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Archivio del Tag ‘etica’

  • Non solo calcio: Brasile, la caduta di una superpotenza

    Scritto il 13/7/14 • nella Categoria: idee • (1)

    Lo so, Israele che bombarda civili a Gaza, Kiev che bombarda civili nell’Ucraina dell’Est, il Califfo fuori controllo in Medio Oriente, l’Impero del Caos che gioca a fare il prestigiatore. Ma prima vorrei parlare di qualcosa a cuore aperto. Ho conservato questa foto (vedi più sotto) per il momento più opportuno, che è arrivato. Vi presento un tipico paradiso tropicale – Santo Andre a Bahia, vicino a dove il Brasile è stato “scoperto” dai portoghesi nel 1500. Il campo di allenamento della nazionale tedesca è dietro a quegli alberi sulla sinistra. Io ero lì all’inizio della Coppa del Mondo, la mia meravigliosa ospite Anna Mariani è proprietaria di una stupenda casa sulla spiaggia proprio lì accanto. Il campo tedesco – in realtà un condominio sulla spiaggia – è stato isolato e customizzato a perfezione. I giocatori hanno potuto interagire con i villaggi vicini, visitato una scuola locale, fraternizzato con gli indiani Pataxo, fatto camminate mattutine sulla spiaggia.
    Si sono anche allenati davvero duramente: disciplina, impegno, etica del lavoro – mentre si godevano ogni minuto nel loro angolo di paradiso e apprendevano i rituali della cultura locale brasiliana. La nazionale brasiliana, nel frattempo, stava recitando uno psicodramma nazionale (nel senso letterale) che vede 200 milioni di persone coinvolte. Era come una spaventosa telenovela – senza alcun tipo di disciplina o duro lavoro, solo tintinnii (guarda il mio nuovo taglio di capelli!) appaiati ad un compiaciuto senso di superiorità. Alla fine avrebbero dovuto vincere perchè dopotutto, sfoderiamo il più grande mito nazionale, “Dio è brasiliano”. Passiamo ad una parabola della globalizzazione. Molto prima della Coppa, il Brasile – che una volta era una leggendaria superpotenza calcistica – è stato ridotto, a forza di cerchi concentrici di mala gestione, ad un ruolo secondario di esportatore di beni (calciatori di talento). Non c’è stata alcuna prospettiva di investimento sul futuro, tutto ciò che importava era trarre profitto dai diritti Tv assecondando il racket dei media.
    La Germania, d’altra parte, da quando è stata sconfitta in finale nel 2002 (dal Brasile) ha investito in una fitta rete di scuole calcio, parte di un sistema nazionale per allevare talenti, educarli e  preparare allo stesso tempo anche gli allenatori. Tre ore prima dell’inizio dell’umiliazione dell’1-7 mi è stato chiesto dal mio barbiere cosa pensassi del risultato della partita. Ho risposto: «Germania 4-0». Tutti erano allibiti. Ho volato dall’Asia e poi dall’Europa per seguire la Coppa del Mondo in Brasile come se stessi facendo servizi di guerra, ciò che avevo sospettato fin dall’inizio si stava confermando come uno psicodramma in procinto di essere svelato. Tutti i segnali portavano ad una cricca di giovani milionari brasiliani psicologicamente instabili pronti ad implodere in maniera spettacolare – come avevano minacciato di fare prima contro il Cile e poi contro la Colombia. È successo nel lasso di soli 6 minuti quando la Germania ha fatto 4 gol – e al 29° i tedeschi stavano già vincendo 5-0. Sorpresa? Non proprio.
    Il Brasile ha smesso di giocare il jogo bonito molto tempo fa, dopo la fantastica nazionale del 1970 e poi la miglior nazionale che non abbia mai vinto nulla nel 1982. Dagli anni ’90 il Brasile come case del jogo bonito era solo un’altra leggenda – un elaborato trucco di marketing (con la complicità della Nike). I Brasiliani si sono presi in giro da soli fino in fondo, avvolti in un economico brand di nazionalismo che recitava “Noi siamo i campioni”.
    Finchè l’arroganza non ha prevalso. È toccato alla Germania ricordare quale fosse il vero jogo bonito, con i loro passaggi strabilianti, le conclusioni infallibili e triangoli di passaggio degni dei Chicago Bulls al loro apice. La nazionale brasiliana si è trasformata in un nervoso rottame principalmente per motivi tecnico/tattici: era una squadra senza centrocampo che giocava contro il miglior centrocampo del pianeta. Incolpate chi li guidava, la federazione calcistica brasiliana e la “commissione tecnica” che ha nominato: una modesta cricca arrogante, ignorante e senza talento, che rispecchiava perfettamente l’arroganza e l’ignoranza delle élite politico-economiche brasiliane, antiche e moderne.
    La polizia brasiliana, abbastanza ironicamente, ha smantellato un mercato nero di biglietti Fifa a Rio (nemmeno Scotland Yard ce l’aveva fatta), si è però persa un altro racket – uno spin-off in atto nei corridoi dei palazzi del calcio brasiliani. La commissione tecnica, nella sua conferenza stampa post-traumatica, lo stesso giorno che Argentina e Olanda hanno giocato come i bambini grandi per 120 interminabili minuti, terminati 0-0 (e poi risolti ai rigori), mi ha ricordato il Pentagono che scaricava Abu Ghraib: «Ah, è stato solo un bizzarro errore». No, non lo è stato. I brasiliani codardi al timone non hanno avuto lo stomaco di ammettere che il “blackout” è stato sistemico. Ci saranno ripercussioni politiche senza fine a questo 1-7. Va ben oltre la massa di ricchi brasiliani (bianchi) che si potevano permettere di comprare i biglietti Fifa mentre criticano le spese della presidente Rousseff per il welfare.
    Di sicuro va a braccetto con i mirabolanti profitti che la Fifa trae dalla sua festicciola personale (4 miliardi di dollari, esentasse), forniti della autorità locali, così come ha a che fare con il salatissimo conto finale (13,6 miliardi di dollari). Paragoniamo ai minuscoli investimenti in educazione, pubblici servizi, “mobilità urbana”, strutture fatiscenti – mentre una corruzione endemica spadroneggia. La più grande umiliazione sportiva mondiale a memoria d’uomo è direttamente connessa all’ignoranza ed arroganza delle élite brasiliane (e al loro sentirsi in diritto di fare ciò che vogliono). Al contempo, non si può aspirare a diventare una superpotenza dei Brics mentre la tua identità nazionale è basata su uno sport – il calcio – svilito da un manipolo di truffatori.
    Gli dei del calcio hanno misericordiosamente dichiarato superato lo psicodramma di 200 milioni di persone. Mi spiace ancora molto per gli sconfitti – la stragrande maggioranza di tifosi tra questi 200 milioni: gente onesta e lavoratrice per la quale il calcio è un sollievo dalle proprie lotte quotidiane. Sono stati presi in giro e sono state loro costantemente propinate solo menzogne. Il Brasile godrà ancora del beneficio di avere molto soft power in giro per il mondo, ma deve affrontare i problemi di corruzione ed inefficienza. Se il calcio deve rimanere l’unico collante dell’aspirante superpotenza, meglio metterci la testa sopra, capire il perchè l’umiliazione è avvenuta, liberarsi di tutti i fannulloni, mostrare un po’ di umiltà e lavorare duro. Imparare dal modello sportivo tedesco – uno che di certo non ha a che fare con l’austerità dell’Ue. Per poi tornare in paradiso.
    (Pepe Escobar, “La caduta di una superpotenza”, da “Asia Times” del 10 luglio 2014, ripreso da “Come Don Chisciotte”. Prestigioso giornalista internazionale, Escobar è autore di “Globalistan, how the Globalized World is dissolving into liquid war”, “Red Zone Blues, a snapshot of Baghdad during the surge” e “Obama does Globalistan”).

    Lo so, Israele che bombarda civili a Gaza, Kiev che bombarda civili nell’Ucraina dell’Est, il Califfo fuori controllo in Medio Oriente, l’Impero del Caos che gioca a fare il prestigiatore. Ma prima vorrei parlare di qualcosa a cuore aperto. Ho conservato questa foto (vedi più sotto) per il momento più opportuno, che è arrivato. Vi presento un tipico paradiso tropicale – Santo Andre a Bahia, vicino a dove il Brasile è stato “scoperto” dai portoghesi nel 1500. Il campo di allenamento della nazionale tedesca è dietro a quegli alberi sulla sinistra. Io ero lì all’inizio della Coppa del Mondo, la mia meravigliosa ospite Anna Mariani è proprietaria di una stupenda casa sulla spiaggia proprio lì accanto. Il campo tedesco – in realtà un condominio sulla spiaggia – è stato isolato e customizzato a perfezione. I giocatori hanno potuto interagire con i villaggi vicini, visitato una scuola locale, fraternizzato con gli indiani Pataxo, fatto camminate mattutine sulla spiaggia.

