Archivio del Tag ‘Gerald Ford’
-
Laboratorio Italia: come trasformare gli uomini in topi
“To live in a land where justice is a game” (Bob Dylan, “Hurricane”, 1976). Non si può che morire di vergogna, per il fatto di vivere in una terra dove, ormai, la giustizia è un gioco. E dove “they try to turn a man into a mouse”, provano a trasformare l’essere umano in topo: non Rubin Carter, il famoso pugile finito in carcere, ma proprio tutti. Il rumore di ceppi e catene si è fatto assordante, lungo i meandri stucchevoli nella neolingua sanitaria che pretende di assoggettare i cervelli e i corpi, sottendendo la fine – sostanziale – di uno Stato di diritto che invece esiste ancora, e per il momento arma la mano di centinaia di avvocati combattivi. Sopravvive tuttora la Costituzione entrata in vigore nel 1948, benché amputata brutalmente una decina d’anni fa con l’inserimento dell’obbligo del pareggio di bilancio. Una Carta ora ritoccata anche con l’ambigua indicazione, teoricamente nobile ma contigua al verbo “gretino”, sulla tutela dell’ambiente (possibile alibi per chissà quali altre torsioni, future o imminenti).Quanto è lontana, da tutto questo, la remotissima America in cui un cantautore carismatico – con una semplice canzone di denuncia – poteva contribuire a restituire la libertà a un atleta finito in cella in quanto afroamericano, per un rigurgito tardivo di razzismo? A contendersi la Casa Bianca, all’epoca, erano Gerald Ford e Jimmy Carter. Oggi il mondo sa che l’inquilino di Pennsylvania Avenue è un anziano diroccato e forse mentalmente presente solo a intermittenza. Un ometto debolissimo, piazzato su quella poltrona da maneggi informatici scandalosamente enormi, su cui le autorità giudiziarie non hanno mai voluto fare piena luce. Un presidente facente funzioni, interamente manovrato da altri, cui oggi tocca misurarsi – in mezzo a gaffe ormai leggendarie – con un personaggio come Vladimir Putin, tra praterie di missili puntati. Il vecchio film, la guerra, sembra un fantasma che ritorna, un vampiro inestinto: solo che stavolta il cittadino medio non riesce ad afferrarne neppure il sapore più superficiale, preso com’è da tutti gli altri assilli che, da due anni, lo inchiodano al baratro di precarietà nel quale la vita di tutti è letteralmente precipitata, in Occidente.Lo stesso Bob Dylan, in pieno terrore pandemico (marzo 2020) ha voluto mettere l’accento sul “murder most foul”, il più disgustoso degli omicidi – quello di John Fitzgerald Kennedy – come sciagurato evento-chiave della seconda parte del secolo, conclusosi davvero solo l’11 settembre 2001 con la sua coda di orrori: l’Iraq e l’Afghanistan, le bombe al fosforo sui civili di Falluja e su quelli di Gaza, Obama e le altre carneficine “regionali” (dalla Libia alla Siria), i tagliagole dell’Isis in azione in Medio Oriente e nelle capitali europee. E’ durata pochissimo, la ricreazione, perché sulla scena ha fatto irruzione il coronavirus-chimera di Wuhan: la globalizzazione della schiavitù psicologica e non solo, con il suo corredo di strumentazioni distopiche. Il “false prophet” dell’ultimo Dylan è uno scheletro che brandisce una siringa, suonando alla porta di casa come per consegnare un regalo ben impacchettato. Nel disco (“Rough and rowdy ways”) manca solo l’estremo omaggio, il corollario: la schedatura definitiva mediante pass vaccinale, e senza neppure la cortesia di un vero vaccino.Il mistero più fitto continua ad aleggiare sui sieri genici C-19: graziosamente, in prima battuta, Pfizer aveva provato a sostenere che sarebbe stato possibile rivelare la loro reale composizione soltanto fra 70 anni. Nel frattempo, le agenzie europee della farmacovigilanza parlano di oltre 30.000 morti sospette e 3 milioni di persone finite nei guai dopo l’inoculo: sembra il bilancio di una guerra, non certo quello di una campagna vaccinale. Nonostante ciò, probabilmente, sfugge la vera ragione che motiva i renitenti, che sono milioni: a farli desistere dal subire l’iniezione è essenzialmente l’atteggiamento ricattatorio di un potere che si è macchiato di un crimine gravissimo, rifiutandosi ostinatamente di approntare terapie efficaci, sollecitamente segnalate dai medici. Questo, si immagina, ha contribuito a causare la morte di migliaia di persone: pazienti non curati, lasciati a casa a marcire da soli in modo da poter poi essere ricoverati, gonfiando in tal modo i numeri televisivi dell’emergenza. Dovrebbe essere intuitivo comprendere il “no” di tanti italiani: com’è possibile accettare di ottenere una sorta di libertà condizionata, a patto di sottoporsi al Tso, se questo è imposto da autorità tanto inaffidabili e pericolosamente sleali?Il caso italiano fa scuola: se è vero che l’uragano psico-politico-sanitario si è abbattuto essenzialmente sull’Occidente, è vero anche che nessun altro paese ha dovuto vivere i supplizi inflitti all’Italia, in termini di vessazioni e distorsioni dell’ordinamento democratico. Perfettamente speculare anche l’acquiescenza della maggioranza dei cittadini-sudditi, ormai rassegnati a subire qualsiasi arbitrio, da parte della voce del padrone (non importa quale). Mentre gli altri paesi occidentali si stanno scrollando di dosso la dittatura sanitaria, nella patria del potere vaticano si usa ancora obbedir tacendo: il governo prolunga oltremisura le restrizioni e ritarda in modo esasperante le cosiddette riaperture, con l’aggravante del Tso esteso in modo pressoché generalizzato. Le discriminazioni sono diventate persecutorie, varcando la soglia degli uffici pubblici, di molti negozi, persino degli sportelli bancari e delle Poste. Questo, per ora, è lo spettacolo offerto da Mario Draghi, destinato a entrare nella storia: esattamente come il Britannia e la svendita del paese negli anni ‘90, come il “whatever it takes” concesso solo dopo la morte civile della Grecia e la capitolazione di Italia e Spagna.Un vero statista, ovviamente, avrebbe innanzitutto messo mano al problema numero uno: lo ha fatto Boris Johnson, nel Regno Unito, fungendo da apripista per svariati paesi, dalla Spagna alla Danimarca. La Francia annuncia la fine del Green Pass entro marzo? Niente paura: il bis-ministro Speranza (in quota alla Fabian Society, che gli italiani non conoscono) va avanti imperterrito con lo squallore settimanale delle Regioni “colorate”, come se davvero fossimo in presenza di un’emergenza ospedaliera. La verità è tristissima: qualcuno, lassù, ha deciso che l’Italia dovesse essere l’area-test per il nuovo ordine sanitario. Le major ordinarono a Obama di procedere, e Renzi rispose: scelsero l’Italia, come paese-cavia per gli obblighi vaccinali, conoscendone il ventre molle (politico) e la solidità dello storico tutore che risiede Oltretevere, il network tentacolare che traffica anche coi cinesi, coi vaccini e coi tamponi. A proposito: non è certo uno scherzo, smontare da un giorno all’altro l’albero della cuccagna. Chiunque ci provasse, va da sé, forse potrebbe anche temere persino per la sua incolumità fisica. Non a caso si è stranamente affollato, il cimitero degli scienziati che avevano osato sdrammatizzare il problema, offrendo soluzioni tempestive e convincenti.Dopo aver bellamente elevato a sistema l’esercizio del ricatto, oggi il signor Draghi – a un anno dall’intronazione – può ben fregiarsi del titolo di grande demolitore: come se fosse sempre lui, il fondo, il vero detentore della specialità rottamatoria. Ci aspetta una crisi socio-economica dai risvolti potenzialmente spaventosi? Ovvio: per un anno intero, il governo (in questo, identico al precedente) ha letteralmente