Archivio del Tag ‘Islamabad’
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Mazzucco, l’11 Settembre e la religione di Fausto Biloslavo
Se il simpatico Fausto Biloslavo fosse un avvocato, anziché un giornalista, il suo assisito – gli Usa – non avrebbe scampo: l’ergastolo non glielo leverebbe nessuno. Il difensore, infatti, non sa spiegare le circostanze fondamentali del crimine, i fatti: non sa spiegare come mai le Torri Gemelle crollarono su se stesse in pochi secondi, come può avvenire solo nei casi di demolizione controllata (con edifici minati dalle fondamenta), né sa spiegare com’è possibile che un Boeing possa volare a 900 chilometri orari, ad appena duecento metri di altezza, senza disintegrarsi nell’impatto con l’aria. Tra le tante, basterebbero queste due “prove regine” a inchiodare l’imputato: la sua versione risulta palemesente falsa. Eppure “l’avvocato” Biloslavo (che su questo si dichiara incompetente) ammette, candidamente, di “credere” alla versione ufficiale sull’11 Settembre. Unanime il verdetto: non della corte, ma del pubblico (in questo caso, della trasmissione “Il Ring”, offerta da “ByoBlu” mettendo a confronto Biloslavo con Massimo Mazzucco, autore di due monumentali documentari sull’attacco alle Torri, il primo dei quali – “Inganno globale” – trasmesso nel 2006 da Enrico Mentana a “Matrix”, in prima serata su Canale 5).Beninteso: è fuori discussione l’assoluta buona fede di Biloslavo, rinomato reporter di guerra in forza al “Giornale”. Lo dimostra il candore con cui ribadisce la sua tesi, sorvolando sull’evidenza dei fatti principali: gli Usa furono davvero colpiti da un maxi-attentato inatteso, e solo l’indomani decisero di approfittare della “nuova Pearl Harbor”, abusando del loro potere “imperiale” per esportare la guerra in mezzo mondo. «Me lo disse il comandante Massud, in persona: Al-Qaeda si stava preparando a colpire le città occidentali». E chi era, Al-Qaeda? E’ evidente, ammette Biloslavo, il ruolo dei sauditi. Il giornalista non esclude neppure che qualche settore dell’intelligence Usa possa esser stato al corrente della minaccia, che sarebbe stata in ogni caso sottovalutata. Sempre ricorrendo alla sua fede nella versione ufficiale, lo stesso Biloslavo esclude categoricamente che lo stratega americano Zbiginew Brzezinski possa aver reclutato Osama Bin Laden, in Afghanistan, originariamente in funzione antisovietica. Sul web circolano foto che ritraggono i due, ma Biloslavo – senza un perché – afferma di non credere all’autenticità di quelle foto, che peraltro (dice) non ha neppure mai visto.Se uno volesse inforcare le lenti della dietrologia, scoprirebbe che Gioele Magaldi, nel libro “Massoni” (Chiarelettere, 2014) afferma di poter esibire prove schiaccianti, contenute in documenti riservati ma all’occorrenza pubblicabili. Testualmente: proprio Brzezinski affiliò Bin Laden alla superloggia “Three Eyes”, dominata da Kissinger, per farne una pedina strategica del disegno imperiale statunitense durante la guerra fredda. Più tardi, caduta l’Urss, lo stesso Brzezinski ci rimase male, quando il “fratello” Bin Laden abbandonò la “Three Eyes” per passare alla “Hathor Pentalpha” creata dai Bush, con un obiettivo preciso: elevare all’ennesima potenza il ruolo del terrorismo internazionale, “islamico” solo nella sua manovalanza, per farne un decisivo strumento di potere a livello geopolitico. Da quella “officina supermassonica” nacque il Pnac dei neocon, in cui – nel 2000 – si scrive che, per militarizzare il pianeta, occorre l’alibi di una “nuova Pearl Harbor”. L’anno dopo, tutto accadde in tre giorni: il 9 settembre venne ucciso Massud, il 10 settembre Bush esaminò il piano di invasione dell’Afghanistan e l’indomani, finalmente, crollarono le Torri.Per Biloslavo, a uccidere il leader dell’Alleanza dei Nord fu Al-Qaeda. I due killer erano agli ordini del “signore della guerra” Burnuddin Hekmathyar. Non è più un segreto per nessuno