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Archivio del Tag ‘finanza’

  • Jobs Act, fine del lavoro e di cent’anni di progresso in Italia

    Scritto il 13/1/15 • nella Categoria: idee • (4)

    Era lecito domandarsi a che servisse togliere la tutela dell’articolo 18 a tutti i nuovi assunti, quando non si creano nuovi posti di lavoro e la disoccupazione aumenta. Il decreto natalizio del governo Renzi supera questa contraddizione. Senza che se ne fosse minimamente accennato nella discussione parlamentare sulla legge delega, il testo sfrutta al massimo l’incostituzionale mandato in bianco imposto col voto di fiducia e estende la franchigia anche al mancato rispetto delle regole sui licenziamenti collettivi. La legge 223 infatti, recependo principi e regole in vigore in tutti i paesi industriali più avanzati e sostenute con forza da tutte le organizzazioni internazionali, Onu in testa, da oltre venti anni disciplina i licenziamenti collettivi per crisi, stabilendo criteri e regole nel loro esercizio. Ad esempio essa applica un concetto principe del diritto del lavoro degli Usa, la “seniority list”. Se proprio si deve licenziare si parte dagli ultimi arrivati, dai più giovani, da coloro che non hanno carichi familiari e si risale verso le madri e gli anziani capi di famiglia. In vetta a quella lista, nelle aziende Usa sindacalizzate, stanno addirittura i rappresentanti dei lavoratori.
    In Italia non siamo così rigidi, ma il senso della regola è lo stesso. La 223 stabilisce che solo con un accordo sindacale controfirmato da una pubblica autorità si possa derogare ai criteri dell’anzianità e dei carichi familiari. Così son state definite con le aziende, da ultimo con Meridiana, le uscite dei più anziani, in grado di raggiungere la pensione con la indennità di mobilità. Se un’azienda prima del decreto Renzi avesse voluto fare licenziamenti indiscriminati di massa, avrebbe subìto un doppio danno. Avrebbe dovuto pagare consistenti penali e avrebbe rischiato la reintegra da parte di un giudice di tutti i dipendenti licenziati senza il rispetto di regole e procedure. Questo vincolo ha frenato i licenziamenti di massa, anche in una crisi senza precedenti come quella attuale. Ora viene tolto e le aziende potranno liberamente sbarazzarsi, per crisi e ragioni economiche, di lavoratrici e lavoratori che hanno l’articolo 18 e sostituirli con dipendenti precari a vita, pagati molto meno e per la cui assunzione riceveranno anche un consistente finanziamento pubblico.
    La portata reazionaria di questo decreto mostra tutta la malafede di un governo che sa perfettamente che la liberalizzazione dei licenziamenti non ha mai prodotto né mai produrrà un solo posto di lavoro aggiuntivo a quelli esistenti. Nessuno assume in più se non ha lavoro in più da far fare. Ma se viene offerta la possibilità di realizzare, a condizioni più che favorevoli, quello che le imprese chiamano il ricambio organico del personale, perché rifiutarla? Questo è lo scopo vero del Jobact: un gigantesco scambio di manodopera tra chi ha più e chi ha meno diritti e salario. Come più di cento anni fa, quando i braccianti venivano cacciati dalla terra che avevano coltivato, perché agrari e baroni reclutavano gente più povera disposta a subire condizioni peggiori. Non solo il Jobact non fa nulla contro la disoccupazione, ma anzi proprio per funzionare ha bisogno di una massa ricattabile di senza lavoro, senza i quali le sue norme resterebbero lettera morta.
    Alla fine l’occupazione complessiva sarà ancora minore, come già sapientemente prevede la Confindustria, ma quella rimasta somiglierà molto di più a quella che lavora oggi in Cina rispetto a quella che aveva conquistato diritti e dignità in Italia. Le imprese rimaste festeggeranno per i maggiori profitti, mentre il lavoro sarà sottoposto alla schiavitù di un Medio Evo tecnologico. A questo punto non serve aggiungere altre parole. Ogni atto del governo Renzi rappresenta una coerente azione di restaurazione sociale. Non si colpisce solo il lavoro, ma la scuola, la sanità, i servizi pubblici, mentre si rafforzano le spese militari. Quando si interviene, come all’Ilva, lo si fa per permettere alle multinazionali cui verrà ceduta di risparmiare i costi del risanamento e degli investimenti. Tutte le riforme politiche proposte stravolgono principi e libertà costituzionali.
    Ma a questo punto continuare a rimproverare a Renzi e a Giorgio Napolitano, che ne è il primo sostegno, di fare quello che dichiarano di voler fare non serve a niente. Il governo Renzi è la personalizzazione della distruzione della Costituzione Repubblicana, è nato e opera per questo. Rappresenta una classe dirigente italiana che ha deciso che il sistema sociale e democratico del dopoguerra non possa più essere mantenuto, di fronte ai vincoli della Troika e della finanza globale. O si contestano quei vincoli, euro compreso, o si insegue il modello del capitalismo selvaggio senza vincoli. Renzi e Napolitano hanno scelto di essere fino in fondo fedeli esecutori di quei vincoli, per questo oggi son avversari di tutto ciò che nella storia italiana ha significato progresso sociale e democratico. Renzi e Napolitano hanno scelto e chi si oppone a questa loro scelta deve essere altrettanto intransigente e rigoroso. Altrimenti la coerenza reazionaria del governo sarà la sola devastante forza in campo.
    (Giorgio Cremaschi, “Il Jobs Act e la coerenza reazionaria del governo Renzi”, da “Micromega” del 30 dicembre 2014).

    Era lecito domandarsi a che servisse togliere la tutela dell’articolo 18 a tutti i nuovi assunti, quando non si creano nuovi posti di lavoro e la disoccupazione aumenta. Il decreto natalizio del governo Renzi supera questa contraddizione. Senza che se ne fosse minimamente accennato nella discussione parlamentare sulla legge delega, il testo sfrutta al massimo l’incostituzionale mandato in bianco imposto col voto di fiducia e estende la franchigia anche al mancato rispetto delle regole sui licenziamenti collettivi. La legge 223 infatti, recependo principi e regole in vigore in tutti i paesi industriali più avanzati e sostenute con forza da tutte le organizzazioni internazionali, Onu in testa, da oltre venti anni disciplina i licenziamenti collettivi per crisi, stabilendo criteri e regole nel loro esercizio. Ad esempio essa applica un concetto principe del diritto del lavoro degli Usa, la “seniority list”. Se proprio si deve licenziare si parte dagli ultimi arrivati, dai più giovani, da coloro che non hanno carichi familiari e si risale verso le madri e gli anziani capi di famiglia. In vetta a quella lista, nelle aziende Usa sindacalizzate, stanno addirittura i rappresentanti dei lavoratori.

  • Spaventare la Francia: ieri il petroliere, oggi il banchiere

    Scritto il 12/1/15 • nella Categoria: segnalazioni • (2)

    Certo, c’è ingombro grottesco e mediatico degli jihadisti fanatici, i tagliagole che – nessuno lo ricorda mai – sono stati incoraggiati, protetti, armati e finanziati dall’Occidente e dagli alleati occidentali del Golfo. E si parla come sempre anche dell’immancabile Mossad, campione mondiale della strategia della tensione per sabotare la democrazia in ogni angolo del pianeta. Ma se il principale bersaglio della strage di Parigi fosse un banchiere? Tra le vittime freddate nella redazione di “Charlie Hebdo” c’è infatti anche il professor Bernard Maris, economista e dirigente della Banca di Francia, protagonista di una clamorosa denuncia dell’austerity europea messa in atto dall’oligarchia che tutela il sistema bancario. La morte di Maris segue di pochi mesi quella di Christope de Margerie, numero uno della Total, scomparso il 20 ottobre scorso in uno strano incidente all’aeroporto di Mosca. De Margerie era stato protagonista di un vigoroso braccio di ferro contro le sanzioni da imporre alla Russia: il capo della Total voleva il dialogo, a tutti i costi. Dialogo che lo stesso Hollande aveva provato a riaprire, proprio alla vigilia della strage di Parigi, ipotizzando la revoca delle sanzioni contro Putin.
    Marco della Luna esplora l’ipotesi della “strage al-banqaidista”, cioè compiuta come “bank aid”, come soccorso alle banche, avente come bersaglio effettivo proprio Maris. Che «mai aveva offeso Allah», ma in compenso aveva attaccato ben altre divinità, interamente europee: «Con le sue ricerche e pubblicazioni, minacciava gli interessi dei creditori-usurai (soprattutto franco-tedeschi) e l’imperialismo finanziario di Berlino in Europa, spiegando che i debiti pubblici sono ingiusti, insostenibili e vanno parzialmente condonati», Soprattutto, continua Della Luna nel suo blog, Maris «aveva confutato e ridicolizzato i dogmi della falsa fede su cui si regge il potere e il profitto dei grandi banchieri: il globalismo, il neoliberismo, la creazione privata del danaro bancario e la mancata registrazione contabile di questa creazione da parte delle banche», quindi anche «la conseguente evasione fiscale per centinaia di miliardi l’anno». Lo stesso Della Luna aveva denunciato il fenomeno in diversi saggi, insieme a Marco Saba, Carlo Sibilia, Nino Galloni e Nicoletta Forcheri: i bilanci delle banche sono falsi, perché non registrano come “attivo” la creazione monetaria.
    Lo ha dimostrato il professor Richard Werner, in un recente “paper” ufficiale della Bank of England. Werner, che insegna all’università di Southampton, spiega che i prestiti bancari avvengono senza che la banca disponga del denaro che presta, mentre la banca si presenta come intermediaria del credito, basandosi su una massa di depositi. “Smontata” da Werner anche l’altra dottrina, quella della “riserva frazionaria”, secondo cui la banca, per prestare, attingerebbe alle proprie riserve presso la banca centrale. «Che le banche creino “ex nihilo” il grosso del “money supply”», continua Della Luna, «era stato anticipato il 26 marzo scorso da un “paper” della Bank of England, che ha spiegato come le banche creino la moneta bancaria con l’atto e nell’atto del prestarla, “by lending it into existence”, non preesistendo quanto prestato all’atto del prestare». Bernard Maris, sostiene Della Luna, faceva parte di questa comunità internazionale di economisti impegnati per un risveglio democratico dell’economia in Europa, denunciando gli abusi del sistema e le menzogne del potere Ue che impone il declassamento dei cittadini, mendiante austerity e smantellamento dello Stato, privatizzazioni selvagge, precarizzazione del lavoro.
    La vittima numero uno della tenaglia europeista è lo Stato, visto come “sindacato dei cittadini”, in quanto “prestatore di ultima istanza”. Con l’euro, questa vitale funzione dello Stato è completamente disabilitata: sono solo le banche a “creare denaro dal nulla”, denaro che però non è più “pubblico”, è privato, costa carissimo (debito pubblico) e arricchisce soltanto l’élite finanziaria. Bernard Maris l’aveva denunciato in modo chiaro, attraverso “Charlie Hebdo”. Se ora si aggiunge la sua morte a quella del patron della Total, si può leggere un chiaro disegno per colpire la Francia di Hollande? Secondo Gioele Magaldi, autore dell’esplosivo libro-denuncia “Massoni”, che indica in alcune superlogge mondiali i mandanti dei peggiori crimini, Hollande – che pure si era fatto eleggere per porre fine all’austerity – ha bruscamente riallineato la sua politica al rigore Ue perché sarebbe stato personalmente minacciato di morte. Quando il terrorismo è opaco e manipolato, i boia si assomigliano tutti. E i media mainstream evitano di ricordare che proprio l’Occidente ha “coltivato” i peggiori tagliagole, dall’Afghanistan all’Iraq, passando per la Libia e la Siria. Macellai perfetti, per silenziare un banchiere scomodo e un petroliere di Stato? Perfetti, sicuramente, per terrorizzare la Francia di Hollande, architrave della traballante Ue. Il clima di “guerra” può far digerire ai francesi la disciplina sociale della crisi, e anche il clima di militarizzazione del mondo su cui gli Usa stanno investendo incessantemente, nella loro pericolosa geopolitica del caos che non esita a reclutare i “nemici della civiltà”.