  • Odifreddi: contro la mafia, la vuota scomunica del Papa

    Scritto il 09/7/14 • nella Categoria: idee • (2)

    Mi stupisco dell’eccitazione con cui le parole del Papa sui mafiosi sono state recepite dai media, al solito entusiasti per qualunque cosa esca dalla sua bocca. Anche la più retorica e ininfluente, com’è appunto una scomunica: la quale, giova ricordarlo, è un ostracismo dalla comunità ecclesiale e dai suoi riti, che pretende di rispecchiare su questa Terra un analogo ostracismo effettuato in Cielo da Dio. Detto altrimenti, chi è scomunicato non può entrare in Chiesa quaggiù, e non può entrare in Paradiso lassù. Anche senza andar oltre, noi membri del mondo civile dovremmo sorridere di questi deliri di potenza da parte di uomo che pretende di farsi interprete dei pensieri e delle decisioni di un Dio, invece di esaltarli come pronunciamenti epocali. Soprattutto quando, informandoci anche solo un minimo, scopriamo che esistono scomuniche latae sententiae, cioè comminate automaticamente per colpe gravissime quali, udite udite: aver effettuato o procurato un aborto, essere iscritti a un partito comunista o votarlo, appartenere a una loggia massonica, professare eresie in disaccordo con l’insegnamento dogmatico della Chiesa, e altre amenità del genere.
    Ora, la maggioranza della popolazione mondiale ricade sotto queste categorie! Siamo quasi tutti automaticamente scomunicati, e molti sono felicissimi di esserlo! Ad esempio, lo sono tutti coloro, come me, che meritano la scomunica automatica perché si rifiutano di credere alle amenità che la Chiesa vorrebbe loro propinare, a partire da questa assurda faccenda delle scomuniche. Ma soprattutto, la scomunica è risibile perché pretende di poter escludere dai riti una buona serie di persone che non sa neppure di aver escluso automaticamente. Se una donna abortisce nel segreto di un consultorio, o un uomo vota comunista nel segreto di un’urna, chi può impedir loro di entrare in Chiesa o di fare la comunione, se così desiderano, pur essendo ufficialmente scomunicati? La scomunica non è dunque altro che un vuoto pronunciamento, che lascia il tempo che trova nella maggior parte dei casi. E così lo lascerà anche nel caso dei camorristi o dei mafiosi che ora il Papa ha aggiunto alla lista, sapendo benissimo che le sue parole non avranno alcun effetto pratico, a parte uno: aumentare la popolarità gratuita sua personale e dell’istituzione sulla quale egli regna, anacronismo per anacronismo, da monarca assoluto.
    A meno che non si creda, come alcuni commentatori hanno provato a supporre, che la Chiesa finirà di sostituirsi allo Stato, dopo tutto il resto, anche nella determinazione di appartenenza alla camorra o alla mafia. Forse è questo che quei commentatori desiderano: che sia il prete della parrocchia a stabilire se qualcuno è un malavitoso, sulla base delle dicerie dei parrocchiani, e non il giudice del tribunale, sulla base dei testimoni dell’accusa. Forse dietro all’entusiasmo per le vuote parole del Papa c’è la credenza, questa sì da “scomunicare”, che esistano istanze di giustizia e di morale “superiori” alle leggi e ai tribunali degli uomini. Quando invece, come ben sappiamo nel caso dei camorristi e dei mafiosi, quelle supposte istanze “superiori” non sono altro che le stesse che essi stessi seguono, da bravi cristiani ma pessimi cittadini. E’ proprio perché camorristi e mafiosi fanno la comunione, che la Chiesa si preoccupa di scaricarli. Ma sono i concreti fatti laici, e non le vuote parole religiose, che servono per contrastare le azioni criminali che essi compiono nella società, indipendentemente dai riti che essi praticano in chiesa.
    (Piergiorgio Odifreddi, “Una vuota scomunica”, da “La Repubblica” del 23 giugno 2015, ripreso da “Micromega”).

    Mi stupisco dell’eccitazione con cui le parole del Papa sui mafiosi sono state recepite dai media, al solito entusiasti per qualunque cosa esca dalla sua bocca. Anche la più retorica e ininfluente, com’è appunto una scomunica: la quale, giova ricordarlo, è un ostracismo dalla comunità ecclesiale e dai suoi riti, che pretende di rispecchiare su questa Terra un analogo ostracismo effettuato in Cielo da Dio. Detto altrimenti, chi è scomunicato non può entrare in Chiesa quaggiù, e non può entrare in Paradiso lassù. Anche senza andar oltre, noi membri del mondo civile dovremmo sorridere di questi deliri di potenza da parte di uomo che pretende di farsi interprete dei pensieri e delle decisioni di un Dio, invece di esaltarli come pronunciamenti epocali. Soprattutto quando, informandoci anche solo un minimo, scopriamo che esistono scomuniche latae sententiae, cioè comminate automaticamente per colpe gravissime quali, udite udite: aver effettuato o procurato un aborto, essere iscritti a un partito comunista o votarlo, appartenere a una loggia massonica, professare eresie in disaccordo con l’insegnamento dogmatico della Chiesa, e altre amenità del genere.

  • Ben Gurion, padre di Israele: massacrate donne e bambini

    Scritto il 06/7/14 • nella Categoria: segnalazioni • (10)

    «Dobbiamo usare il terrore, l’assassinio, l’intimidazione, la confisca delle loro terre». Sembrerebbe Hitler, ma non è lui. «C’è bisogno di una reazione brutale. Se accusiamo una famiglia, dobbiamo straziarli senza pietà, donne e bambini inclusi. Durante l’operazione non c’è bisogno di distinguere fra colpevoli e innocenti». A parlare non è Himmler, non è Goebbels, ma il “padre” dello Stato d’Israele, David Ben Gurion. Obiettivo di queste “raccomandazioni” affidate alle sue memorie: «Ripulire la Galilea dalla sua popolazione araba». Letteralmente: pulizia etnica. «Quell’uomo – accusa Paolo Barnard – pronunciò quelle agghiaccianti parole 20 anni prima della nascita dell’Olp, più di 30 anni prima della nascita di Hamas, 50 anni prima dell’esplosione del primo razzo Qassam su Sderot in Israele». Problema: la “narrazione” dominante in Occidente ignora questa atroce verità storica in modo sistematico. E’ negazionismo: la stessa infamia che pretende di negare l’abominio di Auschwitz.

  • I ladri spolpano il paese e gli italiani credono a un bugiardo

    Scritto il 22/6/14 • nella Categoria: idee • (5)

