Archivio del Tag ‘George Floyd’
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L’America nella nebbia: nel 2000 i brogli favorirono Bush
Nel calcio, quando il campo da gioco è invaso dalla nebbia e la visibilità scende a zero, l’arbitro interrompe la partita: la cosa migliore sarebbe rigiocarla. L’ecltoplasma chiamato Joe Biden, il vecchio che in pubblico sbaciucchia le bambine e in privato manda avanti il figliolo a fare affari inconfessabili coi peggiori oligarchi cinesi e ucraini, sta forse per vincere le elezioni più nebbiose della storia americana? Nella regione industriale dei Grandi Laghi, dove Donald Trump aveva appena incassato una squillante vittoria sulla base delle schede votate da elettori in carne e ossa, la strana nebbia blu dei “democrat” alla Nancy Pelosi, quella secondo cui alla fine vincerà Biden, in un modo o nell’altro, sta facendo letteralmente sparire dalla vista il perimetro dello sport politico più importante del pianeta? Un gioco di prestigio, costruito con tonnellate di schede pre-stampate, sta davvero trasformando in un ricordo la lealtà costituzionale delle presidenziali statunitensi? Elezioni-evento, adrenalinicamente esasperate e decantate come specchio dell’innocenza sostanziale del maggior impero del pianeta, formidabile motore – negli ultimi cent’anni – di tutto il meglio e tutto il peggio che il mondo ha potuto assaggiare. Anche questo (insieme alla nostra sicurezza sanitaria) sta dunque per finire, nella nebbia della Rust Belt invasa da voti postali stampati in serie?E’ quanto sostiene il presidente teoricamente destinato a restare in carica fino al 22 gennaio 2021, quell’impresentabile e insopportabile Uomo Nero che è riuscito a mandare in bestia milioni di cittadini, non solo americani, per i suoi modi studiatamente sbrigativi, atipici, deliberatamente alieni rispetto all’ipocrisia corrente del politicamente corretto, che nasconde i suoi orrori geopolitici dietro sorrisi, diplomazia, minuetti e lanci a canestro come quelli nei quali eccelle Barack Obama, l’equivoco vivente più famoso del mondo, iscritto per sbaglio nel campionato dei Buoni in cui milita anche il pontefice romano che ha adottato il nome di Francesco d’Assisi. Dai palazzi vaticani starà certo osservando lo spettacolo della nebbia anche lui, il Papa argentino che convisse a lungo coi generali fascisti tra i fantasmi dei desaparecidos, e che – poche settimane fa – è stato brutalmente accusato, proprio dall’amministrazione Trump, di avere stipulato per la prima volta nella storia una sorta di patto col diavolo, concedendo al governo di Pechino il potere di designare i vescovi cattolici nel subcontinente post-maoista, ora arruolato a pieno titolo nel fronte turbo-mondialista di Davos, quello che da tempo sognava e prevedeva un’epidemia coi fiocchi, come quella che ha paralizzato il mondo e soprattutto inceppato la scontatissima rielezione di Donald Trump.A proposito: è letteralmente impazzito, il 45esimo presidente degli Stati Uniti? Nel contestare in modo così aspro il risultato, a spoglio ancora in corso, non si rende conto di lesionare il prestigio istituzionale della superpotenza? Cosa spinge il presidente uscente ad agire in modo tanto avventato, almeno in apparenza, senza curarsi del pericolo di veder riesplodere nelle strade americane la violenza scatenata nei mesi scorsi dalle squadracce neofasciste di Antifa, prezzolate per strumentalizzare le sacrosante proteste per la barbara uccisione di George Floyd da parte della polizia? La celebratissima “prima democrazia del mondo” rischia di dare uno spettacolo di sé paragonabile a quello del magistrale affresco storico realizzato da Martin Scorsese in una pellicola come “Gangs of New York”? Il momento è altamente drammatico: come quando, nel 1991, il mondo intero restò col fiato sospeso di fronte alle imprese dei golpisti di Mosca che avevano deposto e sequestrato Gorbaciov, l’eroe che aveva invano sperato in un vero, umanissimo “nuovo ordine mondiale”, basato sulla concordia e la cooperazione, dopo l’infinito logoramento della guerra fredda, sotto il ricatto incrociato del terrore nucleare.In attesa di capire quali colpi di scena si consumeranno ancora dalle parti di Washington, in una partita che non può che includere anche il Pentagono, oltre all’evocazione (fuori misura?) della Corte Suprema come estremo arbitro della contesa più pazza di sempre, è inevitabile scorgere la platea che se lo sta godendo, lo spettacolo della nebbia. Accanto a Obama e Bergoglio, nella platea è facile scorgere il diletto Macron, onorato in Vaticano il giorno dopo aver insultato il governo italiano, due anni fa. Il presidente che faceva picchiare i migranti africani rispedendoli in Italia ha appena bombardato il Mali, per rappresaglia dopo gli attentati di Nizza, con la scusa dell’origine maliana di uno dei killer. Sul suo sito, Mitt Doclino segnala un dettaglio: il Mali aveva tentato di smarcarsi dalla stretta coloniale francese, chiedendo aiuto proprio agli Stati Uniti. Vi rendete conto – si domanda Mitt Doclino – che fine farebbe l’Italia, se venisse meno anche l’ultimo paracadute americano, di fronte all’aggressività dell’ordoliberismo franco-tedesco? Per inciso: siamo il paese che si è lasciato “scippare” dalla Francia persino la vetta del Monte Bianco. Bel simbolo: il tetto d’Europa non sarebbe più italiano, se si continuasse a lasciar fare, seguendo l’esempio degli inesistenti Conte e Di Maio, letteralmente non pervenuti.Si dirà che Conte e Di Maio hanno ben altre rogne di cui occuparsi, oggi. Di Maio, poi, può godersi il suo cretaore, Beppe Grillo, che sciorina sul suo blog la mappa del Bengodi, il nuovo planisfero del “reddito universale” cui sarebbero destinati i superstiti del Great Reset, quelli ancora vivi dopo l’accurata distruzione della sovranità economica. Impossibile non notare anche l’ex comico, nella nebbia della tribuna che si sta gustando lo scempio americano. Impossibile non immaginare un intero parterre di potentissimi padreterni, pronti a ridere largo di fronte al voto postale statunitense: George Soros e gli uomini di Davos, il cinese Xi Jinping, i padroni del web e quelli delle televisioni, il mitologico Bill Gates coi suoi vaccini e i suoi microchip, l’altrettanto favoloso Elon Musk con le sue “costellazioni” di satelliti 5G. Tutti a tifare contro il Puzzone della Casa Bianca: interi settori del Deep State più maleodorante, gli “specialisti” di antiterrorismo che hanno assistito al dilagare indisturbato del terrorismo, i club più esclusivi di Big Pharma e il loro guru mondiale Anthony Fauci, buon amico del presidente etiope di un’Oms ormai largamente finanziata dalla Cina, il colosso globalista teleguidato da azionisti come Vanguard, State Street e BlackRock.E’ vero che il nebbione è fitto, ma solo un cieco potrebbe non vedere il ponte velenoso che collega Wuhan a Washington. L’ultima volta che negli Usa qualcuno denunciò brogli elettorali, sappiamo come finì: Al Gore rimase a casa, e venne eletto Bush. Era il 2001: poco dopo crollarono le Torri Gemelle ed esplose l’inferno in Afghanistan e in Iraq. Il mondo non sarebbe più stato lo stesso. E’ la medesima canzone che intonano, non da oggi, i profeti del Grande Reset: state a casa, andrà tutto bene, ce ne occuperemo noi. Parola d’ordine: tremare e obbedire. Al netto della cecità dei più ottusi, era proprio questa – la libertà – la vera posta in gioco nelle “elezioni del secolo”, che hanno opposto il controverso “patriota” Trump a un flebile ometto di cartapesta, un semplice prestanome dai capelli bianchi. Finisce qui, l’incontro? Qualche arbitro fischierà la fine e The Donald si ritirerà, come fece Gore nonostante l’imbroglio dei voti della Florida presieduto dal governatore Jeb Bush, fratello del candidato presidente? Questo tempo che stiamo vivendo – tra mascherine e lockdown, distanziamento e coprifuoco, strategia della paura e disinformazione martellante a reti unificate – ha l’aria di essere davvero apocalittico, cioè rivelatore: a questo è servito, essenzialmente, l’indice accusatore agitato, spesso fuori misura, dall’urlatore Donald Trump, che ora si dichiara frodato dalla nebbia, il più subdolo dei trucchi.Nel calcio, quando il campo da gioco è invaso dalla nebbia e la visibilità scende a zero, l’arbitro interrompe la partita: la cosa migliore sarebbe rigiocarla. L’ecltoplasma chiamato Joe Biden, l’anziano signore che in pubblico sbaciucchia le bambine e in privato manda avanti il figliolo a fare affari inconfessabili coi peggiori oligarchi cinesi e ucraini, sta forse per vincere le elezioni più nebbiose della storia americana? Nella regione industriale dei Grandi Laghi, dove Donald Trump aveva appena incassato una squillante vittoria sulla base delle schede votate da elettori in carne e ossa, la strana nebbia blu dei “democrat” alla Nancy Pelosi, quella secondo cui alla fine vincerà Biden, in un modo o nell’altro, sta facendo letteralmente sparire dalla vista il perimetro dello sport politico più importante del pianeta? Un gioco di prestigio, costruito con tonnellate di schede pre-stampate, sta davvero trasformando in un ricordo la lealtà costituzionale delle presidenziali statunitensi? Elezioni-evento, adrenalinicamente esasperate e decantate come specchio dell’innocenza sostanziale del maggior impero del pianeta, formidabile motore – negli ultimi cent’anni – di tutto quello che il mondo ha potuto assaggiare. Anche questo (insieme alla nostra sicurezza sanitaria) sta dunque per finire, nella nebbia della Rust Belt invasa da voti postali stampati in serie?
