Archivio del Tag ‘Euribor’
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Prenoto ora il grano del futuro e ne farò esplodere il prezzo
Lo scandalo SwissLeaks, in cui la Hsbc è accusata di avere aiutato decine di migliaia di clienti a nascondere i propri soldi su conti cifrati, è tornato alla ribalta in queste settimane. L’ennesimo caso che mostra come troppo spesso i maggiori gruppi bancari giochino un ruolo di primo piano in operazioni di al limite, e spesso ben oltre il limite, della legalità. Parliamo di una banca sola. E’ quasi impossibile anche solo elencare gli scandali, gli abusi e i crimini recentemente emersi a carico del sistema finanziario: dalle manipolazioni del mercato delle valute a quello dei tassi di riferimento (Libor e Euribor), dagli episodi di corruzione all’evasione fiscale, a moltissimi altri ancora. La stessa Hsbc nel 2012 ha ricevuto una multa di 1,9 miliardi di dollari dalle autorità statunitensi per una vicenda legata al riciclaggio del denaro di cartelli della droga messicani. Se le conseguenze delle operazioni illecite o apertamente illegali sono devastanti, paradossalmente sono ancora peggiori, se possibile, gli impatti del “normale” funzionamento di questo sistema finanziario.Uno degli esempi più vergognosi, non certo l’unico, è l’utilizzo dei derivati per scommettere sul prezzo del cibo e delle materie prime. I derivati sono contratti finanziari il cui valore deriva appunto da quello di un bene (titoli, indici, materie prime o altro) chiamato sottostante. I derivati sono nati essenzialmente come strumenti di copertura dai rischi: permettono di comprare, vendere o scambiare qualcosa in una data futura, a un prezzo prestabilito. Ho un pastificio e voglio pianificare la produzione. Tramite un derivato posso comprare il grano tra alcuni mesi a un prezzo fissato già oggi. In cambio di una commissione, la banca che me lo vende si assume quindi i rischi delle oscillazioni dei prezzi. E’ la loro stessa natura a renderli strumenti particolarmente adatti alla speculazione. In pratica posso scommettere su un prezzo futuro. Oggi, per molte materie prime e altre tipologie di derivati, nel 99% dei casi non c’è la consegna del sottostante. Come dire che scommetto sul prezzo futuro del grano ma non ho nessun interesse nel grano. Non ho un pastificio né sono un produttore. Sto unicamente realizzando una scommessa speculativa sul prezzo futuro di qualcosa.Per chiarire, è come se su 100 assicurazioni automobilistiche, una servisse a tutelare i proprietari di automobili, le altre 99 a scommettere che il mio vicino di casa avrà un incidente. Scommesse che esasperano l’andamento dei prezzi, creano volatilità e instabilità. Gli impatti e i danni maggiori ricadono tanto sui piccoli produttori di grano quanto sui consumatori, che si ritrovano in balia della montagna russa dei prezzi generata dalla speculazione. Non solo. Con una “normale” speculazione posso comprare una certa quantità di grano per 5.000 euro, sperare che il prezzo salga e rivenderlo. Al di là dei problemi di stoccaggio, devo materialmente avere i 5.000 euro. Posso invece acquistare per 100 euro un derivato che mi consente di comprare tra un mese lo stesso grano a 5.000 euro. Uso una leva finanziaria di 50 a 1, controllo 5.000 euro con 100 di investimento. Se tra un mese quel grano vale 5.100, realizzo 100 euro con 100, non con 5.000, il 100% di profitto invece del 2%. Se le cose vanno male, le perdite possono essere altrettanto ingenti.Quando esplode la crisi finanziaria a cavallo del 2008, giganteschi capitali fuggono dai mercati finanziari “tradizionali” e tramite i derivati si riversano sulle materie prime, alimentari e non. Il prezzo dovrebbe essere determinato dall’incontro tra domanda e offerta. Investimenti puramente finanziari creano però un’ulteriore domanda “artificiale”, il che spinge al rialzo il prezzo, richiamando altri investitori, ovvero un ulteriore aumento della domanda. Il fenomeno si autoalimenta, si crea una bolla finanziaria. Quando qualcuno inizia a vendere parte il percorso inverso: scoppia la bolla, panico sui mercati e prezzi che crollano. Sia i produttori sia i consumatori si trovano in balia dell’instabilità. Nel 2008 aumenta il prezzo di tutte e 25 le principali materie prime. Un aumento all’unisono più unico che raro e a maggior ragione ingiustificabile in un periodo di crisi. Il prezzo del grano e del mais