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Archivio del Tag ‘farmaceutica’

  • Giannuli: l’Italia è morta, in campo solo mediocri e cialtroni

    Scritto il 11/12/17 • nella Categoria: idee • (11)

    Cosa sta succedendo sul palcoscenico della politica italiana? Niente. Per carità, non manca il trambusto e anzi ce n’è troppo: frenetici cambi di casacca, nuovi-vecchi partiti che si riciclano, promesse elettorali a spam, colpi di scena e frettolosi abbandoni della barca che affonda, ma nulla che abbia un senso o qualche valore politico. Come in teatro, nell’intervallo fra uno spettacolo e l’altro, quando il palcoscenico è invaso da inservienti velocissimi che spazzano, lavano, rimettono a posto i mobili, cambiamo i fondali, ma non c’è nessuna rappresentazione. I cambi di giacca e le sigle dei riciclati: un semplice cambio di costume con i soliti scadenti attori. I programmi elettorali? Sparate elettorali senza senso, di cui nessuno si ricorderà un minuto dopo i risultati. I colpi di scena? Semplici spot elettorali. Forse la cosa più significativa (se non altro la più divertente) è la gara a chi salta fuori prima dalla barca renziana che ormai affonda inesorabilmente: Lapo Elkann definisce Renzi non un Macron ma un micron, persino il maggior azionista del Pd, De Benedetti, dice che voterà scheda bianca perché Renzi non gli piace. Forse l’unica cosa che ha qualche senso (ma siamo solo agli inizi) è quello che sta succedendo in Commissione scandali bancari.
    Quello che colpisce più di tutto è l’assoluta estraneità di tutto questo ai problemi del paese a cominciare dal suo veloce declino di immagine a livello internazionale (esclusione dai mondiali, partita persa per l’Ema e per l’infelice candidatura di Padoan, l’esclusione di fatto dal direttorio europeo, l’assenza sulla scena internazionale della nostra diplomazia). C’è chi propone un ministero per gli anziani, magari una cosa solo di facciata, ma si dimentica la situazione catastrofica dei giovani. Lo dico appartenendo alla categoria di quelli cui dovrebbero pensare il costituendo ministero berlusconiano: per noi il problema è avere una vecchiaia dignitosa e possibilmente serena, ma quello che dovevamo fare l’abbiamo fatto, mentre i giovani hanno davanti tutta una vita per la quale si prospettano scenari da brivido. Per non parlare delle tante cose ormai solite: occupazione, sanità, istruzione, messa in sicurezza antisismica, ricostruzione, degrado delle città eccetera, di cui non vale neppure più la pena parlarne. Il problema dei problemi è che questo paese non ha più una classe dirigente, al cui posto ha una compagnia di scadentissimi guitti.
    Avremmo bisogno di sostituire immediatamente questa corte di cialtroni con una vera classe dirigente (e non solo in politica, ma anche nelle banche, nell’università, nei giornali, delle aziende), ma il guaio è che una classe dirigente non si improvvisa in qualche mese o anno. Quando per 25 anni hai trascurato di formare il personale politico di una nazione (e tutto il resto) poi non si può pretendere di tirare fuori il coniglio dal cilindro. In primo luogo è definitivamente battuta l’idea di estrarre una classe dirigente politica dalla mitica società civile: tutta la Seconda Repubblica è vissuta di questo mito, attingendo generosamente dai ranghi dell’imprenditoria, della magistratura, dell’università, della medicina, della finanza,  e questo è il brillante risultato. E questo è accaduto per due buone ragioni: prima di tutto perché la politica è uno specialismo a sé, che può e deve attingere competenze dalla società civile, ma che non può essere sostituito da altre competenze, insomma un buon chirurgo molto probabilmente non sarà affatto un buon ministro della sanità, come i tanti avvocati che si sono succeduti al ministero di grazia e giustizia si sono dimostrati pessimi ministri.
    In secondo luogo perché, mettiamocelo in testa, il pesce puzza dalla testa, ma in breve va a male tutto: se la politica è corrotta e incompetente, in breve anche tutti gli altri ruoli dirigenti lo saranno (ammesso che non lo siano già da prima), e quindi è una illusione quella di sostituire la classe politica attingendo alla mitica società civile. E questo valga per dissipare quell’altra imbecillità per la quale “basta essere onesti” per dirigere lo Stato (qui, tanto per dissipare ogni dubbio, sto parlando dei miei amici 5 Stelle che, dopo tanta retorica sul cittadino comune, poi parlano di “tecnici” per un governo a 5 Stelle): no, non basta essere onesti, occorre anche capirci qualcosa dei quello che si amministra. Occorre mettere mano ad un’opera di ricostruzione culturale del paese, formare una classe dirigente vera e, nel frattempo, cercare di limitare i danni scegliendo il meno peggio.
    (Aldo Giannuli, “La politica italiana? Ras, rien à signaler”, dal blog di Giannuli del 29 novembre 2017).

    Cosa sta succedendo sul palcoscenico della politica italiana? Niente. Per carità, non manca il trambusto e anzi ce n’è troppo: frenetici cambi di casacca, nuovi-vecchi partiti che si riciclano, promesse elettorali a spam, colpi di scena e frettolosi abbandoni della barca che affonda, ma nulla che abbia un senso o qualche valore politico. Come in teatro, nell’intervallo fra uno spettacolo e l’altro, quando il palcoscenico è invaso da inservienti velocissimi che spazzano, lavano, rimettono a posto i mobili, cambiamo i fondali, ma non c’è nessuna rappresentazione. I cambi di giacca e le sigle dei riciclati: un semplice cambio di costume con i soliti scadenti attori. I programmi elettorali? Sparate elettorali senza senso, di cui nessuno si ricorderà un minuto dopo i risultati. I colpi di scena? Semplici spot elettorali. Forse la cosa più significativa (se non altro la più divertente) è la gara a chi salta fuori prima dalla barca renziana che ormai affonda inesorabilmente: Lapo Elkann definisce Renzi non un Macron ma un micron, persino il maggior azionista del Pd, De Benedetti, dice che voterà scheda bianca perché Renzi non gli piace. Forse l’unica cosa che ha qualche senso (ma siamo solo agli inizi) è quello che sta succedendo in Commissione scandali bancari.

  • Mattei: siamo merce da macello, controllata via smartphone

    Scritto il 06/12/17 • nella Categoria: idee • (6)

