Archivio del Tag ‘Fabrizio Marchi’
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Sei scomodo al potere? Rischi l’accusa di molestie sessuali
«Ormai, cari maschi eterosessuali, siamo tutti potenziali molestatori sessuali, è inutile girarci intorno. E’ sufficiente che una donna, anche a distanza di anni, cambi idea». Scrive Fabrizio Marchi: basta che una donna che quel giorno ha fatto sesso con qualcuno dica è stata costretta, «e siamo fottuti». Perché, al di là del risvolto penale «si viene condannati a priori, esposti alla pubblica gogna e cacciati da qualsiasi contesto civile». In altre parole, sostiene Marchi, «se si vuole far fuori qualcuno in tempi brevissimi, il metodo più efficace è accusarlo di molestie sessuali: anche solo mediaticamente, non c’è neanche necessità di denunciarlo». Detto fatto, e «si viene immediatamente marchiati a fuoco e letteralmente cancellati dalla vita civile (in attesa dei risvolti penali)». Fino ad ora, osserva Marchi su “L’Interferenza”, questa tecnica è stata utilizzata per eliminare politicamente personaggi scomodi, sia pure per ragioni diverse, come Julian Assange, il fondatore di Wikileaks, o Dominique Strauss-Kahn, già a capo del Fmi, candidato in pectore all’Eliseo al posto di Hollande, che fu una scelta di ripiego dopo, appunto, lo scandalo Dsk. Ora l’accusa seriale di molestie è esplosa nel mondo del cinema, ed è già iniziato un effetto-cascata. Attenzione, però: caduti i Vip, «vittime di questa forma di epurazione sociale», tra poco saremo tutti potenzialmente a rischio: «Del resto, quale modo migliore per eliminare il dissenso?».Al netto dei casi più drammatici, dove si sono avute molestie vere, secondo Marchi il più delle volte si celebrano processi sommari e mediatici, senza appello: «E’ sufficiente scaricare addosso al soggetto di turno una montagna di fango, accusandolo di quello che ormai è considerato – e non vuole essere una boutade – il reato più infamante, quello di essere un molestatore sessuale», peggio ancora se seriale. «Non è necessario produrre delle prove, è sufficiente la parola di una donna che dica che in realtà quel rapporto sessuale “consumato” in quella determinata occasione è stato da lei vissuto come una molestia, una costrizione, un condizionamento». Una cosa è certa, aggiunge Marchi: «Se si viene accusati di qualsiasi altro reato, anche molto grave, come corruzione, violenza fisica, rapina a mano armata, addirittura omicidio, non si viene sottoposti alla stessa gogna mediatica». E c’è anche la possibilità di uscirne bene, qualora si riesca a dimostrare la propria estraneità ai fatti: una volta riabilitato, c’è chi ha superato la tempesta, tornando a occupare un ruolo pubblico. «Al contrario, se si viene accusati di molestia o violenza sessuale, anche qualora si venisse assolti per non aver commesso il fatto, il marchio a fuoco non ce lo toglierà più nessuno e non si verrà mai più riabilitati e riammessi nella vita civile».Un destino segnato: lo dimostra la vicenda di Strauss-Kahn. «Assolto dall’accusa di violenza sessuale (è ormai evidente che si è trattato di una trappola per eliminarlo politicamente) è completamente sparito dalle scene». Termini di paragone? «In Cina per far fuori un dirigente politico o un manager bisogna accusarlo di corruzione: è quello il reato considerato più grave». In tutto l’Occidente, invece, la colpa più riprovevole è diventata senza dubbio la molestia sessuale, insiste Marchi. «E se qualcuno pensa di poter essere al riparo perché non appartiene all’upper class o agli ambienti Vip, si sbaglia di grosso», dato che proprio presso l’élite sociale sarebbe in voga questa “pratica”, magari per «ottenere vantaggi in sede giudiziale», tipo «affidamento dei figli, mantenimento della casa, alimenti, allontanamento dell’altro coniuge dai figli». La gran parte di queste accuse «si rivelano in un secondo momento essere false», scrive Marchi: «Non lo dico io, ma i numeri e le statistiche». Ma queste, aggiunge il corsivista, sono solo “prove tecniche di trasmissione”, perché questa formula «verrà presto utilizzata per colpire il dissenso». Lo stesso Assange è stato accusato «a scoppio ritardato» di violenza sessuale, da due donne, per aver fatto sesso senza profilattico, «cosa che per la legge svedese è considerato stupro: non esiste