Archivio del Tag ‘Gabriele Cagliari’
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Bizzi: patto col diavolo, ecco perché vogliono farci crollare
«Dal Britannia ormeggiato a Civitavecchia sbarca Emma Bonino, fa un bel sorriso e spiega che, a bordo, s’è discusso di cose interessanti e costruttive. Poi sbarca Beppe Grillo, ma rifiuta di rilasciare dichiarazioni al reporter, Enrico Mentana. Io quel servizio l’ho visto, me lo ricordo benissimo. Era il 2 giugno 1992. Il servizio è scomparso: fatto sparire persino dagli archivi del Tg5. E lo stesso Mentana oggi arriva a dire pubblicamente che quel servizio non è mai esistito». E’ uno dei passaggi-chiave dell’intervista in cui Nicola Bizzi, storico fiorentino nonché editore di Aurora Boreale, ha rilasciato alla web-tv di “Come Don Chisciotte”. Tema: perché l’Italia è sul lastrico. Risposta: colpa del “patto col diavolo” stipulato dall’ex sinistra alla vigilia della caduta del Muro di Berlino. «Si prostituirono: avrebbero svenduto il paese al nemico storico dei lavoratori, l’élite finanziaria speculativa. Nel frattempo, il Deep State americano – tramite l’operazione Mani Pulite (appena 7-8 condanne definitive, nonostante i 2.500 indagati) – avrebbe distrutto Craxi, la Dc e i loro alleati. Partiti ad alto tasso di corruzione, che però facevano gli interessi dell’Italia. Andavano sostituiti con qualcuno che cedesse a poteri esterni il timone del paese: da trent’anni, infatti, nessuna decisione viene più presa in Italia. Grazie appunto al “patto col diavolo” siglato allora da politici come Violante, Napolitano, Occhetto e D’Alema».L’Italia, sostiene Bizzi, è stata semplicemente “disarticolata” come sistema-paese: con Craxi era diventata la quarta potenza industriale del mondo, e questo era intollerabile per entità come la Germania. Lo Stato Profondo puntò sull’ex Pci proprio perché era debolissimo: sarebbe stato portato al governo solo a condizione che svendesse il paese. Operazione che andò in porto – ribadisce lo storico – grazie al consenso garantito dai grandi giornali, dalla magistratura influenzata dall’ex Pci e dal sistema culturale e universitario, dominato dall’ex sinistra. «Il patto: vi aiutiamo ad andare finalmente al governo, ma farete solo quello che vorremo noi. Cosa che continua tuttora. E mentre personaggi come Amato, Scalfaro, Ciampi e Napolitano verrano giudicati dalla storia – aggiunge Bizzi – mi auguro che gente come Conte, Zingaretti e Speranza vengano presto processati, per quello che hanno appena fatto agli italiani, creando le premesse per la distruzione definitiva del paese sulla base di un allarme pandemico gonfiato». Bizzi prevede una nuova Tangentopoli in arrivo, sempre innescata dal Deep State statunitense ma stavolta di segno opposto: «A far cadere tutto sarà Renzi, sospettato di aver imposto ai servizi segreti italiani – su ordine di Obama – di fabbricare prove false contro Trump per mettere in piedi il Russiagate».Autore del saggio “La Crisi della Repubblica dei partiti” (Dal crollo del Muro di Berlino a Tangentopoli), Bizzi offre una lettura urticante della nostra storia recente, che tuttavia