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No al Covid, sì alla democrazia: le urne premiano Trump
Lo spettacolo elettorale più importante del mondo rischia di protrarsi per giorni, e magari di sfociare in scontri armati nelle strade? La notte americana, intanto, sancisce alcune verità clamorose: Donald Trump è in vantaggio su Joe Biden, dato per stra-vincitore da tutti i sondaggi, ancora una volta sbagliatissimi. Lo Zio Matto, l’aveva ribattezzato Barack Obama, l’ex presidente che rischia l’incriminazione per aver fabbricato le prove false che nel 2016 dovevano servire a inventare il Russiagate a beneficio di Hillary Clinton. Dato per morto e sepolto dai grandi media, in prima linea i potenti network televisivi e i grandi player del web, lo Zio Matto ha resistito all’assalto di Sleeping Joe: il voto reale (quello tradizionale, delle urne), conferma Donald Trump presidente degli Stati Uniti. I “democrat” sperano nel controverso voto postale, introdotto grazie al Covid? Dalla Casa Bianca – in modo tagliente – lo Zio Matto ha fatto sapere, via Twitter, di considerarsi il vincitore legittimo. Peggio: dando fuoco alle polveri, Trump sostiene che non permetterà agli avversari di “rubargli” la vittoria, nel caso in cui dovessere essere proprio lo scrutinio dei voti postali a determinare l’esito elettorale della decisiva Rust Belt, la cintura industriale che, come già nel 2016, anche stavolta – alle urne – ha chiaramente scelto l’uomo dell’America First.Tra gli osservatori si fanno largo gli scenari più apocalittici, del resto ipotizzati già alla vigilia dagli stessi capi della polizia: all’imponente battaglia legale annunciata dagli uomini di Trump per contestare i voti pervenuti a mezzo posta potrebbe infatti sovrapporsi lo scenario del caos, con intere città messe a ferro e fuoco dalle opposte tifoserie. In questo caso ci sarebbe da temere il peggio, e già nelle settimane precedenti si è parlato di un possibile intervento diretto dell’esercito, sul suolo nazionale, per la prima volta nella storia degli Stati Uniti: o per supportare Trump, o addirittura per farsi garanti della Costituzione e sostituirlo temporaneamente, alla guida del paese, nell’attesa di una chiarificazione definitiva del reale verdetto elettorale. Un esito inaudito, che difficilmente la superpotenza si potrebbe permettere, senza vedere danneggiato in modo irreparabile il proprio prestigio internazionale e quindi il suo peso geopolitico, proprio nel momento in cui gli Usa – già critici con l’Unione Europea – si sono “messi di traverso” rispetto alla Cina, preparandosi a una guerra (per ora commerciale, politica e di intelligence) che non ha precedenti, negli ultimi decenni, da quando cioè a Pechino è stato permesso di diventare la “manifattura del mondo”, a basso costo, mettendo nei guai l’industria occidentale.La più grande vittoria di Donald Trump, sia pure provvisoria e condizionata dalle incognite dell’infinito election-day, è quella riportata contro il grande protagonista del 2020: il coronavirus, o meglio la gestione “terroristica” di un’epidemia che l’Oms (largamente finanziata dalla Cina) ha trasformato rapidamente in pandemia, con la pretesa di sostituire la politica con una sorta di “dittatura dell’emergenza”, sospendendo diritti, libertà e democrazia. Al regime del “China-virus” si è opposto in modo vigoroso proprio Donald Trump, vero e proprio bersaglio di una campagna – americana e mondiale – condotta a mezzo stampa e non solo: inaudite, infatti, le violenze squadristiche che nei mesi scorsi hanno devastato molte grandi città statunitensi, strumentalizzando (contro Trump) l’iniziale, genuina indignazione popolare per il razzismo della polizia, esplosa dopo la barbara uccisione dell’afroamericano George Floyd. Chi confida nella vittoria di Trump, oggi più che mai, spera che il presidente – se confermato – possa compiere passi decisivi per far uscire il mondo dall’incubo del Covid, facendo luce sull’opaca origine del virus e smascherando la vera natura del problema, più politica che sanitaria. Obiettivo: un pieno ritorno alla democrazia, non solo in America.Lo spettacolo elettorale più importante del mondo rischia di protrarsi per giorni, e magari di sfociare in scontri armati nelle strade? La notte americana, intanto, sancisce alcune verità clamorose: Donald Trump è in vantaggio su Joe Biden, dato per stra-vincitore da tutti i sondaggi, ancora una volta sbagliatissimi. Lo Zio Matto, l’aveva ribattezzato Barack Obama, l’ex presidente che rischia l’incriminazione per aver fabbricato le prove false che nel 2016 dovevano servire a inventare il Russiagate a beneficio di Hillary Clinton. Dato per morto e sepolto dai grandi media, in prima linea i potenti network televisivi e i grandi player del web, lo Zio Matto ha resistito all’assalto di Sleeping Joe: il voto reale (quello tradizionale, delle urne), conferma Donald Trump presidente degli Stati Uniti. I “democrat” sperano nel controverso voto postale, introdotto grazie al Covid? Dalla Casa Bianca – in modo tagliente – lo Zio Matto ha fatto sapere, via Twitter, di considerarsi il vincitore legittimo. Peggio: dando fuoco alle polveri, Trump sostiene che non permetterà agli avversari di “rubargli” la vittoria, nel caso in cui dovessere essere proprio lo scrutinio dei voti postali a determinare l’esito elettorale della decisiva Rust Belt, la cintura industriale che, come già nel 2016, anche stavolta – alle urne – ha chiaramente scelto l’uomo dell’America First.
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Elezioni Usa: la polizia e i cittadini temono una guerra civile
Il fatto che i funzionari delle forze dell’ordine si aspettino una violenza diffusa in tutta la nazione come conseguenza delle elezioni, dovrebbe far tremare ogni americano fino alle ossa. Continuo a ripetere che la violenza non risolverà nulla, ma gran parte della popolazione non ascolta più voci come la mia. Come leggerete nel prosieguo, le autorità hanno deciso di “prepararsi al peggio” in modo che tutti siano consapevoli di cosa sta per accadere. Ma, a questo punto, se non possiamo tenere un’elezione presidenziale senza violenza, quanto tempo ancora potrà reggere il nostro sistema? Chiunque finisca per vincere, le elezioni del 2020 ci diranno molto su dove si sia spinta la situazione in America. Per fortuna, i funzionari della maggior parte delle grandi città non hanno ficcato la testa sotto la sabbia e stanno preparandosi a fronteggiare i disordini di massa che seguiranno le prossime elezioni. Il Nypd (polizia di New York) sta addestrando centinaia di rinforzi per prepararli al giorno delle elezioni, per timore che possano scoppiare rivolte e proteste dopo l’annuncio dei risultati.
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Mattarella convoca i militari: coprifuoco, paura per gli Usa?
Coprifuoco notturno come in Francia (con il pretesto del Covid) alla vigilia delle elezioni americane? La notizia rimbalza ovunque: Sergio Mattarella ha convocato per il 27 ottobre il Consiglio Supremo di Difesa. Ordine del giorno: «Conseguenze dell’emergenza sanitaria sugli equilibri strategici e di sicurezza globali, con particolare riferimento alla Nato e all’Unione Europea», nonché «aggiornamento sulle principali aree di instabilità e punto di situazione sul terrorismo transnazionale», e infine «prospettive di impiego delle forze armate nei diversi teatri operativi». Militari presto schierati in modo permanente nelle strade italiane? L’attenzione si sposta immediatamente negli Usa, dove si teme stia per accadere qualcosa di inaudito: voci insistenti danno per certo che il Pentagono sia pronto a vigilare sulle elezioni più drammatiche della storia, probabilmente con risvolti senza precedenti. Devastante la polemica agitata da Trump in queste ore: emergono le prove di finanziamenti indebiti che Joe Biden avrebbe ricevuto dalla Cina tramite il figlio, Hunter, già al centro di uno scandalo petrolifero in Ucraina. Molte città statunitensi sono state devastate dalle violenze di formazioni come “Antifa”, manipolate per creare caos dopo le indignate proteste iniziali per il razzismo della polizia. Le elezioni più blindate della storia finiranno in rissa? E’ per questo che anche l’Italia si prepara al peggio, cioè a una crisi mondiale di rilievo anche militare?Domande per ora senza risposta, alimentate da notizie necessariamente frammentarie. Il Consiglio Supremo di Difesa – si legge sul sito del Quirinale – è il principale strumento costituzionale attraverso cui il capo dello Stato acquisisce «circostanziate conoscenze degli orientamenti del governo in materia di sicurezza e difesa». In altri termini, «è strumento di dialogo e di confronto preventivo tra i responsabili dell’indirizzo politico in materia di difesa nazionale». I suoi componenti possono quindi «concorrere a definire criteri per il migliore esercizio delle rispettive singole competenze». Oltre al capo dello Stato ne fanno parte essenzialmente il premier, alcuni ministri-chiave (esteri, interno, economia, difesa) e naturalmente il capo di stato maggiore della difesa. «A seconda delle circostanze e della materia trattata», possono essere consultati anche i vertici delle singole forze armate (esercito, marina, aeronautica e carabinieri), nonché il presidente del Consiglio di Stato e ulteriori esperti di valore strategico. «I primi sessant’anni di attività del Csd sono stati avvolti da un impenetrabile alone di mistero, facendone l’organo meno conosciuto della Repubblica», ricorda Wikipedia. In pratica: l’Italia si sta preparando al peggio, di fronte all’ipotesi di un’esplosione mondiale innescata dalle tensioni tra Usa e Cina?Di per sé, la convocazione – pur degna del massimo rilievo – non implica necessariamente la presenza di circostanze straordinarie: il Consiglio Supremo di Difesa, ricorda sempre il Quirinale, viene convocato dal presidente della Repubblica almeno due volte l’anno, con un ordine del giorno che tiene conto anche delle indicazioni fornite dal presidente del Consiglio dei ministri. In questo caso, però, a fare notizia è la data: il summit delle massime autorità civili e militari è convocato a una settimana di distanza dalle presidenziali americane del 3 novembre 2020, valutate come un appuntamento epocale per il destino del pianeta. La nuda cronologia degli ultimi mesi mostra la successione di due eventi di portatata strategica: la clamorosa rottura geopolitica e commerciale tra Washington e Pechino, con l’imposizione di dazi da parte degli Usa per frenare l’export cinese, e l’immediata esplosione dell’epidemia di coronavirus. Contagio che da Wuhan si è poi esteso al resto del mondo, travolgendo letteralmente gli Stati Uniti, dove Trump era dato sicuramente vincente: merito della sua politica economica, che aveva ridotto a zero la disoccupazione. Con il Covid, tutto è crollato: America nel panico, e milioni di disoccupati.Ad aggravare il quadro, la guerriglia urbana scatenata da “Antifa”: le iniziali proteste di “Black Lives Matters” contro la polizia, dopo la barbara uccisione dell’afroamericano George Floyd, si sono trasformate in disordini gravissimi, con aggressioni ai supporter di Trump degenerate nel saccheggio indiscriminato di negozi e abitazioni. Allarme rilanciato nelle ultime ore anche dalla stampa italiana: migliaia di americani in coda davanti alle armerie, dove si stanno acquistando fucili, pistole e mitra. In arrivo elezioni armate, in un clima da guerra civile? Fonti autorevoli riferiscono che il Pentagono sarebbe pronto a intervenire: sia per garantire la regolarità del voto, che poi per gestire la sicurezza nei giorni seguenti, nel caso dovessero esplodere tumulti e turbolenze minacciose. I sostenitori di Trump ritengono che i militari verrebbero schierati a difesa del presidente uscente, mentre quelli di Biden scommettono che i generali garantiranno, anche con la forza, un regolare passaggio di consegne qualora le urne dovessero decretare la vittoria dei democratici. Si teme in ogni caso il manifestarsi di una situazione inedita e pericolosa, con i militari in primissimo piano, specie in quegli Stati in cui le operazioni di voto dovessero essere disturbate (o addirittura sabotate) da iniziative violente, magari intraprese da manifestanti armati.Ce n’è abbastanza, parrebbe, per convocare gli stati maggiori della Repubblica italiana, recentemente messa sull’avviso dalla strana visita del segretario di Stato di Trump, Mike Pompeo, che a Roma si è scagliato contro il Vaticano accusando Bergoglio di aver fatto pericolose concessioni ai cinesi: il governo di Pechino, infatti (caso unico al mondo) concorre alla nomina dei vescovi cattolici, in Cina. Lo stesso Pompeo avrebbe inoltre rivolto un severo monito al governo Conte, e in particolare al “partito cinese” che si muove dietro le quinte dell’esecutivo, attraverso potenti comitati d’affari nonché i terminali italiani dell’emergenza Covid, ispirati da un’Oms ormai controllata da Pechino dopo il ritiro degli Stati Uniti dall’organizzazione internazionale, accusata di promuovere il modello-Cina (autoritario) con l’alibi della sicurezza sanitaria. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: il lockdown imposto in Italia è stato il più severo, in Europa, e ha prodotto l’unico effetto di aggravare la crisi economica. Oggi l’Italia ha l’acqua alla gola: aiuti mai arrivati, aziende chiuse o in procinto di chiudere, cassa integrazione erogata col contagocce, interi settori (come il turismo) ridotti al lumicino. Allucinanti le proiezioni sul Pil, crollato di 18 punti.Scandalosamente, il governo Conte non ha fatto nulla – nei mesi della tregua estiva – per evitare la situazione che oggi viene rappresentata come esplosiva: i dispositivi sanitari non sono stati potenziati, e ai medici di base (tramite le Regioni) non è stata fornita una procedura per gestire i malati a casa, in sicurezza, evitando la corsa agli ospedali. Nonostante ciò, o forse proprio per questo, si tenta di colpevolizzare i cittadini (patetica la crociata contro la “movida”) per l’eventuale recrudescenza di un virus che, ormai lo si è visto, produce una larghissima maggioranza di contagiati asintomatici. Contagiati che oltretutto, secondo eminenti virologi (non quelli ospitati in televisione) non sono in grado di trasmettere il virus: gli asintomatici non sono contagiosi, ripetono alcuni tra i maggiori epidemiologi del mondo, come i firmatari della Dichiarazione di Great Barrington, ormai sottoscritta da 25.000 medici e scienziati. La loro ricetta: proteggere anziani e malati, lasciando però che il virus infetti la maggioranza della popolazione (immunità di gregge), in modo che si adatti rapidamente al nostro organismo e cessi di rappresentare un problema. Tesi scientifiche autorevoli ma bandite, nel paese dei Dpcm che sorvolano sulla Costituzione. In Italia, la parola d’ordine resta invariata: abbiate paura.Ancora una volta, dopo aver lasciato affondare il paese, Giuseppe Conte si aggrappa all’emergenza? Sfumati gli aiuti europei (Recovery Fund) nel pantano di una contesa infinita, sarà ora l’emergenza geopolitica innescata dalle presidenziali americane a tenere in piedi il governo più catastrofico del dopoguerra? Saranno cioè i militari nelle strade a “congelare” gli italiani, in crisi nera e spaventati a morte dalla propaganda psico-sanitaria dell’esecutivo? Domande appese a pochi indizi, in attesa del 3 novembre, nel dubbio (fondato) che alla narrazione odierna – dominata dal virus influenzale – possa sostituirsi una narrativa d’altro genere, affidata ai militari, a cominciare dall’altra sponda dell’Atlantico. Impossibile non ricordare che la flotta da guerra statunitense è schierata al largo della Cina, e che l’Italia – sempre strategica, a metà strada tra Europa, Africa e Medio Oriente – ospita in territorio europeo il maggior numero di basi militari statunitensi, alcune munite di considerevoli arsenali atomici.Coprifuoco notturno come in Francia (con il pretesto del Covid) alla vigilia delle elezioni americane? La notizia rimbalza ovunque: Sergio Mattarella ha convocato per il 27 ottobre il Consiglio Supremo di Difesa. Ordine del giorno: «Conseguenze dell’emergenza sanitaria sugli equilibri strategici e di sicurezza globali, con particolare riferimento alla Nato e all’Unione Europea», nonché «aggiornamento sulle principali aree di instabilità e punto di situazione sul terrorismo transnazionale», e infine «prospettive di impiego delle forze armate nei diversi teatri operativi». Militari presto schierati in modo permanente nelle strade italiane? L’attenzione si sposta immediatamente negli Usa, dove si teme stia per accadere qualcosa di inaudito: voci insistenti danno per certo che il Pentagono sia pronto a vigilare sulle elezioni più drammatiche della storia, probabilmente con risvolti senza precedenti. Devastante la polemica agitata da Trump in queste ore: emergono le prove di finanziamenti indebiti che Joe Biden avrebbe ricevuto dalla Cina tramite il figlio, Hunter, già al centro di uno scandalo petrolifero in Ucraina. Molte città statunitensi sono state devastate dalle violenze di formazioni come “Antifa”, manipolate per creare caos dopo le indignate proteste iniziali per il razzismo della polizia. Le elezioni più blindate della storia finiranno in rissa? E’ per questo che anche l’Italia si prepara al peggio, cioè a una crisi mondiale di rilievo anche militare?
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Dylan parla dal futuro: sconfiggeremo tutto questo orrore
“Ho attraversato il Rubicone il quattordicesimo giorno, nel mese più pericoloso dell’anno, nel momento peggiore dei giorni più brutti. E’ tutto quello che vedo qui, ho fatto un voto così posso pregare il dio greco di mandare l’alba…”. C’è un senso di pericolo imminente, di stordimento collettivo ma anche di spietata difesa del proprio passato, dell’esperienza di un’intera esistenza, in “Rough and Rowdy Ways”, nuovo album di Bob Dylan (uscito il 19 giugno). Il titolo è un warning, un avvertimento ai poveri di spirito, agli arroganti, agli artisti, politici, intellettuali che non accettano cambi di guardia: i miei modi saranno ruvidi e turbolenti. E “Crossing the Rubicon” è uno di questi passaggi, con l’immagine terribile e solenne di “un fiume dove molte ceneri fluttuano nelle correnti”. Non era facile prevedere il Dylan del suo 79° anno, perché non siamo più abituati a una visione enciclopedica, a trovare la strada, il filo d’Arianna in un mondo prossimo al crollo, più per incapacità a reagire che per difetti strutturali. Crisi economica, pandemia, razzismo non giustificano per Dylan l’abdicazione a qualsiasi principio morale: “Io posso redimere il mio tempo, tempo così sprecato che alla fine potrei durare”.Armatevi di pazienza, un vocabolario, uno smartphone multifunzione, soprattutto astenetevi dall’improvvisarvi esperti in cultura, animatori dei sogni altrui: in dieci canzoni rugginose e fluenti come i grandi fiumi, Dylan spiega perché sapere e studiare, questa è per i più giovani, è l’unica difesa al dilagare di corruzione, violenza, odio. Non siamo più alle battaglie per i diritti civili di sessant’anni fa, e al “New York Times” Dylan confessa tutto il suo orrore per George Floyd «torturato a morte in quel modo». Si dice «nauseato». E proprio alla sua generazione, quella che doveva arginare le derive autoritarie e di totale disprezzo per l’individuo, raccomanda uno scatto d’orgoglio perché proprio le nuove generazioni «non vivendo alcun passato, tendono a credere a qualsiasi cosa. Il punto è che fra venti, trent’anni saranno in prima linea». È il punto centrale di questo album magistrale, irripetibile anche per un Nobel alla Letteratura negli anni a venire: quanto pesa il tempo e come condividerlo con più generazioni?“Rough and Rowdy Ways” non è un disco da esporre in un museo e far ascoltare a un singolo individuo per volta. La cultura non è mai divisiva, al contrario è una traversata del deserto; “Dio, sono in lotta, Dio, potrei sbagliarmi, viaggio nella luce e sono lento a tornare a casa”, canta in “Mother of Muses”, è il coraggio di mostrare debolezze e furori esemplari. “Questo è il regno della potenza e della gloria”, annuncia in “Goodbye Jimmy Reed”: “Racconta la vera storia, raccontala senza fronzoli, nelle ore mistiche quando le persone sono deboli”. Dylan non pubblicava un album di inediti da otto anni, quando “Tempest” si impose come una delle sculture guerriere tipiche di un amante di arti figurative. E il presagio di un mondo più debole che sfortunato faceva allusione al Titanic piuttosto che a John Lennon. Oggi Dylan esclude che le piaghe capitali che affliggono l’umanità, senza limiti geografici, abbiano un riferimento biblico. «Vorrebbe dire che ci tocca una punizione divina», afferma Dylan. «Certo, l’arroganza più estrema può generare effetti disastrosi. Forse siamo arrivati a un’epoca di distruzione, ma rimango convinto che tutto passerà».Ho qualche dubbio che operatori culturali da fast food, produttori e discografici assillati da picchi di follower e febbre gialla da social riescano a comprendere il tesoro inestimabile di “Rough and Rowdy Ways”, annunciato in pieno lockdown da “Murder Most Foul”, 17 minuti di ballata sulla morte di John F. Kennedy proiettata come un drone al primo posto in classifica, e poi da “I Contain Multitudes”, titolo di una splendida poesia di Walt Whitman, quindi da “False Prophet”. Tutto on line, mentre da noi i padri della patria della canzone, per non dire dei confusi nipotini rapper, non riuscivano proprio a cantare il loro tempo. Come se il tempo non te lo debba conquistare, per il semplice fatto che sei davvero un poeta. O un cantautore. O, appunto, una voce del futuro. Ma per avere un futuro, devi sapere come stare in equilibrio. Solo così puoi scrivere “il mio cuore è come un fiume, un fiume che affonda… vedo il sorgere del sole, vedo il tramonto”. E rimanere nell’arena a batterti. Però di Bob Dylan ne esiste uno solo.(Renato Tortarolo, “Ruvido e impetuoso, così Bob Dylan ci rimette in riga”, dal “Secolo XIX” del 13 giugno 2020. «Di questi giorni non ci sono buone notizie», ha dichiarato Dylan al “New York Times”. «Le buone notizie nel mondo di oggi sono come un fuggiasco, trattato come un bandito e messo in fuga. Per questo dobbiamo ringraziare i media: agitano la gente con pettegolezzi e biancheria sporca. Cattive notizie che deprimono e creano orrore». Quanto alla pandemia, per Dylan è «il precursore di qualcos’altro che sta per venire», ma non necessariamente una piaga biblica: «Significherebbe che nel mondo sta arrivando un castigo divino. L’estrema arroganza che porta punizioni disastrose. Forse siamo alla vigilia della distruzione. Ci sono molti modi per pensare al virus. Io penso che occorra lasciargli fare il suo corso»).“Ho attraversato il Rubicone il quattordicesimo giorno, nel mese più pericoloso dell’anno, nel momento peggiore dei giorni più brutti. E’ tutto quello che vedo qui, ho fatto un voto così posso pregare il dio greco di mandare l’alba…”. C’è un senso di pericolo imminente, di stordimento collettivo ma anche di spietata difesa del proprio passato, dell’esperienza di un’intera esistenza, in “Rough and Rowdy Ways”, nuovo album di Bob Dylan (uscito il 19 giugno). Il titolo è un warning, un avvertimento ai poveri di spirito, agli arroganti, agli artisti, politici, intellettuali che non accettano cambi di guardia: i miei modi saranno ruvidi e turbolenti. E “Crossing the Rubicon” è uno di questi passaggi, con l’immagine terribile e solenne di “un fiume dove molte ceneri fluttuano nelle correnti”. Non era facile prevedere il Dylan del suo 79° anno, perché non siamo più abituati a una visione enciclopedica, a trovare la strada, il filo d’Arianna in un mondo prossimo al crollo, più per incapacità a reagire che per difetti strutturali. Crisi economica, pandemia, razzismo non giustificano per Dylan l’abdicazione a qualsiasi principio morale: “Io posso redimere il mio tempo, tempo così sprecato che alla fine potrei durare”.