che lo stesso Hekmathyar fosse a libro paga dell’Isi, il servizio segreto militare del Pakistan, longa manus della Cia. Lo ribadì Benazir Bhutto, annunciando di volersi candidare a Islamabad anche per denunciare il legame tra servizi segreti atlantici e Al-Qaeda: hanno ucciso Massud, disse, per eliminare l’unico leader autorevole in circolazione in Afghanistan, capace quindi di restituire piena sovranità al paese una volta sfrattati i Talebani. Faceva così paura, la verità di Benazir Bhutto, che fu uccisa con un’automoba nel 2007, alla vigilia di elezioni che, secondo ogni previsione, l’avrebbero incoronata alla guida del Pakistan con un autentico plebiscito. Ma in un’ora e mezza di serrato confronto – quasi cavalleresco, se non fosse per le continue interruzioni imposte da Biloslavo a Mazzucco, nonostante l’ottima conduzione di Francesco Toscano – il giornalista non ha neppure vagamente sfiorato la maniglia della porta proibita, quella che permette di accedere alle fonti che raccontano l’altra verità, la più scomoda.Biloslavo preferisce credere alle dichiarazioni processuali di un terrorista tuttora nelle mani degli americani, che l’hanno torturato per vent’anni a Guantanamo (Khalid Sheik Mohammed: sostiene di esser stato il regista dell’operazione su ordine di Bin Laden), mentre ritiene inattendibili le testimonianze di 108 pubblici ufficiali – poliziotti e pompieri di New York – che dichiarano di aver percepito distintamente una serie di esplosioni simultanee, nelle Torri Gemelle, in prossimità dell’impatto dei velivoli. Semplicemente, Biloslavo ritiene implausibile la teoria dell’auto-attentato: un gesto troppo mostruoso, e un complotto troppo difficile da attuare (mantenendo poi il silenzio per vent’anni). Una tesi che ricorda quella agitata, per decenni, dai sostenitori della versione ufficiale sull’omicidio di John Kennedy. Tuttora, c’è chi ripete che non esistono ragioni valide per dubitare che l’assassino fu Lee Harvey Oswald. Peccato che la versione ufficiale sia stata letteralmente demolita dagli stessi autori del complotto, esecutori e mandanti intermedi. Storia che lo stesso Mazzucco ha ricostruito, prove alla mano, in un esemplare documentario di mezz’ora.L’amante di Lyndon Johnson, che odiava i Kennedy, ha ammesso che l’allora vicepresidente le confessò l’imminente fine di Jfk, la sera prima dell’attentato, dopo un summit a Dallas con i vertici della Cia e dell’Fbi. In punto di morte, l’allora numero due della Cia – Howard Hunt – registrò una dichiarazione in cui ammise di aver orchestrato il delitto usando sicari della mafia. Il pilota di un aereo della Cia, Tosh Plumlee, ha ammesso di aver trasportato a Dallas uno dei capimafia incaricati dell’esecuzione, Johnny Rosselli, confermando che il tiratore scelto – Chuck Nicoletti – li attendeva nella città texana. A far esplodere il cervello di Kennedy fu James Files, reo confesso, tuttora detenuto negli Usa. Consegnò a un detective privato, Joe West, la pistola fumante: se fate riesumare la salma di Kennedy, gli disse, troverete nel cranio le tracce di mercurio con cui era imbottito il fatale proiettile. Il detective West corse dal giudice, ma non fece in tempo a far riaprire il caso: morì in seguito a complicazioni cliniche dopo un ordinario intervento chirurgico. Il killer, James Files, è ancora in carcere, senza che nessuno si sia preso la briga di interrogarlo, né di far riesumare il cadavere di Kennedy. Si preferisce ancora credere che a sparargli fu Oswald, presentato come uno squilibrato assassino solitario, senza complici né coperture.Troppo dura, ammettere che siano stati i vertici di uno Stato a decidere di ammazzare il presidente? Se c’è un complotto, prima o poi la verità viene sempre a galla, dice Biloslavo. La confessione di Howard Hunt, altissimo dirigente della Cia, è datata 2007: quasi mezzo secolo dopo il crimine. Dall’11 Settembre sono passati appena vent’anni, ma molte verità