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Montanari: non temete il virus, quello che vi dicono è falso
Non solo non sono un virologo, ma non sono neppure uno psicologo né un esperto di sociologia. Meno che mai sono uno psichiatra, e ancora meno sono un magistrato, perché è la magistratura che dovrebbe indagare su certi comportamenti. Ciò che posso dirle è che il coronavirus battezzato Sars-Cov-2 dopo aver portato per un po’ un nome provvisorio è uno dei non pochi virus fatti in laboratorio. Fatto apposta? Questo proprio non lo so e, nel caso specifico, a saperlo non sono in tanti. Ma mica ce lo vengono a raccontare. Ci sono virus che nascono senza volerlo, li classifichi tra gli incidenti, e altri che sono creati da modificazioni messe in atto per motivi di ricerca o per altri motivi su cui evito di entrare. Comunque sia nato questo virus, la cosa ha scarsa rilevanza se non dal punto di vista di investigazioni che nulla hanno a che fare con la salute. Sappiate, ma è cosa molto nota, che modificare un virus è tutto sommato semplice, ed esistono persino brevetti che proteggono certe metodiche per farlo; e per quello che c’interessa ora, proprio lavorando anche sui coronavirus.Se ne conoscono diversi ceppi, alcuni dei quali possono provocare patologie negli esseri umani, da un volgare raffreddore a polmoniti, e il nuovo virus cinese condivide tantissime caratteristiche con i suoi fratelli. Si muore? Bisogna impegnarsi parecchio. Premesso che di quel virus in particolare sappiamo poco, stante la novità della sua comparsa, non esistono dati che indichino una mortalità significativamente diversa da quella di una qualunque influenza. È indispensabile aggiungere che i pochissimi che sono morti ad oggi non sono morti di coronavirus ma “con” il coronavirus, il che è molto diverso. Si trattava di pochissimi casi di persone molto avanti negli anni e già affette da patologie gravi. Per loro sarebbe bastato un normale raffreddore, per il tracollo. Indicare come responsabile della loro morte il coronavirus ha lo stesso grado di comicità che aveva incolpare il morbillo della manciata di morti sopravvenute in pazienti terminali. Se non fosse comicità, dovremmo tirare in ballo condizioni come l’ignoranza e la truffa (che non vogliamo tirare in ballo). E allora, fermiamoci alla comicità.Una comicità piuttosto costosa: questo è uno degli aspetti curiosi su cui ho solo domande e nessuna risposta. Cominciamo dall’inizio, e sono certo di dimenticare qualche passaggio. Almeno da mesi io sto vedendo delle strane forme influenzali con polmoniti che faticano a rispondere non solo ai farmaci ma all’omeostasi, cioè alla capacità di autoguarigione che, in maggiore o minor misura, abbiamo tutti. Piano piano quei pazienti sono guariti e diventano difficilmente indagabili, anche perché non sono rintracciabili. Dunque, nessuna prova che si tratti del virus cinese. Mi chiedo come mai qualche mese fa si mise in atto una simulazione centrata su un’epidemia teorica, guarda caso da coronavirus, che avrebbe fatto 60 milioni di morti nel mondo. Poi mi chiedo come mai qualche centinaio di soldati americani siano stati ospitati proprio a Wuhan, appena prima del manifestarsi della malattia. Altra domanda: perché i passeggeri dell’aeroporto di quella città venivano irrorati con un aerosol della cui natura niente è stato detto, e questo settimane prima che venisse denunciata l’esistenza del virus? Ma è di fronte alla reazione dei governi che resto ancora più perplesso.Oggettivamente ci troviamo di fronte a ben poco: un virus, non importa il suo stato di famiglia, che ha un grado di patogenicità bassissimo e una mortalità irrilevante. Di patogeni infinitamente più diffusi e infinitamente più aggressivi ne abbiamo a iosa, e nessuno si agita. Anzi, la stragrande maggioranza di loro è perfettamente sconosciuta alla massa e nessuno ne parla né, tanto meno, se ne preoccupa. Restando all’Italia, in termini di popolazione lo 0,8% del pianeta, abbiamo 49.000 morti l’anno per infezioni contratte in ospedale: l’avete mai visto riportato a titoli cubitali? O avete mai visto ospedali chiusi, per questo? Ogni giorno più di 130 persone muoiono nella sola Italia per malattie infettive, e spesso si tratta di affezioni respiratorie, contratte nel corso di un ricovero in ospedale. Insomma, uno va a farsi togliere l’appendice ed esce con la polmonite: una malattia che, ovviamente, nulla ha a che fare con l’infiammazione dell’appendice ileo-ciecale. Questo semplicemente perché il grado d’igiene dei nostri ospedali è largamente insufficiente, e i batteri e i virus strisciano e saltellano allegramente, per usare un’informazione scientifica che ci regalò la ex ministra Lorenzin.E se a morire sono in 130 al giorno o pochi di più, pensate a quanti si ammalano e guariscono. E pensate a quanti muoiono a distanza dal ricovero, senza che la loro morte rientri nel calcolo. Di questo non si parla, e tutti vivono felici. Perché non se ne parla? Io la risposta ce l’ho, ma, essendo suddito di un regime molto attento a non correre rischi sulla propria sopravvivenza, me la tengo. Dico solo che tenere pulito un ospedale non garantisce vantaggi sulla cui natura lasciatemi sorvolare. Tornando al coronavirus: perché si sta paralizzando l’Italia? Ecco: è a questo che non trovo una risposta. Insomma, a chi giova? I numeri sono impietosi anche se si finge che chi è morto con il coronavirus sia morto a causa del coronavirus. Comunque si guardi la cosa, siamo di fronte all’irrilevanza. E allora, a chi conviene massacrare la nostra economia già comatosa? A chi conviene dare al mondo l’immagine di un paese di appestati? Proprio ieri sera mi telefonava mio figlio da Tenerife, dove abita da anni, e mi diceva che una signora incontrata per caso alla cassa del supermercato, sentendo l’accento, gli ha chiesto se fosse italiano e, ricevuta la ferale conferma, è inorridita.Del resto, è la reazione che non pochi italiani hanno verso i cinesi che incrociano per strada, come se il virus prediligesse un’etnia. Il fatto è che la percezione che rischiamo di dare è quella dei lebbrosi o degli appestati. Proteggersi contro il virus? Ognuno deve essere libero di comportarsi come crede meglio. Io posso dire che chiudere dei territori e dei luoghi di aggregazione, scuole comprese, è una cosa che non sta né in cielo né in terra. Vedere gente che fa a botte per comprare a qualunque prezzo le mascherine di carta è tristemente ridicolo, se non altro perché molte di quelle proteggono dai virus come un’inferriata protegge dalle zanzare. E pure l’amuchina… La gente è convinta che basti bagnarsi le mani con l’amuchina; di fatto, basta quello che chiamiamo commercialmente varechina, insieme con alcool etilico, per essere al riparo da virus e batteri. La gente aspetta con ansia il vaccino? Dei vaccini e della loro totale inutilità ho parlato molte volte, portando prove inoppugnabili e certificate. In questo caso è possibile che ci troviamo nelle condizioni del vaccino contro il tetano.Il tetano è una malattia decisamente rara, non trasmissibile da uomo a uomo, e che non dà immunità. Il che significa che, a differenza di quanto accade con malattie come il morbillo, la varicella, la pertosse e non poche altre, chi si è ammalato può ammalarsi di nuovo. Insomma, non si acquisisce immunità. Non è affatto improbabile che il virus cinese sia nella stessa condizione, esattamente come i tanti virus influenzali con i quali condivide affinità: uno sia ammala d’influenza e