    Negli ultimi tre o quattro anni sono stati installati, soltanto nella parte occidentale del mondo, quindi nel nord globale, circa un miliardo e quattrocentomila sensori per l’Internet delle cose. Gran parte dei quali sono costruiti nei muri delle case, nei nuovi televisori – in tutti gli apparecchi elettronici che comperiamo – e nelle automobili. Parte di questi sensori, che sono invece fissi, sono inseriti negli spazi pubblici e sono quelli con i quali i nostri meccanismi elettronici si collegano senza che noi lo sappiamo. Queste cose vengono chiamate “Smart”, nel senso che noi sentiamo parlare costantemente di “Smart City”, “Smart Card”, eccetera. Tutte le volte in cui si sente la parola “Smart” io penso sempre che gli “Smart” siano loro e i cretini siamo noi. Qui la situazione sta diventando davvero molto preoccupante. C’è in costruzione un gigantesco dispositivo (e qui proprio la parola “dispositivo” studiata da Foucault è direttamente utilizzabile per parlare dei dispositivi elettronici che noi compriamo). Un gigantesco dispositivo di controllo sociale di tutti quanti, che viene ovviamente sperimentato per fare un passo in avanti in modo da rendere in qualche modo l’umanità coerente con la nuova frontiera.
    Parliamo della frontiera di tanto tempo fa, del saccheggio coloniale e così via. Quella era la frontiera della modernità. Con la modernità si scoprono le Americhe, nelle Americhe si sperimenta tutto ciò che non si poteva fare all’interno del nostro continente europeo. Perché non si poteva fare? Perché la tradizione lo impediva. La tradizione giuridica impediva la sperimentazione di ideologie proprietarie come quelle di Locke, che presupponevano la tabula rasa, un’idea di un vuoto che viene colmato attraverso delle istituzioni giuridiche fortemente semplificate. Fra le quali due capisaldi della modernità che sono la proprietà privata assoluta, il dominio dispotico di cui hanno parlato i giuristi da un lato e la sovranità dello Stato. Che sono i due poli organizzativi intorno ai quali noi abbiamo costruito le categorie giuridiche e politiche della modernità: il pubblico e il privato. Oggi la frontiera non è più una frontiera fisica, non abbiamo più le scoperte di Magellano, di Amerigo Vespucci o di Cristoforo Colombo, ma chiaramente è una frontiera di tipo informatico. Quella che Floridi aveva chiamato qualche anno fa “l’Infosfera”.
    Questa frontiera di tipo informatico condivide con la frontiera fisica, la frontiera dell’inizio della modernità, una caratteristica fondamentale, che ha reso il capitalismo da essa completamente dipendente: oggi è impensabile immaginare il capitalismo nella forma attuale – quindi dei rapporti di produzione capitalistici globali – senza la mediazione della rete di Internet. Se voi pensate alla vostra vita quotidiana, vi rendete conto perfettamente che nulla oggi può funzionare se non mediato dalla rete. Quando andavo a comprare un biglietto del treno, per andare a trovare i miei amici in età giovanile, c’era un signore che me lo faceva a mano. Certo, io sono molto anziano, però oggi se arrivi in stazione e il computer è giù, tu il biglietto non lo compri e il treno non lo prendi. Perché la sostituzione della macchina all’umano, in queste operazioni anche molto semplici come quella di fare un biglietto, è tale per cui semplicemente non è più possibile farne a meno. Se estendete tutto questo al mercato finanziario, alle banche, a tutto quanto, vi rendete perfettamente conto che chi può accedere al Master Switch (come è stato chiamato in un famosissimo libro molto importante di un signore che si chiama Tim Wu, professore della Columbia University), che sarebbe l’interruttore centrale, è colui che in realtà può disattivare il capitalismo.
    In questa frontiera si sperimentano molte cose. La frontiera dell’Infosfera è una frontiera dalla quale il capitalismo è dipendente e che dev’essere naturalmente tutelata in un modo assolutamente molto forte. Tramite che cosa? Tramite la costruzione di una serie di tabù, di una serie di ideologie, di una serie di convinzioni generalizzate che non si possono mettere in discussione. Faccio un esempio molto semplice. Quando a noi arriva un messaggio di posta elettronica, di solito sotto c’è scritto: “Non stampare questa email, mantieni l’ambiente salubre”. Questo è una sorta di messaggio criptico per cui sostanzialmente la posta elettronica sarebbe, dal punto di vista ecologico, un modo di comunicare totalmente sostenibile, mentre stampare la carta e spedire la lettera non lo sarebbe. Il messaggio che passa è che la rete Internet vive in una sorta di empireo astratto assolutamente pulito (adesso si parla di nuvole, no?). In realtà la rete Internet è fatta, fisicamente, dall’hardware: sono dei giganteschi cavi, estremamente grossi, che passano sotto i mari. Sono una serie di server potentissimi che consumano una quantità spaventosa di energia e che semplicemente nessuno sa dove siano. Si sa vagamente che sono collocati nella zona dell’Occidente degli Stati Uniti, tra la parte – diciamo – nord della Stato della California, dello Stato di Washington e dell’Oregon. Si pensa che pezzi siano nel Canada, ma non v’è certezza. Una delle tesi più accreditate è che il famoso Master Switch, cioè il server centrale, quello davvero importante, stia in un sottomarino nucleare al largo di Seattle.
    Tutto questo si va a schiantare contro quello che è la nostra impronta ecologica. L’impronta ecologica giusta è 1, ma oggi l’impronta ecologica globale è 1.4 e 1.5, il che significa che tutti gli anni verso luglio-agosto siamo nel cosiddetto Overshoot Day, vale a dire il giorno nel quale abbiamo finito di consumare le risorse che sono teoricamente riproducibili e incominciamo a consumare delle risorse che non saranno mai più riprodotte. 1.4 è una pessima impronta ecologica! Ma la cosa ancor peggiore è che i luoghi che vengono indicati da tutti come i più avanzati del mondo, la famosa Silicon Valley, dove ci si va a fotografare se si diventa primi ministri, da Twitter a Cupertino, a Palo Alto, a Mellow Yellow Party, i famosi posti della famosa Silicon Valley, ebbene l’impronta ecologica della Silicon Valley è 6. Il che significa che se tutto il mondo vivesse e si sviluppasse per poter diventare come ci dicono che potremmo diventare, cioè come la Silicon Valley («Crescete in modo tecnologicamente avanzato», e noi importiamo questo modello di sviluppo), ci vorrebbero sei pianeti per poter mantenere tutti quanti questo tenore di vita. Il che significa che se l’impronta ecologica è di appena 1.4, è solo perché dal Burkina Faso, all’India alla stessa Cina, l’impronta ecologica è molto più bassa rispetto a quella che è l’impronta ecologica dell’Occidente ricco. D’accordo?
    La Cina ha un’impronta ecologica di più della metà rispetto a quella degli Stati Uniti, anche se viene normalmente indicata come il posto in cui tutti inquinano e fanno delle cose tremende! E quella pro-capite è doppia negli Stati Uniti. Se poi ci stupiamo dei flussi migratori, delle situazioni drammatiche che si verificano, questo dipende semplicemente dal fatto che l’equilibrio globale è fortemente sbilanciato dal punto di vista dei consumi. Nessuno dei temi, compreso quello della Costituzione, può essere affrontato senza un’analisi seria dello stato del capitalismo attuale. Perché altrimenti noi ci mettiamo a ragionare di categorie astratte e non capiamo le condizioni materiali nell’ambito delle quali l’umanità si trova a vivere. E quali sono le possibilità, i rischi legati alla costruzione di questi dispositivi? Esempio molto semplice: gli untori. «Teniamo fuori i bambini che possono contagiare tutti gli altri». Che cosa significa? Che le mamme di questi bambini sono dei cattivi cittadini perché non investono sufficientemente in precauzione rispetto agli altri. Si costruisce un modello moralistico contro quelle mamme, e questo modello moralistico rende utilizzabile una sorta di implementazione diffusa di un ordine giuridico assolutamente contrario al precetto della Costituzione stessa.
    La Costituzione prevede che non si possano imporre trattamenti sanitari obbligatori se non in casi assolutamente particolari, ed è chiaro che una vaccinazione a tutto raggio, fatta per tutti quanti, non rientra in quelle categorie di eccezionalità che giustificano il trattamento sanitario obbligatorio. Questo lo capisce chiunque. Allora, il punto vero è che oggi quella sperimentazione che viene fatta in Italia, per poi estendere i vaccini in tutto il mondo, io credo che venga fatta anche per sperimentare una futura possibile frontiera. Che è quella di rendere l’Internet delle cose sempre più inevitabile. In altre parole, se ci fate caso, quando vi comprate un telefonino di questa generazione ultima, non potete più togliere la batteria. Vi sarete chiesti: perché non si può più togliere la batteria? Perché togliendo la batteria ci si può disconnettere. Non la puoi togliere fisicamente! E certo, potresti smontare il telefono, ma guardate che se voi comprate un telefonino di ultima generazione e lo accendete – questo vale per la vostra televisione o per qualunque oggetto Smart – prima di poterlo utilizzare dovete premere una serie di pulsanti sui quali c’è scritto: “I agree. I agree. I agree”. E voi che cosa accettate, naturalmente senza leggerlo? Tu hai accettato in quel momento una serie di cose che non accetteresti mai rispetto a una tua normale proprietà.
    Per esempio hai accettato il fatto che non lo potrai portare a riparare da chi ti pare, ma dovrai portarlo a riparare soltanto da quello che ti indica il venditore. Hai accettato il fatto che non potrai hackerare, manipolare la tua proprietà per renderla più compatibile con un altro sistema operativo, perché se lo fai commetti un reato! Hai accettato semplicemente una giurisdizione all’interno della quale tutta una serie di comportamenti, che sono comportamenti totalmente normali rispetto a un proprio oggetto, sono in realtà rilevanti dal punto di vista penale. Hai in più accettato anche il fatto di togliere di mezzo ogni giurisdizione, cioè che utilizzando questo strumento e scaricando qualsiasi tipo di App, implicitamente non puoi più andare in una giurisdizione – sia straordinaria che amministrativa – a far causa a uno qualsiasi di questi provider cui hai venduto i tuoi dati. Facebook ha un miliardo e mezzo di utenti. È tanta gente! I nostri giornalisti ci dicono che si tratta della più grande nazione del mondo. Quel miliardo e mezzo di persone hanno accettato il sistema di risoluzione delle controversie tra l’utente e Facebook stesso, ma indovinate quante volte nella storia di Facebook lo hanno utilizzato? Sessantaquattro!
    Vale a dire che è stato completamente tolto di mezzo qualsiasi strumento di accesso alla giurisdizione ordinaria. E anche quella speciale, che ti viene offerta come giurisdizione privata, non viene semplicemente utilizzata mai. Cosa significa questo? Significa che nella frontiera dell’Infosfera possiamo fare a meno del giurista! La presenza del diritto non è più necessaria per costruire la struttura portante del capitalismo. Il giurista e il diritto sono stati sostituiti dai programmatori che riescono a introdurre dei processi che fondano le basi di transazioni economiche al di fuori di qualsiasi possibilità di controllo da parte dei giuristi. Voi mi direte: «Ma che bella cosa, perché i giuristi ci stanno molto antipatici!», e io sono anche d’accordo, da un certo punto di vista, perché purtroppo li frequento molto. Però il punto è che mentre nella storia tutte le rivoluzioni fin qui hanno sempre cercato di togliersi dai piedi i giuristi, ma non ci sono mai riuscite perché prima o dopo la loro presenza era necessaria per costruire le basi di una società organizzata fondata sullo scambio, oggi per la prima volta è possibile. Il che significa che mentre prima il capitalismo doveva in qualche modo sopportare i pistolotti dei giuristi che gli dicevano: «Ma guarda che ci sono anche gli standard di decenza, ci sono i diritti umani fondamentali, non si possono imporre vaccini obbligatori, non si possono fare una serie di cose senza ragionevolezza», perché quel ceto era un ceto in qualche modo indispensabile per la funzione primaria da cumulo capitalistico, oggi che quel ceto non serve più.
    Anche le nostre prediche sono destinate a rimanere, come diceva il buon Bob Dylan, Blowin’in the Wind. Sono destinate a rimanere completamente inascoltate, per un semplice fatto: che incentivo hanno ad ascoltare Ugo Mattei che gli fa il predicozzo, se poi non ne hanno bisogno per poter estrarre valore nei rapporti economici commerciali utilizzando le sue dottrine sul contratto sulla proprietà? Semplicemente se lo tolgono dai piedi nell’uno e nell’altro settore. Questa è una sperimentazione che per ora sta avvenendo in frontiera, nell’Infosfera, ma che sempre più rapidamente – io prevedo – arriverà anche nella madrepatria, nel mondo off-line – come oggi si chiama – perché quelle sperimentazioni lì vengono fatte in quel luogo e poi dopo ricadono anche nella nostra vita quotidiana. Proprio come le sperimentazioni di saccheggio nell’America Latina, soprattutto nel Nord America, sono ricadute nella strutturazione del capitalismo della madrepatria. Questo è un punto di una certa gravità, perché né tu né un altro miliardo di persone adesso potete più togliere la batteria: c’è il diritto penale che presiede alla vostra ubbidienza rispetto a quello che avete accettato.
    E questo è gravissimo, perché nel momento in cui tutti noi, dal primo all’ultimo, commettiamo dei reati senza saperlo, perché premiamo dei pulsanti, noi tutti, dal primo all’ultimo, possiamo essere inquisiti per quello che abbiamo fatto. E quindi noi, dal primo all’ultimo, possiamo finire nei guai proprio come è successo ad Aaron Swartz negli Stati Uniti d’America. Quanti di voi hanno sentito parlare di Aaron Swartz? Era un ragazzo che all’età di 12 anni era un genio informatico, un genio che aveva preso una sua consapevolezza politica. A 12 anni aveva fatto il Coding per il famoso programma, quello di Lawrence Lassie per i CoPilot, quindi insomma era un personaggio di grandissimo livello. A un certo punto capisce l’importanza di questi discorsi e pubblica un piccolo manifesto che si chiama “Guerilla Open Access Manifesto”. Pubblica questa cosa e comincia a dire che l’unico modo di mantenere la società come una società di liberi e non una società di schiavi è quella di rendere la cultura accessibile a tutti. Siccome era un genio e sapeva fare queste cose, penetra nella notte negli archivi del Mit, il Massachusetts Institute of Technology, e scarica tutte le collezioni di Jstor, che è il più grande collettore di dati scientifici che ci siano nel mondo, e le rende pubbliche. Ok?
    Fa questa operazione di guerriglia per rendere accessibile questa informazione sulla base di una consapevolezza politica impressionante, perché nel Guerrilla Manifesto c’è tutto un ragionamento sul fatto dello iato tra i paesi ricchi e i paesi poveri, sulla cultura e di come deve essere in qualche modo accessibile, distribuita. Insomma, un personaggio di grande spessore nonostante la giovane età. Viene ovviamente preso di mira dall’Fbi e nonostante ottenga un accordo con Jstor per uscire dalla cosa – io conoscevo bene il suo avvocato che mi ha raccontato tutto – distrutto dai conti che ha dovuto pagare, tra avvocati e altre spese, all’età di 26 anni si è suicidato. C’è un bellissimo documentario che ne racconta la storia, si chiama “Killswitch”, vale la pena di vederlo perché è esattamente la storia di come in frontiera la partita si svolga tutta fra programmatori, così come una volta il giurista critico era visto come il peggior nemico del capitalismo stesso. Pashukanis viene ammazzato dallo stesso Stalin perché aveva introdotto una riflessione critica sul diritto che dava fastidio a chiunque volesse costruire delle strutture di sovranità. Quindi era sostanzialmente demonizzato perché conoscitore del segreto iniziatico. Stessa cosa successa per Aaron Swartz.
    Quindi questa è una partita molto importante. Che cosa impedirà un domani di far uscire una legge che, per ragioni di sicurezza e per lotta contro il terrorismo, ci obblighi a introdurci con una piccola iniezione un microchip sottocutaneo che si collega automaticamente con i vari sensori che ci sono nel mondo? Assolutamente nulla! Dal punto di vista tecnico è già totalmente possibile – ci sono già state sperimentazioni sull’introduzione di particelle talmente piccole che possono essere sostanzialmente iniettate sotto cute. Poi mi dicono che sono un “Conspiracy theorist”, che è il modo di dire di qualcuno che cerca di pensare criticamente: gli dicono che fa la “Conspiracy theory“, ma la verità vera è che oggi la tecnologia – se non oggi fra 3 anni, 5 anni, 8 anni, ma in un tempo molto vicino – consentirà cose di questo genere in modo assolutamente banale. Perché sono già totalmente possibili. Oggi il mio telefono, che è di un livello medio-scarso, è già molto più potente del top di gamma dell’Apple computer nel 2005. L’accelerazione tecnologica legata alla cosiddetta Legge di Moore, fa sì che oggi noi abbiamo un telefonino di livello medio-basso molto più potente del top di gamma non di 30 anni fa, ma di quattro, cinque, otto anni fa. Io credo che la questione della tecnologia debba essere affrontata in modo molto serio, perché ha trasformato profondamente i nostri sistemi politici portando alla sparizione totale della famosa contrapposizione fra pubblico e privato, sulla quale abbiamo costruito la civiltà liberale che ci governa, o comunque la civiltà moderna.
    Quando Barack Obama fu eletto presidente degli Stati Uniti, io dissi: «Secondo me Obama è come Gorbaciov». Gorbaciov era stato l’ultimo dei comunisti all’interno del sistema sovietico, che aveva cercato di trasformare dall’interno senza riuscirci. Barack Obama è stato l’ultimo degli americani a provare a trasformare il sistema liberale dall’interno, a provarci secondo diciamo le possibilità concrete di farlo, che erano assai limitate perché non era un uomo particolarmente coraggioso. L’esito è stato da un lato la rivoluzione che ha portato a Putin, dall’altro Donald Trump, e poi questo modello di governo che stiamo vedendo ovunque, da Modi in India, alle trasformazioni del partito comunista cinese. Ovunque si sono istituite delle Costituzioni tecno-fasciste. In altre parole delle Costituzioni, delle strutturazioni che si sono liberate completamente dal vecchio controllo, dalla vecchia dicotomia pubblico/privato. Oggi nel consiglio di amministrazione di Facebook, delle cinque grandi corporation di grandi gruppi farmaceutici, siedono tanto dei rappresentanti del capitale quanto dei rappresentanti del Dipartimento di Stato, della Cia all’Fbi. Perché non c’è più sostanzialmente nessuna separazione, e non può più esserci.
    Chi è il proprietario di queste grandi strutture dentro Internet? Chi mantiene quei cavi? Chi ha le chiavi per entrare ad aggiustare quel Master Server? Chi è che fa gli investimenti per migliorarlo? Semplicemente non lo sappiamo. Io sarò un ricercatore ignorante, zuccone e asino, ma sono tre anni che provo a trovare dei lavori scientifici seri sull’hardware, sulla parte hard della rete Internet, e non si trova assolutamente niente. Non c’è un paper scientifico che affronti dal punto di vista teorico quella che è la questione della proprietà delle infrastrutture materiali che governano l’Infosfera. Questo è un buco nelle nostre conoscenze estremamente pericoloso. Allora, se così stanno le cose, io credo che noi non possiamo trovare soluzioni che si facciano carico dei problemi, così come essi si verificano a questo livello di sviluppo tecnologico, all’interno delle vecchie strutture dell’ordinamento costituito. Noi non possiamo immaginare che possano essere i legislatori ordinari dei paesi del mondo, siano essi i paesi deboli e semiperiferici come il nostro, ma siano anche i grandi blocchi avanzati, a riuscire a mettere sotto controllo il potere economico così come è venuto a svilupparsi oggi. I rapporti di forza tra privato e pubblico sono drammaticamente cambiati.
    Il Leviatano un tempo era un signore pubblico, contro il quale avevamo costruito il diritto costituzionale liberale, per proteggere l’individuo vivo, la proprietà privata, la privacy, la nostra entità o la persona rispetto alle potenziali deviazioni del potere concentrato. Oggi le cose non stanno più così. Oggi non è più il privato a essere più debole del pubblico e a necessitare della tutela nei confronti del pubblico stesso, ma è il pubblico, sono questi sistemi burocratici che sono stati talmente colonizzati dal capitale privato, per cui nessuna delle scelte che vengono fatte può essere più considerata una scelta politica. Ma voi pensate che sia stata davvero la Lorenzin a decidere questa cosa dei vaccini? Ma stiamo scherzando? E pensate davvero che siano state le istituzioni europee sulla base di qualche think-tank di alto livello? Ma scherzate proprio? Sono stati i consigli di amministrazione di due, tre, quattro grosse multinazionali, che erano le stesse che ai tempi della mucca pazza – ogni tanto vengono costruite queste situazioni d’emergenza – avevano creato le condizioni per poter operare delle “estrazioni” – come dire – molto importanti.
    Perché per la mucca pazza in Italia avevamo comprato una quantità di vaccini, che poi abbiamo buttato via, impressionante! Milionate di vaccini! Avremmo finanziato la ricerca nei beni comuni, nel territorio e tutto quel che volevamo, ma c’è stato l’allarme mucca pazza, no? Adesso si è capito – come spesso avviene – che il momento di estrazione e di accumulo originario, quello che il vecchio Marx chiamava l’“Accumulazione Primitiva” non è un momento specifico (le Torri Gemelle, e allora dichiaro la guerra). No! Semplicemente si tratta di un modello permanente di strutturazione della società che consente a questi processi di andare avanti in modo lineare sempre in quella particolare direzione. Allora, come si risponde a questo? Io credo che  prima di tutto bisogna avere l’umiltà di provare a capire questi processi. E provare a capire questi processi non è facile perché ti oppongono: «Ma tu, Mattei, sei un giurista. Che ne capisci di informatica? Tu, sociologo, che ne capisci di medicina? La medicina e l’informatica non sono democratiche, no?».
    Esattamente questo è il punto! Si sente la necessità di una cultura che sia nuovamente una cultura di tipo olistico, una cultura di tipo interdisciplinare che sia capace una volta tanto di esercitare un controllo critico sulle cose che lo specialismo cerca di farci ingurgitare. Questo è un punto – secondo me – molto molto importante. La seconda cosa è capire che oggi noi come individui non contiamo più niente: non importa niente a nessuno di noi come individui. Noi siamo delle categorie merceologiche. Nel momento in cui qualcosa ci viene dato gratis, significa che noi siamo la merce. Quando qualcosa è gratis, il prodotto sei tu. Siamo categorie merceologiche che sono interessanti nel momento in cui veniamo raggruppati attraverso la forza computazionale, che sta aumentando in modo rapidissimo. Vi ricordate von Hayek? La teoria della conoscenza liberale qual era? Che il piano sovietico è destinato a perdere perché il libero mercato ha molte più informazioni di quante ne abbia il piano. Per cui i sovietici, non avendo il mercato libero che produce informazione, erano destinati al fallimento perché non si sapeva quanti stivali e quante scarpe col tacco lungo erano desiderati in quel momento, e quindi si producevano troppi stivali e troppo poche scarpe col tacco. E questo comportava l’impossibilità di far funzionare il piano.
    Oggi non è più così. Oggi la capacità computazionale crea una capacità pianificatoria molto più forte rispetto alla catalessi del mercato. Non c’è più – secondo me – un elemento per cui il potere diffuso possa imporsi rispetto al potere concentrato, nel momento in cui il potere concentrato mette sotto controllo la tecnologia ai livelli in cui la tecnologia è messa sotto controllo oggi. Il che significa che dobbiamo ripensare le stesse basi del dibattito teorico-filosofico che ci hanno accompagnati dalla modernità fino ad oggi. E’ un compito molto serio, molto molto importante e di cui però bisogna cominciare ad occuparsi. Bisogna che qualcuno abbia il coraggio di prendersi del buffone, ma andare a parlare di queste cose dove di queste cose bisogna parlare. Siccome non contiamo più come individui, ma come categoria merceologica, abbiamo la necessità di ricostruire istituzioni del collettivo. L’individuo è morto. L’individualismo basato sul diritto soggettivo assoluto è, come diceva Rosa Luxemburg a proposito della socialdemocrazia tedesca dell’epoca, un fetido cadavere, cioè qualcosa che non ha più senso di esistere perché oggi ci sono i collettivi che vanno ricostruiti.
    O ricostruiamo una situazione di collettivizzazione, anche di quelle persone che non accettano di essere merci da estrazione capitalistica, o ci siamo fatti riempire la testa di nozioni che ci depotenziano. Io sento dire che su alcune cose, i diritti civili liberisti sono più avanzati e quindi gli vogliamo dare spazio. Non si capisce che i diritti più importanti, come quelli sul nostro corpo, quelli sulla nostra identità sessuale, sono destinati a non servire assolutamente a nulla. Quindi ricostruire condizioni del senso comune, ricostruire solidarietà, ricostruire strutture di condivisione anche fondate sull’amore è secondo me molto importante, perché quello è il solo modo grazie al quale si può avere il coraggio di opporsi in modo radicale a delle leggi che sono leggi insostenibili, ingiuste e che creano obblighi collettivi di resistenza.
    (Ugo Mattei, “Perché non ti fanno più togliere la batteria dallo smartphone”, da “ByoBlu” del 26 novembre 2017. Il post è la trascrizione di un intervento di Mattei al convegno “Costituzione, comunità e diritti” tenutosi all’università di Torino il 19 novembre 2017. Giurista, Ugo Mattei è professore di diritto internazionale e comparato alla California University e docente di diritto privato nell’ateneo torinese).