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Abolire la verità: la nuova religione del potere modello Cina
Se i simboli e i riti vogliono dire qualcosa e raccontano la realtà più dei fatti e delle parole, quei pugni chiusi, quelle città messe a ferro e fuoco dagli antifa, quella parodia di religione con la genuflessione e la stola arcobaleno al collo e i minuti di penitenza in ginocchio, vogliono dire che una nuova religione fanatica e un nuovo comunismo stanno sorgendo in Occidente. Una religione preterintenzionale, al di là delle intenzioni di chi l’abbraccia: per tanti che si sono inginocchiati in favore di telecamera e hanno simulato un rito religioso, c’era un obbiettivo più basso: schiacciare sotto un ginocchio, il Nemico, la Bestia, Donald Trump. Tutta una messinscena mondiale perché si avvicinano le elezioni. Si rovescia su Trump un brutale assassinio di cui non ha alcuna colpa, un assassinio come tanti della polizia americana, sotto amministrazioni democratiche e repubblicane. Altrettanti, va pure detto, ne subisce la polizia americana, ad opera della delinquenza. Perché l’America resta una società violenta, a tratti selvaggia, sotto la crosta di progresso, tecnologia, ciccia e lattine. Inginocchiarsi per una vittima, quando ogni giorno la delinquenza comune, la persecuzione religiosa e le dittature ne uccidono migliaia, è solo malafede.
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Abbiamo un problema: siamo in guerra, ma non lo vediamo
Houston, abbiamo un problema. Il pubblico si spella le mani, pro o contro i suoi gladiatori di cartapesta, mentre là fuori impazza una specie di guerra mai vista, spaventosa, insidiosissima perché subdola: c’è in giro un killer, travestito da infermiere. Ha anche aperto una macelleria sfrontata, fino a ieri impensabile: e il peggio non è neppure la disinvoltura delle amputazioni senza anestesia (le pagine oscurate, i blog censurati, i video desaparecidos), ma il fatto che metà del pubblico sbeffeggi come vittimisti e inguaribili visionari gli autori delle denunce “bannate”, cancellate con un colpo di spugna. E’ il pubblico che trova normale che nell’anno 2020 dopo Cristo, non in Corea del Nord ma in un paese dell’Unione Europea, il governo istituisca una sorta di Ministero della Verità, senza vergognarsi di filtrare le informazioni destinate ai sudditi, a loro volta ben divisi in due ostinate tifoserie cementate da un rancore surreale, fuori luogo. Che il genere fantasy sia forse il più appropriato, per descrive l’attuale situazione psico-politica, lo suggerisce il lessico usato da un cardinale nel promuovere Donald Trump come “figlio della luce”, nemico del tenebroso Deep State che usa questa stranissima emergenza sanitaria per imprigionare il mondo nel cerchio magico della paura, oscurando l’orizzonte di una libertà democratica erroneamente data per scontata, ormai al sicuro per sempre.
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Magaldi: avviso a Conte, in autunno la Rivoluzione Italiana
E bravo “Giuseppi”: non lo sa che gli Stati Generali portano male a chi li convoca, specie se non è esattamente in buona fede? Nel 1789, in Francia, condussero velocemente alla Presa della Bastiglia: oggi il piccolo capo di questo Governo della Paura vuol proprio fare, il prossimo settembre, la stessa fine di Luigi XVI? «Anche noi lo aspetteremo al varco: ma anziché il 14 luglio, anniversario dell’inizio della Rivoluzione Francese, gli daremo tempo per meditare sull’ultimatum che riceverà entro una decina di giorni. Gliene chiederemo conto il 20 settembre, ricorrenza della Breccia di Porta Pia. E se non saremo stati ascoltati, scenderemo in piazza il 5 ottobre: data che ricorda la Marcia delle Donne, quando anche le cittadine francesi nel fatidico 1789 fecero rotta sulla reggia di Versailles per reclamare i loro diritti». Gioca con le date, Gioele Magaldi: ma il titolo del gioco è inequivocabile, si chiama rivoluzione. «Grandi cose accadranno, in questi mesi, dietro le quinte del potere: ci saranno botte da orbi, grazie alle manovre intraprese dalla massoneria progressista». Ma la notizia è un’altra: «Nessuna rivoluzione ha mai avuto successo, senza il determinante contributo del popolo».«E’ vero, le élite le progettano: ma poi le rivoluzioni le fa la gente, se capisce che deve scendere in strada al momento giusto. Che nel nostro caso si sta rapidamente avvicinando», assicura Magaldi. «Parlo di un riscatto nazionale, civile ed economico: in palio c’è l’Italia, esattamente come nel Risorgimento, di cui il 20 settembre 1870 rappresenta l’epilogo, con la conquista di Roma». Premessa: il presidente del Movimento Roosevelt, entità metapartitica nata nel 2015 per tentare di rimettere insieme i cocci della politica italiana, di massoneria se ne intende. «Il mondo in cui viviamo è stato interamente progettato da massoni: lo Stato diritto, le istituzioni laiche, il suffragio universale. La democrazia non ce l’ha portata la cicogna: è stata un’idea dei massoni che nel ‘700 rovesciarono l’Ancien Régime, in Francia e in America, dando inizio alla modernità politica». Queste cose, Magaldi le ha ricordate nel saggio “Massoni”, edito nel 2014 da Chiarelettere. Un bestseller italiano, trasformatosi in long-seller e – dice l’autore – costato il trono a Giorgio Napolitano, nientemeno, indicato come appartenente alla superloggia “Three Eyes”.Grande regista, Napolitano, dell’imbarazzante operazione (interamente massonica) che portò il “fratello” Mario Monti a Palazzo Chigi con l’incarico di inguaiare il paese, tagliando la spesa sociale e quindi determinando deliberatamente una crisi terribile, tale da far crollare il gettito fiscale fino a far esplodere il debito pubblico. Obiettivo: rendere l’Italia sempre più debole, facile preda dei suoi avidi “becchini”. Francia e Germania? «Non esattamente: si tratta di gruppi apolidi, supermassonici, che usano in modo cinico le istituzioni – Ue, singoli paesi – per i loro scopi inconfessabili, speculativi e privatistici. E’ un’élite sovranazionale, economicamente neoliberista e politicamente reazionaria, post-democratica». Di fronte a questo, avverte Magaldi, le antiche distinzioni ideali (destra-sinistra) non contano più niente, da quando – archiviate le ideologie – i politici della sinistra si sono rassegnati, proprio come quelli della destra, ad eseguire ordini impartiti dall’alto: dalla stessa élite senza patria che, dagli anni Settanta in poi, ha cominciato a “smontare” la democrazia sociale dei diritti in tutto l’Occidente, attraverso entità paramassoniche come la Trilaterale, fino ad arrivare, oggi, a guardare alla Cina come modello.Una società autoritaria, quella cinese, basata sulla sorveglianza orwelliana del cittadino-suddito. «Non a caso – fa osservare Magaldi – il disastro Covid è esploso a Wuhan all’indomani della cocente umiliazione inflitta a Xi Jinping dall’unico politico capace di opporsi al dilagare dell’egemonia di Pechino: Donald Trump, oggi infatti assediato dai manifestanti antirazzisti alla vigilia delle elezioni, e alle prese con la drammatica crisi economica indotta dal lockdown, che ha cancellato gli ottimi risultati ottenuti dalla Casa Bianca nel far volare l’economia americana». Beninteso: «Trump farebbe meglio ad ascoltare i manifestanti genuinamente indignati per lo scandalo del razzismo che serpeggia tra i poliziotti stratunitensi: una piaga rispetto alla quale, peraltro, lo stesso Barack Obama, primo presidente “nero”, in otto anni non ha fatto assolutamente niente». Ma attenzione: «I manifestanti violenti sono manipolati: imputano assurdamente a Trump l’omicidio di George Floyd».Ecco perché, aggiunge Magaldi, sarebbe da ciechi non scorgere i manovratori: a loro, del razzismo non importa nulla. «Vogliono solo impedire che Trump venga rieletto, perché ha osato sfidare la loro “creatura”, la Cina, e anche l’opaca Oms foraggiata da Pechino, braccio operativo del “terrorismo sanitario” che ha usato il Covid come un’arma», con obiettivi plurimi: mettere ko l’economia per indebolire i politici, e confiscare – in modo inaudito, in Occidente – le libertà democratiche nelle quali siamo cresciuti. E’ una specie di inferno, quello che si sta spalancando: qualcuno sta cercando di far apparire “normale” il coprifuoco, il distanziamento, la chiusura irreparabile di aziende e negozi. Scenario che in Italia si sta traducendo nella morte civile di interi settori strategici, come il turismo. «E se domani qualcuno si inventa un altro virus, fabbricandolo in laboratorio? Che