Archivio del Tag ‘Giorgio Mottola’
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Magaldi: ora Draghi cambi musica, sulla gestione Covid
Mario Draghi sta finalmente progettando di mettere l’Italia sulla strada della crescita e dell’uscita definitiva dall’austerity. «Il robusto ricorso al deficit per rilanciare l’economia dimostra la volontà di abbandonare senza timori la lunga stagione del rigore europeo, anche se molti giornalisti – che continuano a interrogarsi sulle necessarie “coperture” finanziarie – non hanno ancora capito che il vento è cambiato, da quando la Bce con Christine Lagarde ha iniziato ad agire come “prestatrice di ultima istanza”, sorreggendo le economie nazionali, fino a portare a zero i tassi d’interesse». Lo afferma Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt: «Il ricorso al debito pubblico (strategico, per l’occupazione) dimostra l’infondatezza dell’artificioso paradigma neoliberista, che attraverso la manipolazione degli spread e le speculazioni delle agenzie di rating imputava all’Italia un “eccesso di debito” senza mai tenere conto della reale solvibilità del paese, che resta una delle maggiori potenze industriali del mondo e vanta un robustissimo risparmio privato».Pur scontento dei “ristori” finora erogati, «del tutto insufficienti», Magaldi vede l’Italia di Draghi allineata allo sforzo “rooseveltiano” degli Usa, che annunciano il dispiegamento di ingentissimi investimenti pubblici. «Di concerto con Janet Yellen, titolare del Tesoro – aggiunge Magaldi – l’Italia sta anche mettendo a punto un progetto di tassazione universale a carico delle multinazionali, per abolire il “dumping” fiscale dei colossi economici: un altro modo per restituire forza agli Stati, riequilibrando la disponibilità delle risorse». Magaldi trova incoraggiante la prospettiva illuminata da Draghi, che già un anno fa aveva proposto l’azzeramento dei debiti pregressi, pubblici e privati, «come si dovrebbe fare in tempo di guerra». Dolenti note, invece, sul fronte sanitario: «Resta purtroppo in vigore il coprifuoco, insieme ad altre assurde restrizioni, anche se le riaperture – anticipate all’indomani del 25 aprile, non a caso – rappresentano un messaggio eloquente, sul piano simbolico».Per il presidente “rooseveltiano”, soprattutto, «Draghi dovrà decidersi a cambiare paradigma, anche a proposito del Covid, in vista del prossimo autunno». Accanto ai vaccini («non obbligatori, né in alcun modo vincolanti») deve essere predisposto un protocollo nazionale per le terapie domiciliari: è noto infatti che alcuni farmaci e le cure domestiche precoci «sono in grado di abbattere drasticamente i numeri dei ricoveri e quindi dell’emergenza, mettendo fine al “terrorismo sanitario” che ha a lungo dominato la narrazione della pandemia». Magaldi, intanto, vorrebbe le immediate dimissioni del ministro della salute, il pessimo Roberto Speranza: «Emergono prove della sua reticenza, anche di fronte alle indagini della magistratura sulle bruttissime pagine di “malasanità” di cui è responsabile il suo ministero: in un altro paese, il ministro si sarebbe già dimesso».Perché invece l’inguardabile Speranza resta al suo posto? «Perché Draghi, in modo cavalleresco – risponde Magaldi – intende rispettare la richiesta di Mattarella, che insieme a D’Alema ne aveva caldeggiato la riconferma». Durerà? «Al di là delle frasi di circostanza – chiosa Magaldi – Mario Draghi non stima affatto l’incapace Speranza, rivelatosi completamente inadeguato: lascerebbe la carica, nonostante l’appoggio di Mattarella, qualora le indagini in corso ne rendessero ulteriormente imbarazzante e insostenibile la permanenza alla guida di quel ministero, oggi così decisivo per la “ripartenza” del paese». Naturalmente, aggiunge