    Certo, c’è ingombro grottesco e mediatico degli jihadisti fanatici, i tagliagole che – nessuno lo ricorda mai – sono stati incoraggiati, protetti, armati e finanziati dall’Occidente e dagli alleati occidentali del Golfo. E si parla come sempre anche dell’immancabile Mossad, campione mondiale della strategia della tensione per sabotare la democrazia in ogni angolo del pianeta. Ma se il principale bersaglio della strage di Parigi fosse un banchiere? Tra le vittime freddate nella redazione di “Charlie Hebdo” c’è infatti anche il professor Bernard Maris, economista e dirigente della Banca di Francia, protagonista di una clamorosa denuncia dell’austerity europea messa in atto dall’oligarchia che tutela il sistema bancario. La morte di Maris segue di pochi mesi quella di Christope de Margerie, numero uno della Total, scomparso il 20 ottobre scorso in uno strano incidente all’aeroporto di Mosca. De Margerie era stato protagonista di un vigoroso braccio di ferro contro le sanzioni da imporre alla Russia: il capo della Total voleva il dialogo, a tutti i costi. Dialogo che lo stesso Hollande aveva provato a riaprire, proprio alla vigilia della strage di Parigi, ipotizzando la revoca delle sanzioni contro Putin.

  • Anche Tsipras da Draghi per negoziare la fine della Grecia

    Scritto il 12/1/15 • nella Categoria: idee • (2)

    Non è difficile comprendere ciò che accadrà in Grecia il 25 gennaio, allorché si voterà per eleggere il nuovo Parlamento dopo i tre scrutini non conclusivi in merito all’elezione del presidente della Repubblica, che si sono consumati in un lampo per la pervicace volontà del leader di “Nuova Democrazia”, Antonis Samaras, di portare il paese alle elezioni anticipate e vincerle dopo aver imposto alla nazione un funzionario dell’Ue come presidente, rassicurando così non tanto i fantomatici mercati, ma la Germania e la tecnocrazia europea sul fatto che nulla sarebbe mutato nel progetto di distruzione pressoché completa della società greca. Essa dovrebbe e potrebbe essere in tal modo consegnata (in ciò che di essa rimane) nelle mani del capitale finanziario internazionale che ne farebbe un’isola (sì!, il paradosso dell’isola delle tremila isole) per ricchi turisti e un’area di transito per le merci che dall’heartland passano per i Dardanelli e l’Egeo, pieno di petrolio e di gas.
    Mario Draghi in questi mesi ha ricevuto più e più volte Samaras, come ha più e più volte ricevuto il principale protagonista dell’opposizione a questo progetto: il leader di “Syriza”, ossia il buon Alexis Tsipras, che propone un programma in generale assai moderato e tutto “nazionale”, ossia fondato non sul rifiuto dell’euro (così come dicono coloro che vogliono speculare sui ribassi da quasi-panico e lucrare poi guadagni nei rialzi che ne seguono inevitabilmente nelle borse), ma su una schedulazione del debito, ossia una sua gestione condivisa che certamente non può provocare contagio alcuno per la sua piccolezza: 300 miliardi circa di euro sono una bazzecola rispetto alla potenza di fuoco dell’oligopolio finanziario mondiale e dei bilanci degli attori del citato oligopolio, oltreché dell’indimenticabile dispensatrice di sogni mediatici, ossia la Bce con il suo presidente, fascinoso come un attor giovane settecentesco.
    Ciò che è interessante, tuttavia, non è discettare sull’esito delle elezioni; infatti due cose sono certe: la vittoria di “Syriza” e l’impossibilità che essa avrà di formare un nuovo governo. Il che costringerà a una rinegoziazione del debito sub specie democratica in regime di emergenza. Questo se la Germania non si deciderà a scambiare condivisione di sovranità, e quindi di debito, con esistenza dell’euro. Nessuno vuole uscire dall’euro, ma l’unico modo per rimanervi è trattare e schedulare il debito. L’alternativa sarebbe l’occupazione militare del suolo greco, ma essa è impossibile. La soluzione sarà il congelamento della Grecia in un regime speciale di sorveglianza fiscale e finanziaria, com’è successo già diverse volte alla nazione greca, si ricorra o meno alle elezioni. Questo sarà possibile per ciò ch’io chiamo il paradigma greco. Paradigma analitico di cui mi sono convinto rileggendo il mio vecchio libro edito da Longam nel 1994 (“Southern Europe Since 1945: Tradition and Modernity in Portugal, Spain, Italy, Greece and Turkey”).
    Occorre riflettere sulla storia greca e sulla dinamica della macchina partitica che già il mio vecchio amico Keith R. Legg, in “Politics in Modern Greece”, aveva magistralmente descritto ben prima di me, per comprendere ciò che succederà. Esiste tuttavia anche un’altra nazione greca, attiva sin dalle guerre civili che segnarono il decennio che va dal 1821 al 1830 e su cui Lord Byron scrisse pagine memorabili. È la nazione dell’altra diaspora, ossia dei milioni di poveri greci emigrati in tutto il mondo e quella che, invece, non emigra e che fonda la tradizione democratica e socialista e comunista greca che attraverserà una tribolata esistenza anch’essa plurisecolare. Alcune famiglie (i Papandreou ne sono l’esempio più eclatante e preclaro) anche in questo caso ne rappresentano il gruppo dirigente, sino a condividere con la diaspora plutocratica usi e costumi, mantenendo tuttavia nella nazione le fonti essenziali della costruzione del potere, a differenza dell’altra nazione diasporico-plutocratica.
    Dalla dittatura di Metaxas negli anni Trenta del Novecento a quella dei colonnelli nel decennio Sessanta è tutto uno sgranarsi di conflitti in cui la Grecia è eterodiretta oppure fa immensi sforzi per liberarsi dall’eterodirezione. Come? Con politiche di ogni sorta, anche clientelari e assistenziali. Ma fa ciò anche il gruppo plutocratico estero, come ha dimostrato negli anni Novanta “Nuova Democrazia”, dominata allora dall’altra famiglia simbolo, i Karamanlis, con i brillanti risultati raggiunti truccando i conti e falsificando i bilanci dello Stato pur di entrare nell’euro. L’euro e la tecnocrazia antinazionale, del resto, è il regime più idoneo per l’ala plutocratica greca che si trova in tal modo a governare nel modo più consono alla sua storia che, come ho cercato di dimostrare, non è l’intera storia greca. Per questo le elezioni del gennaio 2015 sono così importanti nella storia europea. Perché lo sono in forma culturalmente cogente per l’intera storia greca e per i rapporti tra nazione e internazionalizzazione che sovradeterminano anche la storia di questa dimidiata “patria byroniana”.
    Una vicenda del resto non dissimile in molti punti dalla storia italiana e che quindi noi dovremmo seguire con grande partecipazione intellettuale. Il paradigma è quello di una nazione a precocissima parlamentarizzazione e ad altrettanto precoce larghissimo suffragio che si crea dal basso con forti radici popolari e un’immensa eco culturale in tutto il mondo civilizzato dell’epoca Il popolo greco, contadini e intellettuali déraciné in primis, insorge contro i turchi nel 1821 e nel 1829 raggiunge l’autonomia dall’Impero ottomano per ottenere, dopo intestine lotte civili, l’indipendenza nel 1830. Certo, Francia, Regno Unito (a Londra si firmò la dichiarazione d’indipendenza, del resto) e Russia appoggiano questa lotta in funzione anti-ottomana, ma immediatamente il prezzo che la nazione paga è l’imposizione di un re bavarese, Ottone I. La lotta tra le opposte fazioni facilita questa sottomissione. Ottone rappresenta quel settore cosmopolita della società e della cultura greca: la sua plutocrazia oligarchica e diasporica. Ancora oggi gli armatori greci godono dalla clausola costituzionale – costituzionale, si badi bene! – per cui essi non pagano tasse e possono legalmente battere bandiere straniere pur considerandosi cittadini greci.
    Ecco il mio paradigma. Il paradigma greco è quello di una nazione spaccata in due. L’oligarchia dominante che da più di due secoli esercita il potere di fatto è diasporica: ossia in Grecia, paradossalmente, laddove (se si appartiene alle classi alte) si studia, ci si forma e si domina la nazione è l’estero e non ciò che in altri contesti culturali è “la patria”. Si governa da più di due secoli la nazione, in primis, dai centri del capitale finanziario internazionale, non da Atene o da Salonicco. Un tempo solo da Londra, oggi anche da New York. Giova ricordare che la più interessante, libera e colta rivista greca, indispensabile per studiare e conoscere la Grecia, è edita a New York e il suo titolo è tutto un programma e un destino insieme, “Journal of Hellenic Diaspora”, una rivista di cui non si può far a meno, non solo per conoscere e seguire i problemi della Grecia, ma anche della regione turco-balcanica.
    Non ci sono problemi reali di default europeo e, se ce ne fossero, per i greci sarebbe meglio di questa lenta agonia somministrata come brevi permanenze nei lager. Anche se l’arroganza di persone come il povero Wolfgang Schaeuble, le quali avvertono i greci che qualsivoglia sia la loro decisione di voto nulla cambierà rispetto ai dettati europei, ossia della Troika, è veramente da commiserare ed esprime in forma plastica e icastica che ciò che l’ordoliberalismus invera è la fine della democrazia e la sua trasformazione in un’oligarchia dei ricchi e dei potenti, ovvero una plutocrazia: quella forma di governo, insomma, tanto osteggiata dal grande Tocqueville, il quale, guarda caso, è uno dei pensatori meno citati di questi tempi. Con Schaeuble è quasi impossibile prendersela, ma con l’ordoliberalismus sì, e verrà il giorno in cui la miseria dei dioscuri della distruzione della società salterà agli occhi di tutti.
    (Giulio Sapelli, “Il futuro dell’Italia è in Grecia”, da “Il Sussidiario” del 1° gennaio 2015).

