Archivio del Tag ‘Francesco Santoianni’
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Giulio Tarro: follia aspettare il vaccino per tornare a vivere
Chiariamo subito una questione. In Italia, i contagiati da Covid-19 non sono i 175.000 conteggiati oggi dalla Protezione civile, basandosi solo sui pochi tamponi diagnostici effettuati dalle Regioni. Assolutamente no. Le stime più attendibili prospettano, al pari delle periodiche epidemie influenzali, dai sei a dieci milioni di contagiati da Covid-19 in Italia. Parlo di stime (basate sulla velocità di trasmissione del contagio registrata in altre nazioni o di quanto registrato sulla nave Diamond Princess), poichè soddisfacenti indagini epidemiologiche (basate su analisi sierologiche e su campioni statisticamente validi di popolazione) in Italia, incredibilmente, non sono state ancora fatte. E a tal riguardo, non so proprio su quali indagini il professor Brusaferro, presidente dell’Istituto Superiore della Sanità, abbia ricavato il numero dei contagiati in Italia per arrivare a sconsigliare, addirittura, di prendere il sole sulle spiagge. Quindi che si dovrebbe fare, oggi? Con la percentuale di contagiati evidenziata dalle stime, si può dedurre che, in Italia, tutto quello che avrebbe potuto fare il Covid-19 (in termini di guariti, immuni, deceduti) lo ha già fatto.Quindi, a mio parere, l’attuale obiettivo non dovrebbe essere quello di arginare un indiscriminato contagio ma, ad esempio, proteggere gli anziani, ripristinare la rete di terapia intensiva (compromessa dai tagli al nostro sistema sanitario) e, soprattutto, strutturare una indagine siero-epidemiologica nazionale (attualmente è in cantiere solo quella della Regione Toscana) che ci permetta di tenere sotto controllo la situazione. Il vaccino? Il mio maestro, che addirittura mi considerava il suo “pupillo”, è stato Albert Sabin, l’inventore del vaccino antipolio. Figuriamoci, quindi, se sottovaluto l’importanza dei vaccini. Ma per alcuni virus – come credo sia per il Covid-19 – il vaccino potrebbe rivelarsi una chimera. Come è stato per il vaccino contro l’Aids, presentato come “imminente” da quasi quarant’anni. E fanno cascare le braccia dichiarazioni come quelle del viceministro della salute, secondo il quale «o continuiamo a stare fermi e chiusi in casa o ci vacciniamo tutti e ci riprendiamo le nostre vite». O la sconcertante iniziativa del governatore Zingaretti, visto che il vaccino per il Covid-19 non c’è, di obbligare tutti gli anziani del Lazio (pena la loro esclusione da eventi pubblici) e tutto il personale sanitario (pena il loro licenziamento) a vaccinarsi contro… l’influenza.Tra l’altro, va detto che questa del Covid-19 non è una condanna biblica, ma una delle tantissime epidemie che sono servite a fortificare il nostro sistema immunitario; il quale, sia detto per inciso, va a pezzi se, come delle larve, stiamo rintanati a casa e, per di più a tremare di paura per le apocalittiche sciocchezze che ci raccontano in Tv. C’è poi chi teme una micidiale trasmutazione del Covid. Ma, praticamente, tutti i virus mutano; e non, inevitabilmente, in peggio per noi. Il coronavirus responsabile della famigerata epidemia Sars del 2002-2003, ad esempio, si direbbe scomparso dalla scena. Non vedo perché la stessa cosa non potrebbe succedere per il Covid-19. Sarebbe quindi il caso di affrettarci a ripristinare i ritmi della nostra vita con quelli antecedenti all’emergenza Covid-19; soprattutto per evitare che la situazione economica conseguente a questa emergenza non ci condanni a morire di fame.Questo non significa, certo, dimenticarsi le follie che hanno costellato, in Italia, questa emergenza. Prima tra tutte una terroristica campagna informativa – che ha finito per istituzionalizzare per il Covid-19 uno sbalorditivo indice di letalità (per capirci, 28 volte quello della Germania) – che ha costretto, sì, la popolazione a barricarsi in casa ma che, scatenando il panico, ha impedito ai medici di base di recarsi a casa dei pazienti; pazienti i quali, perciò, spesso indiscriminatamente, sono stati trasportati in sempre più affollati reparti a morire per infezioni ospedaliere. Che già, in Italia, si portano via 50.000 persone all’anno. Quanto a Roberto Burioni, che mi ha attaccato… be’, veramente avrei ben poco da dire a un personaggio che il 2 febbraio, mentre i governi (tranne quello italiano) si preparavano ad affrontare i Covid-19, alla Rai affermava che in Italia il rischio era zero.