contesto forse più bacchettone di quello falsamente evoluto, ultrafemminista e ultralaicista svedese».Se quello del leader di Wikileaks è un caso eclatante, «possono esserci migliaia di “piccoli casi Assange”, soprattutto fra coloro che sottopongono a critica l’attuale ordine ideologico e sociale dominante», conclude Marchi. Uomo avvisato, mezzo salvato? Purtroppo no, aggiunge l’analista: «Non ci si può salvare dall’accusa di molestia sessuale, perché anche laddove la propria innocenza venisse riconosciuta, non sarebbe sufficiente e reintegrare nella società la persona falsamente accusata». Prima conseguenza, psicologica? Il diffondersi una crescente diffidenza: «Non resta che fare molta, moltissima attenzione a chi frequentiamo». Ma è evidente, dice Marchi, che questa situazione ha già generato un clima psicologicamente “terroristico”: «La relazione fra i sessi è già difficilissima, al giorno d’oggi, per tante ragioni. Ma è ovvio che questa campagna sistematica non potrà che renderla ancora più difficile e torbida». Per Marchi, si tratta di un’altra delle strategie del potere: strategia ultra-sofisticata perché camuffata, messa in campo dall’attuale sistema di dominio sociale «per esorcizzare, allontanare, disinnescare alla radice lo spettro, potenzialmente sempre presente, del conflitto di classe», cioè «il solo che le classi dominanti temono come la peste e che fanno di tutto per cancellare dall’immaginario comune».«Ormai, cari maschi eterosessuali, siamo tutti potenziali molestatori sessuali, è inutile girarci intorno. E’ sufficiente che una donna, anche a distanza di anni, cambi idea». Scrive Fabrizio Marchi: basta che una donna che quel giorno ha fatto sesso con qualcuno dica è stata costretta, «e siamo fottuti». Perché, al di là del risvolto penale «si viene condannati a priori, esposti alla pubblica gogna e cacciati da qualsiasi contesto civile». In altre parole, sostiene Marchi, «se si vuole far fuori qualcuno in tempi brevissimi, il metodo più efficace è accusarlo di molestie sessuali: anche solo mediaticamente, non c’è neanche necessità di denunciarlo». Detto fatto, e «si viene immediatamente marchiati a fuoco e letteralmente cancellati dalla vita civile (in attesa dei risvolti penali)». Fino ad ora, osserva Marchi su “L’Interferenza”, questa tecnica è stata utilizzata per eliminare politicamente personaggi scomodi, sia pure per ragioni diverse, come Julian Assange, il fondatore di Wikileaks, o Dominique Strauss-Kahn, già a capo del Fmi, candidato in pectore all’Eliseo al posto di Hollande, che fu una scelta di ripiego dopo, appunto, lo scandalo Dsk. Ora l’accusa seriale di molestie è esplosa nel mondo del cinema, ed è già iniziato un effetto-cascata. Attenzione, però: caduti i Vip, «vittime di questa forma di epurazione sociale», tra poco saremo tutti potenzialmente a rischio: «Del resto, quale modo migliore per eliminare il dissenso?».
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Giovanilismo e donnismo, l’imbroglio della post-sinistra
Sottoscrivo in toto questo articolo di Andrea Bajani pubblicato sul “Manifesto”, “Il giovane Gallino e il vecchio Renzi”. Scrive testualmente Bajani in un passo all’inizio del suo articolo: «Con Luciano Gallino, a cui oggi Torino darà l’ultimo saluto, se ne va via la dimostrazione più evidente di quanto la retorica della gioventù sia farlocca e demagogica. L’anagrafe non è garante di nulla, se non di una, peraltro solo statistica, salute migliore. L’essere giovani non è una patente di intelligenza». Parole non sagge, di più, se non fosse per il fatto che Bajani omette o dimentica di dire che a costruire questi falsi miti è stata in primis proprio la sinistra. Al “giovanilismo” dobbiamo infatti affiancare il “donnismo”. L’essere donna, ancor più che l’essere giovani, costituisce da tempo per la sinistra una sorta di valore aggiunto. Se poi si è giovani (e magari pure di bell’aspetto) e donne nello stesso tempo, allora si è fatto veramente bingo e la strada per essere elette da qualche parte è sicuramente in discesa, quote rosa o non quote rosa.Quante volte abbiamo sentito ripetere dai leader della sinistra (anche della destra, per la verità) nei comizi, nelle pubbliche assemblee e soprattutto in televisione lo slogan “Siamo dalla parte dei giovani, delle donne, dei lavoratori