    Non è difficile comprendere ciò che accadrà in Grecia il 25 gennaio, allorché si voterà per eleggere il nuovo Parlamento dopo i tre scrutini non conclusivi in merito all’elezione del presidente della Repubblica, che si sono consumati in un lampo per la pervicace volontà del leader di “Nuova Democrazia”, Antonis Samaras, di portare il paese alle elezioni anticipate e vincerle dopo aver imposto alla nazione un funzionario dell’Ue come presidente, rassicurando così non tanto i fantomatici mercati, ma la Germania e la tecnocrazia europea sul fatto che nulla sarebbe mutato nel progetto di distruzione pressoché completa della società greca. Essa dovrebbe e potrebbe essere in tal modo consegnata (in ciò che di essa rimane) nelle mani del capitale finanziario internazionale che ne farebbe un’isola (sì!, il paradosso dell’isola delle tremila isole) per ricchi turisti e un’area di transito per le merci che dall’heartland passano per i Dardanelli e l’Egeo, pieno di petrolio e di gas.

  • Il terrorismo dei fantasmi che organizza funerali e ipocrisia

    Scritto il 11/1/15 • nella Categoria: segnalazioni • (1)

    L’odio è un film di tanti anni fa, che finisce in un bagno di sangue proprio a Parigi, la città cosmopolita della grande scommessa integrazionista pensata ai tempi della decolonizzazione, quando gli orchi europei facevano ancora ammazzare i ribelli, i patrioti sovranisti non allineati, i Lumbumba, i Sankara, ma a presidiare la democrazia c’erano fior di partiti e sindacati, editori e intellettuali, università e società civile che volevano farla finita con l’ideologia e la pratica della sopraffazione, con l’abominio genocida, parassitario e schiavistico del terzo mondo. Erano già al lavoro le menti raffinatissime della barbarie, ma agivano nell’ombra delle officine bancarie, dell’alchimia finanziaria, per sottrarre alle masse il controllo dello Stato e della moneta. Presto avrebbero avuto bisogno di politici, e ne avrebbero reclutati a migliaia. L’odio, però, ufficialmente era ancora fuori dalla porta. Era il fantasma di Auschwitz, l’ecatombe di Hiroshima, lo spettro nucleare della guerra fredda. Allevati dai vincitori atlantici della Seconda Guerra Mondiale, gli europei coltivavano una loro relativa sovranità di benessere e privilegi grazie al primo welfare del mondo, fondato sul sacro principio in base al quale nessuno deve soffrire, perché non soffra il sistema.
    L’odio incandescente è quello che preme il grilletto a colpo sicuro e fa fuori il vignettista e il banchiere eretico, ma il suo mandante è l’odio freddo di chi progetta stragi e concepisce il mondo come un teatro da insanguinare costantemente, in modo che non si spenga la paura dei molti e la fiamma dell’odio non si estingua mai. L’odio è una promessa, una minaccia. Una punizione. Esemplare, a Parigi, la punizione degli irriverenti. Una lezione valida per tutti, musulmani e cristiani, mediorientali e occidentali: nessuno può ritenersi al sicuro, specie se ostenta idee spericolate e sciorina sberleffi, se pensa davvero di potersi prendere gioco del potere. La punizione prima o poi arriva, ed è un missile a testata multipla. Terrorizza la cosiddetta opinione pubblica, minaccia una nazione come la Francia e la ricatta, temendo la conversione sovranista del grande paese su cui si fonda l’Unione Europea. Minaccia e ricatta qualunque cittadino occidentale si creda libero. Minaccia e ricatta gli europei, trascinati loro malgrado nell’oscuro braccio di ferro autolesionistico con la Russia del gas. Il terrorismo spegne la democrazia, la ricaccia nella paura. Ed è sempre sporco, opaco e bugiardo, prima ancora che mostruoso e sanguinario.
    L’odio ha riempito un cimitero mondiale di oppositori, caduti sotto il fuoco dei golpisti, sotto le bombe, sotto il velo di strani incidenti. L’odio parla sempre con una sola voce: dobbiamo tutti avere paura, molta paura. Perché i primi a cadere sono sempre stati quelli che si erano battuti senza risparmio per insegnare all’umanità a non avere paura. Perché il potere ha davvero paura soltanto di chi non lo teme, di chi osa sfidarlo, di chi dimostra che l’oligarchia non è invincibile, sapendo che la storia dell’uomo è millenaria e nessun potere è eterno. Per questo l’odio teme la verità e predilige la menzogna, sfornando narrazioni mancine, fuorivianti, suggestive. I terroristi grotteschi, cavernicoli e deliranti, sono comparsi sulla scena soltanto negli anni ‘90, quando l’equilibrio della guerra fredda si era rotto per sempre. Prima, c’era stato soprattutto il terrorismo irredentista delle lotte di liberazione, sempre rivendicato, collegato a precise cause geopolitiche, l’Ira in Irlanda, l’Eta in Spagna, l’Olp in Palestina. Eserciti clandestini e irregolari, ma non fantasmi come quelli che misero le bombe nelle piazze italiane, sui treni, sugli aerei. L’altro terrorismo, quello dei fantasmi, è diventato improvvisamente internazionale solo dopo la fine dell’Urss, quando il teatro d’azione non era più solo l’Occidente, ma anche e soprattutto il resto del mondo.
    Oggi, il terrorismo fantasma torna invece nel cortile di casa. E’ comparso negli Stati Uniti, poi si è esteso all’Europa per mani di stragisti isolati, fanatici, pazzi, di cui però poi sono emersi imbarazzanti collegamenti con apparati di polizia e spezzoni di intelligence. Tutto questo, mentre il grande terrorismo – il più estremo e feroce – si è scatenato senza tregua contro le popolazioni civili della Cecenia, della Jugoslavia, dell’Iraq, dell’Afghanistan, contro gli inermi della Siria, i bambini di Gaza, gli abitanti del Donbass persi a cannonate. Chi piange le vittime di “Charlie Hebdo” macellate senza pietà dovrebbe domandarsi da dove viene la barbarie, chi l’ha coltivata. Chi è ben deciso probabilmente ad impiegarla ancora, e sempre di più, nel timore che il mondo si risvegli, che si risvegli la Francia, che si risvegli l’Europa. In Sicilia, ai tempi, si diceva che era sempre del killer la prima corona di fiori sulla bara dell’ucciso, sfregio definitivo alla memoria dell’assassinato e terribile monito per la comunità in lutto: siamo stati noi, e siamo invincibili. Rinunciare all’odio comporta prima di tutto un tributo supremo di verità, di ripudio dell’ipocrisia. Viceversa, si rischia di partecipare al funerale a braccetto coi camerieri dei veri mandanti del delitto, i “ministri dei temporali” pronti a tuonare comodamente contro una barbarie lontana e straniera. In un giallo, il commissario scoprirebbe che quei signori non hanno un alibi: alcuni di loro, la sera prima, erano a cena con l’assassino.

    L’odio è un film di tanti anni fa, che finisce in un bagno di sangue proprio a Parigi, la città cosmopolita della grande scommessa integrazionista pensata ai tempi della decolonizzazione, quando gli orchi europei facevano ancora ammazzare i ribelli, i patrioti sovranisti non allineati, i Lumbumba, i Sankara, ma a presidiare la democrazia c’erano fior di partiti e sindacati, editori e intellettuali, università e società civile che volevano farla finita con l’ideologia e la pratica della sopraffazione, con l’abominio genocida, parassitario e schiavistico del terzo mondo. Erano già al lavoro le menti raffinatissime della barbarie, ma agivano nell’ombra delle officine bancarie, dell’alchimia finanziaria, per sottrarre alle masse il controllo dello Stato e della moneta. Presto avrebbero avuto bisogno di politici, e ne avrebbero reclutati a migliaia. L’odio, però, ufficialmente era ancora fuori dalla porta. Era il fantasma di Auschwitz, l’ecatombe di Hiroshima, lo spettro nucleare della guerra fredda. Allevati dai vincitori atlantici della Seconda Guerra Mondiale, gli europei coltivavano una loro relativa sovranità di benessere e privilegi grazie al primo welfare del mondo, fondato sul sacro principio in base al quale nessuno deve soffrire, perché non soffra il sistema.

  • Magaldi a Grillo: insieme, contro l’élite che minaccia l’Italia

    Scritto il 11/1/15 • nella Categoria: idee • (4)

    Matteo Renzi è un “wannabe” (contrazione di “want to be”, voler essere) massone, cioè è un uomo che aspira a fare parte non tanto del Grande Oriente d’Italia o di altre comunioni massoniche italiane che hanno un’incidenza mediocre sulle vere dinamiche del potere, ma a una delle Ur-Lodges che stanno guidando i processi di destrutturazione sociale ed economica europea. E sono Ur-Lodges in cui è in gran parte protagonista Mario Draghi, un uomo che viene costantemente osannato dalla grande stampa manipolatoria che tratta gli italiani come bambini deficienti. E invece è un uomo che, bisognerebbe ricordarlo, non solo è padre di questa austerità europea che sta massacrando popoli, ma è colui che ha gestito le grandi privatizzazioni all’italiana che sono state una svendita, a favore di amici e amici degli amici, di importanti asset pubblici della nostra nazione. Se non fossero stati dei bambinoni deficienti, gli italiani non avrebbero accolto con le fanfare Monti, Letta, Renzi. Monti appartiene alle aristocrazie massoniche delle Ur-Lodges. Enrico Letta è un paramassone di rango, non è stato mai ammesso nel santa sanctorum delle superlogge più importanti ma è sempre stato al loro servizio in modo subalterno e ancillare.
    Le dimissioni Napolitano sono state, da qualcuno, messe anche in connessione con questa operazione editoriale che noi abbiamo lanciato (il libro “Massoni”, edito da Chiarelettere). Questa nostra operazione, unita ad altre, ha creato molti nervosismi. Questi fattori, naturalmente insieme ad altri, hanno indotto Napolitano a dimettersi. Il sostituto di Napolitano? Noi vigileremo, perché nel libro si parla non soltanto di massoneria aristocratica, quella che gestisce da 30-40 anni i grandi processi di globalizzazione e di insana costruzione europea, ma si parla anche di riscatto delle Ur-Lodges progressiste, l’ambiente democratico, di cui sono un “gran maestro”. Noi vigileremo su chi sarà il prossimo inquilino del Colle. In termini democratici, limpidi e trasparenti diremo di evitare che vada al Quirinale un altro personaggio nefasto come Napolitano. Se uno guarda l’Ur-Lodge a cui appartiene Napolitano e ne vede la storia, non esce benissimo uno che, come lui, è stato appartenente fino al 1978. Il prossimo presidente non sarà però influente e importante come lo è stato Napolitano, perché i tempi sono cambiati e la gente inizia ad aprire gli occhi e le orecchie. Prodi? E’ senz’altro parte del network massonico sovranazionale, in termini perfino clamorosi e insospettabili.
    Il “Movimento 5 Stelle”? E’ nato su esigenze molto importanti e utili, avrebbe da modificare alcune cose. Ha poi un problema interno di articolazione democratica e liberale. Noi stiamo fondando un movimento metapartitico che quindi non chiederà il consenso e non sarà concorrente né del Movimento 5 Stelle né di altri partiti, ma vuole riunire tutti i progressisti italiani ed extra-italiani, europei, per cambiare paradigma in Italia, in Europa e nel mondo, in questa cattiva globalizzazione. Questo movimento si chiama “Movimento Roosevelt” e vedrà la luce tra gennaio e febbraio 2015. Riunisce massoni e non massoni, purché accomunati da una vocazione progressista. Il nome “Movimento Roosevelt” richiama la dichiarazione dei diritti umani patrocinata da Eleanor Roosevelt, richiama la grande lezione del New Deal di Franklin Delano Roosevelt e la lezione economica di John Maynard Keynes, dimenticata in questa Europa tutta quanta friedmaniana e basata sui principi di un neoliberismo feroce e anche ottuso, se non fosse che è un neoliberismo in malafede, è fatto apposta, con le sue valide declinazioni per destrutturare la società europea, i suoi principi di welfare la sua prosperità.
    La massoneria rivendica la costruzione delle società aperte, libere, democratiche, e del pluralismo di informazione. Anche le lamentele sullo svuotamento di sostanzialità, la democrazia contemporanea, si possono fare, oggi, perché qualcuno in passato l’ha inventata, la democrazia: la democrazia e la libertà non le ha portate la cicogna, ma i massoni progressisti. L’opinione pubblica media, non solo italiana, purtroppo è facilmente manipolata dai grandi mezzi di informazione, concentrati nelle mani di editori non puri in gran parte, e questo è un caso eclatante per l’Italia. Da noi c’è poca editoria pura, il Quarto Potere che controlli gli altri tre poteri non esiste perché giornali e televisioni sono in mano a signori che hanno anche banche, assicurazioni e altri interessi industriali o finanziari. Agli italiani, e non solo a a loro, viene fatta una narrazione delle cose che prepara poi l’arrivo con le fanfare di personaggi come Monti e Letta e poi anche di Renzi che è un grande affabulatore molto più carismatico e vendibile di Monti e Letta, ma che nella sostanza ha proseguito le stesse politiche recessive e distruttive dell’interesse pubblico.
    Invito il “Movimento 5 Stelle” e i suoi dirigenti ad abbeverarsi, perché faremo una scuola di alta formazione politologica: faremo una Fondazione Roosevelt con interventi importanti di welfare sul territorio europeo per dimostrare che la politica dovrebbe essere intervento sulle cose, sui territori, riunendo le persone di sano intelletto e buona volontà anche di diversi schieramenti. Ma vorrei dare un ultimo consiglio agli ispiratori e ai gestori del “Movimento 5 Stelle”: accettino l’idea che non si possono abolire i partiti, e che l’alleanza tra diversi, pur mantenendo la propria identità, è l’unica possibilità di ridare sostanza alla democrazia italiana e non solo italiana. Se il “Movimento 5 Stelle” accetterà di dialogare e di allearsi con chi li considera il meno peggio nel panorama politico italiano, noi potremo avere una svolta politica importante, altrimenti si rischia di congelare milioni di voti che credono e hanno creduto, giustamente, al Movimento 5 Stelle come fattore di rinnovamento.
    (Gioele Magaldi, dichiarazioni rilasciate al blog di Beppe Grillo per il “Passaparola” del 5 gennaio 2015).