fornisce una spiegazione coerente dell’altrimenti inspiegabile declino italiano: «A Prodi è stato chiesto di smantellare il colosso Iri, su cui poggiava la nostra economia, mentre tra le vittime di Tangentopoli caddero Gabriele Cagliari dell’Eni e Raul Gardini della Montedison». In altre parole, «l’Italia andava sabotata e messa in condizioni di non nuocere». Di male in peggio: «Oggi scontiamo la classe dirigente peggiore della storia, e abbiamo il peggior governo che sia mai stato insediato a Roma da quando esiste la repubblica: tutte le decisioni dell’esecutivo Conte sono prese fuori dall’Italia e contro l’Italia». Bizzi non si fa illusioni neppure sull’opposizione: «In pratica, un’opposizione non esiste: Salvini e Meloni si limitano a sussurri, solo per restare visibili sul piano elettorale, ma senza contestare il governo, ovvero i poteri forti che lo pilotano». Per Bizzi, il problema è antico: «Da trent’anni, salvo poche eccezioni, tutti i leader e persino i singoli parlamentari sono innocui per il sistema, perché ricattabili dai lobbisti che li “coltivano”, a suon di soldi, dal momento della loro elezione». E il dramma è che gli italiani non se ne accorgono. «Ancora oggi, nonostante tutto, c’è chi approva Conte. La musica cambierà a ottobre, quando sarà chiaro che la cassa integrazione non arriverà mai, e lo Stato sarà costretto a prendere in esame la necessità di tagliare le pensioni e gli stipendi dei dipendenti pubblici, esattamente come avvenuto in Grecia».(”Bizzi: patto col diavolo, Italia all’inferno grazie all’élite che da trent’anni impone ai nostri governanti di rovinare il paese”, dalla pagina Facebook di Giorgio Cattaneo del 24 luglio 2020).«Dal Britannia ormeggiato a Civitavecchia sbarca Emma Bonino, fa un bel sorriso e spiega che, a bordo, s’è discusso di cose interessanti e costruttive. Poi sbarca Beppe Grillo, ma rifiuta di fare dichiarazioni al reporter, Enrico Mentana. Io quel servizio l’ho visto, me lo ricordo benissimo. Era il 2 giugno 1992. Il servizio è scomparso: fatto sparire persino dagli archivi del Tg5. E lo stesso Mentana oggi arriva a dire pubblicamente che quel servizio non è mai esistito». E’ uno dei passaggi-chiave dell’intervista in cui Nicola Bizzi, storico fiorentino nonché editore di Aurora Boreale, ha rilasciato alla web-tv di “Come Don Chisciotte”. Tema: perché l’Italia è sul lastrico. Risposta: colpa del “patto col diavolo” stipulato dall’ex sinistra alla vigilia della caduta del Muro di Berlino. «Si prostituirono: avrebbero svenduto il paese al nemico storico dei lavoratori, l’élite finanziaria speculativa. Nel frattempo, il Deep State americano – tramite l’operazione Mani Pulite (appena 7-8 condanne definitive, nonostante i 2.500 indagati) – avrebbe distrutto Craxi, la Dc e i loro alleati. Partiti ad alto tasso di corruzione, che però facevano gli interessi dell’Italia. Andavano sostituiti con qualcuno che cedesse a poteri esterni il timone del paese: da trent’anni, infatti, nessuna decisione viene più presa in Italia. Grazie appunto al “patto col diavolo” siglato allora da politici come Violante, Napolitano, Occhetto e D’Alema».