e dei pensionati”? Passi per i lavoratori (con questo termine ci si riferisce agli operai, agli impiegati, ai precari e ai lavoratori salariati in generale, non ai top manager) e per i pensionati (anche in questo caso nel linguaggio comune si intendono quelli a reddito basso o medio basso, non i cosiddetti “pensionati d’oro”); in tal senso l’utilizzo dei termini “lavoratori e pensionati” fa riferimento, anche dal punto di vista linguistico e concettuale, ad una logica di classe o comunque di difesa dei ceti sociali meno abbienti. Ma parlare di “giovani e donne” non ha veramente senso, dal momento che è evidente a tutti/e che ci sono giovani e donne ricchi/e e privilegiati/e o comunque benestanti (indipendentemente dall’appartenenza sessuale) e giovani e donne che non lo sono affatto.Che senso ha quindi dire di stare dalla parte dei “giovani e delle donne”, come se fossero degli ordini professionali o dei gruppi (classi) sociali o addirittura delle categorie filosofiche? E allora perché non anche “uomini”? Per la semplice ragione che non avrebbe nessun senso. Tanto varrebbe allora dire che si sta dalla parte dell’umanità intera. La qual cosa, politicamente parlando (ma non solo),sarebbe priva di ogni fondamento e di ogni senso, direi anche decisamente ridicola. E’ vero che ormai, nell’era della morte della Politica con la P maiuscola e del trionfo della “politica spettacolo” (al servizio del Mercato), le vecchie categorie politiche sono state gettate nella spazzatura. Però è vero anche che la Politica, da che mondo è mondo, è parziale per definizione. Non si può infatti stare dalla parte di tutti e di tutte. E’ oggettivamente impossibile perché la Politica è scelta. Politica significa dire dei sì e dire dei no, significa schierarsi da una parte piuttosto che da un’altra, anche e soprattutto se si ha a cuore il cosiddetto “interesse generale”.La difesa dell’“interesse generale” di roussoviana memoria non può infatti che passare attraverso il concetto di parzialità, perché è solo attraverso la dialettica (delle parti in conflitto) che si può addivenire ad una sintesi o ad un equilibrio più avanzato, come si soleva dire una volta in gergo politico (proprio quella che non c’è più oggi dal momento che il Mercato e il Capitale sono egemoni e occupano tutto lo spazio politico, da destra a sinistra). Chi lo nega è in malafede oppure è meglio che non si occupi di politica. Ergo, parlare di “giovani” e di “donne” è assolutamente privo di significato. Ha quindi perfettamente ragione Bajani che però (non dimentichiamo che l’articolo è stato pubblicato sul “Manifesto”, in seconda posizione, forse, e dico forse, solo alla “Repubblica” in fatto di femminismo…) si limita ad affrontare il primo aspetto e non indaga il secondo. Va anche detto che l’articolo voleva essere il ricordo di un intellettuale vero come Luciano Gallino (ci uniamo sinceramente al cordoglio) e non era il momento per aprire una riflessione di questo genere (solo l’autore è in grado di sapere se in altre circostanze l’avrebbe aperta, ma questo non ci riguarda).Ma in realtà c’è una “logica” nel “giovani” e soprattutto nel “donne” e non anche “uomini” (oltre all’evidente aporia cui facevo cenno sopra). Nell’immaginario comune infatti, costruito in decenni di sistematico e quotidiano bombardamento psico-mediatico, donna è diventato sinonimo di vittima, di oppressa, di discriminata. Gli uomini, secondo la ricostruzione femminista della storia, eletta ormai a Verità Universale, sono comunque dei privilegiati in virtù della loro appartenenza sessuale. Come è stato scritto più volte e da più parti (non faccio i nomi perché non voglio fargli pubblicità più di quanta già non ne abbiano), “i maschi, indipendentemente dalla loro condizione sociale, sperimentano fin dalla primissima età, i vantaggi e i privilegi che gli derivano dall’essere maschi in una società dominata dalla cultura maschilista e patriarcale”.Questo viene concepito e proposto come un vero e proprio postulato che, come tale, è stato accettato e sposato più o meno da tutti. Se quindi il famoso “largo ai giovani” trova la sua giustificazione in una sorta di archetipo da sempre storicamente radicato nella mente di tutti (chi è che potrebbe dire o anche concepire “chiudiamo gli spazi ai giovani”; non avrebbe neanche