo senza prima una seria ricerca accademica, integrata da visite a siti sacri selezionati in tutto il sud-ovest asiatico: Najaf, Karbala, Mashhad, Qom e il santuario di Sayyida Zeinab vicino a Damasco.
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Santo Tav, a Torino il culto arancione del Serpente d’acciaio
L’animalone mitologico chiamato Tav Torino-Lione è riapparso – in purezza, per evocazione – nel cuore sabaudo di Torino, la città-Stato transitata senza colpo ferire dai Savoia alla Fiat e quindi al Pd, prima di smarrirsi (per un caso tuttora misterioso) tra i proclami palingenetici dei 5 Stelle, guidati addirittura da una donna. Riappare a comando, il mitico Serpentone superveloce, a beneficio delle telecamere: un’epifania mediatica lunga circa un’oretta, sinistramente addobbata in arancione come le tante farlocche “rivoluzioni colorate” che hanno depistato l’Occidente negli ultimi anni, in televisione, tra una fake news e l’altra. Ricompare innaturalmente, l’ipotetico l’animalone su rotaia, in forma di archetipo: qualcosa che esiste solo nell’iperurario, nel mondo delle idee, e dopo più di vent’anni ancora attende qualcuno che lo traduca finalmente in un evento materiale spiegabile, sensato, ragionevole, oltre che desiderabile. Per i comizianti convocati dal vecchio establishment torinese, infatti, l’entità miracolosa che nei loro sogni miliardari salverebbe la città è sempre intangibile come la fede, impalpabile come la felicità. Il rettilone sputa-amianto è semplicemente la gioia, il bene, la storia, il progresso, la civiltà. Impossibile chiedere agli arancioni la decenza di una spiegazione: ai fedeli non serve.Non serve nemmeno ai giornali, una spiegazione. Quali meraviglie potrebbe mai portare in dono, il drago metallico che i bene informati non vogliono? Forse non è il caso di chiarirlo neppure stavolta, di fronte agli “oltre 30.000” manifestanti in piazza Castello, che sono “25.000” per la questura ma restano “oltre 30.000, forse 40.000” per tutti i grandi media, ennesima dimostrazione del carattere prodigioso dell’evocazione. Perfettamente inutile sfogliare la “Stampa”, i titoli parlano da soli: “Torino, in piazza i 30.000 del popolo del Sì”. Trentamila eroi (sempre gli stessi 25.000 per la questura): “Piazza piena, ma civile”. Le voci: “Perché SìTav: non siamo madamin che stanno a casa a cucire, vogliamo un futuro”. Già: perché SìTav? Mistero della fede: guai a svelarlo, pena il crollo carismatico del clero officiante. Per l’occasione, molto solenne, se ne occupa – citando De Gasperi, nientemeno, come suscitatore di folle torinesi – l’ex sottosegretario berlusconiano Mino Giachino, esponente del Rito Unificato (Pd e Forza Italia) che il Serpentone ha saputo creare, riunendo sotto un’unica bandiera l’affarismo italico. «In questi vent’anni è stato bloccato lo sviluppo del paese», proclama monsignor Giachino, uno che quindi in questi ultimi vent’anni non stava al governo, ma in vacanza permanente alle Hawaii.Diciamo sì al Tav, insiste il reverendo, «perché negli ultimi vent’anni l’Italia ha perso 20 punti di Pil rispetto alla media europea, e Torino di più». L’Italia è arretrata, è vero: ma perché? Colpa della globalizzazione, del neoliberismo, della deindustrializzazione? Delle delocalizzazioni e del regime di austerity a base di tagli e tasse, e quindi di licenziamenti? Colpa della guerra anti-italiana scatenata dall’oligarchia franco-tedesca grazie all’Unione Europea con il fondamentale contributo dei collaborazionisti nostrani? Colpa della crisi finanziaria? Colpa dell’élite speculativa che ha precarizzato il lavoro e demolito i consumi? Ma no, suvvia: Prodi e Draghi non contano niente, l’Eurozona è una leggenda, Mario Monti resta un personaggio letterario come Giorgio Napolitano. La disgrazia piovuta sull’Italia, inclusa Torino (con l’eccezione dell’Impero Juventus, prontamente trasferito a Detroit) ha un’unica causa evidente, mitologicamente impeccabile: la pervicace resistenza dell’Impero del