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Uccido bambini e progetto attentati, nel nome di Ishmael
L’omicidio rituale di un bambino precede sempre l’ammazzamento eccellente: lo anticipa, come un oscuro presagio. Prima, c’è il ritrovamento del piccolo ucciso. Poche ore dopo, ecco l’attentato. E gli inquirenti onesti, quelli che intuiscono la verità, vengono depistati e poi, sabotati, rimossi, liquidati. «Bravo, vedo che ha capito come funziona, quel sistema». Parola di Francesco Cossiga. All’altro capo del telefono, lo sbigottito Giuseppe Genna, autentico talento letterario, autore del thriller politico “Nel nome di Ishmael”. Un libro sconvolgente. Uscì nel 2001, ma sembra scritto ieri, anzi oggi, in quest’Europa tramortita dal terrorismo opaco firmato Isis, dietro cui si nascondono “menti raffinatissime”, con propensione a “firmare” le loro stragi secondo precisi codici esoterici, come nel caso delle mattanze di Parigi e Bruxelles, ispirate alle date cruciali dell’epopea dei Templari, fondamentale nel pantheon massonico. Tutto questo, in un mondo dal quale spariscono misteriosamente, ogni anno, migliaia di bambini. Un abisso di orrore, che collega terrorismo e potere, servizi segreti e super-élite, logge e sètte, geopolitica e oscure pratiche, basate sul valore magico attribuito ai sacrifici umani, a partire da quelli dei bambini.L’infanticidio? Simboleggia morte e rinascita. Chi progetta un attentato, se ne “propizia” il successo alla vigilia, massacrando un neonato nel modo più atroce. E’ la legge di Ishmael, la piovra da incubo che il libro di Genna disvela, pagina dopo pagina. La trama è quella – potente, incalzante – del noir, giocato in modo perfetto sulla storia parallela di due poliziotti italiani, a quarant’anni di distanza l’uno dall’altro. Il primo è l’ispettore David Montorsi, che scopre un minuscolo cadavere in un campo da rubgy alla periferia di Milano poco prima che, nei cieli dell’Oltrepo Pavese, esploda in volo l’areo di Enrico Mattei, il patron dell’Eni: l’uomo che, da ex partigiano, aveva osato sfidare l’America, in piena guerra fredda. Il secondo è un altro detective della questura milanese, Guido Lopez, impegnato a proteggere l’anziano Kissinger al forum di Cernobbio, poco dopo aver scoperto – nello stesso campo da rugby – il cadavere di un altro minore, spaventosamente seviziato.Proprio tra i vip planetari convenuti per Cernobbio, Genna fotografa un’epoca: «Bush e Gorbaciov, gli eroi del disgelo. Quello che era successo da dieci anni dipendeva da loro. Muro di Berlino, crollo della Russia, riforma dell’economia mondiale. Erano stati loro. Dopo di loro sarebbe stato l’impero del male: l’impero di Ishmael». Il libro di Genna è stato scritto prima ancora del G8 di Genova e dell’11 Settembre, i due eventi-chiave che hanno aperto il baratro della crisi, con la “guerra infinita” in mezzo mondo, la catastrofe finanziaria e il manifestarsi dell’élite neo-feudale globalizzata che ha raso al suolo quarant’anni di diritti sociali, in Occidente. Tredici anni dopo il thriller “Ishmael”, nel monumentale saggio “Massoni”, Gioele Magaldi rivela che lo stesso Gorbaciov fu affiliato alla superloggia segreta “Golden Eurasia”, mentre Bush padre aveva fondato la “Hathor Pentalpha”, definita “loggia del sangue e della vendetta”, molto più estremista (e feroce) della storica “Three Eyes”, ispiratrice dell’ultra-destra economica anglosassone, per decenni dominata da uno dei personaggi centrali del libro di Genna, Henry Kissinger.I grandi globalizzatori? Anche spietati, certo. Ma non solo: attorno a loro, aggiunge Genna, c’è una nebulosa inquietante, profonda e buia, che caratterizza il Dna dei loro “mandanti” più reconditi, i veri “invisibili”, i super-potenti, quelli che restano al loro posto anche quando i loro politici sono tramontati. Il volto oscuro dell’élite: qualcosa di barbarico, anche. Una “chiesa” di dominatori sanguinari che – all’occorrenza – si procurano bambini da “sacrificare”. «Veramente profetico, Genna, per ammissione dello stesso Cossiga», racconta l’ex avvocato Paolo Franceschetti, indagatore dei peggiori misteri irrisolti della cronaca italiana, dal Mostro di Firenze alle Bestie di Satana fino alla strana uccisione del piccolo Samuele Lorenzi a Cogne. Un intreccio