Magaldi, non è un caso che il dicastero sia occupato proprio da Speranza: «L’esponente di Leu è noto per il servilismo: il “burattino” ideale per personaggi come il suo politico di riferimento, cioè il massone reazionario D’Alema, che – con il governo Conte, anche attraverso Arcuri – ha legato l’Italia a precise filiere cinesi, nel quadro psico-politico che vorrebbe trasformare il coronavirus in un pretesto per la confisca della democrazia, della libertà e dei diritti».Infine, Gioele Magaldi attacca frontalmente Sigfrido Ranucci e il giornalista Giorgio Mottola, che nella puntata di “Report” andata in onda il 12 aprile su Rai Tre «hanno nuovamente operato un grossolano linciaggio mediatico nei confronti di Cecilia Marogna e del cardinale Giovanni Angelo Becciu, nonostante l’ampia riabilitazione giudiziaria della Marogna, esperta di intelligence presentata come opaca millantatrice, a metà strada tra Vaticano, servizi segreti e massonerie». “Report” avrebbe sostanzialmente ignorato lo stesso riavvicinamento tra Becciu, a sua volta riabilitato, e Papa Francesco, accortosi della ingiusta persecuzione mediatica subita dal cardinale. A Cecilia Marogna, inoltre, “Report” ha imputato il tentativo a accreditarsi come liberatrice di padre Pierluigi Maccalli, missionario rapito in Mali, poi liberato dietro il compenso di svariati milioni di euro. «Falso: la Marogna ha solo detto che avrebbe potuto far liberare padre Maccalli pagando un riscatto molto inferiore».Come molti altri organi della stampa mainstream italiana – dice Magaldi, presentato erroneamente come esponente del Grande Oriente d’Italia – anche “Report” pecca di superficialità, prestandosi a campagne tendenziose, allusive e vagamente diffamatorie. «Lungi dall’emendarsi dall’aver inferito sulla Marogna, scarcerata dopo 17 giorni di cella a San Vittore dopo che le autorità giudiziarie italiane hanno definito illegale il suo arresto, “Report” ha evitato accuratamente di sfiorare il tema retrostante, di cui nessuno osa parlare: e cioè l’infame business dei rapimenti in Africa, dove spesso i rapitori e i “liberatori” giocano ad alzare il prezzo del riscatto, prolungando la detenzione degli ostaggi, grazie alla complicità di settori dell’intelligence». Conclude Magaldi: «Anziché parlare a sproposito di massoneria, “Report” farebbe meglio a confessare quali poteri massonici hanno ispirato l’ultima inchiesta: se non li farà Ranucci – avverte – i nomi li farò io, in modo che il pubblico italiano sappia quali sono le fonti (massoniche) da cui “Report” si fa condizionare».Mario Draghi sta finalmente progettando di mettere l’Italia sulla strada della crescita e dell’uscita definitiva dall’austerity. «Il robusto ricorso al deficit per rilanciare l’economia dimostra la volontà di abbandonare senza timori la lunga stagione del rigore europeo, anche se molti giornalisti – che continuano a interrogarsi sulle necessarie “coperture” finanziarie – non hanno ancora capito che il vento è cambiato, da quando la Bce con Christine Lagarde ha iniziato ad agire come “prestatrice di ultima istanza”, sorreggendo le economie nazionali, fino a portare a zero i tassi d’interesse». Lo afferma Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt: «Il ricorso al debito pubblico (strategico, per l’occupazione) dimostra l’infondatezza dell’artificioso paradigma neoliberista, che attraverso la manipolazione degli spread e le speculazioni delle agenzie di rating imputava all’Italia un “eccesso di debito” senza mai tenere conto della reale solvibilità del paese, che resta una delle maggiori potenze industriali del mondo e vanta un robustissimo risparmio privato».
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Moncalvo: perché Salvini continua a tacere su Moscopoli?