raddoppia in pochi mesi senza che si verifichi una siccità o un altro evento naturale. Un aumento così repentino non può nemmeno essere spiegato con il cambiamento di dieta dei paesi emergenti, la crescita dei bio-combustibili o i cambiamenti climatici, tutti fenomeni di lungo periodo. E’ l’ondata speculativa che determina se milioni di esseri umani saranno in grado di sfamarsi o meno.Se possibile, c’è anche di peggio: l’instabilità e la volatilità non sono “fastidiosi” effetti collaterali, ma la base stessa del gioco. Compro un titolo per 100 euro. Se dopo un anno vale 101 euro ho realizzato una speculazione, ma il margine di profitto è bassissimo, l’1%. Se invece il titolo è in preda a fortissime oscillazioni e i prezzi sono instabili, si possono realizzare maggiori profitti. In una spirale perversa la stessa speculazione è oggi in grado di generare le oscillazioni su cui poi andrà a guadagnare: più scommesse girano su un dato titolo, più i prezzi rischiano di impazzire e più crescono le possibilità di profitti a breve, attirando nuovi squali. Le materie prime, naturalmente soggette a variabilità dei prezzi, diventano con i derivati il terreno di caccia ideale degli speculatori. La dimensione di questi fenomeni è tale che spesso i prezzi vengono determinati da manovre speculative, non da produzione e commercio. Un ribaltamento delle funzioni paradossale per una finanza che dovrebbe essere uno strumento al servizio dell’economia. I derivati sono diventati “the tail that wags the dog”, la coda che scodinzola il cane.Non solo. Acquistando un derivato sul grano non finanzio i contadini o le produzioni. Mentre centinaia di milioni di persone, in particolare nelle aree rurali, sono escluse dall’accesso al credito, somme stratosferiche inseguono profitti a breve da scommesse sul cibo, causando impatti devastanti per le fasce più deboli della popolazione. L’aspetto più incredibile è quindi che la finanza non provoca “unicamente” instabilità, crisi e squilibri, ma non riesce nemmeno a fare ciò che dovrebbe fare. Da un lato sterminati capitali sono alla continua ed esasperata ricerca di qualche sbocco di investimento. Dall’altro enormi necessità non vengono finanziate e fasce sempre più ampie della popolazione, anche da noi, si trovano escluse dai servizi finanziari. Semplificando, domanda e offerta di denaro non si incontrano. Con buona pace dell’idea dei “mercati efficienti” alla base della dottrina neoliberista che si è imposta nell’ultimo trentennio, l’attuale sistema finanziario rappresenta il più macroscopico fallimento del mercato.Una finanza che, sia direttamente tramite speculazioni o operazioni illecite, sia indirettamente tramite il drenaggio di capitali e la crescita delle disuguaglianze, è alla base dell’instabilità e delle crisi attuali. Di fronte a un sistema politico e mediatico che continua a imporre una visione secondo la quale la finanza pubblica è il problema e quella privata la soluzione, occorre ripartire per un radicale cambiamento di rotta sia riguardo alle politiche economiche sia, più in generale, per un ribaltamento dell’immaginario della crisi che ci viene quotidianamente raccontato.(Andrea Baranes, “Il fallimento della finanza”, tratto da “Fermate il mondo: voglio scendere!” di marzo-aprile 2015, ripreso da “Attac Italia”).Lo scandalo SwissLeaks, in cui la Hsbc è accusata di avere aiutato decine di migliaia di clienti a nascondere i propri soldi su conti cifrati, è tornato alla ribalta in queste settimane. L’ennesimo caso che mostra come troppo spesso i maggiori gruppi bancari giochino un ruolo di primo piano in operazioni di al limite, e spesso ben oltre il limite, della legalità. Parliamo di una banca sola. E’ quasi impossibile anche solo elencare gli scandali, gli abusi e i crimini recentemente emersi a carico del sistema finanziario: dalle manipolazioni del mercato delle valute a quello dei tassi di riferimento (Libor e Euribor), dagli episodi di corruzione all’evasione fiscale, a moltissimi altri ancora. La stessa Hsbc nel 2012 ha ricevuto una multa di 1,9 miliardi di dollari dalle autorità statunitensi per una vicenda legata al riciclaggio del denaro di cartelli della droga messicani. Se le conseguenze delle operazioni illecite o apertamente illegali sono devastanti, paradossalmente sono ancora peggiori, se possibile, gli impatti del “normale” funzionamento di questo sistema finanziario.