Male, popolato dai farabutti NoTav, nel consentire alla Luce di rischiarare finalmente le tenebre, il funereo abisso nel quale le “madamin” in arancione raggruppate in piazza Castello sono certe di rischiare di sprofondare. «Siamo tutti qui per dire sì al futuro e sì al lavoro», chiosa il cardinal Giachino, tra le ovazioni.Il magico Serpentone scaccia-malocchio ha anche il potere taumaturgico di ridisegnare la geografia: «Sì alla Tav, che collega il Piemonte all’Europa e all’Asia», si sente cantare dal palco, come se il povero Piemonte fosse una terra di pastorelli costretti ad arrancare a dorso di mulo. «Sì a Torino come centro di scambi, porta aperta verso gli altri paesi, snodo sulla rete ferroviaria internazionale». Percepito da piazza Castello, il Serpentone perde il suo colore arancione e si tinge di giallo, come la coda del Dragone cinese. Eccolo, il futuro: Torino come “centro si scambi” sulla Nuova Via della Seta, destinata a trasformare l’Eurasia in un mercato viaggiante di vagoni e container. Ah, se solo ci fosse una ferrovia capace di collegare Torino a Lione… C’è già, nel mondo reale: si chiama Torino-Modane e utilizza il traforo del Fréjus appena riammodernato con quasi mezzo miliardo di euro per farvi transitare anche i container più grandi. Ma è noto che la realtà non giova al pensiero magico che si nutre del soprannaturale. Che fine farebbe, il fenomenale Serpentone, se per sbaglio deragliasse dalle usuali rotaie metafisiche? Meglio le fiabe soavemente narrate, ancora una volta, dal celebrante televisivo, magnificamente riproposte a reti unificate dagli stessi media che, l’8 dicembre, quando la città sarà invasa dai barbari NoTav, spegneranno come al solito i microfoni. Il Serpentone, del resto, è pura trascendenza: tentare di spiegarne l’utilità, oltre che impossibile, sarebbe un atto sacrilego.L’animalone mitologico chiamato Tav Torino-Lione è riapparso – in purezza, per evocazione – nel cuore sabaudo di Torino, la città-Stato transitata senza colpo ferire dai Savoia alla Fiat e quindi al Pd, prima di smarrirsi (per un caso tuttora misterioso) tra i proclami palingenetici dei 5 Stelle, guidati addirittura da una donna. Riappare a comando, il mitico Serpentone superveloce, a beneficio delle telecamere: un’epifania mediatica lunga circa un’oretta, sinistramente addobbata in arancione come le tante farlocche “rivoluzioni colorate” che hanno depistato l’Occidente negli ultimi anni, in televisione, tra una fake news e l’altra. Ricompare innaturalmente, l’ipotetico l’animalone su rotaia, in forma di archetipo: qualcosa che esiste solo nell’iperurario, nel mondo delle idee, e dopo più di vent’anni ancora attende qualcuno che lo traduca finalmente in un evento materiale spiegabile, sensato, ragionevole, oltre che desiderabile. Per i comizianti convocati dal vecchio establishment torinese, infatti, l’entità miracolosa che nei loro sogni miliardari salverebbe la città è sempre intangibile come la fede, impalpabile come la felicità. Il rettilone sputa-amianto è semplicemente la gioia, il bene, la storia, il progresso, la civiltà. Impossibile chiedere agli arancioni la decenza di una spiegazione: ai fedeli non serve.
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Akakor, Amazzonia: l’impero segreto dei Figli delle Stelle
Nel 13.000 avanti Cristo, «brillanti navi dorate» raggiunsero le foreste lussureggianti del Sudamerica. Ne scesero «maestosi stranieri con la carnagione bianca, il volto contornato dalla barba, folta chioma nera con riflessi blu». Avevano anche «sei dita alle mani e ai piedi», proprio come i Nephilim (giganti) di cui parla la Bibbia, il cui ultimo discendente, Golia, secondo il racconto biblico fu abbattuto dal mitico Davide. I personaggi comparsi in Amazzonia «dissero di provenire da Schwerta, una costellazione lontanissima con innumerevoli pianeti, che incrocia la Terra ogni 6.000 anni». Sconosciuta la tecnologia in loro possesso: «Pietre “magiche” per guardare ovunque nel mondo, arnesi