sono già emerse. Per una piena confessione occorreanno ancora un paio di decenni? Biloslavo ride, del cosiddetto complottismo: gli sembra puro delirio, come quello dei terrapiattisti. Proprio per questo, probabilmente, Mazzucco – nei panni di pubblico ministero di un ipotetico processo – si tiene alla larga da qualsiasi tesi: non si sbilancia sui possibili autori del complotto, né sulle modalità di esecuzione. Per esempio: quali esplosivi sarebbero stati usati per minare le Torri? «Non sta a me sostenere l’onere della prova» ribadisce: «Mi basta dimostrare che la versione ufficiale non regge». Per 3.500 ingegneri e architetti americani, le Twin Towers furono demolite in modo controllato: in base alle leggi della fisica, solo abbattendo i supporti sottostanti si può verificare un crollo simile, in pochi secondi.Quanto agli aerei è la stessa Boeing a confermare: a quella quota, se un aereo come quelli volasse a 900 chilometri orari perderebbe i pezzi, subendo il distacco delle ali. E dunque? Se quelli non erano Boing normali ma aerei-bomba rinforzatati e telecomandati, dove sarebbero finiti i passeggeri? Bella domanda, dice Mazzucco: forse un giorno lo scopriremo. I 19 ipotetici dirottatori – quelli che in realtà non erano in grado di pilotare aerei – non sono mai stati filmati, negli scali d’imbarco. E sono almeno una trentina i fatti – i riscontri oggettivi, incontrovertibili – che demoliscono la versione ufficiale, nella quale Biloslavo dichiara di “credere” (se non altro perché non osa prendere in considerazione, psicologicamente, l’idea del maxi-complotto). Intanto – e non è poco – ha comunque accettato di confrontarsi con Mazzucco, stimatissimo negli Usa per il suo lavoro di indagine giornalistica. E, con la trasmissione web-streaming del 14 febbraio su “ByoBlu”, Messora e Toscano hanno fatto un piccolo capolavoro di informazione: dimostrando, in un leale confronto alla pari, che il mainstream media non sa spiegare, tecnicamente, perché le Torri Gemelle crollarono in quel modo (e neppure se lo domanda, a distanza di vent’anni).Se il simpatico Fausto Biloslavo fosse un avvocato, anziché un giornalista, il suo assistito – gli Usa – non avrebbe scampo: l’ergastolo non glielo leverebbe nessuno. Il difensore, infatti, non sa spiegare le circostanze fondamentali del crimine, i fatti: non sa spiegare come mai le Torri Gemelle crollarono su se stesse in pochi secondi, come può avvenire solo nei casi di demolizione controllata (con edifici minati dalle fondamenta), né sa spiegare com’è possibile che un Boeing 767 possa volare a 900 chilometri orari, ad appena duecento metri di altezza, senza disintegrarsi nell’impatto con l’aria. Tra le tante, basterebbero queste due “prove regine” a inchiodare l’imputato: la sua versione risulta palesemente falsa. Eppure “l’avvocato” Biloslavo (che su questo si dichiara incompetente) ammette, in modo disarmante, di “credere” alla versione ufficiale sull’11 Settembre. Unanime il verdetto: non della corte, ma del pubblico (in questo caso, della trasmissione “Il Ring“, offerta da “ByoBlu” mettendo a confronto Biloslavo con Massimo Mazzucco, autore di due monumentali documentari sull’attacco alle Torri, il primo dei quali – “Inganno globale” – trasmesso nel 2006 da Enrico Mentana a “Matrix”, in prima serata su Canale 5).
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Il vero motivo della morte di Carlo Giuliani al G8 di Genova