sventrato interi settori vitali, dal commercio al turismo, passando per la scuola, i trasporti, la cultura, lo spettacolo. Come da copione, fa notare qualcuno: l’inferno dei tanti è il paradiso dei pochissimi, quelli che infatti orchestrano la sinfonia di Davos. Non andrà tutto bene? Già. Ma non andrà completamente in porto, a quanto a pare, neppure la conversione definitivamente “cinese” della latitudine occidentale: il grande caos è agitato dallo scontro, sotterraneo e non, di possenti forze contrarie. Se la catastrofe è grandiosamente globale, comunque, l’Italia riesce a brillare di luce propria: nessun altro paese ha usato così bene il Covid per terremotare il proprio tessuto socio-economico.Tornano alla mente i tempi (oscuri, ma non quanto l’attuale) dei tentati golpe e delle stragi nelle piazze: poteri sovrastanti, che manovrano silenziosamente. Il target non è cambiato: l’Italia, gli italiani. A cui lo show offre le prodezze di Sanremo e le carezze che il gesuita Bergoglio dispensa a Greta Thunberg, la ragazzina davanti a cui si genuflette Draghi insieme al ministro Cingolani. Mala tempora: tanti connazionali, ormai, si sentono già esodati: e infatti stanno programmando l’espatrio, verso lidi meno inospitali. Chi può permetterselo, sta seriamente pensando di lasciare il paese: tale è il disgusto che provocano le sue autorità politiche, ma anche la deprimente sottomissione della maggioranza ostile e buia, annichilita dalla paura e fuoriviata dalla disinformazione di regime. Perché proprio l’Italia? Perché proprio l’erede dell’impero che Ottaviano Augusto volle far discendere dal troiano Enea, cioè dalla Creta dei Minosse che la mitologia dipinge come atlantidea? Perché proprio l’Italia, dominata per quasi due millenni dal medesimo potere confessionale, retrivo e oscurantista?Qualcuno intanto si diverte, amaramente, a constatare la strettissima osservanza vaticana delle massime cariche istituzionali: gli inquilini di Palazzo Chigi e del Quirinale, più il neo-presidente della Corte Costituzionale (altro personaggio, Giuliano Amato, rimasto nel cuore degli italiani). Ecco, appunto: gli italiani. Forse sono proprio loro, che mancano all’appello. Dove sono? Facile: eccoli là, in fila per il tampone. Fino a quando? Il palazzo comincia a parlare di allentamenti primaverili: ma chi si fida più, di quelle lingue biforcute? Se lo stanno godendo appieno, il grande spettacolo della schiavizzazione strisciante: in fila per tre, con la brava mascherina sulla faccia. Medici, psicologi e sociologi si esercitano in previsioni apocalittiche: parlano di danni, fisici e mentali, incalcolabili. Sembrano gli effetti di un immane esperimento sulfureo: scoprire fino a che punto si può “trasformare un uomo in un topo”. In Italia, ovviamente. Come sempre.(Giorgio Cattaneo, 12 febbraio 2022).“To live in a land where justice is a game” (Bob Dylan, “Hurricane”, 1976). Non si può che morire di vergogna, per il fatto di vivere in una terra dove, ormai, la giustizia è un gioco. E dove “they try to turn a man into a mouse”, provano a trasformare l’essere umano in topo: non Rubin Carter, il famoso pugile finito in carcere, ma proprio tutti. Il rumore di ceppi e catene si è fatto assordante, lungo i meandri stucchevoli nella neolingua sanitaria che pretende di assoggettare i cervelli e i corpi, sottendendo la fine – sostanziale – di uno Stato di diritto che invece esiste ancora, e per il momento arma la mano di centinaia di avvocati combattivi. Sopravvive tuttora la Costituzione entrata in vigore nel 1948, benché amputata brutalmente una decina d’anni fa con l’inserimento dell’obbligo del pareggio di bilancio. Una Carta ora ritoccata anche con l’ambigua indicazione, teoricamente nobile ma contigua al verbo “gretino”, sulla tutela dell’ambiente (possibile alibi per chissà quali altre torsioni, future o imminenti).
-
Salvare il mondo: la Macchina di Majorana (vivo, nel 2006)
“Smontare” la materia e ricostruirla ovunque, azzerando lo spazio-tempo. Primo obiettivo: medicare l’atmosfera, per riparare il clima e salvare la Terra. E ancora: creare energia infinita a costo zero, senza più petrolio e carbone. «So come si fa», direbbe il protagonista del film. «E chi ti credi di essere, Dio?». Non proprio, ma quasi: «Io sono Ettore Majorana, lo scienziato ufficialmente scomparso nel 1938». Immaginatevi la faccia dell’ingegner Rolando Pelizza, industriale bresciano, il giorno che si sentì rispondere in quel modo, nel lontano 1959, da quell’uomo giovanile dall’età indefinibile. Majorana? Il baby-genio che sbalordiva i suoi maestri Fermi, Amaldi e Pontecorvo, scappati negli Usa e in Urss per sottrarre a Hitler la ricerca sull’atomica. Lui, Majorana: il giovanissimo fenomeno venuto dalla Sicilia a incantare i “ragazzi di via Panisperna”, cioè i migliori cervelli del mondo, all’epoca, nel campo della fisica. «Ho capito cos’è la materia e come funziona. E tu, Rolando, devi aiutarmi a costruire un dispositivo sperimentale». La Macchina: la scatola “magica” che fa sparire le cose, qualsiasi cosa, e ne cambia la natura fisica. Possibile? Eccome: Giulio Andreotti prese molto sul serio la faccenda, passando il dossier a Kissinger.Da allora, gli invadenti servizi segreti di mezzo mondo vegliarono sulla Macchina e sul suo costruttore, l’ingegner Pelizza, proteggendo il silenzio che avvolgeva il genio ispiratore. Ettore Majorana era ancora vivo nel 2006. Aveva cent’anni. E ancora aspettava di vedere la Macchina in azione, nella missione suprema per la quale era stata concepita: salvare il mondo. Bellissima fiaba, ricorda la storia del Graal. Peccato sia la pura verità. Con un finale rimasto in sospeso: la Macchina non risponde agli ordini della Cia. Ha bisogno di un codice segreto, matematico. In più serve un “pin” aggiuntivo, spirituale: un comando “mentale”. Lo custodice Rolando Pelizza, che oggi ha ottant’anni. Per decenni – prima che la notizia fosse passata ai servizi segreti – è stato l’unico a sapere, insieme ai monaci che lo ospitavano in Calabria, che non era un frate qualsiasi quel taciturno Ettore, rifugiatosi in convento nel 1938, alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale. L’aveva indovinato Leonardo Sciascia, quando nel ‘75 scrisse “La scomparsa di Majorana”, varcando la porta dei cistercensi di Serra San Bruno. Ci mise vent’anni, lo Scomparso, a incontrare Pelizza. E attese altri dodici mesi prima di rivelargli la sua vera identità.Majorana, il genio. Lo scopritore di una nuova matematica, di nuova fisica in cui il tempo non esiste, dove la materia è “ricostruibile” liberamente. Come? Accedendo alla “matrice invisibile” di ogni cosa. Sembra il rebus dei Sigilli Ermetici di Giordano Bruno. Il Mondo delle Idee immaginato da Platone, tradotto in numeri dopo due millenni e mezzo. Pazzesco? Sì, ma vero. Parola di Rolando Pelizza, uomo pratico e imprenditore a sua volta geniale, capace di inventare una spugna speciale che assorbe il petrolio sversato in mare, neutralizzando i disastri ambientali causati dalle petroliere. Ne parlano a “Border Nights”, con commossa devozione, l’ingegner Francesco Alessandrini, docente dell’università di Udine, e la paleografa Roberta Rio, “visiting professor” negli atenei di mezza Europa. “La Macchina”, ovvero “il ponte tra la scienza e l’oltre”, è il libro in cui svelano la storia, segreta e meravigliosa, di quel singolare sodalizio. Ettore e Rolando, nomi suggestivi: l’eroe omerico, il paladino coraggioso. Francesco Alessandrini è un geotecnico, progetta grandi opere ma conosce anche le cosiddette “energie sottili”. Roberta Rio