«Male non fare, paura non avere. Ma soprattutto: non tacere». Gigi Moncalvo, giornalista di razza, attacca frontalmente Matteo Salvini, sottolineando l’evidente imbarazzo del leader leghista di fronte al caso “Moscopoli”. Sul tappeto, l’ipotetico affare petrolifero di cui il suo emissario a Mosca, Gianluca Savini, avrebbe parlato un anno fa all’Hotel Metropol con alcuni esponenti del potere politico-economico russo. «Fino a quando Salvini (vigliaccamente, senza coraggio) continuerà a tacere?», si domanda Moncalvo, nella rubrica “Silenzio stampa” della trasmissione web-radio “Forme d’Onda”, condotta da Stefania Nicoletti e Rudy Seery. Il capo della Lega, ricorda Moncalvo, si avvale tuttora dell’immunità parlamentare che lo protegge, virtualmente, dall’indagine aperta dalla Procura di Milano: nel caso i magistrati ravvisassero effettive irregolarità, dovrebbero chiedere al Parlamento il permesso di procedere contro di lui. Un Parlamento, peraltro – come ricordato polemicamente da Vittorio Sgarbi – dove lo stesso premier Conte (ascoltato dal Copasir per il caso Russiagate) e i leader dei maggiori partiti (le indagini sul figlio di Grillo, le sentenze sui genitori di Renzi) si sono dovuti occupare di questioni giudiziarie gravide di scomodi riflessi mediatici.Secondo Moncalvo, Salvini – con le vele gonfiate dai sondaggi e ora anche dall’esito delle regionali in Umbria – potrebbe sempre dichiararsi vittima di un’ingiusta persecuzione, da parte delle toghe, nel caso in cui “Moscopoli” dovesse esplodere, carte giudiziarie alla mano, alla vigilia delle prossime elezioni politiche. Pietra dello scandalo, a livello televisivo, il servizio realizzato da Giorgio Mottola per “Report”, in cui – fra l’altro – si evidenzia il legame tra Salvini e l’oligarca russo Konstantin Valeryevič Malofeev, ultra-tradizionalista, a capo di un vero e proprio impero editoriale. Malofeev è impegnato in una crociata contro i gay, definiti «sodomiti, pederasti», letteralmente. «La paura sbianca il volto di Salvini quando, a Pontida, Mottola gli domanda se conosce Malofeev». Risultato: scena muta. «Ma Salvini – prosegue Moncalvo – si è rifiutato di parlare con “Report” anche in seguito: Mottola infatti aveva chiesto per ben tre volte, alla sua segreteria, di organizzare un incontro per consentire al leader della Lega di replicare, dandogli l’opportunità di offrire la sua versione su ogni aspetto del servizio televisivo trasmesso da RaiTre il 21 ottobre».Le polemiche della Lega indurranno “Report” a trasmettere altro materiale sul tema, aggiunge Moncalvo, che rivela che il servizio fu realizzato già a luglio, quando Salvini era ancora ministro dell’interno e vicepremier. Moncalvo mette in relazione “Moscopoli” con la repentina scelta di Salvini di staccare la spina al governo gialloverde, sorprendendo lo stesso Giancarlo Giorgetti. «Salvini ha deciso tutto da solo, e neppure Giorgetti conosceva il motivo di quella decisione», dice Moncalvo, che nel servizio di “Report” svolge un ruolo di primo piano: ricorda di quand’era direttore de “La Padania” e tentò inutilmente di allontanare Salvini. «Pur essendo giornalista – afferma Moncalvo – Salvini non ha mai scritto un articolo in vita sua». Lo tratteggia come un opportunista sfrontato e ambizioso. All’epoca – ha raccontato lo stesso Moncalvo di fronte alle telecamere di “Report” – ebbe ripetuti scontri con Salvini, definito assenteista e pronto a che a gonfiare la sua nota spese. Un giorno, l’allora leader dei giovani leghisti affrontò il direttore della “Padania” con queste parole: «Tu passi, io resto. E diventerò molto più potente».Che ci siano vecchie ruggini, tra Moncalvo e Salvini, appare evidente. Altrettanto palese, per contro – come sottolinea il