senso, oltretutto…), il “largo alle donne” trova la sua giustificazione nella lettura femminista, eretta a Verità Universale e penetrata ormai nell’immaginario comune, in base alla quale le donne sono comunque dei soggetti in una posizione di svantaggio rispetto agli uomini, indipendentemente dalla loro condizione e/o collocazione sociale. Il che è evidentemente assurdo e anche un po’ demenziale e grottesco, per quanto mi riguarda, oltre che profondamente sessista e interclassista. Ma tant’è. A mio parere, anche e soprattutto questi fenomeni sono significativi dell’impoverimento politico, ideale e culturale complessivo dei nostri tempi. L’attuale “sinistra” non solo non è estranea a tale processo di impoverimento ma ci sta dentro fin sopra i capelli. E anche questo è un fatto evidente, per lo meno per chi scrive.(Fabrizio Marchi, “Giovanilismo e donnismo, le nuove bandiere della postmodernità capitalista”, da “L’Interferenza” del 12 novembre 2015).Sottoscrivo in toto questo articolo di Andrea Bajani pubblicato sul “Manifesto”, “Il giovane Gallino e il vecchio Renzi”. Scrive testualmente Bajani in un passo all’inizio del suo articolo: «Con Luciano Gallino, a cui oggi Torino darà l’ultimo saluto, se ne va via la dimostrazione più evidente di quanto la retorica della gioventù sia farlocca e demagogica. L’anagrafe non è garante di nulla, se non di una, peraltro solo statistica, salute migliore. L’essere giovani non è una patente di intelligenza». Parole non sagge, di più, se non fosse per il fatto che Bajani omette o dimentica di dire che a costruire questi falsi miti è stata in primis proprio la sinistra. Al “giovanilismo” dobbiamo infatti affiancare il “donnismo”. L’essere donna, ancor più che l’essere giovani, costituisce da tempo per la sinistra una sorta di valore aggiunto. Se poi si è giovani (e magari pure di bell’aspetto) e donne nello stesso tempo, allora si è fatto veramente bingo e la strada per essere elette da qualche parte è sicuramente in discesa, quote rosa o non quote rosa.
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Morte ai palestinesi, questa Italia fa rimpiangere Craxi
Bei tempi, quelli di Craxi e Andreotti – perlomeno, rispetto all’attuale disastro politico. Cartina di tornasole, il voto del 27 febbraio sul (mancato) riconoscimento italiano dello Stato di Palestina. Tutti contrari, in aula – i berlusconiani, Renzi, perfino Sel – con l’unica eccezione del M5S, favorevole ai palestinesi “senza se e senza ma”. «Il partito unico che ci governa, ivi compresa la Lega Nord e il cespuglio “rosafucsia” alla “sinistra” del Pd», i cui esponenti vendoliani «fingono di litigare nei vari talk-show», non è stato neanche capace di votare quella che di fatto sarebbe stata poco più di una mozione di intenti, sebbene di alto valore simbolico. Il voto, scrive Fabrizio Marchi, non avrebbe comunque comportato nessuna ricaduta concreta sulla realtà della cosiddetta “crisi” israelo-palestinese, «cioè l’occupazione neocoloniale e razzista a cui è sottoposto da decenni il popolo palestinese da parte dello Stato di Israele e di tutti i suoi governi, nessuno escluso». Forse, aggiunge Marchi, «ci sono anche modi relativamente più dignitosi per servire i propri padroni, ad esempio fingendo di avere una propria autonomia politica: in fondo a questo serviva o avrebbe potuto servire votare in favore dello Stato di Palestina».Anche per fare questo, però, «serve un briciolo di dignità e di spessore», scrive Marchi su “L’Interferenza”. Qualità elementari, che purtroppo «questo ceto politico non possiede». Perlomeno, la classe politica della Prima Repubblica «cercava di assolvere alla funzione che all’interno dell’alleanza politico-militare occidentale le era stata affidata, con un relativo margine di autonomia politica, di equilibrio e di capacità di mediazione reale in quella che era la sua area geopolitica di pertinenza, cioè il bacino del Mediterraneo». Partiti come Dc, Psi e Pci credevano nel ruolo politico dell’Italia nell’area mediterranea e mediorientale. Di sicuro si sarebbero comportati «con maggiore dignità e senso dello Stato». Marchi ricorda il celebre discorso alla Camera del 6 novembre del 1985 con cui l’allora presidente del Consiglio, Bettino Craxi, difese il legittimo diritto dei palestinesi alla lotta armata per liberare