ha elaborato una teoria sulla “scienza storica del terzo millennio” e pubblicato saggi come “La Fisica del Terzo Millennio”, ovvero “scienza e spiritualità di nuovo unite”, edito da Bautz.Nella favolosa Macchina di Pelizza ispirata da Majorana, Francesco e Roberta sono “inciampati” leggendo i libri di Alfredo Ravelli (“Il dito di Dio”, “Il segreto di Majorana” e “2006: Majorana era vivo!”). Si sono entusiasmati: hanno intuito che “l’impossibile” era a portata di mano. Così hanno contatto Rolando, il paladino, e ne hanno conquistato la fiducia. «Non sappiamo nemmeno se Majorana sia ancora vivo o, nel caso, quando sia morto: su questo punto – dicono – Rolando glissa sempre». Le ultime tracce del genio siciliano sono due: la famosa lettera del 2006 e una foto scattata il 5 agosto 1996: Majorana è ritratto con Pelizza nel giorno del novantesimo compleanno di Ettore, nato a Catania nel 1906. L’immagine è stata periziata dall’ingegner Giovanni Vitiello. «La perizia antropometrica dimostra che si tratta proprio di Majorana», racconta Roberta Rio. «I parametri corrispondono con le foto di Ettore prima della scomparsa – zigomi, impronta del padiglione auricolare, altri dettagli. Ettore e Rolando sono accanto, ma Ettore sembra più giovane di Rolando (che adesso ha 80 anni)». Eppure è lui, conferma il geriatra Claudio Castoldi: uno splendido novantenne in ottima salute, nonostante i capelli bianchi e qualche ruga.Il loro fatale incontro avviene il 1° maggio del 1958, nella Certosa di Serra San Bruno, sulle alture di Vibo Valentia. Rolando Pelizza – uomo pio, dedito a opere caritative – ha raggiunto il convento per consegnare scarpe ai monaci. Finisce, subito, nel mirino di Majorana. Quello strano frate gli passa un foglietto, un problema con dei numeri: «Risolvi questa cosa, non far passare troppo tempo e fammi avere la soluzione». Così, racconta Roberta, Pelizza capisce che quello è l’uomo che stava cercando. Ettore gli propone un apprendistato: gli avrebbe insegnato i principi di una nuova fisica e di una nuova matematica. Un anno dopo, nel ‘59, gli rivela finalmente la sua identità. Majorana è un fisico teorico, sul piano pratico ha bisogno di Pelizza. L’apprendistato dura 6 anni, fino al ‘64. In una lettera, poi, Majorana si congratula con Rolando. E gli propone una nuova fase: costruire la Macchina. Con un’unica raccomandazione: fare presto, perché la Terra potrebbe autodistruggersi. Il cambiamento climatico non è uno scherzo: una minaccia esiziale, che Majorana considera imminente già negli anni ‘70. Era infatti il 1976, rivela Roberta Rio, quando il grande fisico indicò date precise: il 2022, al massimo il 2024. Letteralmente: «Sarà a rischio la sopravvivenza della specie umana sulla Terra, scossa da sconvolgimenti sempre più visibili. Un cambiamento in atto dal 2000 e percepibile a partire dal 2010. In arrivo eventi così sconvolgenti da costituire un punto di non ritorno per il nostro clima».Il primo esemplare funzionante della Macchina, racconta Francesco Alessandrini, vede la luce nel 1963: «Produceva una “annichilazione controllata” della materia». Ovvero: «Si può far sparire qualcosa, in modo controllato. Posso scegliere io cosa distruggere, in modo selettivo: un razzo, ad esempio. O le parti murarie di una casa, ma non le parti in legno». Miglioramenti progressivi, verso la seconda fase: riscaldamento della materia. «Con un raggio posso portare qualsiasi cosa a fusione, anche facendo sì che l’oggetto ceda temperatura all’esterno. Vuol dire: s’è trovato il modo di produrre energia in modo non inquinante, a costo irrisorio. Energia infinita, pressoché gratuita». Addio petrolio e carbone, ma anche solare, eolico, idroelettrico. Terza fase, decisamente alchemica: «Trasmutazione della materia, pur mantenendo forma e posizione». Esistono svariati video che comprovano il successo degli esperimenti: «Un oggetto di gomma o di plastica viene trasferito in un oggetto metallico, mantenendo quasi perfettamente la forma iniziale».Sembra fantascienza, ma è tutto documentato. E’ talmente vero, che il problema principale – per l’intelligence di mezzo mondo – diventa l’impiego della Macchina, della cui potenza i suoi creatori sono perfettamente consapevoli: «Si possono “annichilire” carri armati e missili, o invece si può cancellare una montagna di immondizia inquinante», dice Francesco. «Dipende da chi possiede la Macchina, dall’uso che intende farne». C’è un patto di ferro, tra Majorana e Pelizza: mai utilizzare quella macchina contro il bene dell’umanità. «Quando a Rolando è stato chiesto di usarla per distruggere carri armati o satelliti, si è rifiutato», racconta sempre Francesco Alessandrini. «E, con un trucchetto che aveva predisposto nel dispositivo, faceva sì che la Macchina non funzionasse – sparisse, si distruggesse». Proprio per questo, Pelizza «ha eseguito molti esperimenti, ma senza mai un contenuto distruttivo o bellico, come quelli richiesti dai padroni della Terra». Vere e proprie complicazioni: un’attrezzatura come quelle darebbe un vantaggio esponenziale alla potenza militare che la possedesse.Per questo, spiegano Roberta e Francesco, non si è ancora riusciti a presentare ufficialmente la macchina, per metterla a disposizione dell’umanità. Impiego immediato: produrre energia “pulita” a costo zero. Enorme interesse, da parte di diplomazie e governi. L’implicazione più straordinaria? La capacità di risolvere, in un colpo solo, il problema climatico. Come? Intervenendo direttamente nell’atmosfera. Sembra un sogno. Ma non lo è, dice Francesco: «C’è un gruppo, su questa Terra, che ormai ha un po’ tutte le conoscenze che servono, per costruire la Macchina. E sa anche come risolvere il problema climatico. Il problema nasce dal fatto che questo gruppo non ha finora messo a disposizione di Rolando le macchine che ha, per farle funzionare da Rolando». Pelizza è ancora l’unico (per fortuna) a conoscere «un trucchetto particolare, in grado di far funzionare la Macchina nel modo corretto». Aggiunge l’ingegner Alessandrini: «Finché questo gruppo non lascerà Rolando libero di agire come crede, di fatto non si farà nulla. Se invece questo gruppo decide di coinvolgere Rolando nell’esecuzione di qualche esperimento, e nel trattamento che immaginiamo debba venir eseguito sull’atmosfera, allora le cose potrebbero radicalmente cambiare».Stiamo parlando di qualcosa di rivoluzionario, inimmaginabile: agire sull’invisibile, per condizionare la realtà visibile. «La Macchina dimostra che la scienza, così come si è sviluppata fino ad oggi, è sulla strada sbagliata», conferma Roberta Rio. «Soprattutto, la scienza non ha compreso la natura. E questo è l’approccio meraviglioso che ci propone Majorana, assieme a Rolando: una fisica, una matematica che lavorino in armonia con la natura, avendone compreso le leggi. Quindi non c’è bisogno di manipolare la natura, o addirittura di farle violenza; basta saper interagire con essa. Ma serve un approccio scientifico radicalmente nuovo». E’ il grande insegnamento di questa storia, che per Roberta Rio e Francesco Alessandrini ha aperto sviluppi prima impensabili, come «il ruolo del pensiero nei processi di creazione, che ci portano a una comprensione diversa del ruolo dell’uomo nell’ambito dell’evoluzione e della creazione stessa». Decisamente sconvolgente: «Non siamo più vittime o semplicemente passivi, ma siamo co-creatori, siamo responsabilizzati: la realtà discende proprio dai nostri pensieri e da come ci poniamo nei confronti delle cose», aggiunge Roberta.Ed è proprio un pensiero, infatti, a bloccare misteriosamente la