    Matteo Renzi è un “wannabe” (contrazione di “want to be”, voler essere) massone, cioè è un uomo che aspira a fare parte non tanto del Grande Oriente d’Italia o di altre comunioni massoniche italiane che hanno un’incidenza mediocre sulle vere dinamiche del potere, ma a una delle Ur-Lodges che stanno guidando i processi di destrutturazione sociale ed economica europea. E sono Ur-Lodges in cui è in gran parte protagonista Mario Draghi, un uomo che viene costantemente osannato dalla grande stampa manipolatoria che tratta gli italiani come bambini deficienti. E invece è un uomo che, bisognerebbe ricordarlo, non solo è padre di questa austerità europea che sta massacrando popoli, ma è colui che ha gestito le grandi privatizzazioni all’italiana che sono state una svendita, a favore di amici e amici degli amici, di importanti asset pubblici della nostra nazione. Se non fossero stati dei bambinoni deficienti, gli italiani non avrebbero accolto con le fanfare Monti, Letta, Renzi. Monti appartiene alle aristocrazie massoniche delle Ur-Lodges. Enrico Letta è un paramassone di rango, non è stato mai ammesso nel santa sanctorum delle superlogge più importanti ma è sempre stato al loro servizio in modo subalterno e ancillare.

  • Walking Dead, zombie cannibali: siamo carne da macello

    Scritto il 11/1/15 • nella Categoria: idee • (1)