che scagliano fulmini e incidono le rocce, la capacità di aprire il corpo dei malati senza toccarlo». Fiabe? Chissà. In ogni caso, si tratta di storie pericolose: spesso sono costate la vita ai ricercatori che tentarono di approfondirle, capirle, svelarle (compreso un vescovo cattolico, monsignor Giocondo Grotti). E’ un vero e proprio cimitero – sconosciuto ai più – quello dei “cercatori” dell’altro Eldorado, l’ipotetica civiltà dei Figli delle Stelle che, in Amazzonia, avrebbero fondato imponenti città-Stato (sotterrannee) tra piramidi sepolte nella giungla, rivelando all’umanità la sua vera origine. Prima vittima di questa leggendaria scoperta: un giornalista tedesco, Karl Brugger, stabilitosi nel dopoguerra a Manaus.La sua avventura inizia nel 1972, nell’ex capitale del caucciù alla confluenza tra l’Amazonas e il Rio Negro. Dopo tante esplorazioni tra gli indios, Brugger fa l’incontro che gli cambierà la vita: entra in contatto con Tatunca Nara, che si considera l’ultimo capo degli Ugha Mongulala, misteriosa Tribù degli Alleati Eletti. Da lui proviene un racconto straordinario, tratto direttamente dai “libri sacri” che costituiscono la cronistoria di un regno scomparso, Akakor. La “Cronaca di Akakor” racconta Dino Vitagliano sul blog “Acam”, ripreso da “La Crepa nel Muro”, si compone di vari testi: “Il Libro del Giaguaro”, “Il Libro dell’Aquila”, “Il Libro della Formica” e “Il Libro del Serpente d’Acqua”. C’è scritto che gli Alleati Eletti, provenienti dal cielo, «con infinito amore donarono agli indios il lume della civiltà e gettarono le basi di un impero vastissimo». Il reame comprendeva «Akakor, l’imprendibile fortezza di pietra nella vallata sui monti al confine tra Perù e Brasile», ma anche «Akanis in Messico e Akahim in Venezuela», senza contare «le grandiose città di Humbaya e Patite in Bolivia, Cadira, Emin sul Grande Fiume e maestosi luoghi sacri: Salazare, Tiahuanaco e Manoa sull’altopiano a sud». L’antropologo Samir Osmanagich, scopritore delle Piramidi di Visoko in Bosnia datate 28.000 anni, avverte: l’Amazzonia e l’America Centrale ospitano migliaia di antichissime piramidi, sepolte dalla vegetazione: costruite da chi?La disposizione delle piramidi, incluse quelle egizie – aggiunge Osmanagich – riproduce sempre il sistema stellare di qualche precisa costellazione. E’ il caso delle 13 “città invisibili” di Akakor, costruite nel sottosuolo per sfuggire alla vista degli intrusi: «La loro pianta riproduce fedelmente Schwerta, la dimora cosmica degli Antichi Padri». Secondo il racconto della “Cronaca di Akakor”, di sapore mitologico, «una luce innaturale» illumina le città dall’interno, mentre un ingegnoso complesso di canalizzazioni assicura l’afflusso di aria e acqua anche in profondità. Nella narrazione poi compaiono numeri precisi, per raccontare l’improvvisa scomparsa dei “padri celesti”: «Il potente dominio, che contava sotto di sé 362 milioni di individui, durò 3.000 anni». Poi, nell’Ora Zero – identificata nel 10.481 avanti Cristo – gli Antichi Padri «ripresero la via del cielo», sia pure «con la promessa di ritornare». Un viavai astronautico, che ricorda quello che Mauro Biglino ricava direttamente dalla rilettura letterale, in ebraico, dell’Antico Testamento (solitamente tradotto con un’infedeltà clamorosa, capace di trasformare in “gloria” l’inesplicabile “Khavod” con cui, si legge, l’Eohim chiamato Yahvè era solito volare, come su un’astronave capace di varcare le “porte del cielo” che conducono “le olàm”, nello spazio sconosciuto).La partenza dei Figli delle Stelle dall’Amazzonia, prosegue la sintesi offerta da Vitagliano, fu decisamente traumatica: «La Terra parve piangere la loro scomparsa e, 13 anni dopo, un’immane catastrofe si abbattè sul pianeta e sconvolse il suo aspetto, seminando ovunque morte e desolazione». Sapevano, gli “dei” precipitosamente partiti, che cosa sarebbe successo al nostro pianeta? Al che, gli uomini «persero la fede» in quelli che avevano cominciato a considerare “dèi”. La società umana degenerò, e gli individui presero a commettere «azioni crudeli», pessima abitudine protrattasi «nei millenni a venire». Ma non è tutto: «Seguì un seconda catastrofe: una stella gigantesca dalla coda rossa impattò la Terra, provocando un immane diluvio», altro “topos” narrativo citato in tutte le letterature antiche. Secondo le parole di quelli che, nel frattempo, erano diventati sacerdoti, «quando la disperazione avesse raggiunto il culmine, i Primi Maestri sarebbero tornati». Circa 6.000 anni dopo, infatti – nel 3.166 avanti Cristo – ricomparvero le “navi d’oro”. Un nuovo ciclo di regalità “illuminata”: «Lhasa, il Sublime, regnò ad Akakor». E attenzione: «Suo fratello Samon volò sul Nilo per fondare un secondo impero». In più, il nuovo potere egizio «approdava regolarmente in terra sudamericana», sempre «a bordo di immense navi».A che punto era, nel resto del mondo, la civiltà umana attorno al 3000 avanti Cristo? A Creta stava per nascere la cultura minoica, sulla sponda orientale del Mediterraneo sorgeva il villaggio da cui sarebbe nata Troia, mentre sul Nilo regnava la primissima dinastia di faraoni. Più avanzata la civiltà dei Sumeri in Mesopotamia, con importanti città come Ur e Uruk, mentre in Siria si stagliavano le mura di Aleppo. Grandi movimenti da oriente verso occidente: la Cina già molto sviluppata, i contatti con l’Iran, i primi stanziamenti indoeuropei in Ucraina e l’agricoltura che si affaccia sul Baltico, mentre in Inghilterra sorgono le prime tracce di Stonehenge. Legami con l’Amazzonia? Reperti di varia natura scoperti dagli archeologi confermano la presenza egiziana in Sudamerica, come la Roccia delle Scritture che l’antropologo statunitense George Hunt Williamson rinvenne sulle Ande nel 1957, istoriata da geroglifici simili a quelli egizi, venerata dai nativi e collegata alla discesa di antenati spaziali che dimoravano nel “Gran Paititi”. Fili non proprio invisibili, che collegano continenti lontani, fino al mitico impero delle Amazzoni.«Il principe di Akakor – prosegue la “Cronaca” del regno amazzonico – governò con saggezza riorganizzando l’impero distrutto ed eresse nuove città come Manu, Samoa e Kin in Bolivia, e Machu Picchu in Perù. Trecento anni rimase sulla Terra, finchè un giorno si diresse sulla Montagna della Luna, sopra le Ande, e disparve nel cielo in un fuoco». Partenza che riecheggia quella di Quetzalcoatl, misterioso personaggio messicano poi venerato come “divinità”. Millenni di guerre contro le tribù nemiche – aggiunge Vitagliano – videro Akakor cadere e risorgere più volte, stringendo anche alleanze con «stirpi straniere giunte da lontano». Attenzione: le tradizioni degli Ugha Mongulala parlano di «popolazioni bianche, come i Goti che visitarono le loro terre». Nientemeno: sarebbero gli antenati degli stessi Goti che, con Alarico, avrebbero tentato di ripristinare la perduta “regalità iniziatica” resuscitando quel che restava dell’Impero Romano.Ancora una volta, sottolineano i blog “Acam” e “La Crepa nel Muro”, questa citazione si rivela una notevole conferma delle antiche cronache medievali, nelle quali «navi vichinghe partite all’esplorazione di mondi lontani, dopo un naufragio, approdarono sulle coste del Sudamerica». Nella Sierra di Yvytyruzu, in Paraguay, l’archeologo franco-argentino Jacques de Mahieu negli anni ‘70 scoprì un masso istoriato di caratteri runici e disegni dei Drakkar, le navi nordiche, con anche un uomo barbuto protetto da un’armatura. «Le attuali popolazioni di quei territori possiedono la pelle bianca, un torace sviluppato e la barba». Ma un evento ancor più strano, «preconizzato nelle antiche scritture degli Antenati Divini», è l’arrivo ad Akakor di 2.000 soldati tedeschi: militari del Terzo Reich, che aiutarono gli indios ad armarsi contro i “barbari bianchi” (ma senza successo, perché la Germania stava ormai perdendo la Seconda Guerra Mondiale). «I nativi ricordano lo stemma cucito sulla giacche delle truppe, identico ai