    Negli ultimi tre o quattro anni sono stati installati, soltanto nella parte occidentale del mondo, quindi nel nord globale, circa un miliardo e quattrocentomila sensori per l’Internet delle cose. Gran parte dei quali sono costruiti nei muri delle case, nei nuovi televisori – in tutti gli apparecchi elettronici che comperiamo – e nelle automobili. Parte di questi sensori, che sono invece fissi, sono inseriti negli spazi pubblici e sono quelli con i quali i nostri meccanismi elettronici si collegano senza che noi lo sappiamo. Queste cose vengono chiamate “Smart”, nel senso che noi sentiamo parlare costantemente di “Smart City”, “Smart Card”, eccetera. Tutte le volte in cui si sente la parola “Smart” io penso sempre che gli “Smart” siano loro e i cretini siamo noi. Qui la situazione sta diventando davvero molto preoccupante. C’è in costruzione un gigantesco dispositivo (e qui proprio la parola “dispositivo” studiata da Foucault è direttamente utilizzabile per parlare dei dispositivi elettronici che noi compriamo). Un gigantesco dispositivo di controllo sociale di tutti quanti, che viene ovviamente sperimentato per fare un passo in avanti in modo da rendere in qualche modo l’umanità coerente con la nuova frontiera.

  • Di Maio e i vaccini obbligatori: aprite gli occhi, amici 5 Stelle

    Scritto il 25/10/17 • nella Categoria: idee • (8)

    Di Maio & company? Non abbiamo ancora visto niente: se vanno al potere i 5 Stelle (non la base: i dirigenti), «ci terremo intatto lo strapotere delle multinazionali del farmaco, della chimica, dell’alimentazione devitalizzata, dei megamedia del potere». E soprattutto «il dominio della finanza, i livelli di inquinamento, l’ossequienza al Vaticano e alle massonerie varie, alla Trilateral, a Goldman Sachs». Parola di Fausto Carotenuto, promotore del network “Coscienze in Rete” e già analista internazionale per l’intelligence: un uomo esperto, che conosce a fondo – dall’interno – le dinamiche del vero potere, quello che indossa diverse maschere per compiacere e illudere i cittadini-elettori. Ma perché tanto allarme per Di Maio? durante una visita all’ateneo di Harvard, «una delle università dove oramai i candidati premier vanno a prendere la benedizione», lo scorso maggio il beniamimo di Beppe Grillo ha dichiarato che i vaccini «in Italia sono obbligatori per legge», e quindi, ha aggiunto, «noi non abbiamo intenzione di eliminarla», quella legge. «E lo dice quello che poi verrà “unto” con un plebiscito di finta “democrazia diretta” come capo politico del 5 Stelle e candidato alla presidenza del Consiglio», protesta Carotenuto.
    Domanda che sorge spontanea: «Per chi lavora questo signore? Per chi lavorano i vertici manifesti e occulti del 5 Stelle? Non certo per la gente e per la nostra libertà», scrive Carotenuto su “Coscienze in Rete”. «E’ chiaro che chi è contro l’obbligatorietà dei vaccini non potrà mai votare per questo signore», Di Maio, che appare «al servizio di chi vuole vaccinare obbligatoriamente i nostri bambini». Per l’analista, semplicemente «occorre svegliarsi», perché «con questa gente al governo – e non parliamo dei militanti, ma di chi li dirige in modo del tutto privo di vera democrazia – si verificheranno anche altri fatti, che i votanti grillini pieni di ingenuo entusiasmo non immaginano nemmeno: rimarremo saldissimamente in Europa, ci terremo l’euro, l’appartenenza alla Nato e gli interventi militari “umanitari”». Peggio: Big Pharma non ha nulla da temere dai grillini, e nemmeno Wall Street, la super-oligarchia, i ras della devastazione agroalimentare, gli scienziati del cibo-killer, cancerogeno. Nessuno trema, di fronte a Di Maio: né i media mainstream, professionisti della disinformazione, né le multinazionali onnivore e globaliste, né i santuari supermassonici dell’élite finanziaria.
    «Stiamone certi», aggiunge Carotenuto: «Se vogliamo che nulla di importante cambi nel sistema di potere che ci manipola, votiamo tranquillamente per questo signore». Non che Di Maio sia il peggiore il campo, sia chiaro: «Certo, anche se voteremo per gli altri partiti ora in Parlamento, nulla cambierà di tutto questo». Ma almeno, evitando di votare 5 Stelle, «non avremo sprecato le nostre migliori energie e le nostre scelte facendoci abbindolare da questa ennesima trappola per le coscienze in risveglio». La tesi di Carotenuto: il potere lavora per rendere eterno il nostro “letargo”, ben sapendo che – statistiche alla mano – un cittadino su tre ha ormai fiutato l’imbroglio e non crede più a nessuno, né ai politici né ai media. «Il nostro vero terreno di operazioni – sottolinea il fondatore di “Coscienze in Rete” – non è delegare a comici o a giovanottini legati a “nonsisachi”, comunque dipendenti dalla finanza internazionale, come minimo. E nemmeno delegare agli altri partiti, che dipendono dagli stessi poteri di controllo».
    Carotenuto propende per il rifiuto del potere istituzionale che viene dall’alto, frutto di “piramidi” irrimediabilmente compromesse e inattendibili, a prescindere dai personaggi dietro i quali si nascondono: meglio la solidarietà circolare dei territori, dal basso. «Utilizziamo le nostre energie e la nostra voglia di bene senza delegare, facendo il bene là dove siamo, nel locale, orizzontamente, intorno a noi», sapendo che un giorno «da questa crescita orizzontale, quando sarà ampia e solida, verranno fuori istituzioni nuove». Ma non oggi, non ancora: «Ora è il momento della maturazione delle coscienze attraverso l’impegno diretto là dove siamo e possiamo verificare che le nostre forze alimentano veramente il bene di tutti». Poù in alto, la nostra possibilità di controllo è pari a zero: restiamo in balia delle solite manipolazioni. L’ultima, in ordine di tempo, sarebbe proprio quella del Movimento 5 Stelle: pura illusione ottica, certificata dal Di Maio “pro-vax”, di fronte alla potentissima platea di Harvard. «Non dimentichiamo…».

    Di Maio & company? Non abbiamo ancora visto niente: se vanno al potere i 5 Stelle (non la base: i dirigenti), «ci terremo intatto lo strapotere delle multinazionali del farmaco, della chimica, dell’alimentazione devitalizzata, dei megamedia del potere». E soprattutto «il dominio della finanza, i livelli di inquinamento, l’ossequienza al Vaticano e alle massonerie varie, alla Trilateral, a Goldman Sachs». Parola di Fausto Carotenuto, promotore del network “Coscienze in Rete” e già analista internazionale per l’intelligence: un uomo esperto, che conosce a fondo – dall’interno – le dinamiche del vero potere, quello che indossa diverse maschere per compiacere e illudere i cittadini-elettori. Ma perché tanto allarme per Di Maio? durante una visita all’ateneo di Harvard, «una delle università dove oramai i candidati premier vanno a prendere la benedizione», lo scorso maggio il beniamimo di Beppe Grillo ha dichiarato che i vaccini «in Italia sono obbligatori per legge», e quindi, ha aggiunto, «noi non abbiamo intenzione di eliminarla», quella legge. «E lo dice quello che poi verrà “unto” con un plebiscito di finta “democrazia diretta” come capo politico del 5 Stelle e candidato alla presidenza del Consiglio», protesta Carotenuto.

  • L’overdose da Fentanyl stermina 91 americani ogni giorno

    Scritto il 22/9/17 • nella Categoria: segnalazioni • (11)

