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L’Uomo di Marte: la civiltà che tuttora ci nascondono
«Visto che ci hanno mentito ininterrottamente sulle nostre vere orgini, come potete pensare che ci raccontino la verità su quanto sta accadendo oggi, nel mondo?». La provocazione è firmata da Gianluca Lamberti, infaticabile animatore giornalistico del canale YouTube “Facciamo Finta Che”, sempre a caccia di voci eterodosse e di suggestioni utili a decifrare il presente. Una degli interlocutori abituali è lo storico Nicola Bizzi, portavoce in Italia dell’antica tradizione misterica eleusina. Uno sguardo a 360 gradi, il suo: da saggi di scottante attualità, come “Operazione Corona”, a volumi – ad esempio il recente “I Minoici in America” – che frugano nel passato, sfornando rivelazioni che spiazzano il sapere accademico. Succede di scoprire, per esempio, che il rame destinato a Creta veniva estratto 3.000 anni fa dalle miniere del Michigan: ma l’America non doveva esser stata “scoperta” dall’ipotetico Colombo soltanto 4.500 anni dopo? Stesso discorso per l’omertà che protegge le esplorazioni spaziali. Misteri che, in realtà, sembrano essere soltanto segreti ben custoditi: come quello che annacqua le informazioni sul mondo dei marziani.Marte, ovvero: il desertico Pianeta Rosso, letteralmente inabitabile, o invece la patria di una civiltà identica alla nostra? «Se la scienza ufficiale, oggi, in molti casi è ormai ridotta a produrre semplice mitologia – dice Bizzi – forse la vale la pena di domandarsi seriamente se la mitologia (antica) non nasconda verità anche imbarazzanti, per il sapere ufficiale e per le stesse religioni». Per dire: «Come faceva, Omero, a conoscere precisamente l’esistenza dei satelliti di Marte? E perché ne parla anche Jonathan Swift, l’autore dei Viaggi di Gulliver?». E poi: c’è vita, su Marte? O almeno, c’era? Non sono fantasie. «Basta dare un’occhiata alle ormai tantissime foto scattate sul territorio marziano: è strapieno di evidenti vestigia architettoniche. Perché non se ne vuole ancora parlare?». Forse perché – come scrisse il sumerologo Zecharia Sitchin – il destino di Marte sarebbe legato a quello di Nibiru, il pianeta da cui, secondo i Sumeri, provenivano gli Annunaki, cioè le “divinità aliene” che avrebbero colonizzato la Terra 400.000 anni fa?Al tema marziano, Gianni Viola ha dedicato il saggio “La civiltà di Marte” (“Osservazione, esplorazioni, geografia, esseri intelligenti”, pubblicato già nel 2002 dalle Edizioni Mediterranee). Lo cita lo stesso Bizzi, editore di Aurora Boreale, nella trasmissione “Il Sentiero di Atlantide”, in video-chat con Lamberti. «Tanto per cominciare: a livello mediatico, dalla Nasa in giù, la narrazione su Marte sembra una colossale presa in giro: il pianeta viene tuttora descritto come da sempre “morto” e disabitato. Peccato che a smentire la versone ufficiale siano le immagini – migliaia, ormai – scattate a partire dalle prime missioni Viking, negli anni ‘70, e ora anche dai tanti “rover” terrestri fatti sbarcare su Marte». Emergono manufatti decisamente impressionanti: «Parliamo di oltre 150 piramidi di grandi dimensioni, insieme a fortezze e altre strutture chiaramente di origine artificiale, opera dell’ingegno dei loro costruttori».Su Marte si vedono «scalinate, statue, colonnati, strani condotti tubolari lunghi centinaia di chilometri». E poi anhe «rovine di presunte metropoli, nonché sfingi, giganteschi volti scolpiti (come quello, impressionante, della Piana di Cydonia) e persino resti ossei e teschi palesemente umani». Spiccano complessi statuari rupestri simili a quelli dell’antico Egitto, «accanto a basi recenti – dall’aspetto in questo caso molto terrestre – dotate di pannelli solari». Ultimamente, rileva Bizzi, la Nasa sta pubblicando foto sbalorditive: come per prepararci a una “disclosure”, finalmente? «Recenti immagini all’infrarosso hanno inoltre evidenziato l’esistenza di strutture sotterranee, che emanano calore. Mi domando: esistono realtà sotterranee ancora vitali, sotto la superficie marziana? Teniamo conto del fatto che grandi strutture ipogee, mai del tutto spiegate, costellano anche il sottosuolo terrestre: come se fossero state scavate per cercare riparo da un cataclisma piovuto dal cielo».Secondo Bizzi, infatti, Marte – forse popolato da esseri come noi, fino a pochi millenni fa – potrebbe esser stato travolto dalla stessa pioggia cometaria che devastò anche la Terra fra il 10800 e il 9600 avanti Cristo. Solo che, su Marte, la devastazione sarebbe stata ancora peggiore, con conseguenze definitive. «Tutto porta a pensare che Marte sia stato duramente colpito da quella pioggia di corpi celesti. Il pianeta sarebbe stato letteralmente crivellato, fino a veder distrutto il suo campo magnetico: questo avrebbe provocato la disgregazione della sua atmosfera e l’evaporazione delle acque superficiali, fiumi e mari. Il cataclisma avrebbe quindi causato la morte del pianeta, almeno nella sua superficie. Si può pensare che qualcuno (o qualcosa) si sia comunque salvato, rifugiandosi nel sottosuolo?». Bizzi si sofferma su un indizio: «Le strutture ipogee terrestri – simili a quelle rilevate su Marte – risalgono esattamente a 12.000 anni fa, cioè all’epoca di quegli spaventosi impatti: che sul suolo marziano, peraltro, sembrano