la propria terra dalla potenza occupante, «azzardando addirittura un paragone storico fa il movimento di liberazione nazionale palestinese e quello risorgimentale e mazziniano». Per non parlare del famoso episodio di Sigonella dell’ottobre dello stesso anno, dove lo stesso Craxi impedì ai marines Usa di catturare un commando palestinese del Fplp che aveva sequestrato una nave da crociera italiana, l’Achille Lauro.Il commando palestinese aveva ucciso un passeggero americano di religione ebraica, Leon Klinghoffer, costretto sulla sedia a rotelle. Tra parentesi, la vittima «non era un anziano qualsiasi», spiega oggi uno studioso come Gianfranco Carpeoro: Klinghoffer era il capo del “B’Nai Brit”, la superloggia massonica segreta ebraica, che corrisponde alla sezione più impenetrabile del Mossad, l’intelligence israeliana. «L’aereo su cui viaggiavano i membri del commando palestinese – ricorda Marchi – fu fatto circondare dai carabinieri», che impedirono armi in pugno ai marines americani di catturare i palestinesi, per poi far ripartire l’aereo verso il porto sicuro della Jugoslavia comunista di Tito. «Un episodio che provocò un momento di grave tensione nei rapporti fra il governo italiano e quello americano», e che oggi appare lunare, incredibile. La crisi di Sigonella «rilanciava il ruolo dell’Italia nello scacchiere mediorientale come paese non ostile ai popoli arabi, in continuità con una politica di cooperazione e collaborazione con i paesi maghrebini e mediterranei già iniziata a suo tempo dal presidente dell’Eni, Enrico Mattei, che per questo fu assassinato dalle multinazionali del petrolio Usa».C’è chi sostiene che Usa e Israele non avessero dimenticato quell’affronto, aggiunge Marchi. Si ritiene infatti che la successiva caduta in disgrazia di Craxi avesse in qualche modo a che vedere con la sua politica di apertura nei confronti dell’Olp e in generale dei governi nazionalisti laici arabi, ben oltre le vicende di Tangentopoli. «Questo ovviamente non fa di Craxi, così come di Andreotti e in generale di quel ceto politico da loro rappresentato, degli eroi della lotta dei popoli del mondo contro l’imperialismo, però ci offre una testimonianza reale di quale sia il livello dell’attuale classe politica». Un panorama desolante, che comprende a pieno titolo anche la Lega Nord di Salvini, che «ha votato contro lo Stato di Palestina con una dichiarazione esplicitamente filoisraeliana». La Lega si rivela così «una forza di finta opposizione al “sistema”, schierata in realtà su posizioni filo-atlantiste». Le simpatie per Putin e la Corea del Nord? «Nero seppia da buttare in faccia alla parte culturalmente più debole del suo elettorato». Morte ai palestinesi, dunque, ora e sempre, anche da parte del Salvini che spande odio verso i migranti più disperati. «E’ bene non farsi ingannare da questa gente, molto abile in queste operazioni di maquillage dalle quali purtroppo molte persone in buona fede tendono a farsi condizionare – conclude Marchi – soprattutto in assenza di un’alternativa politica solida».Bei tempi, quelli di Craxi e Andreotti – perlomeno, rispetto all’attuale disastro politico. Cartina di tornasole, il voto del 27 febbraio sul (mancato) riconoscimento italiano dello Stato di Palestina. Tutti contrari, in aula – berlusconiani e renziani, perfino Sel – con l’unica eccezione del M5S, favorevole ai palestinesi “senza se e senza ma”. «Il partito unico che ci governa, ivi compresa la Lega Nord e il cespuglio “rosafucsia” alla “sinistra” del Pd», i cui esponenti vendoliani «fingono di litigare nei vari talk-show», non è stato neanche capace di votare quella che di fatto sarebbe stata poco più di una mozione di intenti, sebbene di alto valore simbolico. Il voto, scrive Fabrizio Marchi, non avrebbe comunque comportato nessuna ricaduta concreta sulla realtà della cosiddetta “crisi” israelo-palestinese, «cioè l’occupazione neocoloniale e razzista a cui è sottoposto da decenni il popolo palestinese da parte dello Stato di Israele e di tutti i suoi governi, nessuno escluso». Forse, aggiunge Marchi, «ci sono anche modi relativamente più dignitosi per servire i propri padroni, ad esempio fingendo di avere una propria autonomia politica: in fondo a questo serviva o avrebbe potuto servire votare in favore dello Stato di Palestina».