Archivio del Tag ‘Domenico De Masi’
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Speranza tra bugie e omissioni: se questo è un ministro
L’attitudine di Speranza a nascondere la verità è inquietante. Viene da pensare sia incompatibile col ricoprire un ruolo istituzionale, visto che nasconde la verità e distorce i fatti. In Senato aveva l’opportunità di fare chiarezza su tutto, e invece ha deciso di rispondere solo a quei temi che riteneva più agevoli. Ha distorto le richieste di chiarimenti e ha del tutto omesso di spiegare fatti che gli venivano contestati. Non si è neppure degnato di smentirli, ma evidentemente perché non poteva farlo. Il famoso report dell’Oms scritto da Francesco Zambon e poi rimosso dal sito dell’Organzzazione Mondiale della Sanità? Speranza in aula ha detto: «Non siamo stati noi a farlo ritirare». Ma nessuno lo ha mai accusato di questo. Noi abbiamo domandato se lui o qualcuno del suo ministero si sia adoperato affinché quel documento non tornasse online. E il suo dicastero c’entra: nelle email e negli Sms tra Ranieri Guerra e Silvio Brusaferro si riferisce di incontri tra Guerra, Speranza e il suo capo di gabinetto, Goffredo Zaccardi. Quei file, in mano alla Procura di Bergamo, dimostrano che Zaccardi si adoperò affinché quel report ‘morisse’ e venisse fatto ‘cadere nel nulla’.
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Dietro la maschera, la piccola Italia (padronale) di Di Maio
La doppia investitura di Luigi Di Maio quale leader e candidato premier dei Cinquestelle dovrebbe favorire la compiuta definizione del profilo ideologico del Movimento. Naturalmente, sempre che il farsi da parte del guru fondatore Grillo non sia, come già altre volte, una gag; quanto la presa d’atto che la politica è materia troppo aggrovigliata per un banalizzatore che affronta a battute ogni questione. Eccoci dunque alla consacrazione di vertice del giovanotto plastificato, una sorta di Barbie al maschile della politica nostrana, che già più volte ha rivelato la propria dipendenza da una cultura pre-moderna, bagno di coltura per modelli di rappresentazione retrogradi tendenti al reazionario nostalgico. Se, nella fase magmatica dopo il primo Vaffa bolognese 2007, nel grillismo confluivano molte anime unificate dall’indignazione (Sinistra rosso antico, Destra anti-sistema, ambientalismo, sanculottismo ribellista e sanfedismo rurale), sicché era opportuno coltivare vaghezze identitarie per ragioni di marketing politico, ora sembra giunto il momento di gettare la maschera. Grazie al giovane emergente/emerso dal milieu profondo Sud. Perfettamente sintonico con la cultura ForzaLega incistata nel milieu della Milano berlusconizzata, da cui proviene l’uomo realmente “forte” nella cabina di regia pentastellata: il consulente aziendale soft Davide Casaleggio.Ma che Di Maio sia un destrorso in proprio lo dimostra già la scelta dei consulenti: un po’ di politologi NeoLib della Luiss, suggeritori del posizionamento ottimale nel bacino del revival destrorso più oscurantista (da qui la scelta avversa allo jus soli e contro le nozze omosessuali; toni insolitamente trucidi in bocca a un perbenino, tipo la definizione di “taxi del mare” per le Ong), soprattutto l’incarico per un paper sul tema del lavoro affidato al sociologo de La Sapienza Mimmo De Masi (pare per la modica cifra di 50mila euro). E De Masi, magari cazzeggiando in un caffè vista mare di Ravello, celebra da una vita l’ozio inteso come il massimo della civiltà post-industriale; alla faccia di torme crescenti di inoccupati e precarizzati, che non sanno come quadrare i conti già dalla seconda settimana del mese. Ma questo approccio tanto piace al giovane Cinquestelle, proprio per le fisime subliminali evocate: il modello latifondistico-fancazzista da baroni meridionali; quelli che si facevano crescere l’unghia del mignolo, come i mandarini confuciani, per esplicitare la loro assoluta estraneità a qualsivoglia attività manuale.Quella manualità su cui si è costruita la cultura operaia, che pone al centro della propria visione del mondo il lavoro come riscatto. Ma che terrorizza i ceti premoderni della rendita e del parassitismo; propugnatori di istanze che hanno alimentato tutte le insorgenze reazionarie del passato, prossimo e remoto. Sempre