Non sparate a casaccio sulla polizia, si raccomanda Franco Gabrielli dalle pagine del “Manifesto”, ripercorrendo l’inferno del G8 di Genova rievocato dal “quotidiano comunista”, secondo cui «la credibilità della polizia è da ricostruire». A stretto giro, la risposta – durissima – del padre di Carlo Giuliani, affidata al blog “Contropiano” dopo che, scrive, il “Manifesto” ha rifiutato di pubblicargliela. La tesi del capo della polizia: c’erano anche i carabinieri, a Genova, insieme ad altri organi dello Stato; per questo non è giusto criminalizzare un’istituzione che, assicura Gabrielli, si è ampiamente emendata dai gravi errori commessi. Giuliano Giuliani concorda solo in parte: è oggi questore di Pesaro, scrive, il funzionario che a piazza Alimonda accusò un manifestante di aver ucciso suo figlio, «completando così l’indegna azione di un carabiniere che con una pietra ha spaccato la fronte di Carlo agonizzante». Paura e odio, furore, guerriglia: sotto i riflettori, per anni, gli attori di quella spaventosa pagina italiana, per la quale si è parlato di “sospensione della democrazia”. D’accordo, ma il movente? Perché trasformare Genova nel teatro di una carneficina? Lo spiega un ex dirigente della Nsa, Wayne Madsen. L’intelligence Usa, rivela, ha piegato le forze dell’ordine italiane a un disegno oscuro: quel sangue doveva servire a seppellire per sempre il movimento NoGlobal, di cui le multinazionali avevano il terrore, all’alba del nuovo millennio.Missione compiuta, si direbbe: dopo Seattle, Praga e altre fiammate, a Genova nel luglio del 2001 è stato letteralmente soppresso «il primo movimento di protesta, nella storia dell’Occidente, capace di mobilitarsi in modo disinteressato, cioè senza più difendere singole cause territoriali, nazionali o di categoria, ma schierandosi in modo permanente a tutela dei diritti dell’umanità, in ogni continente». Lasciata l’intelligence Usa (l’agenzia resa tristemente celebre dallo scandaloso “datagate” spionistico del governo Obama), Madsen è divenuto un fiero accusatore di un sistema manipolatorio che a Genova, dice, richiedeva un preciso tributo di sangue: la morte di Carlo Giuliani, la “macelleria messicana” dei ragazzi inermi nella scuola Diaz (col pretesto di bombe molotov introdotte dagli stessi agenti) e poi l’incubo delle torture inflitte ai “prigionieri” nella caserma di Bolzaneto. Tutta quella violenza barbarica sembra portare la stessa “firma” della mano segreta che, di lì a un paio di mesi, avrebbe pilotato l’immane attentato delle Torri Gemelle a New York, dando inizio alla “guerra infinita” contro il “terrorismo”. Un nome? Il massone “controiniziato” George W. Bush. Esponente, secondo Gioele Magaldi, della “Hathor Pentalpha”, definita “loggia del sangue e della vendetta”. La costola più nera e tenebrosa dell’élite globalista, formata da “signori della guerra” che «non hanno esitato a reclutare, tra i loro affiliati, prima Osama Bin Laden e poi Abu Bakr Al-Baghdadi».Da Al-Qaeda all’Isis, stesso copione (opaco) del terrore, scatenato contro civili, polizia e militari – ma non all’insaputa di precisi settori dell’intelligence. Prove? «Dispongo di 6.000 pagine di documenti», assicura Magaldi, autore del saggio “Massoni”. «Entro due anni certe carte verranno rese pubbliche», afferma Gianfranco Carpeoro, che ha firmato il volume “Dalla massoneria al terrorismo”, fornendo anche – insieme allo stesso Magaldi – un’accurata lettura della simbologia non certo islamica, ma “templare”, del recentissimo terrorismo targato Isis che ha insanguinato l’Europa a cominciare dalla Francia. Identico lo stile degli attentati: colpire nel mucchio, sparare sulla folla per terrorizzare tutti (e rendere accettabili le leggi d’emergenza, sul modello del Patriot Act statunitense disegnato per confiscare libertà e diritti). Genova? Una pietra miliare: il Rubicone varcato da un potere globalista “medievale”, neo-feudale, smisuratamente avido e bugiardo, estremamente feroce. Lo sostiene Madsen, intervistato da Franco Fracassi nel saggio “G8 Gate”. Una vera e propria confessione: «Mesi prima, per la tragica “riuscita” di quel G8 – dice – la Nsa mise a disposizione 1.500 funzionari, e a Genova (oltre alla polizia italiana) c’erano 700 agenti dell’Fbi».Nessuno lo sapeva, all’epoca, ma tutti videro lo stesso spettacolo: i reparti antisommossa si accanivano contro manifestanti inermi, ignorando deliberatamente i famosi “black bloc” spuntati dal