    E’ ormai la prima causa di morte per gli americani sotto i 50 anni, quindi in età produttiva: 91 americani muoiono ogni giorno per overdose da Fentanyl, un oppioide sintetico, antidolorifico, che crea forte dipendenza. La chiamano “opioid epidemic”: 52.000 morti nel 2015, 59.000 nel 2016 (più 19%), già oltre 60.000 ad agosto 2017; saranno almeno 65.000 a fine anno. Aumenti spaventosi. Gli Stati Uniti sono il paese con più morti per overdose del mondo per milione di abitante e lo sono per un differenziale enorme: 245,8 morti ogni milione all’anno contro i 26,4 per milione in Europa, dati del 2015, quindi 10 volte di più. A morire per overdose non sono tanto i neri o gli ispanici, sono soprattutto i bianchi, e soprattutto i maschi bianchi. Un coroner della Pennsylvania occidentale lamenta: ogni notte mi arrivano anche 13 corpi, non so più dove metterli; è come una peste. In vari Stati i poliziotti sono stati forniti di Naloxone, un farmaco d’emergenza: se trovano un morente per overdose, l’iniezione può salvarlo, ma ovviamente non fa nulla per ridurre il tasso di dipendenza. Lo Stato dell’Ohio ha querelato cinque farmaceutiche che fabbricano e producono il Fentanyl, per “favoreggiamento dell’epidemia”.
    Incredibilmente, il Fentanyl viene prescritto dai medici, appunto come antidolorifico – almeno all’inizio. Poi i pazienti cominciano a comprarlo illegalmente. Ci sarebbe anzitutto da chiedere: per quali mai dolori gli americani si rivolgono al medico, se il medico trova normale prescrivere un “antidolorifico” oppioide sintetico «che è 50 volte più forte dell’eroina e 100 volte più potente della morfina»? Quali dolori – se non quelli incoercibili del cancro terminale – richiedono un tale palliativo? Oppure si tratta della necessità di “funzionare” sul lavoro anche se si soffre per un qualunque dolore perché non ci si può assentare? E poi: sono dolori fisici, quelli che gli americani maschi bianchi vogliono soffocare con la prescrizione, o dolori spirituali a cui non sanno dare un nome? Anche il male sociale è stato privatizzato. Te lo curi da te. Il sito “Governing.com”, notiziario di tutti gli enti locali, osa un’altra diagnosi: «Non è come le passate crisi per droga, come quelle del crack o delle meta-anfetamine, non è la comparsa di una nuova classe di droghe che creano dipendenza a far morire ogni giorno 91 americani. Questa crisi degli oppiacei è una crisi del lavoro; è una crisi di affitti accessibili per le case. Le stesse forze che hanno rimodellato l’economia nel decennio scorso, hanno lasciato il vuoto riempito, in certe zone, dagli oppioidi».
    E aggiunge: «Uno studio dell’Università di Pennsylvania dopo le elezioni presidenziali dello scorso novembre ha scoperto che il presidente Trump ha preso enormemente più voti del previsto in quelle province (contee) che registrano il più alto tasso di “morti da disperazione”, ossia suicidi, overdosi di droga o da alcolismo. Ciò mostra che molti americani si sentono lasciati indietro dall’economia che cambia, e non credono più che il quadro politico attuale li sta aiutando». Dunque sono i bianchi maschi, in età da lavoro, che devono “funzionare” anche se malati per non essere licenziati; gente che votava democratico, spesso, che invece ha votato l’uomo nuovo che ha promesso, o anche solo dato l’impressione, di avere a cuore la loro tragedia? Forse i dolori che accusano questi bianchi non vengono dal corpo, né propriamente dallo spirito – ma vengono da una malattia sociale cui non sono più abituati a dare il senso giusto: ossia politico e collettivo, e che reinterpretano come un dolore privato, da “superare” e da “ingoiare”?
    Ho già accennato – troppo in breve – a un altro studio di due università, la Boston University – Department of Political Science – e la University of Minnesota Law School, sul rovesciamento del voto in circoscrizioni tradizionalmente democratiche, che hanno rifiutato Hillary Clinton e votato invece per Trump: sono quelle dove un numero maggiore di soldati, giovani che avevano “servito la patria” nei 15 anni di guerre americane, sono tornati nelle bare, o vivi e mutilati, o invalidi psichici. Per lo studio, tre Stati chiave per la vittoria di Donald (Pennsylvania, Michigan e Wisconsin) avrebbero dato la vittoria a Hillary se i vicini non avessero visto tante famiglie in lutto o con un invalido di guerra in casa. «Trump ha parlato a questa parte dimenticata dell’America». L’America dimenticata che sta elevando una silenziosa protesta per il costo umano che sta subendo per sostenere i 15 anni di guerre insensate non solo politicamente, ma eticamente (sono infatti, sappiamo, “guerre per Israele”). Il tasso immane di suicidi fra i soldati americani, da otto anni in crescita, è leggibile come l’estrema protesta silenziosa e impotente di un popolo per quello che lo costringono a fare?
    Nella fanteria, la più colpita, si toccano 29,9 suicidi per 100.000 persone, oltre il doppio della popolazione generale (12,6 per 100.000). Punte di un suicidio ogni 2,2 giorni. Si uccidono molto gli appena arruolati, anche prima di essere dispiegati in territorio nemico; ma moltissimo i congedati: «Venti reduci ogni giorno muoiono per suicidio», dice un rapporto ufficiale della Veteran Authority del 2016. Sulle cause, silenzio. Jason Roncoroni, un tenente colonnello che ha fondato una associazione di prevenzione del suicidio, tocca l’argomento tabù: «Attribuisce il tasso fra i militari al sentimento, fra loro, che le guerre americane non finiranno mai, e l’aspettativa di missioni future senza fine. Abbiamo sfumato la linea tra il tempo di guerra e il tempo di pace». Già: il tasso di suicidi s’è alzato dai primi anni 2000, inizio delle guerre “al terrorismo” (11 Settembre 2001), e non è mai calato. Anche, qui, sono i maschi bianchi a suicidarsi di più: i bianchi compongono poco più della metà dei soldati in servizio, ma i suicidi fra loro sono 7 su 10.
    Si piega sotto il fardello dell’uomo bianco, l’americano qualunque; l’uomo bianco che deve “funzionare”, e proprio per questo l’hanno caricato con un fardello che ormai lo schiaccia. E lui, sotto, incapace di sollevarlo, ci si uccide. Fatto istruttivo, solo l’armata israeliana ha tassi di suicidi paragonabili. Aggiungiamoci i 500 omicidi l’anno nella sola città di Chicago, in cui sono coinvolti soprattutto negri, quasi due al giorno, e in continuo aumento. Nell’insieme è l’immagine di una popolazione che si autodistrugge, che si devasta. O che viene devastata dalla “economia che cambia” e “li lascia indietro”, con paghe sempre minori ed affitti da pagare, e la coscienza della propria inutilità. E’ il capitalismo terminale, quello che fa profitti non più producendo merci ma producendo bolle finanziarie, che nella sua perfezione ideologica applicata persegue la massima efficienza come la intende: pagare il meno possibile il lavoro, precarizzarlo, sostituirlo con robot a tappe forzate, per retribuire al massimo il capitale finanziario.
    Tale “efficienza” porta l’effetto paradossale e opposto, che le imprese industriali rimaste in Usa fanno fatica a trovare lavoratori qualificati che non siano resi inservibili dall’oppioide. L’allarme è stato lanciato non da organizzazioni sociali, ma dalla stessa Federal Reserve. Le Fed di St. Louis ha denunciato l’introvabilità di lavoratori non drogati, e quindi improduttivi, in un “Libro Beige” diffuso il 12 luglio. La stessa Janet Yellen, la governatrice della Federal Reserve, ha spiegato in un’audizione al Senato che «gli oppioidi erano una delle cause del crollo della forza-lavoro», insieme beninteso ai robot e alle delocalizzazioni. Un crollo inaudito dalla «partecipazione alla forza lavoro», ossia delle persone che si offrono di lavorare. «Oggi, il 15% degli uomini fra i 25 e i 54 sono inspiegabilmente spariti dalla forza-lavoro – ossia uno ogni sette – nonostante il tasso di disoccupazione sia calato». Sono drogati che non riescono più a “funzionare”. La Yellen ha aggiunto di non capire e non sapere se «un così diffuso abuso di oppiacei sia la causa, o invece il sintomo di “malattie di lunga durata” di questi lavoratori».
    (Maurizio Blondet, estratto dal post “Usa, la nuova peste stermina l’uomo bianco, ormai superfluo”, pubblicato sul blog di Blondet il 16 agosto 2017).

    E’ ormai la prima causa di morte per gli americani sotto i 50 anni, quindi in età produttiva: 91 americani muoiono ogni giorno per overdose da Fentanyl, un oppioide sintetico, antidolorifico, che crea forte dipendenza. La chiamano “opioid epidemic”: 52.000 morti nel 2015, 59.000 nel 2016 (più 19%), già oltre 60.000 ad agosto 2017; saranno almeno 65.000 a fine anno. Aumenti spaventosi. Gli Stati Uniti sono il paese con più morti per overdose del mondo per milione di abitante e lo sono per un differenziale enorme: 245,8 morti ogni milione all’anno contro i 26,4 per milione in Europa, dati del 2015, quindi 10 volte di più. A morire per overdose non sono tanto i neri o gli ispanici, sono soprattutto i bianchi, e soprattutto i maschi bianchi. Un coroner della Pennsylvania occidentale lamenta: ogni notte mi arrivano anche 13 corpi, non so più dove metterli; è come una peste. In vari Stati i poliziotti sono stati forniti di Naloxone, un farmaco d’emergenza: se trovano un morente per overdose, l’iniezione può salvarlo, ma ovviamente non fa nulla per ridurre il tasso di dipendenza. Lo Stato dell’Ohio ha querelato cinque farmaceutiche che fabbricano e producono il Fentanyl, per “favoreggiamento dell’epidemia”.

  • Carpeoro: servizi deviati e politici paraculi, la truffa infinita

    Scritto il 17/9/17 • nella Categoria: idee • (1)

    Da Renzi a Salvini, da Mastella a Di Maio. Non conta chi, ma cosa. E come. Un copione invariabile: «Non sono le persone a fare progetti di potere, è il potere a fare progetti sulle persone». E gli elettori, regolarmente, ci cascano. Parola dell’avvocato Gianfranco Carpeoro, che rilegge sotto quest’ottica l’attualità italiana, persino il decreto-monstre sui vaccini obbligatori. «I partiti italiani cavalcano tutti le posizioni che gli sono convenienti». I partiti di maggioranza «hanno cavalcato i vaccini perché probabilmente sono stati finanziati dalle case farmaceutiche». Per contro, i partiti dell’opposizione cavalcano la protesta contro i vaccini «perché quello che non riscuotono sul piano economico lo vogliono riscuotere sul piano elettorale: prontissimi, quando saranno al potere, a prendere anche loro i quattrini e a cavalcare loro i vaccini», mentre «gli altri faranno l’opposto», in una perfetta inversione di ruoli. Una presa in giro spudorata: possibile che nessuno se ne accorga? Scandisce Carpeoro, in collegamento web-streaming con Fabio Frabetti di “Border Nights”: «Io mi meraviglio che gli italiani non si siano rotti i coglioni di questo gioco delle parti».
    L’ultimo episodio del giochino speculare vittima-carnefice? La polemica sul caso giudiziario subito da Clemente Mastella, già sottosegretario agli interni, poi ministro con Berlusconi (lavoro) e con Prodi (giustizia), e ora scagionato, dopo 9 anni di “gogna” mediatica, dall’accusa di aver pilotato nomine alla Regione Campania. A “Porta a Porta”, da Bruno Vespa, ha accusato i “servizi deviati”. «I politici si lamentano dei servizi deviati solo quando a deviarli sono gli altri: quando li deviano loro non si lamentano affatto», dichiara Carpeoro, studioso di simbologia e autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, uscito nel 2016. «Mastella sa molto bene come funziano i servizi segreti: conosce bene tutti i meccanismi e ha ben poco da imparare, sotto questo profilo», continua Carpeoro. «Mi piacerebbe che i politici imparassero che non è che le cose sono sbagliate solo quando le fanno gli altri. Le cose, se sono sbagliate, sono sbagliate: non le devono fare loro, come non le devono fare gli altri». Mastella? «Ha deviato su tante cose i servizi segreti. Non dico che quello che adesso ha subito sia giusto. Credo che faccia parte di un meccanismo – ingiusto – che ha contribuito anche lui a creare, e che forse – quando gli faceva comodo usufrirne – avrebbe dovuto cercare di cambiare».
    Carpeoro imputa anche a Mastella «tutte quelle simpatiche operazioni degli anni ‘80 e ‘90, a cominciare da quelle che hanno interessato Tangentopoli: Mastella c’è stato dentro, in pieno». E poi, anni dopo, «tutte le operazioni dei servizi segreti innestate nella guerra con Berlusconi», guerra di cui proprio Mastella «è stato uno dei gangli operativi, visto che con la sua mini-scissione, assieme a Casini» (cui poi si aggiunge anche Fini) «nell’arco di vent’anni si è prestato a manovre molto losche». Magari Berlusconi «se le meritava», ma siamo alla solita storia, dice Carpeoro: «Non c’è un meglio e un peggio, io non sono in grado di giudicare eticamente se uno è meglio di un altro: questi si fanno la guerra con tutti i mezzi, quegli stessi mezzi che poi criticano quando ne finiscono vittime». Anche Matteo Renzi, per fare un esempio, messo alla berlina per i maxi-appalti del caso Consip. C’è chi parla di indagini addirittura a scopo eversivo? «La realtà è molto più pietosa», taglia corto Carpeoro: «Renzi aveva cercato – per poi fare le stesse cose che hanno fatto altri, prima di lui – di mettere interamente le mani sui servizi segreti», nomimando per il controllo dell’intelligence il fedelissimo Marco Carrai, «e accentrando tutti i poteri su di lui». Missione complicata: chiaramente, con tanti interessi in gioco e altrettante strutture, «quella parte dei servizi che non voleva stare completamente sotto Renzi si è attivata e ha cercato di non farsi “possedere”».
    Per Carpeoro, quella che spiega il caso Consip «è una verità molto semplice, molto elementare». Retroscena: la «piccola guerra» scoppiata due anni fa, quando Renzi voleva unificare servizi d’intelligence e informatici. «Chiaramente, chi non aveva interesse che Renzi avesse questa gestione, per motivi ugualmente comprensibili rispetto a quelli a cui Renzi tendeva, si è attivato per evitare tutto questo: è una guerra tra di loro». Oggi a te, domani a me, dal Pd alla Lega: sulle prime pagine campeggia la notizia del blocco dei conti correnti del Carroccio, con Salvini che parla di “democrazia a rischio”. Niente di strano, dice Carpeoro: è solo diventata esecutiva la parte patrimoniale di una sentenza ormai definitiva (condannati ex segretario ed ex tesoriere). «Le strutture burocratiche hanno scoperto che la Lega stava svuotando i conti, e allora hanno messo in atto dei provvedimenti cautelari: se scopri che rischi di non trovare i soldi, fai i sequestri». E la figura di Salvini? «E’ quella di un paraculo», dice Carpeoro, «perché Salvini viene da un partito che è andato col cappio, in Parlamento, e adesso non vuole pagare i soldi che ha rubato».
    Salvini “paraculo”? E la sbandierata “discontinuità” con la Lega di Bossi? «Con la scusa della discontinuità, in Italia si sono fatte le meglio porcherie», aggiunge Carpeoro: «Nell’89 Occhetto ha fatto il partito nuovo e ha creato la discontinuità per cui i comunisti non dovevano pagare se avevano preso i soldi dai russi, mentre gli altri hanno pagato per aver preso i soldi da altre parti». Fuor d’ipocrisia: «La discontinuità è una delle truffe italiane: Salvini, ai tempi il cui Bossi e il tesoriere della Lega facevano quelle cose, era uno dei dirigenti del partito. Adesso non può dire “c’ero, ma non sapevo”, perché lui stesso, come il suo partito, ha ripetuto per anni, in Parlamento, che Craxi “non poteva non sapere”. E adesso perché lui può non sapere?». Il campione assoluto di discontinuità oggi è il Movimento 5 Stelle, che secondo Carperoro «è stato creato per un interesse politico», ovvero: «La massoneria reazionaria e la parte americana del potere avevano interesse a cavalcare il grande dissenso del paese, o comunque a “possederlo”». Ma attenzione: non ha funzionato, le cose non sono andate come i registi occulti speravano.
    I grillini docili strumenti di poteri forti? Non esattamente: «Non è che poi il Movimento 5 Stelle è diventato questo: gli è scappato di mano, il cavallo». Tradotto: «Se c’è un Di Maio che risponde a ordini, c’è una base che invece dà continui segni di volersi ribellare a tutto questo». Quindi «il progetto non gli è riuscito», ai super-manovratori. Ci sono anche i militanti, gli elettori. Prima dei 5 Stelle, la stessa Lega Nord «è stata funzionale a fottere il sistema», dice esplicitamente Carpeoro, alludendo al crollo della Prima Repubblica. «Però poi la Lega ha avuto una sua evoluzione “di sistema”». Il Carroccio «doveva fottere il sistema e poi sparire», e invece è ancora qui (decisamente in forma, a quanto pare grazie anche a Salvini). I leader fanno i loro giochi sempre uguali: spesso sembrano pedine del potere, incasellare dentro schemi piramidali e gerarchici, che poi degenerano nello stesso modo, «configurando poteri senza responsabilità», cioè senza il coraggio di assumersi la piena responsabilità di ciò che decidono. Però poi, appunto, c’è anche la base dei partiti, fatta di cittadini. Una dicotomia che sembra fotografare i 5 Stelle: Di Maio è stato fin dall’inizio «il candidato di certi poteri, americani e di conseguenza italiani, prescelto per prendere il posto di Renzi», conclude Carpeoro. «Ma non ho mai detto che diventerà premier: esiste sempre un barlume di fiducia, nel raziocinio degli italiani».