aver originato anche grandi crateri e colossali canyon».E’ possibile che, a scatenare la catastrofe, sia stato il transito ravvicinato del pianeta Nibiru, la cui esistenza divide ancora gli scienziati? A questo proposito, aggiunge Bizzi, fa impressione rileggere la traduzione di una particolare tavoletta cuneiforme, che Zecharia Sitchin propone ne “Il libro perduto del dio Enki”, edito da Piemme nel 2004. Secondo Sitchin, in quella tavoletta sumera si legge che gli Anunnaki avrebbero scoperto, proprio su Marte, la tomba del loro capostipite, Alalu. Sarebbe stato il pioniere della colonizzazione terrestre: gli Anunna avrebbero estratto l’oro della Terra per trasferirlo su Nibiru, allo scopo di “ripristinare” l’atmosfera di quel pianeta, che si era deteriorata. Marte? Era una base intermedia per trasferire l’oro dalla Terra a Nibiru. E proprio su Marte sarebbe stato confinato, in esilio, lo stesso Alalu, punito in seguito a gravi controversie sorte con i suoi.Ritrovata la tomba con i resti ossei di quell’ipotetico, antico “Re di Nibiru”, la tavoletta sumera recita: «Sbarrarono di nuovo l’ingresso della caverna con le pietre, e su una grande montagna rocciosa scolpirono – con i raggi – l’immagine di Alalu. Lo ritrassero con un elmetto d’aquila, con il volto scoperto: che l’effigie di Alalu guardi per sempre verso Nibiru, dove regnò». La storia dell’oro dei Sumeri, peraltro, è accreditata anche da Michael Tellinger, scopritore dei resti di quella che sembra un’enorme metropoli, risalente a 200.000 anni fa, a due passi dalle grandi miniere d’oro del Sudafrica. Secondo i testi sumeri, gli Anunna avrebbero “fabbricato” un essere umano simile a loro. Potrebbero aver fatto la stessa cosa anche su Marte, se quel pianeta (non ancora rosso, ma verde e ricco di acque, come la Terra) era davvero una loro antica colonia?«La stessa civiltà umana attuale – dice Bizzi – è probabilmente frutto di molteplici ingerenze genetiche esterne: una di queste, secondo la tradizione eleusina, fu operata dagli dèi Titani provenienti da Tau Ceti, “progenitori” dell’uomo bianco occidentale. Questo spiegherebbe anche l’eterogeneità delle tante etnie umane e le nostre differenti caratteristiche fisiche, non sempre riconducibili a questioni climatiche o all’areale geografico». Conclude Bizzi: «La mia opinione è che la “morte” di Marte risalga a pochi millenni addietro, forse proprio a 12.000 anni fa». Che il pianeta fosse abitato, ormai, appare fin troppo evidente. «Molto probabilmente, quella di Marte era una civiltà gemella della nostra, se non addirittura la stessa. Se così fosse, si tratterebbe di una realtà più che scomoda, per i poteri terrestri, a cominciare da quelli religiosi. E questo spiegherebbe anche il lunghissimo “cover up” che tuttora nasconde la verità su Marte».«Visto che ci hanno mentito ininterrottamente sulle nostre vere orgini, come potete pensare che ci raccontino la verità su quanto sta accadendo oggi, nel mondo?». La provocazione è firmata da Gianluca Lamberti, infaticabile animatore giornalistico del canale YouTube “Facciamo Finta Che”, sempre a caccia di voci eterodosse e di suggestioni utili a decifrare il presente. Una degli interlocutori abituali è lo storico Nicola Bizzi, portavoce in Italia dell’antica tradizione misterica eleusina. Uno sguardo a 360 gradi, il suo: da saggi di scottante attualità, come “Operazione Corona”, a volumi – ad esempio il recente “I Minoici in America” – che frugano nel passato, sfornando rivelazioni che spiazzano il sapere accademico. Succede di scoprire, per esempio, che il rame destinato a Creta veniva estratto 3.000 anni fa dalle miniere del Michigan: ma l’America non doveva esser stata “scoperta” dall’ipotetico Colombo soltanto 4.500 anni dopo? Stesso discorso per l’omertà che protegge le esplorazioni spaziali. Misteri che, in realtà, sembrano essere soltanto segreti ben custoditi: come quello che annacqua le informazioni sul mondo marziano.
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Giordano, Freccero: la verità in Tv dopo un anno e mezzo
Sta accadendo qualcosa di inaudito: stiamo assistendo a ripetuti atti di coraggio, da parte di giornalisti che hanno cominciato ad aprire gli occhi e non ne possono più, della narrazione corrente. Il primo a rompere il silenzio è stato Mario Giordano, su Rete4, che ha messo in dubbio la verità ufficiale sul Covid. Ebbene, Giordano è stato ferocemente attaccato dai vertici Mediaset. Attraverso “Dagospia”, ha anche fatto trapelare spezzoni di conversazioni avute con Fedele Confalonieri, che lo ha minacciato nei modi più inimmaginabili. Eppure, nonostante questo, c’è chi demonizza Giordano come finto eroe, come “gatekeeper”. Un osservatore indipendente come Cesare Sacchetti oggi arriva scrivere che Carlo Freccero, protagonista dell’inaudito exploit dalla Palombelli, sarebbe l’ennesimo “falso buono”. Invito Sacchetti, che stimo, a tornare coi piedi per terra. Faccio una premessa: se parlassi del contenuto di tutte le informative che ricevo, rischierei di compromettere alcune operazioni che sono in itinere. Ebbene: oltre un mese fa mi avevano anticipato che diversi giornalisti e personaggi televisivi, fra cui Paolo Mieli, Marco Travaglio, Barbara Palombelli (e altri nomi, che per ora non faccio) avrebbero cominciato a uscire dal coro.