combattendo il lavoro organizzato. E – quindi – la cultura della modernità. Affidandosi a leader incolti, come il nostro fuori corso arrembante. Che non solo confonde Venezuela con Cile o ignora chi sia un maestro quale Luciano Gallino. Peggio, identifica il reddito di cittadinanza in qualcosa di analogo al New Deal. Per cui un paracadute contro la miseria diventerebbe un improbabile investimento riproduttivo di sviluppo che si auto-alimenta. E quando parla di finanziare le attività economiche non sa distinguere l’impresa innovativa dall’azienducola interstiziale.Quello che conta sono le dimensioni micro, nella permanente avversione verso il lavoro organizzato. Lo spauracchio di padroni e padroncini che accomuna un altro golden boy della nostra politica: il ministro Calenda, il cui curriculum professionale si riduce al ruolo d’assistente alla corte di quell’uomo del fare, quel risanatore d’aziende del Cordero Di Montezemolo. Perché stupirsi se con la fanfaluca ministeriale dell’impresa 4.0, quella che espelle lavoratori investendo in robotizzazione, ci troviamo in presenza di una (modesta) ripresa senza nuova occupazione. Con questi giovanotti da aperitivo spritz h24, presunti rifondatori, il mondo operoso se ne va a ramengo. Per un vecchio liberale gobettiano, che in giovinezza propugnava il progetto “alleanza dei produttori”, il messaggio è oltremodo deprimente.(Pierfranco Pellizzetti, “Di Maio leader, il M5S getta la maschera”, da “Micromega” del 19 settembre 2017).La doppia investitura di Luigi Di Maio quale leader e candidato premier dei Cinquestelle dovrebbe favorire la compiuta definizione del profilo ideologico del Movimento. Naturalmente, sempre che il farsi da parte del guru fondatore Grillo non sia, come già altre volte, una gag; quanto la presa d’atto che la politica è materia troppo aggrovigliata per un banalizzatore che affronta a battute ogni questione. Eccoci dunque alla consacrazione di vertice del giovanotto plastificato, una sorta di Barbie al maschile della politica nostrana, che già più volte ha rivelato la propria dipendenza da una cultura pre-moderna, bagno di coltura per modelli di rappresentazione retrogradi tendenti al reazionario nostalgico. Se, nella fase magmatica dopo il primo Vaffa bolognese 2007, nel grillismo confluivano molte anime unificate dall’indignazione (Sinistra rosso antico, Destra anti-sistema, ambientalismo, sanculottismo ribellista e sanfedismo rurale), sicché era opportuno coltivare vaghezze identitarie per ragioni di marketing politico, ora sembra giunto il momento di gettare la maschera. Grazie al giovane emergente/emerso dal milieu profondo Sud. Perfettamente sintonico con la cultura ForzaLega incistata nel milieu della Milano berlusconizzata, da cui proviene l’uomo realmente “forte” nella cabina di regia pentastellata: il consulente aziendale soft Davide Casaleggio.
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Mentana, Nuzzi, Cairo e Paragone con Davide Casaleggio
Davide Casaleggio, erede di Gianroberto alla guida dell’azienda omonima e soprattutto del M5S, esce dal silenzio ed appare in tv per la prima volta, a “Ottoemezzo” (“La7”). Una novità, e un cambio di strategia politica con la guida di Casaleggio jr. Che però, alla vigilia della kermesse dell’associazione intitolata al padre, nega investiture da numero uno del M5S: «Il capo politico è Grillo. Io ho supportato l’attività del Movimento, dai meetup fino a Rousseau. E continuo a farlo, gratuitamente, perché mi sembra un buon progetto. Non voglio sostituire mio padre, aiuto Beppe Grillo. Mi definisco un disciplinato amante del rischio, la politica la sto lasciando ad altri». Dice che il M5S sta lavorando a «nuovi modelli di selezione della classe dirigente», una necessità per il M5S visto che «è la prima forza politica in Italia» come aveva previsto quel «sognatore» del padre. Oltre al reddito di cittadinanza («Va finanziato con le pensioni d’oro»), alla Casaleggio Associati («Non si occupa del M5S, lo fa l’associazione Rousseau») e alla reticenza sulle preferenze politiche pre-M5S («Ho votato per diverse formazioni politiche, ma non dico quali»), Davide Casaleggio preferisce guardare al futuro. E, come il padre, lo fa con accenti visionari, se non apocalittici: «Chi non ha idee è