nulla, liberi di devastare impunemente la città. I “neri” colpivano i loro obiettivi e poi si disperdevano rapidamente tra i vicoli. «E’ una tattica di guerriglia insegnata nelle scuole Nato: si chiama “swarming”», afferma – sempre nel libro di Fracassi – il generale dei paracadutisti Fabio Mini, già comandante della missione atlantica Kfor in Kosovo. «Esistono precise strutture – rivela Mini – in grado di far affluire in piena sicurezza centinaia di persone, da tutta Europa, senza il rischio di subire controlli alle frontiere, neppure dopo l’evento». Lo strascico del G8 di Genova è ancora fatto essenzialmente di rabbia e di dolore: le vittime denunciano omissioni e indulgenze, il nuovo capo della polizia (che ha preso le distanze da De Gennaro) giura che, oggi, simili episodi non potrebbero più ripetersi. Carlo Giuliani, intanto, a piazza Alimonda è morto. E la meccanica delle ricostruzioni difficilmente va oltre i dettagli del crimine. Una coltre di silenzio protegge ancora gli aspetti più decisivi: il movente e i mandanti.Per questo è importante la voce di un uomo come Madsen. «I mandanti sono le multinazionali – dice – che erano letteralmente terrorizzate dal crescente consenso di quei ragazzi: il movimento NoGlobal andava stroncato. E il loro uomo, Bush, ha semplicemente eseguito gli ordini». Com’era, il mondo, nel 2001? Stava molto meglio di adesso, secondo tutti gli indicatori. Archiviata la storica sfida con l’Urss, la guerra era praticamente assente. Anche per gli italiani, all’epoca, l’Unione Europea poteva sembrare un’istituzione amica. Si pagava ancora in lire: l’euro avrebbe iniziato a circolare solo l’anno seguente. In Afghanistan c’erano già i Talebani, ai quali si opponeva solo un leader laico e nazionalista come Ahmad Shah Massud: quando l’Alleanza del Nord entrò in azione, per prima cosa fu assassinato l’ingombrante Massud, autorevole interprete della sovranità afghana. Ucciso da un certo Hekmathyar, collegato ai servizi del Pakistan addestrati dalla Cia. «Il governo di Islamabad ha sostenuto Al-Qaeda in accordo con Bush», denunciò Benazir Bhutto, a sua volta assassinata nel 2007 per impedirle di vincere le elezioni e smascherare le trame che legavano Bush e Bin Laden al generale Musharraf, dittatore “americano” del Pakistan. Da anni, ormai, la “guerra infinita” era diventata la nuova normalità fondata su bombe e menzogne, fino all’attuale conflitto siriano.Un film dell’orrore, sostiene Madsen, grazie al quale nessuno si è più sognato di contestare frontalmente lo strapotere delle corporation e dell’oligarchia finanziaria, che in Europa è riuscita a ridurre alla fame un paese come la Grecia, senza più medicinali per i bambini, e a destituire con un golpe bianco il governo italiano democraticamente eletto. Si arrivò a insediare a Palazzo Chigi uno spettro come Mario Monti, cioè l’essere umano più lontano possibile dall’antropologia di una rockstar come Manu Chao, eroe del “social forum” che a Genova nel 2001 sognava una fratellanza universale capace di opporsi alle diseguaglianze create dalla rapina sistematica del mondo, quella che oggi spinge verso l’Europa milioni di migranti in fuga dalle loro economie sapientemente disastrate dal nostro apparato economico e politico, finanziario e militare. Un mondo migliore è possibile, recitava lo slogan dei ragazzi che guardavano al mito del “subcomandante” Marcos, esotico e mediatico custode di una biodiversità civile fondata sui diritti. Oggi, il dibattito pubblico è precipitato sotto terra, tra le rovine dell’Ue e della Bce: si parla al massimo di soldi, di Flat Tax e reddito di cittadinanza. Siamo caduti in basso? Il primo passo, sostiene Wayne Madsen, è stato il corpo esanime del militante che i grandi poteri economici, dai loro palazzi, volevano morto. E’ toccato a Carlo Giuliani. Forse, riletta così, può sembrare meno oscura la ragione (mostruosa) di quella fine così atroce.