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Biglino: Uap, sta emergendo la vera storia dell’umanità?
Alla fine, la montagna ha partorito il topolino: sono appena 144 gli avvistamenti di “Uap” nel clamoroso, strombazzatissimo dossier che il Pentagono ha presentato al Congresso statunitense. Una svolta comunque epocale, anche secondo la “Reuters”: per la prima volta, infatti, si ammette ufficialmente che gli Ufo esistono. Affermazione sulla quale si sofferma Mauro Biglino, abile nel rivelare l’affollamento di oggetti volanti nei cieli della Bibbia. Come dire: finalmente si cominciano ad ammettere verità considerate tali dagli antichi (non solo gli autori biblici, ma un’infinità di fonti letterarie del periodo greco-romano, per limitarsi alla sola area mediterranea). Tutti noi, però – dice Biglino – sappiamo che gli avvistamenti degli ultimi decenni sono molti di più: si parla di milioni di segnalazioni. Ora, restando anche solo a quei primi 144 casi ufficializzati, dobbiamo conlcudere che da 70 anni, nei nostri cieli, accadono cose che non hanno spiegazione.«Quindi: chi detiene quella tecnologia strabilante? E perché non l’ha mai utilizzata per imporre il suo potere, su un pianeta dove le grandi potenze non hanno mai fatto altro che combattersi?». Per Biglino, oggi si sta delimitando uno spartiacque di portata storica: stiamo entrando in un’epoca in cui diventa lecito, anzi doveroso, farsi certe domande. «Sotto i nostri occhi si sta componendo un moisaico, con tasselli che sembrano quasi calamitarsi l’uno con l’altro. E’ un mosaico che ormai mette assieme passato e presente, in un intreccio che diventa indissolubile». Così, sottolinea Biglino, conoscere il passato diventa sempre più affascinante, e sempre più utile per conoscere il presente: perché questi avvistamenti, che adesso ci vengono descritti come reali, erano già descritti come reali anche dagli antichi. Certo, noi non volevamo crederci: ma adesso invece dobbiamo aprirci alla possibilità di crederci.«Per me – ribadisce lo studioso – in questo momento stanno avvenendo fenomeni straordinari, proprio in termini di gestione della conoscenza. Quindi è doveroso continuare a cercare questi tasselli, perché il mosaico che si va formando, forse, alla fine ci presenterà il disegno di quella che potrebbe essere stata la vera storia dell’umanità». Come in cielo, così in terra: fa scalpore, in questi giorni, anche l’ultima scoperta dell’archeologia israeliana. I resti umani emersi a Nesher Ramla, datati 140.000 anni e appartenenti al ceppo del Neanderthal, costringono i paleontologi a ri-mappare i nostri antenati: si credeva che l’ipotetico progenitore del Sapiens fosse originario esclusivamente dell’Europa, e non anche del Medio Oriente. La verità è che la scienza brancola ancora nel buio, quando prova a capire da dove viene davvero la nostra specie. Molti testi antichi (inclusa la Bibbia, secondo Biglino) sostengono che saremmo stati “fabbricati” geneticamente da esseri superiori, in grado di volare a bordo di velivoli descritti come vere e proprie astronavi.Fino a ieri, la paleostronautica era declassata a semplice suggestione, come la stessa ufologia. Oggi, invece – in un mondo che da un anno e mezzo parla solo del Covid – è il potere stesso a presentarli, gli Ufo, anche se li chiama Uap e dice di non sapere che cosa siano, da dove vengano, e chi detenga la super-tecnologia che li fa schizzare nel cielo in un modo che pare sfidare le leggi fisiche (o almeno, quelle note alla scienza). Biglino non ha dubbi: siamo a una svolta storica, nel percorso della condivisione pubblica della conoscenza. E poi: se da 70 anni gli ufologi documentano avvistamenti, come mai proprio adesso ha termine il “cover-up” e sono le autorità a fare ammissioni semplicemente inconcepibili, fino a ieri? Sta per accadere qualcosa di inaudito, che potrebbe destabilizzare in modo irreversibile l’idea stessa di umanità e le convinzioni di miliardi di persone?Forse, la “disclosure” tanto attesa potrebbe anche chiarire meglio certe recenti affermazioni, come quelle del generale Haim Eshed, già a capo della sicurezza aerospaziale israeliana, secondo cui da trent’anni alcuni governi terrestri collaborano stabilmente con precise entità aliene. La sensazione, per dirla con Biglino, è che stia davvero per crollare un muro di reticenze e bugie: quei 144 “Uap” presentati dal Pentagono hanno l’aria di essere solo un primo passo. Per l’autore di saggi come “Il Dio alieno della Bibbia”, potrebbero essere smantellate alcune “certezze” (solo teologiche, in realtà) su cui si è basato per migliaia di anni il potere terreno delle religioni, formidabili strumenti di condizionamento sociale. Nel 1200 avanti Cristo, ricorda Biglino, il sacerdote libanese Sanchuniaton (ripreso da Eusebio di Cesarea, Padre della Chiesa, attraverso lo storico greco Filone di Byblos) scriveva di aver scoperto, in Egitto, che la fede fondata sulla natura spirituale delle divinità era stata il frutto