facciamo: richiudiamo tutto?». Il primo a sentire puzza di bruciato è stato Bob Dylan: con la canzone “Murder Most Foul”, il grande cantautore (Premio Nobel per la Letteratura) a fine marzo ha messo in relazione la pandemia – e i “falsi profeti” del vaccino universale – con la cupola di potere che nel 1963 assassinò John Kennedy a Dallas. Addirittura?Ebbene sì. «Un’unica filiera – dice Magaldi – collega la fine dei Kennedy al manifesto “La crisi della democrazia”, promosso dalla Trilaterale di Kissinger: il primo a sdoganare il regime cinese con l’idea di farne un’alternativa, mostruosa, per un Occidente non più libero, e oggi infatti ricattato dalla paura grazie a un virus “cinese” che, in questo, è ancora più efficace del terrorismo “islamico”, anch’esso coltivato da menti massoniche». Magaldi sa di cosa parla: già “venerabile” della prestigiosa loggia romana Monte Sion del Grande Oriente d’Italia, oggi è il “gran maestro” del Grande Oriente Democratico, circuito massonico progressista collegato con le superlogge sovranazionali più avanzate, sul piano dell’impegno sociale democratico, come la “Thomas Paine”. Altra notizia: a quel circuito appartiene lo stresso Dylan, «massone ultra-progressista, oggi sceso in campo in prima persona perché il pericolo che stiamo correndo è veramente grande: il mondo rischia di non essere più lo stesso, se gli oligarchi avranno mano libera nel gestire l’emergenza Covid a modo loro».La sensazione è che l’attacco sferrato – l’imposizione del lockdown “cinese”, l’avvento della nuova polizia sanitaria – sia un riflesso di autodifesa, da parte di un’élite che teme di perdere il potere. Parlano da sole le clamorose diserzioni in atto, ai piani alti, tutte annunciate con largo anticipo proprio da Magaldi: Mario Draghi e Christine Lagarde hanno abbandonato il fronte reazionario (dominio finanziario, privatizzazioni) e oggi parlano un’altra lingua, insieme alla stessa dirigenza del Fmi, fino a ieri schierata dalla parte del rigore. «Fine dell’austerity», raccomandò Draghi, a marzo, sul “Financial Times”: se non si inonda l’economia di miliardi a costo zero, che non si trasformino in debito, il nostro sistema produttivo crollerà. «Oggi, gli unici soldi veri che l’Italia sta ricevendo sono quelli della Bce assicurati dalla “sorella” Lagarde», sfidando i falchi tedeschi. E’ così l’importante, l’Italia? Eccome: «Ci crediate o meno, è il luogo in cui si combattono e si combatteranno alcune battaglie decisive per la democrazia e la libertà, per il futuro della globalizzazione», assicura Magaldi.Spiegazione: fuggita la Gran Bretagna, in Ue – a parte il Belpaese – restano solo due grandi player, Germania e Francia: ma i rigidi assetti politici di Berlino e Parigi non consentono margini di manovra. Che l’Italia fosse l’unico laboratorio possibile, per riformare la governance continentale, lo si era già visto nel 2018, col Parlamento nel caos dopo il voto: il boom dell’incognita 5 Stelle, il Pd umiliato tra le macerie del renzismo (riformatore solo a chiacchiere) e l’impennata della Lega, ad archiviare l’obsoleto centrodestra. Come sarebbe andata a finire lo si capì da subito: «Saranno i mercati a insegnare agli italiani come votare», proclamò l’eurocommissario tedesco Günther Oettinger, «massone reazionario», mentre lo spread saliva prontamente. Poteri forti: «Fu Bankitalia – dice Magaldi – a convincere Mattarella a negare il ministero dell’econonia a Paolo Savona, che era lì apposta per provare a cambiare le regole che ci penalizzano da decenni». Il resto è cronaca: lo stesso Salvini la buttò in caciara enfatizzando il problema-migranti, per nascondere il fallimento gialloverde. «Lui e Di Maio dovettero ingoiare il rospo: a loro, Bruxelles non concesse neppure un irrisorio incremento del deficit».Unico accenno di riforma, l’alleggerimento fiscale vagheggiato dal leghista Armando Siri, messo però fuori gioco da un semplice avviso di garanzia. «Salvini si arrese, staccando la spina». Elezioni? Macché: i 5 Stelle – pur di non perdere la poltrona – si aggrapparono al «partito di Bibbiano», abbracciando uno Zingaretti che, fino a tre giorni prima, giurava: «Mai, con quei populisti». Cambiarono i suonatori, ma non lo spartito: ancora e sempre rigore, vigilato dall’emissario di turno dei soliti poteri (Roberto Gualteri, Pd, forgiato dall’eterna tecnocrazia di Bruxelles). Obiettivo: tirare a campare, in un’Italia sempre più precaria e impoverita, senza nessuna speranza nell’unica svolta politico-economica ormai drammaticamente indispensabile: la rottamazione della grande bugia neoliberista, del debito pubblico come colpa nazionale. «Il “fratello” Draghi si è ricordato delle sue origini, citando il New Deal di Roosevelt: senza un massiccio intervento statale, l’economia frana nella spirale della crisi». E’ la lezione di Keynes, oggi rispolverata dal fronte massonico progressista che si oppone alle restrizioni catastrofiche imposte con l’alibi del Covid, tra le mille opacità della gestione italiana della pandemia più strana e più sospetta della storia. Un disastro, per gli italiani. Ma per “Giuseppi”, una grande occasione.Il piccolo, oscuro “avvocato del popolo” – mai sentito nominare da nessuno, prima del 2018 – si è trasformato di colpo in mini-dittatore, miracolato dal coronavirus proprio quando il suo governicchio incolore stava per cadere. «Conte ha sbagliato tutto quello che poteva: ha agito in ritardo nel creare zone rosse e ha permesso la grande “fuga” dalla Lombardia contaminata, poi ha chiuso gli italiani in casa facendo crollare l’economia e in più li ha lasciati senza aiuti: c’è ancora chi aspetta la cassa integrazione». Su che pianeta vive, il Conte che l’11 giugno si è stupito di essere accolto in piazza al grido di “buffone”? Ci tiene proprio, a replicare le gesta delle varie Maria Antonietta della storia? Non si era accorto, che l’esaperazione popolare sta per esplodere? Cattive notizie, per “Giuseppi”: un sondaggio di inizio giugno svela che è Mario Draghi l’italiano che oggi riscuote più fiducia. «Credo che a volte la storia sia sarcastica, ironica, beffarda», commenta Magaldi. «Il Conte che convoca gli Stati Generali, richiamando la Francia del ‘700, non sa che quell’assemblea portò direttamente alla rivoluzione contro chi l’aveva convocata?».«La storia dell’appello agli Stati Generali non andrà a finire bene nemmeno stavolta», dice Magaldi in web-streaming su YouTube. Una pessima suggestione storica: «Chi li aveva convocati nel 1789 credeva di poter manipolare il popolo, fingendo di concedere una consultazione vasta per il bene collettivo: in realtà si volevano propinare le solite ricette, che non concedevano significative riforme – economiche, politiche e sociali». La storia si ripete? «A un sempre più stralunato Giuseppe Conte (e ai suoi consigliori ancor più stralunati, tanto per le questioni comunicative che per quelle economiche e legislative), quella storia avrebbe dovuto consigliare di scegliersi un altro titolo, per questa convocazione», aggiunge Magaldi. «Ma credo ci sia una sorta di “cupio dissolvi”: ognuno persegue il proprio destino – e questo vale anche per Giuseppe Conte e i suoi, che avranno un destino di disfatta. Dunque, se ci sono gli Stati Generali, andranno a finire come nel caso della Rivoluzione Francese. E’ davvero uno scivolone clamoroso: significa quasi attribuirsi in partenza un esito catastrofico, come quello degli Stati Generali parigini».Magaldi annuncia un ultimatim che il Movimento Roosevelt presenterà a Conte entro una decina di giorni: «Faremo una proposta precisa, facile da attuare in tempi brevissimi, per ognuno degli attuali ministeri: c’è bisogno di sostenere gli italiani, subito, con azioni chiare e immediate». Precisa Magaldi: «Noi siamo laici, non “tribali”: non ci interessa chi fa le cose che servono, l’importante è che le faccia». Conte? «Deve liberarsi – testualmente – di tutte le pervicaci e rapaci cazzate che vengono anche dal piano Colao». Privatizzare quel che ancora ci resta: «Tutte storie già viste, stroncate molto bene da Giulio Sapelli, ottimo economista italiano che tiene alta la fiaccola keynesiana: Sapelli ha ricordato che le proposte di Colao assomigliano alle cose che si insegnano nelle scuole per manager, mal digerite e certamente poco adatte alla realtà concreta». Se il governo si libererà «dalle elaborazioni irrisorie che verranno da questi Stati Generali», tanto meglio: «Non ci sarà bisogno, il 5 ottobre, di scendere in piazza». Il problema è anche come affrontarla, la piazza: Magaldi sta creando la Milizia Rooseveltiana, qualcosa che in Italia non sè ancora visto.