(Giorgio Cattaneo, “G8 Genova, il vero motivo della morte di Carlo Giuliani”, dal blog “Petali di Loto” del 17 aprile 2018).Non sparate a casaccio sulla polizia, si raccomanda Franco Gabrielli dalle pagine del “Manifesto”, ripercorrendo l’inferno del G8 di Genova rievocato dal “quotidiano comunista”, secondo cui «la credibilità della polizia è da ricostruire». A stretto giro, la risposta – durissima – del padre di Carlo Giuliani, affidata al blog “Contropiano” dopo che, scrive, il “Manifesto” ha rifiutato di pubblicargliela. La tesi del capo della polizia: c’erano anche i carabinieri, a Genova, insieme ad altri organi dello Stato; per questo non è giusto criminalizzare un’istituzione che, assicura Gabrielli, si è ampiamente emendata dai gravi errori commessi. Giuliano Giuliani concorda solo in parte: è oggi questore di Pesaro, scrive, il funzionario che a piazza Alimonda accusò un manifestante di aver ucciso suo figlio, «completando così l’indegna azione di un carabiniere che con una pietra ha spaccato la fronte di Carlo agonizzante». Paura e odio, furore, guerriglia: sotto i riflettori, per anni, gli attori di quella spaventosa pagina italiana, per la quale si è parlato di “sospensione della democrazia”. D’accordo, ma il movente? Perché trasformare Genova nel teatro di una carneficina? Lo spiega un ex dirigente della Nsa, Wayne Madsen. L’intelligence Usa, rivela, ha piegato le forze dell’ordine italiane a un disegno oscuro: quel sangue doveva servire a seppellire per sempre il movimento NoGlobal, di cui le multinazionali avevano il terrore, all’alba del nuovo millennio.
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Bin Laden morto anni prima del blitz Usa, eccovi le prove
Gli Usa non hanno mia ucciso Osama Bin Laden. Un diabete degenerato in una nefrite terminale nel presunto terrorista (mai processato) lo ha ucciso, e quasi certamente diversi anni prima della colossale menzogna del blitz americano nel 2011 in Pakistan. Come lo so? La mia fonte fu il terzo più alto executive di Al Qaeda dopo Ayman Al-Zawahri e Bin Laden stesso fino alla fine degli anni ‘90. Sono rimasto scioccato dall’ingenuità della pur eccellente inchiesta del mitico reporter americano Seymour Hersh sui retroscena della morte di Bin Laden, versione Casa Bianca. Essa è pubblicata QUI. Hersh ci rivela la solita montagna di balle, complotti, mistificazioni messe in piedi dalla presidenza Usa, dal Pentagono e dalle agenzie dei servizi sulla ‘prestigiosa’ operazione Abbottabad, la presunta uccisione di Bin Laden il 2 di maggio 2011 in Pakistan. Ottimo lavoro, ma cose risapute per chi ha vissuto la storia contemporanea fuori dal Tg1 o da Facebook. Dall’incidente del Tonchino (Vietnam), ai “carpet bombing” genocidi di Laos e Cambogia, da Cuba a El Mozote, a Suharto e a Pinochet, dall’Iraq a Israele alla Libia ecc., la politica estera di Washington può essere raccontata con prove alla mano come un scia criminale di menzogne talvolta al limite del grottesco (la gggènte ci crede sempre, così come i – conato – giornalisti).Ma Hersh ha fatto qui l’errore più triste della sua carriera di colosso del mio mestiere: egli dà comunque per scontato che il poveraccio letteralmente smembrato vivo da oltre 600 proiettili degli Us Navy Seals in una camera da letto di Abbottabad fosse Osama Bin Laden. Al 99,9% non lo era. Ecco come lo so. Nel 2003, mentre filmavo l’inchiesta di “Report” (Rai3) “L’Altro Terrorismo”, fui messo in contatto con un fondatore di Al Qaeda in una capitale del Medioriente che ancora non posso nominare. Ecco chi era costui, il mio insider: fu per quattordici anni ai vertici della Jihad islamica internazionale, la culla di Al Qaeda. Sedeva con Bin Laden e Hasan Al-Turabi nei palazzi governativi di Khartoum in Sudan, fu il Dawa numero uno di Al Qaeda, il loro ‘Pontefice’ islamico. Decadi prima, nel 1981, lui si trovava al Cairo, e poche ore dopo l’assassinio del presidente Anwar Sadat per mano di membri dalla