covoni di grano in foggia di svastica, che rotolavano dalle colline durante cerimonie sacre nel solstizio d’estate».Lo stesso Hitler era ossessionato a tal punto dalle tradizioni esoteriche da abbracciare le idee della società segreta Thule, che prendeva il nome di un vasto territorio esteso dal Mar del Gobi al Polo Nord, abitato dalla “civiltà degli Iperborei”, considerata custode di antiche conoscenze perdute. L’esistenza di una “razza antichissima” che viveva in cavità sotterranee in Amazzonia stimolò la sua curiosità, spingendo il capo del nazismo a inviare numerose spedizioni in tutto il globo per accertare la veridicità dei suoi studi occulti. In questo caso il contingente tedesco “atteso” dagli indios salpò da Marsiglia, a bordo di un sommergibile, per una missione segretissima: tentare di prendere contatto con la mitica Tribù degli Alleati Eletti, quella che – decenni dopo – Karl Brugger avrebbe intercettato, incontrando Tatunca Nara (cioè la fonte principale della leggendaria “Cronaca di Akakor”). Sempre secondo Dino Vitagliano, non fu casuale la scelta, da parte dei nazisti, di partire dal porto mediterraneo: «Un resoconto di viaggio del navigatore greco Pitea di Massalia, nel IV sec a.C., il “De Oceano”, narra la partenza da Massalia, l’antica Marsiglia, per giungere alla mitica Thule ubicata nei ghiacci remoti nel lontano Nord. Molto probabilmente la città francese custodisce segreti esoterici noti ai nazisti da lungo tempo».Sempre secondo la “Cronaca”, il Tempio del Sole di Akakor, vigilato da guardie armate, custodisce mappe segrete, vergate dagli Antichi Padri: mostrano il cosmo com’era millenni prima, con altre Lune, un’isola perduta ad Ovest e una terra in mezzo all’Oceano, «inghiottite dai flutti nel corso di un’epica battaglia stellare», combattuta tra due progenie di “dèi”, le cui conseguenze «investirono persino i pianeti Marte e Venere». A un certo punto, in questa favolosa cosmogonia, compare l’umanità: «I Signori del Cielo portarono l’uomo da un pianeta all’altro, fino a giungere sulla Terra». Già l’austriaco Hanns Hoerbiger, teorico nazista, aveva postulato l’esistenza di varie Lune nelle ère perdute della Terra. Poi c’è un’allusione diretta ai Vimana, le “astronavi” dei Deva (i paleo-astronauti indiani di cui si parla nei Veda, poi trasformati in “divinità” con la nascita dell’Induismo): le mappe di Akakor, citate da Brugger, si ricollegano alla carta astronomica del 4.000 avanti Cristo, appartenuta al compianto ricercatore britannico David Davenport sulle rotte dei Vimana verso il nostro pianeta, provenienti da sistemi stellari lontanissimi. Amazzonia, India, Palestina: è come se venisse raccontata sempre la stessa storia, sia pure in lingue diverse. Qualcuno sarebbe giunto sulla Terra dallo spazio profondo, dando origine all’uomo.Nella foresta pluviale amazzonica, questa “conoscenza” sarebbe stata preservata secondo precise modalità: «Fedeli ai desideri dei Primi Maestri, i sacerdoti raccolsero tutto il sapere e la storia della Tribù Eletta in libri custoditi in una sala scolpita nella roccia all’interno delle dimore sotterranee. Nello stesso luogo gli enigmatici disegni dei Padri Divini sono incisi in verde e azzurro su di un materiale sconosciuto. Disegni che né l’acqua né il fuoco riescono a distruggere». Sempre nel Tempio del Sole, «nei sotterranei giacciono anche armi simili a quelle dei tedeschi appartenute agli “dèi”, l’astronave di Lhasa, un cilindro di metallo ignoto che volava senz’ali, e un veicolo anfibio che attraversava le montagne». Tatunca Nara raccontò a Karl Brugger di aver visto con i suoi occhi «una sala rischiarata da una luminosità azzurrina che mostrava in animazione sospesa quattro persone, tra cui una donna, con sei dita alle mani e ai piedi, entro contenitori di cristallo pieni di liquido». Fervida fantasia fantascientifica – decisamente fuori luogo, in un indio amazzonico degli anni ‘70 – o testimonianza semplicemente sconcertante, così come l’intera storia del regno