si può ammalare di nuovo all’infinito, perché la malattia non induce alcuna immunità. Quindi, come è il caso dell’influenza, quel vaccino potrebbe essere assurdo fin dalle basi teoriche. Insomma, la solita illusione a spese di chi ci casca, e un’illusione con gli effetti collaterali inevitabili per qualunque farmaco ma senza alcuna contropartita vantaggiosa. Che fare, allora? Niente. Ovvero: niente di più di quello che si fa normalmente per evitare di prendersi il raffreddore o l’influenza.Posso aggiungere che un’alimentazione razionale, senza tante delle porcherie che mangiamo e che, ancora peggio, rifiliamo ai nostri bambini, fa miracoli. Con quella non si guarisce: si previene. Tenere in ordine l’intestino, tenere equilibrato il chilo e mezzo di batteri, funghi e virus che ci abitano e che costituiscono il microbiota è fondamentale. Le riserve armate del nostro sistema immunitario, quello che ci difende dalle malattie infettive, stanno in grande maggioranza proprio lì. Poi, se l’infezione arriva, è indispensabile non cercare di eliminare la febbre. Il rialzo della temperatura ha due effetti fondamentali complementari: migliora le nostre difese e indebolisce i patogeni. Dunque, la Tachipirina? E’ solo uno dei tantissimi farmaci che contengono paracetamolo, un principio attivo che abbassa la temperatura corporea e che, quando è male utilizzato (come, purtroppo, è nella stragrande maggioranza dei casi) fa danni. Forse per togliersi di torno le mamme fastidiose che non hanno voglia di accudire i bambini con la febbre, i pediatri propinano paracetamolo a piene mani, infischiandosi del fatto che, così facendo, annientano la prima e più efficace difesa di cui disponiamo. E poi c’è l’abuso degli antibiotici, troppo spesso somministrati a casaccio.Gli antibiotici sono farmaci mirati. Il che vuol dire che ognuno di loro è efficace nei confronti di certi batteri e non di altri. Quando non si è certi di quale sia il batterio che ha provocato la malattia, si ricorre quasi di regola agli antibiotici chiamati ad ampio spettro, vale a dire farmaci che si spera arrivino dove il medico non è arrivato con la sua diagnosi. Ma peggio ancora si fa quando si somministrano antibiotici per una malattia virale. Qui c’è l’assoluta certezza che il farmaco sarà inutile. E in medicina, ciò che è inutile è invariabilmente dannoso, non esistendo nessun medicinale privo di effetti dannosi. Aggiungo che l’abuso di antibiotici ha creato ceppi batterici sempre più resistenti, con questo indebolendo fino, non di rado, ad annullare l’efficacia di quella classe di farmaci formidabili. A margine, dico che anche la chirurgia soffre di questo problema. Perché, quando il chirurgo lavora, espone il suo paziente al mondo esterno: e il corpo non è preparato a questa interferenza. Di qui l’indispensabilità di una copertura antibiotica. Ma se l’antibiotico funziona poco…Quindi non ci sono antibiotici contro il coronavirus, come non ci sono per i virus in generale, compresa la varietà di coronavirus responsabile di tanti raffreddori. Di fatto, i farmaci antivirali di cui disponiamo hanno un’efficacia modesta, e per il coronavirus non c’è niente che abbia un’efficacia provata. Le vitamine A, E, D e C sono utili nella prevenzione, così come sono utili certi alimenti. Per esempio lo zenzero, la curcuma (sempre presa con il pepe nero, altrimenti perde efficacia), l’echinacea… Poi gli alimenti fermentati come i crauti o il kefir. E ancora: le verdure, specie quelle in foglia. Insomma, se si mangia correttamente, se si fa una vita sana evitando ad esempio il fumo, si mantiene l’organismo capace di difendersi. Se vogliamo restare al coronavirus che tanto terrorizza la gente, la difesa più immediata è quella che riguarda l’efficienza dei polmoni. Di qualunque cosa s’illudano i fumatori, i loro polmoni non sono in condizioni ideali. E uno dei problemi è quello dello strato eccessivo di muco, spesso con caratteristiche non proprio sane, che ricopre i bronchi e che fa scivolare profondamente i patogeni entrati per inalazione.In aggiunta, le ciglia vibratili, specie di fruste che sono presenti sulla parete interna dei bronchi, sono paralizzate dal fumo e non sono più capaci di spingere fuori dei polmoni gli aggressori. E allora, anche il coronavirus trova una bella porta aperta. Ma la cosa vale per qualunque patogeno che passi attraverso il sistema respiratorio, comprese le particelle di cui mi occupo da decenni. Insomma, per stare bene bisogna comportarsi bene. E se la paura è utile perché ci fa essere pronti a difenderci, la paura indebolisce le difese. Dunque, è utile solo se è motivata e se è contenuta nei limiti della razionalità. Qui, invece, siamo al cospetto di una manifestazione d’isteria collettiva, indotta per motivi che ignoro da chi approfitta dell’ignoranza e della fragilità intellettuale della gente. Un consiglio? Usate la ragione e non date credito a chi vi usa come animali da reddito. Spesso l’imperatore è nudo.(Stefano Montanari, intervista rilasciata a Roberta Doricchi sul coronavirus, ripresa da Massimo Mazzucco sul blog “Luogo Comune”. Quando Montanari l’ha pubblicata sul suo sito, il medesimo è stato hackerato: il post è scomparso e il sito è andato in blocco senza motivo apparente, spiega Mazzucco. Dopo aver ottenuto lo sblocco dal provider, Montanari l’ha pubblicata di nuovo, ma il sito è stato nuovamente bloccato. Nel frattempo – aggiunge Mazzucco – l’intervista è stata ripresa da diversi siti, per cui circola comunque in rete. Laureato in farmacia con una tesi in microchimica, Montanari è autore di diversi brevetti nel campo della cardiochirurgia, della chirurgia vascolare e della pneumologia. Lo scienziato ha progettato sistemi e apparecchiature per l’elettrofisiologia, eseguendo consulenze scientifiche per varie aziende e dirigendo, tra l’altro, un progetto per la realizzazione di una valvola cardiaca biologica. Dal 1979 collabora con la moglie, Antonietta Gatti, in numerose ricerche sui biomateriali. Dal 2004 dirige il laboratorio Nanodiagnostics di Modena, in cui si svolgono ricerche e si offrono consulenze di altissimo livello sulle nanopatologie. Docente in diversi master nazionali ed internazionali, è autore di numerose pubblicazioni scientifiche. Da anni svolge un’intensa opera di divulgazione scientifica nel campo delle nanopatologie, soprattutto per quanto riguarda le fonti inquinanti da polveri ultrafini).Non solo non sono un virologo, ma non sono neppure uno psicologo né un esperto di sociologia. Meno che mai sono uno psichiatra, e ancora meno sono un magistrato, perché è la magistratura che dovrebbe indagare su certi comportamenti. Ciò che posso dirle è che il coronavirus battezzato Sars-Cov-2 dopo aver portato per un po’ un nome provvisorio è uno dei non pochi virus fatti in laboratorio. Fatto apposta? Questo proprio non lo so e, nel caso specifico, a saperlo non sono in tanti. Ma mica ce lo vengono a raccontare. Ci sono virus che nascono senza volerlo, li classifichi tra gli incidenti, e altri che sono creati da modificazioni messe in atto per motivi di ricerca o per altri motivi su cui evito di entrare. Comunque sia nato questo virus, la cosa ha scarsa rilevanza se non dal punto di vista di investigazioni che nulla hanno a che fare con la salute. Sappiate, ma è cosa molto nota, che modificare un virus è tutto sommato semplice, ed esistono persino brevetti che proteggono certe metodiche per farlo; e per quello che c’interessa ora, proprio lavorando anche sui coronavirus.
