Archivio del Tag ‘Homo Habilis’
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La nostra storia non regge: sta per venircelo a spiegare E.T.
Non sono certo le mille fregnacce del governo e dell’opposizione a rendermi perplesso, e nemmeno le mille disgrazie economiche: previste, annunciate, poi scorporate, quindi riammesse…nel gran calderone della politica e dell’economia: si sta muovendo qualcosa di serio da tutt’altre parti. La prima notizia è giunta dalla Nasa, poche settimane or sono: d’ora in avanti, non vogliamo più sentir parlare di Oggetti Non Identificati in cielo…beh…consideriamoli come “elementi non censiti nelle aeronautiche terrestri” o qualcosa del genere; insomma, ci sono cose che volano in cielo che non sappiamo cosa siano. E non sono, sia chiaro, palloncini sfuggiti ai bambini al luna park né palloni aerostatici dispersi dai meteorologi: non possiamo dirvi chiaro e tondo che sono extraterrestri – perché, ad onor del vero, non lo sappiamo nemmeno noi (?) – però ‘sta roba può essere pericolosa per il traffico aereo, quindi – cari piloti – state accuorti. La comunicazione della Nasa giunge a proposito, perché – grazie alle mille diavolerie informatiche oggi possibili – nessuno prendeva più troppo sul serio i filmati degli Ufo, giacché il sospetto veniva: questi, tanto per guadagnare contatti su YouTube, macchineranno chissà che cosa. Invece è proprio la Nasa a dirlo: non sono roba nostra e ci sono veramente. Aggiunge anche, a pochi giorni di distanza, che su Marte c’è acqua ed una quantità “interessante” di ossigeno: partiamo?
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Cina: primi ibridi scimmia-uomo, Ogm. La storia si ripete?
La Cina esibisce scimmie modificate con geni umani: macachi super-intelligenti. La storia si ripete? Secondo i sumeri, i misteriosi Anunnaki venuti dallo spazio ottennero l’homo sapiens clonando gli ominidi. La tesi, avanzata da Zecharia Zitchin, è stata richiamata dal biblista Mauro Biglino, secondo cui la Genesi svela che gli altrettanto misteriosi Elohim, come Yahwè (trasformati poi nel Dio unico del monoteismo) fabbricarono gli Adamiti geneticamente, impiantando sugli uomini primitivi il loro Tselem (Dna). Si sarebbe trattato, in sostanza, di una potente “accelerazione evolutiva”, oggi ritenuta teoricamente possibile da biologi molecolari come Pietro Buffa, già in forza al King’s College di Londra. A far discutere è un nuovo esperimento, che la “Stampa” definisce «ben oltre i limiti dell’etica, tanto per cambiare effettuato in Cina». I ricercatori del Kunming Institute of Zoology hanno annunciato di aver ottenuto delle scimmie transgeniche, nel cui Dna sono stati trasferiti geni che controllano lo sviluppo del cervello umano. Gli animali, riporta la rivista del “Mit Technology Review”, hanno riportato risultati brillanti in alcuni test. L’esperimento, che ha già suscitato diversi dubbi etici, è stato descritto sulla rivista cinese “National Science Review” e sui media locali. Secondo i ricercatori cinesi, i macachi modificati hanno eseguito test cognitivi di memoria con risultati superiori alla media delle scimmie non transgeniche.I loro cervelli si sono sviluppati in tempi più lunghi, raggiungendo però le stesse dimensioni delle scimmie non-Ogm, contrariamente alle previsioni dei ricercatori che pensavano che sarebbero stati più grandi. Per il genetista che ha eseguito l’esperimento, il dottor Bing Su, «questo è stato il primo tentativo di capire l’evoluzione della cognizione umana con un modello di scimmia transgenica». Lo studio è stato però criticato in Occidente, dove gli esperimenti sui primati sono sempre più difficili da condurre per motivi etici. «L’uso di scimmie transgeniche per studiare i geni umani è una strada rischiosa da prendere: è la classica china scivolosa», afferma il genetista James Sikela, dell’Università del Colorado. Attualmente – ricorda sempre la “Stampa” – solo la Cina ha ottenuto scimmie transgeniche, utilizzando la tecnica Crispr che “copia e incolla” il Dna. Lo scorso gennaio un altro istituto cinese aveva annunciato di aver prodotto alcuni cloni di scimmia con un gene che nell’uomo è legato all’autismo. Questi esperimenti, sottolinea Carlo Alberto Redi, genetista dell’Università di Pavia, sono vietati in tutto il mondo occidentale. Redi li considera «esperimenti che qui sono inaccettabili dal punto di vista etico», visto che «non si possono umanizzare i primati». E se invece la scienza occidentale usasse proprio la Cina per aggirare le nostre barriere etiche?E’ quello che hanno fatto scienziati spagnoli: hanno confermato di avere collaborato alla creazione in un laboratorio cinese del primo ibrido umano-scimmia, nell’ambito di una ricerca il cui scopo è quello di realizzare organi umani adatti al trapianto. Lo scrive, sempre sulla “Stampa”, Vittorio Sabadin. «Gli scienziati guidati dal professor Juan Carlos Izpisúa hanno disattivato da embrioni di scimmia i geni essenziali per la formazione di organi, iniettandovi poi cellule staminali umane in grado di creare qualsiasi tipo di tessuto». L’esperimento, promosso dalla Universidad Catòlica San Antonio de Murcia, è nato «da una collaborazione tra il Salk Institute americano», ed è stato condotto in Cina «per evitare complicazioni legali». I risultati sono molto promettenti, ha detto a “El Pais” Estrella Núñez, biologa che ha partecipato alla ricerca, senza fornire altri dettagli in attesa della pubblicazione del lavoro su una rivista scientifica internazionale. «Nell’Ucam e al Salk Institute stiamo provando non solo a sperimentare l’unione di cellule umane con cellule di roditori e suini, ma anche con primati non umani», ha aggiunto Izpisúa. «Il nostro paese è un pioniere e un leader mondiale in queste indagini».Già nel 2017 – ricorda Sabadin – il team di Izpisúa aveva condotto un esperimento per la creazione di “chimere” umane e suine che non aveva avuto successo. Con i primati, il cui Dna è molto più vicino a quello degli esseri umani, l’innesto sembra invece riuscito.La creazione di chimere uomo-animale pone problemi etici sui quali la comunità scientifica si interroga da tempo. «Cosa succede se le cellule staminali sfuggono al controllo e formano neuroni umani nel cervello dell’animale?», si domanda Ángel Raya, direttore del Centro di medicina rigenerativa di Barcellona: «L’animale avrebbe coscienza? E cosa succede se queste cellule staminali si trasformano in spermatozoi»? Estrella Núñez assicura che il team di ricerca di Izpisuá ha creato meccanismi di controllo tali che, se le cellule umane migrano nel cervello, si autodistruggono. «L’embrione cinese sarebbe stato comunque soppresso – scrive “La Stampa” – seguendo la regola imposta dalla comunità scientifica che nessuna chimera può sopravvivere per più di 14 giorni, il tempo necessario a sviluppare un primo sistema nervoso». Il timore di molti scienziati, osserva Sabadin, è che invece queste regole «non vengano seguite in laboratori situati in paesi che sfuggono a ogni controllo, come ad esempio quelli della Cina e della Corea del Nord».La Chimera, ricorda Sabadin, era un animale mitologico presente nella tradizione di molte civiltà, da quella greca e romana a quella hittita, etrusca ed egizia. Nell’Iliade, Omero la descrive in questo modo: “Era il mostro di origine divina, leone la testa, il petto capra, e drago la coda; e dalla bocca orrende vampe vomitava di foco”. «Gli uomini ne avevano terrore, e ora che hanno imparato a crearla – chiosa Sabadin – dovrebbero temerla ancora di più». E se fossimo noi, in realtà, la prima “chimera” apparsa sul pianeta? Secondo alcuni traduttori dei testi antichi, il sapiens potrebbe essere a sua volta una specie di Ogm, un organismo geneticamente modificato. Magari ottenuto clonando ominidi come l’homo habilis, evolutivamente assai progredito, apparso nel Pleistocene quasi due milioni e mezzo di anni fa. Se in Germania è stato appena scoperto lo scheletro del Danuvius Guggenmosi, ipotetico uomo-scimmia forse progenitore dei primissimi ominidi come l’australopiteco, il vero “salto quantico” (il famoso “missing link”) si sarebbe verificato successivamente: a causa di un intervento esterno, e magari non terrestre? E nel caso, operato da chi?Suggestioni: la Us Navy ha appena ammesso l’esistenza degli Uap, Unidentified Aerial Phenomena. Ma attenzione, i “fenomeni aerei non identificati” sono sempre loro, i cari vecchi Ufo, Unidentified Flying Objects. Curiosità: il Vaticano ha da poco aggiornato il suo vocabolario latino introducendo un curioso neologismo, Rex Inxeplicata Volans. Secondo l’astrofisico Josè Gabriel Funes, gesuita argentino come Papa Francesco, è sciocco pensare di essere soli, nello spazio. Per anni, padre Funes ha diretto la Specola Vaticana, avveniristico osservatorio astronomico sul Mount Grahanm, in Arizona, vocato allo studio dell’esobiologia, cioè la vita extraterrestre. Il suo successore, Guy Consolmagno, ha dichiarato che troverebbe perfettamente normale veder “battezzare”, un giorno, eventuali “fratelli dello spazio”. Quelli che oggi il neo-latino ecclesiastico chiama “oggetti volanti inesplicati”, lo storico greco-romano Giuseppe Flavio li definiva “carri celesti”, esattamente come nell’Antico Testamento il Libro di Ezechiele. Giuseppe Flavio descrive il cielo di Gerusalemme affollato di “carri volanti” quando in Palestina irruppero le truppe del generale Tito, di lì a poco imperatore. E Plino il Vecchio parla di una “battaglia di carri volanti” nei cieli dell’Umbria. Chi c’era, a bordo di quegli Uap-Ufo-Rev? Gli antenati dei misteriosi personaggi che fecero allora quello che oggi si tenta di ripetere in Cina, tra la riprovazione dell’Occidente, salvo quella degli scienziati occidentali che usano proprio la Cina per i loro esperimenti?La Cina esibisce scimmie modificate con geni umani: macachi super-intelligenti. La storia si ripete? Secondo i sumeri, i misteriosi Anunnaki venuti dallo spazio ottennero l’homo sapiens clonando gli ominidi. La tesi, avanzata da Zecharia Zitchin, è stata richiamata dal biblista Mauro Biglino, secondo cui la Genesi svela che gli altrettanto misteriosi Elohim, come Yahwè (trasformati poi nel Dio unico del monoteismo) fabbricarono gli Adamiti geneticamente, impiantando sugli uomini primitivi il loro Tselem (Dna). Si sarebbe trattato, in sostanza, di una potente “accelerazione evolutiva”, oggi ritenuta teoricamente possibile da biologi molecolari come Pietro Buffa, già in forza al King’s College di Londra. A far discutere è un nuovo esperimento, che la “Stampa” definisce «ben oltre i limiti dell’etica, tanto per cambiare effettuato in Cina». I ricercatori del Kunming Institute of Zoology hanno annunciato di aver ottenuto delle scimmie transgeniche, nel cui Dna sono stati trasferiti geni che controllano lo sviluppo del cervello umano. Gli animali, riporta la rivista del “Mit Technology Review”, hanno riportato risultati brillanti in alcuni test. L’esperimento, che ha già suscitato diversi dubbi etici, è stato descritto sulla rivista cinese “National Science Review” e sui media locali. Secondo i ricercatori cinesi, i macachi modificati hanno eseguito test cognitivi di memoria con risultati superiori alla media delle scimmie non transgeniche.
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Noi, fabbricati dagli alieni: Barbara Negri e il vita-forming
Non siamo soli, nello spazio? Contro-domanda: e come potremmo esserlo, se fossimo noi stessi il prodotto di una “creazione aliena”, cioè di un esperimento di “vita forming”? Lo ha affermato, clamorosamente, una scienziata come Barbara Negri, dirigente dell’Asi, l’agenzia spaziale italiana. Secondo Mauro Biglino, che ha tradotto 19 libri biblici per le Edizioni San Paolo, la Genesi lo racconterebbe chiaramente: l’homo sapiens sarebbe un prodotto genetico ricavato dalla clonazione degli ominidi, su cui sarebbe stato innestato il Dna dei misteriosi Elohim, gli individui come Yahvè (la Bibbia ne cita una ventina, chiamandoli per nome) che “fabbricarono” gli adamiti nel Gan, centro sperimentale per l’agricoltura e l’allevamento impiantato nella regione di Eden, fra la Turchia e il Mar Caspio. Da dove venivano, gli Elohim come Yahvè? «Ci sono forme di vita intelligenti, là fuori. E dobbiamo essere cauti nel riferirne, se non altro fino a quando non ne sapremo di più». Lo disse nientemeno che Stephen Hawking, cioè il fisico teorico, cosmologo, fisico matematico e astrofisico più importante dell’ultimo secolo. Si moltiplicano segnali inquietanti, come per prepararci a qualcosa che ricorda i fantascientifici “incontri ravvicinati”: non esiteremmo a battezzare gli eventuali “fratelli dello spazio”, dicono i gesuiti, che gestiscono sul Mount Graham in Arizona un potente centro di osservazione astronomica vocato all’indagine sull’esobiologia, cioè la vita extraterrestre.«Tra le varie tesi per spiegare l’origine e la provenienza degli Ufo, nel caso in cui si accertasse in modo inequivocabile la loro matrice extraterrestre intelligente e tecnologica», scrive “Blasting News”, gli ufologi hanno da sempre sostenuto che la specie umana «sia stata creata da creature provenienti da “altrove”, in grado di manipolare il Dna e capaci di “giocare” facilmente con la genetica, sperimentando nuove specie intelligenti e, quanto meno, simili ai loro “creatori”». Lo scopo, da parte di questi esseri ipoteticamente extraterrestri, sarebbe quello di «produrre manovalanza su vari corpi celesti, con obiettivi al momento ignoti». Lo racconta, in dettaglio, la mitologia dei Sumeri: gli Anunnaki (cioè gli equivalenti degli Elohim biblici) dovettero fronteggiare una pericolosa rivolta da parte dei loro lavoratori, costretti a faticare nelle miniere d’oro. A uno di loro venne in mente c’era una soluzione: per sostituire i lavoratori Anunna non restava che “fabbricare” lavoratori terrestri, ibridando gli ominidi (homo erectus, homo habilis) mediante l’innesto di Dna alieno. Sono dunque loro i nostri veri “fabbricatori”?«Si tratta ovviamente di tesi non comprovate – aggiunge “Blasting News” – ma che hanno avuto, col tempo, lo scopo di provare ad abbattere quel muro di scetticismo che ancora vige all’interno della comunità scientifica nazionale e internazionale nel campo delle origini della vita e, in special modo, in quello dell’apparizione “improvvisa” della specie umana sulla Terra». E a quanto pare, finalmente, quell’abbattimento è accaduto per davvero. La “rivelazione”, se così dobbiamo definirla, è stata fatta in diretta nel corso di una puntata della trasmissione televisiva “C’è Spazio”, andata in onda il 23 marzo 2017 su “Tv2000”, il canale televisivo dei vescovi italiani. Nella puntata intitolata “Primo Contatto”, condotta da Letizia Davoli (astrofisica, oltre che giornalista), Barbara Negri si è espressa in modo inconsueto, sulla possibilità di incontrare vita extraterrestre. Responsabile dell’unità dell’Asi che si occupa di esplorazione e osservazione dell’universo, la dirigente dell’Agenzia Spaziale Italiana ha risposto in questo modo: più che fare incontri sorprendenti, potremmo semplicemente accorgerci, un giorno, di essere stati “originati”, come homo sapiens, da esseri non terrestri. In termini scientifici: «Potremmo essere un esperimento di “vita-forming” di qualcun altro».E’ una delle ipotesi, precisa Barbara Negri, che invita a osservare lo sviluppo dell’uomo: la nostra capacità anche intellettuale, cerebrale, è “esplosa” in brevissimo tempo, quasi di colpo, «quasi come se ci fosse stata, diciamo, una “programmazione” a questa evoluzione, che sta veramente procedendo in maniera veloce». Quindi, insiste la Negri, secondo questa teoria «potremmo essere stati un esperimento di civiltà superiori, che hanno impiantato sulla Terra, proprio perché c’erano delle condizioni ambientali particolari, l’Esperimento Uomo». E quindi, «prima o poi potremmo essere anche visitati, per vedere a che punto è la nostra evoluzione». Fantascienza? «È una teoria», ribadisce la scienziata. La stessa Letizia Davoli aggiunge che, del resto, «la scienza non esclude niente». Tutto questo, conclude “Blasting News”, conferma che, da qualche tempo, «è in atto nell’ambiente scientifico un “cambio di paradigma” che ci porterà, probabilmente tra qualche decennio, a rispondere a quella domanda», ovvero: non siamo soli, nell’universo? Civiltà extraterrestri intelligenti e tecnologiche ci visitano? Ci hanno visitato anche nel passato storico? E addirittura hanno influito, in un modo o nell’altro, sull’evoluzione biologica e intellettuale della specie umana?Non siamo soli, nello spazio? Contro-domanda: e come potremmo esserlo, se fossimo noi stessi il prodotto di una “creazione aliena”, cioè di un esperimento di “vita forming”? Lo ha affermato, clamorosamente, una scienziata come Barbara Negri, dirigente dell’Asi, l’agenzia spaziale italiana. Secondo Mauro Biglino, che ha tradotto 19 libri biblici per le Edizioni San Paolo, la Genesi lo racconterebbe chiaramente: l’homo sapiens sarebbe un prodotto genetico ricavato dalla clonazione degli ominidi, su cui sarebbe stato innestato il Dna dei misteriosi Elohim, gli individui come Yahvè (la Bibbia ne cita una ventina, chiamandoli per nome) che “fabbricarono” gli adamiti nel Gan, centro sperimentale per l’agricoltura e l’allevamento impiantato nella regione di Eden, fra la Turchia e il Mar Caspio. Da dove venivano, gli Elohim come Yahvè? «Ci sono forme di vita intelligenti, là fuori. E dobbiamo essere cauti nel riferirne, se non altro fino a quando non ne sapremo di più». Lo disse nientemeno che Stephen Hawking, cioè il fisico teorico, cosmologo, fisico matematico e astrofisico più importante dell’ultimo secolo. Si moltiplicano segnali inquietanti, come per prepararci a qualcosa che ricorda i fantascientifici “incontri ravvicinati”: non esiteremmo a battezzare gli eventuali “fratelli dello spazio”, dicono i gesuiti, che gestiscono sul Mount Graham in Arizona un potente centro di osservazione astronomica vocato all’indagine sull’esobiologia, cioè la vita extraterrestre.