giornalista – è l’impenetrabile silenzio del leader leghista su “Moscopoli”. Reticenza? «Alle domande – insiste Moncalvo – Salvini non ha mai voluto rispondere, in nessuna sede». Spesso, Salvini è ricorso all’umorismo, o se l’è cavata con la formula: «Se ne sta occupando la magistratura». Giornalisti e avversari insistono: che ci faceva, Savoini, a Mosca? A che titolo avrebbe trattato una sorta di maxi-tangente su una fornitura di idrocarburi? A monte, è nota la difficoltosa situazione finanziaria della Lega, costretta – dalla magistratura genovese – a consegnare allo Stato 49 milioni di euro, a causa di vecchie irregolarità imputate alla gestione Bossi. Attenzione, avverte Luca Telese: non si tratta di soldi “rubati” dalla Lega. Di fronte all’originario ammanco accertato (un paio di milioni, forse meno), il partito è stato dichiarato – a posteriori – non idoneo a percepire finanziamenti. Diversi giuristi hanno trovato insolita la condanna: per colpa del mini-buco della Lega Nord di Bossi, alla nuova Lega di Salvini si è chiesto di “restituire” altri soldi, quelli ricevuti successivamente (e regolarmente spesi per l’ordinaria gestione politica, gli stipendi dei funzionari e le spese elettorali). Questo – si domanda qualcuno – potrebbe aver spinto Salvini a spedire Savoini a Mosca in cerca di finanziamenti russi in vista delle europee?Quello su cui invece “Report” evita accuratamente di indagare è la fonte del presunto scandalo: quale servizio segreto avrebbe intercettato Savoini, per poi far pervenire gli audio del Metropol alla magistratura milanese? Servizi russi? Americani? Italiani, addirittura, su ordine di Conte? La domanda è di importanza capitale, perché permette di mettere a fuoco la regia di quella che appare come una classsica “imboscata”, dunque il movente politico e i relativi mandanti. In attesa che la questione si chiarisca, Moncalvo ribadisce: il silenzio di Salvini è imbarazzante e inaccettabile, qualunque cosa sia avvenuta a Mosca. Sempre Moncalvo, nel servizio di “Report”, traccia un profilo non entusiasiamente del rapporto tra Salvini e il fido Savoini, descritto come animato da simpatie per l’iconografia nazista e a lungo frequentatore dell’estremista di destra Maurizio Murelli. Per Moncalvo, addirittura, fu proprio Savoini a “plasmare”, letteralmente, il giovane Salvini, dando una sorta di formazione politico-culturale a quello che allora era poco più che un semplice militante, con scarsa dimestichezza con i libri. In ogni caso, sostiene Moncalvo, Salvini farebbe meglio a parlare, fornendo finalmente agli italiani la sua versione sulla storia del Metropol.(Gigi Moncalvo è un giornalista di lungo corso: ha lavorato al “Corriere della Sera”, a “L’Occhio” e al “Giorno”, collaborando con Piero Ottone, Maurizio Costanzo e Guglielmo Zucconi (la sua direzione della “Padania” è relativa al periodo 2002-2004). A lungo impegnato nelle reti berlusconiane, è poi approdato in Rai (fino al 2008 è stato dirigente, capostruttura dell’informazione di RaiDue). Letteralmente esplosivi i saggi pubblicati a partire dal 2009 da Vallecchi: “I lupi e gli Agnelli: ombre e misteri della famiglia più potente d’Italia, “Agnelli segreti” e “I Caracciolo: storie, misteri e figli segreti di una grande dinastia italiana”. Libri stranamente scomparsi dalle librerie poco dopo l’uscita, specie quelli sulla “real casa” torinese: pagine in cui Moncalvo racconta come John Elkann sia stato aiutato ad acquisire l’eredità di Gianni Agnelli, in una Fiat sostanzialmente in mano alla finanza Usa, dal primissimo dopoguerra all’imposizione di Marchionne. Nel mirino di Moncalvo, ora, è finito Salvini).