    Il Mose di Venezia, la ricostruzione dell’Aquila, l’Expo di Milano, il villaggio della Maddalena, il sistema Sesto (San Giovanni), gli scandali della protezione civile, le mangerie sulla sanità e sui rifiuti nel meridione e nel Lazio, le ruberie sulla Tav e le porcate nei consigli regionali di mezza Italia (tutti quelli su cui si indaga), gli sprechi nei palazzi siciliani: «Tutto questo mostra che gli apparati dei partiti politici e della burocrazia sono strutturalmente dediti a queste cose, che la politica e l’amministrazione vivono di questo». Accusa Marco Della Luna: «La partitocrazia equivale alla mafia: controllo del territorio, lavoro, istituzioni, spesa pubblica». Grazie all’apparato dei partiti, è inevitabile che da noi le opere pubbliche costino il doppio o il triplo. Ed è infantile sperare in qualche politico salvatore della patria: «Qualsiasi premier, qualsiasi statista politico poggia per il potere e per la fiducia in Parlamento su quegli apparati di partito e di burocrazia, che non lo appoggerebbero se egli impedisse i loro traffici».
    Affarismo generalizzato, sistemico. «Irrazionale è anche pensare che la magistratura di un cosiffatto paese possa risanare il sistema», scrive Della Luna nel suo blog. Il potere giudiziario può colpire singoli imbrogli, non il sistema. Prima di Tangentopoli, la giustizia non interveniva. «Si è mossa solo nel ’92 a seguito del Britannia Party, quando si trattò di arrivare ad altri scopi, soprattutto coprire operazioni di svendita del paese», la super-privatizzazione per la quale fu cooptato Mario Draghi. Dal “sistema”, inoltre, non sono esenti spezzoni della magistratura: dopo lo scandalo Mose, lo stesso Cacciari ha rivelato di aver a suo tempo «presentato un dossier su questo scandalo in una pubblica seduta della Corte dei Conti, senza raccogliere interesse». E un giudice di questa stesa Corte «ha denunciato di aver redatto un rapporto sulle mangerie del Mose già nel 2009, ma di essere stato semi-silenziato da un superiore». Piove sul bagnato: «Gli uomini della casta si riciclano sempre tra di loro, e smettono solo se muoiono». I “Compagni G” sono inarrestabili, «non li fermi con l’interdizione dalle attività pubbliche, ma solo rinchiudendoli a vita», perché «agiscono sott’acqua e non hanno bisogno di assumere cariche pubbliche».
    Finché vivranno questi uomini, circa 400.000 secondo il libro “La Casta” di Aldo Rizzo e Gian Antonio Stella e almeno un milione secondo altri, «l’Italia continuerà a declinare e non inizierà alcun risanamento». Mose, in fondo, fa rima con Vajont e con Tav: opere inutili, pericolose, inquinate. Idem per lo stillicidio dell’aumento indiscriminato della cementificazione, motivato con la riduzione delle piogge: le precipitazioni sono sì calate su base annua, ma si sono concentrate in periodi rischiosi, moltiplicando le alluvioni. Ma il cemento, si sa, fa comodo al “sistema”. Per non parlare del problema numero uno, la finanza pubblica “privatizzata” dai signori dell’euro. Perché non indagare penalmente anche lì, continua Della Luna, dal momento che l’Italia continua a non avvalersi dell’articolo 123 del Trattato di Maastricht che consente agli Stati di finanziarsi presso la Bce attraverso una banca pubblica? In quel modo, il nostro paese «pagherebbe interessi dello 0,25 o 0,15 % anziché del 5% sul debito pubblico, risparmiando 80 miliardi l’anno». Meglio invece «prelevare 57 miliardi con le tasse dagli italiani già colpiti dalla recessione solo per darle ai banchieri predoni francesi e tedeschi onde assicurare i loro profitti nei prestiti fraudolentemente da loro concessi a Grecia, Spagna e Portogallo».
    E ancora: «Perché non indagare i cancellieri europei che hanno premuto in tal senso, forse ricattando e limitando nella loro libertà le nostre istituzioni, appoggiati dai banchieri e dalle società di rating? Perché non aprire un fascicolo sull’imposizione all’Italia dell’euro, che si sapeva, tecnicamente, che avrebbe causato ciò che ha poi causato? Lo si era già visto con lo Sme, molti economisti di vaglia l’avevano predetto e gli effetti del blocco dei cambi erano descritti nei libri di testo». Già, perché non indagare? Il solo divorzio tra Stato e Banca d’Italia, nel 1981, ha raddoppiato in pochi mesi il rapporto tra debito pubblico e Pil, cessando la funzione di Bankitalia come “bancomat” del governo a costo zero, per favorire l’interesse speculativo della finanza privata. «La politica italiana degli ultimi decenni è piena di simili scelte distruttive per il paese e lucrative per determinati soggetti finanziari, in termini sia di denaro che di potere». Dunque, «perché non indagare se costituiscano crimini contro gli interessi nazionali? Alto tradimento? Attentato alla sovranità e indipendenza nazionali mediante violenza economico-finanziaria sulla popolazione e sull’economia del paese?». E cosa si scoprirebbe, «rovistando nei circuiti di compensazione bancaria semi-segreti» come Clearstream, Euroclear e Swift? Magari che «i nostri politici, ministri, altri statisti, oltre a prendere soldi dalle grandi imprese per i grandi appalti, hanno preso soldi o altre utilità da finanzieri o statisti stranieri per fare quelle operazioni disastrose per l’Italia».
    Forse, continua Della Luna, «agli italiani non interessa nulla di ciò che riguarda la sfera della legalità e della moralità, e accettano che i loro governanti siano sleali e traditori». Un nome a caso, Matteo Renzi: «Oggi riscuote successo e consenso un personaggio che ha  pugnalato alle spalle il suo compagno di partito, allora premier, dicendoli di stare tranquillo, che non gli avrebbe tolto Palazzo Chigi. Un personaggio che ha violato la promessa fatta pochi giorni prima alla nazione, dicendo che non avrebbe accettato il premierato se non passando per le urne». Davvero ottime credenziali, per un moralizzatore: in qualsiasi altro paese, la sua carriera politica sarebbe finita. In Italia, invece, quei vizi capitali diventano virtù. Lo sanno bene «i poteri che lo hanno scelto», spianandogli la strada con tutta la potenza dei media mainstream. Sapevano che gli italiani ci sarebbero cascati, magari con l’aiutino degli 80 euro – carota per gonzi, immediatamente compensata con più tasse e meno servizi.
    Chi se ne importa se Renzi «non ha una strategia macroeconomica per rimediare», pazienza se «la disoccupazione, la domanda interna, gli investimenti, il debito pubblico continuano a peggiorare». Tutto ciò che il governo fa è «autofinanziarsi prendendo i soldi del risparmio degli italiani per ridistribuirli senza creare nuove fonti di reddito al paese». L’apparato del partito pigliatutto ha una storia analoga a quella degli altri partiti di potere: il Pd «non ha chiarito come i suoi uomini hanno gestito o lasciato gestire il Monte dei Paschi di Siena, saccheggiando di oltre 10 miliardi». Tutto ciò «non impedisce al novello statista di dichiarare, con la massima e più virginale serietà di espressione, che se fosse per lui condannerebbe per alto tradimento tutti i pubblici funzionari e amministratori che si lascino corrompere. Davvero il personaggio giusto, per ridare la moralità alla Repubblica!». In Italia, chi fa davvero sul serio resta isolato. Come il procuratore aggiunto di Venezia, Carlo Nordio, titolare dell’indagine sul Mose: quando nel 1997 scrisse il saggio “Giustizia” che metteva alla berlina il sistema Tangentopoli, permettendosi anche «alcune benevole e mitigatissime critiche alle lobbies dei suoi colleghi e ai parteggiamenti filocomunisti di certuni», secondo Della Luna l’Anm «attaccò il dottor Nordio con toni e contenuti molto preoccupanti, esagerati e sorprendentemente minacciosi per un paese in cui vige libertà di espressione». Avanti Renzi, dunque. Show must go on.

    Il Mose di Venezia, la ricostruzione dell’Aquila, l’Expo di Milano, il villaggio della Maddalena, il sistema Sesto (San Giovanni), gli scandali della protezione civile, le mangerie sulla sanità e sui rifiuti nel meridione e nel Lazio, le ruberie sulla Tav e le porcate nei consigli regionali di mezza Italia (tutti quelli su cui si indaga), gli sprechi nei palazzi siciliani: «Tutto questo mostra che gli apparati dei partiti politici e della burocrazia sono strutturalmente dediti a queste cose, che la politica e l’amministrazione vivono di questo». Accusa Marco Della Luna: «La partitocrazia equivale alla mafia: controllo del territorio, lavoro, istituzioni, spesa pubblica». Grazie all’apparato dei partiti, è inevitabile che da noi le opere pubbliche costino il doppio o il triplo. Ed è infantile sperare in qualche politico salvatore della patria: «Qualsiasi premier, qualsiasi statista politico poggia per il potere e per la fiducia in Parlamento su quegli apparati di partito e di burocrazia, che non lo appoggerebbero se egli impedisse i loro traffici».

  • Salvare la democrazia: la questione morale della Le Pen

    Scritto il 26/5/14 • nella Categoria: segnalazioni • (12)

    L’inaudito plebiscito pro Renzi, largamente inatteso dallo stesso Pd, relega l’Italia in posizione ancora una volta subalterna e defilata rispetto alla grande partita europea che si è ufficialmente aperta con le storiche elezioni del 25 maggio 2014, con gli euroscettici al comando in due paesi leader come la Gran Bretagna e soprattutto la Francia, dove più è evidente la bancarotta storica (politica, etica e culturale) della socialdemocrazia, la forza che più di ogni altra ha tacitamente supportato l’euro-disastro neoliberista, tradendo il proprio elettorato di sinistra. Se oggi il Pd può raccontare che – insieme a Martin Schulz – tenterà di mitigare l’austerity di Bruxelles imposta dalla Deutsche Bank per tramite della Mekel, potrà farlo solo grazie alla radicale protesta elettorale dei paesi più avanzati, la Francia in primis, che ora costringerà la Troika a fare i conti con la pressante richiesta di sovranità democratica di molti popoli europei, dalla Grecia all’Austria.
    Nelle ultime settimane, la campagna elettorale italiana ha riesumato – facendone oggetto di contesa polemica – la “questione morale” impugnata da Enrico Berlinguer, indimenticato leader di un partito “eretico” e anomalo, popolare e democratico, impegnato a contrastare energicamente la corruzione della classe politica italiana dell’epoca, cioè la partitocrazia anticomunista cui si perdonavano le tangenti purché facesse argine contro il “pericolo rosso”, in piena guerra fredda contro l’Unione Sovietica. Subito dopo la caduta del Muro, quella storica tolleranza verso la malapolitica italiana cessò di colpo, sotto la scure di Mani Pulite che decapitò la vecchia classe dirigente partitocratica proprio mentre quella nuova, elitaria e tecnocratica, stava già brigando per consegnare il paese all’europeismo delle banche, della grande industria e della finanza. Esattamente il tipo di europeismo al quale, il 25 maggio 2014, milioni di europei (e pochissimi italiani) hanno detto di no.
    Della questione morale di oggi – quella vera – si è sentito parlare moltissimo nel Regno Unito e soprattutto in Francia, dove «il popolo ha parlato», come ha detto Marine Le Pen, e ha messo al teppeto il socialista Hollande, prono ai diktat del regime affaristico euro-atlantico che ha un solo grande obiettivo: radere al suolo la democrazia, lo Stato di diritto dei cittadini, mediante la privatizzazione definitiva della finanza pubblica, delle banche centrali e della moneta, riducendo a zero la capacità di spesa pubblica. In Italia il nome di Berlinguer è stato speso chiacchierando di auto blu e stipendi d’oro, mentre – come ha ricordato Giorgio Cremaschi alla vigilia delle elezioni – proprio Berlinguer si era opposto al monetarismo dello Sme, il bisnonno dell’euro, intuendo che il controllo delle élite sulla moneta avrebbe messo in ginocchio lo Stato e quindi la democrazia popolare. Questa battaglia, vittoriosa e centrale per il nostro futuro, è stata adottata da Marine Le Pen, contestando il sistema di potere della Francia, cioè dello Stato che fu più decisivo per la nascita di questa insostenibile, oligarchica Unione Europea. Gli italiani? Non pervenuti: il derby era tra Renzi e Grillo, gli 80 euro e le auto blu.