    Conosco molte persone che non hanno nessun interesse a guardare la televisione perché il 99% dei programmi è spazzatura o propaganda politica da parte del governo. Solo l’1% propone le tematiche più profonde e gli stati d’animo presenti nella nostra società. Gli show televisivi come “Breaking Bad”, “Game of Thrones” e “The Walking Dead” riflettono lo stato d’animo deprimente dell’incalzante “Fourth Turning”. In aprile ho scritto uno dei miei articoli più pessimisti, intitolato “Welcome to Terminus”, benvenuti a Terminus, riguardo alla fine della quarta serie di “Walking Dead”. In sintesi argomentavo che ci stiamo avvicinando alla fine del mondo e che il mondo stesso diventerà odioso. Nei sei brevi mesi da quando ho scritto questo deprimente articolo, abbiamo visto nei video di YouTube uomini decapitati da parte di terroristi di cui non si sapeva nemmeno l’esistenza a inizio anno. È stata messa in piedi alla buona una banda di 30.000 terroristi musulmani che usa le armi militari americane fornite per combattere Assad in Siria e sottratte dalle forze armate irachene quando hanno tagliato la corda e sono scappate via; sono stati in grado di sconfiggere 600.000 combattenti iracheni e curdi che avevano l’appoggio da parte della grandiosa forza aerea americana.
    La Siria, l’Iraq, la Libia e l’Afghanistan crollano verso una guerra religiosa senza fine. Abbiamo addirittura passeggeri aerei che spariscono misteriosamente in Asia senza lasciare traccia. La Crimea si è staccata dall’Ucraina per appartenere alla Russia ed è stato messo in moto un piano da parte delle potenze occidentali per punire la Russia. L’America supporta e pianifica un rovesciamento da parte di un governo eletto democraticamente in Ucraina. Abbiamo assistito al “false flag” dell’abbattimento di un aereo di linea sopra l’Ucraina da parte del governo ucraino, del quale vengono accusati la Russia e Putin da Obama e dai suoi complici europei. Le agenzie di media portavoce americane hanno ignorato l’occultamento delle trasmissioni di controllo mancanti, le registrazioni della scatola nera e gli indizi evidenti della morte di centinaia di persone innocenti per mano di politici europei. Israele e Hamas hanno ripreso la loro infinita guerra religiosa a Gaza causando migliaia di vittime e distruzione.
    L’Inghilterra intimorita dalla guerra e dalle minacce finanziare a stento si accorge della secessione della Scozia. La Catalogna continua a premere per un voto di secessione per lasciare la Spagna. Proteste violente sono scoppiate in Spagna, Italia, Francia e anche in Svezia. Turbolenze, proteste e rivolte in Brasile, Venezuela, Argentina e in Messico sono germogliate a causa della rabbia per la corruzione politica, per l’inflazione e per un generale malfunzionamento dell’economia. Si è alzato un polverone tra Cina e Giappone e i giovani di Hong Kong sono scesi in piazza a protestare per la scarsa democrazia concessa dalla Cina nelle elezioni. L’economia mondiale, che subisce il venir meno dello stimolo da parte della banca centrale, sta tornando in una fase di recessione con Germania, Cina e Stati Uniti che si uniscono al declino economico del resto del mondo. E ora, in Africa occidentale scoppia l’Ebola che si è già sparsa in tutto il mondo con la previsione di un’epidemia che potrebbe portare il pianeta in un caos completo.
    Quello che sta succedendo nel mondo reale rende lo zombie distopico di “Walking Dead” un essere quasi bizzarro. Con un uso brillante del simbolismo e dell’arte figurativa, gli autori di questo show catturano il mondo nella sua essenza violenta, caotica, inumana, deprimente e brutale come il periodo di crisi “Fourth Turning” nel quale siamo entrati nel 2008 e che si intensifica di giorno in giorno. C’è una buona ragione per cui il primo episodio della quinta stagione ha stabilito il record di ascolti nella storia della Tv via cavo. La serie sta chiaramente prendendo a piene mani dallo stato d’animo che pervade la massa. Prima, nell’ultimo episodio della serie precedente, ci si rende conto che Terminus è diventato un centro di produzione gestito dai cannibali. La linea di confine tra vittime e criminali, tra preda e cacciatore, tra male e bene, tra follia e sanità mentale, tra morale e immorale ha contorni sfumati e indefiniti. Tutto diventa relativo, nel mondo post-apocalittico di “Walking Dead”.
    Vedere i cannibali di Wall Street andarsene indenni dopo aver divorato il sistema economico mondiale nel 2008 con i loro calcoli finanziari fraudolenti, vedere i politici corrotti arricchitisi buttando coloro-che-pagano-le-tasse sotto un autobus, le forze di polizia calpestare il Quarto Emendamento, la Nsa sorvegliare ogni cittadino americano, una banca centrale privata arricchire i suoi azionisti facendo transitare migliaia di miliardi nelle loro camere blindate, un presidente calpestare la Costituzione emanando ordini che scavalcano gli altri rami del governo e ancora miliardi di frodi, fiscali e del welfare, dai ghetti urbani fino alle suite-attico di New York; tutto ciò ha convinto gran parte degli americani che tutto sia relativo e che niente importi davvero nel nostro mondo distopico e corrotto. Giusto e sbagliato non contano più. La morale è un concetto antico. La fedeltà alla Costituzione è una consuetudine fuori moda. La nostra società inneggia e accetta il paradigma dell’homo homini lupus. O lo zombie che mangia qualsiasi cosa, nel caso di “Walking Dead”.
    La comunità Terminus ricorda il campo di concentramento nel film Shindler’s List. Ci sono addirittura vagoni per i prigionieri, cancelli con filo spinato, guardie armate e un numero infinito di attrezzature per “processare” i prigionieri. Un fitto fumo nero impregna l’aria. C’è una stanza piena della refurtiva ben impilata, orsacchiotti, orologi, vestiti di tutto tranne le otturazioni d’oro. La precisione e l’attenzione al dettaglio tanto cara ai nazi si riflettono nel metodo professionale con cui gli amministratori di Terminus stanno per divorare le loro prede. La raccapricciante efficienza e l’ambiente antisettico dell’impianto di preparazione evocano il ricordo delle camere a gas dell’Olocausto. La scena iniziale quando Rick, Daryl, Glenn e Bob sono in mezzo a un gruppo di uomini in fila pronti per essere sventrati come maiali, attorno a una mangiatoia in attesa che venga raccolto il loro sangue, può essere a buon diritto una delle scene più terribili mai messa in onda sulla Tv via cavo.
    Il modo freddo e spietato in cui i prigionieri (la carne da macello) sono allineati di fronte a un’inossidabile mangiatoia d’acciaio è sconcertante e agghiacciante. Le vittime sono colpite con una mazza da baseball e le loro gole vengono squarciate da uomini con tute protettive. Non sono diventati altro che carne pronta per essere macellata e consumata dai cannibali di Terminus. In un’ altra parte dell’impianto di “macellazione” si vedono essere umani appesi a dei ganci esattamente come pezzi di carne. Gareth, il leader di Terminus, supervisiona l’operazione come un perfetto amministratore delegato, rimproverando i macellai per non essere arrivati alla quota stabilita e per non aver seguito le procedure standard. Situazione non molto diversa da come vengono gestite le grandi aziende oggigiorno. L’altra affascinante similitudine tra il distopico “incubo del volere” rappresentato in Terminus e il nostro moderno distopico “regno dell’eccesso” è l’uso di una pubblicità falsa e una propaganda che induce i consumatori in trappola.
    La loro versione dei cartelloni pubblicitari era compensata da messaggi scritti a mano della serie “Un rifugio per tutti”, “Una comunità per tutti” e “Coloro che arrivano sopravvivono”. I cannibali di Terminus si sarebbero trovati benissimo in Madison Avenue con gli artisti Spinart meglio pagati, i divulgatori e le puttane per gli oligarchi delle banche. I cartelli lungo le rotaie e le trasmissioni radio da parte di un call center mostrano la business efficiency con cui i cannibali conducono le loro vittime al macello. È la stessa tecnica utilizzata dagli apostoli di Edward Bernays per manipolare in maniera consapevole e intelligente le abitudini, le opinioni, i gusti, le idee e le azioni delle masse per poterle controllare in ciò che comprano e nelle decisioni di voto e per sostenere le loro regole. Gli uomini invisibili che costituiscono il “governo invisibile” prediligono la tecnica di mantenere il bestiame docile, fedele e ignorante dato che lo porteranno al macello.
    Il governo e l’assenza di governo sono il torbido retroscena di come e perché gli Stati Uniti siano finiti nel mondo infetto di “Walking Dead”. Questo episodio fornisce alcuni indizi su come i laboratori del governo producano virus come armi da usare contro non meglio definiti nemici. L’insinuazione che traspare nel racconto è che il governo abbia in qualche modo perso il controllo del virus e che la conseguente pandemia abbia distrutto il mondo moderno lasciando i sopravvissuti a combattere contro gli zombie per il poco che è rimasto. Il governo federale ha causato il collasso della società ed è assente ed introvabile nel momento in cui bisogna ricostruire la nazione. Non è chiaro come l’apocalisse finisca, ma si può immaginare che inizi con paura, la quale porta al panico, al caos, al crollo economico, a uno sconvolgimento violento, alla guerra, a un totale collasso dell’autorità e del controllo da parte del governo. Si può leggere dell’ironia nel fatto che la paura che l’Ebola diventi un’epidemia pandemica coincide con un’inevitabile implosione economica, con le guerre che risuonano in Medio Oriente, con le violente proteste in tutto il mondo, e con la fiducia nell’autorità dei governi che crolla in un solo momento.
    “Walking Dead” ha intenzionalmente o meno catturato l’essenza della nostra epoca turbolenta. Quando si affrontano circostanze disperate, o si fa tutto il possibile per sopravvivere o si accetta sommessamente il proprio destino e si muore. Gareth e la sua schiera di cannibali sono nella stessa situazione, così come Rick e i suoi, ma sono riusciti in qualche modo a cambiare la situazione dei loro carcerieri. Nella comunità di Gareth la sopravvivenza del più forte era secondo il motto “o sei il macellaio o sei carne da macello”. L’essere umano reagisce in modi diversi a una forte pressione e alle situazioni di minaccia che capitano nella vita. Alcune persone vengono annientate e diventano dei mostri, come Gareth. Alcuni vengono annientati e perdono la testa. Altre, come Rick e Carol, mettono insieme una grande forza interiore per fare tutto il possibile per sopravvivere cercando di mantenere il loro buon senso. Altri si convertono in ciechi sostenitori di un leader forte senza mettere in discussione la morale, la legalità e il buon senso di quello che sono chiamati a fare. La linea tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, tra ciò che è necessario e non necessario, tra la vendetta e la giustizia, tra il macellaio e la carne da macello appare sfumato in un mondo senza regole, governo e norme accettate.
    Credo che l’analogia del macellaio e della carne da macello sia purtroppo un valido memo del mondo nel quale stiamo vivendo. Nel mondo di “Walking Dead” gli individui devono scegliere tra il macellaio o la carne da macello. È un mondo darwiniano costituito da coloro che uccidono e da coloro che vengono uccisi. Gli individui solidali con valori e obiettivi comuni formano una comunità e cercano di portare un ordine nel mondo caotico in cui vivono. La comunità di Westbury, presieduta dal governatore e la comunità di Terminus, diretta da Gareth, sono fondate sul male e alla fine sono distrutte. La comunità di Rick è costituita da guerrieri liberi che fanno il necessario per sopravvivere, ma controllano la loro umanità, dignità e il loro desiderio di creare un mondo migliore. Il mondo nel quale viviamo oggi potrebbe non essere brutale come quello di “Walking Dead”; e anche se il confine tra la realtà e la finzione è spesso indefinibile quando si sfogliano i giornali, quello tra macellaio e carne da macello è chiaro.
    I governanti eletti e non eletti dello Stato sono i macellai, sono coloro che spediscono fuori dal paese i giovani a morire per compagnie di petrolio e trafficanti d’armi, coloro che impoveriscono il popolo attraverso l’inflazione e il controllo sulla moneta e allo stesso tempo si arricchiscono attraverso il completo controllo della politica, della finanza, della giustizia e dei sistemi economici. Questa classe dirigente, o governo invisibile come lo descrive Bernays, è dedito al proprio arricchimento e alla perpetuazione. Il suo scopo, le risorse finanziarie, e la ricchezza globale lo pongono di per sé dalla parte dei predatori. La gente comune rappresenta la carne da macello. Ci stanno tenendo buoni con un’incessante propaganda da parte dei media principali; i messaggi pubblicitari su Madison Avenue; siamo nutriti con dati economici filtrati, aggiustati, manipolati da parte delle agenzie statali; un infinito rifornimento di iGadgets e altre distrazioni elettroniche; l’educazione statale organizzata per mantenerci ignoranti; 24 ore al giorno, 7 giorni su 7 di reality show su seicento canali diversi per tenerci occupati; cibo tossico e industriale per tenerci obesi e mansueti; e una scorta infinita sull’indebitamento di Wall Street per tenerci intrappolati nelle nostre stesse ali senza speranza di scappare. Lo Stato macellaio ha mantenuto il controllo per decadi, ma stiamo entrando in una nuova era.
    Il libro “The Fourth Turning” fa capire che i ruoli sono cambiati e questa volta tocca ai macellai. Un po’ di  bestiame da macello si sta svegliando dallo stupore. Riescono a vedere il sangue delle scritte nelle mura del macello. Chiunque non stia vedendo un cambiamento drammatico nel proprio stato o è uno zombie senza coscienza o un funzionario dello Stato. Le bravate finanziarie della classe alta non si stanno rivelando altro che un schema Ponzi costruito sulle fondamenta del debito e sostenuto da delusione e ignoranza. Quando the House of Cards crollerà in futuro, il gioco cambierà. Quando le persone non avranno più niente da perdere, andranno fuori di testa. I macellai diventeranno la carne da macello. Non ci sarà riparo per questi uomini del male. Il loro regno del male verrà spazzato via in un turbinio di castigo morte e distruzione. Ciò potrebbe anche rendere “The Walking Dead” una passeggiata nel parco, a confronto.
    (“Benvenuti a Terminus”, intervento pubblicato il 16 ottobre 2014 da “The Burning Platform”, blog gestito da Jim Quinn, e tradotto da “Come Don Chisciotte”; ripetuti i riferimenti al libro “The Fourth Turning”, dei sociologi William Strauss e Neil Howe).

    Conosco molte persone che non hanno nessun interesse a guardare la televisione perché il 99% dei programmi è spazzatura o propaganda politica da parte del governo. Solo l’1% propone le tematiche più profonde e gli stati d’animo presenti nella nostra società. Gli show televisivi come “Breaking Bad”, “Game of Thrones” e “The Walking Dead” riflettono lo stato d’animo deprimente dell’incalzante “Fourth Turning”. In aprile ho scritto uno dei miei articoli più pessimisti, intitolato “Welcome to Terminus”, benvenuti a Terminus, riguardo alla fine della quarta serie di “Walking Dead”. In sintesi argomentavo che ci stiamo avvicinando alla fine del mondo e che il mondo stesso diventerà odioso. Nei sei brevi mesi da quando ho scritto questo deprimente articolo, abbiamo visto nei video di YouTube uomini decapitati da parte di terroristi di cui non si sapeva nemmeno l’esistenza a inizio anno. È stata messa in piedi alla buona una banda di 30.000 terroristi musulmani che usa le armi militari americane fornite per combattere Assad in Siria e sottratte dalle forze armate irachene quando hanno tagliato la corda e sono scappate via; sono stati in grado di sconfiggere 600.000 combattenti iracheni e curdi che avevano l’appoggio da parte della grandiosa forza aerea americana.

  • DeLong: l’euro è un disastro, l’Ue non impara dalla storia

    Scritto il 09/1/15 • nella Categoria: idee • (1)