(Giulio Tarro, dichiarazioni rilasciate a Francesco Santoianni per l’intervista “Una follia aspettare il vaccino per tornare ad una vita normale”, pubblicata da “L’Antidiplomatico” il 19 aprile 2020. Virologo di fama mondiale, il professor Tarro è stato “figlio” scientifico di Albert Sabin, l’inventore del vaccino contro la poliomielite).Chiariamo subito una questione. In Italia, i contagiati da Covid-19 non sono i 175.000 conteggiati oggi dalla Protezione civile, basandosi solo sui pochi tamponi diagnostici effettuati dalle Regioni. Assolutamente no. Le stime più attendibili prospettano, al pari delle periodiche epidemie influenzali, dai sei a dieci milioni di contagiati da Covid-19 in Italia. Parlo di stime (basate sulla velocità di trasmissione del contagio registrata in altre nazioni o di quanto registrato sulla nave Diamond Princess), poichè soddisfacenti indagini epidemiologiche (basate su analisi sierologiche e su campioni statisticamente validi di popolazione) in Italia, incredibilmente, non sono state ancora fatte. E a tal riguardo, non so proprio su quali indagini il professor Brusaferro, presidente dell’Istituto Superiore della Sanità, abbia ricavato il numero dei contagiati in Italia per arrivare a sconsigliare, addirittura, di prendere il sole sulle spiagge. Quindi che si dovrebbe fare, oggi? Con la percentuale di contagiati evidenziata dalle stime, si può dedurre che, in Italia, tutto quello che avrebbe potuto fare il Covid-19 (in termini di guariti, immuni, deceduti) lo ha già fatto.
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Ulfkotte: noi giornalisti siamo corrotti e vi abbiamo tradito
«Sono stato un giornalista per circa 25 anni, e sono stato educato a mentire, tradire e a non dire la verità al pubblico». Lo confessa Udo Ulfkotte, uno dei più famosi giornalisti tedeschi. Il 13 gennaio 2017 fu trovato morto, a soli 56 anni. Diagnosi: infarto. «Senza alcuna autopsia, fu cremato immediatamente», ricorda Francesco Santoianni su “L’Antidiplomatico”, salutando il libro “Giornalisti comprati”, ora finalmente in arrivo nelle librerie italiane. «Un libro zeppo di nomi e cognomi di giornalisti (tra i quali lo stesso Ulfkotte) che si sono venduti pubblicando “notizie” inventate da servizi di sicurezza, governi, aziende, lobby», scrive Santonianni. «Un libro che, dopo un successo straordinario in Germania nel 2014, per anni non è stato più ristampato (lo trovavate, usato, sul web a cifre elevatissime) e che ora viene pubblicato in Italia dall’editore Zambon». Anziché soffermarsi «sui tantissimi episodi di conclamata corruzione e di asservimento dei media riportati nel libro», Santoianni preferisce riportare in calce l’indice del volume, clamorosamente eloquente, nonché quella che è stata l’ultima dichiarazione pubblica di Ulfkotte.Libertà di stampa simulata: la verità esclusivamente per i giornalisti? Nel libro si parla di “verità comprate” tra “reti d’élite e servizi segreti”. Ulfkotte racconta «come fui corrotto da una compagnia petrolifera». Titoli di questo tenore: “Frankfurter Allgemeine Zeitung: dietro le sue quinte c’è a volte una testa corrotta”. Oppure: “Come i giornalisti finanziano le loro ville in Toscana”. Ulfkotte definisce «ben lubrificato» quello che chiama «il famigerato sistema dei premi giornalistici». Bel panorama, non c’è che dire: «Interviste compiacenti, viaggi come inviato speciale e frode fiscale». Uno sguardo impietoso, sul “lavoro sporco” dei giornalisti di oggi. Altro titolo: “La spirale del silenzio: cosa non c’è nei giornali”. In alternativa, il sistema media come “manganello”, ovvero: “Oggi su, domani giù: esecuzioni mediatiche”. «I media tedeschi e americani cercano di