di poteri occulti, istituzioni infedeli e servizi deviati, attorno a cui fioriscono rituali magici e codici simbolici attorno a crimini che sembrano assurdi, senza un movente.E’ l’inferno che Genna chiama, semplicemente, “Ishmael”. Nel romanzo lo descrive come un vero e proprio cancro, inoculato dall’élite-ombra statunitense al tempo della sfida con l’Urss, scegliendo proprio l’Italia come fronte strategico da cui poi ingabbiare l’intera Europa. Per questo è così decisivo l’attentato a Mattei, fatto passare per incidente aereo. E sono pagine di altissima intensità quelle che Genna dedica al grande leader del riscatto italiano del dopoguerra. «Sappiamo di esserci, ma non ci siamo, a tutti gli effetti. L’Italia è questo qualcosa oltre il corpo e la mente, e la guerra che lui sta facendo è la costruzione di una salvezza», per proteggere il paese dal «regno arido, sormontato da potenze e da angeli oscuri», che è a tutti gli effetti l’America. «Bisogna salvare l’uomo, poiché l’uomo è pronto a divenire un americano e l’americano è pronto ad annullarsi. Annullata l’America, sarà annullata l’umanità. L’Italia, perciò, è l’idea della salvezza che è presente qui e sempre, ora, tra uomo e uomo, tra l’uomo e l’America».Contro questa salvezza combatte “Ishmael”, facendo esplodere l’aereo del ribelle italiano, il condottiero spericolato e sognatore. Ma poi, la piovra – che si insinua fin dentro le questure e la magistratura del Belpaese, sotto l’occhiuta regia di autentici mostri di cinismo come Kissinger – pian piano sfugge al controllo dei suoi stessi creatori fino a metterli in pericolo, verso l’instaurazione totalitaria del “tempo di Ishmael”, la nuova epoca – questa – in cui non ci sarà più alcuna certezza, cadranno leggi e autorità, tutto il pianeta sarà preda di un’oligarchia potentissima e invisibile, inafferrabile, sempre pronta – all’occorrenza – a usare il terrorismo e l’omicidio, spesso facendo precedere gli attentati da agghiaccianti ritrovamenti di bambini rapiti dai pedofili, quindi abusati e martoriati dai neo-satanisti dell’élite-fantasma.Una sequenza di morte, invariabilmente preceduta dal macabro rinvenimento della baby-vittima sacrificale. Nella “cronologia delle operazioni della rete Ishmael”, nell’appendice della fiction di Genna, trovano posto industriali, banchieri e tanti politici, uccisi o sfiorati dalla morte: il tedesco Adenauer e lo stesso De Gaulle, lo spagnolo Luis Carrero Blanco, e naturalmente Aldo Moro. Ci sono due Papi: Albino Luciani, morto, e Karol Wojtyla, ferito. E poi Roberto Calvi, Olof Palme, il craxiano Gabriele Cagliari. E ministri francesi, finanzieri di Stato tedeschi, la stessa Lady Diana. Cronometrico, nelle ore precedenti, il ritrovamento – non lontano – di un piccolo, a volte un neonato, ferocemente “sacrificato”. E’ la legge di Ishmael, scriveva Genna, quando ancora non era comparso un nome tanto simile, così ingannevolmente mediorientale: Isis.(Il libro: Giuseppe Genna, “Nel nome di Ishmael”, Mondadori, 486 pagine, euro 10,50).L’omicidio rituale di un bambino precede sempre l’ammazzamento eccellente: lo anticipa, come un oscuro presagio. Prima, c’è il ritrovamento del piccolo ucciso. Poche ore dopo, ecco l’attentato. E gli inquirenti onesti, quelli che intuiscono la verità, vengono depistati e poi sabotati, rimossi, liquidati. «Bravo, vedo che ha capito come funziona, quel sistema». Parola di Francesco Cossiga. All’altro capo del telefono, lo sbigottito Giuseppe Genna, autentico talento letterario, autore del thriller politico “Nel nome di Ishmael”. Un libro sconvolgente. Uscì nel 2001, ma sembra scritto ieri, anzi oggi, in quest’Europa tramortita dal terrorismo opaco firmato Isis, dietro cui si nascondono “menti raffinatissime”, con propensione a “firmare” le loro stragi secondo precisi codici esoterici, come nel caso delle mattanze di Parigi e Bruxelles, ispirate alle date cruciali dell’epopea dei Templari, fondamentale nel pantheon massonico. Tutto questo, in un mondo dal quale spariscono misteriosamente, ogni anno, migliaia di bambini. Un abisso di orrore, che collega terrorismo e potere, servizi segreti e super-élite, logge e sètte, geopolitica e oscure pratiche, basate sul valore magico attribuito ai sacrifici umani, a partire da quelli dei bambini.