    Non abbiamo imparato nessuna delle quattro grandi lezioni impartiteci dalla storia nel periodo compreso tra le due guerre mondiali: la competizione economica pura, senza compensazioni da parte dello Stato, conduce al conflitto e alla rovina. Lo sostiene Bradford DeLong, economista dell’università californiana di Berkeley. Prima lezione: affinché l’economia mondiale possa essere prospera, l’aggiustamento degli squilibri macroeconomici deve essere effettuato sia dalle economie in “surplus” che da quelle in “deficit”, e non da queste ultime soltanto. Seconda lezione: per evitare o limitare le crisi, è necessario che il sistema bancario globale abbia un regolatore e supervisore bancario a sua volta globale. Terza verità: perché una crisi possa essere gestita con successo, il “prestatore di ultima istanza” deve essere veramente tale, in qualsiasi quantità il mercato possa richiedere. Quarto punto: perché una qualsiasi unione monetaria (cambi fissi) possa sopravvivere, è necessario che nel suo ambito si facciano trasferimenti fiscali su larga scala, per compensare le mancate oscillazioni dei tassi di cambio, proibite dagli accordi interregionali.
    «Nel mio piccolo – scrive DeLong in un post tradotto da “Come Don Chisciotte” – pensavo che tutti (o quanto meno tutti quelli che contavano qualcosa nel governo dell’economia mondiale) avessero imparato queste quattro lezioni che la storia (1919-1939) ci aveva così crudelmente impartito». E invece, i boss dell’Eurozona e i loro consulenti «guardavano fuori dalla finestra e spettegolavano su Facebook», scrive DeLong, evidentemente convinto che la causa della catastrofe europea sia imputabile a semplici, madornali errori, anziché a un calcolo cinico e lucido: costruire la crisi per contrarre lavoro e diritti, far esplodere i profitti dell’élite a spese del 99% della popolazione, far sparire lo Stato per privatizzare tutto, a cominciare dai servizi vitali. DeLong si limita a domande tecniche, chiedendosi «come si è arrivati a tanto». Ovvero: «Perché Maastricht non ha istituito un unico regolatore/supervisore bancario», per poter «allineare la politica finanziaria con quella monetaria?». Maastricht, inoltre, non ha previsto un sistema per trasferire i fondi necessari a quei paesi «che avrebbero potuto entrare in recessione (come inevitabilmente accade), quando gli altri paesi sono in grande espansione».
    Maastricht, poi, «ha lasciato un bel pezzo delle sue prerogative di “prestatore di ultima istanza” nelle mani dei governi nazionali, che non possono stampare denaro (e quindi ottemperare al ruolo), invece di mettere il tutto nelle mani della Banca Centrale Europea, che invece potrebbe». Inoltre, «visto che le esportazioni di un paese sono nient’altro che le importazioni di un altro», come mai «non scattano automaticamente quelle politiche idonee a che i paesi in deficit possano ridurre le loro importazioni ed aumentare le loro esportazioni?». Già, perché? «E perché, viceversa, non si adottano automaticamente le politiche idonee a che i paesi in surplus aumentino le loro importazioni e riducano le loro esportazioni?». DeLong sembra non “vedere” il disegno criminale, l’organizzazione del disastro: preferisce pensare a eurocrati imbranati, banchieri sprovveduti, tecnocrati dilettanti? L’economista francese Alain Parguez, già consulente dell’Eliseo ai tempi di Mitterrand, riferisce che Jacques Attali, uno dei massimi padri dell’euro, avrebbe pronunciato testualmente le seguenti parole: «Ma cosa crede, la plebaglia europea, che la moneta unica l’abbiamo creata per la loro felicità?».
    DeLong, invece, propende per l’ipotesi dell’ingenuità che avrebbe pesato sulle decisioni dei fondatori dell’Ue, certi che il tempo avrebbe corretto le imperfezioni iniziali. «In alcuni – scrive – c’era la convinzione che alcuni specifici dettagli, se posti nel Trattato Maastricht, avrebbero rimandato questo progetto per anni, o addirittura per decenni, mentre la logica degli eventi avrebbe inevitabilmente portato sia ad una crescita organica che allo sviluppo dei pezzi mancanti del Trattato». Secondo questa logica, continua DeLong, alla prima grande recessione l’unione monetaria avrebbe senz’altro istituito un sistema per i trasferimenti fiscali. E ancora, alla prima importante crisi bancaria, la Bce avrebbe senz’altro adottato le funzioni di “prestatore di ultima istanza” (e a seguire, si sarebbe velocemente realizzata l’Unione Bancaria). Gli altri paesi europei, continua l’economista, «avevano considerato il Trattato di Maastricht come un rinnovo dell’impegno politico tedesco in favore di una più stretta integrazione europea». Per questo l’Europa si è fidata, incautamente, della riunificazione tedesca? Sì, risponde DeLong: gli europei non-tedeschi erano convinti che «se si fosse scoperto che c’era qualcosa da pagare per le conseguenze non palesemente previste del Trattato di Maastricht, la Germania lo avrebbe fatto».

    Non abbiamo imparato nessuna delle quattro grandi lezioni impartiteci dalla storia nel periodo compreso tra le due guerre mondiali: la competizione economica pura, senza compensazioni da parte dello Stato, conduce al conflitto e alla rovina. Lo sostiene Bradford DeLong, economista dell’università californiana di Berkeley. Prima lezione: affinché l’economia mondiale possa essere prospera, l’aggiustamento degli squilibri macroeconomici deve essere effettuato sia dalle economie in “surplus” che da quelle in “deficit”, e non da queste ultime soltanto. Seconda lezione: per evitare o limitare le crisi, è necessario che il sistema bancario globale abbia un regolatore e supervisore bancario a sua volta globale. Terza verità: perché una crisi possa essere gestita con successo, il “prestatore di ultima istanza” deve essere veramente tale, in qualsiasi quantità il mercato possa richiedere. Quarto punto: perché una qualsiasi unione monetaria (cambi fissi) possa sopravvivere, è necessario che nel suo ambito si facciano trasferimenti fiscali su larga scala, per compensare le mancate oscillazioni dei tassi di cambio, proibite dagli accordi interregionali.

  • Chi e perché ha pianificato proprio adesso la strage di Parigi

    Scritto il 08/1/15 • nella Categoria: idee • (23)

    «Mi rifiuto di piangere la morte dei satiristi francesi finché la stessa condanna internazionale, le stesse facce dei potenti e le stesse “belle anime” che marciano oggi con candele accese, non compiranno gli stessi atti, verseranno le stesse lacrime e grideranno uguale per le migliaia di bambini palestinesi torturati o bruciati vivi dal fosforo del Terrorista America, di Israele, per gli adolescenti afghani rapiti dagli Usa, innocenti torturati per 8 anni a Guantanamo, e per i milioni di morti africani innocenti uccisi con la armi che noi occidentali gli vendiamo». Così Paolo Barnard, dopo la strage di 12 persone nella redazione parigina di “Charlie Hebdo”, giornale nel mirino da anni per le vignette satiriche anti-islamiche. Orrore e indignazione, ma anche sospetti: mai il “fondamentalismo” jihadista ha agito da solo. In Siria – dalla cui guerra provengono gli stragisti – è stato finanziato e armato dall’Occidente. Negli Usa sono ufficiali le ultime conclusioni sull’11 Settembre: l’Fbi sapeva tutto, degli attentatori. Ed è una creatura occidentale anche il sanguinario “califfato” dell’Isis in Iraq, pianificato dall’intelligence statunitense.
    «Se i segni di nervosismo e di insubordinazione in Europa dovessero aumentare, non escludo la possibilità di clamorosi e sanguinosi attacchi terroristici sul nostro continente», scriveva “Piotr” il 14 dicembre scorso su “Megachip”. Attentati «fatti per dimostrare che il “pericolo fondamentalista” è reale (e per dimostrare, a chi è in grado di udire, che il caos può essere usato ovunque, che non ci sono zone franche: tutto sommato, l’Italia non è stata bombardata terroristicamente per dieci anni di fila, negli anni Settanta?)». Allì’indomani della strage di Parigi, “Piotr” aggiunge: «I potenti, sghignazzando o piangendo lacrime di coccodrillo, si muovono sempre sopra le vittime innocenti, perché le vittime innocenti sono il complemento alla loro potenza. Hanno creato un mondo dove un giornale satirico è un bersaglio migliore di un “vulture fund”. E non per sbaglio». Lo stesso Aldo Giannuli, autore di saggi sulla strategia della tensione che utilizza il terrorismo come manovalanza, si domanda se non vi sia «qualche manina non islamica dietro gli attentatori». Vale la pena esplorare tutte le piste, sostiene Giannuli, dato che «a trarre giovamento da questa strage saranno in diversi: ad esempio il Fn che si appresta a fare vendemmia di voti, di conseguenza anche Putin che proprio sul Fn sta puntando per condizionare l’Europa sulla questione delle sanzioni».
    Ad “avvantaggiarsi” dal clima di sgomento creato dall’attentato, aggiunge Giannuli, c’è sicuramente anche Israele, «che rinsalda i vincoli con l’Europa ogni volta che c’è un episodio di questo genere». Inoltre, la strage di Parigi beneficia «chiunque voglia destabilizzare la Francia in particolare e l’Europa in generale». Giannuli ricorda il precedente francese dello stragista “solitario” Mohammed Merah, protagonista dell’eccidio di Tolosa: cecchino di origine algerina, «era stato a lungo collaboratore dei servizi segreti francesi in operazioni di infiltrazione del mondo jiadista e, ad un certo momento, era inspiegabilmente sfuggito di controllo e, sempre inspiegabilmente, aveva fatto quella strage. Peccato che non abbia potuto spiegare cosa gli fosse passato per la testa, perché crivellato di colpi al momento della cattura». Sulla stessa linea anche Giulietto Chiesa: «Guardarsi dalla spiegazione più semplice, che è quella di scatenare l’odio contro “i musulmani”. Chi organizza queste operazioni lo fa a ragion veduta e, appunto, per suggerire l’interpretazione che sia comprensibile “all’uomo della strada”. Non è quasi mai così».
    Certo, aggiunge Chiesa su “Megachip”, la strage «è l’ultimo anello di una catena insanguinata che accompagna da dieci anni una storia di vignette anti-islamiche». Chi alimentava lo “Scontro di Civiltà” ogni volta poteva gioire: «Aumentavano le divisioni, si rompeva ogni equilibrio delicato e provvisorio fra libertà di espressione e sentimenti religiosi. Aumentava l’odio, cioè la benzina della guerra». Attenzione: «Sopra questo panorama livido, c’è il futuro della Francia e dell’Europa: Parigi, Berlino e Bruxelles sono alla vigilia di scelte che possono cambiare il destino del continente». Il presidente François Hollande, ricorda Chiesa, in questi giorni aveva persino ipotizzato la revoca delle sanzioni alla Russia. «Ovunque si discute di un cambiamento della disciplina monetaria e finanziaria dell’Europa, per prevenire la bomba greca. I nervi sono tesi, perché siamo in cima a uno spartiacque della storia europea e mondiale e le decisioni politiche contano davvero. Se i politici sono ricattabili, tutto può essere visto come un ricatto. Figuriamoci le stragi».

    «Mi rifiuto di piangere la morte dei satiristi francesi finché la stessa condanna internazionale, le stesse facce dei potenti e le stesse “belle anime” che marciano oggi con candele accese, non compiranno gli stessi atti, verseranno le stesse lacrime e grideranno uguale per le migliaia di bambini palestinesi torturati o bruciati vivi dal fosforo del Terrorista America, di Israele, per gli adolescenti afghani rapiti dagli Usa, innocenti torturati per 8 anni a Guantanamo, e per i milioni di morti africani innocenti uccisi con la armi che noi occidentali gli vendiamo». Così Paolo Barnard, dopo la strage di 12 persone nella redazione parigina di “Charlie Hebdo”, giornale nel mirino da anni per le vignette satiriche anti-islamiche. Orrore e indignazione, ma anche sospetti: mai il “fondamentalismo” jihadista ha agito da solo. In Siria – dalla cui guerra provengono gli stragisti – è stato finanziato e armato dall’Occidente. Negli Usa sono ufficiali le ultime conclusioni sull’11 Settembre: l’Fbi sapeva tutto, degli attentatori. Ed è una creatura occidentale anche il sanguinario “califfato” dell’Isis in Iraq, pianificato dall’intelligence statunitense.