Macchina quando non è nelle mani giuste. A proposito, come è fatta? «E’ un semplice cubo, ultimamente in alluminio, che nella sua versione più piccola ha una cinquantina di centimetri di lato. All’interno – spiega Francesco – ci sono altre “scatole”, via via più interne, che creano un ambiente isolato rispetto all’esteno, per arrivare poi alla parte centrale dove ci sono una serie di motorini e dispositivi in grado di creare, contemporaneamente, per lo meno due campi elettrici, due campi magnetici e un campo anti-gravitazionale, che riescono tutti insieme a lavorare per produrre uno stato, nel centro della macchina, in cui ci si connette con quello che io chiamo “l’oltremateria”, cioè uno stato del nostro universo in cui c’è qualcosa, ma non è più qualcosa di materiale». Secondo l’ingegner Alessandrini «ci si connette, sostanzialmente, agli schemi della materia che stanno dietro alla materia». E attenzione: «Quando si riesce a raggiungere quello stato lì, si può andare a cambiare qualche informazione nello schema; dopo, come conseguenza, questo cambiamento viene riportato nella materia, nel mondo fisico che noi conosciamo così bene».Tutto questo, grazie a Majorana. «Ettore era considerato un genio silenzioso, aveva scritto pochissimo», ricorda Roberta Rio. «Iniziò a insegnare all’università per un periodo brevissimo, il 13 gennaio dello stesso anno in cui scomparve. Era una persona molto schiva, gli interessava andare al sodo e scoprire l’essenza delle cose». I suoi scritti? «Cominciano solo ora a essere compresi». Con basi matematiche diverse, «Majorana è riuscito a calcolare quella che sarebbe stata la direzione evolutiva dell’essere umano». Scomparve per non partecipare alla realizzazione della bomba atomica? «C’era molto di più, in gioco: mettere a disposizione dell’umanità una macchina in grado di produrre energia a costo zero, risolvendo il problema economico delle risorse e il problema sociale delle guerre per il petrolio o per l’acqua». Dedizione infinita alla causa: «Lungimiranza, saggezza e umiltà l’hanno portato a dedicare l’intera vita alla possibilità odierna di risolvere il problema climatico, che all’epoca della sua scomparsa non era ancora così evidente. Se l’uomo avesse preso la strada della “free energy”, aggiunge Francesco, questi ulteriori sviluppi della Macchina non sarebbero stati necessari». Sono stati comunque raggiunti, grazie a Pelizza e al genio siciliano, capace di lavorare in incognito per decenni.Quanti sapevano dove fosse, Majorana? Tante persone: quelle che contano. «C’è una storia ufficiale – quella della scomparsa – e una storia più ampia, non ufficiale, dove avvengono i fatti veri e propri. Poi – dice Francesco – si racconta una storia che viene condivisa e che passa sui manuali di storia». Ma se Majorana ha lasciato credere di essere sparito per sempre, diventando l’Uomo Invisibile, anche per Pelizza non è stato facile lavorare alla causa: «Rolando stesso ha vissuto una vita terribile, i servizi segreti gli hanno reso la vita molto difficile». Pelizza è stato in contatto coi governanti italiani fin dalla prima presentazione pubblica della sua macchina. «Governanti molto interessati, all’inizio – famosi politici, che hanno avuto a che fare con lui: Andreotti diede mandato a un professore, allora a capo dell’energia nucleare italiana, di studiare la Macchina di Rolando. Indagini, esperimenti, quindi una relazione: disse che ciò che faceva la Macchina era frutto di una tecnologia assolutamente al di fuori di tutte quelle allora conosciute».«Da quel momento, non si sa perché, gli italiani hanno ceduto la cosa ad altri governi, soprattutto Belgio e Usa, che hanno preso in mano la situazione», continua Francesco. «Abbiamo dei cablo di Wikileaks con la chiara testimonianza di documenti segreti che evidenziano come Kissinger, allora segretario di Stato del governo Ford, diede l’ok per seguire da vicino la vicenda di Rolando, ritenuta di estremo interesse per il governo americano». Per un po’ l’hanno lasciato fare, aggiunge Alessandrini, «ma ogni volta che Rolando si costruiva una macchina in grado di fare quegli esperimenti, gli veniva confiscata – e lui doveva ricominciare da zero a costruirla». Ne avrà fabbricate 300, in questi anni – tutte regolarmente portate via non appena messe in funzione. «Gli impedivano di fare quello che lui voleva veramente fare». E cioè: preservare l’umanità dall’autodistruzione. Le varie vicissitudini di Rolando, dice Roberta Rio, sono state raccolte (con documenti periziati e catalogati) da Alfredo Ravelli, cugino di Rolando e autore di tre libri su questa vicenda, che ha aspetti anche molto intricati.Il nome di Ettore Majorana apparve relativamente tardi, nella periodizzazione di questa collaborazione con Rolando, che venne a sapere l’identità di questo frate già nel ‘59. Ma solo il 7 dicembre 2001, attraverso una lettera, Ettore diede il permesso a Rolando di divulgare finalmente l’informazione che dietro alla Macchina e a queste sue nuove conoscenze c’era lui. Prima, Rolando parlò sempre di “un gruppo internazionale di studiosi”, che stava rappresentando e con i quali collaborava. «In quella lettera, però, Ettore chiese a Rolando di mantenere il segreto su due punti: il convento dov’era nascosto e i principi di questa nuova fisica, di questa nuova matematica – che, se divulgati, potrebbero far fare un salto di qualità straordinario all’umanità, ma se messi nelle mani sbagliate ci potrebbero portare alla distruzione in un battibaleno». Ettore Majorana? «Un uomo di una fede enorme, se pensiamo che si è ritirato dal mondo per dedicarsi solo a questo: aveva visto l’immensa possibilità e l’enorme pericolo».Francesco Alessandrini ammette che non è facile spiegare cosa può fare, questa fisica rivoluzionaria. Il primo concetto base è sconvolgente: «Dietro questo nostro mondo fisico c’è una specie di immagine, di schema di ciò che si realizza nel mondo fisico – che non è fisico, ma ha la capacità di organizzare e far funzionare il mondo fisico in un certo modo. Per cui, nel momento in cui riusciamo a capire come intervenire su questo schema, il cambiamento che provochiamo nello schema si ripercuote automaticamente nel mondo fisico». Attenzione: «Significa che abbiamo una possibilità di trasformazione della realtà fisica praticamente infinita». Problema immediato: «Questo concetto è di una grandiosità tale che non può venire accettato dalla fisica attuale, che invece parte dalla fisica stessa, dal mondo materiale, analizzandolo dal di dentro. Finché non si fa il salto, e si va al di fuori del mondo fisico per capire cosa c’è dietro, non riusciremo mai a comprendere pienamente ciò che si fa nel mondo fisico», aggiunge Francesco. «La visione prospettica di questa fisica è talmente al di là di ciò che si sfa facendo attualmente, da aprire prospettive assolutamente incredibili su ciò che può essere la vita umana, e su come si può interagire con la vita del mondo fisico nel suo complesso».In primissimo piano, la forza (segreta) del pensiero: «Il pensiero è il veicolo – lo strumento, il mezzo – che permette di andare a modificare lo schema, non fisico, che c’è dietro alla realtà fisica», spiega l’ingegner Alessandrini. «Con un certo tipo di pensiero (ben costruito, ben focalizzato, ben indirizzato e ben strutturato) si è di fatto in grado di modificare – e di creare, proprio – la realtà fisica, la nostra vita nel mondo fisico». Aggiunge Roberta Rio: «La cosa affascinante, di questi principi – che appartengono ad una fisica per il futuro, potremmo dire – in realtà sono già apparsi sulla