di un’invenzione: una straordinaria frode ordita dalla casta sacerdotale, abituata per secoli a servire “divinità” in carne e ossa.Nel libro-intervista “La Bibbia Nuda”, Biglino si sofferma a lungo sull’epopea dei patriarchi prediluviani, dalla vita lunghissima: secondo il racconto veterotestamentario, in quell’epoca (così come nell’Egitto di Sanchuniaton) le “divinità” camminavano in mezzo a noi, e ogni tanto portavano con sé alcuni prescelti, come Elia ed Enoch. Racconti fantastici? Narrazioni simboliche, da interpretare in senso mistico? E perché mai – si domanda Biglino – gli autori biblici avrebbero dovuto inventarsi una sorta di fantascienza ante litteram? Domanda opportuna, specie se si considera che oggi è proprio la fantascienza ad approdare nel Parlamento degli Usa, cessando di essere tale: si tratta di fenomeni reali, assicurano le istituzioni. E dunque, cosa le ha spinte a essere improvvisamente loquaci? Come mai l’ostinato “negazionismo” sul fenomeno Ufo è improvvisamente caduto, in un Occidente che racconta ai suoi cittadini che devono indossare mascherine e inocularsi “vaccini genici” per proteggersi dalla più grande “pandemia di asintomatici” che la storia ricordi?10:29 29/06/2021Alla fine, la montagna ha partorito il topolino: sono appena 144 gli avvistamenti di “Uap” nel clamoroso, strombazzatissimo dossier che il Pentagono ha presentato al Congresso statunitense. Una svolta comunque epocale, anche secondo la “Reuters”: per la prima volta, infatti, si ammette ufficialmente che gli Ufo esistono. Affermazione sulla quale si sofferma Mauro Biglino, abile nel rivelare l’affollamento di oggetti volanti nei cieli della Bibbia. Come dire: finalmente si cominciano ad ammettere verità considerate tali dagli antichi (non solo gli autori biblici, ma un’infinità di fonti letterarie del periodo greco-romano, per limitarsi alla sola area mediterranea). Tutti noi, però – dice Biglino – sappiamo che gli avvistamenti degli ultimi decenni sono molti di più: si parla di milioni di segnalazioni. Ora, restando anche solo a quei primi 144 casi ufficializzati, dobbiamo conlcudere che da 70 anni, nei nostri cieli, accadono cose che non hanno spiegazione.
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I Minoici in America: come occultare Atlantide e i Titani
E se tutto questo improvviso agitarsi attorno all’ultimo tabù, quello degli Ufo, nascondesse anche la paura per qualcosa che potrebbe accadere nel 2024, con l’ingresso di Plutone in Acquario, che per gli astrologi significa “rivoluzione”, cambio di passo epocale per il pianeta? Non è che i protagonisti dell’attuale ultimo show, la cosiddetta “disclosure aliena” (perfetta per archiviare l’altro spettacolo planetario, quello del Covid) hanno il fondato timore che, esattamente fra tre anni, lo spazio possa riservare sorprese indesiderabili, per gli odierni dominatori della Terra? Ragionando ad alta voce a “L’Orizzonte degli Eventi”, sul canale YouTube di “Border Nights”, Nicola Bizzi la butta lì: c’è chi pensa sia possibile che, proprio nel 2024, tornino dalle nostre parti quelli che la tradizione mitologica ha chiamato Titani. Ovvero: “divinità” che sarebbero approdate 90.000 anni fa alle nostre latitudini, provenienti dal sistema solare di Tau-Ceti.Ne parla Esiodo nella Titanomachia racchiusa nella Teogonia: i Titani sarebbero stati sfrattati 20.000 anni fa dopo aver perso una “grande guerra cosmica” con altre entità, che poi si sarebbero fatte conoscere come dèi olimpici nell’Ellade, e con nomi diversi in altri continenti. E perché mai sarebbero così importanti, i Titani come Prometeo, Atlante e Poseidone? Perché sarebbero stati i nostri “padri”, nientemeno: i discendenti di Giapeto ci avrebbero “fabbricati” geneticamente 80.000 anni fa, dando origine all’Uomo di Cro-Magnon, nei territori – non ancora sommersi e non ancora frazionati in arcipelago – del più mitico dei continenti scomparsi: Atlantide. Un’area vastissima, probabilmente estesa dalle Azzorre alle Svalbard, con le sue propaggini orientali non distanti da Gibilterra. Era comodo, il “continente perduto”, per raggiungere sia l’America che il Mediterraneo.Bene, e chi lo dice? Chi la racconta, questa storia? Platone, innanzitutto: nel Crizia, soprattutto nel Timeo e poi forse anche nell’Ermocrate, altro dialogo del sommo filosofo greco (andato smarrito o addirittura mai scritto, solo pensato). Però l’esistenza di Atlantide la davano per scontata anche autori come Tucidide e Tertulliano, Diodoro Siculo, Strabone, Plinio il Vecchio, Seneca: per loro era storia, non leggenda. Lo ricorda lo stesso Bizzi, nel monumentale saggio “I Minoici in America”, che ripercorre “le memorie di una civiltà perduta”. Dettaglio: anche tramite Solone, suo avo, Platone attinge le sue informazioni dall’Egitto, dove i sacerdoti avrebbero conservato il ricordo ancestrale dei primissimi colonizzatori venuti dal mare: la Stirpe del Leone, che avrebbe disseminato le rive del Nilo di piramidi e sfingi