portare alla guerra le persone in Europa, per fare la guerra alla Russia», scrisse Ulfkotte poco prima di morire. «Questo è un punto di non ritorno, e ho intenzione di alzarmi e dire che non è giusto quello che ho fatto in passato: manipolare le persone per fare propaganda contro la Russia».Aggiungeva Ulfkotte: «Non è giusto quello che i miei colleghi fanno e hanno fatto in passato, perché sono corrotti e tradiscono il popolo: non solo quello della Germania, ma tutto il popolo europeo». Amare conclusioni: «Agli Stati Uniti e all’Occidente non è bastato vincere sul socialismo burocratico dell’Est Europa, ora puntano alla conquista della Russia e alle sue risorse e poi al suo più potente vicino: la Cina». Era la sua allarmante visione geopolitica: «Il disegno è chiaro e solo la codardia dei governi europei e le brigate di giornalisti comprati assecondano questo piano di egemonia globale che, inevitabilmente, determinerà una Terza Guerra Mondiale che non sarà combattuta coi carri armati ma coi missili nucleari». I nostri media? «Omologati, obbedienti all’autorità e riluttanti a fare ricerche», pronti a trasformare la Russia in una minaccia reale. Udo Ulfkotte parla dell’Atlantik-Brucke, il ponte atlantista del massimo potere che costringe l’informazione «nella morsa dei servizi segreti». Parla di «contatti controversi, elogi imbarazzanti, potere sotto copertura». Tecniche di propaganda classica, spacciate per giornalismo: sono tanti «i trucchi per l’inganno verbale della politica e dei media».Il terzo capitolo si apre nel modo più esplicito: “La verità sotto copertura: giornalisti di prima classe in linea con le élite”. Ci sono anche giornalisti “testimoni di nozze”, alla corte del potere politico. Dai “troll” di Obama al fantasma dei Rockefeller, nell’eterna Commissione Trilaterale, fino alle imbarazzanti passerelle del Bilderberg. Come comprarsi un giornalista, istruzioni per l’uso: è quella che Ulfkotte chiama “l’informazione viscida”, sostenendo che «due terzi dei giornalisti sono corrotti». Si va avanti a colpi di “piacevoli favori”, per rendere i media “compatibili” con l’agenda del potere, tra “guadagni aggiuntivi” e “lavaggi del cervello”. In tutto questo, Ulfkotte legge “il fallimento della democrazia”. Scrive: «Ho molta paura per una nuova guerra in Europa e non mi piace avere di nuovo questo pericolo, perché la guerra non è mai venuta da sé». Vero: «C’è sempre gente che spinge per la guerra, e a spingere non sono solo i politici ma anche i giornalisti». Ecco il guaio: «Noi giornalisti abbiamo tradito i nostri lettori, spingiamo per la guerra». Si ribellava, Ulfkotte: «Non voglio più questo, sono stufo di questa propaganda. Viviamo in una repubblica delle banane e non in un paese democratico dove c’è la libertà di stampa».(Il libro di Udo Ulfkotte, “Gekaufte Journalisten”, sarò presto nelle librerie italiane, edito da Zambon, con prefazione di Diego Siragusa).«Sono stato un giornalista per circa 25 anni, e sono stato educato a mentire, tradire e a non dire la verità al pubblico». Lo confessa Udo Ulfkotte, uno dei più famosi giornalisti tedeschi. Il 13 gennaio 2017 fu trovato morto, a soli 56 anni. Diagnosi: infarto. «Senza alcuna autopsia, fu cremato immediatamente», ricorda Francesco Santoianni su “L’Antidiplomatico“, salutando il libro “Giornalisti comprati”, ora finalmente in arrivo nelle librerie italiane. «Un libro zeppo di nomi e cognomi di giornalisti (tra i quali lo stesso Ulfkotte) che si sono venduti pubblicando “notizie” inventate da servizi di sicurezza, governi, aziende, lobby», scrive Santonianni. «Un libro che, dopo un successo straordinario in Germania nel 2014, per anni non è stato più ristampato (lo trovavate, usato, sul web a cifre elevatissime) e che ora viene pubblicato in Italia dall’editore Zambon». Anziché soffermarsi «sui tantissimi episodi di conclamata corruzione e di asservimento dei media riportati nel libro», Santoianni preferisce riportare in calce l’indice del volume, clamorosamente eloquente, nonché quella che è stata l’ultima dichiarazione pubblica di Ulfkotte.