«Male non fare, paura non avere. Ma soprattutto: non tacere». Gigi Moncalvo, giornalista di razza, attacca frontalmente Matteo Salvini, sottolineando l’evidente imbarazzo del leader leghista di fronte al caso “Moscopoli”. Sul tappeto, l’ipotetico affare petrolifero di cui il suo emissario a Mosca, Gianluca Savini, avrebbe parlato un anno fa all’Hotel Metropol con alcuni esponenti del potere politico-economico russo. «Fino a quando Salvini (vigliaccamente, senza coraggio) continuerà a tacere?», si domanda Moncalvo, nella rubrica “Silenzio stampa” della trasmissione web-radio “Forme d’Onda”, condotta da Stefania Nicoletti e Rudy Seery. Il capo della Lega, ricorda Moncalvo, si avvale tuttora dell’immunità parlamentare che lo protegge, virtualmente, dall’indagine aperta dalla Procura di Milano: nel caso i magistrati ravvisassero effettive irregolarità, dovrebbero chiedere al Parlamento il permesso di procedere contro di lui. Un Parlamento, peraltro – come ricordato polemicamente da Vittorio Sgarbi – dove lo stesso premier Conte (ascoltato dal Copasir per il caso Russiagate) e i leader dei maggiori partiti (le indagini sul figlio di Grillo, le sentenze sui genitori di Renzi) si sono dovuti occupare di questioni giudiziarie gravide di scomodi riflessi mediatici.
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Moscopoli: ‘Report’ evita l’unica domanda che conti davvero
L’unica notizia, nel lenzuolone televisivo “La fabbrica della paura” firmato da Giorgio Mottola sul caso Moscopoli, è il ritrattino poco edificante che di Salvini e Savoini fornisce un veterano del giornalismo come Gigi Moncalvo, allora direttore della “Padania”: il giovanissimo Salvini era assenteista e falsificava le note spese, mentre Savoini (suo mentore occulto) venerava icone naziste, afferma l’autore di libri scomodi come “Agnelli segreti”. Moncalvo è esplicito: quando chiese l’allontanamento di Salvini dal giornale leghista, il giovane Matteo lo sfidò: «Tu passi, io resto. E diventerò molto più potente». A parte questo, “Report” si limita – in un’ora di televisione – a imporre ai telespettatori, il 21 ottobre, una tesi a senso unico: Salvini è un mascalzone pericoloso. Le “prove” a carico: esponenti del Carroccio entrarono in contatto con neofascisti come Maurizio Murelli, condannato per aver ucciso un poliziotto. Così la Lega ha finito col trovarsi al centro di una “internazionale nera”, estesa da Washington a Mosca, basata sul recupero politico del tradizionalismo religioso, familista e nazionalista. Una rete che finanzia progetti teoricamente eversivi e mirati a far implodere l’attuale Ue (che per “Report”, evidentemente, è sacra). Unico appiglio offerto: la famosa intercettazione di Savoini a Mosca, un anno fa. Chi la effettuò? Mistero.Per “Report”, comunque, va bene così: basta che i telespettatori disprezzino la Lega, senza neppure sapere chi avrebbe cercato di “incastrarla”. Seriamente: anche in seguito a quel polverone il governo italiano è caduto, ma a “Report” non interessa provare a spiegare chi ha spinto i gialloverdi alle dimissioni, e perché. Lo stile della trasmissione, ora condotta da Sigfrido Ranucci, eredita il marchio fuorviante impresso da Milena Gabanelli: fragorosi depistaggi. Mai una vera indagine sul potere (dopo la dipartita di Paolo Barnard) e inchieste aggressive solo nei toni, in apparenza “contro”, ma in realtà perfettamente allineate ai voleri dell’establishment: vedi l’improvvisa liquidazione del populista Antonio Di Pietro, di colpo presentato come gestore inaffidabile dei finanziamenti pubblici del suo partito, nel momento in cui “serviva” travasare l’elettorato dell’Italia dei Valori nell’esordiente Movimento 5 Stelle (altro fumo negli occhi destinato agli elettori “arrabbiati”). L’infaticabile Mottola ha messo insieme una notevole mole di dati, tutti