Archivio del Tag ‘Intranet’
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Polvere di Stelle: ko l’ambigua Scientology dei Casaleggio
Dopo la solenne mazzolata alle europee, grida d’allarme e pianti isterici si sono levati sui social, per l’emorragia colossale di consensi fuoriuscita dal M5S, mentre opinionisti di ogni genere sono subito corsi ad analizzare motivi e cause di una tale clamorosa débacle. Probabilmente, dato lo scarso coinvolgimento suscitato in genere dalle elezioni europee, una parte dell’elettorato potrebbe tornare alle politiche, comunque la leadership pentastellata non si è certo distinta per coerenza e rispetto delle fantomatiche promesse elettorali. Inoltre la vera causa della batosta consiste soprattutto nel fatto che il partito del né né non ha alcuna identità politica seria, nessuna ‘rivoluzione più o meno gentile’, ma una sola identità, quella del partito azienda. Dentro il corso della modernità liquida del terzo millennio il M5S si è adattato perfettamente, con prepotente vitalità, ancorandosi alla storia politica italiana, come fa il camaleonte con il ramo con cui si mimetizza, invadendo il panorama politico con promesse mirabolanti, irrompendo sulle piattaforme social con slogan propagandistici sempre più ossessivi e circondandosi di una folla di followers guidati più da un fanatismo morboso che da un serio giudizio critico sull’operato concreto del loro partito di riferimento, osannato oltre ogni possibile dubbio, secondo pratiche fideistiche che ricordano più una sorta di scientology italiana, che un movimento democratico.Facile cascare nel delirio collettivo provocato dalla genialità dell’esperimento di Gianroberto Casaleggio, però il M5S non è una forza politica nata dal basso, ma una semplice riproduzione della prima società di Casaleggio, la Webegg, gruppo per la consulenza delle aziende in Rete, controllata da I.T. Telecom Spa. Esperimento cui Casaleggio ha lavorato alla fine degli anni Novanta, quando da amministratore delegato cominciò a testare nei forum intranet dell’azienda i meccanismi di formazione e produzione del consenso attraverso la propaganda virale. Testi e regia dei Vday infatti, gli eventi antecedenti alla nascita del Movimento, erano in pratica decisi dalla Casaleggio. Grillo è stato l’uomo immagine, il frontman del consenso elettorale che poteva raccogliere e rilanciare la rabbia che saliva da più parti della società civile e incrementare il sentimento d’indignazione contro il sistema. In questa prima fase il MoV sosteneva alcune istanze che poi smentirà tutte: l’uscita dalla Nato, il rifiuto assoluto di comparire sulle tv, la decrescita felice, il plauso ad uno stile di vita francescano, un deciso sovranismo, una forte critica all’euro e all’Unione Europea.Gianroberto Casaleggio ha progettato attentamente la sua scalata al potere, tutelando con cura paranoica la fuga di notizie sulla sua storia professionale, anche se ai più attenti molte cose non erano sfuggite. Lo stesso Gianroberto teorizzava spesso sul potere degli ‘influencers’, i piazzisti di prodotti sul mercato, o fake persuaders, coloro che orientano il consenso degli utenti, creando e dirottando correnti di pensiero per finalità di marketing, anche politico. La persuasione funziona perfettamente quando è invisibile, e il marketing più efficace è quello che s’insinua subdolamente nella nostra coscienza, attraverso un processo di propagazione virale riprodotta sui social, simulando magnificamente l’autonomia delle nostre opinioni, che in realtà sono di altri. Il guru del web riuscì ad incastrare Grillo nell’avventura politica che si stava aprendo nel 2005, e con l’apertura del blog di Grillo cominciò la traversata nel deserto del nuovo partito populista. Tutta la comunicazione veniva studiata sistematicamente da Casaleggio, e Grillo serviva da amplificatore seducente e accattivante dei depistaggi ideologici, veri o presunti, della nuova creatura politica.Il blog fu subito ispiratore di liste civiche e di