    Da Renzi a Salvini, da Mastella a Di Maio. Non conta chi, ma cosa. E come. Un copione invariabile: «Non sono le persone a fare progetti di potere, è il potere a fare progetti sulle persone». E gli elettori, regolarmente, ci cascano. Parola dell’avvocato Gianfranco Pecoraro, alias Carpeoro, che rilegge sotto quest’ottica l’attualità italiana, persino il decreto-monstre sui vaccini obbligatori. «I partiti italiani cavalcano tutti le posizioni che gli sono convenienti». I partiti di maggioranza «hanno cavalcato i vaccini perché probabilmente sono stati finanziati dalle case farmaceutiche». Per contro, i partiti dell’opposizione cavalcano la protesta contro i vaccini «perché quello che non riscuotono sul piano economico lo vogliono riscuotere sul piano elettorale: prontissimi, quando saranno al potere, a prendere anche loro i quattrini e a cavalcare loro i vaccini», mentre «gli altri faranno l’opposto», in una perfetta inversione di ruoli. Una presa in giro spudorata: possibile che nessuno se ne accorga? Scandisce Carpeoro, in collegamento web-streaming con Fabio Frabetti di “Border Nights”: «Io mi meraviglio che gli italiani non si siano rotti i coglioni di questo gioco delle parti».

  • Sids: 300 neonati morti in Italia ogni anno, uno su mille

    Scritto il 15/9/17 • nella Categoria: segnalazioni • (2)

    Morti bianche: 300 neonati ogni anno, in Italia, muoiono “in culla”. Uno su mille. Si chiama Sids, sindrome da morte infantile improvvisa (Sudden Infant Death Syndrome). Il sistema sanitario, accusa il naturopata Marcello Pamio, sottovaluta il problema: «Poco importa se tutti i bambini morti in culla hanno sempre fatto le vaccinazioni qualche giorno o qualche settimana prima». Casi archiviati come coincidenze, fatalità. Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, la Sids «colpisce i bambini tra un mese e un anno di età», cioè nel periodo in cui vengono fatti i primi inoculi. A riferire di questa “strage silenziosa” è un giornale come “Il Gazzettino”: il 25 maggio 2016, il quotidiano di Venezia titola: “Vaccini, bimba a due mesi muore nel sonno a Torino dopo esavalente”. Sempre per l’Istituto Superiore di Sanità, «dopo le malformazioni congenite, la Sids è la causa principale di morte post-neonatale negli Stati Uniti». Secondo il National Vital Statistics Report del 2004, «l’incidenza della Sids è di circa 1,7 per mille nati vivi. Dati simili sembrano essere registrati anche in Europa. In Italia, la stima fornita dal centro di riferimento della Regione Lombardia, è di 1 su 1000 nati vivi».
    Quindi in Italia vi sarebbe un morto ogni mille bambini nati, sintetizza Pamio sul blog “Riflessioni”, in cui segnala il bugiardino del vaccino trivalente “Tripedia” per difterite-tetano-pertosse. Secondo Sanofi-Pasteur, «la percentuale di morti in culla, secondo alcuni studi osservazionali, negli Stati Uniti (periodo dal 1985 al 1991) è pari a 1,5 bambini ogni 1000 nati, mentre in Germania è di circa 0,4». Sempre dal bugiardino del trivalente Tripedia: «In uno studio caso-controllato tedesco e in uno studio di sicurezza negli Stati Uniti, su 14.971 neonati che hanno ricevuto il vaccino Tripedia ne sono morti 13». Quindi, sottolinea Pamio, 13 morti su circa 15.000 neonati significa una percentuale pari a 0,86 morti per ogni 1000 nati. «In Italia sono nati nel 2016 circa 470.000 bambini. Se la percentuale di mortalità del Tripedia è di circa 0,86/1000 nati, tenuto conto che da noi sono nati 470.000 l‘anno scorso, il vaccino se ne è portati via circa 400. Morti per cosa? Da Sids, ovviamente, ma non solo. Almeno 300 ne muoiono per Sids ogni anno, ma se teniamo conto che non è l’unica causa di morte, si fa presto ad ottenere le cifre riportate».
    Ancora il bugiardino del Tripedia segnala che «gli eventi avversi riportati durante l’uso post-approvazione del vaccino Tripedia includono: porpora trombocitopenica idiopatica, Sids, reazione anafilattica, autismo, convulsione, encefalopatia, ipotonia, neuropatia, sonnolenza e apnea». Lo dicono gli stessi produttori dei vaccino, commenta Pamio: «Lo mettono nero su bianco nel bugiardino», mentre da noi «i grandi medici e la grande scienza ufficiale negano con tutte le forze e con ogni mezzo la correlazione tra vaccini-autismo e la correlazione tra vaccini-Sids. Beata ignoranza e soprattutto malafede, e intanto i bambini continuano a morire». Pamio definisce “olocausto” la morte in massa dei neonati, e sollecita un’azione legale, da parte della magistratura, per accertare eventuali responsabilità delle autorità italiane, per esempio «il ministro della salute, il direttore dell’Istituto Superiore di Sanità e il direttore dell’Aifa, nonché il presidente della Repubblica che ha firmato e avvallato la conversione del decreto in legge», quello sui 10 vaccini obbligatori voluto dalla “ministra” Beatrice Lorenzin.
    Se l’Italia è un caso unico al mondo per il numero di vaccini resi obbligatori, conclude Pamio, ha viaggiato a lungo in direzione esattamente opposta (e con ottimi risultati) il Giappone, che ha cambiato il calendario d’inizio per la vaccinazione «spostandolo dai tre mesi a due anni». Risulato: «Subito il loro tasso di Sids è crollato. Come mai?». E’ un fatto: al ritardo della vaccinazione “trivalente” Dpt (difterite-pertosse-tetano) posticipata all’età successiva ai 2 anni, ha corrisposto «un drastico calo di effetti collaterali». Nel periodo 1970-1974, quando la vaccinazione Dpt veniva effettuata dai 3 a 5 mesi di età, il Giappone erogò indennizzi per ben 57 casi gravi di bambini danneggiati da vaccino (danni permanenti) e 37 bambini morti. Durante il periodo 1975-1980, quando le iniezioni di Dpt venivano effettuate in ritardo, le gravi reazioni al vaccino sono state ridotte a un totale di tre morti. Il che significa una enorme riduzione – dall’85 al 90% – dei casi più gravi di danni, fino alla “morte bianca”. E ancora: «Nel 1988 il governo giapponese raccomandò la non-vaccinazione fino a due anni di età». La Sids però è ricomparsa, anche in Giappone, «da quando il governo è tornato a raccomandare le vaccinazioni a tre mesi», come afferma la dottoressa Viera Scheibner sul “New England Journal of Medicine”.

    Morti bianche: 300 neonati ogni anno, in Italia, muoiono “in culla”. Uno su mille. Si chiama Sids, sindrome da morte infantile improvvisa (Sudden Infant Death Syndrome). Il sistema sanitario, accusa il naturopata Marcello Pamio, sottovaluta il problema: «Poco importa se tutti i bambini morti in culla hanno sempre fatto le vaccinazioni qualche giorno o qualche settimana prima». Casi archiviati come coincidenze, fatalità. Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, la Sids «colpisce i bambini tra un mese e un anno di età», cioè nel periodo in cui vengono fatti i primi inoculi. A riferire di questa “strage silenziosa” è un giornale come “Il Gazzettino”: il 25 maggio 2016, il quotidiano di Venezia titola: “Vaccini, bimba a due mesi muore nel sonno a Torino dopo esavalente”. Sempre per l’Istituto Superiore di Sanità, «dopo le malformazioni congenite, la Sids è la causa principale di morte post-neonatale negli Stati Uniti». Secondo il National Vital Statistics Report del 2004, «l’incidenza della Sids è di circa 1,7 per mille nati vivi. Dati simili sembrano essere registrati anche in Europa. In Italia, la stima fornita dal centro di riferimento della Regione Lombardia, è di 1 su 1000 nati vivi».

  • Chi comanda il mondo: ecco il Council on Foreing Relations

    Scritto il 14/9/17 • nella Categoria: segnalazioni • (10)

    Ha un potere immenso, spesso evocato ma mai visibile. E’ il Cfr, Council on Foreign Relations, potentissimo think-tank mondialista fondato negli Usa nel lontano 1921 da John Davis, allora a capo della super-banca Jp Morgan. «Il denaro erogato per la costituzione di questa organizzazione fu fornito dalla famiglia Rockefeller, da Jp Morgan, Bernard Baruch, Otto Kahn, Jacob Schiff, Paul Warburg, le stesse persone coinvolte nella fondazione della Federal Reserve», ricorda “AgoraVox”. Rappresenta il nuovo ordine mondiale pienamente realizzato, quello del business neoliberista, grazie alla globalizzazione universale e ai suoi politici di complemento, tra cui gli italiani Amato e Prodi, D’Alema, Emma Bonino. «Quello del Cfr è un salotto che conta davvero, attraverso il quale, finora inutilmente, Matteo Renzi ha tentato di essere introdotto nel network supermassonico internazionale», sostiene Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni”, uscito a fine 2014. «Il Cfr è un salotto tecnicamente paramassonico, cioè fondato da massoni ma aperto a non-massoni, e di chiaro orientamento neo-conservatore e neo-aristocratico».
    Il Cfr mtte insieme finanza, grande industria, politica, editoria, università, magistrati e militari. In altre parole, “suggerisce” le linee-guida della politica internazionale, sulla base degli studi prodotti dai suoi analisti, finanziati dal super-capitale. Tra gli attuali finanziatori, segnala “AgoraVox”, figurano colossi finanziari come American Express, American Security Bank, Chase Manhattan Bank, e poi McKinsey, Manufacturers Honover Trust, Coopers & Librand, Hill & Knowlton, e – fino al 2011 – anche Lehman Brothers. Accanto ad essi, compaiono più importanti marchi industriali del mondo. Tra questi Coca Cola e Pepsi Cola, Rjr Nabisco (tabacco), le multinazionali del cibo (Cargill, Archer Daniel Midland), il gigante pubblicitario Young & Rubicam, quindi la Itt telecomunicazioni e primattori della farmaceutica (Johnson & Johnson, Glaxo Smithkline Beecham). Senza contare Elf, Mobil ed Exxon (petrolio), Volvo Usa e General Motors, General Electric, Salomon e Levi’s, più l’italiana Finmeccanica.
    Folta, nel board europeo, la presenza di connazionali: da Giampiero Auletta Armenise della Rothschild Bank a Marta Dassù (Aspen, Aspenia, governi Monti e Letta), passando per Franco Frattini, il renziano Sandro Gozi, la presidente Rai Monica Maggioni, l’europarlamentare Pd Alessia Mosca, Lapo Pistelli (Eni). Ci sono due ambasciatori – Pasquale Salzano (Qatar) e Stefano Sannino (Spagna) – più politici come Lia Quartapelle e il sottosegretario agli esteri Vincenzo Amendola, entrambi del Pd, nonché Marco Margheri (Edison), Nicolò Russo Perez (Compagnia di San Paolo) e Giuseppe Scognamiglio (Unicredit), la finanziera Luisa Todini e Nathalie Tocci, direttrice dell’Istituto Affari Internazionali. Tra i big europei figurano il francese Pierre Moscovici, “ministro delle finanze” della Commissione Europea, il tedesco Joschka Fischer, già ministro degli esteri e vice di Gerhard Schröder, l’ex presidente finlandese Martti Ahtisaari, il greco George Papandreou (già primo ministro), l’inglese Timothy Garton Ash (Oxford) e due spagnoli, Joaquín Almunia (vicepresidente della Commissione Ue) e l’intramontabile Javier Solana, già “ministro degli esteri” Ue ed ex segretario generale della Nato.
    «Perchè pochissime persone conoscono il Cfr?», si domanda “AgoraVox”, ricordando che ne hanno fatto parte anche Angela Merkel e Tony Blair, il sovrano svedese Carl Gustav XVI nonché Bill Clinton e Margaret Thatcher, insieme a Mario Draghi, Berlusconi, George W. Bush, Corrado Passera, Gianni Riotta, Giulio Tremonti e Marco Tronchetti Provera. Insieme a strutture istituzionali (Fmi, Banca Mondiale e Bis, Bank of International Settlements) nonché organismi paralleli di vertice, dalla Commissione Trilaterale al Gruppo Bilderberg, il Council on Foreign Relations, al pari del suo corrispettivo inglese (Chatam House, “The Royal Institute of International Affairs) rappresenta il massimo punto d’incontro, in Occidente, tra economia, finanza e politica. Un super-salotto, dove si affronta in anticipo qualsiasi risvolto geopolitico, per poi “indirizzare” in modo preciso i vari leader locali, quelli che poi gli elettori voteranno, giudicandoli in base agli slogan delle loro campagne elettorali nazionali.