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L’oro dei Sumeri: Sudafrica, una metropoli di 200.000 anni
Heine aveva un vantaggio unico: essersi reso conto del numero e della portata di quelle strane fondazioni di pietra. Il loro significato non era mai stato colto? «Quando Johan per primo mi ha fatto conoscere le antiche rovine di pietra dell’Africa Australe, non avevo idea delle incredibili scoperte che ne sarebbero seguite, in breve tempo», racconta Tellinger. «Le fotografie, i manufatti e le prove che abbiamo accumulato puntano senza dubbio ad una civiltà perduta e sconosciuta, visto che precede tutte le altre – non di poche centinaia d’anni, o di qualche migliaio d’anni… ma di molte migliaia d’anni». Queste scoperte, continua Tellinger, «sono così impressionanti che non saranno facilmente digerite dall’opinione ufficiale, dagli storici e dagli archeologi, come abbiamo già sperimentato». Secondo il ricercatore, «è necessario un completo mutamento di paradigmi, nel nostro modo di vedere la nostra storia umana». Autore, scienziato ed esploratore sudafricano, protagonista di campagne d’opinione contro le banche, Tellinger ha fondato un suo partito politico, Ubuntu, che sostiene la fornitura gratuita delle risorse a tutta la società. Ha presentato la sua scoperta, ribattezzata “Calendario di Adamo”, come un sito di straordinaria importanza archeologica, essendo al centro di una rete di cerchi di pietre presenti in tutta l’Africa meridionale, che presumibilmente «ha incanalato l’energia, in tempi antichi».L’area è importantissima, per un aspetto che colpisce subito: l’oro. «Le migliaia di antiche miniere d’oro, scoperte nel corso degli ultimi 500 anni, indicano una civiltà scomparsa che ha vissuto e scavato per l’oro in questa parte del mondo per migliaia d’anni», dice Tellinger. «E se questa è in realtà la culla del genere umano, forse stiamo osservando le attività della più antica civiltà sulla Terra». Se si compie una “ricognizione aerea” con Google Earth (secondo le coordinate fornite da Dan Eden) il risultato è stupefacente. Prima domanda: l’oro ha giocato un certo ruolo sulla densità di popolazione che un tempo viveva qui? Il sito si trova a circa 150 miglia da un ottimo porto, il cui commercio marittimo potrebbe avere contribuito a sostenere una popolazione così importante. Ma stiamo parlando di quasi 200.000 anni fa. Tanta attenzione per le miniere d’oro – di cui non ci risulta cha nostra civiltà conoscesse, in tempi così remoti, le tecniche estrattive – ricorda alcuni racconti dei Sumeri: narrano che gli Anunnaki (i signori della Terra, l’equivalente degli Elohim biblici) inizialmente fossero costretti a lavorare duramente. Ed è noto che proprio l’oro, in astronautica, è apprezzato per le sue proprietà isolanti: proteggerebbe anche dalle radiazioni nucleari. I lavoratori Anunnaki, narrano i Sumeri, a un certo punto si ribellarono al lavoro schiavistico. Da lì nacque l’idea di “fabbricare” geneticamente una specie intelligente, quella degli “Adamu”, che lavorasse nelle miniere al posto degli “dei”.Le singole rovine scoperte in Sudafrica sono in gran parte costituite da cerchi di pietre, per lo più sepolti sotto la sabbia e visibili soltanto dal satellite o dall’aereo. Alcuni, scrive Eden, sono riaffiorati di recente, quando il cambiamento climatico ha soffiato via la sabbia, rivelando le mura e le fondamenta. «Anche se mi vedo come una persona di mente aperta – dice Tellinger – devo ammettere che mi ci è voluto oltre un anno, per digerire la scoperta e per capire che abbiamo realmente a che fare con le strutture più antiche mai costruite dall’uomo sulla Terra». Tanto stupore deriva da un pregiudizio: «Ci hanno insegnato che nulla di significativo è mai venuto dal Sud Africa: ci è stato sempre detto che le civiltà più potenti sono apparse in Sumeria, in Egitto e in altri luoghi». Quanto all’Africa, la storia ufficiale sostiene che, fino all’insediamento del popolo Bantu, proveniente da nord a partire dal 1300 (medioevo europeo), questa parte del mondo era piena soltanto di cacciatori-raccoglitori, e che i cosiddetti Boscimani non hanno fornito alcun contributo importante alla tecnologia o alla civiltà. Quando i primi esploratori incontrarono queste rovine sudafricane, scrive Eden, davano per scontato che fossero recinti per il bestiame realizzati da tribù nomadi come quelle dei Bantu, si spostarono verso sud e si stabilirono in quei terrtitori intorno al XIII secolo dopo Cristo.«Non si conoscevano le testimonianze storiche di nessuna civiltà precedente, più antica, in grado di costituire una comunità così densamente popolata». Tuttavia, aggiunge Eden, ben pochi sforzi sono stati fatti per indagare il gigantesco sito ora emerso: la collocazione storica delle rovine non era ancora nota. «Negli ultimi 20 anni, persone come Cyril Hromnik, Richard Wade, Johan Heine e una manciata d’altri hanno scoperto che queste strutture in pietra non sono ciò che sembrano essere. In realtà questi sono ora ritenuti i resti di antichi templi e osservatori astronomici di antiche civiltà perdute, che risalgono a molte migliaia di anni fa». Le immense rovine circolari sono distribuite su una vasta area. Possono solo essere veramente apprezzate soltanto dal cielo, dall’aereo o attraverso immagini satellitari. «Molte di loro sono quasi completamente erose o sono state coperte dai movimenti del suolo fatti per l’agricoltura lungo il tempo. Alcune sono sopravvissute abbastanza bene da rivelare le loro grandi dimensioni, con alcuni muri originali in piedi, sino a quasi 2 metri d’altezza e oltre un metro di larghezza». Guardando la “metropoli” intera, diventa evidente che si trattava d’una comunità ben progettata, sviluppata da una civiltà evoluta. E poi, appunto, l’oro: il numero di antiche miniere suggerisce la ragione per cui la comunità si trovasse proprio in quella regione.E’ possibile rilevare anche l’esistenza di tracciati “stradali”, lunghi anche 100 miglia, che collegavano la comunità e l’agricoltura a terrazzamenti molto simili a quelli trovati negli insediamenti Inca in Perù. Ma, si domanda Eden, tutto questo come potrebbe esser stato realizzato dagli esseri umani 200.000 anni fa? «Trovare i resti di una grande comunità, con ben 200.000 persone che vivevano e lavoravano insieme, è stata una scoperta importante in sé. Ma la datazione del sito ha costituito un problema. La patina pesante sulle pareti di roccia – scrive Eden, citando il lavoro degli archeologi – suggeriva che le strutture dovessero essere molto vecchie, ma la scienza della datazione tramite la patina è solo in fase di sviluppo ed è ancora controversa». La datazione col carbonio 14, che rileva sostanze organiche come il legno bruciato, è alterata dalla possibilità che i reperti «possano aver subito incendi recenti dell’erba circostante, che sono comuni nella zona». La svolta è arrivata inaspettatamente, come spiega lo stesso Tellinger: è l’astronomia a rivelare la datazione del complesso, che riproduce una configurazione stellare visibile dalla Terra soltanto 200.000 anni fa.Johan Heine, racconta Tellinger, scoprì il “Calendario Adam” nel 2003, quasi per caso. Andava a cercare uno dei suoi piloti che si era schiantato con l’aereo sul bordo dell’altopiano. Accanto al luogo dello schianto, Johan notò un gruppo molto strano di grosse pietre, sporgenti dal terreno. Mentre portava in salvo il pilota ferito, Johan si rese conto che i monoliti erano allineati ai punti cardinali della Terra – nord, sud, est e ovest. «C’erano almeno tre monoliti allineati verso il sorgere del