Terra migliaia di anni fa in antichi scritti come i Veda, che solo ora riusciamo a interpretare in questa direzione». Mentre per alcuni i Veda sono soltanto racconti mitologici della tradizione induista, «per altri – noi compresi – sono veri e propri manuali di fisica». Sono libri scritti in sanscito, migliaia di anni fa. Ebbene, sì: rappresentano «un viaggio affascinante nella conoscenza, e proprio alcuni passi dei Veda parlano della qualità del “pensiero che crea”, che deve avere determinate caratteristiche per avere la capacità di creare, o meglio di manifestare, di portare sulla Terra, nella materia, quell’immagine corrispondente che esiste in un mondo oltre la materia, in una dimensione – uno spazio – oltre la materia».In questo senso, aggiunge Roberta, le indicazioni sono straordinarie, per l’uomo, in termini di responsabilità: l’idea che noi siamo i co-creatori della realtà nella quale viviamo. «E’ una fisica che si intreccia anche con la spiritualità: è questa la novità, o comunque l’intuizione. Un docente della John Hopkins University diceva che l’universo non è materiale, ma mentale e spirituale. Questa è la nuova frontiera della conoscenza, e anche dello sviluppo dell’umanità». Finalmente, dice Francesco, grazie a queste scoperte di Ettore Majorana «si torna a collegare la ragione con l’intuizione, la materia con l’oltremateria, la scienza con lo spirito, l’uomo con Dio. Il grande passo che stiamo facendo – rivela – è quello di tornare a unire scienza e spiritualità, come gli uomini del passato facevano, sapendo che era la vera completezza della vita nella quale ci troviamo a vivere». Pensieri che azionano la materia? «Esattamente». La Macchina? Un’invenzione prodigiosa: non solo per quello che può fare, ma per la rivoluzionaria conoscenza da cui proviene.«Quando si riesce, con la Macchina, ad andare in questo “oltremateria”, si entra in un ambito in cui, di fatto, il tempo scompare. O meglio: scompare il tempo come lo pensiamo noi», spiega Francesco. Normalmente, infatti, pensiamo il tempo come una successione di istanti, e nel mondo fisico visibile viviamo solo l’attimo presente: il passato e il futuro esistono, ma non appartengono all’attimo presente. «Quando ti trasferisci invece in quest’ambito “oltremateria”, lì non c’è più discontinuità tra passato, presente e futuro. E’ come se fosse un ambiente unico, in cui puoi andare, istantaneamente, in un punto del tempo che corrisponde a un punto del nostro passato». Una prospettiva vertiginosa, capace di rivoluzionare – in modo definitivo – la stessa concezione della vita sulla Terra. Ad una condizione: che si agisca rapidamente, senza più perdere tempo. «Ettore ha delineato il 2022-24 come data-limite per la vita sul pianeta, ma gli altri scienziati climatologi non sono lontani, le previsioni più pessimistiche parlano del 2030-2040», insistono Roberta e Francesco. «Ne resta poca, di vita sulla Terra, se non si fa qualcosa subito. E non lo dice solo Majorana, ma altri grandi scienziati come ad esempio Steven Hawking, che a gennaio 2017 disse: sbrigatevi ad andare ad abitare su Marte, perché la vita sulla Terra sta per finire».Oggi, l’ottantenne Rolando Pelizza – il custode del codice segreto della Macchina – invecchia con pazienza. «Mostra i primi segni di affaticamento, ma la sua immensa bontà è intatta», assicurano Roberta e Francesco. «Finché avrà fiato continuerà a fare queste cose, a cui ha dedicato 50-60 anni della sua vita». E Majorana? «Rolando dice che Ettore è sempre stato un tipo giovanile. L’ha visto un po’ invecchiare, ma dimostrando sempre molti meno anni». Ha usato la Macchina su di sé, per restare giovane? «Può darsi che abbia scoperto qualche utilizzo del pensiero per mantenersi in buona forma», dice Francesco. E’ ancora vivo? Oggi avrebbe 112 anni. «Non lo sappiamo», ammettono i due ricercatori: Rolando Pelizza si rifiuta di dare notizie precise. L’ultima traccia certa risale al 2006, quando Majorana aveva 100 anni. La Macchina, invece, non è più un mistero: sul web ci sono i progetti completi. Quello che manca è la formula per farla funzionare: il segreto di Pelizza. Che fare? «Il nostro obiettivo è chiaro: convincere chi possiede la Macchina a entrare finalmente in rapporto con Rolando e permettergli di fare quell’aggiustamento del clima che ci auguriamo venga fatto», tramite il favoloso dispositivo “dettato” da Majorana. «Anche se non ce ne rendiamo conto – concludono Roberta Rio e Francesco Alessandrini – siamo veramente in un momento critico per la sopravvivenza dell’uomo sulla Terra». Non lo accettiamo, eppure ci stiamo avvicinando alla nostra fine: «Se non c’è un intervento immediato – e l’unico che conosciamo è quello attraverso questa Macchina – saltiamo tutti quanti».(Il libro: Francesco Alessandrini e Roberta Rio, “La Macchina. Il ponte tra la scienza e l’oltre”, edito in self-publishing da “Il Mio Libro”, 160 pagine, euro 15,50 – oppure 4,99 in versione digitale, formato ePub. Su “Border Nights” la trasmissione integrale dell’intervista, in onda l’8 maggio 2018).“Smontare” la materia e ricostruirla ovunque, azzerando lo spazio-tempo. Primo obiettivo: medicare l’atmosfera, per riparare il clima e salvare la Terra. E ancora: creare energia infinita a costo zero, senza più petrolio e carbone. «So come si fa», direbbe il protagonista del film. «E chi ti credi di essere, Dio?». Non proprio, ma quasi: «Io sono Ettore Majorana, lo scienziato ufficialmente scomparso nel 1938». Immaginatevi la faccia dell’ingegner Rolando Pelizza, industriale bresciano, il giorno che si sentì rispondere in quel modo, nel lontano 1959, da quell’uomo giovanile dall’età indefinibile. Majorana? Il baby-genio che sbalordiva i suoi maestri Fermi, Amaldi e Pontecorvo, scappati negli Usa e in Urss per sottrarre a Hitler la ricerca sull’atomica. Lui, Majorana: il giovanissimo fenomeno venuto dalla Sicilia a incantare i “ragazzi di via Panisperna”, cioè i migliori cervelli del mondo, all’epoca, nel campo della fisica. «Ho capito cos’è la materia e come funziona. E tu, Rolando, devi aiutarmi a costruire un dispositivo sperimentale». La Macchina: la scatola “magica” che fa sparire le cose, qualsiasi cosa, e ne cambia la natura fisica. Possibile? Eccome: Giulio Andreotti prese molto sul serio la faccenda, passando il dossier a Kissinger.
-
Magaldi: una rivoluzione, contro i falsari degli 11 Settembre
Samuel Huntington, chi era costui? Politologo americano, lo presenta Wikipedia. Analista geopolitico dell’amministrazione Usa dai tempi di Jimmy Carter, direttore degli studi strategici e internazionali di Harvard, fondatore di “Foreign Policy” e autore di una ventina di saggi che hanno fatto storia. Uno su tutti, quello sullo “scontro di civiltà”, di risonanza pari alla tesi sulla “fine della storia” teorizzata da Francis Fukuyama, insieme al quale nel 1975 firmò il saggio sulla “crisi della democrazia”, promosso dalla neonata Commissione Trilaterale, suprema istituzione del potere paramassonico. La tesi del volume, firmato da Huntington e Fukuyama insieme a Michel Crozier: troppa democrazia fa male, bisogna tagliarla e ridurre i cittadini all’apatia, alla passività. A sedici anni dall’attacco alle Torri Gemelle c’è ancora chi si interroga sui possibili, veri mandanti del più spettacolare attentato della storia? Non Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni” che rivela l’esistenza di 36 Ur-Lodges internazionali nella cabina di regia dei destini del pianeta. Attenti alle date, avverte: il disastro delle Twin Towers il è “sequel” di un altro 11 Settembre, quello del 1973, quando