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Vaccini e autismo, Federica: all’estero per salvare mio figlio
Si chiama Federica, vive in provincia di Gorizia. Ha una voce melodiosa da cantante jazz, e un coraggio da eroe greco. Antigone, con due bambini da difendere con le unghie e coi denti. Entrambi minacciati da un orco invisibile, armato di siringa. Il piccolo Nicola, il primogenito, oggi ha otto anni. Da poco è tornato tra noi. Era scomparso: muto, assente, estraneo. Un bambino divenuto alieno, anaffettivo, indifferente a tutto. In una parola: autistico. Lo è diventato di colpo, dopo un vaccino “sbagliato”, esavalente: antitetanica, antiepatite B, antipolio, anti-difterica, anti-haemophilus, anti-pertosse. «A tredici mesi, Nicola sgambettava come un leprotto. A 20 parlava e cantava, manifestava il suo talento artistico in ogni occasione: sapeva dipingere, era affettuoso, baciava il fratellino nel pancione». Poi, intorno ai 22 mesi, subito dopo la nascita di Enrico, ha avuto un improvviso arresto dello sviluppo. «E in poche settimane ha smesso di parlare, di mangiare, di dormire». Sintomi allarmanti: vomito “a getto”. All’epoca, Federica non sapeva ancora della stretta correlazione fra cervello, stomaco e intestino. Già, perché l’intestino è il secondo cervello. E proprio dall’intestino è cominciata la guarigione “impossibile”: eliminando glutine e caseina, Nicola ha ripreso a parlare, a mangiare, a sorridere. Ma non in Italia: all’estero. Grazie al costoso intervento di medici all’avanguardia, in cliniche private.In Italia, di fronte all’orco si resta soli. E si finisce in un limbo di dolore, se non si ha a fianco una madre come Federica Santi, già insegnante e musicista, ora interamente dedicata alla sua missione: salvare Nicola. Vite sul punto di spezzarsi: queste tragedie sbriciolano le famiglie, dice Federica, che lascia capire di non avere più accanto a sé il padre dei suoi figli. Conta solo sulle sue forze: ce l’ha fatta documentandosi, studiando giorno e notte. Fino a scoprire, oltre confine, una possibile soluzione. Ma a che prezzo? Scoppia in lacrime, un duro come il video-reporter Massimo Mazzucco, quando cerca di raccontare – in web-streaming, su YouTube – che Federica non sa se potrà scendere a Roma per una manifestazione free-vax, di genitori che contestano le modalità dell’imposizione dell’obbligo vaccinale. Non sa se potrà spendere i soldi del treno, Federica, perché ogni singolo euro deve servire a lottare per guarire Nicola, strappandolo definitivamente dalle grinfie dell’orco. Non è un caso isolato, naturalmente: in Puglia, l’unica Regione italiana ad aver organizzato la farmacovigilanza attiva sui vaccini, il monitoraggio ha svelato che le iniezioni hanno causato problemi a 4 bambini su 10. Ma nessuno ne parla, e il governo tira dritto: Giulia Grillo non esce dal sentiero imboccato da Beatrice Lorenzin. Vaccini polivalenti obbligatori, a tappeto, pena l’esclusione dalla scuola. Un bel business, fra l’altro, per le case farmaceutiche: il prezzo delle dosi è aumentato del 60% all’indomani dell’introduzione dell’obbligatorietà.Si può anche morire, di vaccino, persino da adulti. Lo dimostrò l’ultima commissione parlamentare difesa. Cifre sconcertanti: mille morti e altri 4.000 militari italiani colpiti da malattie gravi, per metà imputabili a vaccinazioni somministrate in modo imprudente. Di recente, l’ordine dei biologi ha scoperto vaccini “sporchi”, con tracce di diserbanti e feti abortiti, nonché vaccini difettosi in quanto privi degli agenti immunizzanti dichiarati in etichetta. In Francia, l’ordine dei medici ha inutilmente avvertito il governo Macron, che è sulle orme di quello italiano: l’obbligo vaccinale distrugge la fiducia tra governanti e governati, tra medici e pazienti. Negli Usa, la più importante associazione medica ha appena ammonito il Congresso: non si vede la necessità di aumentare la copertura vaccinale, visto che non ci sono emergenze in atto. E l’imposizione sanitaria – in assenza di motivazioni – confligge con la libertà dell’individuo e l’inviolabilità del suo corpo. I precedenti non sono rassicuranti: dagli anni ‘80, quando Washington decise di proteggere per legge i produttori di vaccini, rendendoli non punibili in caso di errore, il governo statunitense ha già speso qualcosa come 4 miliardi di dollari per risarcire i danneggiati da vaccino. Quanto alla decantata “immunità di gregge” promessa dalle vaccinazioni, Mazzucco consiglia di dare un’occhiata in Ohio, dove la comunità degli Amish, per motivi religiosi, rifiuta da sempre di far vaccinare i bambini: mai nessuna epidemia, nessuna problematica di quelle che i vaccini promettono di debellare.Qui non siamo in Ohio, e i free-vax non sono Amish. Nemmeno Federica Santi contesta il vaccino in sé, come presidio sanitario. Si limita a sottolineare le gravi lacune di quella stessa disciplina farmaceutica con cui si sciacquano la bocca i Talebani pro-vax, i dogmatici corifei che riducono la scienza a nuova religione, ignorando il piccolo Nicola e tutti gli altri bambini danneggiati dalle vaccinazioni – che in Italia sono tantissimi, purtroppo: oltre 20.000, secondo l’Aifa, nel solo triennio 2014-2017, come certifica “OggiScienza”. Intanto, a Federica Santi è venuto in mente che scrivere libri può aiutare gli altri genitori a saperne di più, fin che sono in tempo: “Non vivo in una bolla” racconta la storia di Nicola, “Nutriamo la guarigione” svela come si possa usare il cibo per sfuggire all’orco. A indignare è la sua solitudine: nessun indennizzo per l’autismo del figlio (che in Italia resta un tabù, se correlato con il vaccino). Richiesta bocciata, infatti. Liquidata da un ufficiale dell’esercito: «Me la sono dovuta vedere con una commissione militare, che il dossier di Nicola non l’aveva nemmeno sfogliato».Di fronte alle parole di Federica, superata la commozione, lo stesso Mazzucco lancia l’allarme numero uno: la vaccinazione universale di massa. Il piano, dice, consiste nel puntare domani a vaccinare tutti, anche gli adulti, ricorrendo al ricatto: «O accetti di vaccinarti, o ti tolgo il passaporto e la patente di guida, come in Argentina». Arriveremo a questo? Scenderemo così in basso, in assenza di chiarimenti sulla reale necessità di un intervento simile, nonostante i rischi che può comportare? Proprio i 5 Stelle avevano fatto della trasparenza il loro cavallo di battaglia, ma adesso Giulia Grillo si è rivelata la reincarnazione perfetta della vituperata Lorenzin. Il primo diritto – l’informazione – è già stato archiviato, nel comodo derby tra pro-vax e no-vax. L’Italia, scelta da Obama come area-test, ha subito l’azzardo quasi in silenzio, grazie anche all’omertà dei grandi media. Così, il piccolo Nicola può contare solo su sua madre, che per salvarlo si è letteralmente svenata, all’estero, dopo aver lasciato la musica e l’insegnamento. E oggi non sa se troverà i soldi per andare a Roma, a raccontare la sua storia.(Giorgio Cattaneo, “La solitudine di Federica, fuggita all’estero per salvare suo figlio danneggiato dai vaccini”, da “La Voce Rooseveltiana” numero 7 del 20 marzo 2019. Tutte le informazioni su Federica Santi e i suoi libri sono rintracciabili sul web e in particolare sulla pagina Facebook “Un sorriso per Nicola ed Enrico”. Una intensa testimonianza di Federica è apprezzabile su YouTube nella diretta web-streaming “Mazzucco Live” del 16 marzo, con Massimo Mazzucco).Si chiama Federica, vive in provincia di Gorizia. Ha una voce melodiosa da cantante jazz, e un coraggio da eroe greco. Antigone, con due bambini da difendere con le unghie e coi denti. Entrambi minacciati da un orco invisibile, armato di siringa. Il piccolo Nicola, il primogenito, oggi ha otto anni. Da poco è tornato tra noi. Era scomparso: muto, assente, estraneo. Un bambino divenuto alieno, anaffettivo, indifferente a tutto. In una parola: autistico. Lo è diventato di colpo, dopo un vaccino “sbagliato”, esavalente: antitetanica, antiepatite B, antipolio, anti-difterica, anti-haemophilus, anti-pertosse. «A tredici mesi, Nicola sgambettava come un leprotto. A 20 parlava e cantava, manifestava il suo talento artistico in ogni occasione: sapeva dipingere, era affettuoso, baciava il fratellino nel pancione». Poi, intorno ai 22 mesi, subito dopo la nascita di Enrico, ha avuto un improvviso arresto dello sviluppo. «E in poche settimane ha smesso di parlare, di mangiare, di dormire». Sintomi allarmanti: vomito “a getto”. All’epoca, Federica non sapeva ancora della stretta correlazione fra cervello, stomaco e intestino. Già, perché l’intestino è il secondo cervello. E proprio dall’intestino è cominciata la guarigione “impossibile”: eliminando glutine e caseina, Nicola ha ripreso a parlare, a mangiare, a sorridere. Ma non in Italia: all’estero. Grazie al costoso intervento di medici all’avanguardia, in cliniche private.