sotterraneo di Akakor fondato dai Padri Celesti?Il ricercatore italiano Antonio Filangieri verificò le credenziali di Karl Brugger tramite il fratello, Benno, incontrato a Monaco. Benno Brugger rivelò a Filangieri che, dopo l’improvvisa morte di Karl, «colpito in circostanze misteriose da una pallottola nel 1984», il consolato tedesco aveva perquisito l’appartamento di Karl a Rio de Janeiro, confiscando tutta la documentazione relativa alla spedizione di Akakor. «In seguito, le casse con gli incartamenti furono oggetto di diversi tentativi di furto». Di punto in bianco, il console tedesco di Rio venne trasferito in Costa d’Avorio, con i documenti al seguito. Parte del materiale, infine, scomparve non appena giunse in Germania, dov’era arrivato su richiesta di Benno Brugger. Ma non tutto era perduto: «Quando Tatunca Nara avviò delle trattative con alti ufficiali bianchi per fermare lo sterminio indiscriminato degli indios, che prosegue tuttora indisturbato da parte delle autorità, ebbe modo di affidare alcuni scritti degli “dèi” a un vescovo cattolico». Si tratta di monsignor Giocondo Grotti. Dopo aver spedito i documenti in Vaticano, il prelato morì in uno strano incidente aereo, il 28 settembre 1971, durante il decollo dalla pista amazzonica di Sena Madureira, nello Stato dell’Acre, alla frontiera brasiliana con il Perù. Disgustato dai “barbari” bianchi, Tatunca Nara si dichiara orgoglioso delle sue origini: «Noi siamo uomini liberi, del Sole e della Luce. Non vogliamo gravare il nostro cuore del peso della loro fede errata e bugiarda».Con pazienza, conclude Vitagliano, il vecchio Tatunca Nara attende il ritorno degli “dèi”. O forse le “divinità”, tuttora nascoste negli impenetrabili recessi di Akakor, «attendono con pazienza che gli uomini tornino a loro stessi». In ogni caso, aggiunge il ricercatore su “Acam”, il Terzo Reich non fu il solo a interessarsi al mitico regno amazzonico. L’antica civiltà scomparsa, le cui colossali rovine sarebbero sepolte sotto le foreste del Sudamerica, è stato il sogno di numerosi avventurieri nel corso delle varie epoche. Già nel 1530 l’ufficiale di Pizarro, Francisco Orellana, favoleggiava di un reame pieno d’oro tra il Rio delle Amazzoni e il fiume Orinoco. La Chiesa ne sa qualcosa: «I gesuiti sono in possesso di antichi scritti di viaggio relativi a un’antica popolazione che dimora in una città maestosa nella giungla brasiliana». Un gruppo di sette uomini, guidato dal geografo americano Hamilton Rice, nel 1925 si spinse nella Sierra Parima, tra Venezuela e Brasile, alla scoperta di Ma-Noa, la capitale del leggendario El Dorado. Curiosamente, annota Vitagliano, il nome ricorda Manu, una delle 13 città costruite da Lhasa, detto il Sublime, che avrebbe regnato su Akakor 3.000 anni prima di Cristo.La documentazione più importante riguardo l’esistenza di scomparse civilizzazioni antecedenti a quelle conosciute – aggiunge sempre Vitagliano – proviene del colonnello britannico Percy Harrison Fawcett, cartografo della National Geographic Society. «In Sudamerica si dedicò alla consultazione del Manoscritto dei Bandeirantes, della prima metà del 1700», ora custodito al Museo dell’Indio a Rio de Janeiro. Il testo descrive l’esplorazione delle foreste amazzoniche da parte di un gruppo di venti uomini, e la loro clamorosa scoperta: una metropoli di pietra, ormai deserta, protetta da mura ciclopiche. Organizzata una spedizione del 1925 in Mato Grosso, Fawcett «si inoltrò con il figlio Jack lungo il Rio Araguaia, entrando in contatto con varie tribù di indios che conservavano nelle loro tradizioni il ricordo di una provenienza stellare». Proprio quando sembrava aver raggiunto «le vestigia di remote città illuminate da luci fredde», il cartografo inglese «scomparve misteriosamente, in estate, nell’alto Rio Xingu». Nel 1946 è la volta del connazionale Leonard Clark, che in un resoconto di viaggio (“I fiumi scendevano a Oriente”, edito nel 2000 da Tea), narra il ritrovamento di sei delle sette