sole, ma sul lato ovest dei monoliti allineati c’era un misterioso buco nella terra – mancava qualcosa». Dopo mesi di misurazioni, Johan concluse che le rocce erano perfettamente allineate con il sorgere e il tramonto del sole: solstizi ed equinozi. E il misterioso buco nel terreno? Un giorno, l’esperto locale di piste a cavallo, Christo, spiegò a Johan che c’era una pietra dalla strana forma, che era stata rimossa dal luogo qualche tempo prima, e collocata vicino all’ingresso della riserva naturale. Dopo una lunga ricerca, Johan trovò la pietra (antropomorfica, di forma umanoide). «Era intatta e con orgoglio recava una targa, attaccata ad essa. Era stata utilizzata dalla Fondazione Blue Swallow per commemorare l’apertura della riserva Blue Swallow nel 1994. L’ironia è che era stata rimossa dal sito antico più importante trovato fino ad oggi, e misteriosamente era ritornata alla riserva».I primi calcoli dell’età del Calendario di Adamo sono stati effettuati in base al sorgere di Orione, costellazione conosciuta per le sue tre stelle luminose che formano la “cintura” del mitico cacciatore della Beozia. La Terra oscilla sul suo asse, e quindi le stelle e le costellazioni cambiano il loro angolo di presentazione nel cielo notturno, in base alla congiuntura. Questa rotazione, denominata “precessione degli equinozi”, completa il suo ciclo ogni 26.000 anni, all’incirca. «Se possiamo stabilire quando le tre stelle della Cintura di Orione erano posizionate in orizzontale contro l’orizzonte, possiamo stimare il momento in cui le tre pietre del Calendario erano in linea con queste stelle visibili». Il primo calcolo approssimativo fu di almeno 25.000 anni. Ma le nuove misurazioni, più precise, tendevano ad aumentare l’età del ritrovamento. Il calcolo successivo è stato compiuto da un esperto archeo-astronomo, «che vuole rimanere anonimo per paura», temendo di essete deriso dalla comunità accademica. Il suo calcolo, spuega Eden, si è basato sul sorgere di Orione e ha suggerito un’età di almeno 75.000 anni. Ma il conteggio più recente e più preciso, eseguito soltanto nel giugno del 2009, suggerisce un’età di almeno 160.000 anni, sulla base del sorgere apparente di Orione all’orizzonte – ma anche dell’erosione delle pietre costituite da un particolare minerale, la dolerite, trovare sul sito. Alcuni frammenti dei “marcatori” di pietra sono stati sbriciolati dall’erosione naturale: ricomposti, rivelano l’assenza di circa 3 centimetri di roccia (tanto basta, per calcolare – mediante sottrazione – la loro presunta età originaria).Chi ha edificato la metropoli? E perché? Sembrerebbe che gli esseri umani abbiano sempre apprezzato l’oro. È anche menzionato nella Bibbia, che descrive i fiumi del Gan, il “paradiso terrestre” situato nella regione geografica di Eden, tra la Mesopotamia e il Mar Caspio: «Il nome del primo [fiume] è Pishon; scorre intorno a tutto il paese di Havilah, dove c’è l’oro», si legge in Genesi 2:11. Il Sudafrica è conosciuto come il più grande paese produttore di oro al mondo. L’epicentro estrattivo è il Witwatersrand, cioè la stessa regione dove l’antica metropoli si trova. Nelle vicinanze di Johannesburg c’è poi un luogo chiamato “Egoli”, che significa “la città d’oro”. Sembra molto probabile, quindi, che l’antica metropoli sorgesse a causa della sua vicinanza con l’offerta d’oro più grande del pianeta. Ma perché gli antichi lavoravano così alacremente nelle miniere d’oro? Il prezioso metallo non si può mangiare, è troppo tenero da utilizzare per la produzione di utensili e non ha alcuna utilità pratica, se non per ricavarne ornamenti, anche se la sua qualità estetica non è superiore a quella di altri metalli pregiati, come il rame o l’argento. Perché mai l’oro divenne così prezioso, dunque? Perché proprio l’oro diventò così importante per i primi Homo Sapiens?Per cercare la risposta, scrive Dan Eden, dobbiamo esaminare il periodo preistorico in questione: com’erano, gli esseri umani, 160.000 anni fa? Come fece, il Sapiens, a distinguersi dai suoi antenati ominidi assai meno evoluti, come l’Homo Habilis e l’Homo Erectus? Gli scienziati, scrive Eden, non hanno ancora capito perché apparve, improvvisamente, quel nuovo tipo umano. Non sanno in che modo quel cambiamento avvenne. Attualmente, infatti, siamo soltanto in grado di rintracciare i nostri geni risalendo fino ad un’unica donna, che paleontologi e genetisti chiamano Eva Mitocondriale. Quell’Eva primigenia, denominata “mt-Mrca”, è definita come il nostro antenato “matrilineare” più recente. Tramandato da madre a figlio, tutto il Dna mitocondriale (“mt-Dna”) in ogni persona vivente è derivato da quell’individuo di sesso femminile. L’Eva Mitocondriale è la controparte femminile di “Adamo Y-cromosomico”, l’antenato comune “patrilineare” più recente. Gli studiosi ritengono che la Eva Mitocondriale sia vissuta tra 150.000 a 250.000 anni fa, probabilmente in Africa Orientale, attorno alla Tanzania. Si ipotizza che vivesse in una popolazione di 4-5.000 esemplari, tutte femmine, in grado di produrre prole in un dato momento.«Se altre femmine avevano prole con cambiamenti evolutivi del loro Dna, non abbiamo alcuna registrazione della loro sopravvivenza», scrive Eden. «Sembra che siamo tutti discendenti di questa femmina umana». Lei, Eva Mitocondriale, sarebbe stata «pressoché contemporanea degli esseri umani i cui fossili sono stati rinvenuti in Etiopia, nei pressi del fiume Omo e di Hertho». Si pensa che l’Eva Mitocondriale sia vissuta «molto prima dell’emigrazione dall’Africa, che potrebbe essersi verificata tra 60.000 e 95.000 anni fa». La regione africana dove si può trovare il massimo livello di diversità mitocondriale, aggiunge Eden, è la stessa in cui gli antropologi ipotizzano che la divisione più antica della popolazione umana abbia iniziato a verificarsi. E l’antica metropoli sudafricana si trova proprio in quest’ultima regione, «che corrisponde anche al periodo stimato in cui le mutazioni genetiche improvvisamente accaddero», per dare origine al Sapiens. Coincidenze? La stessa storia dei Sumeri descrive l’antica metropoli e i suoi abitanti. «Sarò onesto con voi», premette Eden: «Questa parte successiva della storia è difficile da scrivere. È così sconvolgente che la persona media non ci vuole credere. Se siete come me, vi consiglio di fare la ricerca voi stessi, e di prendervi del tempo per permettere ai fatti di stabilirsi nella vostra mente».Riassume Eden: ci hanno spesso fatto credere che la nostra storia conosciuta cominci con gli egizi, le piramidi e i faraoni, le cui dinastie più antiche risalgono a poco più che 5.000 anni fa, precisamente nel 3.200 avanti Cristo. Ma la civiltà mesopotamica dei Sumeri, considerata la prima a costruire città, risale ad almeno mille anni prima. «Abbiamo tradotto molte delle loro tavolette, scritte in caratteri cuneiformi e in scritture precedenti, in modo da sapere parecchio sulla loro storia e sulle loro leggende». Viene da lì il primo sigillo che raffigura la narrazione del “Grande Diluvio”, che annienta l’umanità. Molte leggende sumere, riconosce Eden, sembrano aver ispirato la stessa Genesi, assai più recente. Come la Genesi, la narrazione sumerica contenuta nell’Atrahasis racconta la comparsa degli esseri umani moderni, originati «non da un “Dio d’amore”, ma da esseri provenienti da un altro pianeta, che avevano bisogno di “lavoratori schiavi”, per aiutarli a lavorare nelle miniere d’oro». Quel metallo, sempre secondo i Sumeri, era indispensabile per le «spedizioni extra-planetarie» di quei misteriosi signori, gli Anunnaki. La