dalla testa leonina.Se l’origine “titanica” dell’umanità occidentale è una radicata convinzione della tradizione misterica eleusina, non suffragata però da documenti originali e fonti dell’epoca, Nicola Bizzi – con lo sguardo dello storico, monitorando attentamente l’archeologia – dimostra il clamoroso oscuramento, più che sospetto, della maggiore civiltà mediterranea che gli eleusini considerano di origine “atlantidea”: l’Impero Minoico di Creta. La tesi esposta: i “popoli del mare” risalenti a quel tempo (lelegi, pelasgi, egei e, infine, cretesi e troiani) restano “scomodi”, da studiare; si tende a sminuirne il ruolo, proprio per non dover approfondire la loro provenienza. Da dove venivano, le genti che seppero erigere i palazzi di Festo e Cnosso millenni prima dell’età greca?Erano provetti navigatori, presenti in Egitto ben prima dei faraoni. Guerrieri, mercanti, formidabili architetti. Una civiltà stranamente avanzata, in possesso di una lingua come il Lineare A. La progenie dei Minosse si era espansa in tutto il Mare Nostrum, fino all’Anatolia e al Mar Nero, anche se si stenta sempre a evidenziare le sue tracce. Mezza Europa, poi – dalla Sardegna alle Isole Britanniche – mostra i segni di una cultura affine, megalitica, che “specchia il cielo con le pietre” riproducendo costellazioni, esattamente come poi faranno le culture precolombiane dell’America centro-meridionale. C’era un mondo molto più vasto, nel 3000 avanti Cristo, di quello che la storiografia ufficiale (sempre più spiazzata dai ritrovamenti recenti, come quello di Göbekli Tepe in Turchia) sia tuttora disposta a riconoscere? C’era stato un Grande Prima, che poi è stato meticolosamente occultato fino ai nostri giorni?Purtroppo, premette Bizzi, l’archeologia resta ingessata nelle sue ataviche pigrizie: continua a non ammettere (con un atteggiamento ben poco scientifico) la necessità di incrociare i propri dati con quelli di altre discipline. Per esempio: solo nel 2014, i geofisici hanno finito di capire che la Terra è stata terremotata da un doppio schianto apocalittico, di origine cometaria: la prima onda d’urto nel 10800, la seconda nel 9600 avanti Cristo. Il che – annota lo storico – corrisponde con la datazione (tradizionale, eleusina) dell’inabissamento di Atlantide. Una sorta di spaventoso Grande Reset, dal quale quella civiltà sarebbe poi risorta – dopo il “diluvio” – arrivando a rifiorire nel Mediterraneo fino all’altro cataclisma, l’esplosione del vulcano Santorini (attorno al 1600) che decretò il declino irreversibile dei Minoici, la cui ultima battaglia – la Guerra di Troia, che Omero narra nell’Iliade – verso il 1250 avrebbe messo fine all’ultimo capitolo dei popoli di origine “titanica”, non indoeuropea.In realtà, alle fonti eleusine è dedicato solo l’ultimo capitolo de “I Minoici in America”, in cui Bizzi esibisce inediti documenti custoditi dai discendenti italiani di quella corrente culturale, che si vuole originata dall’apparizione a Eleusi (alle porte di Atene) della dea Demetra: nel 1216, caduta Troia, la dea avrebbe rivelato alla comunità eleusina (di origine minoica) la sua vera storia, preannunciando un lunghissimo esilio, le persecuzioni in arrivo (puntualmente verificatesi, da Teodosio in poi) e infine un ritorno, da parte delle divinità “titaniche”. Chi è appassionato ai risvolti meta-storici, spesso classificati come mitologici, noterà certe ricorrenti ridondanze: per gli eleusini, Demetra veniva da Enna, in Sicilia, mentre Virgilio (nell’Eneide) affiderà al troiano Enea il ruolo di fondatore di Roma. La radice “En”, avverte Bizzi, significa “inizio”. E proprio En’n era il nome dell’isola maggiore del leggendario arcipelago perduto nell’Atlantico.Loro, gli Ennosigei, avrebbero egemonizzato le Sette Grandi Isole del Mar d’Occidente: da un loro geroglifico (”Hath-Lan-Thiv-Jhea”) il nome Atlantide, che in antico suonerebbe “la Grande Madre venuta dal mare”, a sottolineare l’impostazione matriarcale delle origini. Per gli eleusini, dice Bizzi, non è un caso che – sconfitti i Titani – le nuove divinità “usurpatrici” abbiano imposto culti dogmatici e schemi sociali basati sul potere patriarcale. Sempre secondo l’autore, il corpus sapienziale eleusino (il Tesoro del Tempio e gli Hierà) riuscì a sopravvivere in clandestinità grazie a Nestorio il Grande, leggendario Pritan degli Hierofanti eleusini, che lo fece sparire prima che a Eleusi facessero irruzione i Goti di Alarico, invitati dai vescovi cristiani perché mettessero le mani su tutti quei rotoli. Come se il culto “titanico” dovesse sparire dalla scena, per cancellare la memoria dell’imbarazzante origine atlantica? Operazione riuscita solo a metà, se è vero che l’ombra di Eleusi – mille anni dopo – riuscì ad allungarsi sul Rinascimento italiano, ispirando svariate signorie italiane a cominciare da quella medicea.Va però precisato che “I Minoici in America” non è un libro a tesi: attraverso 600 pagine di trattazione documentata, densa di citazioni puntualissime e corroborata da una bibliografia scientifica imponente, Nicola Bizzi si concentra soprattutto sugli studi dei ricercatori di oggi, pronti e denunciare le falle più vistose dell’archeologia ufficiale. Si mettono così a nudo le lacune e le contraddizioni di una narrazione che sembra voler parlare il meno possibile di Creta e dei suoi regnanti, delle loro fondamentali conquiste agevolate dalle superiori conoscenze di cui erano in possesso. Una su tutte – quella metallurgica – avrebbe permesso al Mediterraneo di entrare nell’Età del Bronzo, attingendo di colpo a un’enorme quantità di rame, ben superiore a quella disponibile a Cipro.