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Giovagnoli, alchimista: ero malato, e il bosco mi ha guarito
L’alchimista che vi hanno raccontato gira sempre con l’inseparabile alambicco, no? Ricordo che in un libro di scuola, quando facevo le superiori, c’era mezza pagina sull’alchimia, e c’era ’sto sfigato che girava dappertutto con il suo alambicco. Era uno così, nascosto dal cappuccio perché sente freddo alla testa, e poi l’alambicco – lui ci fa anche il bidet, con l’alambicco! Ma questo è l’aspetto folcloristico che hanno diffuso per allontanarci dall’alchimia. E’ una tecnica: rendi ridicola una persona, così non la cerchi più. Si innesca una dinamica selvaggia: il gregge segue il più forte, evitando lo sfigato solitario con il suo alambicco. Allegorie, il potere dell’immagine: in realtà l’alchimista ha la testa coperta dal cappuccio perché perché la sua attenzione è rivolta dentro di sé. Lui si chiude, e l’alambicco è l’immagine di tutto il suo sistema vitale. Lui quindi cerca di gestire i suoi flussi interni, che sono dominati da un centro mentale, un centro sentimentale, un centro sessuale creativo e un centro fisico, che è la macchina biologica che abbiamo. Cosa vuol fare l’alchimista? Vuole fare il processo inverso rispetto a ciò che hanno fatto fare all’umanità, che è stata creata e addomesticata.L’alchimista sfrutta i codici attraverso i quali hanno creato l’uomo, che è una creatura molto potente – non c’è niente, in natura, che abbia il nostro potenziale biologico. Però l’alchimista lo sfrutta non per essere come come vogliono “loro”, ma per essere come vuole lui. Quindi il processo di alchimia non è altro che un lavorare il proprio “composto”, per riconoscere la propria fattura e capire come siamo fatti, e quindi sperimentare e educare la propria macchina a fare certe cose, in modo tale che la macchina non faccia quello che vuole lei, ma quello che vuoi tu. E’ come se prendesse un computer che ha un sistema operativo: glielo toglie e gliene mette uno nuovo. Quando facciamo alchimia di gruppo, nel bosco, io invito i partecipanti a camminare bendati. Da quel momento, nella loro “macchina” (sotto la loro volontà) viene disinstallato un sistema, un programma che gli diceva “vai dove vedi”, e iniziano a dire: “Vai dove vedi con le mani, coi piedi, con i campi elettromagnetici”. Questa è una forma di alchimia. Io iniziato a praticarla dopo aver vissuto quello che un credente avrebbe attribuito all’intervento “miracoloso” di un santo, che gli ha “fatto la grazia”.Con il bosco ho vissuto un rapporto, un’esperienza forte. Avevo una malattia che non riuscivo a guarire. Avevo una “sigmoidite aspecifica con processi erosivi”. Quando il mio gastroenterologo me l’ha detto, pensavo di avere solo uno zaino, sulle spalle. Invece avevo anche una “sigmoidite aspecifica con processi erosivi”. Stavo letteralmente perdendo l’intestino. Falliti tutti i rimedi farmacologici, restava solo la via chirurgica. Mi sono detto: se sto perdendo il colon e mi devo far tagliare l’intestino, che contiene un terzo del cervello, allora vuol dire che è finito il mio tempo: me ne vado, non devo vivere per forza, e magari “dopo” starò anche meglio, chi lo sa. Quella sera ero in preda a una bella disperazione. E allora mi sono “dichiarato guerra”. E’ la prima operazione che l’alchimista compie: dichiararsi guerra. Mi sono detto: Michele, qual è la cosa che ti fa più paura? Il bosco di notte. Ci vado? Non ci vado? Scatta una sorta di sana schizofrenia, che in alchimia si chiama “doppio alchemico”. In pratica, ti sdoppi. Ti guardi da fuori, e il testimone ti osserva e ti parla. Lo dice anche Dante, “mi ritrovai per una selva oscura” (e infatti la Divina Commedia è un libro iniziatico). “Mi ritrovai”: erano in due, lui e “l’altro”. Così è cominciato quel dialogo, quella seea. “Mi fa paura, il bosco di notte”. “Bene, allora adesso ti ci porto”. “Ma sei matto?”. “Sì, ci andiamo. E senza torcia elettrica”.Così sono entrato nel bosco al buio, alla cieca. Ho cominciato a seguire un sentiero, ma poi mi sono perso. Ci sono rimasto per 4 ore. Sono successe cose turche, unne, ostrogote. Ho vissuto momenti di grande terrore, uno shock emozionale. Sono succese cose particolari, che non so descrivere perché non so cosa fossero. Però avvertito che c’erano dei movimenti, attorno a me, c’erano come delle presenze. C’era qualcuno, con me. Cos’era? Non lo so. Ho fatto incontri particolari, diciamo. E ho stretto un accordo con gli alberi: di questo non vi posso parlare, perché è una cosa che riguarda me e loro. Sta di fatto che, quando ho raggiunto la sommità del pendio, ho avuto un’esplosione di caldo fortissimo alla pancia. Ho fatto una gran sudata, poi scoppiato in singhiozzi. Sono caduto a terra, esausto, e ho pianto fino all’alba. Tornato a casa, la mattina, ho scoperto di essere totalmente guarito: non avevo più niente.Vi racconto questo dettaglio perché bisogna anche prendersi gioco di sé, per vincere. Dopo diversi anni, sapete, ero arrivato a pesare 42 chili. E quella mattina, dopo tanto tempo, sono riuscito a fare… la cacca. Ora, quando parli di un uomo e racconti che va a fare la cacca non piace, è poco virile. Ma io ho fatto la cacca e non volevo neppure tirare l’acqua: dopo anni, finalmente, avevo fatto una cacca normale. La rimiravo, pensavo addirittura di conservarla sotto spirito! Davvero: da allora non ho più avuto nessun disturbo. Il mio gastroenterologo non se lo spiegava: pensava che fossi stato a Lourdes, figuratevi. Mi sono detto: caro dottore, io e te non ci vedremo più, se non per un caffè o un aperitivo. Io questa storia l’ho vissuta e basta, e da lì non ho avuto più niente. Pensate che bello. Non vi nascondo che ho un po’ di commozione, nel raccontarla. Avevo seguito la via normale: hai problema, vai dal medico. Avevo lasciato perdere le alternative: mi ero affidato alla scienza, alla medicina ufficiale. E vi lascio immaginate a che tipo di analisi intrusive sono stato sottoposto, con tutte quelle sonde. Ero diventato carne da macello, ma non era servito a niente. Poi, appunto, sono andato nel bosco di notte.E’ successo qualcosa, sotto quegli alberi. Mi reputo una persona normalmente intelligente, capace di coltivare il dubbio. E il dubbio è una delle cose più preziose, è l’anticamera di ogni processo evolutivo. Se cominci a dubitare, smetti di prendere tutto per buono. E allora mi sono detto: è successo qualcosa, nel bosco. Non so cosa: non posso portarvi la formula chimica, non posso dire “è come se avessi preso questo farmaco che inibisce questa cosa e attiva quest’altra”. Eppure sono passato dalla malattia alla guarigione. Posso dire questo: qundo sono entrato nel bosco, quella notte, sapevo che la mia condizione andava degenerando. Lì è successo qualcosa, e infatti ne sono uscito guarito. Da allora ho cominciato a tornarci, tra gli alberi. La sera dopo sono tornato in quel bosco e ho fatto la stessa cosa, però senza più abbandonarmi totalmente. Una volta entrato ho percorso trecento metri e mi sono fermato lì in mezzo: ascoltavo. Il giorno dopo sono ritornato. Poi sono passato ad altri boschi. Cos’era successo, la prima notte? Provo a descriverlo come posso. Stare in quel bosco ha come attivato una memoria, un ricordo.Un po’ come dire: mi ricordo che sono fatto in un certo modo. E mi ricordo che posso anche modificarmi, se ho delle conoscenze. E così mi si è aperto tutto. E’ cos’ che sono morto. Quella sera sono morto: è morto il vecchio Michele, ed è iniziata una vita nuova, sicuramente consapevole e più libera. Per certi aspetti una vita anche più difficile, perché ti accorgi che nel tuo mondo precedente, di cui ti fidavi, c’erano troppe