«Sarà un teatro nonviolento ma fermo, scomodo e inflessibile nel denunciare quello che non va e nel proporre soluzioni ragionevoli». Milzia? Ovvio il riferimento, autoironico, al fascismo delle origini, specularmente capovolto a partire dallo slogan: “Dubitare, disobbedire, osare”, anziché “Credere, obbedire e combattere”. «Mobilitare il popolo è un’operazione complicata, difficile: la maggior parte dei manifestanti sono irrisori, nelle loro dimostrazioni di piazza». Magaldi pensa ai Gilet Arancioni di Pappalardo: «I media li sfottono, come se ormai fosse una follia il solo fatto di protestare civilmente. Ma gli obiettivi che indicano – riforme costituzionali, uscita dall’Ue e dalla Nato – richiedono decenni, a prescindere da come li si giudichi». Sul fronte opposto, c’è l’increscioso modello-Sardine: «Molto rumore per nulla: proposte irrisorie se non pericolose per la democrazia, come la pretesa della censura sui social per i ministri». Magaldi ha le idee chiare: «Non è più tempo di analisi, ma neppure di manifestazioni inutili: si sfila e si intonano cori, ma non si porta a casa niente. Vedrete: finiranno nel nulla anche le manifestazioni contro Trump».Da dove deriva, Magaldi, le sue sicurezze? Ovvio, dalle informazioni riservate di cui dispone: il back-office del grande potere, che oggi è spaccato in due. Da una parte il “partito del lockdown” e della polizia sanitaria, dall’altra i partigiani della democrazia. Gli uni hanno usato il sistema-Cina per forzare la mano e deformare l’Occidente, mentre i loro avversari hanno investito sul più impensabile degli alleati – l’orco Donald Trump – per sfrattare dai piani alti i supermassoni “golpisti”, travestiti da democratici. Esempi? I Clinton: Bill ha relagato i pieni poteri a Wall Street, stracciando il Glass-Steagall Act (voluto da Roosevelt mezzo secolo prima) che impediva alla finanza speculativa di mettere in pericolo in risparmio privato. Quanto a Hillary, ha orchestrato le bolle di sapone dei vari Russiagate, obbedendo al “partito della guerra”. Di mezzo c’è stata la strategia della tensione planetaria gestita, secondo Magaldi, dalla superloggia “Hathor Pentalpha” creata dai Bush: roba loro, l’11 Settembre. Bottino: il saccheggio del Medio Oriente, grazie all’alibi del terrosismo islamico.«Osama Bin Laden – ricorda Magaldi – fu reclutato da Zbigniew Brezisinski in funzione antisovietica ai tempi dell’invasione dell’Afghanistan. Quello che pochi sanno – aggiunge l’autore di “Massoni” – è che Bin Laden fu iniziato alla superloggia “Three Eyes”, la stessa di Brzesinki e Kissinger». Poi i Bush lo dirottarono nella “Hathor”, «che più tardi affiliò anche Abu-Bakr Al Baghdadi, a cui venne dato il compito di mettere in piedi l’Isis, le stragi in Iraq e in Siria, i sanguinosi attentati in Europa». Fu lì, dice sempre Magaldi, che la piramide del potere occulto iniziò a incrinarsi: allo stesso saggio “Massoni”, forte di 6.000 pagine di documenti riservatissimi, hanno contribuito “grandi pentiti” del fronte oligharchico. Massonicamente, Magaldi li comprende: «Se sei consapevole del fatto che è stata la tua organizzazione, a fondare la modernità a colpi di rivoluzioni, un bel giorno puoi anche pensare di farne quello che vuoi, del mondo che hai fabbricato». Grave errore: «Noi progressisti li chiamiamo contro-iniziati: hanno tradito l’impegno massonico, che è per il bene di tutti, non di pochi. La loro è una filosofia: si sentono appartenenti a una sorta di “aristocrazia dello spirito”, si credono gli unici autorizzati a decidere i destini dell’umanità».Per questo, Magaldi li definisce neoaristocratici: «Vorrebbero ereditare il potere assoluto dell’aristocrazia di un tempo, che proprio i massoni abbatterono – in Francia, peraltro, anche con il contributo di elementi della stessa aristocrazia, e persino del clero: le logge del ‘700 erano davvero interclassiste». Discorsi che potrebbero sembrare lunari, non avessimo di fronte un tizio come “Giuseppi”, che qualcuno continua a scambiare per un politico dotato di un qualche spessore, e che ora s’è messo in testa di convocare a settembre gli Stati Generali, come quelli che nel 1789 scavarono la fossa alla corte di Parigi. Magaldi è drasticamente esplicito: «C’è un lavoro possente, condotto ai piani alti: aspettatevi di tutto, nelle prossime settimane». Qualcosa, a dire il vero, s’è già visto: in tempo di pace, non sarebbero mai circolate intercettazioni come quelle che imbarazzano Renzi (i servizi italiani utilizzati per fabbricare prove false contro Trump per il Russiagate) e che travolgono il capo dell’Anm, Palamara, impegnato a trescare col Pd per tagliare le gambe a «quella merda di Salvini», in una palude maleodorante di favori. Ma il bello deve ancora arrivare, assicura Magaldi: crolleranno pezzi interi di establishment.La partita italiana ha rilievo mondiale, insiste Magaldi: solo da qui si può pensare di scardinare l’attuale euro-sistema, che lascia Conte in mutande e gli italiani in bolletta persino di fronte al Covid. «Il governo va incalzato con proposte che non potrà rifiutare: soluzioni ragionevoli, da attuare subito». Giorno per giorno, gli italiani vedono la reale dimensione del dramma: il Mes è un piccolo imbroglio, il Recovery Fund resta un miraggio. Serve qualcuno che, finalmente, prenda il toro per le corna e pretenda quello che ci spetta: miliardi, per uscire dal coma. E non solo: va sfidato, una volta per tutte, il regime bugiardo dell’austerity. Nessuna legge economica vita di metter mano a una super-spesa pubblica, in tempi di crisi. Occorre agire. Se non ora, quando? «Il 5 ottobre, se Conte non ci avrà ascoltato, scenderà in campo la Milizia Rooseveltiana», annuncia Magaldi. «Le nostre idee devono camminare sulle baionette (nonviolente) della nostra capacità rivoluzionaria, pacifica e gandhiana, che però si esercita in piazza».«Occorre mobilitare sempre più persone, in modo costante e veemente, che gridino il loro “basta”. Persone accigliate, severe. Persone che non hanno più voglia di ridere, perché c’è poco da ridere. Questo è un momento gravissimo, per le sorti dell’umanità e del popolo italiano». Non è più tempo di blog e video su YouTube, di manifestazioni innocue e velleitarie, di analisi acute e controcorrente. «Il punto vero è che poi, queste cose, devono diventano azione (nonviolenta), perché solo nell’azione ci si unisce, e si diventa popolo sovrano». L’azione vera – scandisce Magaldi – è quella di chi dice, «di fronte al potere, al popolo e a quei giornalisti che hanno ancora la schiena diritta», quali sono le cose che si potrebbero fare in uno, due o tre mesi. «La soluzione, oggi, non è nell’infinita analisi e nell’infinito racconto: arriva un momento, che è quello dell’azione». Per inciso: mezzo mondo sta osservando l’Italia, che finora a subito ogni imposizione ma sta cominciando ad agitarsi. Gli Stati Generali a settembre? Brutta storia: per Conte e Colao finirà malissimo, profetizza Magaldi. A una condizione: che a scendere in campo, finalmente, siano gli italiani. Non bastano, le élite democratiche: serve il popolo, per rivoluzionare la governance. Per chi non l’avesse ancora capito: la sgangherata Italia è l’epicentro di questo terremoto mondiale.E bravo “Giuseppi”: non lo sa che gli Stati Generali portano male a chi li convoca, specie se non è esattamente in buona fede? Nel 1789, in Francia, condussero velocemente alla Presa della Bastiglia: oggi il piccolo capo di questo Governo della Paura vuol proprio fare, il prossimo settembre, la stessa fine di Luigi XVI? «Anche noi lo aspetteremo al varco: ma anziché il 14 luglio, anniversario dell’inizio della Rivoluzione Francese, gli daremo tempo per meditare sull’ultimatum che riceverà entro una decina di giorni. Gliene chiederemo conto il 20 settembre, ricorrenza della Breccia di Porta Pia. E se non saremo stati ascoltati, scenderemo in piazza il 5 ottobre: data che ricorda la Marcia delle Donne, quando anche le cittadine francesi nel fatidico 1789 fecero rotta sulla reggia di Versailles per reclamare i loro diritti». Gioca con le date, Gioele Magaldi: ma il titolo del gioco è inequivocabile, si chiama rivoluzione. «Grandi cose accadranno, in questi mesi, dietro le quinte del potere: ci saranno botte da orbi, grazie alle manovre intraprese dalla massoneria progressista». Ma la notizia è un’altra: «Nessuna rivoluzione ha mai avuto successo, senza il determinante contributo del popolo».