    L’inaudito plebiscito pro Renzi, largamente inatteso dallo stesso Pd, relega l’Italia in posizione ancora una volta subalterna e defilata rispetto alla grande partita europea che si è ufficialmente aperta con le storiche elezioni del 25 maggio 2014, con gli euroscettici al comando in due paesi leader come la Gran Bretagna e soprattutto la Francia, dove più è evidente la bancarotta storica (politica, etica e culturale) della socialdemocrazia, la forza che più di ogni altra ha tacitamente supportato l’euro-disastro neoliberista, tradendo il proprio elettorato di sinistra. Se oggi il Pd può raccontare che – insieme a Martin Schulz – tenterà di mitigare l’austerity di Bruxelles imposta dalla Deutsche Bank per tramite della Merkel, potrà farlo solo grazie alla radicale protesta elettorale dei paesi più avanzati, la Francia in primis, che ora costringerà la Troika a fare i conti con la pressante richiesta di sovranità democratica di molti popoli europei, dalla Grecia all’Austria.

  • Fermare il Pd, il partito che ha fatto più danni all’Italia

    Scritto il 24/5/14 • nella Categoria: idee • (7)

    Non ignoro i limiti ed i problemi del M5S e su questo sito, ma è anche vero che si tratta di un movimento giovane, che deve ancora attraversare il lungo tunnel della propria definizione. Quanto all’accusa di populismo (che peraltro Grillo non respinge ed anzi rovescia in una orgogliosa rivendicazione): io non sono affatto populista, vengo da una cultura politica che non è affatto populista, però so che ogni processo di rivolta contro il sistema ha sempre avuto esordi di tipo populista. Ma, soprattutto, so che questa polemica contro il populismo è la foglia di fico dietro cui queste miserabili élite nascondono le loro incapacità, la loro voracità, i loro ignobili privilegi. Questo mi dice da che parte stare in questo scontro. Io credo che siamo in un momento cruciale della storia del nostro paese. Ed in particolare in Italia, le cosiddette élite stanno dando il peggio di sé.
    Dopo un ventennio nel quale hanno preparato il disastro presente, si apprestano a svendere questo paese: pezzi pregiati di Eni, Finmeccanica, porti, patrimonio immobiliare e artistico, Ferrovie, Cdp, tutto sta per essere svenduto ed alla fine ci ritroveremo con lo stesso debito ma molto più poveri. Ricordate la svendita delle Partecipazioni Statali degli anni Novanta? Dovevano servire ad abbattere il debito: che fine hanno fatto? In questi venti anni abbiamo avuto un ceto politico sostanzialmente omogeneo, salvo sfumature di stile: stessa cultura politica liberista, stesso uso cinico delle tecniche surrettizie di raccolta di consenso, stessa moralità politica. Entrambe hanno occupato l’intero spazio politico con il solito argomento: vota me per non far vincere l’altro. Ma era una falsa alternativa, come l’esito finale di questo ventennio nero rende evidente.
    Dunque, è arrivato il momento di rovesciare questa classe dirigente in tutte le sue “varianti”. La specie berlusconiana sembra felicemente avviata all’estinzione, ma ora è il momento di pensare al Pd. Il partito che ha fatto più danni sul piano della democrazia (per tutte si pensi alle leggi elettorali maggioritarie e senza preferenze ed alla riforma del titolo V nel 2001; alla riforma dei servizi segreti del 2007), che sta svendendo la Banca d’Italia, che ha sempre espresso il maggior grado di asservimento agli Usa, che in 20 anni non ha svolto alcuna azione di contrasto alla corruzione, che non ha fatto alcuna legge sul conflitto di interesse chiedendo i voti per farla, che per i giovani propone solo e sempre maggiori periodi di lavoro gratuito (servizio civile, praticantato post laurea, lavoro in azienda durante il periodo scolastico), che, con il pacchetto Treu, ha dato il via alla demolizione dei diritti dei lavoratori, che ha difeso la legge Fornero, etc.
    Ora, l’approdo alla segreteria Renzi è il punto di arrivo finale della degenerazione di quello che fu un grande partito di sinistra ed è oggi un piccolo covo di intriganti e faccendieri. Posso avere molte perplessità sul M5S, ma in compenso ho la certezza che il Pd di Renzi sia il nemico da battere e punire. E’ probabile che in questo turno Renzi cresca, l’importante ora è ostacolarne al massimo l’avanzata per batterlo nella prossima occasione. Il M5S è lo strumento più efficace che ho per colpire questa classe politica. C’è poi un secondo ordine di motivi: è evidente ormai che l’ordinamento della Ue, con l’euro al centro, sta soffocando l’Europa ed occorra un forte ripensamento di questa costruzione tecnocratica. Se l’Europa dei popoli non è solo uno slogan, ma un’aspirazione vera, occorre prima mandare in frantumi questa Europa dei finanzieri e dei tecnocrati che è inconciliabile con l’altra. Il M5S, in Italia, è l’unico martello che ho a disposizione per colpire l’Europa delle banche, se non voglio lasciare campo libero, su questo tema, alle formazioni fasciste, xenofobe, di destra.
    Inoltre, come ho sempre dichiarato, sono un convinto fautore della legge elettorale proporzionale come unica garanzia di vera rappresentanza non manipolata e, non solo il M5S è l’unica forza politica dichiaratamente proporzionalista, ma soprattutto so che una forte affermazione del M5S avrebbe l’effetto immediato di paralizzare l’abominevole legge Renzi-Berlusconi che è in discussione in Parlamento. E’ sufficiente che il M5S emerga come secondo polo per far passare qualsiasi velleità di legge maggioritaria a doppio turno. E già questa sarebbe da sola una ragione sufficiente. Dunque, sulla base di queste considerazioni, voterò il M5S.
    Tuttavia, faccio anche i miei auguri alla lista Tsipras di raggiungere il quoziente richiesto. Una sconfitta di questa lista sarebbe molto negativa, comportando la dissoluzione della sinistra radicale. Certo sarebbe stato auspicabile che questa lista avesse espresso posizioni meno ambigue su questioni come l’Euro e non si fosse rifugiata nello slogan fumoso dell’Altra Europa, che vuol dire tutto e niente; ma sarà un alleato importante la prossima volta, quando avrà chiarito le sue posizioni. E, dunque, che per ora non le manchi il quoziente. Ci pensino quei malpancisti del Pd che non se la sentono di votare per il M5S: hanno quest’altra occasione di voto per sbarrare la strada a Renzi.
    (“Perché voto M5S, auguri anche alla Lista Tsipras”, estratti dell’intervento che Aldo Giannuli ha pubblicato sul suo blog il 18 maggio 2014).

    Attenti agli applausi: quelli che Grillo ha rimediato a Torino, nella straripante piazza Castello. Secondo il blog marxista “Contropiano” è utile prendere nota di cosa enstusiasma i seguaci: dalla battaglia No-Tav all’“euro-nazismo” di Schulz, che dimentica i meriti dell’Urss («Non avesse vinto Stalin, oggi Schulz avrebbe una svastica sulla fronte»). E c’è anche il fantasma buono di Enrico Berlinguer, evocato da Giuseppe Zupo per dire che il Movimento 5 Stelle è «l’unico erede, oggi in Italia, della battaglia berlingueriana per la “questione morale”», cioè istituzioni pulite come argine necessario contro la tentazione della violenza, di fronte alla rabbia per uno Stato dilaniato dalla corruzione di casta. Un’élite così moralmente fragile da farsi “comprare”, a poco prezzo, da chi vuol finire di mangiarsi l’Italia in un sol boccone: votare 5 Stelle, dice un ex esponente di Rifondazione Comunista come il professor Aldo Giannuli, storico e politologo, significa punire la classe politica (Pd, in primis) che ha tradito l’elettorato di sinistra per fare politiche di destra, al servizio esclusivo dei poteri forti.

  • Rodotà: se la politica dimentica il dovere dell’onore

    Scritto il 24/5/14 • nella Categoria: idee • (1)