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Barnard: la City, che macina il mondo e le sue comparse
Ci sono, in piedi come un moscerino dell’aceto nel mezzo del più potente polo finanziario del mondo, la City di Londra. Si mangia Wall Street, ve lo garantisco. Pioviggina, e mi guardo intorno. Il grattacielo della Lloyds, una meraviglia che ricorda le creazioni dell’immenso Hans Giger del film Alien. Ho vissuto qui per 11 anni. Mi schiacciano peggio che se fossi un moscerino dell’aceto, io, la Mosler Economics… Gesù. Voi non capite. Voi non capite chi sono questi, come si muovono, voi non sapete che hanno vinto. Hanno vinto da 25 anni. La periferia. Suoni tipo scricchiolii di un infisso, come Renzi, Cgil, Italia, Grecia, Tsipras, Rai, giornalismo, gente, gruppi, associazioni… Qui neppure li sente il barista della tavola calda sotto il palazzo della Hsbc. Non esistiamo, sapete? Non so, Bruno Vespa, Unicredit, Grilli, Padoan, la Mogherini… qui sono scricchiolii, forse qualcuno vagamente ci ha fatto caso, pochi sinceramente. Loro macinano il mondo.La produttività della Germania e della Finlandia è sotto le scarpe, ci dice la City. L’Eurozona… che successo. Il Cancelliere britannico George Osborne ridacchia quando sente parlare Hollande di “tagli ai deficit di bilancio”, cioè le ricette Merkel e Draghi (e della puzzetta Renzi). Ridacchia, è sul Financial Times, non me lo sto inventando. La City… Li ammiro, hanno perso le colonie e hanno vinto il mondo. Il Parlamento Europeo ha tentato la riforma dei Mercati Valutari, ne è uscito un pasticcio che finisce sempre, sempre, per penalizzare la gente. La City ride. La City. La Bce stessa, nonostante le giubilanti dichiarazioni di Draghi che tenta di tutto per mentire, ammette che la disoccupazione nell’Eurozona rimarrà oltre le due cifre % anche se ci sarà la millantata “ripresa”. E allora? Ma che cazzo ce ne frega della “ripresa” se ci terremo il 12, 14% di disoccupazione in Italia col 44% per i giovani?Draghi è riuscito nell’immensa… ehm… impresa di portare i mercati monetari in euro a guadagni NEGATIVI, cioè chiunque abbia investito nella nostra orrenda moneta unica non solo non ci guadagnerà nessun interesse, ma finirà per PAGARE alla banca che glieli custodisce un tasso d’interesse. Di sicuro cresceremo, ma certo, ma di sicuro. Il mondo non vede l’ora di investire in un posto dove deve pagare per aver messo soldi… Ma la City… Sta bene. Io no. E qui piove. Io mi bagno, loro no. La City guadagna SEMPRE, sì, sanno chi è Draghi, hanno vagamente sentito il nome Renzi. Ma loro decidono i tuoi tassi, le commodities, il Libor, l’Euribor, cioè la tua vita, stolto; informati imprenditore, informatevi famiglie, e stanno bene perché manco per il cazzo che sono entrati nell’euro. Non sono scemi alla City. Non sono scemi alla City. E io mi bagno, qui, sotto la pioggia. Voi non capite, le associazioni non capiscono. La City ha vinto il mondo. Sono immensi, infiniti, The Machine. Voi non capite chi sono. Notte.(Paolo Barnard, “La City”, dal blog di Barnard del 26 marzo 2015).Ci sono, in piedi come un moscerino dell’aceto nel mezzo del più potente polo finanziario del mondo, la City di Londra. Si mangia Wall Street, ve lo garantisco. Pioviggina, e mi guardo intorno. Il grattacielo della Lloyds, una meraviglia che ricorda le creazioni dell’immenso Hans Giger del film Alien. Ho vissuto qui per 11 anni. Mi schiacciano peggio che se fossi un moscerino dell’aceto, io, la Mosler Economics… Gesù. Voi non capite. Voi non capite chi sono questi, come si muovono, voi non sapete che hanno vinto. Hanno vinto da 25 anni. La periferia. Suoni tipo scricchiolii di un infisso, come Renzi, Cgil, Italia, Grecia, Tsipras, Rai, giornalismo, gente, gruppi, associazioni… Qui neppure li sente il barista della tavola calda sotto il palazzo della Hsbc. Non esistiamo, sapete? Non so, Bruno Vespa, Unicredit, Grilli, Padoan, la Mogherini… qui sono scricchiolii, forse qualcuno vagamente ci ha fatto caso, pochi sinceramente. Loro macinano il mondo.