versione a noi nota dell’Atrahasis, aggiunge Eden, proviene da una stesura babilonese più recente, che risale al 1.700 avanti Cristo. La storia inizia presentando gli “dèi”, esseri provenienti da un pianeta chiamato Nibiru, che scavano fossati e miniere per l’oro, come fossero una squadra minatori. L’Homo Sapiens non esistevano ancora, la Terra era abitata soltanto da ominidi primitivi.Sempre secondo la narrazione babilonese ispirata all’originario racconto dei Sumeri, c’erano due gruppi distinti di “divinità”: i lavoratori e la classe dirigente, i comandanti. Gli “dèi lavoratori”, fabbricanti di infrastrutture e impianti minerari, dopo migliaia d’anni si ribellarono, data l’eccessiva mole di lavoro. «Gli dèi dovevano scavare i canali», scrive l’Atrahasis. «Dovevano tenere puliti i canali, le arterie vitali della terra». Addirittura, «gli dèi scavarono il letto del fiume Tigri, e poi hanno fatto quello dell’Eufrate». Dopo 3.600 anni di questo lavoro, gli “dèi” finalmente cominciarono a lamentarsi. Decisero di scendere in sciopero, bruciando i loro strumenti e circondando la “dimora” del dio principale, Enlil (il suo “tempio”). Il ministro di Enlil, Nusku, scosse Enlil dal letto e l’avvisò che la folla inferocita stava là fuori. Enlil ne rimase spaventato. Il suo volto è descritto «olivastro come una tamerice». Il ministrò Nusku consigliò Enlil di chiamare gli altri grandi “dèi”, soprattutto Anu (“dio” del cielo) ed Enki (il “dio” intelligente delle acque dolci). Anu consigliò ad Enlil di scoprire chi fosse il capo della ribellione. Spedirono Nusku in avanscoperta per chiedere alla folla delle “divinità” chi fosse il loro leader. E la folla rispose: «Ciascuno di noi dèi vi ha dichiarato guerra!».Constatato che il lavoro degli “dèi” di classe inferiore «era troppo difficile», i capi decisero di sacrificare uno dei ribelli per il bene di tutti: avrebbero preso un solo “dio”, l’avrebbero ucciso e ne avrebbero ricavato il genere umano, mescolando la carne e il sangue del “dio” con l’argilla. Scrive sempre l’Atrahasis nella versione babilonese: «Belit-ili, la dea del grembo materno, è presente». Il nome ricorda – in modo impressionante – quello di Lilith, mitica femmina e “madre primigenia” un tempo presente nella stessa Bibbia, e poi rimossa. «Lasciate che la dea del grembo materno crei la sua prole – aggiunge l’Atrahasis – e lasciate che l’uomo sopporti il carico degli dei!». Dopo che Enki li istruì sui rituali di purificazione per il primo, settimo e quindicesimo giorno d’ogni mese, gli “dèi” uccisero Geshtu-e, «un dio che aveva l’intelligenza» (il suo nome significa “orecchio” o “saggezza”) e, di fatto, “fabbricarono” l’attuale l’umanità impastando il suo sangue con della creta. Dopo che la “dea della nascita” ebbe mescolato l’argilla, tutti gli “dèi” si raccolsero intorno e, letteralmente, sputarono sul nascituro. Poi Enki e la “dea dell’utero” presero l’argilla e la portarono nella “stanza del destino”, dove si riunirono tutte le “dee del grembo materno”. Continua l’Atrahasis: «Egli [Enki] calpestò l’argilla in presenza di lei; lei continuava a recitare un incantesimo, perché Enki, soggiornando in sua presenza, l’aveva obbligata a recitarlo. Quando ebbe finito il suo incantesimo, estrasse quattordici pezzi d’argilla e mise sette pezzi a destra, sette a sinistra. Tra di essi depose un mattone di fango».La “creazione dell’uomo”, scrive Dan Eden, sembra dunque descritta come una specie di clonazione, che ricorda l’odierna fecondazione in vitro. «Il risultato fu un ibrido, o “umano evoluto”, con maggiore intelligenza, che potesse svolgere le funzioni fisiche degli “dèi lavoratori” e anche prendersi cura delle esigenze di tutti gli “dèi”». In altri testi, poi, ci viene detto che la “spedizione” nella regione mineraria fu originata dalla necessità di estrarre grandi quantità di oro, destinate ad essere spedite “fuori del pianeta”. Quella comunità stanziatasi in Sud Africa aveva un nome proprio: era chiamata Abzu. Visto che questi “eventi” sembrano coincidere con le date della Eva Mitocondriale, vale a dire dal 150.000 al 250.000 avanti Cristo, alcuni ricercatori – conclude Eden – sospettano che i “miti dell’origine” della tradizione sumera possano essere basati su precisi avvenimenti storici. Consonanze, analogie: «Secondo gli stessi testi, una volta conclusa la spedizione mineraria, fu deciso che la popolazione umana dovrebbe essere lasciata perire in un diluvio che era stato previsto dal astronomi degli “dèi”. A quanto pare, il passaggio ciclico del pianeta natale degli “dèi”, Nibiru, stava per portarlo abbastanza vicino all’orbita della Terra», e la gravità dell’evento astronomico «avrebbe provocato una risalita (marea) degli oceani», fino a inondare completamente la Terra, mettendo fine alla specie – ibrida – dell’Homo Sapiens, “fabbricato” con sangue “divino”, sputi e creta.Sempre secondo la narrazione mesopotamica, uno degli “dèi” sumeri aveva simpatia per un essere umano particolare, Zuisudra, e lo avvertì del pericolo imminente: gli consigliò di costruire una imbarcazione capace di cavalcare l’onda del diluvio. Questo, osserva Eden, divenne poi la base narrativa per la successiva storia del Noè biblico. Il cataclisma del diluvio fu un fatto veramente accaduto? «L’unica altra spiegazione è immaginare che le leggende sumere, che parlano della vita su altri pianeti e della clonazione umana, fossero straordinarie creazioni di fantascienza. Questo sarebbe di per sé sorprendente». Oggi però abbiamo la prova che la “mitica” città mineraria, Abzu, è reale. Sarebbe stata popolata dai Sapiens “fabbricati” dagli “dei” per rimpiazzarli nelle miniere d’oro. Dall’alto, scrutandola sorvolando il Sudafrica, appare come una megalopoli di dimensioni impressionanti. E secondo la datazione ricostruita dall’équipe archeologica di Tellinger, quella gigantesca “colonia” «esisteva nella stessa epoca dell’improvvisa evoluzione degli ominidi a Homo Sapiens». E’ sufficiente, quello che è stato scoperto? E’ abbastanza, conclude Eden, per darci da pensare un bel po’, su come e quando sia davvero comparso, l’uomo, sulla faccia della Terra.Sono sempre stati lì. Qualcuno li aveva già notati prima, ma nessuno riusciva a ricordare chi li avesse fatti, e perché? Fino a poco tempo fa, nessuno sapeva nemmeno quanti fossero. Ora sono dappertutto, a migliaia, a centinaia di migliaia. «E la storia che raccontano è la storia più importante dell’umanità, ma c’è chi potrebbe non essere pronto ad ascoltarla», scrive Dan Eden, presentando «qualcosa di straordinario» che è stato scoperto in una zona del Sudafrica, a circa 280 chilometri dalla costa, ad ovest del porto di Maputo (capitale del Mozambico). «Sono i resti d’una grande metropoli che misurava, secondo stime prudenti, circa 5.000 chilometri quadrati. Faceva parte di una comunità ancora più ampia, di circa 35.000 chilometri quadrati, che sembra essere stata costruita – siete pronti? – dal 160.000 al 200.000 avanti Cristo». Il perimetro della megalopoli, scrive Eden in un post ripreso da “La Crepa nel Muro”, si lo può intravedere attraverso Google Earth. La regione è remota, ma i “cerchi” presenti sul terreno non erano sfuggiti, in passato, agli agricoltori indigeni. «Nessuno però s’era mai preso la briga di informarsi su chi potrebbe averli fatti o quale età potessero avere». La situazione è cambiata quando se n’è occupato il ricercatore Michael Tellinger, in collaborazione con Johan Heine, un vigile del fuoco locale, nonché pilota, che – dal suo aereo – aveva osservato quelle rovine per anni, sorvolando la regione.