in Cile fu abbattuto Allende dal golpe di Pinochet. Obiettivo strategico: piegare quel che restava del socialismo e avvelenare il mondo con l’ideologia neoliberista. Fine dello Stato sovrano e “dittatura” del capitale finanziario.Un personaggio sinistro, Samuel Huntington: così lo definisce Magaldi parlando ai microfoni di “Colors Radio”, nel ricostruire i retroscena dell’ecatombe newyorkese del 2001 destinata a innescare la “guerra infinita”, comiciata da Afghanistan e Iraq con l’improvvisa comparsa del fantomatico terrorismo globale “islamico”, incarnato da Al-Qaeda e dalla sua ultima filiazione, l’Isis. Uno “scontro di civiltà” solo presunto, quello evocato da Huntington, ma utilissimo a far marcire, a colpi di leggi securitarie, la “crisi della democrazia”, dal Patriot Act di Bush «fino a una legge italiana come quella sui vaccini, imposta in modo autoritario: lo afferma anche un magistrato del calibro di Ferdinando Imposimato». Magaldi articola la sua analisi partendo dal punto di vista esclusivo e privilegiato del retroterra massonico da cui proviene: già figura di spicco del Goi, poi fondatore del Grande Oriente Democratico e affiliato alla Thomas Paine, la più progressista delle superlogge internazionali alla radice del potere attuale, apolide e globalizzato. Da qui l’impegno civile nel Movimento Roosevelt, entità metapartitica che – anche attraverso figure come l’economista Nino Galloni – propone il risveglio democratico della politica italiana, sconfessando il dogma neoliberista: abbiamo bisogno di più Stato e più sovranità. Meglio archiviare Huntington: non è vero che la crisi della democrazia si “cura” riducendo la democrazia stessa, come oggi avviene grazie all’attuale mostro giuridico chiamato Unione Europea.Se siamo in questa situazione, sintetizza Magaldi, è anche perché la storia del secondo ‘900 ci è stata raccontata in modo spesso impreciso e incompleto: il grande progetto di riduzione della democrazia non è cominciato nel 2001 a New York, ma nel 1973 a Santiago del Cile, dove il massone Pinochet tradì il massone Allende, «un uomo forse troppo buono, un sincero socialista nutrito degli ideali filantropici della massoneria progressista». Dietro al complotto, c’era il gruppo allora rappresentato da Henry Kissinger, segretario di Stato sotto Gerald Ford ma soprattutto «esponente di punta della Ur-Lodge “Three Eyes”, massima espressione della destra reazionaria in ambito supermassonico». Forse Allende aveva nazionalizzato l’economia cilena in modo troppo esteso e precipitoso. Tuttavia, per i golpisti, la posta in palio non era il piccolo Cile, ma il resto del mondo. Da quel momento, continua Magaldi, l’élite supermassonica neo-feudale ha messo in atto, meticolosamente, il suo piano: progressivo smantellamento dell’economia mista (Italia compresa), erosione del protagonismo economico statale, dottrina neoliberista dello “Stato minimo”, fine della sinistra sindacale, crisi del welfare, privatizzazioni selvagge e deregulation della finanza: Reagan (e poi Clinton) negli Usa, la Thatcher in Europa.Henry Kissinger, David Rockefeller, Jacob Rothschild, Zbigniew Brzezinski: se gli strateghi della “Three Eyes” avevano scelto la modalità del “guanto di velluto”, lo stile in doppiopetto nell’imporre i vari “regime change” funzionali allo sviluppo neoliberista dell’economia, privatizzata e finanziarizzata, poi questa dinamica – inesorabile, ma relativamente lenta – ha subito un’accelerazione imprevedibile nel 2001, con la catastrofe delle Twin Towers, in realtà «preparata da lungo tempo» in un altro “santuario” supermassonico, la superloggia “Hathor Pentalpha” fondata dai Bush all’inizio degli anni ‘80. Una struttura internazionale che secondo Magaldi ha poi reclutato personaggi come Tony Blair, l’inventore delle “armi di distuzione di massa” di Saddam, e come Nicolas Sarkozy, il liquidatore di Gheddafi (senza dimenticare il turco Erdogan, massimo padrino dell’Isis nella sanguinosa conquista della Siria). Le macerie della tragica geopolitica di oggi, fino ai recenti attentati in Europa, secondo Magaldi sono il risultato ultimo dello sciagurato progetto “Hathor Pentalpha”. Il terrorismo come mezzo principe per ottenere tutto e subito, in modo sbrigativo e spaventoso: alle peggiori stragi seguono colossali affari, carriere-lampo, razzie sistematiche di risorse strategiche, drastica centralizzazione del potere, leggi speciali e soppressione progressiva di libertà civili.E’ lo spettacolo dell’orrore, a cui i media ormai ci hanno abituato. Ma guai a pensare che sarà così per sempre, insiste Magaldi: «Questi poteri non sono affatto invincibili, il loro tragico successo dipende in larga parte dalla nostra inerzia». La passività civile, l’apatia raccomandata dal “sinistro” profeta Huntington. La rissa polemica sull’ultimo 11 Settembre? Errore ottico, dice Magaldi, frutto dello scontro tra negazionisti (scettici o bugiardi) e complottisti poco lucidi. «In realtà non servono chissà quante persone per propiziare una catastrofe come quella di Ground Zero: bastano pochi uomini nei posti giusti, che li limitino ad allargare le maglie della sicurezza e, sostanzialmente, a lasciar fare». Nessun dubbio, per Magaldi, sulla partenità massonica del super-attentato: le Twin Towers, «due torri gemelle, appunto», richiamano immediatamente «le due colonne che campeggiano in ogni tempo massonico», e per giunta a New York, cioè «in una delle città più massoniche al mondo». Oggi, poi, sarebbe in corso una guerra nella guerra: segmenti dell’impenetrabile mondo delle Ur-Lodges, quelli “progressisti”, sarebbero in rivolta contro gli abusi della filiera “reazionaria”, avviati in Cile dalla “Three Eyes” e completati con il terrificante cambio di passo imposto dalla “Hathor Pentalpha” a Manhattan, sedici anni fa. Da allora, stesso copione ovunque: guerra in Medio Oriente e terrorismo in Occidente. «Non durerà per sempre», insiste Magaldi. «Ma tocca a noi uscire dal letargo: serve una vera e propria rivoluzione, civile e politica, per rivendicare i diritti che ci sono stati confiscati e tornare a condizioni di sovranità democratica».Samuel Huntington, chi era costui? Politologo americano, lo presenta Wikipedia. Analista geopolitico dell’amministrazione Usa dai tempi di Jimmy Carter, direttore degli studi strategici e internazionali di Harvard, fondatore di “Foreign Policy” e autore di una ventina di saggi che hanno fatto storia. Uno su tutti, quello sullo “scontro di civiltà”, di risonanza pari alla tesi sulla “fine della storia” teorizzata da Francis Fukuyama. Nel 1975, Huntington produsse un altro saggio epocale, quello sulla “crisi della democrazia”, promosso dalla neonata Commissione Trilaterale, suprema istituzione del potere paramassonico. La tesi del volume, firmato da Huntington con Joji Watanuki e Michel Crozier: troppa democrazia fa male, bisogna tagliarla e ridurre i cittadini all’apatia, alla passività. A sedici anni dall’attacco alle Torri Gemelle c’è ancora chi si interroga sui possibili, veri mandanti del più spettacolare attentato della storia? Non Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni” che rivela l’esistenza di 36 Ur-Lodges internazionali nella cabina di regia dei destini del pianeta. Attenti alle date, avverte: il disastro delle Twin Towers il è “sequel” di un altro 11 Settembre, quello del 1973, quando in Cile fu abbattuto Allende dal golpe di Pinochet. Obiettivo strategico: piegare quel che restava del socialismo e avvelenare il mondo con l’ideologia neoliberista. Fine dello Stato sovrano e “dittatura” del capitale finanziario.