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Bomba-maremoto di Putin? Fake. Più atomiche Usa: vero
Dilaga su tutti i media (in primis “Repubblica” e “Corriere”) la bufala dell’“atomica maremoto” che sarebbe stata approntata dai russi per colpire, tramite una esplosione nucleare sottomarina da 100 megatoni, le aree costiere Usa. Si teme «una immensa ondata di acqua radioattiva». Da fermare come? Ovvio: «Già si prospetta un gigantesco potenziamento dell’arsenale atomico Usa», scrive Francesco Santoianni su “L’Antidiplomatico”. «Peccato che nessun giornalista, prima di dar risalto a questa nuova “minaccia dei russi”, si sia degnato di approfondire la sua attendibilità». Che, tanto per cambiare, è pari a zero: non esiste nessun “pericolo maremoto” negli arsenali di Mosca. Esiste solo sui media mainstream, agitato per giustificare la corsa al riarmo degli Usa. Intanto, spiega Santoianni, la paventata esplosione nucleare da 100 megatoni (equivalente a quella di 100 milioni di tonnellate di dinamite), se si verificasse al largo non avrebbe alcuna possibilità di devastare le coste: gli effetti non andrebbero oltre quelli di un maremoto del quarto grado della scala Ambraseys-Sieberg. «Per capirci, il maremoto che il 26 dicembre 2004 ha devastato le coste asiatiche (lasciando sostanzialmente intatti gli edifici in cemento armato) aveva una potenza equivalente a quella di 52.000 megatoni, e cioè 52 miliardi di tonnellate di dinamite».Chiaro? Lo tsunami che colpì la Thailandia – facendo strage per lo più di bagnanti e pescatori – era infinitamente più “potente” della mitica (e inesistente) super-bomba dei russi. «In più – aggiunge Santonianni – va detto che un maremoto oltre alla magnitudo dell’evento che lo scatena, si rapporta con l’andamento dei fondali che, solo in alcuni casi, possono garantire il riversarsi sulla costa di enormi e veloci quantità d’acqua. Questo ha fatto sì, ad esempio, che negli Usa, nonostante il manifestarsi nell’Oceano Pacifico e nell’Atlantico di colossali terremoti, si siano verificati gravi maremoti solo nelle isole Hawaii e in alcune aree dell’Oregon e dell’Alaska». Si dirà: già, ma se l’esplosione nucleare avviene in prossimità della costa? «In tal caso – considerando che gran parte dell’acqua e della sua energia si distribuirà radialmente in mare aperto – non si capisce proprio il perché di un attacco di questo tipo». Per “contaminare le città costiere con acqua radioattiva”? «Ma la distruzione e la contaminazione di una città potrebbero essere mille volte meglio garantite da una delle migliaia di testate nucleari veicolate da missili già puntati direttamente sulle metropoli».Il pericolo viene dalle armi vere, appunto: non dalle fantasie alimentate dalle “fake news” della stampa mainstream. E a proposito di missili: le testate atomiche statunitensi sono più di settemila. «E presto saranno molte di più, più efficienti e, soprattutto, oggi pronte come non mai ad essere utilizzate contro la Corea del Nord e contro la Russia», scrive Santonianni, ricordando che lo ha appena annunciato Trump nel suo messaggio sullo stato dell’Unione, al Congresso Usa. «Siamo preoccupati», ha ammesso il ministro degli esteri di Putin, Sergeij Lavrov: l’aggressività anti-russa degli Stati Uniti, ormai anche sul piano militare, lascia temere qualcosa che assomiglia a un’escalation imminente. E attenzione, aggiunge Santonianni: «Le lancette dell’Orologio Doomsday del “Bulletin of Science and Security” (una struttura di cui fanno parte 17 premi Nobel) sono state spostate a due minuti prima di mezzanotte: un livello d’allarme mai registrato in sessantacinque anni. Ovviamente, nessuno in Tv ve lo ha raccontato».Dilaga su tutti i media (in primis “Repubblica” e “Corriere”) la bufala dell’“atomica maremoto” che sarebbe stata approntata dai russi per colpire, tramite una esplosione nucleare sottomarina da 100 megatoni, le aree costiere Usa. Si teme «una immensa ondata di acqua radioattiva». Da fermare come? Ovvio: «Già si prospetta un gigantesco potenziamento dell’arsenale atomico Usa», scrive Francesco Santoianni su “L’Antidiplomatico”. «Peccato che nessun giornalista, prima di dar risalto a questa nuova “minaccia dei russi”, si sia degnato di approfondire la sua attendibilità». Che, tanto per cambiare, è pari a zero: non esiste nessun “pericolo maremoto” negli arsenali di Mosca. Esiste solo sui media mainstream, agitato per giustificare la corsa al riarmo degli Usa. Intanto, spiega Santoianni, la paventata esplosione nucleare da 100 megatoni (equivalente a quella di 100 milioni di tonnellate di dinamite), se si verificasse al largo non avrebbe alcuna possibilità di devastare le coste: gli effetti non andrebbero oltre quelli di un maremoto del quarto grado della scala Ambraseys-Sieberg. «Per capirci, il maremoto che il 26 dicembre 2004 ha devastato le coste asiatiche (lasciando sostanzialmente intatti gli edifici in cemento armato) aveva una potenza equivalente a quella di 52.000 megatoni, e cioè 52 miliardi di tonnellate di dinamite».