meetup territoriali, cui le persone partecipavano con grande entusiasmo, sentendosi protagonisti, esponenti preziosi del MoV, in realtà venivano spesso ignorati dai vertici, a meno che rispondessero ai canoni elettorali che facevano loro comodo, giovani, fotogenici, malleabili, succubi e dotati molto più di soft skills che di hard skills, più attitudini che competenze. Una volta eletti, una ‘squadra di esperti’ li avrebbero guidati nelle proposte e nei dibattiti politici. L’ipnosi collettiva scatenò effetti immediati, eliminò la sensazione d’impotenza, perché era taumaturgico gridare un “vaffa” verso i decrepiti e corrotti politici della casta, e illuse sulla possibilità di un riscatto, che poteva trovarsi finalmente a portata di mano. Il sogno si sa è sempre più forte del realismo, ed è la carica emozionale indispensabile per muovere le coscienze attraverso “parole guerriere”. Ma il riscatto non può arrivare, perché il MoV è una controrivoluzione, l’anarchismo interno in realtà è guidato dalla diarchia Casaleggio (oggi unico proprietario del simbolo e della società srl) e Di Maio, tutti gli altri stanno sotto.La selezione della classe dirigente è uno dei problemi seri, perché in Parlamento sono arrivate persone che non hanno mai letto la Costituzione, oppure diretti dipendenti, comprati a suon di promesse e di pretese. «Descrivere il potere dei Casaleggio è come comporre un puzzle», dicono due ex collaboratori del MoV, Nicola Biondo e Marco Canestrari nel loro ultimo libro di recente pubblicazione “Il sistema Casaleggio”. «Ci sono migliaia di pezzettini: associazioni aperte e chiuse, avvocati, notai, relazioni, contatti, incontri, cene, convegni, partiti politici, aziende pubbliche e private. Frammenti di racconto che presi da soli non hanno un grande significato. Bisogna ricostruire e collegare i tasselli con pazienza, per capire come ciascuno sia parte di uno schema coerente. Il paravento dietro cui si nasconde questo inganno è l’asserita volontà di costruire un nuovo modello di democrazia, la “democrazia diretta”, governata da un’applicazione web di pessima qualità chiamata Rousseau». Peraltro, secondo Davide Casaleggio, Rousseau dovrebbe sostituire i processi democratici esistenti oggi in Occidente: «Il Parlamento diventerà superfluo», ha profetizzato in un’intervista del luglio 2018.La scalata ai vertici del partito è avvenuta al momento della scomparsa di Gianroberto, quando il figlio Davide si è assicurato un ruolo assolutamente anomalo: non ha una carica politica eppure gestisce l’attività del MoV, come presidente dell’Associazione Rousseau, tesoriere e amministratore unico. Ma mentre Casaleggio ha il potere di governare i dati degli iscritti, le procedure di votazione dei candidati, le proposte da presentare in Parlamento, i soldi versati dai donatori e dai parlamentari (300 euro al mese, 6 milioni in 5 anni di legislatura, quindi soldi pubblici che vanno ad un’associazione privata), al contrario il movimento non può indicare i vertici, non può influenzare le decisioni, non può modificare le regole interne. Il nuovo statuto del partito, datato 30 dicembre 2017 e scritto dall’avvocato Luca Lanzalone (ora in carcere), blinda l’accordo tra l’Associazione e il partito. Gli strumenti informatici del MoVimento saranno forniti da Rousseau, per sempre, e il regolamento per le candidature quantifica la cifra di 300 euro al mese.Ora da un po’ di tempo si parla di una segreteria politica, di una rete territoriale, ma nulla lascia prevedere che il MoV possa trasformarsi in qualcosa di diverso rispetto ad uno strumento attraverso il quale i Casaleggio hanno concentrato nelle loro mani influenza e potere. Dopo il voto sulla Diciotti poi si è capito che gli iscritti sono pronti a ratificare qualsiasi proposta, se pilotati nel modo giusto da video orientati al lavaggio di cervello. Anche oggi, nel dopo tracollo alle europee, a decidere è solo un piccolo direttorio di poche persone, Casaleggio, Di Maio, Bugani. Il MoV si è presentato