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Biglino: Elohim biblici, Yahvè e soci oggi hanno paura di noi
Gli Elohim biblici spacciati per dèi, e uno di loro – Yahvè – presentato addirittura come Dio unico? «Non mi stupirei se quegli individui fossero ancora tra noi e ci comandassero, dato che il sistema finanziario che ci governa è quello illustrato nell’Antico Testamento: se presti denaro sei padrone, se contrai un debito sei schiavo». Ma attenzione: anche qualora gli Elohim fossero qui, non sarebbe più come ai tempi di Mosè: oggi avrebbero motivo di temerci. «Siamo sfuggiti al loro controllo, sia per capacità tecnologica che per numero: siamo sette miliardi». A parlare è Mauro Biglino, l’italiano che sta scardinando la vulgata teologica della Chiesa svelando il testo letterale della Bibbia, di cui ha tradotto 19 libri per le Edizioni San Paolo prima di venir scaricato dal circuito cattolico. Un fenomeno editoriale (Uno Editori, Mondadori) fatto di ormai 13 titoli puntualmente in classifica e decine di affollatissime conferenze in tutta Italia. Molti i volumi tradotti all’estero: imminente lo sbarco negli Usa. Proprio al pubblico americano è destinata l’ultima intervista di Biglino, realizzata in web-streaming con la blogger Sarah Westall. Domanda: il Vaticano non mai ha cercato di fermare il suo ex traduttore “impazzito”? Macché. «Forse, lassù, fa comodo che qualcuno come me cominci a dire certe cose, che prima o poi dovranno ammettere anche loro».Una su tutte? Yahvè – per la Bibbia – non è Dio: è solo un Elohim, “collega” di Kamòsh e Milcòm, a loro volta “signori” di altri confinanti clan ebraici, della stessa discendenza del mitico Abramo. «La Bibbia ne nomina almeno una dozzina: erano tanti. Molto longevi, ma non immortali né onnipotenti: ammesso che sia ancora vivo, Yahvè non è ancora riuscito a mantenere l’antica promessa fatta agli israeliti, cui aveva garantito vastissimi possedimenti, fino in Mesopotamia». Si sta sgretolando un muro di dogmi, fondato su traduzioni erronee o addirittura deliberatamente manipolate? Clamoroso il caso della Bibbia editata nel 2017 dalla Cei tedesca, che annulla – come anticipato da Biglino – la pretesa profezia messianica contenuta nel Libro di Isaia (17, 4-17): “La vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emanuele”. E’ l’appiglio biblico al quale i Vangeli si richiamano per dimostrare l’ascendenza veterotestamentaria della missione di Cristo. Peccato che quella traduzione fosse inventata di sana pianta: non c’è nessuna “vergine”, né alcun verbo al futuro. E’ scritto, testualmente: “La ragazza è incinta”. «Nessun mistero», chiarisce Biglino: «Isaia non parla di Maria di Nazareth, che ancora doveva nascere, ma di Abia, giovane moglie del re Achaz: semplicemente, gli israeliti si aspettavano che quel bambino, una volta cresciuto, potesse liberarli dalla condizione di schiavitù cui allora erano sottoposti».Un errore tenuto in vita per oltre duemila anni, che annulla il collegamento tra Vecchio e Nuovo Testamento? Colpa della traduzione, sostiene Biglino: il libro fu tradotto in latino attraverso un passaggio intermedio, in lingua greca. E il greco ha un unico termine, “pàrthenos”, che significa sia “ragazza” che “vergine”. «Quella di Isaia è solo una “almà”, una fanciulla. L’ebraico infatti ce l’ha, la parola che designa una vergine: ed è “betullah”, che però in Isaia non c’è». In più, il libro tradizionalmente attribuito al profeta biblico non usa nemmeno il verbo “concepire”: «Compare solo l’aggettivo “incinta”, dunque significa che quella ragazza – non vergine, tantomeno Maria – aveva già concepito: non Gesù, ma il futuro figlio del re Achaz». Ne tengono conto, nella loro nuova Bibbia, i vescovi tedeschi. In Italia, per ora, silenzio. Fino a quando? «Credo che la Chiesa si stia comunque preparando a prendere le distanze dall’Antico Testamento: sa che non potrà più ignorare a lungo le verità che stanno emergendo», sostiene Biglino, il cui lavoro è in linea con settori avanzati della ricerca scientifica internazionale, dall’archeologia alla bioingegneria. La tesi: i cosiddetti “libri sacri”, non solo la Bibbia ma anche i Veda indiani e testi sumerici (di cui l’Antico Testamento è una fotocopia) sembrano svelare il famoso “missing link” tra uomo e scimmia.Genetica, innanzitutto, e non solo animale: «Alimenti essenziali per l’umanità, come la patata e il grano, sono comparsi di colpo – senza diretti antenati genetici – all’epoca di cui parlano i testi antichi e proprio in quelle aree: cioè dove si presentarono quegli esseri temuti e potenti, che gli ebrei chiamarono Elohim e i sumeri Anunnaki». Tracce analoghe costellano le memorie di ogni civiltà, in tutto il mondo: gli “Spendenti”, i “Figli delle Stelle” venuti forse dalla costellazione di Orione? «Facciamo un gioco», propone Biglino: «Facciamo finta che i testi antichi – di cui peraltro non esistono fonti – raccontino fatti realmente accaduti. Sono coerenti? La risposta è sì». A cominciare dalla creazione, «che nella Bibbia non esiste: il verbo usato, “barà”, non significa “creare dal nulla” – concetto assente, nell’ebraico antico – ma solo “separare”: la terra, le acque, il cielo. Come se la Genesi narrasse, in realtà, la sistemazione di un territorio perché divenisse fertile». Quando fu clonata la pecora Dolly, tra lo scandalo dei teologi, i rabbini risposero in modo serafico: perché mai stupirsi? E’ la Bibbia la prima a parlare di clonazione. La Genesi non dice chi creò Adamo, ma solo Eva: testualmente, l’Adàm “fu posto in Gan-Eden”, cioè nel Gan (territorio agricolo protetto) situato nella regione geografica di Eden, tra il Mar Caspio e l’Eufrate. «Eva nacque per clonazione, dopo un’infinità di esperimenti fallimentari: quando la vide, Adamo rispose: finalmente ci siamo, questa sì che è carne della mia carne».Il peccato originale? «Inesistente, come ben sanno gli ebrei». La cacciata dall’Eden? «Un atto precauzionale, perché gli Adamiti avevano scoperto la possibilità di riprodursi: si stavano pericolosamente avvicinando alle pratiche dell’Albero della Vita, minacciando l’egemonia degli Elohim». Colpa – anzi, merito – del Serpente: «Che non era un rettile, ma un Elohim antagonista, in lizza coi signori del Gan-Eden: la Genesi lo chiama Nahàsh, che in ebraico vuol dire anche serpente, sinonimo di “sapiente”. In altre parole, il genetista». Fu proprio lui, continua Biglino, ad accoppiarsi per primo con Eva: da cui nacque un ibrido, Caino», il nostro vero progenitore. Dopo di allora, gli Adamiti presero a vivere anche per 900 anni, racconta la Bibbia. «Fino a quando non furono gli Elohim stessi a cessare di accoppiarsi con le femmine Adàm, proprio per impoverire il Dna della loro discendenza, riducendone la longevità». Questo, dice Biglino, è quello che – né più né meno – racconta la Bibbia. C’è da crederci? «Possiamo solo “fare finta” che sia tutto vero, controllandone la coerenza. Come noto, la Bibbia non ha fonti. Non si sa quando sia stata scritta, né da chi, né in che lingua: non in ebraico, comunque, perché non esisteva ancora. L’unica certezza, dicono i biblisti ebrei, è che la Bibbia attuale non è l’originale: si sono dati due secoli di tempo per ricostruire una Bibbia più attendibile, attraverso il “Bible Projetc” a cui lavorano i massimi studiosi».Secondo Biglino, l’ultima cosa che si può fare, con la Bibbia, è fondarvi delle religioni: «La natura tutt’altro che divina di Yahvè emerge ovunque: un guerriero avido e spietato, ma meno potente di altri Elohim. E per giunta neppure a capo di