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La profezia di Blondet: trovato il passaporto, lo uccideranno
Due poliziotti in mondovisione (nomi e cognomi, persiono le foto), uno di loro è ferito. E a terra, nella notte, a Sesto San Giovanni, un giovane tunisino: Anis Amri. «Era lui il killer di Berlino?», si domanda Massimo Mazzucco su “Luogo Comune”. «Vedete? Anche la polizia e i servizi tedeschi imparano presto», scriveva giorni fa Maurizio Blondet. «Prima si lasciano scappare il terrorista della strage di Natale; ma il giorno dopo, guardando meglio, scoprono che – come tutti i terroristi islamici – ha lasciato nel vano porta-oggetti il suo documento di prolungamento della permanenza in Germania, che è praticamente la prova della sua identità». Lo ha fatto uno dei fratelli Kouachi dopo aver sparato a quelli di Charlie Hebdo. E lo stragista di Nizza, Lahouaiej-Bouhlel? «Anche lui, prima di lanciarsi nella folle corsa omicida e suicida, pone in bella vista patente di guida, carta d’identità, telefonino, persino carte di credito». Ricorda la storia, semre uguale, dei documenti dei “terroristi” emersi tra le macerie dell’11 Settembre, in mezzo all’apocalisse. «Da allora, è una certezza per gli investigatori: cercate bene sui sedili, sotto la cenere, nella guantiera, e smetterete di brancolare nel buio». Un copione: diffondere ai media l’identità del “mostro” da braccare. Se intercettato, «invariabilmente risponde al fuoco gridando “Allah Akhbar!”. Sicchè non ne vien preso vivo uno. Succederà, possiamo profetizzarlo, anche al “tunisino “ identificato dalla polizia tedesca».Queste righe, Blondet le scriveva il 21 dicembre, cioè quasi due giorni prima l’evento sanguinoso di Milano, che ha fatto il giro del mondo. «Ma com’è che ora si pubblica, oltre al nome e cognome, anche la fotografia del poliziotto che ha appena ucciso un terrorista?», si domanda Francesco Santoianni. «Una ipotesi: Marco Minniti – da tempo immemorabile tutor dei servizi segreti e ora anche ministro dell’interno – si era reso conto che la morte di Anis Amri – identificato come il responsabile della strage con il Tir a Berlino grazie ad un ennesimo documento di identità, miracolosamente ritrovato dopo 24 ore – per mano di un ignoto avrebbe legittimato in tutta l’opinione pubblica i sospetti che Anis Amri non fosse altro che un Patsy», cioè un capro espiatorio, paragonabile a Lee Harvey Oswald, l’apparente killer di John Kennedy. «Poliziotto – continua Santoianni, in un post ripreso da “Come Don Chisciotte” – al quale auguriamo che – dopo il nome, la fotografia, l’account Facebook – non venga pubblicato anche il suo indirizzo di casa». Se le “stranezze” abbondano, irrompe l’inevitabile corredo di dietrologie: Federico Dezzani si spinge a ipotizzare «un assist anglomericano all’Italia, ai danni della Germania», contraria alla nazionalizzazione di Mps, “punita” ora con la dimostrazione di efficienza della polizia italiana, che dimostrerebbe l’inadeguatezza di quella tedesca.«Poca gloria, ma in compenso molte domande», sintetizza “Piotr” su “Megachip”: «Come sapevano che era proprio questo tizio alla guida del camion che ha fatto strage a Berlino? Semplice. Come al solito, hanno trovato – toh, guarda – un suo documento nella cabina del camion, sotto il sedile. Come mai allora l’efficientissima polizia tedesca aveva arrestato un pakistano che non c’entrava nulla? Ci hanno messo veramente un giorno a trovare un documento sotto il sedile dell’arma del crimine? Ma va là». La sequenza, sottolinea “Megachip”, si ripete con un cliché incredibilmente monotono: prima un attentato “imprevisto”, poi il ritrovamento dei documenti degli attentatori sul luogo del crimine, quindi la dichiarazione che l’attentatore era già sospettato, magari sotto sorveglianza (però l’attentato lo riesce a fare lo stesso, invariabilmente). Quindi scatta la caccia all’uomo. Finale: «Conflitto a fuoco e uccisione del sospetto. Niente cattura e