-
Rockefeller: il vero potere al comando, dalla fine di Nixon
Le elezioni esistono ancora, possiamo votare i candidati. A patto di non scordarci che non saranno loro a decidere le cose importanti. Vale per Trump ma era così anche per Obama. L’orribile Nixon provò a fare di testa sua, e la pagò cara: fu travolto dallo scandalo Watergate che spianò la strada a Gerald Ford e soprattutto al suo vice, Nelson Rockefeller, fratello di David. Loro, i Rockefeller, insieme al loro stratega, Zbingiew Brzezinski, da allora non si sarebbero più fermati, dalla “fabbricazione” di Jimmy Carter in poi, fino a Obama e oltre. Lo ricorda Jon Rappoport, prestigioso giornalista americano, candidato al Pulitzer. «Lo Stato-nazione come unità fondamentale della vita organizzata dell’uomo ha cessato di essere la prima forza creativa», affermava Brzezinski nel 1969, quattro anni prima della nascita della Trilateral Commission, fondata da Rockefeller. «Le banche internazionali e le multinazionali stanno agendo e pianificando in termini che sono di gran lunga in anticipo rispetto ai concetti politici degli Stati nazionali». Ammette, nel 2003, lo stesso David Rockefeller: «Se questa è l’accusa, io sono colpevole e sono orgoglioso di esserlo». E cioè: «C’è chi crede che noi siamo parte di una cabala segreta che lavora contro i veri interessi degli Stati Uniti».«Particolarmente la mia famiglia ed io – aggiunge il capostipite della dinastia – veniamo considerati degli “internationalists” e dei cospiratori, insieme ad altri, in giro per il mondo, che vogliono costruire una struttura politica ed economica globale più integrata, “One World”». Pochi, scrive Rappoport in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”, ricordano che ad opporsi agli albori della globalizzazione fu Richard Nixon, «che aveva cominciato a mettere certi dazi su alcune merci importate negli Stati Uniti, per pareggiare il campo di gioco e proteggere le aziende americane». Nixon, beninteso, «sotto altri aspetti era un vero mascalzone», ma in questo caso «uscì fuori dalle righe e in realtà aprì la via ad un movimento che rifiutava la visione globalista del mondo». Era troppo, per il supremo potere: con Ford al suo posto alla Casa Bianca (e Nelson Rockefeller come vice) si ebbe «il segnale che il globalismo e il libero scambio erano di nuovo in pista». Ma David Rockefeller e il suo assistente, Brzezinski, pretendevano di più: «Volevano un loro uomo alla Casa Bianca e volevano che fossero loro stessi a crearlo da zero. Quell’uomo era un contadino che coltivava arachidi e di cui nessuno aveva mai sentito parlare: Jimmy Carter».Grazie al loro network, Rockefeller e Brzezinski misero Carter sotto i riflettori, così il loro uomo vinse la nomination dei democratici nel 1976 e, dopo la débacle del Watergate, «cominciò a mandare in giro smielati messaggi di amore e di “volemose-bene”, e ben presto arrivò allo Studio Ovale». Appena due anni dopo, passò completamente inosservata un’intervista – in realtà illuminante – realizzata dal giornalista Jeremiah Novak, a colloquio con Karl Kaiser e Richard Cooper, due membri della Commissione Trilaterale fondata nel ‘73. Argomento dell’intervista: chi, esattamente, stesse “dettando” la politica degli Usa, sotto Carter. «L’atteggiamento negligente e distratto dei due della Trilaterale è sorprendente», scrive Rappoport: «Kaiser e Cooper è come se stessero dicendo: “Quello che stiamo rivelando è già alla luce del sole, è troppo tardi per fare qualcosa, perché state ancora perdendo tempo con questa storia? Abbiamo già vinto”». Era così, ma Novak non lo sapeva ancora. E’ vero, domanda ai due, che un “ente privato” (quale è la Trialterale), guidato dallo statunitense Henry Owen e composto da rappresentanti anche europei e giapponesi, sta «coordinando lo sviluppo economico e quello politico» dei paesi interessati? Sì, certo, confermano gli intervistati: «Si sono già incontrati tre volte».Ma allora, insiste il reporter, perché la Trilaterale dice di voler restare “informale”? «Questa cosa non fa paura?». Ma no, smorza Kaiser: è solo per non irritare gli europei di fronte al peso, reale, della Germania Ovest. Aggiunge Cooper: «C’è tanta gente che ancora vive in un mondo di nazioni separate, e ci resterebbe male per questo coordinamento della politica». Come dire: gente che crede ancora alle elezioni, ai governi, alla democrazia. Eppure, ribatte Novak, ormai la Trilaterale «è essenziale per tutta la vostra politica». E dunque, domanda, «come potete cercare di mantenerla segreta, rinunciando a ottenere un sostegno popolare» per le decisioni di politica economica stabilite dalla Commissione? Oh, be’, abbozza Cooper: si tratta di “lavorarci su”, utilizzando la stampa, i media. E passi, concede Novak. «Ma perché allora il presidente Carter non ne parla? Perché non dice al popolo americano che il potere economico e politico è coordinato da una Commissione, la Trilaterale, diretta da un comitato composto da sette persone? Dopotutto, se la politica è gestita a livello multinazionale, la gente dovrebbe saperlo». Ribatte Cooper: «Il presidente Carter e il segretario di Stato, Cyrus Vance, ne hanno fatto costantemente riferimento, nei loro discorsi». Già, conferma Kaiser: «E questo non è mai stato considerato un problema».Dov’era, l’opinione pubblica, mentre tutto questo accadeva? Dov’era la stampa, a parte Jeremiah Novak? «Naturalmente – puntualizza Rappoport – benché Kaiser e Cooper avessero detto che tutti già erano a conoscenza delle manipolazioni fatte dal comitato della Commissione Trilaterale, nessuno ne sapeva niente». Nonostante ciò, «la loro intervista è scivolata sotto i radar dei media generalisti che, deve essere detto, la ignorarono e la sotterrarono. Non divenne uno scandalo del livello del Watergate, benché il suo contenuto fosse ben più scandaloso del Watergate». In realtà avevano “già vinto”: «La gestione della politica e dell’economia Usa era guidata da un comitato della Commissione Trilaterale, creata nel 1973 come “gruppo informale di discussione” da David Rockefeller e dalla sua longa manus, Brzezinski, che divenne poi il “national security advisor” di Jimmy Carter». All’indomani della vittoria alle presidenziali, il braccio destro di Carter, Hamilton Jordan, disse: se Vance e Brzezinski entrassero nella squadra del presidente, io me ne andrei, perché avrei perso. Jordan (che poi però non si dimise) vedeva la Trilaterale come una minaccia: avrebbe messo la Casa Bianca sotto controllo, in barba agli elettori americani.Sono scene che da allora si ripetono, racconta Rappoport: lo stesso Brzezinski, nel 2008, ricomparve come “tutor” di Barack Obama, presentato ufficialmente come outsider assoluto. Nel tempo, il peso della Trilaterale è cresciuto esponenzialmente: il saggista Patrick Wood fa presente che oggi sono ben 87 i membri Commissione che vivono in America. E Obama, aggiunge Rappoport, ne ha nominati 11 in cariche di primissimo piano: per esempio Tim Geithner al Tesoro, James Jones alla sicurezza nazionale, il super-falco neocon Paul Volker all’economia e Dennis Blair alla direzione della National Intelligence. Un altro veterano della Trilaterale, Michael Froman, è stato piazzato sempre da Obama come rappresentante per il commercio, portavoce degli Usa per il trattato globalista Tpp, Trans-Pacific Partnership. Sono uomini che «non vengono messi lì per caso, devono eseguire un ordine del giorno specifico». Donald Trump oggi ripudia quel trattato, ma – avverte Patrick Wood – ha già preso a bordo un esponente della Trilaterale, Kenneth Juster, come vice-assistente presidenziale per gli affari economici internazionali. «I compiti assegnati a Juster lo porteranno nel cuore dei negoziati ad alto livello con governi esteri sulla politica economica», conferma Rappoport. «Vediamo se sarà veramente in linea con le posizioni dichiaratamente anti-globaliste di Trump». Come dire: puoi battere Hillary Clinton, ma non i signori della Trilateral Commission. Quelli vincono sempre, comunque.Le elezioni esistono ancora, possiamo votare i candidati. A patto di non scordarci che non saranno loro a decidere le cose importanti. Vale per Trump ma era così anche per Obama. L’orribile Nixon provò a fare di testa sua, e la pagò cara: fu travolto dallo scandalo Watergate che spianò la strada a Gerald Ford e soprattutto al suo vice, Nelson Rockefeller, fratello di David. Loro, i Rockefeller, insieme al loro stratega, Zbingiew Brzezinski, da allora non si sarebbero più fermati, dalla “fabbricazione” di Jimmy Carter in poi, fino a Obama e oltre. Lo ricorda Jon Rappoport, prestigioso giornalista americano, candidato al Pulitzer. «Lo Stato-nazione come unità fondamentale della vita organizzata dell’uomo ha cessato di essere la prima forza creativa», affermava Brzezinski nel 1969, quattro anni prima della nascita della Trilateral Commission, fondata da Rockefeller. «Le banche internazionali e le multinazionali stanno agendo e pianificando in termini che sono di gran lunga in anticipo rispetto ai concetti politici degli Stati nazionali». Ammette, nel 2003, lo stesso David Rockefeller: «Se questa è l’accusa, io sono colpevole e sono orgoglioso di esserlo». E cioè: «C’è chi crede che noi siamo parte di una cabala segreta che lavora contro i veri interessi degli Stati Uniti».