  • Renzi a casa, se i finti dissidenti del Pd facessero sul serio

    Scritto il 08/1/15 • nella Categoria: idee • (1)

    La rivolta dei “dissidenti” contro Renzi? Un gioco delle parti, che ha un unico obiettivo: far credere che il Pd sia ancora un partito di sinistra, tamponando l’emorragia di elettori delusi. Ma è solo teatro, secondo Marco Della Luna: i vari Cuperlo, Fassina e Civati si limitano a una «apparente battaglia interna» rumorosa ma inconlcudente, basata su temi «interessanti ma marginali» come il Jobs Act, «che in fondo introduce cambiamenti modesti rispetto a quanto già fatto dai governi precedenti». La sciagurata riforma Fornero? Approvata da tutto il Pd, unito e compatto, come sempre è stato il centrosinistra di fronte alle “controriforme” varate per colpire i lavoratori, dal pacchetto Treu alla legge Biagi. Comandano i poteri forti euroatlantici, economici e finanziari. Il Pd si limita a obbedire, con Renzi che recita il suo copione narrativo e i “dissidenti” che lo completano coi loro ricami verbali. «La critica reale – scrive Della Luna – sarebbe quella sui risultati pratici del suo governo e su dove ci sta portando in concreto e a breve». L’Italia sta collassando, e Renzi non ha un “piano-B”. «A giugno scatterà la clausola di salvaguardia che porta l’Iva al 25%, in mancanza di ripresa del Pil. Vi immaginate la conseguenza per la domanda interna?».
    Anziché limitarsi a schermaglie tattiche, a Renzi bisognerebbe «chiedergli di andarsene e togliergli la fiducia semplicemente perché ha completamente fallito e non ha un piano alternativo, e si difende solo mentendo sui dati e attribuendo la colpa a capri espiatori come i gufi, i frenatori, i dissidenti, i conservatori». La realtà è ben altra: «Anche con lui, continuano a crescere disoccupazione, indebitamento, deficit, pressione fiscale». La promessa renziana di un rilancio mediante investimenti massicci europei? «E’ stata stroncata proprio dalla Commissione Europea e dal quello Juncker che egli ha sostenuto e votato, oltre che dal paese guida, la Germania». Renzi in Europa? Non pervenuto: «La sua presidenza semestrale dell’Ue è contata zero». Quanto alla spending review, «è stata fermata proprio da lui: minacciava il meccanismo del consenso partitocratico». Nient’altro che «un bluff», il renzismo, per prendere tempo ed eludere l’unica grande, vera decisione possibile, «cioè l’uscita dall’euro se entro marzo l’euro non verrà riformato e gli investimenti non verranno iniziati in misura adeguata, non la pagliacciata dei 21 miliardi per tutta l’Ue».
    Secondo Della Luna, servirebbero almeno 2.000 miliardi, cioè quelli che la Bce ha dispensato alle banche per tappare i buchi di bilancio. Dove crede di andare, l’Italia, con le imprese sottoposte a una pressione fiscale del 68% contro il 47% di Stati Uniti e Germania? Il cambio «artificialmente alto e non aggiustabile», sancito dall’euro, «ostacola le esportazioni». Impossibilie fare investimenti antirecessivi, «a causa dei vincoli europei di bilancio e della rinuncia al controllo della moneta». Risultato: «Nel mercato competitivo globale, con queste premesse, l’Italia è semplicemente e automaticamente spacciata, e senza bisogno di aspettare che i milioni di disoccupati, sottoccupati, maloccupati, inoccupati e precari di oggi diventino i pensionati alla fame di domani». Le promesse e le rassicurazioni di Renzi? «Sono balle che nascondono la catastrofe imminente, così vicina che Renzi e Berlusconi non provano nemmeno a evitarla, e preferiscono, con la spinta di Merkel e Napolitano, correre a riforme elettorali e parlamentari mirate a porre la partitocrazia in grado di tenere in pugno il paese anche nell’imminente periodo di rovina economica e rottura sociale».
    Se l’opposizione interna del Pd fosse sincera, conclude Della Luna, darebbe battaglia su questo: «Direbbe che, senza un’inversione immediata della rotta, finiamo diritti sugli scogli esattamente come la Costa Concordia in mano a Schettino. Non continuerebbe a votargli la fiducia, ma gliela negherebbe apertamente denunciando le sue vere intenzioni, ormai chiarissime. Intenzioni che continuano quelle dei suoi predecessori». Troppo debole numericamente, la minoranza Pd? «Le grosse scissioni nell’apparato di un partito non avvengono fintantoché il partito garantisce all’apparato i suoi abituali profitti da “intermediazione politica”. E ora, figuriamoci, gli apparati pregustano le spese per le Olimpiadi del 2024». In tutto ciò, la sensazione è che «i supposti dissidenti» in realtà stiano facendo il gioco delle parti, d’accordo con Renzi, «nel senso che inscenano, nella tradizione del migliore Pci entro il vecchio consociativismo, un’opposizione di sinistra allo scopo che il partito di Renzi e delle riforme inutili e autoritarie non perda suoi elettori di sinistra, e che questi ancora si illudano di essere rappresentati dentro quel partito».

    La rivolta dei “dissidenti” contro Renzi? Un gioco delle parti, che ha un unico obiettivo: far credere che il Pd sia ancora un partito di sinistra, tamponando l’emorragia di elettori delusi. Ma è solo teatro, secondo Marco Della Luna: i vari Cuperlo, Fassina e Civati si limitano a una «apparente battaglia interna» rumorosa ma inconlcudente, basata su temi «interessanti ma marginali» come il Jobs Act, «che in fondo introduce cambiamenti modesti rispetto a quanto già fatto dai governi precedenti». La sciagurata riforma Fornero? Approvata da tutto il Pd, unito e compatto, come sempre è stato il centrosinistra di fronte alle “controriforme” varate per colpire i lavoratori, dal pacchetto Treu alla legge Biagi. Comandano i poteri forti euroatlantici, economici e finanziari. Il Pd si limita a obbedire, con Renzi che recita il suo copione narrativo e i “dissidenti” che lo completano coi loro ricami verbali. «La critica reale – scrive Della Luna – sarebbe quella sui risultati pratici del suo governo e su dove ci sta portando in concreto e a breve». L’Italia sta collassando, e Renzi non ha un “piano-B”. «A giugno scatterà la clausola di salvaguardia che porta l’Iva al 25%, in mancanza di ripresa del Pil. Vi immaginate la conseguenza per la domanda interna?».

  • Halevi: senza deficit c’è solo crisi, e l’Italia non ha scampo

    Scritto il 07/1/15 • nella Categoria: idee • (1)

    «Per l’Italia: non si deve sperare in alcuna politica economica che non sia il prodotto di una riscossa di classe e di popolo. Il problema è come crearla. Non lo so. Bisognerebbe creare una rete di quadri avulsi dalla politica di superficie». Parola di Joseph Halevi, economista dell’università di Sydney. Nessuna illusione, scrive Halevi nelle sulle “osservazioni di fine anno”, dato il dominio oligarchico che incatena l’Europa. Meglio «togliersi dalla testa che riprese keynesiane e relative politiche siano possibili: lo sono sempre di meno e la prospettiva è che lo saranno sempre meno». Tagli sempre più netti alla spesa pubblica, dunque niente “ripresa”: se lo Stato non spende (pareggio di bilancio) l’economia non fa che peggiorare. Zero investimenti pubblici, nessuno spazio per politiche espansive di marca keynesiana: «I blocchi di potere non lo permettono e questo ne elimina la fattibilità e la stessa attualità». L’Europa sembra dunque decisa a suicidarsi. In più, «la bolla rappresentata dalla crescita cinese si sta sgonfiando e non è controbilanciata dalla ripresa della crescita in India. Ne consegue che il sistema delle materie prime è entrato in profonda deflazione dei prezzi. Sarà un fenomeno di lunga durata».
    Questo, scrive Halevi in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”, implica due cose: una crescente incertezza in tutti i mercati finanziari legati alle materie prime (mercati molto vasti, considerando i derivati) e la “reimmersione” dei paesi emergenti, i Brics. «Il fenomeno è già molto pronunciato in America Latina, soprattutto in Brasile e Argentina. Lo è meno in Africa – precisa Halevi – perché nel continente continua l’intensa espansione cinese nel settore delle risorse sia minerarie che agricole». Tuttavia il Sudafrica, la più grande economia del continente nero, è soggetto allo stesso processo in atto in America Latina. L’implicazione maggiore, continua il professor Halevi, riguarda le esportazioni dell’Ue verso gli emergenti: ad essere colpito è soprattutto l’export tedesco, e il danno si somma a quello causato dalla crisi russa. La maggiore implicazione, continua Halevi, consiste nel fatto che i mercati finanziari collegati alle materie prime non sono a sé stanti, ma sono un tutt’uno col resto dei “mercati”.
    L’incertezza sulle materie prime la flessione dei Brics «spiegano, almeno in gran parte, perché le società finanziarie e di rating – e quindi le borse – non danno una valutazione positiva alla caduta dei prezzi delle materie prime e del petrolio». Invece di considerare la caduta dei detti prezzi come una cosa positiva per i consumi (benzina meno cara = maggiori consumi di mezzi di trasporto, gasolio meno caro = costi di produzione minori, la considerano come un ulteriore aggravamento del quadro deflazionistico generale. Se per l’Italia non ci sono speranze – mancando del tutto la volontà politica di invertire la rotta – per il resto del mondo secondo Halevi una ripresa è possibile solo nel senso del Teorema Bellofiore-Summers. Tra il 2006 e il 2007, ricorda Halevi, l’economista Riccardo Bellofiore formulò la nozione di “endogenous financial keynesianism”, cioè l’indebitamento smisurato dei salariati e delle famiglie come volano principale della crescita e soprattutto dei profitti.
    Un anno o due anni fa, Larry Summers formulò la stessa idea affermando che l’unico modo per contrastare la stagnazione è rilanciare la bolla dell’indebitamento. «Aveva ragione – dice Halevi – nel senso che aveva colto che, come già fece Bellofiore, il blocco di potere capitalistico, per quanto variegato possa apparire, è completamente lontano da politiche keynesiane. Ed è ciò che è successo in America: per questo Elizabeth Warren, che è stata una nomina di punta di Obama, è in totale rottura con lui e lo sta accusando di essere uno strumento in mano agli interessi finanziari». Ma non è che Obama sia un “venduto”, precisa Halevi. «E’ che questo è il meccanismo capitalistico attuale. Se la Warren fosse stata presidente si sarebbe dovuta adeguare, oppure andarsene».

    «Per l’Italia: non si deve sperare in alcuna politica economica che non sia il prodotto di una riscossa di classe e di popolo. Il problema è come crearla. Non lo so. Bisognerebbe creare una rete di quadri avulsi dalla politica di superficie». Parola di Joseph Halevi, economista dell’università di Sydney. Nessuna illusione, scrive Halevi nelle sulle “osservazioni di fine anno”, dato il dominio oligarchico che incatena l’Europa. Meglio «togliersi dalla testa che riprese keynesiane e relative politiche siano possibili: lo sono sempre di meno e la prospettiva è che lo saranno sempre meno». Tagli sempre più netti alla spesa pubblica, dunque niente “ripresa”: se lo Stato non spende (pareggio di bilancio) l’economia non fa che peggiorare. Zero investimenti pubblici, nessuno spazio per politiche espansive di marca keynesiana: «I blocchi di potere non lo permettono e questo ne elimina la fattibilità e la stessa attualità». L’Europa sembra dunque decisa a suicidarsi. In più, «la bolla rappresentata dalla crescita cinese si sta sgonfiando e non è controbilanciata dalla ripresa della crescita in India. Ne consegue che il sistema delle materie prime è entrato in profonda deflazione dei prezzi. Sarà un fenomeno di lunga durata».