    In tempi di dilaganti spinte verso revisioni costituzionali, si deve malinconicamente concludere che una riforma è già stata realizzata con la pratica cancellazione dell’articolo 54 della Costituzione. Nella prima parte di questo articolo si dice qualcosa che può sembrare scontato: “Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Costituzione e di osservarne la Costituzione e le leggi”. Ma leggiamo le parole successive. “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore”. Il bel linguaggio della Costituzione non dovrebbe lasciare dubbi. Chi svolge funzioni pubbliche, dunque i politici in primo luogo, non possono trincerarsi dietro l’affermazione di aver rispettato la legge penale, dunque di non aver commesso alcun reato. A tutti loro è imposto un “dovere” costituzionale ulteriore, indicato con parole forti, non equivoche – disciplina e onore. Nel momento in cui questo dovere non viene rispettato, i politici perdono l’onore, e con essi perde l’onore la politica.
    Di questo nessuno si preoccupa più, anzi ogni oligarchia, corporazione, grumo d’interesse fa quadrato intorno ai suoi “disonorati”, alza la voce e così certifica la concreta cancellazione di quella norma della Costituzione. Se così fan tutti, perché meravigliarsi se in una riunione sindacale della polizia si applaudono i condannati e se rimangono senza eco i richiami all’onore provenenti dalla moglie del commissario Raciti assassinato da un ultrà calcistico?  Ma il riferimento all’onore sembra che abbia diritto di cittadinanza solo in questo ambito. L’Italia, infatti, continua a essere percorsa da condannati illustrissimi continuamente applauditi, che stipulano patti sul futuro del paese. In tempi di proclamata volontà di “innovazione” proprio di questo si dovrebbe tenere grandissimo conto. Il vuoto della politica, e la sfiducia che così si alimenta, trovano le loro radici profonde proprio nella scomparsa di un’etica pubblica.
    E invece cadono nell’indifferenza politica quei veri bollettini di guerra che, da anni ormai, sono divenute le cronache di giornali e televisioni, che registrano impietosamente, ma purtroppo anche inutilmente, vicende corruttive grandi, medie e piccole, testimonianza eloquente della devastazione sociale. Il ceto politico distoglie lo sguardo da questa realtà scomoda. E nessun richiamo sembra in grado di scuoterlo. Quando un bel pezzo dell’attuale classe dirigente è convenuta in pompa magna ad una udienza papale, ha dovuto ascoltare una dura reprimenda del Papa proprio sul tema della moralità pubblica. Ma pare che l’unica sua reazione sia stata quella dello sconcerto di fronte alla mancanza di ogni cordialità da parte del Pontefice alla fine di quell’incontro. Così, anche questa vicenda è stata rapidamente archiviata, e tutti sono tornati alle usate abitudini, senza dare il pur minimo segno di qualche intenzione di voler dare un’occhiata al dimenticato articolo 54.
    (Stefano Rodotà, estratti dell’intervento “Se la politica dimentica il dovere dell’onore”, pubblicato da “Repubblica” il 7 maggio 2014 e ripreso da “Micromega”).

    In tempi di dilaganti spinte verso revisioni costituzionali, si deve malinconicamente concludere che una riforma è già stata realizzata con la pratica cancellazione dell’articolo 54 della Costituzione. Nella prima parte di questo articolo si dice qualcosa che può sembrare scontato: “Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Costituzione e di osservarne la Costituzione e le leggi”. Ma leggiamo le parole successive. “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore”. Il bel linguaggio della Costituzione non dovrebbe lasciare dubbi. Chi svolge funzioni pubbliche, dunque i politici in primo luogo, non possono trincerarsi dietro l’affermazione di aver rispettato la legge penale, dunque di non aver commesso alcun reato. A tutti loro è imposto un “dovere” costituzionale ulteriore, indicato con parole forti, non equivoche – disciplina e onore. Nel momento in cui questo dovere non viene rispettato, i politici perdono l’onore, e con essi perde l’onore la politica.

  • Investire in Italia? Sì, quando l’euro ci avrà rasi al suolo

    Scritto il 22/5/14 • nella Categoria: idee • (2)

    «Nell’epoca dell’avidità e delle guerre per massimizzare i profitti delle SpA nessun politico calato dall’alto avrà il coraggio di spegnere l’interruttore dell’immoralità», e ovviamente «nessun partito pensa di riformare il processo decisionale della politica – riforma dei partiti, elezioni primarie per legge, democrazia diretta», sostiene Peppe Carpentieri. «Una delle più grandi menzogne spacciate dai media e dai politici nostrani è che l’Eurozona avrebbe promesso un miglioramento del benessere collettivo». I mantra della “religione” liberista? Crescita e competitività, a parole. Nei fatti, invece, il cambio fisso dell’Eurozona, il patto di stabilità e crescita nonché il Fiscal Compact «sono tutti strumenti che hanno sostenuto il processo di recessione avviato prima con lo Sme, poi nel 1981 con la separazione fra Tesoro e Banca d’Italia, e accelerato con la deregolamentazione bancaria e finanziaria, fino ad esplodere nel 2008 con la crisi dei mutui subprime che ha raggiunto l’Eurozona».
    Gli Stati che aderiscono all’euro, e quindi abdicano alla sovranità monetaria – cioè rinunciano ad una propria politica monetaria – e decidono di farsi condizionare dallo spread e dalle “opinioni” dei mercati finanziari, scrive Carpentieri in un post ripreso da “Megachip”. I mercati finanziari hanno anch’essi la loro “religione”, cioè «l’avidità e la crescita del Pil». E così, «accade che i fondi di investimento internazionali guidati da soggetti privati, favoriti dalla deregolamentazione globale, scelgono di investire i capitali seguendo la crescita del Pil, l’andamento demografico e lo sviluppo urbano dei singoli Stati». Non conviene più investire nel nostro paese? Ovvio: «I vantaggi di investire in Italia non ci sono poiché la globalizzazione sposta gli interessi verso i paesi emergenti». Molto meglio puntare su paesi neppure democratici, senza sindacati né diritti umani, ma con «l’opportunità di sfruttare e usurpare risorse materiali», senza contare i «vantaggi fiscali» e le «opportunità per massimizzare i profitti», utilizzando lavoratori-schiavi. I diritti civili e la cultura democratica? «Rappresentano un ostacolo oggettivo, per i fondi di investimento privati».
    Consapevoli di questa enorme contraddizione fra avidità e democrazia, il progetto politico dell’Eurozona «rappresenta non solo una minaccia concreta per gli uomini liberi, ma è di fatto un progetto immorale, incostituzionale, che pregiudica la sopravvivenza delle generazioni presenti e future», sottolinea Carpentieri. «Non è tollerabile e tanto meno accettabile che la Repubblica italiana sia cancellata dalla storia per l’apatia dei cittadini stessi, manipolati, ingannati e traditi da dipendenti politici, nella migliore delle ipotesi incapaci e stupidi, nella peggiore traditori della Repubblica». La depressione dell’Eurozona e soprattutto dei paesi periferici dell’Ue ha una radice comune: «Cessione della sovranità monetaria, assenza di una banca pubblica che faccia l’interesse pubblico, sgretolamento dello Stato sociale, un sistema contabile fiscale stupido perché i criteri della crescita impediscono di fare investimenti pubblici, assenza di una politica industriale utile allo sviluppo umano».
    Tutto questo, ovviamente, non viene mai ammesso dall’establishment e dal suo mainstream: si continua a «blaterare di crescita e sviluppo», cercando solo di «confondere le idee degli elettori». Nella realtà, i mercati finanziari «ignorano le chiacchiere di questi utili idioti». L’Unione Europea «serve ai paesi “centrali” per drenare risorse (tasse), e serve a produrre disperazione, istigazione al suicidio e povertà crescente nei paesi “periferici”». Sicché, «quando i paesi “periferici” avranno raggiunto i livelli di povertà dei paesi emergenti, può darsi che i famigerati mercati finanziari avranno pietà e interesse nell’investire anche in Italia», ma in quel caso «non ci saranno più gli italiani». A quel punto, di fronte alla catastrofe socio-economica, ridiventerà finalmente “conveniente” investire in Italia, quando cioè ci si metterà in fila per un lavoro qualsiasi, con paga “cinese”. E’ una macchina imponente, che funziona a meraviglia. Da dove vengono tutti quei soldi, impiegati contro di noi? Dai paradisi fiscali, che insieme agli strumenti finanziari «rappresentano il modo più efficace di far perdere le tracce e distribuire soldi per corrompere politici e pagare la politica delle multinazionali SpA: guerre e controllo del debito».
    Per Moisés Naìm, economista e direttore di “Foreign Policy”, già dirigente della Banca Mondiale, il numero dei territori che offrono servizi off-shore continua a crescere. Una piaga inarrestabile: «Non si tratta di catturare questa o quella persona, qui si tratta di un problema di sistema, “sistema mondo” intendo, che sta minacciando l’equilibrio globale». L’alta finanza ha creato paradisi bancari come Euroclear e Clearstream, dove vige il segreto assoluto: «Conti su cui è possibile far comparire e scomparire il denaro occultandone la fonte di provenienza». L’organizzazione “taxjustice.net”, continua Carpentieri, ha creato un indice della segretezza finanziaria, una ricchezza monetaria che sfugge alle regole fiscali nazionali: «Si tratta di un sistema globale che consente di non pagare tasse o pagarne poche grazie alle maglie larghe di leggi deboli e inefficaci». Secondo “Taxjustice”, ci sono da 21 a 32 trilioni di dollari depositati nei paradisi fiscali. In cima alla classifica brilla la Svizzera, seguita da Lussemburgo, Hong Kong, le Cayman, Singapore, gli Usa.
    Secondo John Christensen, dato che il capitale di privato depositato offshore è pari a 11.500 miliardi di dollari, «se questo capitale generasse un profitto modesto diciamo del 7% e se questo reddito fosse tassato a un’aliquota molto bassa, ad esempio del 30%, i governi del mondo avrebbero ogni anno un surplus di reddito pari a 250 miliardi di dollari, che potrebbero spendere per alleviare la povertà e raggiungere gli obiettivi di sviluppo fissati dalle Nazioni Unite». Sicuramente, aggiunge Carpentieri, in termini di giustizia sociale determinate istituzioni bancarie, grandi imprese e politici dovrrebbero «pagare il danno morale, sociale e ambientale che stanno causando a singole comunità, a singoli Stati e all’umanità intera». La soluzione? «Il ripristino della sovranità monetaria per favorire l’interesse della Repubblica e avviare un percorso di transizione, dall’era industriale verso una comunità fondata sul lavoro dell’equilibrio ecologico e non più sul profitto».