destinato ad avere un salario cinese», spiega. «Dobbiamo cominciare a investire in innovazione». Renzi? «Non è credibile». I diktat di Grillo? «È un bene che ci sia la figura del garante».Il cambio di strategia si conferma anche nella scelta di affidare l’organizzazione della prima “Leopolda grillina” ad un’agenzia esterna, la Visverbi di Milano, ben introdotta nel sistema dei media, un tempo evitati come la peste dai grillini. Non più dunque la comunicazione fatta in casa, con i consigli dell’ex gieffino Rocco Casalino (che comunque ha fatto da preparatore atletico per la prima uscita tv di Casaleggio jr), ma un’agenzia di comunicazione vera e propria, che come mission aziendale ha «la gestione delle professionalità del giornalismo». La Visverbi appunto, guidata da Valentina Fontana (moglie di Gianluigi Nuzzi) e Barbara Castorina, che ha nel suo portafoglio diversi giornalisti-opinionisti influenti, tra cui Nuzzi, uno degli ospiti della kermesse della “Associazione Gianroberto Casaleggio” e co-intervistatore di Davide Casaleggio a “La7” insieme al sociologo Domenico De Masi, anche lui sul palco ad Ivrea (e anche lui secondo “L’Unità” cliente della Visverbi). Tanto che il Pd, col deptato della Vigilanza Sergio Boccadutri, annuncia un esposto all’Agcom sul «conflitto di interessi» per l’intervista a “La7” fatta «da un giornalista «che fa parte dell’agenzia Visverbi, la stessa che organizza l’evento M5S a Ivrea».Proprio con “La7” il M5S sembra aver creato un rapporto privilegiato. Non è un caso che il direttore del TgLa7, Enrico Mentana, sia uno dei moderatori del convegno di Casaleggio, e che “La7” sia spesso scelta dai pesi massimi del M5S per le uscite strategiche. Il patron di “La7”, Urbano Cairo (in prima fila a Milano per l’ultimo spettacolo di Grillo), è un editore abituato ad intercettare la pancia del paese, “La Gabbia” di Gianluigi Paragone (altro giornalista ospite domani del Casaleggio day) affronta temi che piacciono alla pancia M5S. Cairo, poi, è anche l’editore del “Corriere della Sera”, e proprio su quelle pagine è uscita la lettera di Casaleggio jr sul futuro del M5S. Il co-leader vuole l’elettorato moderato, e per questo obiettivo serve sia la carta stampata della buona borghesia, sia la tv. Come spiega la direttrice di Euromedia Research, Alessandra Ghisleri: «Nonostante l’enfasi sulla Rete, i grillini sanno bene che l’80% degli italiani si informa ancora tramite i media tradizionali. Una larga fetta di elettori sopra i 55 anni, particolarmente spaventata da quello che avvertono come un movimento eversivo, in televisione può essere intercettata, nella speranza di rassicurarla». Basta guerre all’«informazione di regime», meglio farseli amici.(Paolo Bracalini, “Non hai idee? Salario cinese”, da “Il Giornale” dell’8 aprile 2017).Davide Casaleggio, erede di Gianroberto alla guida dell’azienda omonima e soprattutto del M5S, esce dal silenzio ed appare in tv per la prima volta, a “Ottoemezzo” (“La7”). Una novità, e un cambio di strategia politica con la guida di Casaleggio jr. Che però, alla vigilia della kermesse dell’associazione intitolata al padre, nega investiture da numero uno del M5S: «Il capo politico è Grillo. Io ho supportato l’attività del Movimento, dai meetup fino a Rousseau. E continuo a farlo, gratuitamente, perché mi sembra un buon progetto. Non voglio sostituire mio padre, aiuto Beppe Grillo. Mi definisco un disciplinato amante del rischio, la politica la sto lasciando ad altri». Dice che il M5S sta lavorando a «nuovi modelli di selezione della classe dirigente», una necessità per il M5S visto che «è la prima forza politica in Italia» come aveva previsto quel «sognatore» del padre. Oltre al reddito di cittadinanza («Va finanziato con le pensioni d’oro»), alla Casaleggio Associati («Non si occupa del M5S, lo fa l’associazione Rousseau») e alla reticenza sulle preferenze politiche pre-M5S («Ho votato per diverse formazioni politiche, ma non dico quali»), Davide Casaleggio preferisce guardare al futuro. E, come il padre, lo fa con accenti visionari, se non apocalittici: «Chi non ha idee è destinato ad avere un salario cinese», spiega. «Dobbiamo cominciare a investire in innovazione». Renzi? «Non è credibile». I diktat di Grillo? «È un bene che ci sia la figura del garante».