all’opinione pubblica italiana attraverso tre messaggi chiari: noi siamo il movimento della trasparenza, della legalità, della democrazia diretta. In realtà in questo non-partito, un soggetto non eletto da nessuno, attraverso un’associazione privata di nome Rousseau, controlla la gestione e le attività di un MoV, in maniera unidirezionale.Il conflitto di interessi, ambiguo e opaco, meriterebbe di essere messo a fuoco in modo netto: a quale titolo il capo di una srl impone a dei parlamentari eletti senza vincolo di mandato l’obbligo di essere sudditi di un’associazione privata? E comunque spiega perfettamente il crollo del MoV alle europee, perché se il partito del “né destra né sinistra” ha potuto raccattare moltissimi voti alle ultime politiche, proprio grazie all’ambiguità del proprio messaggio poliedrico e multilaterale, poi però di fronte alle sfide di governo non riesce più a gestire il consenso. Del MoV delle origini è rimasto solo un brand elettorale, svuotato di ogni energia progettuale di ampio respiro, adagiatosi costantemente su toni da political newsjacking perpetua, ostinatamente regolata su spot propagandistici di grande effetto, semplici, immediati, capaci di colpire l’immaginario collettivo. Ma la rappresentanza politica di istanze democratiche dovrebbe essere un’altra cosa…(Rosanna Spadini, “Polvere di Stelle”, da “Come Don Chisciotte” del 29 maggio 2019).Dopo la solenne mazzolata alle europee, grida d’allarme e pianti isterici si sono levati sui social, per l’emorragia colossale di consensi fuoriuscita dal M5S, mentre opinionisti di ogni genere sono subito corsi ad analizzare motivi e cause di una tale clamorosa débacle. Probabilmente, dato lo scarso coinvolgimento suscitato in genere dalle elezioni europee, una parte dell’elettorato potrebbe tornare alle politiche, comunque la leadership pentastellata non si è certo distinta per coerenza e rispetto delle fantomatiche promesse elettorali. Inoltre la vera causa della batosta consiste soprattutto nel fatto che il partito del né né non ha alcuna identità politica seria, nessuna ‘rivoluzione più o meno gentile’, ma una sola identità, quella del partito azienda. Dentro il corso della modernità liquida del terzo millennio il M5S si è adattato perfettamente, con prepotente vitalità, ancorandosi alla storia politica italiana, come fa il camaleonte con il ramo con cui si mimetizza, invadendo il panorama politico con promesse mirabolanti, irrompendo sulle piattaforme social con slogan propagandistici sempre più ossessivi e circondandosi di una folla di followers guidati più da un fanatismo morboso che da un serio giudizio critico sull’operato concreto del loro partito di riferimento, osannato oltre ogni possibile dubbio, secondo pratiche fideistiche che ricordano più una sorta di scientology italiana, che un movimento democratico.
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Costretta a coprire Selmayr: così è morta Laura Pignataro
Bruxelles, 17 dicembre 2018, ore 7.30: Laura Pignataro chiede a Lorenza, la ragazza di cui era ospite da alcuni giorni, di accompagnarle la figlia quattordicenne alla fermata dell’autobus. Non si sente bene, si giustifica. Appena le due donne se ne sono andate, Laura sale all’ultimo piano dell’edificio e si getta nel vuoto: morirà all’istante. Per la polizia belga è suicidio: l’ennesimo (sono tra i 140 e i 200 all’anno, i suicidi a Bruxelles). Perché questa donna italiana di 50 anni si sarebbe suicidata? Nessuno lo saprà mai per certo, scrive Jean Quatremer su “Libération”, visto che non avrebbe lasciato nessun messaggio d’addio. «Fine della storia? Non proprio. Perché Laura Pignataro era una persona che contava», nel club europeo. Il quotidiano francese la definisce «geniale giurista, figlia di un alto magistrato, formatasi in Italia, Stati Uniti, Francia e Spagna». Faceva parte del gotha degli alti funzionari della Commissione Ue. Dal 1995 era in forza al prestigioso Servizio giuridico (Sj), dove nel 2016 era stata promossa a capo