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Magaldi: il Covid, guerra mondiale contro la nostra libertà
Sembra una pandemia, e invece è una guerra: scatenata contro tutti noi, da mani solo in apparenza ignote. Una strana guerra: contro la sicurezza sociale, la libertà, la democrazia. Contro il diritto di vivere come prima, contro il diritto alla felicità. Prima ci hanno provato con i golpe e gli omicidi eccellenti, poi con il cannibalismo mafioso di stampo finanziario, neoliberista. Per buon peso hanno aggiunto il terrorismo stragista, le Torri Gemelle, Al-Qaeda, l’Isis, i “regime change” delle rivoluzioni colorate, la sovragestione dell’emigrazione di massa. Ora ci riprovano, ma con un’arma ancora più micidiale: il virus. Attenzione, i registi sono sempre gli stessi. I loro antenati esordirono nel 1963, facendo saltare il cervello a John Kennedy. Dieci anni dopo, uccisero in Cile Salvador Allende. Poi annunciarono che la lunga marcia della democrazia doveva fermarsi, come ricordato (col sangue, ancora) dall’uccisione di Bob Kennedy, Martin Luther King e ogni altro leader veramente scomodo, dallo svedese Olof Palme all’africano Thomas Sankara fino all’israeliano Yitzhak Rabin. Oggi attaccano l’uomo che più temono, Donald Trump, perché ha osato ostacolare la loro principale macchina da guerra: la Cina e il suo alleato strategico, l’Oms. Strano: il flagello Covid è esploso a Wuhan subito dopo l’umiliante stop, imposto dalla Casa Bianca, all’ambiguo espansionismo cinese.Solo a un cieco può sfuggire il disegno: sembra una semplice emergenza sanitaria (sia pure abnorme, capace di paralizzare il mondo), e invece è soprattutto una guerra. Una subdola Terza Guerra Mondiale combattuta sotto falsa bandiera, dove niente è come appare e nessuno è davvero quello che dice di essere. Se la lente deformante del complottismo iperbolico dà una mano ai signori della guerra sporca e ai loro media, aiutadoli a screditare in partenza chiunque provi a leggere dietro la cronaca, c’è chi si sforza di unire i puntini. Lo psichiatra e criminologo Alessandro Meluzzi, per esempio. La sua tesi: il coronavirus è solo l’innesco. Ormai il morbo sembra praticamente estinto, ma la minaccia viene tenuta in vita a tutti i costi. Le cure oggi esistono, ma sono deliberatamente ignorate perché si vorrebbe imporre il vaccino universale, magari anche con il Tso per i refrattari. E il vaccino a sua volta è solo la premessa per tutto il resto: il tracciamento orwelliano, le App occhiute e il microchip sottopelle, magari gestito dalla rete wireless 5G di ultima generazione. Obiettivo: il dominio assoluto sull’individuo, sottoposto a una psico-polizia sanitaria, grazie al ricatto della paura. Fantascienza distopica: qualcosa di mostruoso sta per invaderci? Sì, certo: «Con il Sars-Cov-2 hanno fatto solo la prova generale. Domani, qualcuno potrebbe immettere un virus ben più letale, fabbricato in laboratorio».E’ un’ipotesi evocata da un analista spiazzante come Gioele Magaldi, massone progressista e autore di un bestseller (”Massoni”, appunto) uscito nel 2014 per Chiarelettere: «Il sequel uscirà a novembre e conterrà precise rivelazioni sulla regia occulta dell’operazione coronavirus, tuttora in corso». Un capolavoro infernale: il panico di massa scatenato dall’allarme pandemia «è riuscito a rovinare i grandi successi economici di Trump giusto alla vigilia delle elezioni americane, nonché a schiantare un paese come l’Italia, che ora è sull’orlo del baratro grazie al peggiore dei lockdown, il più severo e insensato». Tu chiamale, se vuoi, coincidenze. Oggi, osserva un reporter come Massimo Mazzucco, è la paura della povertà (milioni di cittadini trasformati in disoccupati, da un giorno all’altro) a incendiare la rabbia, negli Usa, contro la vergogna nazionale del razzismo che ancora ammorba la polizia. «Fa malissimo, Trump, a ignorare la parte genuina della protesta», dice Magaldi: «Migliaia di americani sono giustamente indignati per lo scandalo della violenza sistematica degli agenti contro i neri, come s’è visto anche nel caso di George Floyd». Ma attenzione: «Tutti attaccano Trump senza farsi una domanda: perché Barack Obama, primo presidente “nero”, in otto anni alla Casa Bianca non ha fatto assolutamente nulla per ripulire la polizia da questa piaga ignobile?».Poi, naturalmente, ci sono gli altri protagonisti delle rivolte: le falangi eterodirette, gli squadristi truccati da “antifascisti”. «Un teatro grottesco, inscenato per dare del fascista al “puzzone” Trump: quasi fosse lui il responsabile della morte di Floyd, e non i suoi aguzzini, peraltro immediatamente arrestati». Estremismo pilotato, strategia della tensione: è possibile non accorgersene? Eccome: i fuochi fatui funzionano a meraviglia, per distrarre i meno attenti. In Italia c’è ancora chi perde tempo nel più tragicomico dei derby, quello tra Salvini e le Sardine, mentre il potere – quello vero – paralizza il paese condannandolo alla retrocessione, e gli squali mandano avanti il loro uomo, Vittorio Colao, con una proposta antichissima: svendere tutto quel che resta, ai soliti amici degli amici. Una spettrale riedizione degli anni Novanta, con analoga sequenza: prima la crisi (Tangentopoli, allora), la liquidazione giudiziaria della Prima Repubblica, le bombe mafiose a Milano e Firenze, l’eliminazione dei testimoni più scomodi di certi giochi (Falcone e Borsellino), e infine la grande svendita del paese affidata a terminali come Prodi e Draghi. Risultato: lo scalpo del Belpaese sull’altare di Maastricht, sacrificato al mercantilismo tedesco in cambio dell’adesione della Germania all’euro, pretesa dalla Francia. Insieme al Made in Italy, rottamata anche la politica: prima la finta guerriglia contro l’imbarazzante Berlusconi, poi l’avvento di Monti e le mezze figure a seguire, il fanfarone Renzi, lo sbiadito Gentiloni. E lo sconcertante Conte.Tutto si tiene, avverte Magaldi, che offre il seguente ragionamento: l’offensiva Covid è stata scatenata in tutta la sua potenza (imponendo il lockdown) dopo che il potere neoliberista aveva subito grandi rovesci. Il peggiore? L’elezione di Trump alla Casa Bianca. Ma non solo: «Christine Lagarde, Mario Draghi e la dirigenza del Fmi hanno abbandonato il fronte oligarchico per passare alla massoneria progressista, keynesiana». Parlano i fatti: Kristalina Georgieva, direttrice del Fondo Monetario, dice che l’Occidente muore, se non mette fine all’austerity. L’ex capo della Bce ha esposto il suo pensiero sul “Financial Times”, a fine marzo: servono oceani di miliardi da regalare all’economia, e subito, pena il collasso di sistemi come quello italiano. E la Lagarde, che ha preso il posto di Draghi a Francoforte, ha messo mano al bazooka sfidando la Germania: miliardi a pioggia, anche sull’Italia messa in croce da Conte. «Quelli della Bce – dice Magaldi – sono gli unici soldi veri che stanno arrivando: altro che le ciance sul Mes o sul Recovery Fund che scatterà forse nel 2021: quanti italiani arriveranno, vivi, al 2021? Qui si fanno solo chiacchiere, si dispensano briciole, molti aspettano ancora la cassa integrazione. Migliaia di aziende non riapriranno, decine di migliaia di famiglie non sanno come arrivare a fine mese. Cosa aspettano, a Palazzo Chigi? Vogliono vedere le strade invase da folle inferocite, con le auto rovesciate e incendiate?».Presidente del Movimento Roosevelt, Magaldi annuncia un ultimatum a Conte: «Al governo, faremo proposte precise, salva-Italia, da attuare nel giro di un mese». Le piazze già ribollono, ma col rischio di finire fuori bersaglio, in mezzo al solito chiasso mediatico depistante: «Sfottono Pappalardo e i suoi Gilet Arancioni per il teatro messo in scena, come se protestare fosse ormai vietato, ma è lo stesso Pappalardo a evocare obiettivi che, comunque li si giudichi, sono irrealistici se non in termini decennali: riforme costituzionali, l’uscita dall’Ue e addirittura dalla Nato». Sul fronte opposto, fino a ieri si agitava il perbenismo delle Sardine: «Da loro, solo proposte ridicole e irrisorie. O addirittura pericolose per la democrazia, come la pretesa di imporre sui social la censura ai ministri». In tanti, ancora oggi, si lasciano ipnotizzare dall’odio per Salvini, pesce piccolo (piccolissimo) nell’acquario-Italia, senza vedere la burrasca che sta devastando l’oceano: la guerra ibrida, spaventosamente insidiosa, contro la libertà e la democrazia. Qualcosa che non s’era mai visto prima, in questi termini: un’arma di distruzione di massa in grado di minacciare il mondo, fino a deformarlo per sempre.Il primo a dirlo, a modo suo, è stato Bob Dylan: con la canzone “Murder Most Foul”, il grande cantautore, Premio Nobel per la Letteratura («e massone progressista», assicura Magaldi), ha messo in relazione l’esplosione del Covid con l’omicidio di Dallas: come se gli eredi dei killer di Kennedy avessero a che fare direttamente con il nuovo terrorismo sanitario. A scanso di equivoci, lo stesso Dylan ha presentato il brano “False Prophet” esibendo uno scheletro che impugna una siringa. Contro il “falso profeta” Bill Gates (a cui Conte si è impegnato a regalare milioni, per i suoi vaccini), Robert Kennedy Junior ha scatenato una polemica furibonda, puntando il dito contro il pericoloso triangolo formato da Gates, dal guru Anthony Fauci e dall’Oms foraggiata dalla Cina. Tutti fieri avversari di Trump. Ma il cognome Kennedy non dovrebbe essere all’opposizione del “puzzone” che siede alla Casa Bianca? In teoria, sì. In apparenza. Fino all’altro ieri, almeno. La verità – dice Magaldi, già iniziato alla superloggia “Thomas Paine” (quella di Gandhi) – nel 2016 la massoneria progressista ha appoggiato in modo decisivo proprio Trump: meglio lui, piuttosto che Hillary Clinton.“The Donald” avrebbe funzionato come ariete, per rompere il dominio dell’élite neoliberista: quella che con Bill Clinton ha regalato i pieni poteri a Wall Street, stracciando il Glass-Steagall Act che separava le banche d’affari dal credito ordinario, e che poi con il clan Bush ha progettato l’inferno del terrorismo “islamico”. C’era quasi riuscito, Trump: aveva fatto volare l’economia americana (meno tasse, più deficit) e aveva fermato l’inarrestabile avanzata della potenza cinese, fatta entrare nel grande gioco mondiale del Wto senza pretendere garanzie democratiche, diritti sindacali e tutele dell’ambiente. «Il problema – avverte Magaldi – non è la Cina, di per sé, ma il potere sovranazionale che usa il sistema-Cina come clava, per “cinesizzare” l’Occidente: lo si è visto benissimo con il lockdown di Wuhan, presentato come modello virtuoso e immediatamente replicato in Italia». Magaldi fornisce occhiali speciali, supermassonici: ricorda che fu Kissinger (superloggia “Three Eyes”) a sdoganare il gigante asiatico. Kissinger, grande regista del golpe cileno, fu il primo a scommettere sul regime dittatoriale di Pechino come alternativa all’Occidente democratico, contro la primavera dei diritti che animava il sogno della New Frontier di Kennedy.Siamo ancora a questo? Allo scontro tra democrazia e oligarchia? Assolutamente sì: è esattamente il tema della grande guerra in corso, sullo sfondo incendiario della rabbia crescente degli italiani e di quella esplosiva degli americani, oggi inferociti contro la polizia. In palio non ci sono singole elezioni, piccole carriere, politicanti di rango nazionale allevati da partiti-fantasma che ancora recitano il minuetto destra-sinistra, seppellito consensualmente col rigore neoliberista alla massima potenza, come nel caso del Rigor Montis (pareggio di bilancio, legge Fornero) convalidato senza fiatare dal “compagno” Bersani. Meglio resettare la lavagna, sollevando finalmente lo sguardo. L’obiettivo è il più alto possibile: la nostra libertà, minacciata dal ricatto del virus con l’alibi della sicurezza sanitaria. Magaldi però non è pessimista: «Non sono riusciti a distruggere la democrazia né col neoliberismo finanziario, né col terrorismo. E non ci riusciranno nemmeno stavolta: ma bisogna sapere quello che sta succedendo davvero. Siamo tutti in pericolo. E occorre essere pronti a combattere, in modo democratico: perché chi ha gestito questo virus ha dichiarato guerra alla nostra libertà».Sembra una pandemia, e invece è una guerra: scatenata contro tutti noi, da mani solo in apparenza ignote. Una strana guerra: contro la sicurezza sociale, la libertà, la democrazia. Contro il diritto di vivere come prima, contro il diritto alla felicità. Prima ci hanno provato con i golpe e gli omicidi eccellenti, poi con il cannibalismo mafioso di stampo finanziario, neoliberista. Per buon peso hanno aggiunto il terrorismo stragista, le Torri Gemelle, Al-Qaeda, l’Isis, i “regime change” delle rivoluzioni colorate, la sovragestione dell’emigrazione di massa. Ora ci riprovano, ma con un’arma ancora più micidiale: il virus. Attenzione, i registi sono sempre gli stessi. I loro antenati esordirono nel 1963, facendo saltare il cervello a John Kennedy. Dieci anni dopo, uccisero in Cile Salvador Allende. Poi annunciarono che la lunga marcia della democrazia doveva fermarsi, come ricordato (col sangue, ancora) dall’uccisione di Bob Kennedy, Martin Luther King e ogni altro leader veramente scomodo, dallo svedese Olof Palme all’africano Thomas Sankara fino all’israeliano Yitzhak Rabin. Oggi attaccano l’uomo che più temono, Donald Trump, perché ha osato ostacolare la loro principale macchina da guerra: la Cina e il suo alleato strategico, l’Oms. Strano: il flagello Covid è esploso a Wuhan subito dopo l’umiliante stop, imposto dalla Casa Bianca, all’ambiguo espansionismo cinese.