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Quegli strani suicidi all’italiana, da Gardini a Pantani
Finalmente, dopo dieci anni s’è riaperto il caso Pantani, frettolosamente archiviato come suicidio anche se il campione quella mattina del 2004 aveva chiesto aiuto per due volte, invocando l’intervento dei carabinieri, prima che fosse ritrovato senza vita, in una stanza distrutta, con accanto un misterioso biglietto con scritto che “le rose sono contente e la rosa rossa è la più contata”. Indagini all’epoca così “distratte” da non registrare le troppe anomalie: tali e tante, che il giornalista francese Philippe Brunel ne ha scritto un libro-denuncia, “Gli ultimi giorni di Marco Pantani”, edito da Rizzoli-Bur. Il fatto è che nel nostro paese sono davvero parecchi i “casi Pantani”, osserva l’avvocato Solange Manfredi: «Casi da cui risulta evidente che qualcosa non funziona, o forse funziona sin troppo bene». Troppe indagini diffettose, troppi processi che poi a distanza di anni si rivelano completamente da rifare, perché «caratterizzati sempre dagli stessi errori, le stesse carenze e violazioni». Pantani, Gardini, Cagliari. E tutti gli altri suicidi apparenti di cui è lastricata la nostra storia recente.«Chi come me studia i fascicoli processuali – scrive Solange Manfredi nel blog di Paolo Franceschetti – si ritrova sempre davanti alle stesse situazioni: quasi come se esistesse un meccanismo che si mette in moto per impedire l’accertamento delle uniche cose che il procedimento penale ha lo scopo di accertare», ovvero «come si sono svolti i fatti e chi ne è responsabile». I suicidi anomali, avverte la Manfredi, sono molto frequenti, anche se sono veramente pochi quelli che balzano agli onori delle cronache. In tutti questi casi, «le indagini presentano sempre le stesse carenze». Delle stranezze sulla fine di Pantani, trovato morto a Rimini il 14 febbraio 2004 in una stanza del residence “Le Rose”, si sa ormai abbastanza. Il “suicida” Pantani aveva ingerito cocaina: nel corpo ne era stata rinvenuta una quantità sei volte superiore alla dose letale. «Eppure ci sono tante cose che non quadrano». Per due volte, poco prima di morire, aveva telefonato alla reception: «Per favore, chiamate i carabinieri, ci sono qui due persone che mi stanno dando fastidio».Nel cestino della camera vengono ritrovati i resti di del cibo cinese che Marco detestava: quel cibo non l’ha mai ordinato, né tantomeno mangiato. In camera vengono ritrovati indumenti che l’atleta, all’arrivo in albergo, non aveva. Il ciclista viene ritrovato in una pozza di sangue del diametro di un metro, sul suo corpo sono presenti ferite (conseguenza di calci e pugni) e la stanza è a soqquadro, come se ci fosse stata una lotta. Secondo l’ultima perizia, poi, i segni sul corpo del campione rivelano che Pantani è stato trascinato. Tutto molto strano. Come il “suicidio anomalo” del giovane Attilio Manca, avvenuto appena due giorni prima, a Viterbo, la mattina del 12 febbraio 2004. Il corpo viene ritrovato nel suo appartamento, e anche in questo caso per la Procura si è trattato di suicidio. Attilio ha nelle vene un mix letale di tre sostanze: eroina, sedativi e sostanza alcolica. Ma le modalità di assunzione sono assolutamente incredibili, prende nota Solange Manfredi.