    Ha un potere immenso, spesso evocato ma mai visibile. E’ il Cfr, Council on Foreign Relations, potentissimo think-tank mondialista fondato negli Usa nel lontano 1921 da John Davis, allora a capo della super-banca Jp Morgan. «Il denaro erogato per la costituzione di questa organizzazione fu fornito dalla famiglia Rockefeller, da Jp Morgan, Bernard Baruch, Otto Kahn, Jacob Schiff, Paul Warburg, le stesse persone coinvolte nella fondazione della Federal Reserve», ricorda “AgoraVox”. Rappresenta il nuovo ordine mondiale pienamente realizzato, quello del business neoliberista, grazie alla globalizzazione universale e ai suoi politici di complemento, tra cui gli italiani Amato e Prodi, D’Alema, Emma Bonino. «Quello del Cfr è un salotto che conta davvero, attraverso il quale, finora inutilmente, Matteo Renzi ha tentato di essere introdotto nel network supermassonico internazionale», sostiene Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni”, uscito a fine 2014. «Il Cfr è un salotto tecnicamente paramassonico, cioè fondato da massoni ma aperto a non-massoni, e di chiaro orientamento neo-conservatore e neo-aristocratico».

  • Se il popolo di Vasco marciasse contro il governo zootecnico

    Scritto il 08/9/17 • nella Categoria: Recensioni • (24)

    Accorrono in 220.000 al concerto oceanico di Vasco, ma nessuno che muova un dito contro il “governo zootecnico mondiale”, ovvero «la riduzione del cittadino a pollame». Maurizio Blondet commenta così l’ultimo lavoro editoriale dell’avvocato Marco Della Luna, “Oltre l’agonia”, ovvero “Come fallirà il dominio tecnocratico dei poteri finanziari” (Arianna Editrice). I giovani ipnotizzati dal Blasco? «Dico: pensate se fossero capaci di farlo per uno scopo politico. Se arrivassero in 220.000 a Roma, una volta, per protestare contro la sottrazione di diritti come cittadini, lavoratori, elettori. Che so, contro le vaccinazioni come inaudita “pretesa dello Stato, giuridicamente obbligatoria, di metterci dentro sostanze di cui non sappiamo la composizione”, manco fossimo animali», oppure «contro l’immigrazione senza limiti al costo di 4,5 miliardi l’anno, mentre “in Italia gli indigenti sono passati in 5 anni da 1,5 e 4 milioni”». Si potrebbe protestare, «per un insieme di scelte politico-economiche “assurde”, ostinatamente imposte dalle oligarchie nonostante i “risultati rovinosi”, il che “non può essere accidentale ma il prodotto di un sistema progettato, implementato e difeso”».
    Bisognerebbe «gridare che le mitiche speranze dell’europeismo sono state tradite», e che «nel mondo reale, il liberismo di mercato non ha gli effetti promessi dal modello ideale, ossia che il mercato non è “libero” ma gestito da cartelli: non tende a evitare o assorbire le crisi, ma le genera e amplifica», onde «non a distribuire le risorse, ma concentrarle in mano a pochi monopolisti». E’ un sistema che «dissolve la società invece di renderla più efficiente», anzi «dissolve l’idea stessa dell’uomo», scrive Della Luna. «Se i giovani per una volta dormissero all’addiaccio, pagassero i trasporti verso Roma, si comportassero per qualche giorno da soldati politici – dice Blondet nel suo blog – farebbero paura al governo che ci è stato imposto dalla Banca Centrale e da Bruxelles, ai parlamentari che dipendono dalle lobbies e comitati d’affari, e che hanno svenduto l’Italia, le sue industrie e la sua sovranità agli interessi stranieri». Della Luna, annota Blondet, è stato «il primo in Italia ad avvertirci che il capitalismo terminale globale fa soldi non più producendo merci ma bolle finanziarie per poi farle scoppiare: non ha più bisogno di lavoratori, produttori, operai, eserciti di massa – né quindi di mantenere sani, efficienti, istruiti, men che meno prosperi e soddisfatti i popoli». Non servono più, i popoli, e neppure i consumatori (risale infatti al 2010 il suo saggio “Oligarchie per popoli superflui”).
    In questo nuovo saggio, Della Luna ci avverte che il sistema è entrato in una fase ulteriore e più letale, anti-umana. Ormai persino il profitto finanziario «ha perso importanza, sia come scopo che come mezzo». Basta ricordare «le migliaia di miliardi che le banche centrali (appartenenti alla finanza privata) creano dal nulla per  mantenere a galla il sistema, mettendoli a disposizione di chi comanda in misura illimitata». E il denaro creato dal nulla «genera un flusso di cassa positivo, ossia un reddito, che la banca incassa, ma su cui non paga le tasse», perché a pagare sono i contribuenti. Della Luna giunge a preconizzare perfino «il tramonto della finanza», inteso come «sistema di dominio della società». Un tramonto che però non coinciderà con la nostra liberazione: è già in arrivo «il dominio diretto e materiale sulla società», attraverso la «gestione coercitiva del demos, potente e unilaterale, e insieme non responsabile delle scelte verso i suoi amministrati». Questo nuovo potere, «non diversamente dalla zootecnia», non è responsabile verso gli animali che “alleva”, cioè noi. Governo zootecnico: «L’allevamento-condizionamento di masse umane per l’utilità degli allevatori». Già lo fanno per via mediatica, «restringendo e omogeneizzando le rappresentazioni che gli umani hanno della realtà».
    Di fatto, continua Della Luna, stanno già «tabuizzando e psichiatrizzando il dissenso e la contro-informazione», fino a renderla penalmente perseguibile. Lo fanno con “la Buona Scuola”, l’attuale sistema educativo congegnato in modo da non sviluppare facoltà cognitive, né l’attenzione sostenuta, né la capacità di auto-dominio: è il metodo perfetto per «produrre persone deboli, dipendenti, condizionabili, incapaci di opporsi». Non si tratta di risultati fallimentari e ideologie erronee. Al contrario, dice Della Luna: sono effetti perseguiti deliberatamente per «semplificare» l’uomo, standardizzandolo in vista dell’allevamento zootecnico. «Impressionante – aggiunge Blondet – è l’esempio che fa della scomparsa della borghesia produttiva, culturalmente vivace e reattiva, rovinata dalle crisi deflattive continue e dal fisco rapacissimo». Non è un caso malaugurato. E’ che «la piramide sociale va interrotta lasciando uno spazio vuoto sotto il suo apice», il famigerato 1% che concentra l’80% delle ricchezze, «così che l’apice sia al sicuro dalle scalate (mobilità verticale) e dagli attacchi delle classi intermedie erudite».
    L’obiettivo del vertice è «realizzare tra l’oligarchia e i popoli la medesima distanza e differenziazione qualitativa che c’è tra l’allevatore e gli animali allevati», secondo il modello zootecnico. «Nella chiave del governo zootecnico – scrive Blondet – diventano perfettamente spiegabili la plurivaccinazione obbligatoria dei cuccioli», cioè bambini. Se fossimo cittadini, e non polli d’allevamento, dovremmo rifiutare «la potestà giuridica di immettere nel corpo della gente sostanze attive», fra cui quelle basate su nanotecnologie e biotecnologie, «e molte di esse coperte da segreto militare o commerciale», rileva Della Luna. Sempre nella prospettiva dell’allevamento zootecnico acquista senso anche «il dogma dell’accoglienza e della mescolanza dei popoli», imposto come «evidente, dimostrato», presentando chi li contraddice come «irragionevole, malintenzionato, pericoloso, immorale». La verità è che, oltre ad essere in Italia un business, il «circuito dell’affarismo parassitario» che succhia denaro pubblico, il “dogma” pro-migranti «ha perfettamente senso dal punto di vista dell’allevatore: la trasformazione dall’alto del popolo, il popolo-bestiame, imponendo l’immigrazione sostitutiva delle popolazioni nazionali» nello stesso modo in cui l’allevatore inserisce nella stalla nuovi tori e nuove fattrici, per “migliorare la razza”.
    L’immigrazione caotica è anti-economica, diminuisce l’efficienza della società e costa moltissimo? Infatti, conferma l’autore: ciò dimostra che «la comprensione economicistica del divenire attuale è palesemente scavalcata». Quando la casta politica-amministrativa «lascia senza tetto e senza cibo i cittadini italiani mentre alloggia gli immigrati in alberghi a tre e quattro stelle», scrive Della Luna, quel che attua è «l’annullamento programmatico del concetto di cittadino come titolare di diritti specifici verso la sua polis», cioè «l’annullamento del “demos”, ossia del “popolo” come entità politica, padrona collettivamente delle proprie scelte». Un modello che «non implica affatto pace, sicurezza, efficienza per le popolazioni, esattamente come non le implica il modello zootecnico». Per gli allevatori, gli animali allevati «sono solo fonte di utilità; non hanno diritti né dignità riconosciuta». Dalla robotizzazione dell’industria all’elemosina elettorale degli 80 euro di Renzi: «La mancanza di redditi e servizi sicuri, la dipendenza da interventi anno per anno, rende queste masse sempre più passive, remissive», dunque «politicamente inattive». Ecco lo scopo.
    Se infatti il “capitalismo finanziario terminale” tende a «togliere alla gente tutto il reddito e tutti i risparmi disponibili», facendo passare a tutti la voglia di pagare le tasse, “lorsignori” sanno come scongiurare la possibile rivolta: «Contrariamente a quel che fa credere la narrativa hollywoodiana – scrive Blondet – le rivoluzioni non le fanno gli affamati», in coda alle mense della Caritas, ma «le classi emergenti nella prosperità», pronte a reclamare diritti politici. «Quelli con la pancia vuota sono passivi e remissivi, aspettano il bonus da 80 euro; i giovani passano da un precariato all’altro e non avranno mai una pensione sufficiente a farli sopravvivere: dunque pietiranno dallo Stato interventi, che saranno anno per anno,  incerti, caritativi». Siamo ormai al “precariato ontologico”, lo stato nel quale puntano a ridurci come condizione naturale. La precarietà «assunta a paradigma normativo» ormai è la condizione standard dei giovani: uno “stipendio” da 450 euro al mese o, in alternativa, l’emigrazione in Nord Europa. «Siete già precari ontologici?», conclude Blondet, rivolgendosi ai giovani. «Per Vasco l’avete fatta, la marcia su Modena. Ne rifarete un’altra per rifiutare il governo zootecnico?».

    Accorrono in 220.000 al concerto oceanico di Vasco, ma nessuno che muova un dito contro il “governo zootecnico mondiale”, ovvero «la riduzione del cittadino a pollame». Maurizio Blondet commenta così l’ultimo lavoro editoriale dell’avvocato Marco Della Luna, “Oltre l’agonia”, ovvero “Come fallirà il dominio tecnocratico dei poteri finanziari” (Arianna Editrice). I giovani ipnotizzati dal Blasco? «Dico: pensate se fossero capaci di farlo per uno scopo politico. Se arrivassero in 220.000 a Roma, una volta, per protestare contro la sottrazione di diritti come cittadini, lavoratori, elettori. Che so, contro le vaccinazioni come inaudita “pretesa dello Stato, giuridicamente obbligatoria, di metterci dentro sostanze di cui non sappiamo la composizione”, manco fossimo animali», oppure «contro l’immigrazione senza limiti al costo di 4,5 miliardi l’anno, mentre “in Italia gli indigenti sono passati in 5 anni da 1,5 e 4 milioni”». Si potrebbe protestare, «per un insieme di scelte politico-economiche “assurde”, ostinatamente imposte dalle oligarchie nonostante i “risultati rovinosi”, il che “non può essere accidentale ma il prodotto di un sistema progettato, implementato e difeso”».

  • Vaccinisti di tutto il mondo unitevi: ecco la Gavi di Bill Gates

    Scritto il 07/9/17 • nella Categoria: segnalazioni • (Commenti disabilitati)

    «Esiste, in questo nostro mondo globalizzato, anche una “alleanza globale per i vaccini”, di nome Gavi». Essendo globale ha un nome inglese, “Global Alliance for Vaccines and Immunisation”. E’ fuori da ogni controllo pubblico, fondata nel 2000 dalla “Bill and Melinda Gates Foundation” con l’obiettivo di “incrementare l’accesso a vaccini nuovi e sottoutilizzati” per i bambini che vivono nei paesi poveri. I vaccini “nuovi”, scrive Sonia Savioli, ormai compaiono a un ritmo sempre più incalzante, e che siano sottoutilizzati lo decidono loro. «Loro chi? Gavi sta a Ginevra, dice di collegare settore pubblico e privato (traduzione: il pubblico sono gli Stati che pagano, il privato le industrie farmaceutiche che vendono). Ma ci sono anche le agenzie Onu e le Ong, che finanziano o sono finanziate, in questa superalleanza. E cioè, sempre gli Stati che pagano, con le nostre tasse». Nel gennaio 2000, la Fondazione Gates spese 750 milioni di dollari (deducibili dalle tasse) per creare Gavi. Scopo dichiarato, non solo di “reperire risorse finanziarie” per i vaccini già presenti sul mercato, ma anche per crearne di nuovi, «i quali permetteranno di reperire nuove e ingenti risorse finanziarie a chi li fa e li vende». Altro obiettivo dichiarato: «Arrivare a farli pagare, i vaccini, ai governi delle nazioni “in via di sviluppo”».
    E chi c’è a dirigere questa “Alleanza per i vaccini” che dice di volere il bene dei bambini dei paesi poveri? A tirare le fila, scrivela Savioli sul “Cambiamento”, è Ngozi Okonjo Iweala, una robusta signora nigeriana con un curriculum impressionante: già ministra delle finanze e degli esteri nel governo nigeriano, prima ancora direttrice della Banca Mondiale, ora siede nella dirigenza della Fondazione Rockfeller. «Si vede che la signora ha una marcia in più. E il quotidiano britannico “The Guardian”, infatti, la definisce “una speranza per l’Africa”». Non è il solo: un coro di lodi viene cantato attorno alla ex ministra nigeriana. «Gli unici che nel coro stonano un po’, peccato, sono proprio i nigeriani», che nel 2016 chiedevano conto alla signora Ngozi Okonjo – attraverso l’Alta Corte federale di Lagos – di 30 bilioni di naira (moneta locale, pari a 130 miliardi di euro) scomparsi dai bilanci statali quand’era al dicastero delle finanze. Poi, sempre nel 2016, una richiesta di indagine su di lei inviata alla Icc (Corte Criminale Internazionale) per uno scandalo di traffico di armi ammontante a due miliardi e rotti, questa volta di dollari.
    Tra i sommi dirigenti di Gavo, continua Sonia Savioli, c’è anche David Sidwell, una specchiata carriera di banchiere internazionale tra Morgan Stanley, Jp Morgan e Ubs. «Del resto, la Gavi non fa mistero della sua propensione finanziaria». A parte il bla-bla sul salvare i bambini, quando si passa alle cose serie ecco come presenta se stessa ai suoi “clienti”. Il titolo è “Il modello affaristico Gavi”, che “raccoglie la domanda dei paesi poveri, e invia ai produttori un chiaro segnale che vi è un ampio mercato percorribile per i vaccini” e “Il sostegno dei donatori… renderà possibile per i produttori fare nuovi investimenti per aumentare la produzione”. Gavi si impegna anche a “migliorare la salute del mercato dei vaccini fino a far sì che la produzione incontri la richiesta”, lavora affinché “siano ridotti al minimo i rischi per i fornitori” e si adopera anche per procurare ai “produttori” “risorse, informazioni e incentivi per superare gli impedimenti ed entrare e competere nel mercato”. «Come azienda non c’è male», chiosa Savioli. «Noi italiani possiamo testimoniare che hanno fatto un buon lavoro».