    «Nell’epoca dell’avidità e delle guerre per massimizzare i profitti delle SpA nessun politico calato dall’alto avrà il coraggio di spegnere l’interruttore dell’immoralità», e ovviamente «nessun partito pensa di riformare il processo decisionale della politica – riforma dei partiti, elezioni primarie per legge, democrazia diretta», sostiene Peppe Carpentieri. «Una delle più grandi menzogne spacciate dai media e dai politici nostrani è che l’Eurozona avrebbe promesso un miglioramento del benessere collettivo». I mantra della “religione” liberista? Crescita e competitività, a parole. Nei fatti, invece, il cambio fisso dell’Eurozona, il patto di stabilità e crescita nonché il Fiscal Compact «sono tutti strumenti che hanno sostenuto il processo di recessione avviato prima con lo Sme, poi nel 1981 con la separazione fra Tesoro e Banca d’Italia, e accelerato con la deregolamentazione bancaria e finanziaria, fino ad esplodere nel 2008 con la crisi dei mutui subprime che ha raggiunto l’Eurozona».

  • Zupo, ex dirigente Pci: il M5S unico erede di Berlinguer

    Scritto il 20/5/14 • nella Categoria: idee • (1)

    «Ai miei tempi l’onestà era un dna che andava preservato accuratamente, oggi è un optional fastidioso. Il pensiero di Berlinguer è attualissimo e l’unico erede della questione morale è il Movimento 5 Stelle». Parola dell’avvocato Giuseppe Zupo, 73 anni, responsabile nazionale giustizia del Pci ai tempi di Berlinguer. «Allora – dice Zupo, intervistato da “Micromega” – la corruzione non aveva il peso devastante che ha assunto negli anni successivi». C’era il terrorismo, che «trovava terreno fertile tra l’insoddisfazione dei giovani e delle masse popolari». Per questo Berlinguer «si è preoccupato di riguadagnare la fiducia dei cittadini nei confronti dello Stato, da qui la questione morale e l’intransigenza sull’onestà delle istituzioni». La battaglia di Grillo, dunque. E Renzi? «E’ il nulla, e sul niente c’è poco da dire». Quanto a Vendola, «sull’Ilva di Taranto ha fatto uno scivolone terribile e avrebbe dovuto trarne immediatamente le conseguenze: non si ride con i padroni che hanno inquinato una città e prodotto morti su morti».
    Questione morale non significa solo “non rubare”, è l’idea che lo Stato e le istituzioni democratiche sono un bene pubblico, «da preservare con attenzione essendo di proprietà di una comunità, frutto di sforzi di generazioni che nel passato hanno costruito le fondamenta per quelle future». Per Zupo, la “questione morale” impugnata dal leader del Pci era figlia della grande tradizione liberale, proveniente dalla Rivoluzione Francese, «non relegabile al campo della sinistra» ma cara a qualsiasi sincero democratico. Poi, dopo Berlinguer, il declino inarrestabile dei grandi ideali, in quel partito. Zupo “salva” anche il successore di Berlinguer, Alessandro Natta: dice che fu «defenestrato, mentre era in ospedale, dai vari D’Alema, Occhetto e Veltroni: lo dichiararono dimissionario – mentre era un falso – e lui apprese dal giornale radio di non essere più segretario del Pci». Prima di morire, nel 2001, Natta ha rilasciato un’intervista all’Unità: denunciava «la degenerazione che si era creata con Occhetto».
    Domanda: tra le forze politiche organizzate di oggi, chi ha preso il testimone di Berlinguer sulla questione morale? «Lo so, farò inorridire i miei compagni di una volta», premette Zupo. «Sono comunista semel semper berlingueriano e dopo il Pci non mi sono iscritto a nessun partito perché nessuno ha portato più avanti quei valori. Ora – dichiara – vedo nel M5S l’unico possibile erede». Una convinzione radicata: «Ho votato il movimento alle ultime elezioni nazionali e – pur non essendo un uomo ricco – l’ho finanziato. Sono andato al comizio di San Giovanni a Roma, prima del voto, e sono rimasto colpito dall’enorme partecipazione e dalla composizione della piazza: cittadini, lavoratori, giovani. La rappresentanza come servizio nelle istituzioni, a termine, per poi ritornare al proprio status di prima. Senza fortune politiche come avviene per gli altri partiti». Confortante, per Zupo, anche il dopo-voto: «I parlamentari 5 Stelle sono persone normalissime: casalinghe, ingegneri, impiegati, gente dalla porta accanto, non arruffoni di soldi e poltrone. Per questo sono del M5S e tornerò a votarlo».
    «Dall’altra parte – continua l’avvocato – abbiamo quel Pd che, tra l’incostituzionale “Porcellum” e la nuova legge elettorale, ha abrogato le preferenze togliendo alle persone il diritto di poter selezionare la propria classe dirigente. Il nominare loro i parlamentari è solo l’ennesimo atto di autoreferenzialità di una politica ormai lontana dai cittadini». Ormai il Pd è il partito di Renzi. «Berlinguer riteneva che Occhetto fosse solo un venditore di slogan e non un costruttore di politiche. Io penso lo stesso del premier Matteo Renzi, non aggiungo altro: è il nulla». Nella sinistra ufficiale, ci sono anche personaggi come Civati, il quasi-dissidente. «Civati è una persona simpatica e educata ma è compatibile al sistema», dice Zupo: «Ogni volta è lì lì per rompere e poi rientra nei ranghi: voto il M5S perché voglio una forza capace di ribaltare il tavolo su cui questi signori consumano la politica, e non qualcuno che cambi loro le stoviglie».
    Ai 5 Stelle, conclude l’avvocato, sono stati tesi dei trabocchetti, per esempio da Bersani, e i neoparlamentari hanno commesso errori d’inesperienza e ingenuità: per questo vanno sostenuti, perché continuino a crescere. Il Pd, invece, «ha disperso un immenso patrimonio, quello del Pci». Come diceva Natta, «non hanno tenuto conto che eravamo il punto di arrivo di una particolarità storica, significativa e apprezzata a livello internazionale: un partito socialdemocratico, sul modello scandinavo, che aveva con sé la classe operaia». Tutto questo, sostiene Zupo, non deve andare perduto, e il Movimento 5 Stelle è un’occasione: «In Europa il malcontento si sta riversando verso partiti reazionari, fascisti o addirittura neonazisti, mente qui da noi prende le sembianze del M5S che è invece antifascista, democratico e progressista. Basta osservare come Grillo ha replicato al corteggiamento di Marine Le Pen. Questa specificità del M5S andava compresa e sostenuta, e non osteggiata come fatto dal Pd. Anche le istituzioni che continuano ad accusare il movimento di populismo sbagliano in maniera grossolana».

    «Ai miei tempi l’onestà era un dna che andava preservato accuratamente, oggi è un optional fastidioso. Il pensiero di Berlinguer è attualissimo e l’unico erede della questione morale è il Movimento 5 Stelle». Parola dell’avvocato Giuseppe Zupo, 73 anni, responsabile nazionale giustizia del Pci ai tempi di Berlinguer. «Allora – dice Zupo, intervistato da “Micromega” – la corruzione non aveva il peso devastante che ha assunto negli anni successivi». C’era il terrorismo, che «trovava terreno fertile tra l’insoddisfazione dei giovani e delle masse popolari». Per questo Berlinguer «si è preoccupato di riguadagnare la fiducia dei cittadini nei confronti dello Stato, da qui la questione morale e l’intransigenza sull’onestà delle istituzioni». La battaglia di Grillo, dunque. E Renzi? «E’ il nulla, e sul niente c’è poco da dire». Quanto a Vendola, «sull’Ilva di Taranto ha fatto uno scivolone terribile e avrebbe dovuto trarne immediatamente le conseguenze: non si ride con i padroni che hanno inquinato una città e prodotto morti su morti».

  • Scordatevi Silvio, ormai ostaggio della finanza euro-Usa

    Scritto il 14/5/14 • nella Categoria: idee • (2)