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Riforme progettate per noi, docile bestiame da decimare
Ci sono due linee di riforme “indispensabili per la crescita”. Linee convergenti. Pericolosamente. La prima linea è istituzionale-strutturale e sta producendo: svuotamento dei poteri e dell’autonomia degli Stati nazionali parlamentari; concentrazione dei poteri politici in organismi sovrannazionali; isolamento tecnocratico degli organismi decidenti; soprattutto, indipendenza e gestione autoreferenziale delle banche centrali e della politica monetaria; riduzione della partecipazione e dell’influenza democratiche sugli organismi decidenti; riduzione della trasparenza, della responsabilità, della controllabilità degli organismi decidenti; riduzione della conoscibilità dei loro obiettivi di medio e lungo termine e degli effetti di medio e lungo termine delle loro decisioni. Queste caratteristiche (votate da quasi tutto il Parlamento, perché comportano la blindatura della partitocrazia contro la società civile) sono marcatamente proprie soprattutto dell’Ue: quasi tutto il potere, e tutto il potere legislativo, sono in mano ad organismi non elettivi, non responsabili, non trasparenti, burocratici, intergovernativi.L’unico organo elettivo, cioè il Parlamento, ha poteri limitati, che preferisce non esercitare (non ha mai costretto la Commissione a un rendiconto), e la sua natura di cagnolino da passeggio è stata evidenziata da come è stato fatto votare il nuovo presidente dell’Ue: era ammesso un solo candidato – Juncker – e il voto era segreto. Per giunta, nessun elettore europeo, prima di votare, aveva saputo che sarebbe stato Juncker il candidato unico alla presidenza. Nessuna meraviglia se le medesime caratteristiche le ritroviamo anche nella urgente e irresistibile marcia delle riforme istituzionali di Renzi: queste riforme, appunto, diminuiscono la partecipazione e l’influenza degli elettori, ostacolano i referendum, danno al premier i poteri sia politico-legislativi, che di controllo (su se stesso) anche solo con un 22% dei consensi. Nessuna meraviglia: è chiaro che l’Italia e la sua Costituzione devono essere riformate in questo senso per integrarsi nella struttura autocratica dell’Ue.La seconda linea di riforme, iniziata alla fine degli anni ’70, è quella economico-finanziaria, e punta essenzialmente a difendere e tutelare gli interessi dei creditori finanziari con sacrificio degli altri interessi sociali: il modello di sviluppo keynesiano, caratterizzato dallo Stato che corregge il mercato e fa investimenti anticiclici per evitare la recessione e assicurare l’occupazione, al prezzo di una costante, fisiologica inflazione, viene sostituito con un modello da alcuni ritenuto hayekiano, ma che tale non è perché Friedrich Von Hayek voleva non solo il libero mercato come unico regolatore dell’economia, ma anche uno Stato che tenga il mercato libero dai monopoli e che si astenga dall’assistenzialismo sociale e imprenditoriale. Il modello economico-finanziario imposto all’Ue fa per contro tutto questo, anzi in esso i grandi monopoli bancario-finanziari dettano la politica degli Stati e dell’Unione.Il detto modello raggiunge lo scopo della tutela degli interessi dei creditori-finanziari mediante alcuni principali strumenti: indipendenza-irresponsabilità delle banche centrali dai parlamenti, vincoli di bilancio pubblico (proibizione della spesa pubblica antirecessiva), stretta monetaria, compressione salariale (e della domanda interna) per assicurare un pareggio o un surplus della bilancia estera, socializzazione delle perdite delle banche. Quando la politica economica è affidata ai banchieri centrali, che, per statuto, deliberano e operano non solo in autonomia ma nella segretezza e nella irresponsabilità, la democrazia rappresentativa è finita, il consenso popolare è superato. Il risultato – prevedibile e inevitabile perché facente parte degli obiettivi – è la deflazione, la disoccupazione, l’avvitamento fiscale, la recessione o stagnazione – che ora si prospetta pure per la Germania.La Costituzione italiana del 1948 è, per contro, esplicitamente keynesiana: l’articolo 1 fonda la Repubblica sul lavoro, non sul capitale, e