Archivio del Tag ‘Henry Tougha’
-
Macron: ho paura, i francesi voterebbero per uscire dall’Ue
In un’intervista shock, Macron ammette che la Francia voterebbe per l’uscita dalla Ue, se si tenesse un referendum. In un’intervista alla “Bbc”, il capo dell’Eliseo afferma a sorpresa che un equivalente francese della Brexit avrebbe «probabilmente» condotto allo stesso esito: l’uscita dall’Unione Europea. «La dichiarazione del leader francese suona particolarmente insolita in un momento in cui gli alfieri dell’establishment cercano di rassicurare che c’è “ripresa” e che i “populisti” sono in ritirata», scrive Henry Tougha su “Voci dall’Estero”. «Ma suona insolita anche per la spiegazione esatta e puntuale del problema: l’ipotetico voto per l’uscita dalla Ue sarebbe l’espressione delle classi medie e delle classi lavoratrici che si oppongono a una globalizzazione fatta contro di loro». Quando lo scorso anno Marine Le Pen perse le elezioni presidenziali francesi, ed Emmanuel Macron vinse con ciò che sembrò una valanga di voti, l’establishment tirò un sospiro di sollievo, «non solo perché la celebre euroscettica populista era stata battuta, ma anche perché sembrò che il vento fosse cambiato», scrive “Zero Hedge”. Perciò, dopo un 2016 tumultuoso, il 2017 iniziò con un bel colpo a favore degli eurocrati non-eletti di Bruxelles. «Dopotutto la gente si era espressa e aveva detto di volere più Europa (e più euro), non meno». E invece non è vero, dice oggi Macron: i problemi restano, e anche i francesi “scapperebbero” da Bruxelles.Il presidente francese, scrive “Zero Hedge” in un post ripreso da “Voci dall’Estero”, ha scioccato tutti in Europa quando ha ammesso che gli elettori francesi voterebbero per uscire dalla Ue se in Francia si tenesse un referendum del tipo “dentro o fuori” sull’appartenenza al blocco di paesi guidati da Bruxelles. «Non sorprende che nessun altro paese Ue abbia messo a rischio la propria appartenenza al blocco tramite un voto pubblico, dopo che la Gran Bretagna ha sorpreso gli altri paesi membri con un voto per l’uscita nel 2016, a dispetto di tutti i sondaggi che mostravano come un esito del genere fosse praticamente impossibile». Durante un’intervista con il giornalista Andrew Marr della “Bbc”, Emmanuel Macron ha ammesso che potrebbe perdere un eventuale referendum francese sull’appartenenza alla Ue. Interpellato sul voto della Brexit, il presidente ha candidamente detto a Marr: «Non sono io a dover giudicare o commentare le decisioni del vostro popolo». Ma, ha aggiunto, «la mia interpretazione è che ci siano molti sconfitti della globalizzazione che hanno improvvisamente deciso che quest’ultima non fa più per loro». Quindi, se la Francia avesse indetto lo stesso referendum, avrebbe avuto lo stesso risultato? «Sì, probabilmente», ha ammesso Macron. «Sì, in un contesto simile».Certo, ha precisato Macron, «abbiamo un contesto molto diverso, in Francia». Ma attenzione: Londra ha divorziato dall’Ue pur non avendo il capestro finanziario dell’euro, né gli stessi vincoli di bilancio della Francia. Quindi, confessa Macron, «avrei dovuto combattere molto duramente per averla vinta», la battaglia per mantenere la Francia nel perimetro di Bruxelles. Spiegazione: «La mia idea è che le classi medie, le classi lavoratrici e i più anziani hanno deciso che ciò che è successo negli ultimi decenni non è andato a loro favore, e che gli aggiustamenti fatti all’interno della Ue non erano a loro favore». Ancora: «Penso che l’organizzazione della Ue sia andata troppo oltre con la libertà ma senza coesione, con la libertà dei mercati ma senza regole». Frasi pesantissime, pronunciate da un ex banchiere del gruppo Rothschild nonché pupillo della supermassoneria eurocratica più reazionaria, incarnata da Jacques Attali. Libertà d’azione illimitata solo per i capitali finanziari, e “carcere duro” per la finanza pubblica, costretta al suicidio dei tagli che hanno messo in ginocchio l’economia reale, le aziende, le società. Macron, l’uomo dell’élite, avverte che il pericolo – per loro, gli oligarchi – è tutt’altro che sparito dai radar: i boss che contano (da Parigi a Berlino, da Francoforte a Bruxelles) hanno paura che ai cittadini venga permesso di votare, per scegliere se restare ancora in questa Europa o se scappare verso la perduta sovranità.In un’intervista shock, Macron ammette che la Francia voterebbe per l’uscita dalla Ue, se si tenesse un referendum. In un’intervista alla “Bbc”, il capo dell’Eliseo afferma a sorpresa che un equivalente francese della Brexit avrebbe «probabilmente» condotto allo stesso esito: l’uscita dall’Unione Europea. «La dichiarazione del leader francese suona particolarmente insolita in un momento in cui gli alfieri dell’establishment cercano di rassicurare che c’è “ripresa” e che i “populisti” sono in ritirata», scrive Henry Tougha su “Voci dall’Estero”. «Ma suona insolita anche per la spiegazione esatta e puntuale del problema: l’ipotetico voto per l’uscita dalla Ue sarebbe l’espressione delle classi medie e delle classi lavoratrici che si oppongono a una globalizzazione fatta contro di loro». Quando lo scorso anno Marine Le Pen perse le elezioni presidenziali francesi, ed Emmanuel Macron vinse con ciò che sembrò una valanga di voti, l’establishment tirò un sospiro di sollievo, «non solo perché la celebre euroscettica populista era stata battuta, ma anche perché sembrò che il vento fosse cambiato», scrive “Zero Hedge”. Perciò, dopo un 2016 tumultuoso, il 2017 iniziò con un bel colpo a favore degli eurocrati non-eletti di Bruxelles. «Dopotutto la gente si era espressa e aveva detto di volere più Europa (e più euro), non meno». E invece non è vero, dice oggi Macron: i problemi restano, e anche i francesi “scapperebbero” da Bruxelles.