    Buone ragioni per non votare Berlusconi. Se fossi il procuratore della Repubblica che ha formulato il parere sull’affidamento in prova ai servizi sociali di Berlusconi, avrei fatto capire ai suoi difensori (ma non avrei mai messo per iscritto) che la Procura dà parere favorevole, ma si riserva di chiedere la revoca dell’affidamento qualora Berlusconi torni a criticare in un certo modo i magistrati. E non solo per la brutta tinta che ha un simile messaggio in se stesso, ma soprattutto perché esso può indurre coloro che credono che Berlusconi sia perseguitato da una certa associazione di magistrati per fini politici e a sostegno della sinistra, a pensare e ad agire come segue: non voterò più per Berlusconi, ma voterò per il M5S o la Lega Nord o Fratelli d’Italia, perché Berlusconi ormai ha perduto la libertà politica, trovandosi sotto costante ricatto giudiziario e dovendo fare ciò che gli dicono per poter conservare, o sperare di conservare, non l’agibilità politica, ma una parziale libertà personale in alternativa alla reclusione.
    Se, grazie alla sua autosufficienza economica, aveva un po’ di libertà e originalità politica rispetto agli altri politicanti italiani del cavolo, ora gliela hanno tolta, gli hanno messo il guinzaglio. Probabilmente ciò che Silvio è andato recentemente a dire alle orecchie giuste è che, per evitare il carcere, mette il suo partito e i voti dei suoi elettori a disposizione incondizionata dei poteri forti. Il partito della grande finanza euro-americana può così prendersi, dopo la sinistra “moderata”, “liberale”, anche Forza Italia: potrà avere la maggioranza, il premio di maggioranza, e il controllo (giudiziario) dell’opposizione, o di una sua parte significativa. Già molto prima Berlusconi aveva mancato praticamente a tutte le sue promesse di ammodernamento, razionalizzazioni, riforme liberali, rilancio economico. Già aveva sempre governato oscillando tra una timida difesa degli interessi italiani e una complessiva compiacenza a quelli, contrari, di Germania e Francia, prestandosi sostanzialmente ad assecondare questi ultimi.
    Già si era piegato al golpe dello spread, quell’operazione svelata al grande pubblico da Alan Friedman, che era stata decisa prima a porte chiuse e successivamente spinta avanti con la manovra bancaria, soprattutto tedesca, contro il Btp. Già aveva sostenuto il governo e la politica di Monti, che minavano l’economia nazionale, dilatavano il debito pubblico e depredavano il risparmio italiano per garantire immorali lucri ai banchieri franco-tedeschi nelle loro speculazioni sui paesi più deboli. Già aveva sostenuto il governo e la politica di Letta, altro grande economista, famoso autore di “Euro sì – Morire per l’Euro”, e che, inerme e inconcludente, ha peggiorato ulteriormente le cose. Già ha avallato la porcata della riforma della Banca d’Italia (vedi in proposito il mio e-book “Sbankitalia”, 2a edizione, Arianna editrice) nonché l’istituzione della dittatura del premier (o del suo puparo) in corso oggi con la riforma elettorale e del Senato (vedi in proposito il mio articolo “Con Renzi preparano la dittatura del prossimo premier”).
    Quindi è chiaro che Silvio Berlusconi ha sempre raccolto voti con precise promesse, per poi tradire i suoi elettori. E’ probabile che faccia questo ora, e forse da sempre, per tutelare se stesso e le aziende di famiglia, cioè che cerchi accordi con certi potentati offrendo in cambio di sterilizzare i voti che raccoglie con la promessa di andare contro quei medesimi potentati. Ciò porta al regime i voti dissidenti. Trasforma il dissenso in consenso. E’ chiaro che ora addirittura deve obbedire a bacchetta, perché sta sotto costante minaccia del carcere. Quindi che senso ha votarlo? Io non lo voto. Voto contro il sistema, cioè voto o Lega o Grillo o Fratelli d’Italia, sperando che facciano fronte comune tra loro e con altri simili movimenti europei, perché ho una speranza di cambiare le cose e ancora non mi rassegno ad emigrare accettando le conclusioni rinunciatarie dell’autore di questo articolo.
    (Marco Della Luna, “Non ha più senso votare Berlusconi ostaggio”, dal blog di Della Luna del 13 aprile 2014).

    Buone ragioni per non votare Berlusconi. Se fossi il procuratore della Repubblica che ha formulato il parere sull’affidamento in prova ai servizi sociali di Berlusconi, avrei fatto capire ai suoi difensori (ma non avrei mai messo per iscritto) che la Procura dà parere favorevole, ma si riserva di chiedere la revoca dell’affidamento qualora Berlusconi torni a criticare in un certo modo i magistrati. E non solo per la brutta tinta che ha un simile messaggio in se stesso, ma soprattutto perché esso può indurre coloro che credono che Berlusconi sia perseguitato da una certa associazione di magistrati per fini politici e a sostegno della sinistra, a pensare e ad agire come segue: non voterò più per Berlusconi, ma voterò per il M5S o la Lega Nord o Fratelli d’Italia, perché Berlusconi ormai ha perduto la libertà politica, trovandosi sotto costante ricatto giudiziario e dovendo fare ciò che gli dicono per poter conservare, o sperare di conservare, non l’agibilità politica, ma una parziale libertà personale in alternativa alla reclusione.

  • In bikini per Tsipras, che ignora le cause dell’euro-lager

    Scritto il 08/5/14 • nella Categoria: idee • (2)

    «Qualche giorno fa Paola Bacchiddu, responsabile per la comunicazione della lista “L’altra Europa con Tsipras” ha postato una propria foto in bikini, con il culo seminudo ben in evidenza in primo piano, accompagnata dal seguente commento: “Ciao è iniziata la campagna elettorale e io uso qualunque mezzo. Votate l’Altra Europa con Tsipras”». Un voto in cambio di un desiderio, scrive Rosanna Spadini: un voto in cambio di una proposta indecente? Vince «l’etica della modernità liquida», il monoteismo del marketing: non avrai altro mercato al di fuori di me, ricordati di santificare lo shopping, onora ogni mio desiderio, non uccidere la libidine dentro di te, ama il piacere tuo come te stesso. «Non si capisce a questo punto quale relazione ci possa essere tra il rigore moralistico laico degli tsiprioti, che per certi versi è dogmatico e reverenziale quanto quello cristiano, e la nuova morale postmoderna della società globalizzata, dominata dal neoliberismo sovranazionale  planetario». Quale etica, nel tempo dell’assoluta mancanza di etica?
    Come può convivere l’etica del marketing con la lotta al mercato e al capitalismo? «Marxisti in crisi di identità? Marxisti  dell’Illinois? (da una famosa scena del film “The Blues Brothers”, anche se là erano nazisti)», scrive la Spadini su “Come Don Chisciotte”. «Gli tsiprioti infatti sono quegli esseri che viaggiano sollevati a un palmo da terra (come Remedios la Bella di “Cent’anni di solitudine”), sono entità moralmente sovrannaturali, si spendono e si spandono per i diritti umani di tutta l’umanità, sono gli oracoli viventi dell’“unico dogma” che può salvare la pace, la libertà, la democrazia, sono i profeti dell’“unica verità socialista, marxista, comunista”. Quale complicità ci può essere tra i novelli Templari del marxismo, i monaci militanti della fratellanza universale e la subdola seduzione del mercato?  Quale connivenza tra le loro esistenze votate all’ideale universalistico della distribuzione globale dei diritti e la sporcizia morale di chi seduce con  una sveltina (per di più anale) in cambio di un voto?».
    Senza considerare, aggiunge Spadini, che spesso gli “tsiprioti” provengono dalle vaste e profonde gole di “Micromega”, frequentate da intellettuali che hanno attraversato gli anni tormentati del berlusconismo «ragionando sapientemente dei massimi sistemi dell’esistenza, senza che il loro nobile pensiero si traducesse mai in risoluzione pratica dei problemi sociali, confondendo spesso l’astrattezza della loro speculazione filosofica con l’astuta strategia politica di chi intercetta e decifra le esigenze del reale». Ecco perché gli “tsiprioti” sono andati in Grecia a cercarsi un loro degno rappresentante: «Perché in Italia non c’era nessun Zarathustra degno di fede,  non c’era nessuno che potesse corrispondere ai loro criteri di selezione darwiniana della specie eletta degli ubermensch». Ma Tsipras e i suoi followers, a partire da Barbara Spinelli, «non sembrano capire che un’Europa federale e democratica dei popoli fratelli non è possibile se non uscendo da quel lager eurocratico che la sta devastando».
    Secondo Rosanna Spadini, «non ci può essere democrazia se non all’interno dello Stato-nazione, non ci può essere sovranità economica se non restaurando la collaborazione tra Tesoro e Bankitalia che è stata interrotta dal “divorzio” del 1981 (legge Ciampi-Andreatta), e non ci può essere benessere sociale se non recuperando la nostra indipendenza politica e democratica». Per di più, «questi monaci militanti della fratellanza globalizzata, che ha anche impedito in Italia la nascita di una coscienza nazionale, concezione da loro soavemente disprezzata, confusa con quella di nazionalismo (che è decisamente un’altra cosa), questi sacerdoti laici che celebrano quotidianamente il loro anacronistico rito liturgico, sono stati sempre la ruota di scorta dei poteri forti, “utili idioti” al servizio del sistema neoliberista, ottusi strumenti nelle mani del potere eurocratico, tribuni di strategie politiche del nulla, sempre e comunque perdenti, proprio perché connaturate amabilmente al potere costituito (vedi Laura Boldrini)».
    Non si rendono conto, aggiunge Spadini nella sua requisitoria, che l’Europa odierna sta vivendo uno dei momenti più tragici della propria storia: non potrà cambiare il proprio destino se non facendo una diagnosi precisa della cause che hanno provocato il disastro. E’ «un “golpe bianco” che viene da lontano, dal crollo del muro di Berlino del 1989, quando il sistema capitalistico-imperialistico-neoliberista rimasto unico ordine mondiale, si apprestò a dissolvere gli Stati-nazione, privandoli della loro sovranità politico-economica, per ricomporli in quell’orrido organismo sovranazionale, privo di identità e di cultura, che è appunto l’Unione Europea». Un “golpe bianco” che «si serve dell’euro come arma di distruzione di massa per imporre politiche di austerity che devastano l’economia e i diritti, una dittatura finanziaria che ha imposto i trattati-capestro, dal Trattato di Maastricht (1993) a quello di Lisbona (2007), quando al contrario i popoli di Francia e Olanda avevano ampiamente bocciato la Costituzione Europea».
    Il “nemico” da riconoscere  «una dittatura finanziaria che ha poi aperto la strada all’inarrestabile corso dei tagli alla spesa pubblica (che invece statisticamente non oltrepassa la media dei paesi europei), al ciclo delle privatizzazioni, alla precarizzazione a vita del lavoro e alla devastazione del welfare, straordinaria conquista sociale delle lotte del Novecento, ma anche strategia funzionale all’antagonismo tra il benessere capitalistico dell’ovest europeo, opposto al malessere comunista del suo nemico storico, rappresentato dall’Urss, durante il periodo della guerra fredda». Pertanto, Tsipras e «i suoi gattopardeschi followers» vorrebbero rimuovere gli effetti disastrosi della dittatura eurocratica «senza toccarne le cause, rappresentate dall’euro e dai trattati». E questo, purtroppo o per fortuna, è ben più importante dell’ostentata esposizione delle terga della giovane portavoce in bikini.