del Dipartimento risorse umane. È questa la funzione che l’ha portata a svolgere un ruolo-chiave nella gestione del caso Martin Selmayr, l’ex capo dello staff tedesco di Jean-Claude Juncker, promosso segretario generale della Commissione il 21 febbraio 2018, «in violazione delle norme dello statuto della funzione pubblica europea».Uno scandalo che non cessa di provocare ondate, scrive “Libération”: dopo aver denunciato un vero e proprio “colpo di Stato” nell’aprile 2018, il Parlamento Europeo il 13 dicembre ha chiesto le dimissioni di Selmayr a stragrande maggioranza (71% dei voti). Per Laura Pignataro, i guai sono cominciati il 28 febbraio 2018, quando la commissione per il controllo dei bilanci del Parlamento Europeo, di fronte alla portata mediatica dello scandalo, ha aperto un’indagine sul “Selmayrgate”, inviando una lista di 134 domande alla Commissione. «È stato il panico», confessa un eurocrate, che chiede di restare anonomo: il problema, aggiunge, è che il servizio legale (quello della Pignataro) è stato bypassato, «perché sapevano che si sarebbe opposto a questo inganno». E non sarebbe l’unico. Per esempio: com’è che Juncker e Selmayr hanno taciuto per più di due anni sul prepensionamento anticipato dal segretario generale uscente, l’olandese Alexander Italianer? E perché la sua pensione è stata annunciata solo il 21 febbraio 2018, durante il plenum dei 28 commissari, solo dopo la nomina di Martin Selmayr come vicesegretario generale?Un incontro per tentare di redigere le risposte è stato convocato il 24 marzo 2018, ricorda “Libération”. Problemi: lo spagnolo Luis Romero, direttore generale del servizio legale, lasciò la stanza non appena vi entrò Selmayr. Laura Pignataro, presente, avrebbe voluto seguirlo (ma non osò farlo). Anche perché, spiega Jean Quatremer, ad andarsene avrebbe dovuto essere Selmayr, in flagrante conflitto d’interessi (si parlava di lui, dopotutto). E così, continua il giornalista di “Libération”, non sorprende che i deputati non si fossero assolutamente convinti della validità degli argomenti della Commissione. Così hanno preparato una seconda lista di questiti, 61 domande. Le risposte? Sono state preparate il 2 aprile 2018 dalla stessa squadra e, come la prima volta, alla presenza (inopportuna) di Selmayr. «Laura, uscendo da questi incontri, era in preda alla rabbia», rivela uno dei suoi amici: «Sapeva di esser stata coinvolta in un uso illegale di interessi. Da avvocato fedele all’istituzione, si era resa conto che la nomina di Selmayr non era stata legale». Fu quindi costretta a tentare di giustificare la violazione della legge?A maggio, la mediatrice irlandese Emily O’Reilly iniziò la sua indagine in un’atmosfera di tensione. Chiese l’accesso al server della Commissione: permesso respinto. Richiese quindi la trasmissione di tutte le e-mail relative alla nomina di Selmayr: nuovo rifiuto. E qui, Laura Pignataro si sentì in dovere di collaborare. «Non ho potuto mentirle», ha detto Laura a un parente: «Ho dato tutti i file alla mediatrice». Dal canto suo, racconta “Libération”, Selmayr non ha saputo subito del “tradimento” della Pignataro, che considerava il suo scudo legale. Pubblicato il 4 settembre, il rapporto del mediatore europeo è stato travolgente: sembra che la nomina di Selmayr sia stata preparata già a gennaio 2018, e pare che il pupillo di Juncker non abbia mai dubitato dell’omertà dei funzionari, consapevoli fin dall’inizio della frode. A quel punto, Selmayr ha intuito che il suo “problema” si chiamava Laura Pignataro: non pteva che essere lei, la “gola profonda”. Al che, l’italiana dovette ricevere nuove istruzioni: la chiamarono nel cuore della notte per spiegarle come dovesse mentire alla O’Reilly. A dicembre, dopo quest’ultimo atto, Laura Pignataro confidò al suo entourage che la sua carriera a Bruxelles era praticamente finita. «Non puoi immaginare cosa sono stata costretta a fare nelle ultime settimane», disse a un amico, secondo il quale «sembrava terrorizzata dall’ostilità