-
Guerra, menzogna, false flag: siamo nell’incubo di Orwell
Alcuni critici sostenevano che dopo l’anno 1984 la rilevanza di George Orwell sarebbe andata diminuendo. Nel 1987 Harold Bloom scriveva che il più grande romanzo di Orwell sul totalitarismo, “1984”, rischiava di diventare un libro storico, un po’ come “La Capanna dello Zio Tom”. Anche il critico letterario Irving Howe, un grande sostenitore di Orwell, pensava che “1984” avrebbe presentato per le future generazioni «un interesse più che altro storico». Eppure, invece di affievolirsi, la popolarità di Orwell sta crescendo in tutto il mondo. Il fatto che il contesto storico di “1984” sia ormai trascorso sembra avere “liberato” il romanzo, rendendo chiaro che il suo messaggio si riferisce a un problema universale dell’umanità moderna. Negli anni recenti le sue parole hanno suscitato un notevole interesse presso la nuova generazione post-Guerra Fredda. «Sono sicuro che George Orwell non pensava: ‘Devo scrivere una storia istruttiva per un ragazzo iracheno’, mentre scriveva “1984”», ha sottolineato lo scrittore iracheno Hassan Abdulrazzak nel 2014. «Ma questo libro mi ha spiegato cosa fosse l’Iraq di Saddam meglio di chiunque altro, prima o dopo».L’anno successivo, “1984” entrava nella classifica dei 10 libri più venduti in Russia. Nel 2014, 1984 è diventato un simbolo delle proteste anti-governative in Thailandia, ad un punto tale che, secondo i resoconti, nei voli della Philippine Airlines i passeggeri venivano avvertiti che portare una copia del libro a bordo avrebbe potuto causare problemi con i funzionari di frontiera e le altre autorità. Dal 1984 sono state pubblicate almeno 13 traduzioni in cinese del romanzo. Sia “1984” che “La Fattoria degli Animali” sono stati tradotti anche in tibetano. Per spiegare la rilevanza di Orwell in Cina, uno dei suoi traduttori, Dong Leshan, ha scritto che «il ventesimo secolo finirà presto, ma il terrore politico vive ancora, e questo è il motivo per il quale “1984” rimane valido ancora oggi». Le prime meditazioni di Orwell sugli abusi del potere politico hanno trovato ascolto perfino nei contesti più inaspettati. Mentre era imprigionato in Egitto, il radicale islamico Maajid Nawaz si rese conto che “La Fattoria degli Animali” esprimeva i suoi stessi dubbi: «Ho iniziato a unire i puntini e ho pensato ‘Mio Dio, se questa gente con cui mi trovo adesso dovesse mai arrivare al potere, si tratterebbe dell’equivalente islamico della Fattoria degli Animali’».In Zimbabwe, un giornale di opposizione ha fatto circolare una versione a puntate della “Fattoria degli Animali” – dopo che la sede del giornale era stata distrutta da una mina anticarro – con delle illustrazioni del maiale Napoleon coi grandi occhiali tipici del “presidente a vita” dello Zimbabwe, Robert Mugabe. Un artista cubano nel 2014 è stato incarcerato senza processo per aver progettato di mettere in scena una versione della “Fattoria degli Animali”. Per essere proprio sicuro che le autorità avessero capito, aveva scritto i nomi “Fidel” e “Raul” sopra due maiali. Ma “1984” sta trovando nuova rilevanza soprattutto tra i lettori occidentali, per tre motivi interconnessi. Per gli americani di oggi, “1984”, con il suo stato di guerra permanente sullo sfondo, è un sinistro avvertimento. Nel libro, proprio come nella vita quotidiana degli Stati Uniti di oggi, il conflitto è fuori dalla scena, viene udito solo occasionalmente per l’esplosione di qualche missile lontano. «Winston non riusciva a ricordare precisamente un momento nel quale il paese non fosse stato in guerra», scriveva Orwell in “1984” (lo stesso si può dire di tutti gli adolescenti americani di oggi).In un’epoca nella quale le guerre americane sono combattute con missili di precisione lanciati dai droni, nelle quali sono coinvolte solo poche unità speciali in operazioni di terra, in luoghi remoti del Medio Oriente, con qualche sporadico attacco in città come Londra, Parigi, Madrid e New York, questi passaggi del romanzo suonano di una preveggenza inquietante: «È uno stato di guerra dagli obiettivi limitati, tra combattenti che non sono in grado di distruggersi a vicenda, e non hanno cause materiali per le quali combattere… Coinvolge un piccolo numero di persone, per lo più specialisti