    «Qualche giorno fa Paola Bacchiddu, responsabile per la comunicazione della lista “L’altra Europa con Tsipras” ha postato una propria foto in bikini, con il culo seminudo ben in evidenza in primo piano, accompagnata dal seguente commento: “Ciao è iniziata la campagna elettorale e io uso qualunque mezzo. Votate l’Altra Europa con Tsipras”». Un voto in cambio di un desiderio, scrive Rosanna Spadini: un voto in cambio di una proposta indecente? Vince «l’etica della modernità liquida», il monoteismo del marketing: non avrai altro mercato al di fuori di me, ricordati di santificare lo shopping, onora ogni mio desiderio, non uccidere la libidine dentro di te, ama il piacere tuo come te stesso. «Non si capisce a questo punto quale relazione ci possa essere tra il rigore moralistico laico degli tsiprioti, che per certi versi è dogmatico e reverenziale quanto quello cristiano, e la nuova morale postmoderna della società globalizzata, dominata dal neoliberismo sovranazionale  planetario». Quale etica, nel tempo dell’assoluta mancanza di etica?

  • Moby: reggereste allo sguardo del vitellino al macello?

    Scritto il 03/5/14 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    Quando avevo dieci anni stavo camminando vicino alla discarica della città e sentii alcuni “miagolii” che provenivano da una scatola. Aprii la scatola e dentro trovai tre gattini morti e uno che viveva a malapena (era cosi piccolo che aveva gli occhietti ancora chiusi). Presi il gattino e corsi immediatamente a casa. Io e mia madre saltammo subito in macchina (beh, non proprio letteralmente) e volammo dal veterinario. Il veterinario fu comprensivo ma per niente incoraggiante. «E’ raro che un gattino riesca a vivere senza la propria mamma quando è cosi piccolo», mi disse, «quindi cerca di non affezionarti troppo a lui». Portammo Tucker a casa (gli diedi il nome mentre eravamo in macchina) consapevoli che sarebbe morto subito, e inaspettatamente il nostro bassotto George lo adottò. George divenne la mamma sostituta di Tucker, pulendolo e mantenendolo al caldo, e Tucker visse per ben 18 anni.
    Un giorno, quando Tucker aveva 9 anni e io 19, ero seduto con lui sotto al sole sulle scale dell’appartamento suburbano di mia madre nel Connecticut, ed ebbi una visione. Gran parte delle illuminazioni sono evidenti, quindi forse troverai questa visione chiara. Ma comunque ecco l’illuminazione: seduto sui gradini pensai: «Io amo questo gatto. Farei qualsiasi cosa per proteggerlo e renderlo felice e allontanarlo dai pericoli. Lui ha quattro zampe, due occhi, un cervello eccezionale ed è pieno di sentimenti. Nemmeno tra mille miliardi di anni penserei di poter far male a questo gatto. E quindi perché mangio altri animali che hanno quattro (o due) zampe, due occhi, un cervello straordinario e sono ricchi di emozioni?». E mentre ero seduto con Tucker sulle scale del sobborgo urbano nel Connecticut diventai vegetariano. Questo avveniva nel 1985, 29 anni fa.
    Il motivo per cui divenni vegetariano è facile: amavo (e amo) gli animali e non voglio essere coinvolto in niente che li faccia soffrire. Come prima cosa dissi addio al pollo e al manzo. Poi al pesce (se hai mai passato del tempo con i pesci ti renderai conto abbastanza velocemente che loro soffrono molto quando vengono pescati, trafitti e intrappolati). Poi pensai: «Io non voglio contribuire alla sofferenza degli animali. Ma le condizioni delle mucche e dei polli nelle aziende, così come le condizioni dei produttori di uova, sono miserabili. Quindi perché dovrei ancora continuare a mangiare e bere latte e uova?». Così nel 1987 ho chiuso con tutti gli animali e sono diventato vegano. Semplicemente perché così posso vivere in armonia con le mie credenze che gli animali hanno la propria vita, che hanno tutto il diritto di viverla, e non sarò di certo io a dare il contributo alla sofferenza degli animali.
    Con il passare del tempo, il mio essere vegano è stato rinforzato dall’aver studiato nozioni sulla salute, il cambiamento climatico e sull’ambiente. Ho scoperto che le diete a base di carne, latticini e uova sono i più grandi responsabili dello sviluppo di diabete, problemi cardiaci e cancro nelle persone. Ho scoperto che la produzione di carne animale era responsabile del 18% del cambiamento climatico (più di qualsiasi macchina, autobus, camion, nave e aeroplano messi insieme). Ho scoperto che produrre una libbra di fagioli di soia richiede 200 galloni di acqua, ma che produrre una libbra di carne di manzo ne richiede 1.800. Ho scoperto che la causa principale della deforestazione tropicale è l’abbattimento degli alberi per creare terreni da pascolo per il bestiame. E ho scoperto che gran parte delle malattie di origine animale (la Sars, la mucca pazza, l’aviaria) sono un risultato dell’allevamento di animali. Ma come fattore decisivo ho scoperto che il mangiare alimenti ricchi di grassi, una dieta a base di carne animale, potrebbe portarti a una forma di impotenza (per questo non vedo ulteriori motivi per non essere vegano).
    Quindi, più studiavo l’ambiente e la salute e più mi convincevo di essere vegano. E mi vergogno a dirlo solo adesso, ma ho avuto l’inevitabile periodo vegano in cui ero l’insofferente vegano che rimproverava i suoi amici ogni volta che mangiavano carne. Ma con il tempo mi sono reso conto che quando rimproveravo i miei amici loro di certo non mangiavano meno carne, si innervosivano con me e non mi invitavano più alle loro feste. E forse, sarò anche egoista, ma io amo essere invitato alle feste dei miei amici. Ho imparato che urlare alle persone non è il modo migliore per farsi ascoltare. Quando urlo contro qualcuno poi loro si mettono sulla difensiva e diventano contrari a qualsiasi cosa tu stia cercando di dirgli. Però ho scoperto che parlare con rispetto alle persone e condividere con loro informazioni e fatti mi permette di farmi ascoltare e addirittura considerano i motivi per cui io sono diventato un vegano.
    Giusto per essere chiari: solo perché io sono vegano non ti sto dicendo che devi esserlo anche tu. Sarebbe paradossale se io rifiutassi di imporre la mia volontà agli animali però fossi contento di imporre la mia volontà agli umani. Ti dovresti informare nel modo migliore che puoi e dovresti vivere e mangiare nel modo che per te è il migliore. Però, dal punto di vista empirico ed epidemiologico, logicamente tu (e noi tutti, in realtà) hai maggiori possibilità di vivere una vita lunga, felice e sana se eviti di mangiare carne, maiale, pollo, latte e uova. E in ultimo ti esorto fermamente a evitare di mangiare prodotti di animali fatti nelle aziende agricole, perché le aziende agricole trattano i loro animali in maniera orribile, e la carne e i latticini che derivano dalle aziende agricole sono riempiti di antibiotici, ormoni sintetici, batteri minacciosi per la vita. A parte la salute, i cambiamenti climatici, l’impotenza, le malattie di origine animale, il degrado ambientale, la resistenza ormonale, vi faccio questa semplice domanda: riuscireste a guardare negli occhi un vitellino dicendogli: «Il mio appetito è più importante della tua sofferenza?».
    (Moby, sintesi dell’intervento “Ecco perché sono vegano”, pubblicato da “Rolling Stone” del 28 marzo 2014 e ripreso da “Come Don Chisciotte”).

    Quando avevo dieci anni stavo camminando vicino alla discarica della città e sentii alcuni “miagolii” che provenivano da una scatola. Aprii la scatola e dentro trovai tre gattini morti e uno che viveva a malapena (era cosi piccolo che aveva gli occhietti ancora chiusi). Presi il gattino e corsi immediatamente a casa. Io e mia madre saltammo subito in macchina (beh, non proprio letteralmente) e volammo dal veterinario. Il veterinario fu comprensivo ma per niente incoraggiante. «E’ raro che un gattino riesca a vivere senza la propria mamma quando è cosi piccolo», mi disse, «quindi cerca di non affezionarti troppo a lui». Portammo Tucker a casa (gli diedi il nome mentre eravamo in macchina) consapevoli che sarebbe morto subito, e inaspettatamente il nostro bassotto George lo adottò. George divenne la mamma sostituta di Tucker, pulendolo e mantenendolo al caldo, e Tucker visse per ben 18 anni.

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