falsità. E allora dici: adesso devo veramente far fronte esclusivamente con le mie forze. E’ faticoso, tutto diventa più difficile. Sta meglio il pollo d’allevamento, sotto certi aspetti, rispetto al gallo cedrone: il pollo ha da mangiare, è protetto e curato. Ma la sua vita è in funzione del padrone. Vuoi mettere, un secondo da gallo cedrone, rispetto ai 43 giorni di vita del pollo d’allevamento? Pensate alla volpe: si sveglia ogni mattina e, di tutti i pensieri che facciamo noi, non ne fa neanche mezzo. Non pensa: devo pettinarmi prima di uscire, devo telefonare a questo e a quello, ho la scadenza dell’Iva, ho un senso di colpa che mi fa marcire dentro perché sono andato a letto con un’altra.La volpe non vive niente di tutto ciò: ha una libertà esperienziale estrema. La cosa ci deve far riflettere, perché il primo punto di partenza – per qualunque processo di guarigione – sta nel capire che stiamo vivendo una quotidianità che è totalmente artefatta. Iniziare a metterla in discussione significa aprire alternative. Poi c’è chi, come me, ha incontrato un albero, ma c’è chi può incontrare una persona e c’è chi, semplicemente, può vivere un sogno: qualcosa di particolare, che gli apre un’alternativa. Aprirsi un’alternativa, secondo me, significa raggiungere il massimo obiettivo. Dove ti porta, questa strada? E’ del tutto secondario. L’obiettivo non è raggiungere qualcosa. L’obiettivo è riuscire ad avere la voglia di cercare. Il risultato non è nel trovare, ma nel voler cercare. E quando la vivi, la ricerca stessa diventa un nutrimento assoluto.(Michele Giovagnoli, dichiarazioni relative alla conferenza al termine del seminario “Il mondo magico degli alberi: come interagire con loro e attingere a una conoscenza superiore”, svoltosi in valle di Susa il 26 agosto 2018, nei boschi che circondano la borgata Cresto, a Sant’Antonino di Susa. Alchimista e naturalista, scrittore e formatore, Giovagnoli ha pubblicato “Assoluta. Analisi logica della Rivelazione”, edizioni Il Grappolo, 2004; “Alchimia selvatica”, Macroedizioni, 2014; “La messa è finita”, UnoEditori, 2017; “Impara a parlare con gli alberi”, UnoEditori, 2018. Info: sul blog di Giovagnoli e sulla sua pagina Facebook, che documenta il suo “Contatto Tour” alla ricerca degli alberi secolari italiani).L’alchimista che vi hanno raccontato gira sempre con l’inseparabile alambicco, no? Ricordo che in un libro di scuola, quando facevo le superiori, c’era mezza pagina sull’alchimia, e c’era ’sto sfigato che girava dappertutto con il suo alambicco. Era uno così, nascosto dal cappuccio perché sente freddo alla testa. E poi l’alambicco: lui ci fa anche il bidet, con l’alambicco! Ma questo è l’aspetto folcloristico che hanno diffuso per allontanarci dall’alchimia. E’ una tecnica: rendi ridicola una persona, così non la cerchi più. Si innesca una dinamica selvaggia: il gregge segue il più forte, evitando lo sfigato solitario con il suo alambicco. Allegorie, il potere dell’immagine: in realtà l’alchimista ha la testa coperta dal cappuccio perché la sua attenzione è rivolta dentro di sé. Lui si chiude, e l’alambicco è l’immagine di tutto il suo sistema vitale. Lui quindi cerca di gestire i suoi flussi interni, che sono dominati da un centro mentale, un centro sentimentale, un centro sessuale creativo e un centro fisico, che è la macchina biologica che abbiamo. Cosa vuol fare l’alchimista? Vuole fare il processo inverso rispetto a ciò che hanno fatto fare all’umanità, che è stata creata e addomesticata.
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Cancro: la malattia come destino, per una vita da risvegliare
Rudiger Dalke e Thorwald Dethkefsen sono due autori di libri di grande successo, che hanno affrontato insieme un cammino per diffondere il concetto della medicina psicosomatica. Il primo è un medico che si è specializzato in medicina naturale e psicoterapia, autore dell’importantissimo “Malattia come simbolo”, un dizionario dei malattie con tutti i sintomi, il significato e l’interpretazione dal punto di vista spirituale delle patologie più disparate (il libro raccoglie oltre 1000 patologie e sintomi). Il secondo è uno psicologo autore del bestseller internazionale “Il destino come scelta” cui è seguito l’importantissimo “Malattia e destino”, scritto in collaborazione con Dalke. Il punto chiave della loro ricerca è che non esistono le malattie intese come entità a sé stanti, che compaiono in un corpo sano, ma esiste un’unica malattia, nel senso che ogni persona manifesta, nel corpo, una serie di sintomi che altro non sono che sintomi di altrettante condizioni dell’anima. La malattia è quindi un messaggio, e precisamente un messaggio che l’anima invia al corpo, su cui occorre lavorare per essere più consapevoli della propria condizione, dei propri conflitti, e talvolta del proprio destino. La malattia quindi non è – in senso tecnico – una patologia, ma una condizione dell’anima che accompagna l’uomo dalla nascita alla morte, e fa parte della vita come l’aria fa parte del respiro.Nell’introduzione al libro “Malattia come simbolo” l’autore utilizza un’espressione che è propria anche della medicina Hameriana: la malattia non è una patologia, una disfunzione dell’organismo, ma un “evento sensato” utilizzato dall’anima per rendere l’uomo consapevole dei propri conflitti irrisolti. In generale, per quanto riguarda il cancro, esso realizza fisicamente ciò che spiritualmente sarebbe necessario nel relativo ambito della coscienza. Il cancro è, in pratica, un’iniziazione, nel senso che segna un momento decisivo della vita, in cui occorre prendere coscienza di alcuni aspetti irrisolti della propria vita, offrendo la possibilità di rinascere a nuova vita, più forti, determinati e in salute rispetto al passato, oppure di morire fisicamente. In generale compare quando si sono repressi impulsi vitali troppo a lungo, e si è rimasti ancorati alla norma, con un adattamento sociale troppo perfetto. E’ anche un amore sul piano sbagliato e un principio di regressione. Il cancro costringe quindi a fare un bilancio della propria vita, per cercare di capire se la strada percorsa corrisponda a quella personale propria, costringendo il soggetto a ricordarsi dei propri sogni giovanili e dei desideri che aveva per la vita e trarre, dalla certezza di non avere ormai nulla da perdere, il coraggio di auto-realizzarsi e trovare la propria strada.Claudia Rainville è una studiosa olistica che ha chiamato i suoi studi “metamedicina”. La metamedicina non è una semplice medicina alternativa che si propone di sostituirsi ai farmaci e alle cure tradizionali; è molto di più e molto di meno. E’ molto di meno nel senso che non si sostituisce al medico personale scelto dal paziente. Ma è molto di più perché si propone di aiutare il paziente nell’opera di guarigione andando a fondo della causa delle malattie, ma come una vera e propria filosofia di vita che può cambiare l’esistenza. Andando infatti a cercare la causa prima della malattia, il paziente è portato a fare un vero e proprio percorso di guarigione dell’anima, o un percorso spirituale se si preferisce. Gli operatori di metamedicina quindi non si propongono come guaritori, ma si limitano a far prendere al paziente coscienza dei suoi problemi, tanto è vero che qualcuno ha inquadrato questa disciplina come medicina delle emozioni o medicina psicosomatica, altri come medicina dell’anima, altri come una vera e propria filosofia dell’anima.A titolo di esempio, i tumori vengono collegati alle seguenti cause: tumore al collo dell’utero: profonda delusione vissuta col partner; tumore dell’utero: problema collegato ad un familiare; tumore al seno: shock, sconvolgimenti e sensi di colpa nei confronti di coloro di cui ci si occupa, problemi con il padre o con la madre (a seconda che il problema sorga al seno destro o sinistro); tumore allo stomaco: forte ingiustizia subita nella vita; tumore al polmone: paura di morire; tumore all’intestino: paure legate alla propria situazione finanziaria o di vita; tumore al pancreas: forti emozioni di rabbia tristezza o repulsione; tumore alle ossa: senso di svalutazione. La medicina Hameriana (detta anche medicina Germanica, o delle 5 leggi biologiche) si allaccia alla metamedicina, come è espressamente affermato dalla stessa Rainville nel suo “dizionario della meta medicina” alla voce “tumore”. In Italia, la medicina di Hamer è stata divulgata da Claudio Trupiano, con il libro “Grazie dottor Hamer”, cui sono seguiti “Grazie ancora dottor Hamer” e altri ancora. La medicina Hameriana va alla ricerca di uno shock o di un evento traumatico, che è alla base della comparsa dei tumori in determinate zone.