però di secondo piano. Ha acceso i riflettori su un mondo sommerso – il greve retrobottega anche affaristico del fondamentalismo cristiano russo e americano, insospettabilmente interconnesso – ma senza mai collocare le notizie all’interno di un’analisi capace di fornire deduzioni decisive per leggere l’attualità, depurandola dal foklore.Salvini? Avvicinato (quasi molestato) solo e sempre a margine di comizi, tra nugoli di fan in coda per i selfie di rito: in quei momenti, in mezzo alla folla, all’odiato “capitano” è stato chiesto di parlare dei suoi eventuali legami con remoti oligarchi russi. L’unico scopo evidente degli spettacolari “agguati”, in stile “Le Iene”, era trasmettere il seguente messaggio: lo spregevole Salvini evita di rispondere perché sa di essere colpevole e teme la verità. E quale sarebbe, per “Report”, la verità? Con l’aria di inoltrarsi tra le SS di Himmler nel tenebroso maniero di Wewelsburg, le telecamere incalzano i seguaci di Steve Bannon nella Certosa di Trisulti, in Ciociaria, che secondo i piani doveva diventare il Vaticano del “sovranismo” europeo. Da Frosinone a Mosca, stessa musica: si delizia, “Report”, nel cogliere l’apprezzamento di Salvini nelle parole del filosofo neo-conservatore Alexandr Dugin, ideologo presentato come ispiratore di Putin (e in Italia, esaltato da Diego Fusaro). Dio, patria e famiglia? Ricetta specularmente opposta e complementare, rispetto alla teologia globale neoliberista che dice di voler contrastare.Rifugiandosi nel mitico buon tempo antico, magari quello dello zarismo che spediva in Siberia qualsiasi dissidente, l’attuale sovranismo sembra il binario morto costruito apposta per non democratizzarla mai, la globalizzazione in atto. Mondialismo neoliberale e neo-sovranismo: due facce della stessa medaglia, interpretate da soggetti che in realtà giocano nella stessa squadra e con lo stesso obiettivo, addormentare le coscienze politiche o al massimo deviarle verso falsi bersagli, comodamente sbaraccabili al momento giusto (Di Pietro docet) quando non serviranno più a infervorare gli elettori più sprovveduti. Ma questi probabilmente sono spunti impensabili, per “Report”, che sembra trattare gli spettatori come bambini dell’asilo. Nella fiaba di giornata, il cattivo è Putin. Gli oligarchi euro-atlantici, invece, sono mammolette? Nel fanta-mondo di “Report”, se lo Zar del Cremlino è il Dio del misterioso Savoini (anima nera del bieco Salvini), il capo della Lega è una sorta di enigma: chi è davvero l’Uomo Nero di Pontida? E’ il classico utile idiota, accecato dall’ambizione e quindi comodamente sfruttato dalla micidiale Spectre sovranista, oppure è una specie di genio del male pronto a distruggere la meravigliosa armonia democratica dell’Unione Europea, modello mondiale di felicità?Avvilente il bilancio giornalistico del servizio televisivo: un’ora di speculazione elettorale contro il salvinismo, senza mai neppure domandarsi – nemmeno per sbaglio – chi ha intercettato Savoini a Mosca, e perché, mentre parlava coi petrolieri russi ipotizzando transazioni milionarie (mai avvenute). La prova del nove la fornisce l’impareggiabile Fabio Fazio, lo zerbino di Macron pagato dagli italiani con il canone Rai: com’è possibile, si domanda, che il dossier di “Report” rimanga senza conseguenze? Ma se Fazio fa solo avanspettacolo, sia pure politicamente scorretto perché tendenzioso, in teoria “Report” dovrebbe sentire il dovere di informarli, i cittadini, e quindi farsi l’unica domanda utile per inseguire la notizia: chi ha intercettato Savoini? Sono stati i servizi di Trump, per sbarazzarsi del deludente carrozzone gialloverde? Quelli di Conte, per liberarsi di Salvini? Quelli di Putin, che potrebbe aver “venduto” l’amico Salvini