numerose altre norme riconoscono al lavoro (all’occupazione, alla produzione, agli investimenti) il primato assoluto e la funzione di perequazione sostanziale tra i cittadini; quindi essa è in opposizione radicale e inconciliabile col modello politico-economico costitutivo dell’Ue e della Bce, che si basa sulla priorità alla prevenzione dell’inflazione (primaria minaccia per le rendite finanziarie), e per prevenirla impone l’austerità, cioè innanzitutto l’astensione dagli investimenti pubblici anticiclici per uscire dalla recessione – sicché la recessione perdura, diviene strutturale e non accidentale. La storia della cosiddetta integrazione europea è in realtà la storia della sostituzione di un modello socio-economico-istituzionale con un modello opposto, ossia dei valori sociali e produttivi, fondanti per la democrazia elettiva e la legittimità costituzionale, col loro contrario: parassitismo finanziario e autocrazia.E’ la storia di un’inversione non dichiarata, che è avanzata di soppiatto, sotto il camuffamento di ideali sbandierati e mai attuati di solidarietà integrazione dei popoli, identità comune, di promesso sviluppo che non arriva mai. Un’inversione di cui oramai sentiamo fortemente gli effetti pratici, anche se molti di noi non sanno da che cosa provengano, e pensano che le cause siano la corruzione o l’evasione o l’articolo 18. In Italia, oltre a queste piaghe, le due linee di riforme di cui Napolitano, Monti, Letta e Renzi sono paladini e artefici (soprattutto Napolitano, che, per imporla e accelerarla, deborda continuamente dalla sua funzione di garante e arbitro per intervenire nella politica dei partiti) sul piano economico sta producendo un continuo e rapido aumento del debito pubblico – cioè l’opposto di ciò che promette – e l’emigrazione di capitali, imprese e cervelli, con la deindustrializzazione del paese e la moria delle sue aziende (dirò poi perché queste loro azioni non vanno condannate, nemmeno moralmente).La direzione, la finalità autocratica, essenzialmente dittatoriale, a cui mira la prima linea di riforme, cioè quelle istituzionali, spiega chiaramente la ragione per la quale, paradossalmente, ci si ostina a portare avanti la seconda linea di riforme, cioè quella economico-finanziaria, sebbene stia producendo effetti rovinosi e contrari a quelli che dovrebbe produrre, tra la sofferenza di milioni di persone: le due linee di riforme convergono in un’operazione di ingegneria sociale, di costruzione di una società radicalmente e apertamente oligarchica che comandi incontrastata le popolazioni fiaccate e rassegnate da molti anni di frustrazioni e insicurezze, e impoverite di redditi, risparmi, diritti civili, sociali, politici. Il modello economico in via di imposizione, con le sue riforme, non importa se produce recessione o stagnazione; il suo scopo reale e non detto non è la crescita, ma una riforma dell’ordinamento sociale e giuridico che assicuri il dominio sulla popolazione generale, la possibilità di sfruttarla senza limiti, l’estrazione da essa di rendite certe per il capitale finanziario anche in periodi di contrazione del Pil, e il tutto in modo formalmente legittimo. A questo servono le riforme. E le privatizzazioni, che ieri Padoan ha ripromesso, parlando in Cina, che verranno eseguite. Quindi è assurdo ciò che promette Renzi, ossia che queste riforme strutturali rilancerebbero l’economia. Possono solo rilanciare l’affarismo spartitorio e screditare ulteriormente il settore pubblico – e questo credo sia il vero obiettivo.Attualmente in Italia abbiamo un programma di tagli alla spesa pubblica, una pressione fiscale che non può calare anche a causa dei 40 miliardi all’anno di riduzione del debito pubblico che il governo dovrà fare in esecuzione del Fiscal Compact, un reddito e una capacità di spesa in picchiata anche a causa dell’alta disoccupazione e maloccupazione, soprattutto giovanili; inoltre le banche stanno riducendo il credito alle imprese e alle famiglie e tengono altissimi i tassi: sanno che gli aspiranti mutuatari, data la mancanza di continuità del loro reddito, non avranno i mezzi per ripagare i prestiti, quindi logicamente non erogano prestiti, se non raramente e con spread