altamente addestrati, e causa relativamente pochi morti. I combattimenti, quando hanno luogo, avvengono in remoti luoghi di frontiera la cui ubicazione è pressoché ignota all’uomo comune… Nei centri abitati la guerra non significa altro che… la caduta occasionale di un razzo che causa qualche decina di vittime».La seconda ragione che spiega la rinnovata attualità di Orwell è la crescita dell’intelligence dopo l’11 Settembre. Viviamo con uno Stato intrusivo, invadente, sia in Occidente che in Oriente. All’inizio degli anni 2000 il governo americano uccideva regolarmente persone in paesi con i quali non era ufficialmente in guerra usando mezzi aerei controllati da remoto. Questa tattica è conosciuta come “attacco all’impronta” [signature strike], e colpisce uomini in età da servizio militare che mostrano comportamenti minacciosi che possono essere associati al terrorismo, come ad esempio parlare al telefono con terroristi noti o partecipare con loro a una riunione. Molte centinaia di queste uccisioni hanno avuto luogo in Pakistan, Yemen e Somalia. Una raccolta di metadati, che mettono insieme migliaia di miliardi di bit di informazioni esaminati dall’intelligence, permette ai governi di elaborare silenziosamente dei dossier sul comportamento di milioni di individui. Certo, il governo americano ha agito in questo modo letale e intrusivo dopo gli attacchi dell’11 Settembre. Orwell avrebbe probabilmente denunciato senza mezzi termini sia quegli attacchi che la reazione di panico del governo Usa. La luce che lo guidava era la libertà di coscienza, libertà sia dal controllo del governo che dagli estremismi, fossero essi religiosi o ideologici.Come egli stesso ha detto: «Se la libertà significa qualcosa, è il diritto di dire alle persone ciò che esse non vogliono ascoltare». Da questo punto di vista è significativo che la più grande minaccia alla libertà percepita da Winston, il protagonista di “1984”, non provenisse da altri paesi, ma dal suo stesso governo. Il terzo e forse più scioccante motivo è che l’uso della tortura descritto in “1984” prefigura i modi in cui essa viene utilizzata dagli stati di oggi nella loro interminabile “guerra al terrore”. Dopo l’11 Settembre e per la prima volta nella storia americana la tortura è diventata una politica ufficiale (prima di allora veniva usata occasionalmente, ma sempre contro la legge, e talvolta come tale veniva punita). Per capire meglio l’anno 2017 tornate ai tre più celebri libri di Orwell. Il primo è Omaggio alla Catalogna, nel quale mostra come la sinistra possa mentire esattamente come fa la destra, e diventa scettico verso qualsiasi esercizio del potere. Secondo, “La Fattoria degli Animali”, che lui definisce una favola, una versione per adulti di una storia di disincanto. E infine “1984”, nel quale Orwell aggiorna il racconto dell’orrore. Il suo mostro non è Frankestein, ma lo Stato moderno.(Thomas E. Ricks, “Stiamo (ancora) vivendo in un mondo orwelliano”, estratto dell’ultimo libro di Ricks pubblicato da “Foreign Policy il 24 luglio 2017, tradotto e ripreso da Henry Tougha per “Voci dall’Estero”).Alcuni critici sostenevano che dopo l’anno 1984 la rilevanza di George Orwell sarebbe andata diminuendo. Nel 1987 Harold Bloom scriveva che il più grande romanzo di Orwell sul totalitarismo, “1984”, rischiava di diventare un libro storico, un po’ come “La Capanna dello Zio Tom”. Anche il critico letterario Irving Howe, un grande sostenitore di Orwell, pensava che “1984” avrebbe presentato per le future generazioni «un interesse più che altro storico». Eppure, invece di affievolirsi, la popolarità di Orwell sta crescendo in tutto il mondo. Il fatto che il contesto storico di “1984” sia ormai trascorso sembra avere “liberato” il romanzo, rendendo chiaro che il suo messaggio si riferisce a un problema universale dell’umanità moderna. Negli anni recenti le sue parole hanno suscitato un notevole interesse presso la nuova generazione post-Guerra Fredda. «Sono sicuro che George Orwell non pensava: ‘Devo scrivere una storia istruttiva per un ragazzo iracheno’, mentre scriveva “1984”», ha sottolineato lo scrittore iracheno Hassan Abdulrazzak nel 2014. «Ma questo libro mi ha spiegato cosa fosse l’Iraq di Saddam meglio di chiunque altro, prima o dopo».