«E’ stato stimato che oltre un milione di tonnellate di rame sia stato estratto, da ignoti minatori e per un periodo continuativo di circa mille anni, in migliaia di pozzi e gallerie sull’Isle Royal e sulla penisola Keweemaw, nello Stato americano del Michigan, nella zona dei Grandi Laghi al confine con il Canada». Lo si legge nell’incipit del capitolo “Le miniere minoiche del Michigan”: la datazione al radiocarbonio dei resti delle travi di legno utilizzate nelle gallerie risale fino al 3700 avanti Cristo. Secondo punto: per l’odierna mineralogia, che consente di determinare il “Dna” dei metalli e dunque la loro provenienza, il rame di Creta corrisponde esattamente a quello del Michigan. Terzo punto: come si naviga (a vela e a remi) dall’Egeo al Lago Superiore? Lo spiegano benissimo i tanti navigatori, antichi e poi medievali, che dall’America andavano e venivano tramandandosi rotte segrete e gelosamente custodite, dai tempi dei fenici e, prima ancora, dell’Impero dei Minosse.Dopo “Da Eleusi a Firenze” (e in attesa di “Da Eleusi a Washington”), chi apprezza le indagini di Bizzi non potrà che trovare appagante l’immersione tra le pagine di quest’ultimo prezioso lavoro, capace di incrociare dati ufficiali, riscontri mitologici e testimonianze archeologiche “scomode”, lungo una narrazione sempre avvincente e scorrevole malgrado l’esorbitante abbondanza di note, citazioni e riferimenti bibliografici estremamente accurati, classici e contemporanei. L’impressione è quella di percorrere una storia parallela, i cui punti cardinali coincidono con quelli convenzionali, facendogli però cambiare segno: come se davvero una specie di grande segreto proteggesse scoperte scoraggiate in ogni modo, dalle navi minoiche cariche di lingotti alle città (greche) rinvenute nella selva amazzonica da esploratori coraggiosi, poi spariti nel nulla. Non c’è bisogno di fantasticare sugli eventuali Ufo “titanici” del 2024, per interrogarsi sulla domanda di fondo a cui Bizzi prova a rispondere: perché tanto accanimento, nel secolare “cover up” archeologico sui Minoici?(Il libro: Nicola Bizzi, “I Minoici in America e le memorie di una civiltà perduta”, Edizioni Aurora Boreale, 616 pagine, 30 euro).E se tutto questo improvviso agitarsi attorno all’ultimo tabù, quello degli Ufo, nascondesse anche la paura per qualcosa che potrebbe accadere nel 2024, con l’ingresso di Plutone in Acquario, che per gli astrologi significa “rivoluzione”, cambio di passo epocale per il pianeta? Non è che i protagonisti dell’attuale ultimo show, la cosiddetta “disclosure aliena” (perfetta per archiviare l’altro spettacolo planetario, quello del Covid) hanno il fondato timore che, esattamente fra tre anni, lo spazio possa riservare sorprese indesiderabili, per gli odierni dominatori della Terra? Ragionando ad alta voce a “L’Orizzonte degli Eventi“, sul canale YouTube di “Border Nights”, Nicola Bizzi la butta lì: c’è chi pensa sia possibile che, proprio nel 2024, tornino dalle nostre parti quelli che la tradizione mitologica ha chiamato Titani. Ovvero: “divinità” che sarebbero approdate 90.000 anni fa alle nostre latitudini, provenienti dal sistema solare di Tau-Ceti.
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Alieni, Covid, Atlantide: è la “resurrezione” della verità?
Ora non potranno più raccontarci la solita favoletta: l’ammissione della Us Navy ha la portata storica e definitiva di un cambio d’epoca, preceduta di pochissimo dall’annuncio – da parte di Donald Trump – della creazione di una Space Force, unità militare per la difesa aerospaziale. Roberto Pinotti è uno degli ufologi più prestigiosi che esistano: ha collaborato con autorità militari e, negli Usa, ha partecipato al grande progetto internazionale Seti, che ricerca le eventuali “intelligenze non terrestri”. Ha scritto libri tradotti in tutto il mondo, ha fondato e diretto il Cun (centro ufologico nazionale) che ha spesso cooperato con l’aeronautica militare italiana. Quando si parla di Ufo, Pinotti finisce spesso in televisione: nel 2019, ospite della Rai, ha sottolineato il carattere inequivocabile delle esternazioni della Us Navy sugli incontri (frequenti) con oggetti volanti non identificati. Affermazioni poi confermate ufficialmente dal Pentagono nel 2020, mentre il mondo era già intrappolato nel disastro globale chiamato Covid.