«Attilio viene ritrovato in camera da letto riverso sul letto seminudo, dal naso e dalla bocca è fuoriuscita una ingente quantità di sangue che ha provocato una pozzanghera sul pavimento. I suoi pantaloni sono appoggiati sulla sedia, ma nella casa non si ritrovano né i suoi boxer né la camicia. Il volto presenta una vistosa deviazione del setto nasale e sugli arti sono presenti numerose ecchimosi». Sul corpo di Attilio, poi, sono visibili i segni di due distinte iniezioni: una al polso e una all’avambraccio. In effetti, «nell’appartamento vengono ritrovate due siringhe da insulina usate, una in bagno e una nella pattumiera della cucina». La la cosa strana è che «ad entrambe è stato riapposto il tappo salva-ago». E attenzione: «I segni delle iniezioni letali sono sull’avambraccio sinistro, ma Attilio era un mancino puro: con la destra non sapeva fare praticamente nulla. Eppure, quando decide di suicidarsi, usa proprio la destra».Dunque, conclude la Manfredi, sia Marco che Attilio si sarebbero suicidati con una overdose: Marco ingerendo cocaina contenuta all’interno di palline fatte di mollica di pane, e Attilio praticandosi due iniezioni – una sull’avambraccio e una sul polso – con la mano destra, lui che era mancino puro. Overdose volontaria? E allora perché entrambi i corpi presentano ferite da colluttazione? «Attilio ha addirittura il setto nasale deviato, mentre Marco risulta essere stato trascinato». Ma per gli inquirenti si è trattato di suicidio, in entrambi i casi. Accadde la stessa cosa con altri tre suicidi eccellenti, maturati in piena Tangentopoli: quelli di Sergio Castellari, Gabriele Cagliari e Raul Gardini. Castellari, direttore generale degli affari economici del ministero delle Partecipazioni Statali, poi consulente Eni, scompare il 18 febbraio 1993. Il corpo senza vita viene ritrovato il 25. Per la Procura è suicidio. O meglio, il più incredibile dei suicidi.Castellari si sarebbe sparato alla testa e la morte sarebbe avvenuta il 18 febbraio. «Eppure, il cadavere – rinvenuto 7 giorni dopo – non presenta processi putrefattivi». In più, «entrambe le mani presentano amputazioni di alcune dita». Le dita sono state certamente amputate, non mangiate da qualche animale. Inoltre, «la pistola Smith & Wesson calibro 9 con cui si sarebbe sparato è infilata nella cintura dei pantaloni», addirittura. Dettaglio ulteirore: «Il cane dell’arma è alzato». E poi il proiettile con cui si sarebbe suicidato: sparito, dissoltosi nel nulla. Infine, «sull’arma non vengono ritrovate impronte», men che meno quelle della vittima. «Dunque, secondo la Procura, Castellari prima si amputa qualche dito (che non verrà ritrovato) da entrambe le mani, quindi si suicida sparandosi alla testa con una calibro 9 – che gli porta via mezza calotta cranica – e, dopo, compie queste attività: riarma il cane della pistola, la pulisce dalle impronte digitali, se la infila nei pantaloni, fa sparire il bossolo del proiettile con cui si è sparato e solo dopo, finalmente, muore».Il 20 luglio 1993 tocca a Gabriele Cagliari, presidente dell’Eni, arrestato l’8 marzo di quell’anno. Viene ritrovato nel bagno della sua cella con una busta di plastica legata al collo. Altro suicidio, per gli inquirenti. Cagliari si sarebbe suicidato chiudendosi nel bagno: prima di farla finita, avrebbe bloccato la porta della toilette con un paletto inserito nella maniglia. «Eppure il pezzo rotto e mancante del paletto che sarebbe servito a Cagliari per chiudersi dentro il bagno non si trova», ricorda Solange Manfredi. Inoltre, secondo le testimonianze, «nei primi soccorsi a Cagliari sarebbe stato strappato il sacchetto dal viso per permettergli di respirare: eppure quel sacchetto viene ritrovato integro». Al momento dell’autopsia vengono poi riscontrate sul corpo di Cagliari diverse lesioni agli zigomi, al cuoio capelluto, allo sterno e alle costole, con ecchimosi e infiltrazioni emorragiche. «Ma se al momento del ritrovamento Cagliari era morto, come se le è prodotte quelle lesioni? Gli ematomi si possono formare solo se vi è circolazione