-
Bonnal: caos e paura, perché il sistema tifa Marine Le Pen
La rapidità della sottomissione di Trump al sistema è stata ammirevole, come la sottomissione di Syriza in Grecia o la rapidità dell’annullamento della Brexit. Come direbbe Céline, la resistenza populista non chiede altro che far sloggiare qualcuno – o cliccare furiosamente sul proprio mouse». Per lo scrittore francese Nicolas Bonnal, autore fra l’altro di un saggio sul “lato oscuro” di Mitterrand, definito “esoterista e grande iniziato”, siamo alla vigilia di una possibile, spettacolare operazione: l’elezione di Marine Le Pen all’Eliseo. Non “contro” il sistema, ma con la regia – dietro le quinte – dell’establishment, ben lieto di assistere, finalmente, al grande caos di un paese europeo nel panico: «La Francia avrebbe una sua rivoluzione arancione per strada», inoltre «si ribellerebbe alla funzione pubblica» e naturalmente «avrebbe una fuga di capitali», con «i borghesi disperati per il crollo dei prezzi degli appartamenti parigini e dei castelli antichi». Secondo Bonnal, il paese «si farebbe bloccare dalla Nato anche più velocemente della Serbia». E, quanto alla strategia della tensione, «la Francia subirebbe gli attentati più rapidi della sua storia». Attenzione: «Per tutte queste ragioni, il sistema vuole Marine».In un post su “Defensa”, tradotto da “Come Don Chisciotte”, Bonnal spiega che quello in vista alle elezioni francesi è uno schema classico, ben delinato addirittura da Aristotele, nella “Politica”, quando il grande filosofo scriveva: «Nella democrazia, le rivoluzioni nascono prima di tutto dalla turbolenza dei demagoghi. Per quel che riguarda gli individui, costringono con le loro continue denunce gli stessi ricchi a riunirsi per cospirare; poiché la comunanza di paure avvicina le persone più ostili». E il più grande filosofo dell’antichità puntualizza freddamente, come se avesse previsto la fine del nefasto film: «Per le loro ingiustizie, i demagoghi e i loro complici hanno costretto i cittadini potenti a lasciare la città; ma gli esuli si sono riuniti, e, rivoltandosi contro il popolo, lo spoglieranno del loro potere». Tra i candidati, quello del Front National è «il peggiore, per l’oligarchia mondiale». Ma, proprio per questo, potrebbe diventare “il migliore”, il più utile – a piegare il popolo con le cattive, dopo aver fatto deragliare il lepenismo. «Il carattere pseudo-rivoluzionario della Francia (vedi la presa della Bastiglia) qui sarà usato in pieno: sottomettiamo la Francia e il resto seguirà presto».Per questo, Nicolas Bonnal insiste: «Il sistema ha interesse a far eleggere Marine Le Pen. Il “Bataclan”, se verrà eletta, sarà tale che lei si sottometterà ancora più velocemente del suo modello Trump. Il sistema – continua Bonnal – potrà allora imporre più velocemente la propria agenda terrorista e totalitaria: guerra contro la Russia ribelle, invasione del Sud, abolizione del denaro contante, controllo biometrico, divieto dell’oro, censura della rete». Secondo lo scrittore, «il caos dell’elezione del Fn sarà tale che lo tsunami (che, come si sa, è un metodo di controllo a freddo, come gli attentati, l’effetto serra, i rifugiati) sarà imparabile». Quindi, ragiona Bonnal, «il sistema farà eleggere Marine, la quale ha già dato delle garanzie licenziando suo padre». Questo sarebbe l’obiettivo dell’establishment: «Far scoppiare l’ascesso populista una volta per tutte». Nel suo libro su Trump, pubblicato prima della sua elezione (“Donald Trump, le candidat du chaos”), Bonnal annunciava già la piega che avrebbe preso: «Tutto ci sembra esagerato, falso, quasi squallido. I suoi affari, la sua stessa fortuna sembra gonfiata. Le sue proposte sono nulle, scadenti o neppure degne di nota. Qualche frase interessante e coraggiosa è subito contraddetta. La sua politica è inapplicabile ed è meglio così. Suscita inoltre una tale ostilità all’estero e nei luoghi importanti (televisioni, economia) che rischia di essere rovinato anche prima dell’elezione».Scriveva Bonnal: «Sembra che l’affaire Trump serva come operazione psicologica a livello mondiale». Motivo: «Il sistema ha paura delle folle, e ha bisogno di fare un esempio – mostrando il male». E quindi: «L’accusa di razzismo, di nazismo, di fascismo, di machismo da parte dei media, l’eccesso o il cosiddetto eccesso di Trump, porteranno i loro frutti». Al che, «tutto il piccolo mondo del piccolo bianco frustrato rientrerà nella sua nicchia, come in Francia: sarà “agitato” un’ultima volta prima di “asservirsi” per niente». Bonnal, nel libro, cita il film “Network”, del 1976, sugli anni difficili Nixon-Ford, «più difficili del 2017, poiché c’era un residuo di marxismo e i militanti erano ancora disposti a sacrificarsi per imporlo – oggi invece cliccano!». Scriveva: «Il presentatore televisivo Howard Beale invita i telespettatori a ribellarsi e urlare dalla finestra – cosa che anche lui si affretta a fare. Poi, per far piacere al suo capo, che parla di marchi, di dollari, di rubli, di sicli, di mercato, di capitale, di cifre, di sistema olistico, di natura (il capitale la adora), d’investimenti, della fine dei popoli, di denaro, di “movimenti autonomi dei non-viventi”, predica un vangelo della rassegnazione – e alla fine si fa ammazzare per l’abbassamento dell’indice di ascolto». Quel film «segna il passaggio dalla ribellione alla sottomissione».«Può anche essere che Trump serva anche come esorcismo finale per calmare il risentimento generale americano e organizzare con più calma la bancarotta del paese che è già cominciata, anche se viene descritta raramente», scriveva Bonnal nel suo libro su Trump. «Il fascismo e la militarizzazione degli Stati Uniti descritte da Paul Craig Roberts serviranno a prevenire o schiacciare completamente tutte le ribellioni, da qualunque parte provengano. Sembra proprio che anche in Francia si stia prendendo la stessa strada». Oggi, lo scrittore conferma: «Sì, far montare il pericolo Fronte Nazionale e anche far eleggere Marine è la cosa migliore che possa succedere al sistema. La finanza e il mercato immobiliare crollati in tempi brevi serviranno ai malvagi. Sappiamo dove conduce l’ottimismo dell’antisistema (Cuba? Caracas?)». Bonnal, citando Aristotele, la definisce una tattica, «una semplice operazione di compattazione», che non mai è cambiata in migliaia di anni. Il popolo ne ha abbastanza dell’élite? Giusto. Solo che le élite «lasciano che un populista arrivi al potere, poi lo liquidano – a meno che non lo assecondino, come nel caso ben noto del caporale boemo». E conclude: «Ridiamo, siamo in buona compagnia».La rapidità della sottomissione di Trump al sistema è stata ammirevole, come la sottomissione di Syriza in Grecia o la rapidità dell’annullamento della Brexit. Come direbbe Céline, la resistenza populista non chiede altro che far sloggiare qualcuno – o cliccare furiosamente sul proprio mouse». Per lo scrittore francese Nicolas Bonnal, autore fra l’altro di un saggio sul “lato oscuro” di Mitterrand, definito “esoterista e grande iniziato”, siamo alla vigilia di una possibile, spettacolare operazione: l’elezione di Marine Le Pen all’Eliseo. Non “contro” il sistema, ma con la regia – dietro le quinte – dell’establishment, ben lieto di assistere, finalmente, al grande caos di un paese europeo nel panico: «La Francia avrebbe una sua rivoluzione arancione per strada», inoltre «si ribellerebbe alla funzione pubblica» e naturalmente «avrebbe una fuga di capitali», con «i borghesi disperati per il crollo dei prezzi degli appartamenti parigini e dei castelli antichi». Secondo Bonnal, il paese «si farebbe bloccare dalla Nato anche più velocemente della Serbia». E, quanto alla strategia della tensione, «la Francia subirebbe gli attentati più rapidi della sua storia». Attenzione: «Per tutte queste ragioni, il sistema vuole Marine».