Jihad islamica egiziana, si ritrovò sbattuto sul pavimento di una cella buia accanto ad altri estremisti religiosi, fra i quali vi sarà anche un giovane medico che rispondeva al nome di Ayman Al Zawahri, oggi capo di Al Qaeda.Fetore, grida terribili, ossa spezzate, testicoli arrostiti, due anni così, parte della più violenta repressione dell’integralismo religioso nella storia dell’Egitto, per poi essere scarcerato assieme ad altri sopravvissuti e insieme deportati oltre il confine col Sudan. Una banda di giovani esiliati con una cosa in comune: un odio implacabile per il regime egiziano apostata e per ogni suo alleato, Israele, Stati Uniti ed Emirati Arabi in testa. Formano una grande famiglia che vaga senza sosta: prima Khartoum in Sudan, poi Sanaa nello Yemen, poi Peshawar e Islamabad in Pakistan, dove lui in particolare stringe rapporti con la leadership talebana. L’insider mi conferma che fu in Pakistan, molti anni dopo, nel 1998, che avvenne ufficialmente la fusione fra due componenti dell’Islam belligerante che, prese singolarmente, erano relativamente pericolose, ma che messe a contatto si rivelarono micidiali: le finanze di Bin Laden e la manovalanza specialistica degli uomini di Al Zawahri, in altre parole la ‘nuova’ Al Qaeda.L’incontro con lui durò 7 ore, tutte passate in auto a vagare per le periferie di questa capitale, al buio. Paranoici, terrorizzati. Mi disse: «La mia specializzazione (la formazione spirituale dei membri di Al Qaeda) era tale che nel 1995, in Sudan, Osama Bin Laden e Al-Turabi fecero a gara per tenermi; Osama mi offrì un budget illimitato per addestrare i suoi uomini». Parlammo di tante cose (riportate nel mio “Perché ci odiano”, Rizzoli Bur 2006), ma di una non ho mai dato conto. Prima di arrivare al punto, vi rivelo che al montaggio del servizio per “Report” in Rai; chiamammo il traduttore arabo ufficiale della nostra Tv pubblica, un docente universitario egiziano a Roma, il quale dopo appena 10 minuti d’ascolto di questo insider di Al Qaeda si alzò nel panico e gridò che si rifiutava di continuare… Preciso infine che il rango e la veridicità dell’insider di Al Qaeda che incontrai mi fu confermata dal reporter americano Alan Cullison del “Wall Street Journal”, autore di uno scoop per aver scoperto in Afghanistan il pc dell’allora numero due di Al Qaeda, Ayman Al Zawahri, dove il mio insider (volto e altri dettagli) compariva fra i nomi top.Ecco ciò che non ho mai rivelato. In breve, l’insider mi disse nel 2003 che Bin Laden era vivo, ma in condizioni drammatiche. L’ultimo corriere che lo vide dopo il noto ‘incidente di Karachi’ – dove i servizi pakistani Isi intercettarono un altro corriere, Ramzi bin al-Shibh, nel settembre 2002 – vide un uomo in fin di vita, non si reggeva in piedi, devastato da diabete e nefrite, ovviamente impossibilitato a curarsi con la complessa specialistica necessaria perché nascosto sulle montagne, probabilmente sulla soglia della morte. Ciò accadeva nei primi mesi del 2003. Ma ancora prima i reporter del “The Guardian” Jason Burke e Lawrence Joffe catturarono un video di Osama del 2001 dove già quest’uomo appariva «magro come un fantasma e disabile». Siamo fra il 2001 e il 2003, immaginate se un ammalato in quelle condizioni arriva sano e attivo al 2011, senza uno straccio di cure altamente specialistiche a fronte di patologie gravissime già alla fase finale otto anni prima.Notate ora una cosa di notevole spessore che avvalla la versione di un decesso naturale di Bin Laden anni prima del maggio 2011: l’ultimo video seriamente accreditato al vero Bin Laden risale al 2004, poi il buio totale. Le sue trasmissioni successive sono cassette audio o video irriconoscibili giudicate “quasi certamente dei falsi” dalla stessa Cia. Ogni altro video che da allora ci è giunto ci mostra il suo n. 2, Ayman Al Zawahri. Ora ci si chieda: come è possibile che negli anni cruciali per il sostegno morale di Al Qaeda, sottoposta