in cambio di qualcos’altro, sullo scacchiere geopolitico? C’è stata una concertazione internazionale incrociata per ottenere il cambio di governo a Roma? La notizia starebbe proprio qui: e invece “Report” galoppa dalla parte opposta, portando a spasso i telespettatori lontanissimo dall’accaduto. Qualcuno ha passato gli audio del Metropol al sito americano “BuzzFeed”. Già, ma chi? E quindi: perché? Inoltre: chi è “BuzzFeed”? Con chi parla? Con chi lavora? Qualcuno lo finanzia?Tra i nuovi fenomeni web, nel confine ambiguo tra giornalismo e intelligence, si è imposto recentemente il “Site” di Rita Katz, un tempo considerata vicina al Mossad israeliano, sempre prontissima a divulgare – in esclusiva – le imprese dell’Isis. Nella famosa serata moscovita in quello che è conosciuto anche come “l’albergo delle spie”, c’era un russo la cui identità non è ancora nota. Al Metropol, si dice, anche i muri hanno orecchie. Chi ha deciso, il 18 ottobre 2018, che la corsa italiana della Lega andava fermata con un possibile ricatto? Se gli italiani si aspettano risposte da “Report”, buonanotte. La polpetta avvelenata proviene ovviamente da qualche 007. Lo scopo: indurre i giornali a colpire, nella direzione indicata. Compito che “Report” esegue pedestremente, obbedendo e facendosi usare senza porsi domande. Non stupisce, peraltro: Barnard, co-fondatore della trasmissione, mise in difficoltà la redazione (allora scomoda, per la Rai) con inchieste taglienti. Memorabili le amnesie di Fassino sulle malefatte della globalizzazione, o la sconcertante confessione di Prodi quand’era a capo della Commissione Ue. Testualmente: come faccio a sapere quali e quante direttive emaniano? Fulminato, Barnard, per un’inchiesta sugli abusi di Big Pharma censurata dalla Gabanelli: se la trasmettiamo, gli disse, ci chiudono. Benissimo, rispose Barnard: lo facciano, daremo battaglia. A finire fuori, invece, fu lui. “Report” ovviamente è rimasto, ma abdicando al suo ruolo originario: l’antica grinta ribelle oggi serve solo a raccontare favole innocue per il potere, e magari – come in questo caso – confezionate direttamente da misteriosi servizi segreti.(Giorgio Cattaneo, “Moscopoli, la fabbrica della paura creata dagli 007: da Report nessuna risposta sul caso montato da chi voleva far cadere il governo italiano”, dal blog del Movimento Roosevelt del 24 ottobre 2019).L’unica notizia, nel lenzuolone televisivo “La fabbrica della paura” firmato da Giorgio Mottola sul caso Moscopoli, è il ritrattino poco edificante che di Salvini e Savoini fornisce un veterano del giornalismo come Gigi Moncalvo, allora direttore della “Padania”: il giovanissimo Salvini era assenteista e falsificava le note spese, mentre Savoini (suo mentore occulto) venerava icone naziste, afferma l’autore di libri scomodi come “Agnelli segreti”. Moncalvo è esplicito: quando chiese l’allontanamento di Salvini dal giornale leghista, il giovane Matteo lo sfidò: «Tu passi, io resto. E diventerò molto più potente». A parte questo, “Report” si limita – in un’ora di televisione – a imporre ai telespettatori, il 21 ottobre, una tesi a senso unico: Salvini è un mascalzone pericoloso. Le “prove” a carico: esponenti del Carroccio entrarono in contatto con neofascisti come Maurizio Murelli, condannato per aver ucciso un poliziotto. Così la Lega ha finito col trovarsi al centro di una “internazionale nera”, estesa da Washington a Mosca, basata sul recupero politico del tradizionalismo religioso, familista e nazionalista. Una rete che finanzia progetti teoricamente eversivi e mirati a far implodere l’attuale Ue (che per “Report”, evidentemente, è sacra). Unico appiglio offerto: la famosa intercettazione di Savoini a Mosca, un anno fa. Chi la effettuò? Mistero.