città dell’El Dorado nelle Ande Peruviane.Undici anni dopo, stimolato dai racconti del colonnello Fawcett, Antonio Filangieri ricalcò lo stesso itinerario e constatatò che molti luoghi collimavano. «Partì per un secondo viaggio, in modo da verificarne le scoperte archeologiche e raccogliere informazioni sulla sua scomparsa». Viaggio da cui però dovette desistere, come egli stesso riferisce, «per drammatici eventi sopraggiunti». Poco dopo, nel 1975, l’archeologo brasiliano Roldao Pires Brandao individuò una montagna tra il Brasile e il Venezuela, il Pico De La Neblina, attorno a cui – quattro anni dopo – scoprì tre piramidi di 150 metri, accanto a un complesso urbano nascosto dalla foresta. Ma la ricerca non è finita, aggiunge Vitagliano: ai giorni nostri, il ricercatore Marco Zagni si è assunto il compito di svelare l’esistenza di scomparse civiltà pre-incaiche. Zagni ha organizzato una spedizione in Perù, nelle zone di Pantiacolla, del fiume Pini Pini e di Pusharo, basandosi sulle testimonianze di una spedizione francese smarritasi nel 1979: in quella regione esisterebbero «indios di due metri», che vivono in mezzo a «strane formazioni piramidali, fotografate dal satellite LandSat», in un’area attraversata da una fitta rete di cavità sotterraneee, chiamate Soccabones. Ultime tracce del mitico Akakor?Anche gli archeologi, conclude Vitagliano, ormai sono propensi a riconoscere che – tra il 6.000 e il 4.000 avanti Cristo – sia fiorita una civiltà amazzonica, quella dei Mogulalas, formata da numerose città-Stato. Un dominio estremamente vasto, che si estendeva dal Venezuela alle Ande Peruviane. «Una conferma esoterica giunge anche dal libro di Leo e Viola Goldman, “I Misteri del Tempio” (Edizioni Synthesis, 1998)», che descrive «il cammino iniziatico di una donna nella città nascosta di Ibez, all’interno della montagna sacra del Roncador in Mato Grosso». Una montagna popolata da Maestri Divini che, «scampati alla distruzione di Atlantide con i Vimana», cioè le loro potenti astronavi, crearono le civiltà degli Inca, dei Maya e degli Atzechi. Una storia affascinante, ma costellata da troppe strane morti: non porta fortuna, a quanto pare, inoltrarsi in Amazzonia alla ricerca degli Splendenti, i Padri Celesti come Lhasa il Sublime. Chi erano, dunque, gli esseri “superiori” che, secondo Tatunca Nara (e il suo interlocutore tedesco, Karl Brugger, ucciso misteriosamente) avrebbero addirittura “importato” la vita sul pianeta Terra, trasportandola sin qui da pianeti sconosciuti, fino a dare origine alla stessa presenza dell’uomo?Nel 13.000 avanti Cristo, «brillanti navi dorate» raggiunsero le foreste lussureggianti del Sudamerica. Ne scesero «maestosi stranieri con la carnagione bianca, il volto contornato dalla barba, folta chioma nera con riflessi blu». Avevano anche «sei dita alle mani e ai piedi», proprio come i Nephilim (giganti) di cui parla la Bibbia, il cui ultimo discendente, Golia, secondo il racconto biblico fu abbattuto dal mitico Davide. I personaggi comparsi in Amazzonia «dissero di provenire da Schwerta, una costellazione lontanissima con innumerevoli pianeti, che incrocia la Terra ogni 6.000 anni». Sconosciuta la tecnologia in loro possesso: «Pietre “magiche” per guardare ovunque nel mondo, arnesi che scagliano fulmini e incidono le rocce, la capacità di aprire il corpo dei malati senza toccarlo». Fiabe? Chissà. In ogni caso, si tratta di storie pericolose: spesso sono costate la vita ai ricercatori che tentarono di approfondirle, capirle, svelarle (compreso un vescovo cattolico, monsignor Giocondo Grotti). E’ un vero e proprio cimitero – sconosciuto ai più – quello dei “cercatori” dell’altro Eldorado, l’ipotetica civiltà dei Figli delle Stelle che, in Amazzonia, avrebbero fondato imponenti città-Stato (sotterrannee) tra piramidi sepolte nella giungla, rivelando all’umanità la sua vera origine. Prima vittima di questa leggendaria scoperta: un giornalista tedesco, Karl Brugger, stabilitosi nel dopoguerra a Manaus.