(Paolo Franceschetti, estratto da “Tumori, mente e anima”, dal blog “Petali di Loto” del 28 marzo 2018. Per “nuova medicina germanica” si intende quella teorizzata dal medico tedesco Ryke Geerd Hamer a partire dal 1981).Rudiger Dalke e Thorwald Dethkefsen sono due autori di libri di grande successo, che hanno affrontato insieme un cammino per diffondere il concetto della medicina psicosomatica. Il primo è un medico che si è specializzato in medicina naturale e psicoterapia, autore dell’importantissimo “Malattia come simbolo”, un dizionario dei malattie con tutti i sintomi, il significato e l’interpretazione dal punto di vista spirituale delle patologie più disparate (il libro raccoglie oltre 1000 patologie e sintomi). Il secondo è uno psicologo autore del bestseller internazionale “Il destino come scelta” cui è seguito l’importantissimo “Malattia e destino”, scritto in collaborazione con Dalke. Il punto chiave della loro ricerca è che non esistono le malattie intese come entità a sé stanti, che compaiono in un corpo sano, ma esiste un’unica malattia, nel senso che ogni persona manifesta, nel corpo, una serie di sintomi che altro non sono che sintomi di altrettante condizioni dell’anima. La malattia è quindi un messaggio, e precisamente un messaggio che l’anima invia al corpo, su cui occorre lavorare per essere più consapevoli della propria condizione, dei propri conflitti, e talvolta del proprio destino. La malattia quindi non è – in senso tecnico – una patologia, ma una condizione dell’anima che accompagna l’uomo dalla nascita alla morte, e fa parte della vita come l’aria fa parte del respiro.
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Vaiolo e antrace, il Pentagono fabbrica bio-armi in Ucraina
Sono sorti su territorio ucraino tredici laboratori militari americani dediti allo studio e alla produzione di agenti infettivi, vaiolo, antrace, botulino e non si sa cos’altro. Sulla base di un accordo bilaterale firmato nel 2012, la giunta di Kiev, attraverso il ministero della sanità, ha dato questa concessione al Pentagono. Perché i laboratori sono finanziati direttamente dal Pentagono ed occupano solo personale statunitense. La giunta ucraina s’è impegnata a “non interferire” con quel che si fa là dentro. Gli impianti sorgono: ben quattro a Kiev, tre a Lvov, gli altri a Odessa, Vinnitsia, Uzgorod, Kherson, Ternopil. Certo non è un caso se la scorsa primavera l’Ucraina ha conosciuto una stranissima fiammata di botulismo, malattia rara, non spiegabile (se non dall’aver mangiato carne in scatola infetta). Una epidemia che, come si può immaginare, il sistema sanitario ucraino, devastato e corrotto, non è stata in grado di dominare. Gli ospedali non hanno il siero antibotulinico, e non lo hanno dal 2014, da quando Kiev non ha rinnovato la convenzione per produrlo con Mosca. Decine di ucraini sono morti, molti più di quanti ammetta il governo. Migliaia, secondo alcune fonti. Naturalmente il governo ha attribuito la fiammata alla carne in scatola avariata.Nel settembre 2016 una infezione intestinale ignota s’è propagata fulmineamente nella città di Izmail. In 24 ore, oltre 400 bambini (apparentemente i più vulnerabili all’infezione) sono stati ricoverati. La fonte della malattia non è mai stata identificata. Nel 2014, è stata la volta della “peste suina africana”, rarissima se non inesistente alle latitudini ucraine, che ha cominciato a decimare i maiali. Nel 2015, oltre centomila suini hanno dovuto essere abbattuti per tentare di contenere l’epidemia; il virus può sopravvivere nel terreno anche otto mesi. E’ evidente l’utilità di un simile virus come arma biologica: può devastare l’agroeconomia di intere popolazioni. Si è registrata anche un’epidemia di influenza porcina (Hin1) per la quale Kiev ha dovuto acquistare i vaccini da società americane, al costo di 40 milioni di dollari. Mosca e Teheran hanno levato un allarme (inascoltato) sul fatto che simili laboratori siano stati allestiti dagli Usa non solo in Ucraina, ma in Georgia, Kazakhstan, Uzbekistan, Azerbaigian, Armenia. Sono “stoccaggi di agenti patogeni particolarmente pericolosi” fatti a fin di bene, per trovare una cura, dice il Pentagono. «Che non è una associazione di beneficenza», ricorda Igor Nikulin, un esperto che è stato membro della commissione Onu sulle armi biologiche e chimiche in Iraq e Libia.Anche i famosi animalisti ecologisti amanti dell’orso e del lupo dovrebbero protestare. Le armi biologiche uccidono, oltre i non-combattenti, anche “i raccolti, gli animali, infettano l’acqua, il terreno, l’aria”. Secondo gli esperti militari russi e iraniani, la distribuzione dei laboratori bio-militari attraverso il continente eurasiatico permette al Pentagono di raccogliere informazioni sui microrganismi patogeni locali, ciò che è vitale per la creazione di armi biologiche selettive ed altamente efficaci contro russi, iraniani, cinesi. Il motivo per cui il Pentagono ha piazzato tanti laboratori in Ucraina (e presso grandi vie di comunicazione o porti, all’evidente scopo di una rapida evacuazione se le cose andassero male) è che con ciò può aggirare la Convenzione di Ginevra del 1972, che vieta la sperimentazione e lo sviluppo, la produzione e l’immagazzinamento di armi biologiche e chimiche – che il Senato Usa ha ratificato nel 1973.(Maurizio Blondet, estratto dal post “Usa, fabbriche di bio-armi in Ucraina”, dal blog di Blondet del 26 agosto 2017).Sono sorti su territorio ucraino tredici laboratori militari americani dediti allo studio e alla produzione di agenti infettivi, vaiolo, antrace, botulino e non si sa cos’altro. Sulla base di un accordo bilaterale firmato nel 2012, la giunta di Kiev, attraverso il ministero della sanità, ha dato questa concessione al Pentagono. Perché i laboratori sono finanziati direttamente dal Pentagono ed occupano solo personale statunitense. La giunta ucraina s’è impegnata a “non interferire” con quel che si fa là dentro. Gli impianti sorgono: ben quattro a Kiev, tre a Lvov, gli altri a Odessa, Vinnitsia, Uzgorod, Kherson, Ternopil. Certo non è un caso se la scorsa primavera l’Ucraina ha conosciuto una stranissima fiammata di botulismo, malattia rara, non spiegabile (se non dall’aver mangiato carne in scatola infetta). Una epidemia che, come si può immaginare, il sistema sanitario ucraino, devastato e corrotto, non è stata in grado di dominare. Gli ospedali non hanno il siero antibotulinico, e non lo hanno dal 2014, da quando Kiev non ha rinnovato la convenzione per produrlo con Mosca. Decine di ucraini sono morti, molti più di quanti ammetta il governo. Migliaia, secondo alcune fonti. Naturalmente il governo ha attribuito la fiammata alla carne in scatola avariata.