interrogatorio. Nemmeno per Osama bin Laden». Identica sceneggiatura: «Qualcuno sta usando sempre lo stesso canovaccio. Non chiedetemi chi. Non ho le prove», ammette “Piotr”. L’importante, conclude, è vedere che la narrazione ufficiale «non sta in piedi, ed è diventata mortalmente noiosa». Intanto, «gli innocenti continuano ad essere ammazzati, per la gloria di poche élite, pronte a scatenare tutte le loro speculazioni politiche e gli stati di emergenza sull’onda di una campagna di terrore e tensione».Due poliziotti in mondovisione (nomi e cognomi, persiono le foto), uno di loro è ferito. E a terra, nella notte, a Sesto San Giovanni, un giovane tunisino: Anis Amri. «Era lui il killer di Berlino?», si domanda Massimo Mazzucco su “Luogo Comune”. «Vedete? Anche la polizia e i servizi tedeschi imparano presto», scriveva giorni fa Maurizio Blondet. «Prima si lasciano scappare il terrorista della strage di Natale; ma il giorno dopo, guardando meglio, scoprono che – come tutti i terroristi islamici – ha lasciato nel vano porta-oggetti il suo documento di prolungamento della permanenza in Germania, che è praticamente la prova della sua identità». Lo ha fatto uno dei fratelli Kouachi dopo aver sparato a quelli di Charlie Hebdo. E lo stragista di Nizza, Lahouaiej-Bouhlel? «Anche lui, prima di lanciarsi nella folle corsa omicida e suicida, pone in bella vista patente di guida, carta d’identità, telefonino, persino carte di credito». Ricorda la storia, sempre uguale, dei documenti dei “terroristi” emersi tra le macerie dell’11 Settembre, in mezzo all’apocalisse. «Da allora, è una certezza per gli investigatori: cercate bene sui sedili, sotto la cenere, nella guantiera, e smetterete di brancolare nel buio». Un copione: diffondere ai media l’identità del “mostro” da braccare. Se intercettato, «invariabilmente risponde al fuoco gridando “Allah Akhbar!”. Sicchè non ne vien preso vivo uno. Succederà, possiamo profetizzarlo, anche al “tunisino “ identificato dalla polizia tedesca».
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Il Tpi: Milosevic innocente, estraneo alle stragi in Bosnia
Presentato come il Macellaio dei Balcani, paragonato a Hitler, destituito e demolito insieme alla Jugoslavia, quindi arrestato e lasciato marcire per cinque anni nel carcere olandese dove poi è morto, l’11 marzo 2006. Salvo poi “scoprire”, adesso, che il leader serbo Slobodan Milosevic non era il responsabile dei crimini di guerra commessi in Bosnia dal 1992 al 1995. L’orrendo massacro della guerra civile bosniaca, dice oggi il Tribunale Penale Internazionale dell’Aja, fu organizzato dalle milizie serbo-bosniache dello “psichiatra pazzo” Radovan Karadzic, arrestato nel 2008 e condannato a 40 anni di pena per il genociodio di Sbrebrenica, nonché per crimini di guerra e crimini contro l’umanità durante l’assedio di Sarajevo e le altre campagne di pulizia etnica contro i civili non serbi. Il principale esecutore delle “operazioni”, il generale Ratko Mladic, è stato estradato in Olanda nel 2011, presso il tribunale occidentale che adesso – a cinque anni dalla strana morte di Milosevic, vittima di un malore – dichiara che il leader di Belgrado non ha mai promosso né avallato le missioni di sterminio. Al contrario: secondo il Tpi, Milosevic avrebbe fatto di tutto per frenare Karadzic e Mladic.Interrogando Karadzic, i giudici hanno appurato che «il rapporto tra Milosevic e l’accusato si era deteriorato a partire dal 1992», scrive “InSerbia.info”, riportando stralci degli atti processuali. Se all’inizio Belgrado appoggiava i serbo-bosniaci per evitare che la secessione della Bosnia-Erzegovina (dopo quelle di Slovenia e Croazia) frantumasse definitivamente la Jugoslavia, a partire dal 1992 Milosevic si è opposto al progetto della Repubblica Serbia di Bosnia, caldeggiato da Karadzic e Mladic: «Non possiamo prenderci quello che non è nostro», disse Milosevic al leader serbo-bosniaco. Emerge inoltre la preoccupazione di Milosevic per il