    «Esiste, in questo nostro mondo globalizzato, anche una “alleanza globale per i vaccini”, di nome Gavi». Essendo globale ha un nome inglese, “Global Alliance for Vaccines and Immunisation”. E’ fuori da ogni controllo pubblico, fondata nel 2000 dalla “Bill and Melinda Gates Foundation” con l’obiettivo di “incrementare l’accesso a vaccini nuovi e sottoutilizzati” per i bambini che vivono nei paesi poveri. I vaccini “nuovi”, scrive Sonia Savioli, ormai compaiono a un ritmo sempre più incalzante, e che siano sottoutilizzati lo decidono loro. «Loro chi? Gavi sta a Ginevra, dice di collegare settore pubblico e privato (traduzione: il pubblico sono gli Stati che pagano, il privato le industrie farmaceutiche che vendono). Ma ci sono anche le agenzie Onu e le Ong, che finanziano o sono finanziate, in questa superalleanza. E cioè, sempre gli Stati che pagano, con le nostre tasse». Nel gennaio 2000, la Fondazione Gates spese 750 milioni di dollari (deducibili dalle tasse) per creare Gavi. Scopo dichiarato, non solo di “reperire risorse finanziarie” per i vaccini già presenti sul mercato, ma anche per crearne di nuovi, «i quali permetteranno di reperire nuove e ingenti risorse finanziarie a chi li fa e li vende». Altro obiettivo dichiarato: «Arrivare a farli pagare, i vaccini, ai governi delle nazioni “in via di sviluppo”».

  • Ma ormai la gente sa che non può fidarsi di questi vaccini

    Scritto il 14/8/17 • nella Categoria: idee • (4)

    Ora che l’infame capitolo sul decreto Lorenzin si è concluso, possiamo trarre alcune riflessioni. La prima è la seguente: la vera “notizia” di oggi non è tanto che il decreto sia stato finalmente convertito in legge, quanto piuttosto il fatto che alcuni parlamentari del Pd siano stati “aggrediti dagli attivisti No-vax”. Ovviamente, per chi abbia visto il video dell’episodio, non si è trattato affatto di un’aggressione vera e propria, come vorrebbero descriverla i nostri giornalisti. Ma naturalmente questa “succulenta notizia” riesce a prevalere su quella più importante – l’approvazione definitiva della legge – e questo la dice lunga su come siano schierati i pennivendoli del mainstream. La seconda riflessione è a più ampio respiro, e riguarda l’intera battaglia sui vaccini, che molti di noi hanno combattuto fin dall’inizio. Furono infatti i David Gramiccioli, i Marcello Pamio, i Massimo Mazzucco, e moltissimi altri insieme a noi, a denunciare la pericolosità dei vaccini fin dall’inizio dell’era di Internet. E quello che sta succedendo oggi, in realtà non è che la conseguenza di questa battaglia iniziata 15 anni fa.
    Cerco di spiegarmi meglio: se ben ricordate, questa recente offensiva sul vaccini è iniziata, circa un anno fa, al grido generalizzato del mainstream che “le percentuali di gente vaccinata si stanno abbassando pericolosamente!”. E’ sulla base di questo mantra che è partita la contro-reazione da parte di Big Pharma. Ebbene, questo calo nelle percentuali di cittadini vaccinati non è stato certamente un caso, ma è stato la diretta conseguenza del fatto che in Internet abbiano iniziato a circolare, da 15 anni a questa parte, informazioni alternative sulla sicurezza dei vaccini. La gente ha smesso di vaccinare i figli “in automatico” nel momento in cui ha iniziato a capire i rischi a cui andava incontro. In un certo senso, quindi, siamo noi stessi che abbiamo diffuso queste informazioni ad essere “responsabili” per il giro di vite è stato imposto di recente alla popolazione, con l’introduzione dell’obbligo vaccinale. In altre parole, se non ci fosse stata la diffusione capillare di informazioni alternative in rete sulla pericolosità dei vaccini, molto probabilmente non saremmo mai arrivati ad una situazione in cui Big Pharma dovesse sentire la necessità di imporre l’obbligo vaccinale.
    C’è però un fatto a nostro favore, ed è questo lo sguardo a lungo termine che vorrei proporre: tutto ciò che abbiamo imparato sui vaccini negli ultimi 15 anni non si può più disimparare. Una volta che hai capito una cosa non puoi più tornare indietro: la sai e basta. Tutte le persone quindi che hanno acquisito la consapevolezza dei rischi collegati alle vaccinazioni ormai non tornano più indietro. Queste persone costituiscono uno zoccolo duro che nel futuro non potrà che andare ad aumentare, visto che anche le informazioni sui pericoli da vaccino sono disponibili ormai a tutti, e non potranno più essere cancellate. E quindi, la misura dell’obbligo che oggi potrebbe sembrare sufficiente a Big Pharma, un domani non lo sarà più. È solo questione di raggiungere la massa critica. Ma indietro non si torna.
    (Massimo Mazzucco, “Vaccini: si chiude un capitolo. Quale sarà il prossimo?”, dal blog “Luogo Comune” del 28 luglio 2017).

    Ora che l’infame capitolo sul decreto Lorenzin si è concluso, possiamo trarre alcune riflessioni. La prima è la seguente: la vera “notizia” di oggi non è tanto che il decreto sia stato finalmente convertito in legge, quanto piuttosto il fatto che alcuni parlamentari del Pd siano stati “aggrediti dagli attivisti No-vax”. Ovviamente, per chi abbia visto il video dell’episodio, non si è trattato affatto di un’aggressione vera e propria, come vorrebbero descriverla i nostri giornalisti. Ma naturalmente questa “succulenta notizia” riesce a prevalere su quella più importante – l’approvazione definitiva della legge – e questo la dice lunga su come siano schierati i pennivendoli del mainstream. La seconda riflessione è a più ampio respiro, e riguarda l’intera battaglia sui vaccini, che molti di noi hanno combattuto fin dall’inizio. Furono infatti i David Gramiccioli, i Marcello Pamio, i Massimo Mazzucco, e moltissimi altri insieme a noi, a denunciare la pericolosità dei vaccini fin dall’inizio dell’era di Internet. E quello che sta succedendo oggi, in realtà non è che la conseguenza di questa battaglia iniziata 15 anni fa.

  • Ma la Terra era felice, quando ancora non esisteva il lavoro

    Scritto il 27/7/17 • nella Categoria: idee • (15)

    Contrariamente a una idea diffusa ad arte dai centri di condizionamento dello spettacolo moderno, il lavoro non è una catastrofe naturale. È un male sociale, il cui falso rimedio, la disoccupazione, fa peggiorare il cattivo stato del paziente e talvolta lo finisce. Consideriamo per prima cosa le origini del lavoro. Si sa che in tutte le lingue il termine deriva da strumenti di tortura o che è sinonimo di sofferenza, sforzo estenuante, pena e afflizione. La Bibbia ne fa la punizione divina e i miti universali parlano di una età dell’oro originale, indenne dall’obbligo del lavoro. È proprio ciò che hanno confermato le serie ricerche sulla preistoria condotte da Marshall Sahlins. Il cacciatore-raccoglitore, prima dell’invenzione dell’agricoltura, delle classi e dello Stato, non lavorava; si dedicava alle libere attività dell’essere umano, che consistevano nel cacciare e raccogliere, mangiare, dormire, godere e viaggiare. Il lavoro inizia storicamente con il dominio di un uomo sul suo simile, di una classe su un’altra. Si tratta sempre di una classe improduttiva (preti e possidenti) che condanna al lavoro una classe produttrice e ne accaparra la produzione…
    Dominio e sfruttamento sono una sola ed unica cosa. Ciò che separa la libera attività dal massacrante lavoro consiste quindi nella accumulazione di frutti dell’attività di un individuo che si trova costretto a produrre per qualcuno estraneo alla sua produzione e che se ne appropria. Il lavoro crea ricchezza, ma quella altrui. Così il lavoro sanziona il passaggio della libertà originale alla schiavitù, che solo di recente ha fatto posto, per soddisfare le esigenze del commercio mondale (ormai chiamato globalizzazione), alla sua versione aggravata: il salario generalizzato. Già Nicolas Linguet, filosofo dei Lumi, vedeva nella schiavitù salariata un peggioramento dell’antica schiavitù. Il lavoro non è solo l’insicurezza sociale; è soprattutto il supplizio quotidiano dell’uomo abbrutito dalla ripetizione di compiti insipidi e alienanti. Lavorare è una debolezza, quando si può farne a meno e fare qualcosa di meglio: è quanto hanno sostenuto lungo tutta la storia le élite intellettuali che disprezzavano il lavoro.
    Le raffinate civiltà dell’India, della Cina e della Grecia antiche ponevano il lavoro al di sotto di tutto. Gli indigeni delle Antille preferivano, nel Rinascimento, cessare di riprodursi piuttosto che piegarsi al lavoro imposto dagli europei; e ancora oggi nello Sri Lanka si mutilano più volentieri al fine di mendicare piuttosto che subire l’obbligo del lavoro! Del resto, tutte le lingue possiedono dei detti che rimettono il lavoro al suo posto, l’ultimo: «Lavorano solo quelli che non sanno fare altro» dicono i portoghesi, mentre i russi assicurano che «lavorando si diventa più velocemente gobbi che ricchi»! Ai giorni nostri è la miseria generale, generata dal mondo capitalista della produzione forsennata, a curvare così sovranamente la schiena dello schiavo moderno sotto questo flagello laborioso. L’ozio rimane il sogno impossibile del proletario incatenato ad orari estenuanti, sventurato, su cui incombe la precarietà.
    Il paese più “sviluppato”, gli Usa, ha compiuto un passo in più nell’abiezione creando una classe numerosa di “working poor”: la massa di coloro che devono sgobbare duro per non morire di fame, senza poter sfuggire alla fame. Infine, il lavoro è diventato la causa di tutti i mali che affliggono la società spacciata per moderna e che si trova ad essere la più degradante di tutte quelle che si sono susseguite dalla comparsa dell’uomo sulla terra. È al lavoro, ormai non solo inutile ma nocivo, che si deve l’inquinamento universale del globo terrestre ad opera dei prodotti industriali, chimici, farmaceutici, nucleari, eccetera. L’avvelenamento generalizzato dovuto al lavoro forsennato degenerato in epidemie che si credevano scomparse e le malattie da prioni sono alcuni tristi esempi. La folle logica del profitto conduce «in modo naturale» alla pazzia in massa delle mucche altrettanto funestamente che all’estinzione delle specie animali e vegetali. Sono anche le ricadute del lavorio alienato a rendere l’acqua imbevibile e l’aria irrespirabile.
    In breve, non è l’ozio ad essere il padre di tutti i vizi, è il lavoro ad essere il padre di tutte le decadenze. Mens sana in corpore sano, l’antico adagio dei nostri avi che invocano uno spirito sano in un corpo sano non può concepirsi oggi senza fare appello alle virtù della pigrizia. È l’ozio che ormai occorre riabilitare in maniera urgente, contro coloro che ci derubano del nostro tempo, contro i vampiri che ci assassinano poco alla volta nel nome del mercato e dello Stato. Bisogna considerare l’ozio come una attività creatrice, alla stregua della passione della distruzione cara a Bakunin. Per l’irrimediabile nemico di un mondo che ci conduce alla morte con la miseria del lavoro e il lavoro della miseria, l’ozio serve nel vero senso della parola la qualità del tempo ritrovato, di un presente che mira a rivalorizzare i piaceri di una vita intensamente vissuta. Morte al lavoro. Facciamola finita con la noia di un mondo laborioso!
    (Attila Toukkour, “Il lavoro? Un male sociale che possiamo curare solo con l’ozio”, dal blog “La Schiavitù del Lavoro” del 21 giugno 2017, ripreso da “La Crepa nel Muro”).