a operazioni di annientamento globale, il loro leader carismatico non si fosse mai curato di apparire con veemente retorica a loro sostegno? Mai una singola volta. Be’, era morto. Stroncato dalla malattia come detto sopra. Seymour Hersh neppure esamina questi fatti. E peggio. Il presunto cadavere di Bin Laden viene sepolto in mare da una portaerei americana alla velocità della luce, cioè a poche ore dalla morte. Nessuno al mondo ha mai visto neppure una foto credibile almeno del volto del presunto terrorista (mai processato).Forse ricordate che vi fu un’insurrezione globale dei musulmani che chiedevano le prove sull’identità di Osama e un funerale islamico in tutta regola. Washington rifiutò entrambi. Eppure bastava poco. Bin Laden portava una cicatrice evidente a una caviglia, frutto di una battaglia a Jaji in Afghanistan ai tempi dell’invasione russa. Bastava una foto di essa per convincere il mondo che l’uomo ucciso ad Abbottabad nel 2011 era lui. Ma no. Perché Seymour Hersh si è incredibilmente scordato di questo dettaglio? Perché Hersh non sottolinea che se il poveraccio nella camera da letto di Abbottabad fosse stato veramente Osama Bin Laden, era tutto interesse della comunità internazionale averlo vivo? Cristo, una fonte d’informazioni infinita, o imbarazzante, eh Washington? Imbarazzante non perché quel tizio in Abbottabad era l’ex alleato/stipendiato degli Usa Bin Laden che poteva dirne tante…, ma perché quel tizio era un nessuno, un fantoccio umano. 600 proiettili su un corpo per renderlo irriconoscibile, letteralmente, come riporta anche Hersh, smembrato in pezzi, per non aver grane…In ultimo, gli scettici pro versione Usa obietteranno che dopo la millantata operazione Abbottabad sarebbe stato interesse di Al Qaeda smentire la versione di Washington con foto della vera sepoltura di Osama sulle montagne centro-asiatiche. La risposta è no, perché una tale rivelazione avrebbe esposto la leadership di Al Qaeda al ridicolo in tutto il mondo islamico, cioè ci avrebbe rivelato un’organizzazione allo sbando da anni senza figura leader. Chi capisce i jihadisti sa di cosa parlo. E gran finale. La farsa dell’operazione Abbottabad del 2011 esplode come un fuoco d’artificio fuori dalla Casa Bianca e verso i media alla vigilia della campagna elettorale di Obama nella primavera del 2011, appunto. Be’, concludo qui. Credo che ce ne sia abbastanza. Bin Laden non arrivò vivo neppure a mille miglia dalla menzogna Abbottabad.(Paolo Barnard, “Bin Laden era morto anni prima del blitz Usa, Seymour Hersh ha toppato”, dal blog di Barnard del 29 maggio 2015).Gli Usa non hanno mai ucciso Osama Bin Laden. Un diabete degenerato in una nefrite terminale nel presunto terrorista (mai processato) lo ha ucciso, e quasi certamente diversi anni prima della colossale menzogna del blitz americano nel 2011 in Pakistan. Come lo so? La mia fonte fu il terzo più alto executive di Al Qaeda dopo Ayman Al-Zawahri e Bin Laden stesso fino alla fine degli anni ‘90. Sono rimasto scioccato dall’ingenuità della pur eccellente inchiesta del mitico reporter americano Seymour Hersh sui retroscena della morte di Bin Laden, versione Casa Bianca. Essa è pubblicata qui. Hersh ci rivela la solita montagna di balle, complotti, mistificazioni messe in piedi dalla presidenza Usa, dal Pentagono e dalle agenzie dei servizi sulla ‘prestigiosa’ operazione Abbottabad, la presunta uccisione di Bin Laden il 2 di maggio 2011 in Pakistan. Ottimo lavoro, ma cose risapute per chi ha vissuto la storia contemporanea fuori dal Tg1 o da Facebook. Dall’incidente del Tonchino (Vietnam), ai “carpet bombing” genocidi di Laos e Cambogia, da Cuba a El Mozote, a Suharto e a Pinochet, dall’Iraq a Israele alla Libia ecc., la politica estera di Washington può essere raccontata con prove alla mano come un scia criminale di menzogne talvolta al limite del grottesco (la gggènte ci crede sempre, così come i – conato – giornalisti).