tutti gli ebrei, ma solo della famiglia di Giacobbe-Israele». Un piccolo, dispotico feudatario locale: «Come si fa a presentarlo come riferimento per l’intera umanità?». Un abbaglio durato oltre due millenni, la Bibbia? Sì e no, secondo Biglino: è insensata la derivazione religiosa, mentre gli indizi storici potrebbero reggere. Il vasto corpus dei libri biblici è a geometria variabile, non esiste una sola Bibbia. E, mentre ha libero corso ogni tipo di interpretazione – teologica, esoterica, simbologica, cabalistica – è praticamente scomparsa la traduzione letterale. «E’ giusto che la lettura del testo ebraico abbia, almeno, pari dignità». Spesso, insiste Biglino, chi cita la Bibbia a scopo religioso in realtà non l’ha mai letta: «Quanti vescovi conoscono l’ebraico antico? Se lo conoscessero, scoprirebbero che in quel testo non c’è traccia di trascendenza. Non esiste la base per alcun assunto teologico. Si parla solo di guerre, conquiste, punizioni e stragi efferate. Non c’è alcuna metafisica, non esiste il concetto di eternità. E quello di immortalità non vale neppure per Yahvè. Lo ricorda Elyon, il capo supremo, parlando agli Elohim: anche loro dovranno morire, proprio come gli Adàm».Un racconto «in ogni caso eloquente e persino affascinante», dice lo studioso: «Spesso la Bibbia è terribilmente esplicita, nella sua narrazione sempre concreta e assolutamente terrena: le implicazioni soprannaturali sono frutto di invenzioni teologiche, basate su traduzioni clamorosamente distorte». Nella Bibbia, gli angeli (dal greco “anghelòi”, messaggeri) si chiamano Malakhìm. Nelle traduzioni “appaiono” e “scompaiono”, svolazzando graziosamente, mentre nel testo originale «camminano, sfatti di fatica: sono individui in carne e ossa». Gabriele, quello dell’annunciazione? «E’ anche lui un Malàkh, e di alto rango. Ma il nome non designa un singolo individuo, bensì una categoria: il nome originario, Ghevèr-El, significa “alto ufficiale di un El”. Per la cronaca: sono tutte cose che gli ebrei sanno benissimo, così come sanno che i Keruvìm non sono gli alati Cherubini della tradizione cristiana, ma velivoli meccanici monoposto». Ben quattro “Cherubini”, scrive la Bibbia, stavano attaccati al Kavòd, l’aeromobile da guerra di Javhè. Traduzione cristiana: il Kavòd, letteralmente (arma) “pesante”, diventa “gloria”: «Così, dal Kavòd di Jahvè si arriva alla “gloria di Dio”». Fantastico, no? «Non siamo certi che la Bibbia dica il vero. Quel che è sicuro, invece, è che la teologia travisa la Bibbia per inventare di sana piana la sua versione, di cui nell’Antico Testamento non c’è la minima traccia».La Bibbia non spiega tutto, ma forse aiuta a capire. Quel che non si può ricavare direttamente dall’Antico Testamento, «dato il carattere frammentario e spesso contraddittorio del testo ebraico giunto fino a noi, continuamente manipolato fino all’epoca di Carlomagno», lo possiamo comunque compediare con altri testi, coevi e precedenti: «Testi ebraici non biblici e testi non ebraici, sumeri e in generale mediorientali», spiega Biglino all’americana Sarah Westall. Che idea si è fatto, il traduttore indipendente, di tutta questa storia? Ancora una volta, Biglino cita testi antichi, del Medio Oriente, per comporre un mosaico teoricamente credibile: grazie ai Sumeri sappiamo che quella misteriosa popolazione approdò sulla Terra – non sappiamo da dove – attratta dai minerali come l’oro, preziosi in ambito aerospaziale. Un giorno, stanchi di lavorare, gli Elohim-Anunnaki decisero di “fabbricare” una nuova “razza” di lavoratori, attraverso la clonazione, fondendo cioè il proprio Dna con quello degli ominidi allora presenti, Homo Habilis e Homo Erectus. Fu così che nacque l’Homo Sapiens, ed ecco spiegato il “missing link”. Gli Adamiti? Una ulteriore élite di lavoratori specializzati, successivamente ri-selezionati sempre per via genetica e destinati in esclusiva al Gan-Eden.Biglino la ritiene una storia plausibile, confermata dal racconto biblico. «Poi, attorno al 500 avanti Cristo, gli Elohim si fecero da parte: sorse la casta sacerdotale, come mediatrice dei loro ordini. Nacquero allora le grandi religioni: senza colpo ferire, si sperimentò uno straordinario strumento di dominio, basato sulla sola persuasione». Una possibile storia alternativa dell’umanità: dai genocidi a ripetizione ordinati da Yahvè, ossessionato dalla paura dell’insubordinazione dei sudditi, alla nuova obbedienza “dolce” imposta dal dogma e tuttora vigente, nel mondo. Ma erano tutti ostili e vendicativi come Yahvè, gli Elohim biblici? «Niente affatto: c’era anche chi era amante delle arti e della musica. Uno di loro, Baal Pehòr, concorrente del bellicoso Yahvè, predicava la diffusione del sesso libero». Fate l’amore, non la guerra? «Esatto. Solo che poi l’esegesi cristiana ha trasformato gli avversari politici di Yahvè in nemici di Dio: così Baal Pehòr è diventato il demonio Belfagor».Libere traduzioni, che suonano false come menzogne. Miracoli inesistenti, come il mitico attraversamento del Mar Rosso: «Quelli che Mosè portò via dall’Egitto – non sappiamo nemmeno se fossero ebrei o egiziani – non valicarono mai il mare, ma solo uno Yam Suf, un canneto paludoso», habitat diffusissimo nel delta del Nilo. E’ come se la Bibbia, riscritta mille molte e poi manipolata dalla religione, avesse riproposto una storia molto più antica, vista in ritardo e da lontano. Lo suggeriscono alcuni testi preesistenti, come quelli sumerici dove, ad esempio, si parla del Grande Diluvio. «A salvare il Noè sumero fu En-Ki, uno dei figli del capo dell’impero: fu lui a dirgli di costruire la barca per sovravvivere all’inondazione». Sumera anche l’origine della Genesi: «L’antenato mesopotamico “fabbricato” dagli Anunnaki si chiama, guardacaso, Adamu». Vengono le vertigini, a chi ha sempre sentito citare Bibbia solo in termini religiosi. A proposito: Dio che c’entra, in tutto questo? «Mi guardo bene dal parlarne: non ho neppure le certezze degli atei», ammette Biglino. «Dico solo che, nella Bibbia, non c’è nessun Dio». E scusate se è poco.Gli Elohim biblici spacciati per dèi, e uno di loro – Yahvè – presentato addirittura come Dio unico? «Non mi stupirei se quegli individui fossero ancora tra noi e ci comandassero, dato che il sistema finanziario che ci governa è quello illustrato nell’Antico Testamento: se presti denaro sei padrone, se contrai un debito sei schiavo». Ma attenzione: anche qualora gli Elohim fossero qui, non sarebbe più come ai tempi di Mosè: oggi avrebbero motivo di temerci. «Siamo sfuggiti al loro controllo, sia per capacità tecnologica che per numero: siamo sette miliardi». A parlare è Mauro Biglino, l’italiano che sta scardinando la vulgata teologica della Chiesa svelando il testo letterale della Bibbia, di cui ha tradotto 19 libri per le Edizioni San Paolo prima di venir scaricato dal circuito cattolico. Un fenomeno editoriale (Uno Editori, Mondadori) fatto di ormai 13 titoli puntualmente in classifica e decine di affollatissime conferenze in tutta Italia, ogni anno. Molti i volumi tradotti all’estero: imminente lo sbarco negli Usa. Proprio al pubblico americano è destinata l’ultima intervista di Biglino, realizzata in web-streaming con la blogger Sarah Westall. Domanda: il Vaticano non mai ha cercato di tappare la bocca al suo ex traduttore “impazzito”? Macché. «Forse, lassù, fa comodo che qualcuno come me cominci a dire certe cose, che prima o poi dovranno ammettere anche loro».
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Antenati misteriosi: chi è Homo Naledi, l’Uomo delle Stelle?