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Nazi-medicine, la chemioterapia e gli altri 7 farmaci letali
«È ora di prendere la medicina, amore». «Ma mamma, mi fa sentire strano e molto male e non mi fa stare meglio». «Beh, è quello che ha prescritto il dottore, quindi dobbiamo prenderla». Ti hanno mai detto di ascoltare la tua pancia? C’è una ragione per questo. In realtà, più di una. Molti farmaci “occidentali” sono prodotti in laboratorio utilizzando sostanze chimiche, sono altamente sperimentali e, peggio ancora, non sono mai testati sugli esseri umani, se non nel momento stesso in cui vengono loro prescritti, applicati o iniettati. Gli umani sono gli ultimi porcellini d’India in America, mentre Big Pharma intasca trilioni in profitti. Come si è arrivati a questo? La risposta è semplice: dopo la Seconda Guerra Mondiale, gli scienziati nazisti appena usciti di prigione furono assunti a lavorare su prodotti farmaceutici, vaccini, chemioterapia e additivi chimici alimentari, al fine di alimentare il più insidioso business del pianeta – la medicina allopatica. E non è una teoria complottista. L’orrore dell’Olocausto in Germania è stato portato avanti, su scala ridotta, negli Stati Uniti, per denaro.Pensateci. Non esiste alcuna altra ragione per la quale le aziende farmaceutiche statunitensi dovessero impiegare assassini di massa condannati per occupare le posizioni più alte in Bayer, Basf e Hoechst. Fritz ter Meer, condannato per omicidio di massa, ha scontato solo 5 anni in prigione, dopo i quali è comodamente diventato il presidente del consiglio di sorveglianza della Bayer (sì, quella Bayer che fabbrica i medicinali per bambini nonché la famosa aspirina). Carl Wurster della Basf contribuì a creare il gas Zyklon-B, il potente pesticida utilizzato per giustiziare milioni di ebrei – questo mostro è andato a lavorare sulla chemioterapia, la più grande truffa medica del secolo. Kurt Blome, che partecipò all’uccisione di ebrei tramite “macabri esperimenti”, fu reclutato nel 1951 dalla divisione chimica dell’esercito Usa per lavorare sulla guerra chimica. Capite?In altre parole, i malefici semi di Big Pharma, che la Fda chiama medicina, sono stati piantati inizialmente negli Stati Uniti 65 anni fa. Molti degli “scienziati pazzi” che torturarono esseri umani innocenti durante l’Olocausto sono stati impiegati e promossi dai presidenti americani per spingere con forza la cosiddetta “medicina occidentale”, il cui scopo ultimo è la creazione di malattia e la cura dei suoi sintomi per profitto. Ascoltate bene, amici, perché questi sono gli 8 farmaci più pericolosi sul pianeta Terra. Si chiama “Guerra contro i deboli”.#1. Ssri (Inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina, ndt) – altamente sperimentali, nessuna prova di sicurezza o efficacia, possono bloccare completamente la serotonina portando a pensieri suicidi e persino ad atti omicidi e suicidi orrendi.#2. Vaccino Mpr (morbillo, parotite, rosolia) – associato ad autismo e ad altri disordini del sistema nervoso centrale e ad una miriade di problemi di salute. Quando il virus vivo del morbillo entra nel corpo, il sistema immunitario è seriamente compromesso, ed altri adiuvanti chimici ed ingredienti geneticamente modificati attaccano l’organismo del bambino causando esiti permanenti e talvolta fatali.#3. Vaccino antinfluenzale – contiene fino a 50.000 parti per miliardo (ppb) di mercurio, oltre a formaldeide, glutammato monosodico (Gms) e alluminio. Può causare interruzioni di gravidanza e aborti spontanei.#4. Antibiotici – distruggono la flora batterica intestinale benefica e quindi indeboliscono gravemente il sistema immunitario. I medici prescrivono antibiotici impropriamente per le infezioni virali peggiorando ulteriormente la situazione!#5. Vaccino anti-Hpv (papillomavirus umano) – noto per mandare le ragazzine in shock anafilattico e coma. Migliaia di famiglie hanno citato in giudizio i produttori per milioni di dollari per danni alla salute cronici e permanenti.#6. Chemioterapia – devasta il sistema immunitario e spesso porta allo sviluppo di nuovi tumori, specialmente del sangue. Gli scienziati nazisti sapevano negli anni ‘50 che la chemioterapia fa regredire solo temporaneamente il cancro, per ripresentarsi con maggior forza in altre parti del corpo! (Anche qui, la medicina occidentale definisce questo un successo).#7. Vaccino antirotavirus “RotaTeq” – il vaccino (orale) estremamente nocivo contiene ceppi virali ivi (G1, G2, G3, G4 e P1), insieme all’altamente tossico polisorbato 80 e siero bovino fetale. Contiene inoltre frammenti di circovirus porcino – un virus che infetta i maiali.#8. Vaccino antipolio (orale e iniettato) – È un fatto nudo e crudo e spaventoso che milioni di americani siano stati inoculati con il cancro contenuto nel vaccino antipolio. Non solo, le versioni orale e nasale del vaccino hanno diffuso la polio in India e lasciato molti bambini paralizzati a vita.Certo, le persone sono paranoiche riguardo alle malattie infettive e per un motivo ben preciso. L’industria medica americana ha esacerbato i peggiori casi registrati, per spaventare a morte tutti quanti affinché si facciano iniettare i loro carcinogeni per “protezione”. Questo è un racket ed è illegale, ma i produttori di vaccini sono immuni alle cause, protetti da un enorme fondo nero e dal loro tribunale segreto. Se voi o vostro figlio venite gravemente danneggiati dai vaccini, non potete citare il produttore del vaccino. Dovrete portare il caso all’Office of Special Masters della U.S. Court of Federal Claims, comunemente definito il segretissimo “Tribunale dei vaccini”. Questo “tribunale” corrotto gestisce un programma di risarcimento senza colpa (sì, avete letto bene), che funziona come tribunale alternativo ai vostri diritti costituzionali. Fu creato fin dal 1986, dopo che le aziende farmaceutiche persero enormi profitti in cause legali di alto profilo dovute a vaccini che avevano causato gravi danni a un certo numero di bambini, i quali ebbero convulsioni e danno cerebrale in seguito al vaccino Dtp (difterite-tetano-pertosse, ndt). Prima ancora di valutare se ingoiare o iniettarvi un’altra volta tossine chimiche chiamate “medicina”, andate almeno da un medico naturopata e scoprite se il vostro problema di salute ha una base alimentare, perché è molto probabile che sia così.(S.D.Welss, “Gli 8 farmaci più pericolosi del pianeta: ne state prendendo qualcuno?”, da “Naturalnews” del 30 giugno 2016, tradotto da Emanuela Lorenzi per “Come Don Chisciotte”).«È ora di prendere la medicina, amore». «Ma mamma, mi fa sentire strano e molto male e non mi fa stare meglio». «Beh, è quello che ha prescritto il dottore, quindi dobbiamo prenderla». Ti hanno mai detto di ascoltare la tua pancia? C’è una ragione per questo. In realtà, più di una. Molti farmaci “occidentali” sono prodotti in laboratorio utilizzando sostanze chimiche, sono altamente sperimentali e, peggio ancora, non sono mai testati sugli esseri umani, se non nel momento stesso in cui vengono loro prescritti, applicati o iniettati. Gli umani sono gli ultimi porcellini d’India in America, mentre Big Pharma intasca trilioni in profitti. Come si è arrivati a questo? La risposta è semplice: dopo la Seconda Guerra Mondiale, gli scienziati nazisti appena usciti di prigione furono assunti a lavorare su prodotti farmaceutici, vaccini, chemioterapia e additivi chimici alimentari, al fine di alimentare il più insidioso business del pianeta – la medicina allopatica. E non è una teoria complottista. L’orrore dell’Olocausto in Germania è stato portato avanti, su scala ridotta, negli Stati Uniti, per denaro.