sanguigna. Questo vuol dire che quelle ecchimosi se l’era prodotte prima della morte. Come?».Infine, Raul Gardini. Il capo del gruppo Ferruzzi, coinvolto nel caso Enimont, muore il 23 luglio del 1993. Ufficialmente, «sparandosi un colpo di pistola alla tempia nella sua camera da letto». Peccato che «sul letto, sull’orologio, sui cuscini e sul lenzuolo» non siano stati ritrovati residui di polvere da sparo. Inoltre, «nessuno dei collaboratori domestici presenti in casa ha sentito lo sparo», benché l’arma non fosse dotata di silenziatore. Strana pistola: «Viene ritrovata appoggiata sulla scrivania a diversi metri dal letto». E persino il bossolo «viene rinvenuto sul pavimento a tre metri di distanza da dove avrebbe dovuto trovarsi se Gardini si fosse suicidato». Anche in questo caso sull’arma non vengono rilevate impronte, neanche quelle della vittima. Sulle cartucce, invece, «vengono trovate impronte non appartenenti a Raul Gardini». All’esame autoptico, per contro, «il corpo presenta una frattura alla base cranica e una ecchimosi sotto l’occhio». Per l’avvocato Manfredi sono lesioni compatibili con ben altra dinamica: qualcuno ha afferrato la testa di Gardini e gliel’ha sbattuta contro un corpo solido.«Anche in questo caso – scrive Solange Manfredi, sarcastica – Gardini si è prima procurato una lesione alla base cranica, quindi si è sparato alla testa sul letto, quindi si è alzato, ha pulito la pistola dalle impronte digitali, l’ha riposta con cura sullo scrittoio, ha spostato il bossolo (forse perché dov’era faceva disordine), quindi è ritornato a letto, e poi è morto». Storie semplicemente incredibili. «Tutti i corpi presentano lesioni immediatamente precedenti il suicidio». Lesioni «difficilmente spiegabili con la dinamica suicidaria». Più verosimilmente, quelle ferite sono «compatibili con una colluttazione». In tutti i luoghi del ritrovamento, poi, alcuni oggetti mancano, insipegabilmente. E, altrettanto misteriosamente, altri oggetti – non collegabili al “suicida” – vengono rinvenuti sulla scena del crimine. «E le attività investigative sono carenti e contraddittorie». Tutti suicidi anomali. Così numerosi e macroscopici da indurre un magistrato come Mario Almerighi, amico di Giovanni Falcone, a indagare a fondo, nel libro “Suicidi? Castellari, Cagliari, Gardini”, editito dall’Università La Sapienza. «Ancora una volta il meccanismo si è messo in moto, e ancora una volta con tragico successo», si è portati a pensare. Perché «anche il sistema uccide». Per la precisione, «uccide chi diventa inaffidabile».Finalmente, dopo dieci anni s’è riaperto il caso Pantani, frettolosamente archiviato come suicidio anche se il campione quella mattina del 2004 aveva chiesto aiuto per due volte, invocando l’intervento dei carabinieri, prima che fosse ritrovato senza vita, in una stanza distrutta, con accanto un misterioso biglietto con scritto che “le rose sono contente e la rosa rossa è la più contata”. Indagini all’epoca così “distratte” da non registrare le troppe anomalie: tali e tante, che il giornalista francese Philippe Brunel ne ha scritto un libro-denuncia, “Gli ultimi giorni di Marco Pantani”, edito da Rizzoli-Bur. Il fatto è che nel nostro paese sono davvero parecchi i “casi Pantani”, osserva l’avvocato Solange Manfredi: «Casi da cui risulta evidente che qualcosa non funziona, o forse funziona sin troppo bene». Troppe indagini diffettose, troppi processi che poi a distanza di anni si rivelano completamente da rifare, perché «caratterizzati sempre dagli stessi errori, le stesse carenze e violazioni». Pantani, Gardini, Cagliari. E tutti gli altri suicidi apparenti di cui è lastricata la nostra storia recente.