  • Nel nome di Roosevelt, per smascherare i vampiri del rigore

    Scritto il 06/1/15 • nella Categoria: idee • (2)

    Il 2015 sarà un anno decisivo. Tante cose stanno velocemente cambiando sullo scenario nazionale e internazionale. Nessuno crede più ai soliti tromboni che predicano l’austerità per gli altri e l’abbondanza per se stessi. Il giochino è oramai sfacciato e scoperto. In molti non intendono più farsi abbindolare da parole vuote come “sacrifici”, “responsabilità”, “stabilità” e “mercati”, cavalieri di una apocalisse economica che cammina sulle gambe di Maestri Venerabili del calibro di Mario Draghi e Wolfang Schauble. Pur frastornati da una propaganda subdola e incessante, gli italiani cominciano ad intuire di essere stati raggirati. La mistica dei “sacrifici che salvano” non incanta più nessuno, a parte qualche inguaribile idiota-credulone utile solo a fini statistici. Oggi non sarebbe possibile piazzare impunemente al potere un figuro come Mario Monti, massone reazionario imposto alla guida dell’Italia per assecondare bramosie private. Il 2015, tanto per cominciare, si apre con una bella notizia: Napolitano se ne va.
    Il nostro (ancora per poco) presidente della Repubblica, iniziato presso la Ur-Lodge “Three Eyes” nell’aprile del 1978, ha distrutto con zelo e costanza il benessere italiano, avallando la formazione di governi direttamente funzionali ai desiderata di un manipolo di plutocrati globalizzati. Napolitano, adducendo una improbabile stanchezza, ha deciso di farsi da parte. Come mai un uomo come lui, abituato fin dai tempi dell’invasione sovietica in Ungheria a vivere il potere per il potere, ha inteso abbandonare anzitempo il suo ruolo? Forse perché alcuni riservati mondi, magari quegli stessi che aiutarono Alan Friedman a scrivere “Ammazziamo il Gattopardo”, gli hanno fatto capire con una certa perentorietà di non essere più gradito? Anche in Grecia, altra vittima designata della crudeltà di una Troika in versione Mengele, l’aria sembra essere cambiata. Il premier Samaras, iniziato come Napolitano presso la superloggia “Three Eyes”, non è riuscito a trovare i numeri in Parlamento per eleggere un nuovo presidente della Repubblica gradito al politburo di Bruxelles.
    Il dispiegarsi di tante minacce e blandizie, ad opera dei soliti noti, questa volta non è bastato per alterare il corso della democrazia ellenica. Solo pochi anni fa il premier greco in carica, il socialista Papandreou, fu invitato a rimangiarsi la promessa di indire un referendum per chiedere al suo popolo cosa ne pensasse delle politiche “lacrime e sangue” richieste da alcuni organismi finanziari sprovvisti di legittimità democratica. Allo stesso modo, alcuni emissari di specifiche Ur-Lodges, digrignando i denti, spaventarono fin da subito il molliccio Hollande, costringendo il presidente francese ad appiattirsi in silenzio ai voleri di Angela Merkel. Oggi invece, anche e soprattutto grazie al ritrovato protagonismo di alcuni massoni di ispirazione progressista come Gioele Magaldi, già iniziato presso la Ur-Lodge democratica “Thomas Paine”, il  potere di “persuasione” dei sadici emissari tenuti al guinzaglio dai vari Draghi, Juncker e Lagarde è di molto diminuito.
    In Italia si gioca una partita decisiva per le sorti dell’intero pianeta. Molti italiani, nonostante i melliflui ragionamenti articolati dai vari Renzi e Napolitano, resistono di fronte alla prospettiva di una definitiva “cinesizzazione” del Belpaese. Questi italiani devono fare massa critica all’interno di un contenitore chiaro, visibile, limpido, forte ed efficace: questo contenitore si chiama “Movimento Roosevelt”. Il Movimento Roosevelt non è massonico né para-massonico. Il Movimento Roosevelt, inizialmente metapolitico, non intende entrare direttamente nell’agone elettorale, rivolgendosi invece a tutte le forze politiche già presenti sul territorio nazionale affinché abbandonino definitivamente i falsi miti del rigore e dell’austerità. Più saranno i cittadini pronti a combattere una battaglia di civiltà insieme a noi, maggiore sarà la nostra capacità di cambiare in meglio l’esistente.
    Tutti coloro i quali, pur contingentemente tesserati all’interno di partiti di destra, centro o sinistra, sentano di dover difendere i capisaldi della nostra civiltà, ovvero uguaglianza fra tutti gli uomini, diritto al lavoro, difesa del welfare e della sovranità popolare, non perdano altro tempo iscrivendosi immediatamente. Qualora i partiti esistenti, sordi di fronte alla volontà di cambiamento che sale dal basso, dovessero continuare a dare vita a governi consociativi eterodiretti dall’esterno, il Movimento Roosevelt si trasformerà in partito, chiedendo a viso aperto il consenso dei cittadini. Le migliaia di persone che si ritroveranno per la prima volta insieme a Perugia nel gennaio/febbraio del 2015 sono destinate a rendersi protagoniste di un processo storico, imitando dopo un secolo e mezzo l’epopea gloriosa dei mille garibaldini in camicia rossa. Chi non intende spendersi personalmente per difendere la democrazia, non la merita.
    (Francesco Maria Toscano, “Chi non difende la democrazia, non la merita”, da “Il Moralista” del 2 gennaio 2015. Sul sito, nella home page, è scaricabile il modulo di iscrizione al “Movimento Roosevelt”).

    Il 2015 sarà un anno decisivo. Tante cose stanno velocemente cambiando sullo scenario nazionale e internazionale. Nessuno crede più ai soliti tromboni che predicano l’austerità per gli altri e l’abbondanza per se stessi. Il giochino è oramai sfacciato e scoperto. In molti non intendono più farsi abbindolare da parole vuote come “sacrifici”, “responsabilità”, “stabilità” e “mercati”, cavalieri di una apocalisse economica che cammina sulle gambe di Maestri Venerabili del calibro di Mario Draghi e Wolfang Schauble. Pur frastornati da una propaganda subdola e incessante, gli italiani cominciano ad intuire di essere stati raggirati. La mistica dei “sacrifici che salvano” non incanta più nessuno, a parte qualche inguaribile idiota-credulone utile solo a fini statistici. Oggi non sarebbe possibile piazzare impunemente al potere un figuro come Mario Monti, massone reazionario imposto alla guida dell’Italia per assecondare bramosie private. Il 2015, tanto per cominciare, si apre con una bella notizia: Napolitano se ne va.

  • Gli Usa puntano sulla guerra, non potendo sfidare la Cina

    Scritto il 05/1/15 • nella Categoria: idee • (8)

    E’ necessario dire la verità sull’Ucraina. Vi è una usurpazione di potere. Chi governa non è stato eletto in elezioni presidenziali, ma dall’ambasciatore americano e dai servizi speciali. Tutto quello che succede in Ucraina è nell’illegalità. Il referendum in Crimea per la riunificazione con la Russia si è svolto nei termini della legalità internazionale e della legge dello stato di Crimea. I referendum in Donbass sono assolutamente legali in termini di sovranità e indipendenza. Al contrario, in Ucraina lo Stato è occupato, è sotto il controllo dei servizi speciali americani. Il potere a Kiev è esercitato dall’esterno. Pertanto, gli accordi di cessate il fuoco e la difesa dei civili non funzionano. La dirigenza ucraina li viola sistematicamente. Ogni giorno a Donetsk soffrono bombardamenti, e la gente muore. I paesi della Nato lo supportano, e la propaganda nazista mistifica gli eventi nel paese. Ora abbiamo lo stesso copione geopolitico. Gli americani avranno bisogno di vincere una guerra per preservare l’egemonia nel mondo, dal momento che non hanno alcuna possibilità di competere con la Cina.
    L’élite che domina in America cerca una crescente tensione politica e ha ora messo gli occhi su una guerra in Europa, che permetterebbe agli Stati Uniti di diventare un super-Stato. Le due guerre mondiali hanno creato flussi di capitale, di tecnologia e di mentalità tali da conformare l’Europa agli auspici americani. Il continente europeo si è trasformato in forza trainante per il capitalismo americano. Proseguendo il percorso tradizionale, gli americani hanno finanziato bande naziste in Ucraina e formato il regime terrorista anti-russo in Ucraina. L’Ucraina, come parte del mondo russo, non può seriamente essere percepita da noi come un nemico. A questo proposito non si può applicare una soluzione militare dura. Il compito degli americani è stato quello di organizzare il genocidio della popolazione russa, provocare operazioni militari di risposta, che costringerebbero a misure anche contro gli alleati in Europa della Nato. L’obiettivo dichiarato è quello di utilizzare i nazisti ucraini come ariete contro il sistema statale russo, fare una serie di “rivoluzioni arancioni” nel nostro territorio, smembrare e stabilire il controllo sulla Russia e sull’Asia Centrale. La guerra è necessaria per l’oligarchia americana. Per mantenere il dominio del mondo, cerca di scatenare una guerra in Europa.
    Noi siamo in grado di costruire una coalizione globale contro la guerra, che impedrà agli americani di isolarci. Usano il principio del “divide et impera” per alienare le nostre relazioni con gli Stati vicini. Se siamo in grado di mantenere l’unità strategica con la Cina, l’India, e creare nuovi centri di influenza politica nel blocco Brics, che copre più della metà dell’umanità, concentrandolo intorno ai nostri partner e amici nello spazio post-sovietico, i piani americani di una nuova guerra mondiale sono condannati alla sconfitta. La verità è che siamo già in guerra, una guerra che hanno scatenato gli Stati Uniti. È una guerra ibrida. Nessun mezzo come carri armati o armi di distruzione di massa. Il conflitto si basa su una vasta gamma di altri metodi disponibili: informativi, finanziari. La guerra finanziaria contro di noi viene svolta seriamente. Stiamo già chiedendo sostegno a fonti esterne di credito. Sono state approvate sanzioni che sono una grave violazione del diritto internazionale civile, commerciale e finanziario. Vi è anche la guerra contro di noi nel Donbass, non dovremmo dubitare di questo. Per trascinare il conflitto verso l’Europa, l’amministrazione americana che decide a Kiev ha demolito l’aereo malese. L’Ucraina è ormai un Stato quasi terrorista”.
    (Sergey Glazev, dichiarazioni rilasciate a Tatiana Medvedev per un’intervista ripresa da “L’Antidiplomatico” il 29 dicembre 2014. Economista e consulente vicino al presidente Putin, Glazev ha pubblicato il libro “L’incidente ucraino, dall’aggressione americana alla guerra mondiale?”).

    E’ necessario dire la verità sull’Ucraina. Vi è una usurpazione di potere. Chi governa non è stato eletto in elezioni presidenziali, ma dall’ambasciatore americano e dai servizi speciali. Tutto quello che succede in Ucraina è nell’illegalità. Il referendum in Crimea per la riunificazione con la Russia si è svolto nei termini della legalità internazionale e della legge dello stato di Crimea. I referendum in Donbass sono assolutamente legali in termini di sovranità e indipendenza. Al contrario, in Ucraina lo Stato è occupato, è sotto il controllo dei servizi speciali americani. Il potere a Kiev è esercitato dall’esterno. Pertanto, gli accordi di cessate il fuoco e la difesa dei civili non funzionano. La dirigenza ucraina li viola sistematicamente. Ogni giorno a Donetsk soffrono bombardamenti, e la gente muore. I paesi della Nato lo supportano, e la propaganda nazista mistifica gli eventi nel paese. Ora abbiamo lo stesso copione geopolitico. Gli americani avranno bisogno di vincere una guerra per preservare l’egemonia nel mondo, dal momento che non hanno alcuna possibilità di competere con la Cina.

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