ricorso alla violenza nei confronti dei civili: «Tutte le componenti, compresa quella musulmana, devono essere protette». Per il leader serbo, l’obiettivo numero uno era «porre fine alla guerra», ripristinando in Bosnia un equilibrio tra le diverse etnie. A massacri compiuti, durante colloqui ufficiali con funzionari governativi, Milosevic ribadì seccamente la sua opinione: «Il più grande errore dei serbo-bosniaci è stato quello di volere una completa sconfitta dei musulmani di Bosnia». Per questo, Belgrado ridusse progressivamente il suo sostegno ai serbo-bosniaci, premendo perché accettassero i piani di pace.«Prima lo ammazzano e poi lo scagionano», commenta Francesco Santoianni su “L’Antidiplomatico”, puntando il dito contro il Tpi, un apparato «elefantiaco» (1200 dipendenti), nato come organo giudiziario delle Nazioni Unite. «Costituendosi come parte civile nel processo contro Karadzic – spiega Santoianni – gli eredi di Milosevic sono riusciti ad ottenere una sentenza che, se pur indirettamente, scagiona Slobodan Milosevic dalle accuse per le quali era stato arrestato». La corte di giustizia ha affidato le indagini a un gruppo di lavoro diretto dal professor Cees Wiebes dell’Università di Amsterdam, che in un rapporto di circa 7.000 pagine, reso pubblico nel giugno di quest’anno, scagiona Milosevic. Lo stesso Santoianni denuncia il silenzio dei media mainstream di fronte alla notizia, che smentisce di colpo la colossale montatura, basata su calunnie e orchestrata dai media, per annientare la Serbia e il suo leader. Stampa occidentale assolutamente reticente? «Non me ne meraviglio – scrive Santoianni – considerando il livello che ha raggiunto l’“informazione”, e che ha fatto sì che a diffondere questa notizia siano stati siti serbi o russi. Una delle poche eccezioni è costituita dal sito del giornale inglese del “Guardian”».Anche per Giulietto Chiesa, «è comprensibile che tutti tacciano» sulla riabilitazione di Milosevic. Tutti i grandi media del mondo, cioè «coloro che in un coro unanime lo definirono il “macellaio dei Balcani”; coloro che lo paragonarono a Hitler, iniziando la serie che sarebbe poi continuata con Saddam Hussein, con Muhamar Gheddafi, e che vorrebbero continuare con Bashar el Assad». Ed è altrettanto comprensibile, aggiunge Chiesa su “Megachip”, che tacciano «le cancellerie occidentali, in specie quella americana, che vollero la fine della Jugoslavia e la fine di Milosevic». Possono farlo, tecnicamente, perché la “riabilitazione” formale di Slobodan Milosevic non c’è ancora stata: «La sentenza che la contiene è quella che ha portato lo stesso tribunale a condannare a 40 anni di reclusione Radovan Karadzic. Dunque bisogna leggere quella lunghissima sentenza per scoprire che Milosevic non fu colpevole delle accuse per cui passò in prigione gli ultimi cinque anni della sua vita, da tutti esecrato. Il trucco è tutto qui». La sentenza contro Karadzic risale al 24 marzo di quest’anno. «Siamo quasi alla metà di agosto e tutto il mainstream mondiale non si è accorto di niente. Oppure ha ritenuto utile non accorgersi di niente».Così, continua Chiesa, «tutti i leader occidentali non sono costretti a chiedere scusa, alla Jugoslavia, alla Serbia, ai popoli europei ignari». In realtà, «a ben vedere, toccherebbe a loro adesso sedere sul banco degl’imputati. Infatti, nella sua sentenza del 24 marzo, il tribunale che processò Milosevic dice che “non è soddisfatto dell’insufficiente prova che Milosevic fu favorevole” al piano di espulsione dei musulmani bosniaci e dei croato-bosniaci dal territorio della Bosnia preteso dai serbi». La stessa sentenza, a più riprese, ribadisce – citando documenti – l’esistenza di divergenze sostanziali tra Milosevic e Karadzic in diversi passaggi cruciali della tragica crisi. Milosevic si oppose alla decisione della costituzione della “Repubblica Srpskaja”. «E tante altre circostanze, ora scoperte, rivelano quello che coloro che volevano sapere già sapevano: e cioè che Milosevic, fino alla fine, cioè fino all’inizio dei bombardamenti della Nato sulla Serbia, aveva cercato un accordo con gli occidentali e che fu la signora Albright che decise che quell’accordo non dovesse essere siglato».