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Mitchell, Apollo 14: i nostri governi parlano con gli alieni
«Gli alieni sono qui, da parecchi anni. Ci sono tante ottime prove che lo dimostrano». Fa un certo effetto leggere che un ex astronauta ritiene sicura l’esistenza di civiltà extraterrestri: non in qualche remota galassia ma proprio qui, sul nostro pianeta, in mezzo a noi. «E vi assicuro che fa ancora più effetto sentirglielo dire di persona», scrive Sabrina Pieragostini, giornalista televisiva di “Studio Aperto”, che con l’anziano Mitchell ha parlato al telefono poco prima che l’astronauta ci lasciasse, nel 2016. Classe 1930, Mitchell è stato un eroe dell’epopea spaziale del XX secolo, membro del ristrettissimo “club dei 12” (tanti sono gli uomini che, almeno ufficialmente, hanno posato i loro piedi sulla Luna). La Pieragostini gli fece un’intervista radiofonica: lui dalla sua casa in Florida, lei dall’Italia. «Ottenerla è stato incredibilmente semplice», ammette la giornalista, sul suo blog. «La nostra chiaccherata, ovviamente, non poteva che incentrarsi sull’argomento che dal 2008 l’ha riportato alla ribalta: la vita extraterrestre e il “cover up”», cioè la coltre di silenzio stesa sugli Ufo, la cui esistenza è stata ammessa soltanto oggi dalla marina militare degli Stati Uniti, con tanto di video registrati dalle telecamere dei caccia, che inquadrano i dischi volanti nel mirino.Pilota della missione Apollo 14 e recordman di permanenza sul suolo lunare, Mitchell ha risposto a tutte le domande di Sabrina Piragostini, ribadendo la sua assoluta certezza che non siamo soli: una verità a suo avviso «nota da tempo a molti governi» e che «forse, un giorno, sarà finalmente svelata». L’astronauta ha però escluso che le sue convinzioni siano legate ad esperienze dirette, vissute durante la sua permanenza nello spazio. «Ma ciò che ha saputo e sentito, dopo il suo ritorno dalla Luna, lo ha persuaso che il fenomeno Ufo sia reale», riporta la Pieragostini. Un evento si impone su tutti: il celeberrimo caso di Roswell. E’ stato il “crash” più famoso della storia, avvenuto a pochi chilometri di distanza da Artesia, la cittadina del New Mexico in cui il giovane Edgar era cresciuto. Il giorno dello schianto di quello che da decenni l’esercito americano definisce un banale pallone-sonda meteorologico, però, Mitchell non era lì: studiava al college. Ma a distanza di molti anni, quando – divenuto ormai una celebrità internazionale – è tornato a trovare gli amici, i testimoni di quella misteriosa vicenda hanno fatto la fila per andare da lui a raccontargli cosa fosse davvero accaduto, quel 3 luglio del 1947. «L’ incidente è reale, è tutto vero», ha confermato così Mitchell alla giornalista italiana, senza la minima esitazione.La loro conversazione ha preso il via da quell’esperienza, segnando la carriera e stessa vita di Mitchell: la missione Apollo 14 che lo portò a camminare, per molte ore, sul nostro satellite. «Se credo che gli alieni esistano? Certamente! Penso che ci siano le prove che siamo stati visitati da molto tempo». Un’affermazione sorprendente, da parte di un uomo di scienza. Soprattutto considerando che molti altri scienziati, al contrario, insistono nel dire che non esistano prove a sostegno di simili teorie. «Le prove invece ci sono eccome», ha assicurato Mitchell: «Conosco personalmente alcuni dei ricercatori più autorevoli, in America e in Europa». Come dire: in certi ambienti la notizi è risaputa. «Poi, sono cresciuto a Roswell, in New Mexico, dove è avvenuto il famoso incidente del 1947, perciò conosco molto bene l’argomento e anche le persone che ne furono coinvolte: ed è stato un incidente reale», ha insistito Mitchell. Quindi gli alieni sono qui, sulla Terra, in mezzo a noi? «Senza dubbio sono qui», è la risposta dell’astronauta. «Negli ultimi decenni, molti studiosi hanno effettuato ricerche in questo ambito. Ci sono stati tantissimi episodi di dischi volanti, avvistamenti di astronavi… Sia piloti civili che militari hanno avuto incontri con Ufo nei cieli durante gli ultimi anni. È tutto ben verificato, sono informazioni perfettamente dimostrate».E che aspetto avrebbero, i nostri visitatori? Risposta: «Sono consapevole del fatto che in tutte le ricerche e i rapporti in materia si parla di diverse razze aliene. Alcuni potrebbero essere dei robot, altri delle vere forme viventi. Ci sono almeno 3 o 4 tipi di alieni che ci hanno già visitato e che sono qui, tra noi, da parecchio tempo». Quali erano le fonti di Mitchell? Si trattava di militari e funzionari governativi? «Solo alcuni lavorano per il governo, ma la maggior parte sono ricercatori indipendenti», ha risposto l’ex pilota dell’Apollo 14. «Hanno trascorso decine di anni a compiere le loro indagini, cercando i testimoni, analizzando i siti e scrivendo i loro resoconti. Questo, sia negli Stati Uniti che in Europa. In particolar modo, in Inghilterra Nick Pope è un’ottima fonte di informazioni su tutto ciò che accade nel Regno Unito». Domanda inevitabile: davvero, come molti affermano, Stati Uniti, Europa, Russia e Cina – solo per citare alcune delle nazioni impegnate nella conquista dello spazio – stanno coprendo la verità in merito alla questione extraterrestre? Cosa sanno, veramente? «Non sono informato, ovviamente, su tutto ciò che i governi conoscono, ma siamo consapevoli che molti di loro tengono ancora ben chiusi i loro archivi», ha detto Mitchell. «Il mio governo, ad esempio, quello degli Stati Uniti, ha deciso per il momento di non rendere pubblici i contenuti dei suoi archivi». Già nel 2008, durante un’intervista radiofonica, Mitchell aveva sostenuto di «aver avuto informazioni da fonti militari» dell’esistenza di «contatti consolidati tra vari governi terrestri ed esponenti di civiltà aliene».Quindi il “cover up”, l’insabbiamento, è un fenomeno reale? «Direi che alcuni governi trattengono ancora la piena informazione, sì, è vero. Ma sta arrivando il momento delle domande». Ora, con l’improvviso sdoganamento ufficiale dell’esistenza degli Ufo (per la verità, quasi obbligatorio dopo centinaia di migliaia di avvistamenti, sempre più frequenti), la sensazione è che ci stiamo avvicinando a qualcosa di definitivo: la rivelazione, la cosiddetta “disclosure”. Siamo alla vigilia, come tanti auspicano, di un cambio di rotta? Davvero l’opinione pubblica sta per essere messa al corrente della realtà aliena? «Spero di sì», ha detto Mitchell alla Pieragostini. «Spero che presto la gente sappia cosa sta realmente succedendo». E ancora: «Non sono sicuro che ciò avverrà in tempi brevi, ma mi auguro che sia così. Mi farebbe molto piacere». In una conferenza stampa di qualche anno prima, Mitchell aveva ribadito il concetto: «Per lungo tempo l’umanità si è chiesta se siamo soli nell’universo, ma solo ora ne abbiamo le prove. No, non siamo soli. Il nostro destino, secondo me, si apre alla possibilità di entrare in una sorta di comunità planetaria. Dobbiamo provare a tendere la mano oltre il nostro pianeta e oltre il nostro sistema solare, per capire realmente cosa c’è là fuori».«Gli alieni sono qui, da parecchi anni. Ci sono tante ottime prove che lo dimostrano». Fa un certo effetto leggere che un ex astronauta ritiene sicura l’esistenza di civiltà extraterrestri: non in qualche remota galassia ma proprio qui, sul nostro pianeta, in mezzo a noi. «E vi assicuro che fa ancora più effetto sentirglielo dire di persona», scrive Sabrina Pieragostini, giornalista televisiva di “Studio Aperto”, che con l’anziano Mitchell ha parlato al telefono poco prima che l’astronauta ci lasciasse, nel 2016. Classe 1930, Mitchell è stato un eroe dell’epopea spaziale del XX secolo, membro del ristrettissimo “club dei 12” (tanti sono gli uomini che, almeno ufficialmente, hanno posato i loro piedi sulla Luna). La Pieragostini gli fece un’intervista radiofonica: lui dalla sua casa in Florida, lei dall’Italia. «Ottenerla è stato incredibilmente semplice», ammette la giornalista, sul suo blog. «La nostra chiacchierata, ovviamente, non poteva che incentrarsi sull’argomento che dal 2008 l’ha riportato alla ribalta: la vita extraterrestre e il “cover up”», cioè la coltre di silenzio stesa sugli Ufo, la cui esistenza è stata ammessa soltanto oggi dalla marina militare degli Stati Uniti, con tanto di video registrati dalle telecamere dei caccia, che inquadrano i dischi volanti nel mirino.
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Scie chimiche: “A Malpensa tutti lo sanno ma nessuno parla”
Aerei fantasma che spengono il Transponder e spariscono dai radar passivi delle torri di controllo. Voli civili che di colpo, varcato lo spazio aereo italiano, vengono configurati come voli militari. E ancora: velivoli che da qualche anno vengono caricati in modo anomalo, con i bagagli non più nelle stive di coda. Ma soprattutto: aerei che, una volta a terra, perdono liquidi strani, da misteriosi tubicini, appena il loro contenuto si scongela. Scie chimiche? Ebbene sì. Ne parla, in una clamorosa video-denuncia, un operatore aeroportuale di Milano-Malpensa. Si chiama Enrico Gianini, e sa che le sue dichiarazioni potrebbero costargli il posto di lavoro. E’ addetto al carico e scarico dei bagagli sugli aerei di linea. Si è convinto che i jet emettano scie chimiche, probabilmente miscelando acqua “addizionata” con cristalli minerali. Accusa: tutti sanno, a Malpensa. «Piloti, controllori di volo, meccanici. Persino la polizia aeroportuale». Tutti sanno, ma nessuno parla. Dice: ci sono di mezzo i servizi segreti, si rischia grosso. Premette: «Voglio fare un appunto a chi vedrà questo video e vorrà portarmi in tribunale. Noi lavoriamo 8 ore al giorno sotto quegli aerei. Siamo immersi in un bagno chimico, non sappiamo neanche di che cosa si tratta». Avverte: «Se qualcuno viene fuori con qualsiasi minaccia giuridica, io vi metterò in condizioni di dover spiegare, a tutti gli aeroportuali e al popolo italiano, come mai i vostri aerei sversano sostanze chimiche sul piazzale senza permesso. Non mi interessa il cielo: basta solo il piazzale».