Sono passati meno di due anni dall’annuncio della scoperta di una nuova specie umana, l’Homo Naledi, in una grotta sudafricana contenente più di 1.500 reperti fossili. La morfologia di questa specie, scrive Andrea Parravicini su “Micromega”, è un sorprendente mix di caratteri “trattenuti”: un cervello piccolo, una corporatura somigliante a un’australopitecina (come la famosa Lucy) o ai primi rappresentanti del genere Homo, mescolata a caratteri “derivati”, più “moderni”, come le mani adatte a manipolare oggetti o i piedi da camminatore bipede. Recenti studi collocano questa specie in un’epoca sorprendentemente recente, contemporanea all’emergere dei primi umani moderni, e che confermano la possibilità di comportamenti complessi, o addirittura simbolici, da parte di questa strana ed enigmatica creatura. Nel ssettembre 2015, la rivista scientifica “eLife” annunciava la scoperta, avvenuta circa un anno e mezzo prima. In lingua Sotho, “Naledi” significa “stella”: «Una stella nel firmamento dell’evoluzione umana che oggi, a distanza di quasi due anni, continua a brillare intensamente, soprattutto per via dei nuovi dettagli e di ulteriori scoperte che alimentano interesse e curiosità riguardo a questo nostro misterioso “cugino”».La pubblicazione, aggiunge Parravicini, ha avuto risonanza in tutto il mondo, anche per via di un’abile operazione di marketing. Situato nell’area dove si trova la cosiddetta “Culla dell’umanità”, un sito dichiarato patrimonio dell’Unesco dal 1999 e che ha restituito parecchi resti di forme ominine, “Rising Star” è un intricato complesso di grotte a circa 50 chilometri da Johannesburg, in Sudafrica. Tra queste grotte, una camera posta a una trentina di metri di profondità e raggiungibile solo attraverso uno stretto pertugio si è rivelata una miniera d’oro per gli studiosi di evoluzione umana. In essa, chiamata “Dinaledi chamber”, il team di Lee Berger dell’Università Witwatersrand ha rinvenuto più di 1.550 ossa umane, appartenenti ad almeno 15 individui (se si contano solo le ossa associate tra loro, e non le innumerevoli altre appartenenti a parecchi altri individui). Scoperta che «coincide con il più grosso ritrovamento di ossa di ominini mai avvenuto, un vero e proprio giacimento, che permetterà agli scienziati di condurre uno studio esteso e approfondito, con un confronto tra le parti anatomiche di molti individui diversi, maschi e femmine, vecchi e giovani».Dai primi studi è emerso subito chiaramente che le ossa appartenevano tutte a una nuova specie umana, l’Homo Naledi per l’appunto. Mostra una conformazione di tratti “a mosaico”, antichi e più recenti, spiega Parravicini: siamo di fronte a una specie dalla morfologia «sconcertante, con una statura di circa un metro e mezzo per un peso di 40-55 kg, con una conformazione del cranio simile agli altri Homo ma con un cervello molto piccolo, grande un terzo del nostro (560cc nei maschi), con spalle e mani adatte all’arrampicata e ad afferrare rami, con dita ricurve ma pollici lunghi e solidi, e polsi e palmi dotati, come i nostri, di adattamenti per la manipolazione fine e la presa di precisione». Anche i piedi e gli arti inferiori sono simili a quelli dell’uomo moderno. «E non c’è dubbio che, da quanto si è inferito dalle conformazioni del tarso, dell’alluce e dall’articolazione della caviglia, Homo Naledi fosse in grado di camminare e di mantenere la stazione eretta», anche se «la presenza di falangi prossimali ricurve fa pensare a una forma particolarmente idonea all’arrampicamento sugli alberi». Infine, «la meccanica dell’anca e la conformazione del bacino ricordano quelle degli australopitechi, ma la mandibola debole e i denti piccoli sono caratteristiche derivate». L’impressione, osserva Parravicini, è quella di trovarsi di fronte a una forma di transizione tra l’australopiteco e forme più recenti come Homo Habilis», vissute circa 2 milioni di anni fa, insieme a Homo Rudolfensis e Homo Ergaster.Ma in che modo quelle migliaia di ossa trovate a Rising Star sono finite in quell’anfratto recondito e buio, a molti metri di profondità e difficilmente raggiungibile da chiunque? Su “eLife”, Paul Dirks e colleghi escludono che siano state cause accidentali ad accumulare una massa di resti ossei così ingente: improbabile un cataclisma. Forse, ipotizzano gli studiosi, «siamo di fronte a una deposizione intenzionale e ripetuta di corpi, o a un qualche tipo di sepoltura», anche se non per forza un comportamento “ritualizzato” o con significati simbolici. «Io penso che dev’esserci un’altra spiegazione, solo che non l’abbiamo ancora trovata», afferma Bernard Wood, paleoantropologo della George Washington University. Qualcuno ha anche proposto che quell’accumulo impressionante di corpi possa essere la conseguenza di omicidi per via di guerre o sacrifici: sarebbe il primo, antecedente al Neolitico; finora, i reperti rinvenuti nel Paleolitico – secondo gli studiosi – non suggeriscono la presenza della guerra, mancando ritrovamenti di più corpi nello stesso luogo, con segni evidenti di violenza (cranio sfondato).La precisa datazione dei reperti è stata recentemente stabilita dall’équipe di Paul Dirks della James Cook University, in Australia, combinando differenti metodologie di analisi. «Lo studio ha ottenuto risultati davvero sorprendenti, che assegnano Homo Naledi allo scenario meno prevedibile: esso risalirebbe a un periodo collocabile tra 236.000 e 335.000 anni fa, quando i primi umani moderni stavano emergendo in Africa e i Neanderthal stavano evolvendo in Europa». Questo significa che «un omino con un cervello grande un terzo rispetto al nostro e una corporatura tipica di forme di più di 2 milioni di anni fa, pur esibendo qui e là caratteri sorprendentemente moderni, si aggirava nelle stesse zone in cui stavano emergendo umani già pienamente moderni». Una datazione, osserva Parravicini, che pone agli studiosi di evoluzione non pochi problemi. Dirks colloca Homo Naledi «in un momento in cui troviamo molti strumenti in Africa. E ciò significa che non è più possibile dare per scontato che questi strumenti siano stati costruiti dai primi Homo Sapiens».Un’ulteriore scoperta, aggiunge Parravicini, è stata fatta in un’altra grotta del complesso di Rising Star. Nella Lesedi Chamber, posta a un centinaio di metri dalla Dinaledi Chamber e a trenta metri di profondità, sono stati trovati altri 131 reperti fossili associati a Homo Naledi, appartenenti almeno a tre individui, due adulti e un individuo molto giovane, presumibilmente di età inferiore a 5 anni. Da questi ultimi ritrovamenti è emerso «uno dei più completi scheletri mai scoperti, tecnicamente più completo del famoso fossile di Lucy grazie alla conservazione del cranio e della mandibola». Accedere alla Lesedi Chamber è ancora più difficile rispetto alla Dinaledi. E questo, rileva John Hawks, antropologo all’Università di Wisconsin-Madison, «dà peso all’ipotesi che Homo Naledi sfruttasse luoghi scuri e remoti per conservare i suoi morti». Un comportamento analogo a quello ipotizzato per i 6.500 resti umani trovati a Sima de los Huesos, nella Sierra de Atapuerca in Spagna, in cui pare che anche Neanderhtal occultasse i propri compagni morti già 400.000 anni fa. «Ma l’aspetto sconcertante – osserva Parravicini – è che questo comportamento, profondamente tipico di noi esseri umani, di prenderci cura dei nostri simili anche dopo la loro morte, possa essere condiviso da una forma umana da un cervello grande come quello di un gorilla».Ma, in definitiva, cos’è questa bizzarra specie umana vissuta alle soglie della storia? E come va collocata all’interno dell’intricato cespuglio dell’evoluzione umana? Secondo Chris Stringer del National History Museum di Londra, Homo Naledi potrebbe essersi originato in un’epoca vicina all’emergere del genere Homo, più di 2 milioni e mezzo di anni fa, suggerendo che si tratti di una “specie fossile”, un relitto evolutivo isolato che ha mantenuto molti tratti primitivi sviluppati parecchio tempo prima. Qualcosa di analogo potrebbe essere accaduto anche a Homo Floresiensis, un’altra misteriosa specie rinvenuta sull’isola di Flores, in Indonesia, denominata “hobbit” per il corpo piccolo ed esile, i cui più recenti rappresentanti sono vissuti fino a 60.000 anni fa, forse «diretti discendenti di una popolazione di antenati di Homo Habilis». Tuttavia, fa notare Stringer, le condizioni di isolamento dello “hobbit” di Flores (Isole della Sonda) hanno senz’altro contribuito alla sua grande longevità, mentre nel caso del Naledi lo scenario è quello sudafricano, aperto, in cui si aggiravano altre forme ben più “avanzate” di esseri umani, dal cervello molto più grande. Lee Berger e colleghi accarezzano l’idea che Homo Naledi possa addirittura essere «il frutto di un’ibridazione tra una specie tarda di australopitecina e una popolazione più simile a una specie umana». Quel che è certo, conclude Parravicini, è che la storia evolutiva del nostro genere diventa sempre più intricata e complessa: in altre parole, quel che credevamo di sapere non era esatto.Sono passati meno di due anni dall’annuncio della scoperta di una nuova specie umana, l’Homo Naledi, in una grotta sudafricana contenente più di 1.500 reperti fossili. La morfologia di questa specie, scrive Andrea Parravicini su “Micromega”, è un sorprendente mix di caratteri “trattenuti”: un cervello piccolo, una corporatura somigliante a un’australopitecina (come la famosa Lucy) o ai primi rappresentanti del genere Homo, mescolata a caratteri “derivati”, più “moderni”, come le mani adatte a manipolare oggetti o i piedi da camminatore bipede. Recenti studi collocano questa specie in un’epoca sorprendentemente recente, contemporanea all’emergere dei primi umani moderni, e che confermano la possibilità di comportamenti complessi, o addirittura simbolici, da parte di questa strana ed enigmatica creatura. Nel ssettembre 2015, la rivista scientifica “eLife” annunciava la scoperta, avvenuta circa un anno e mezzo prima. In lingua Sotho, “Naledi” significa “stella”: «Una stella nel firmamento dell’evoluzione umana che oggi, a distanza di quasi due anni, continua a brillare intensamente, soprattutto per via dei nuovi dettagli e di ulteriori scoperte che alimentano interesse e curiosità riguardo a questo nostro misterioso “cugino”».