«Cinque anni di prigione – gli ultimi della sua vita – furono decisi nelle capitali europee e americana in spregio a ogni giustizia, in nome del sopruso con cui lo stato Jugoslavo venne fatto a pezzi», scrive Chiesa. «E la sua morte in carcere avvenne in circostanze estremamente sospette e particolarmente disumane. Ufficialmente ebbe un attacco di cuore. Ma esso arrivò due settimane dopo che il Tribunale gli aveva negato il permesso di essere curato in Russia, come aveva chiesto. Morì nella sua cella, l’ex presidente jugoslavo, tre giorni dopo che il suo avvocato aveva inviato una sua lettera al ministro degli esteri russo, in cui diceva di temere di essere avvelenato». Adesso, conclude Chiesa, «sappiamo quale fu la “giustizia” che quel tribunale perseguiva: quella dei vincitori. Scagiona ora Milosevic, ma tiene nascosta la sua decisione. Non è una distrazione. Il giudice che ha presieduto il processo contro Karadzic, il coreano O-Gon Kwon, era anche tra i giudici che stavano processando Milosevic, prima che morisse. Costui conosceva tutti gli atti di entrambi i processi. Adesso non resta che chiedersi chi paga il suo stipendio e quello dei suoi onorati colleghi».Sempre “InSerbia.info”, una delle fonti della notizia proveniente dall’Aja, sostiene che valga la pena di ricordare, ancora, le strane circostanze della morte di Milosevic, nella sua cella del carcere Tpi a Schevenigen. Da un prelievo eseguito il 12 gennaio 2006, nel sangue del detenuto era stata rilevata una sostanza come la rifampicina, un antibiotico che può provocare pericolose crisi respiratorie. L’esito non fu rivelato al paziente fino al 3 marzo,«a causa della posizione giuridica difficile in cui il dottor Falke (responsabile medico del tribunale) si trovò in virtù delle disposizioni di legge olandesi in materia di segreto medico». La presenza di Rifamicin (farmaco non prescritto) nel sangue di Milosevic «avrebbe contrastato il farmaco contro l’alta pressione che stava prendendo, aumentando così il rischio di un attacco di cuore. Quello che alla fine l’ha ucciso. «Tutto questo – conclude “InSerbia.info” – dà luogo al fondato sospetto che potenti interessi geopolitici preferirono che Milosevic morisse prima della fine del suo processo, dato il “rischio” di vederlo assolto, una volta smontate le menzogne dell’accusa». Anche per questo, forse, per la cattura di Karadzic e Mladic si attese la morte di Milosevic.L’Uomo Nero? Era innocente. Presentato come il Macellaio dei Balcani, paragonato a Hitler, considerato alla stregua di Bin Laden, Saddam, Gheddafi. Quindi destituito e demolito insieme alla Jugoslavia. Arrestato come un criminale e lasciato marcire per cinque anni nel carcere olandese dove poi è morto, l’11 marzo 2006. Salvo poi “scoprire”, adesso, che il leader serbo Slobodan Milosevic non era il responsabile dei crimini di guerra commessi in Bosnia dal 1992 al 1995. L’orrendo massacro della guerra civile bosniaca, dice oggi il Tribunale Penale Internazionale dell’Aja, fu organizzato dalle milizie serbo-bosniache dello “psichiatra pazzo” Radovan Karadzic, arrestato nel 2008 e condannato a 40 anni di pena per il genocidio di Sbrebrenica, nonché per crimini di guerra e crimini contro l’umanità durante l’assedio di Sarajevo e le altre campagne di pulizia etnica contro i civili non serbi. Il principale esecutore delle “operazioni”, il generale Ratko Mladic, è stato estradato in Olanda nel 2011, presso il tribunale occidentale che adesso – a cinque anni dalla strana morte di Milosevic, vittima di un malore – dichiara che il leader di Belgrado non ha mai promosso né avallato le missioni di sterminio. Al contrario: secondo il Tpi, Milosevic avrebbe fatto di tutto per frenare Karadzic e Mladic.