altissimi, al decuplo dell’Euribor, per compensare il rischio – dicono. Quindi oggettivamente non ci sono le condizioni per un’uscita dalla depressione economica. Anzi, è in corso un avvitamento recessivo, che determinerebbe rendimenti altissimi sul debito pubblico, senonché qualcuno – la Bce e/o la Fed – comprando sul mercato secondario, e distorcendo il mercato, li tiene artificialmente bassi – come fa ancora più vistosamente con le nuove emissioni del debito pubblico greco.Alla luce di quanto sopra detto, possiamo tranquillamente concludere che, quando un leader comunitario, soprattutto un leader italiano, promette crescita o impegno per la crescita, promette la sospirata flessibilità, promette che l’Ue porta allo sviluppo – quando promette queste cose, e insieme dice che “le regole europee”, “il risanamento”, “il rigore di bilancio” saranno rispettati, mente sapendo di mentire, mente per imbonire la gente: il modello che viene implementato attraverso l’Ue e l’Italia in particolare non vuole crescita, lavoro, sicurezza, rilancio produttivo, ma stagnazione. Come non vuole partecipazione popolare né diritti sociali. Al massimo sono ammessi interventi di riduzione del disagio sociale per prevenire che evolva in sommossa, o sussidii a categorie sociali realizzati a spese di altre categorie sociali (come gli 80 euro di Renzi), in una logica di divide et impera. Logica peraltro applicata anche tra gli Stati membri: consentire ad alcuni (Germania e soci) un relativo (e provvisorio) sviluppo a spese degli altri, onde avere il loro appoggio per completare l’opera di inversione costituzionale. Che si appalesa, oramai, come un’opera eversiva. E quando ci dicono “fare le riforme istituzionali è condizione per ottenere flessibilità di bilancio dall’Europa”, il significato è: “se non ci lasciate riformare la Costituzione per realizzare l’autocrazia che vuole la grande finanza, la grande finanza vi lascia senza soldi”.Diversamente da altri, io non biasimo moralmente i progettisti e gli autori di quanto sopra. Non dico che sono criminali perché sacrificano il 99% della popolazione agli interessi dell’1%. Infatti, il loro modello socioeconomico deflativo-parassitario-autocratico è più adeguato a ciò che i popoli sono, al loro effettivo livello mentale e di consapevolezza, che non è molto diverso da quello del bestiame, come dimostra la bovina docilità con cui si lasciano “riformare”. Il modello democratico, e anche il modello (post)keynesiano, presuppongono che l’uomo mediano e il popolo siano qualcosa che in realtà non sono affatto, quindi semplicemente non possono funzionare. Il modello socioeconomico deflativo ha, inoltre, il vantaggio di riuscire a imporre coercitivamente e dall’alto, di fronte al raggiungimento dei limiti fisici dello sviluppo e alla necessità di ripiegare, la necessaria decrescita ecologica dei consumi e della stessa popolazione, che in regime di democrazie nazionali non si potrebbe ottenere.(Marco Della Luna, estratti dal post “Dove portano queste riforme”, pubblicato sul blog di Della Luna il 24 luglio 2014).Ci sono due linee di riforme “indispensabili per la crescita”. Linee convergenti. Pericolosamente. La prima linea è istituzionale-strutturale e sta producendo: svuotamento dei poteri e dell’autonomia degli Stati nazionali parlamentari; concentrazione dei poteri politici in organismi sovrannazionali; isolamento tecnocratico degli organismi decidenti; soprattutto, indipendenza e gestione autoreferenziale delle banche centrali e della politica monetaria; riduzione della partecipazione e dell’influenza democratiche sugli organismi decidenti; riduzione della trasparenza, della responsabilità, della controllabilità degli organismi decidenti; riduzione della conoscibilità dei loro obiettivi di medio e lungo termine e degli effetti di medio e lungo termine delle loro decisioni. Queste caratteristiche (votate da quasi tutto il Parlamento, perché comportano la blindatura della partitocrazia contro la società civile) sono marcatamente proprie soprattutto dell’Ue: quasi tutto il potere, e tutto il potere legislativo, sono in mano ad organismi non elettivi, non responsabili, non trasparenti, burocratici, intergovernativi.