    Contrariamente a una idea diffusa ad arte dai centri di condizionamento dello spettacolo moderno, il lavoro non è una catastrofe naturale. È un male sociale, il cui falso rimedio, la disoccupazione, fa peggiorare il cattivo stato del paziente e talvolta lo finisce. Consideriamo per prima cosa le origini del lavoro. Si sa che in tutte le lingue il termine deriva da strumenti di tortura o che è sinonimo di sofferenza, sforzo estenuante, pena e afflizione. La Bibbia ne fa la punizione divina e i miti universali parlano di una età dell’oro originale, indenne dall’obbligo del lavoro. È proprio ciò che hanno confermato le serie ricerche sulla preistoria condotte da Marshall Sahlins. Il cacciatore-raccoglitore, prima dell’invenzione dell’agricoltura, delle classi e dello Stato, non lavorava; si dedicava alle libere attività dell’essere umano, che consistevano nel cacciare e raccogliere, mangiare, dormire, godere e viaggiare. Il lavoro inizia storicamente con il dominio di un uomo sul suo simile, di una classe su un’altra. Si tratta sempre di una classe improduttiva (preti e possidenti) che condanna al lavoro una classe produttrice e ne accaparra la produzione…

  • Fanta-epidemie e sciacalli: la salute rende meno dei vaccini

    Scritto il 04/7/17 • nella Categoria: idee • (41)

    «Radio e giornali continueranno a parlare di democrazia e di libertà, ma quelle due parole non avranno più senso. Intanto l’oligarchia al potere, con la sua addestratissima élite di soldati, poliziotti, fabbricanti del pensiero e manipolatori del cervello, manderà avanti lo spettacolo a suo piacere». Così Aldous Huxley in “Brave New World Rivisited”, 1958. «La vedete la cornice?», scrive Emanuela Lorenzi su “Come Don Chisciotte”, scandalizzata dall’assordante silenzio del mainstream sul decreto-mostro dei 12 vaccini obbligatori. Disinformazione: già nel 2015 si apprese a Washington che gli “untori” contagiosi potrebbero essere proprio «gli individui vaccinati di recente». Lo ricorda il Comilva, comitato per la libertà vaccinale. A tal proposito, la “guida per i pazienti” dell’ospedale John Hopkins in caso di immunodepressione raccomanda di «evitare il contatto» con i bambini appena vaccinati. Si raccomanda ad amici e familiari di «non fargli visita», se i vaccini in questione sono contro varicella, morbillo, rosolia, influenza, poliomielite e vaiolo.
    «La sanità pubblica incolpa i bambini non vaccinati per l’epidemia di morbillo di Disneyland, ma la malattia potrebbe altrettanto facilmente esser stata provocata dal contatto con un individuo vaccinato di recente», ammette Sally Fallon Morell, presidente della Fondazione Western A. Price. «Le prove indicano che individui vaccinati recentemente dovrebbero esser messi in quarantena al fine di proteggere la popolazione». Entrambi, vaccinati e non vaccinati, sarebbero a rischio esposizione da parte di chi è stato appena sottoposto a vaccino, ribadisce Emanuela Lorenzi sempre su “Come Don Chisciotte”. «I fallimenti vaccinali sono diffusi; l’immunità indotta dal vaccino non è permanente. E recenti epidemie di pertosse, parotite e morbillo hanno avuto luogo in popolazioni completamente vaccinate. Chi riceve il vaccino antinfluenzale diventa più suscettibile ad infezioni future dopo vaccinazioni ripetute».
    «Basta volerli conoscere, gli studi», aggiunge la Lorenzi: «Provano che gli “untori” possono essere i vaccinati». In più, «avendo sostituito il morbillo selvaggio con quello vaccinale e avendo modificato in modi ancora non del tutto prevedibili l’epidemiologia di una malattia ciclica quale il morbillo», si sono create «nicchie ecologiche, presto riempite da genotipi a più elevata morbilità». Sicché, «il danno della vaccinazioni di massa, che comunque non garantiscono immunizzazione a fronte di rischi invece ben documentati», sembra superare di gran lunga i presunti benefici. «La vedete la cornice?». Nulla che traspaia, ovviamente, nel dibattito italiano, dove – secondo la Lorenzi – siamo di fronte a «un regime» che non esita a «imporre un decreto folle», quello dei 12 vaccini, «scritto da Big Pharma», grazie a «multinazionali invitate a Palazzo Chigi con promessa di investimenti» e presentato «quasi direttamente dalla Glaxo nella persona di Ranieri Guerra».
    Emanuela Lorenzi accusa chi cerca di «scatenare epidemie per favorire la cupola dei vaccini che lucra sul traffico di virus». E afferma: «Dopo la falsa epidemia di meningite e la falsa epidemia di morbillo che esiste solo nelle teste di chi deve farle fruttare, la prossima sarabanda sarà magari la polio: quanti di voi sanno che ci hanno già provato in Belgio nel 2014 sversando “accidentalmente” nel fiume Lasne 45 litri di virus concentrato di polio vivo?». La Lorenzi accusa Big Pharma di «fare terrorismo e disinformazione per imporre un piano vaccinale che ricalca esattamente quello delle industrie farmaceutiche, senza neppure darsi pena di nascondere i conflitti di interesse». Insiste: vogliono sacrificare i bambini italiani «sull’altare del falso dogma vaccinale, come prime cavie di un piano mondiale», nascondendo i dati dei bambini uccisi dalle reazioni avverse, già sottostimati «grazie alla inefficace farmacovigilanza». E si può persino «arrivare a strumentalizzare», con un atto di vero sciacallaggio, «la morte di un bambino immunodepresso che, non trovando posto in oncologia, è stato messo in un reparto infettivo di pediatria dove in aprile c’era stata una “epidemia di morbillo” (ma dove qualunque infezione sarebbe stata compresa nelle 12 vaccinazioni imposte dal decreto-canaglia) incolpando persino i fratellini sani non vaccinati».
    Aggiunge Lorenzi: «Che i pianificatori vaccinali mondiali “filantropi” (Gates Foundation e Oms in primis) non abbiano scrupoli è evidente dalla lunga scia di sperimentazioni sulle bambine indiane, sia con l’anti-Hpv che con l’antipolio, che hanno portato a migliaia di bambini con paralisi flaccida postvaccinica in India (47.000 solo nel 2011), sui bambini pachistani, per non parlare dell’antimeningite A ai bambini africani (500 bambini chiusi dentro la loro scuola e costretti a ricevere un vaccino sperimentale all’insaputa dei genitori, tutti danneggiati in modo più o meno grave)». E nessuno ha pagato, nessuno ha parlato di eugenetica. Poi ci sono «le sterilizzazioni attuate negli anni 70 dalla task force sui vaccini per la regolazione della fertilità ad opera di Oms, Banca Mondiale e Fondo per la popolazione delle Nazioni Unite «La vedete la cornice?», insiste Lorenzi, che propone una sinistra cronologia di lutti. Usa, 2014: il dottor William Thompson sta per denunciare la più grossa frode scientifica ad opera dei vaccinisti di Atlanta, ma il film “Vaxxed”, che ne parla, è oggetto di censura anche in Italia. Poi scoppia la «falsa ma funzionale» epidemia di morbillo a Disneyland. Al che, la Disney-story causa l’accelerazione dell’approvazione del Senate Bill 277 proposto dai senatori Pan e Alley, «che tramite un atto di lobbismo senza precedenti (e via mazzetta di 95.000 dollari a Pan secondo il “Sacramento Bee”) impone vaccinazioni obbligatorie per tutti i bambini per accedere alle scuole pubbliche o private escludendo ogni possibilità di esenzione».
    A Bari, nel 2014 Renzi promette alle Pharma: «Noi vi garantiamo un progetto di lungo-medio periodo, invitiamo le università, le imprese a investire i territori a credere nel settore farmaceutico, perché il made in Italy non deve significare solo food e fashion ma anche settore farmaceutico». Poco dopo, Renzi va da Obama e l’Italia viene incensata come capofila della Ghsa, Global Health Security Agenda: «L’Italia – riportarono le cronache – guiderà nei prossimi cinque anni le strategie e le campagne vaccinali nel mondo». Il nostro paese, rappresentato dal ministro della salute Beatrice Lorenzin «accompagnata dal presidente dell’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) professor Sergio Pecorelli, ha ricevuto l’incarico dal Summit di 40 paesi». E’ un importante riconoscimento all’Italia, disse Pecorelli, «soprattutto in questo momento, in cui stanno crescendo atteggiamenti ostili contro i vaccini». L’Italia come battistrada pro-vax in Europa. Quindi, a ottobre 2014, Renzi raduna a Palazzo Chigi i Ceo del settore farmaceutico. Ad aprile 2016, la Gsk investe un ulteriore miliardo in Italia: leader mondiale nei vaccini con 3,7 miliardi di sterline di fatturato su 23,9 totali, è da questo settore (profittevole in due casi su 10 nel mondo) che la multinazionale britannica si aspetta una autentica escalation nei prossimi anni. Fino ad arrivare a 6 miliardi di sterline entro il 2020. «Per questo Gsk crede nell’eccellenza italiana», sottolineano le fonti ufficiali. «E in questa eccellenza continueremo a investire, chissà, forse anche di più», promette l’azienda, a patto che l’Italia saprà essere un paese «ospitale» per gli investitori.
    A giugno 2017, abbiamo finalmente la nostra Disneyland: Beatrice Lorenzin dice che «l’Austria invita a non andare a Gardaland per colpa dei mancati vaccini», come riporta “Il Gazzettino”, ma la ministra «dovrebbe ripassare la geografia», visto che a parlare non è l’Austria ma la Slovenia, precisa Emanuela Lorenzi. Solo che la notizia è falsa: né Vienna né Lubiana hanno mai fatto un’affermazione simile. «La fake news viene smentita, ma la prima boutade – come si sa – è quella che rimane impressa a supportare il “frame”». Infine, arriva il decreto legge «nazi-fascista» che impone 12 vaccini per l’accesso scolastico e pene pecuniarie, inclusa la minaccia di sospensione della responsabilità genitoriale, «con i dirigenti scolastici a fare da delatori di regime: una misura ingiustificata e coercitiva (nessuna necessità e urgenza), nonché odiosamente classista (con poteri parascientifici di eliminare l’ipotetico virus tramite pizzo di Stato) palesemente anticostituzionale (ma anche contraria a una serie di carte internazionali fra le quali la Convenzione di Oviedo, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, il mai troppo citato Codice di Norimberga che vieta sperimentazioni su esseri umani e, recentemente, la sentenza della Corte Europea per i Diritti Umani che stabilisce che le vaccinazioni obbligatorie sono lesive della vita privata dei cittadini».
    Così, il decreto «viene incredibilmente firmato da un costituzionalista come Mattarella» e la sua presunta costituzionalità «viene orwellianamente sancita dal Ministero della Verità grazie al voto favorevole di questi senatori della Repubblica di Oceania». Emanuela Lorenzi denuncia la a-scientificità del decreto, «che impone all’Italia, caso unico al mondo, uno scellerato piano vaccinale interamente firmato Glaxo», tra «frodi e sperimentazioni eugenetiche».  Di fatto, «non esistono studi di sicurezza su 12 vaccini combinati fatti a un bimbo di pochi mesi», e neppure su quelli singoli, «in quanto i vaccini sono considerati presidi di prevenzione, e non farmaci, e sono di fatto i farmaci meno sicuri al mondo testati direttamente sui bambini». Dietro alla creazione dei vaccini combinati come l’esavalente «ci sono le grasse risate di Jean Stèphane, direttore della Glaxo Smith Kline, che spiega il trucco dell’antiepatite B davanti ad una platea di dirigenti». Vaccini che «non sono fatti per fare “meno punture” al bambino, come vorrebbe la propaganda per acquietare le mamme ansiose». Si tratterebbe di sperimentazioni imprudenti, sulla pelle dei bambini, con vaccini come l’antinfluenzale il cui «fallimento» sarebbe ormai «dimostrato da studi inequivocabili».
    E mentre in Svizzera il Consiglio federale si pronuncia per il rimborso delle cure omeopatiche (ma anche della medicina cinese, antroposofica, fitoterapica) a tempo indeterminato, l’Italia «conduce una battaglia cieca nei confronti di queste medicine», visto che «la salute fa troppa concorrenza alla malattia», sottolinea Lorenzi. «Alzando lo sguardo, è slittata al Senato l’approvazione del Ceta, accordo che quasi in segreto attribuisce alle multinazionali gli stessi privilegi del più noto Ttip, consentendo loro di inibire i legislatori degli Stati citando i governi nazionali presso i tribunali sovranazionali con l’obiettivo di chiedere risarcimenti in caso di regolamentazioni avverse al loro interesse. La vedete adesso la cornice?». Tutto si tiene, a quanto pare: «Siamo noi l’investimento della Glaxo». Siamo nel “frame” di cui parla spesso Marcello Foa: è «il recinto dell’immaginario che fa da contorno a tutti i pensieri già pensati da altri e dentro il quale il gregge può muoversi belando le stesse menzogne all’infinito». Dentro al “frame” delle vaccinazioni, «la narrazione già vista assicura sudditanza financo nella sceneggiatura con i dettagli nostrani, incluso il vergognoso sciacallaggio della morte di un bambino».

    «Radio e giornali continueranno a parlare di democrazia e di libertà, ma quelle due parole non avranno più senso. Intanto l’oligarchia al potere, con la sua addestratissima élite di soldati, poliziotti, fabbricanti del pensiero e manipolatori del cervello, manderà avanti lo spettacolo a suo piacere». Così Aldous Huxley in “Brave New World Rivisited”, 1958. «La vedete la cornice?», scrive Emanuela Lorenzi su “Come Don Chisciotte”, scandalizzata dall’assordante silenzio del mainstream sul decreto-mostro dei 12 vaccini obbligatori. Disinformazione: già nel 2015 si apprese a Washington che gli “untori” contagiosi potrebbero essere proprio «gli individui vaccinati di recente». Lo ricorda il Comilva, comitato per la libertà vaccinale. A tal proposito, la “guida per i pazienti” dell’ospedale John Hopkins in caso di immunodepressione raccomanda di «evitare il contatto» con i bambini appena vaccinati. Si raccomanda ad amici e familiari di «non fargli visita», se i vaccini in questione sono contro varicella, morbillo, rosolia, influenza, poliomielite e vaiolo.

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