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Carne e cancro, di colpo l’ovvio fa notizia e dilaga sui media
L’oncologia – che considera il cancro un “male incurabile” – continua a somministrare dosi letali di chemioterapia, trascurando l’alimentazione dei pazienti? Normale, in un paese in cui si grida persino alla “truffa delle cure alternative”, canzonando chi ricorre (in genere, con ottimi risultati) a una dieta priva di proteine animali. Scontata, dunque, la bufera scatenata dalla “scoperta dell’acqua calda”, ufficializzata nientemeno che dall’Iarc, la branca dell’Oms che si occupa di ricerca sul cancro. Un rapporto redatto sulla base di oltre 800 studi precedenti sul legame tra alimetazione e tumore conferma quello che i terapeuti “alternativi” hanno sempre saputo: è pericoloso per la salute consumare carne, in particolare carni rosse (maiale e manzo, vitello, agnello, pecora, cavallo e capra). Peggio ancora gli insaccati e le carni grigliate. «La cosa tragicomica – afferma Paolo Franceschetti, autore di un blog sulle cure alternative contro il cancro – è che tuttora, negli ospedali, ai pazienti oncologici in trattamento vengono tranquillamente somministrate merendine confezionate e fette di prosciutto».Ora fa molto rumore lo studio dell’Oms, secondo cui, per ogni porzione di 50 grammi di carne al giorno, il rischio di cancro del colon-retto aumenta del 18%, così come per i tumori al pancreas e alla prostata. Nel mirino in particolare le “carni lavorate”, come i wurstel, equiparati – come sostanze cancerogene – a fumo, amianto, arsenico e benzene. Sotto accusa, secondo i tecnici Onu, la trasformazione “attraverso processi di salatura, polimerizzazione, fermentazione, affumicatura”, oppure le carni “sottoposte ad altri processi per aumentare il sapore o migliorare la conservazione”. Massima prudenza, avverte l’Oms, con gli hot dog, prosciutti e salsicce, nonché la carne in scatola e le salse a base di carne. Il rischio di sviluppare cancro all’intestino a causa del consumo di carne “processata” aumenta in proporzione al quantitativo consumato, avverte il dottor Kurt Straif, capo dello Iarc Monographs Programme. Il più celebre oncologo italiano, il professor Umberto Veronesi, da decenni ha deciso di rinunciare alla carne: «Il mio consiglio da vegetariano – dice – è quello di eliminare del tutto il consumo di carne».Veronesi saluta come «un grande passo avanti» la “scoperta” della relazione fra alimentazione e tumori: «L’identificazione certa di una nuova sostanza come fattore cancerogeno è sempre e comunque una buona notizia in sé, perchè aggiunge conoscenza e migliora la prevenzione». La raccomandazione per un regime alimentare “vegano” non è però presente nel protocollo ufficiale anti-cancro del ministero della sanità italiano, la cui attuale titolare, Beatrice Lorenzin, ora si limita a consigliare, in generale, la “dieta mediterranea”. Secondo le statistiche, il 9% degli italiani mangia carne rossa o insaccati tutti i giorni, e il 56% 3-4 volte a settimana. Il tumore più diffuso in Italia è proprio quello al colon-retto, con quasi 55.000 diagnosi nel 2013. Salumi a parte, se sotto accusa sono le carni grigliate (che sviluppano idrocarburi) sono gli statunitensi, seguiti da australiani, francesi e tedeschi. In Italia ogni anno si calcola vengano consumate “solo” 24 milioni di grigliate all’anno.Il Codacons ha deciso di presentare un’istanza urgente al ministero della salute e un esposto al Pm di Torino Raffaele Guariniello, affinché siano valutate misure a tutela della salute. «L’Oms non lascia spazio a dubbi», sostiene il presidente, Carlo Rienzi. «Il principio di precauzione impone in questi casi l’adozione di misure anche drastiche», compresa eventualmente «la sospensione della vendita per quei prodotti che l’Oms certifica come cancerogeni». Per i produttori di carne, la tempesta mediatica può trasformarsi in catastrofe commerciale: secondo la Coldiretti, le carni italiane sono più sane perché magre, non trattate con ormoni e ottenute nel rispetto di rigidi disciplinari di produzione. «Hot dog, bacon e affumicati non fanno parte della tradizione italiana», sottolinea l’associazione degli agricoltori. Inoltre, da noi il consumo di carne (78 chili a testa) è molto al di sotto di quelli di paesi come gli Usa (125 chili a persona) o l’Australia (120 chili), ma anche dei cugini francesi (87 chili). Secondo Assocarni e Assica, l’associazione dei salumifici industriali, gli italiani mangiano in media due volte la settimana 100 grammi di carne rossa e solo 25 grammi al giorno di carne trasformata. «Un consumo che è meno della metà dei quantitativi individuati come potenzialmente a rischio cancerogeno».Carne e cancro? Anna Villarini, nutrizionista dell’Istituto Nazionale dei Tumori, non si scompone: «Lo sapevamo già dal 2007, ma c’erano studi precedenti: le carni conservate sono associate a tumore dello stomaco, sia per la presenza di conservanti che vengono aggiunti che si trasformano in cancerogeni all’interno dello stomaco, sia per la presenza eccessiva di sale che è un fattore di rischio». E aggiunge: «Le carni rosse, oltre che per la cottura, sono di per sé un fattore di rischio per il tumore del colon. Dovrebbero essere consumate veramente poco, e invece sono entrate in maniera preponderante sulle nostre tavole». Dieta alternativa per chi ha il cancro? Zero carne: solo frutta, verdura e cereali. Se ne occupa anche la “medicina oncologica integrata”, spiega il dottor Massimo Bonucci a “Panorana”. E ormai è una realtà in molti paesi, dove esistono persino ospedali con reparti interamente dedicati all’alimentazione anti-cancro.«A livello internazione la medicina integrata è una realtà», spiega il medico. «Negli Stati Uniti ci sono ben 52 università dove viene insegnata». Una strada «ormai percorsa e riconosciuta, così come in Giappone: l’efficacia di molte sostanze è avvalorata non solo da studi scientifici, ma anche da “trial” clinici molto importanti». All’estero, aggiunge Bonucci, la possibilità di avere benefici da un’alimentazione mirata (e da sostanze naturali) nella cura delle patologie oncologiche «non è messa in dubbio». Si parla di curcuma, artemisia e altre essenze, dotate di potenti principi attivi. Un guru della nutrizione “integralista” come Valdo Vaccaro raccomanda di consumare solo frutta e verdura, in caso di insorgenza tumorale. Ma negli ospedali italiani l’aspetto alimentare (fonte primaria del problema, a quanto pare) è completamente trascurato. Ai malati vengono somministrate chemioterapia e radioterapia. E magari una bella fetta di prosciutto.L’oncologia – che considera il cancro un “male incurabile” – continua a somministrare dosi letali di chemioterapia, trascurando l’alimentazione dei pazienti? Normale, in un paese in cui si grida persino alla “truffa delle cure alternative”, canzonando chi ricorre (in genere, con ottimi risultati) a una dieta priva di proteine animali. Scontata, dunque, la bufera scatenata dalla “scoperta dell’acqua calda”, ufficializzata nientemeno che dall’Iarc, la branca dell’Oms che si occupa di ricerca sul cancro. Un rapporto redatto sulla base di oltre 800 studi precedenti sul legame tra alimentazione e tumore conferma quello che i terapeuti “alternativi” hanno sempre saputo: è pericoloso per la salute consumare carne, in particolare carni rosse (maiale e manzo, vitello, agnello, pecora, cavallo e capra). Peggio ancora gli insaccati e le carni grigliate. «La cosa tragicomica – afferma Paolo Franceschetti, autore di un blog sulle cure alternative contro il cancro – è che tuttora, negli ospedali, ai pazienti oncologici in trattamento vengono tranquillamente somministrate merendine confezionate e fette di prosciutto».