di Selmayr». Quattro giorni dopo, il tragico tuffo nel vuoto.Luis Romero, il direttore del servizio legale in cui lavorava Laura, venne a conoscenza del presunto suicidio l’indomani mattina: non disse nulla e lasciò la riunione che aveva appena cominciato. Poi, affidò un messagio riservato al colleghi, sulla rete Intranet: «Luis Romero si rammarica di dover darvi la triste notizia della morte di Laura Pignataro». Aggiunge “Libération”: «Né Martin Selmayr né Günther Oettinger, commissario per l’amministrazione, né lo stesso Juncker ritennero opportuno inviare le loro condoglianze alla famiglia, né di partecipare o di essere rappresentati alla cremazione, tenutasi il 21 dicembre a Bruxelles». Quello stesso giorno, d’altra parte, «tutti i funzionari avevano ricevuto un messaggio di “buone feste” da parte di Selmayr». Cinismo teutonico? «Siamo rimasti tutti scioccati», dice a “Libération” uno degli amici di Laura Pignataro. Selmay era assente anche alla cerimonia del 31 gennaio, per commemorare Laura. Eppure la conosceva bene, ci aveva collaborato direttamente per dieci mesi. «Umanamente, la Commissione è un posto orribile», dice al giornale francese un funzionario dell’istituzione. «La brutalità è parte integrante di questa casa», dichiarò lo stesso Selmayr nel 2017 sempre a “Libération”.Uno dei suoi portavoce, Alexander Winterstein, fu tranciante: la morte della Pignataro? «Una questione interamente privata». Certo, Laura Pignataro «è stata un’eccellente e brillante giurista, una collega e molto apprezzata». Perché allora si sarebbe uccisa? «È difficile capire il suo gesto: era allegra, forte ed energica», la ricorda uno dei suoi ex capi, Giulano Marenco, vicedirettore generale del dipartimento legale, ora in pensione. «La sua situazione personale era complicata», ammette: «Suo marito, Michel Nolin, funzionario civile francese nel servizio legale, aveva combattuto per anni contro la Commissione perché sentiva di non avere avuto la carriera che meritava». Si era persino lamentato con la Corte di giustizia, perdendo però la vertenza. E c’è chi sospetta che la nomina di Laura in quella posizione – così delicata e scomoda – potrebbe aver a che fare con il caso del marito. «La relazione della coppia si era deteriorata così gravemente – scrive “Libération” – che Laura Pignataro si era rifugiata a casa della sua amica, con sua figlia», alcuni giorni prima del fatale volo dal tetto. Il bando per sostituire Laura Pignataro è stato pubblicata il 4 marzo, quasi tre mesi dopo la sua morte. Conclude Jean Quatremer: «Sappiamo già che Selmayr chiamerà un suo fedele, tedesco come lui».Bruxelles, 17 dicembre 2018, ore 7.30: Laura Pignataro chiede a Lorenza, la ragazza di cui era ospite da alcuni giorni, di accompagnarle la figlia quattordicenne alla fermata dell’autobus. Non si sente bene, si giustifica. Appena le due donne se ne sono andate, Laura sale all’ultimo piano dell’edificio e si getta nel vuoto: morirà all’istante. Per la polizia belga è suicidio: l’ennesimo (sono tra i 140 e i 200 all’anno, i suicidi a Bruxelles). Perché questa donna italiana di 50 anni si sarebbe suicidata? Nessuno lo saprà mai per certo, scrive Jean Quatremer su “Libération”, visto che non avrebbe lasciato nessun messaggio d’addio. «Fine della storia? Non proprio. Perché Laura Pignataro era una persona che contava», nel club europeo. Il quotidiano francese la definisce «geniale giurista, figlia di un alto magistrato, formatasi in Italia, Stati Uniti, Francia e Spagna». Faceva parte del gotha degli alti funzionari della Commissione Ue. Dal 1995 era in forza al prestigioso Servizio giuridico (Sj), dove nel 2016 era stata promossa a capo del Dipartimento risorse umane. È questa la funzione che l’ha portata a svolgere un ruolo-chiave nella gestione del caso Martin Selmayr, l’ex capo dello staff tedesco di Jean-Claude Juncker, promosso segretario generale della Commissione il 21 febbraio 2018, «in violazione delle norme dello statuto della funzione pubblica europea».