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Il Deep State golpista scatena Antifa per rovesciare Trump
Il caso di George Floyd non è in alcun modo legato ad una presunta emergenza razziale negli Stati Uniti. I risultati autoptici per ora hanno escluso che l’afroamericano, con un Cv ricco di condanne penali per rapina e aggressione, sia morto soffocato o strangolato. Resta da capire quali sono le circostanze che hanno portato alla morte di Floyd, ma ci sono prove che quanto sta accadendo era già stato ampiamente preparato con più di un anno di anticipo. I rivoltosi che stanno devastando – e uccidendo, come nel caso dell’ufficiale di polizia di Saint Louis – le strade degli Stati Uniti sono principalmente coordinati da due gruppi: Black Lives Matter e Antifa. Entrambe queste organizzazioni sono finanziate da George Soros ed hanno una missione specifica. Alimentare le tensioni razziali per destabilizzare il paese e rovesciare la presidenza Trump. Non si tratta di una semplice deduzione ricavata dall’analisi di quanto sta accadendo. E’ quanto dichiarato da uno di questi due gruppi. Il “New York Times”, tra i quotidiani più ostili a Trump assieme al “Washington Post”, mise a disposizione nel 2017 una intera pagina di giornale per Antifa. L’organizzazione finanziata da Soros lanciò una vera e propria chiamata alle armi invitando chiaramente a riunire migliaia di ribelli nelle città per arrivare ad un solo obbiettivo: porre fine alla presidenza Trump.Antifa è quindi molto di più di un semplice gruppo politico. E’ il braccio armato sostenuto finanziariamente dal Deep State che arruola e paga rivoltosi utilizzati per destabilizzare le amministrazioni nemiche, in questo caso quella di Donald Trump. Quella che si sta vedendo quindi non è altro che una strategia per portare avanti un colpo di Stato. Una strategia che Soros ha portato avanti nel mondo quando architettò e sostenne finanziariamente la rivoluzione ucraina dell’Euromaidan. I gruppi al soldo del magnate di origini ungheresi erano già attivi anche all’epoca della presidenza Obama e un altro documento firmato da “Friends of Democracy”, gestita da suo figlio Alexander Soros, spiegava dettagliatamente, nel 2015, come indirizzare le proteste per la morte di Freddie Gray, un afroamericano morto in seguito a un infortunio alla spina dorsale occorso dopo che era stato arrestato dalla polizia di Baltimora. All’arresto parteciparono anche ufficiali di colore e quindi, definire questo episodio come motivato dall’odio razziale, è semplicemente un controsenso, ma al Deep State non importava. Il razzismo era ed è solamente la cartina al tornasole per arrivare ad un altro scopo.“Friends of Democracy” pubblicò dettagliate istruzioni per i rivoltosi ai quali si diceva chiaramente che l’obbiettivo finale delle loro proteste era «l’attuazione di politiche di legge marziale». L’obbiettivo era dare alla presidenza Obama gli strumenti per reprimere qualsiasi forma di dissenso negli Stati Uniti e arrivare alla sua militarizzazione, mentre l’obbiettivo è ora di destabilizzare completamente il paese per rovesciare la presidenza Trump. La ragione per la quale il Deep State non può più permettersi che Donald Trump si assicuri un altro mandato alla Casa Bianca è perfettamente spiegata in un articolo intitolato “Benedetti siano i portatori di pace” del settimanale britannico “The Economist”, di proprietà, tra gli altri, della famiglia Rothschild. I Rothschild sono una famiglia di banchieri tedeschi di origini askenazite fondata dal capostipite Mayer Amschel alla fine del’700. Sono coloro che probabilmente più di tutti hanno avuto un ruolo determinante nel decidere il corso della storia europea degli ultimi 200 anni, dal momento che hanno finanziato praticamente ogni guerra scoppiata sul continente europeo dai tempi di Napoleone in poi.Le guerre sono il business più proficuo dei Rothschild, dal momento che hanno consentito loro di arricchirsi a dismisura accumulando una enorme ricchezza già nell’800. Quando “The Economist” scrive, occorre prestare particolare attenzione. Nell’articolo in questione si fa l’elogio esplicito del Nuovo Ordine Mondiale, la dottrina politica delle élite globaliste che vede assegnare un ruolo di primo piano alle istituzioni internazionali considerate gerarchicamente superiori agli Stati nazionali. Il Nuovo Ordine Mondiale, per arrivare alla sua definitiva realizzazione, ha bisogno di strappare agli stati i loro residui poteri per creare una unica struttura globale governata dalle élite della finanza internazionale, come hanno spiegato anche i Rockefeller, un’altra importante famiglia di banchieri americani molto vicina ai Rothschild. Dalla seconda guerra mondiale in poi, gli Stati Uniti sono stati senza dubbio il paese che più ha portato avanti questo piano. Il Deep State di Washington, la palude di interessi militari-industriali che ha governato tutte le amministrazioni presidenziali, si è fatto garante indiscusso di questo progetto, intestandosi il compito di punire e attaccare i leader dei paesi che non si allineavano a questo progetto.Salvador Allende e Slobodan Milosevic sono solo due tra i numerosi esempi di leader di paesi stranieri che sono stati rovesciati e destituiti dalla macchina di intelligence e militare costituita dalla Cia e dalla Nato. Ma per la prima volta, dal 1945 ad oggi, alla Casa Bianca ha messo piede un presidente che non ha interesse a delegare la sovranità degli Stati Uniti verso le istituzioni sovranazionali né tantomeno al Deep State di Washington. Scrive su questo “The Economist”: «L’internazionalismo liberale è ora sotto attacco da molti fronti. La dottrina di Donald Trump “Prima l’America” lo ripudia esplicitamente». Senza la superpotenza americana è praticamente impossibile pensare che si possa arrivare alla realizzazione finale del Nuovo Ordine Mondiale che auspica la nascita di un unico Governo Globale. Washington è stato il perno principale di tutta l’impalcatura e senza il suo sostegno l’intero disegno crollerebbe definitivamente. Ecco perchè, per i Rothschild, Donald Trump è una minaccia più mortale persino dello stesso Putin e di Xi Jinping.«Il più grande pericolo al momento è l’incombenza di un presidente americano che disprezza le norme internazionali, che denigra il libero commercio e che flirta continuamente con l’idea di abbandonare il ruolo essenziale nel mantenimento dell’ordine globale legale». Se Trump si aggiudicasse un secondo mandato, le élite globaliste come i Rothschild e i Rockefeller perderebbero definitivamente la possibilità di fare l’ultimo passo verso il totalitarismo globale – che vuole il controllo completo della popolazione mondiale. Ecco perchè in questo momento il presidente americano è il nemico numero uno di questi poteri ed ecco perchè gli Usa sono stati messi a ferro e fuoco. Il Nuovo Ordine Mondiale vuole riprendersi la presidenza degli Stati Uniti senza la quale non si può pensare ad una governance globale. Non c’è quindi in corso una protesta a sfondo razziale nel paese. E’ in corso un vero e proprio colpo di Stato che sta dando vita ad una guerra civile per impedire a Trump di conquistare un secondo mandato alla Casa Bianca. Trump è l’ultimo bastione. Se cade lui, cade probabilmente l’ultima grande barriera che può impedire il compimento di questo piano. Se cade Trump, il Nuovo Ordine Mondiale farà un passo decisivo verso la sua definitiva realizzazione.(Cesare Sacchetti, “Soros e i Rothschild vogliono rovesciare Trump per arrivare al nuovo ordine mondiale”, da “La Cruna dell’Ago” del 4 giugno 2020).Il caso di George Floyd non è in alcun modo legato ad una presunta emergenza razziale negli Stati Uniti. I risultati autoptici per ora hanno escluso che l’afroamericano, con un Cv ricco di condanne penali per rapina e aggressione, sia morto soffocato o strangolato. Resta da capire quali sono le circostanze che hanno portato alla morte di Floyd, ma ci sono prove che quanto sta accadendo era già stato ampiamente preparato con più di un anno di anticipo. I rivoltosi che stanno devastando – e uccidendo, come nel caso dell’ufficiale di polizia di Saint Louis – le strade degli Stati Uniti sono principalmente coordinati da due gruppi: Black Lives Matter e Antifa. Entrambe queste organizzazioni sono finanziate da George Soros ed hanno una missione specifica. Alimentare le tensioni razziali per destabilizzare il paese e rovesciare la presidenza Trump. Non si tratta di una semplice deduzione ricavata dall’analisi di quanto sta accadendo. E’ quanto dichiarato da uno di questi due gruppi. Il “New York Times”, tra i quotidiani più ostili a Trump assieme al “Washington Post”, mise a disposizione nel 2017 una intera pagina di giornale per Antifa. L’organizzazione finanziata da Soros lanciò una vera e propria chiamata alle armi invitando chiaramente a riunire migliaia di ribelli nelle città per arrivare ad un solo obbiettivo: porre fine alla presidenza Trump.